Strenna di Pagine d’Archeologia 3
2015
Luceria.
Il sito archeologico
dallo scavo
alla valorizzazione
Ciano d’Enza (RE)
Atti della giornata di studi del 31 maggio 2014
a cura di
Marco Podini e Francesco Garbasi
Strenna di Pagine d’Archeologia 3
Musei Civici di Reggio Emilia
Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo
Soprintendenza Archeologia dell’Emilia-Romagna
con il contributo di
a cura di Marco Podini e Francesco Garbasi
Redazione: Francesco Garbasi
Progetto grafico e impaginazione: Ufficio grafico Comune di Reggio Emilia
Stampa: Centro Stampa Comune di Reggio Emilia
Atti della giornata di studi
Luceria. Il sito archeologico dallo scavo alla valorizzazione
Ciano d’Enza (RE), 31 maggio 2014
Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo
Soprintendenza Archeologia dell’Emilia-Romagna
con il patrocinio di
Comune di Canossa
in collaborazione con
Associazione Amici di Luceria
Gruppo Archeologico VEA
In copertina
disegno di Alessandro Prampolini, veduta di Ciano d’Enza (RE) con scavo della strada romana
(Archivio dei Musei Civici di Reggio Emilia)
© 2014 Testi
Comune di Reggio Emilia
Musei Civici
Via Palazzolo, 2 – 42121 Reggio Emilia
www.museicivici.re.it
ISSN 1593 2435
Indice
Presentazione
Roberto Macellari e Iames Tirabassi
Prefazioni
Marco Edoardo Minoja
Enzo Musi
Gianni Borghi
Marco Podini, Francesco Garbasi
VII
VIII
IX
X
XI
Introduzione
La potenzialità archeologica del territorio di Luceria
Elisabetta Cavazza, Iames Tirabassi, Marco Podini
3
Parte 1 – Antica Luceria: archeologia in Val d'Enza
Il progetto di scavi a Ciano d'Enza (RE) di Gaetano Chierici.
Alle origini del Museo di Reggio Emilia
Roberto Macellari
27
Liguri ed Etruschi lungo la via dell’Enza
Daniela Locatelli
37
Luceria tra Liguri e Romani alla luce degli scavi
degli anni Ottanta
Luigi Malnati
57
I Romani nella Pianura Padana e a Luceria:
occupazioni, integrazioni e ibridismi culturali
Enzo Lippolis
67
V
Strenna 1-2013
di Pagine d’Archeologia
Parte 2 – Tutela e valorizzazione a Luceria:
nuove prospettive e possibili modelli
di promozione culturale in ambito archeologico
Gli interventi di consolidamento, restauro
ed allestimento didattico di Luceria (Canossa, RE)
Renata Curina, Anna Losi
81
Professionisti e associazioni di volontariato:
opportunità di crescita e definizione dei rapporti reciproci
Filippo Fontana, Francesco Garbasi
93
Valorizzare è far rivivere.
La gestione del patrimonio culturale come snodo cruciale
Donatella Girotto, Giuseppe Marangoni
101
Prehistoric Art Museum of Mação (Portugal):
a project of culture, education and science
Sara Cura, Luiz Oosterbeek
107
VI/
Presentazione
Roberto Macellari
Funzionario Reti e Servizi Culturali dei Musei Civici di Reggio Emilia
Iames Tirabassi
Già Funzionario Reti e Servizi Culturali dei Musei Civici di Reggio Emilia
La collana “Strenna di Pagine di Archeologia”,
nata con l’intento di ofrire occasioni di approfondimento monograico senza il vincolo di una periodicità predeinita, giunge al terzo volume, che, come i
due che lo hanno preceduto, accoglie gli atti di una
giornata di studi (Luceria. Il sito archeologico dallo
scavo alla valorizzazione), che si svolse a Ciano d’Enza il 31 maggio del 2014.
Anche in questo caso la pubblicazione segue l’evento in tempi relativamente ristretti grazie alla collaborazione che hanno oferto sia gli Autori dei contributi scientiici sia i Colleghi dell’Uicio graico e
del Centro Stampa del Comune di Reggio Emilia.
Come i due volumi che l’hanno preceduta la nuova “Strenna” è dedicata ad un convegno promosso
dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, che aveva lo scopo di valorizzare
un’area archeologica del territorio reggiano, quella di
Luceria.
Il Museo di Reggio Emilia negli oltre 150 anni
della propria storia non ha mai mancato l’obbligo
istituzionale di proporre la propria centralità nella conoscenza, tutela e valorizzazione del patrimonio archeologico provinciale, per l’impostazione voluta dal
fondatore e poi mai tradita dai suoi successori. Queste
considerazioni valgono in modo speciale per il sito di
Luceria, caro a don Gaetano Chierici in dai giorni in
cui non esisteva ancora un Gabinetto di Antichità Patrie a Reggio Emilia, il cui primo manufatto regolarmente inventariato sarebbe stato proprio un oggetto
di ornamento rinvenuto nei pressi di Ciano d’Enza.
Il convegno è anche stato occasione per mettere a
fuoco il contesto territoriale e storico nel quale Luceria
si inserisce e ciò grazie al fatto che il Comune di Canossa è stato uno dei primi della provincia reggiana a dotarsi, nell’ambito del Piano Strutturale Comunale, della
Carta della Potenzialità Archeologica, per realizzare la
quale è stato necessario produrre una carta aggiornata.
VII
Strenna 1-2013
di Pagine d’Archeologia
Marco Edoardo Minoja
Soprintendente Archeologia dell’Emilia Romagna
L’apertura al pubblico dell’area archeologica di
Luceria ha rappresentato, per questa Soprintendenza,
il conseguimento di un nuovo e importante traguardo nell’ambito delle attività di tutela e valorizzazione
del patrimonio monumentale di questa straordinaria
e ricchissima regione. L’inaugurazione del sito conferma, inoltre, la realtà di una presenza archeologica
difusa all’interno del territorio regionale, segno della vocazione di questo comparto all’insediamento sin
dalla più alta antichità.
Un territorio da sempre strategico nelle dinamiche di occupazione e di transito, connotato da valli
luviali di grande importanza per le connessioni tra
le diverse regioni d’Italia e da fertili pianure adatte
all’occupazione stabile e in grado di garantire prosperità economica; un territorio che si caratterizza, oggi
come nell’antichità, proprio per la presenza capillare e
persistente di città, villaggi e nuclei insediativi.
Luceria fu uno di questi: dall’età repubblicana
sino alla tarda età imperiale essa costituì un presidio strategico allo sbocco della valle dell’Enza; una
valle che ricoprì nel tempo una funzione importante di collegamento tra la pianura del Po e i valichi
appenninici, che collegano il mondo padano con il
comparto tirrenico nelle sue varie accezioni e componenti.
VIII/
Gli scavi hanno restituito nel tempo una isionomia a questo luogo importante; scavi iniziati già
alla ine del Settecento, portati avanti, nel secolo
successivo, grazie alle imprese archeologiche di Gaetano Chierici, proseguiti negli anni a cavallo tra il
Novecento e il nuovo millennio a cura della Soprintendenza in collaborazione con l’Amministrazione e
le Associazioni locali, e oggi aperti al pubblico che
può inalmente appropriarsi di un nuovo importante
strumento di conoscenza e di contatto con le proprie
radici culturali.
Con quest’apertura e con la pubblicazione degli
Atti del convegno Luceria. Il sito archeologico dallo
scavo alla valorizzazione tenutosi in occasione dell’inaugurazione il 31 maggio del 2014, si compie dunque
non solo un percorso di conservazione e valorizzazione di un sito, ma anche un progetto di conoscenza
e di ricerca archeologica, con ampie e imprevedibili
potenzialità di sviluppo. Sono, queste, le tappe fondamentali che deiniscono il più corretto adempimento delle funzioni assegnate alla tutela del nostro
patrimonio culturale, assicurandone la salvaguardia
e destinandolo alla pubblica fruizione. Solo in questo
modo è possibile raggiungere quell’obbiettivo di crescita culturale che rappresenta uno dei principi fondamentali tutelati dalla stessa Carta Costituzionale.
Enzo Musi
Sindaco di Canossa
Luceria costituisce uno degli abitati di maggiore
interesse nella provincia di Reggio Emilia, rimasto in
vita, senza soluzione di continuità, dal II-I sec. a.C.
ino a circa il V sec. d.C. Il sito è importante sia per
la posizione occupata, corrispondente al punto in cui
il iume Enza raggiunge l’alta pianura, lungo un asse
di percorrenza strategico in dall’età protostorica, sia
perché ha restituito informazioni fondamentali soprattutto per quanto riguarda le dinamiche dell’insediamento antico in questo territorio.
Riscoperto in circostanze casuali alla ine del
XVIII sec., l’abitato fu indagato da Don Gaetano
Chierici fra il 1860 e il 1866, che riportò alla luce
tombe tardo repubblicane con arredi “ibridi”, che
rivelavano chiare persistenze culturali di ambito ligure.
Gli scavi più recenti, condotti tra il 1983 e il 2008
dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, in collaborazione col Comune di
Canossa, l’Associazione “Amici di Luceria” e con il
supporto della “Fondazione Manodori”, hanno invece portato alla luce resti signiicativi della fase romana, ancora perfettamente leggibili e oggi inalmente
resi fruibili per il grande pubblico.
Il Comune di Canossa attraverso un piano di
valorizzazione ha riqualiicato l’area, recintandola,
realizzando un percorso visitabile all’interno, con
passerella e apposita cartellonistica didattica di approfondimento ed ha realizzato un piccolo centro visita che ospita materiali promozionali del territorio.
Al ine di favorire la fruizione del sito, questo è stato
raccordato tramite apposite segnaletiche sia al percorso ciclopedonale lungo il Canale Ducale d’Enza,
sia alla strada provinciale.
L’inaugurazione dell’area archeologica di Luceria
ha costituito un’occasione importante per fare il punto sulle ricerche passate e recenti, relazionandole alle
ultime scoperte efettuate nel territorio e collocandole in una cornice di più ampio respiro scientiico.
Il sito è ora gestito dall’Associazione di Volontariato locale “Amici di Luceria” tramite una convenzione con il Comune ed è promosso con visite guidate
e attività didattiche nelle scuole svolte da archeologi
del Gruppo Archeologico Vea.
È intendimento dell’Amministrazione implementare la promozione turistica di Luceria, mettendola a sistema con l’area dei Castelli matildici e la Riserva Regionale della Rupe di Campotrera.
IX
Strenna 1-2013
di Pagine d’Archeologia
Gianni Borghi
Presidente Fondazione Manodori
Quando si giunge alla conclusione di un progetto
e si possono mettere i risultati a disposizione della
comunità è per la Fondazione Manodori motivo di
grande soddisfazione, soprattutto per avere contribuito alla crescita culturale e sociale del territorio.
Questo volume sul sito di Luceria costituisce, infatti, un moderno contributo, scientiicamente fondato, intorno ad una località abitata in età romana, di
cui si conoscevano soltanto sporadiche informazioni
uscite dagli scavi archeologici dei secoli passati. Le
ricerche e gli studi più recenti, documentati nel libro, rivelano per l’età antica una persistenza di vita e
un fervore economico nell’area gravitante sulla valle
dell’Enza la cui continuità attraverso i secoli conduce
ino a noi.
X/
Nel volgere dei secoli, il territorio che aveva visto
lo sviluppo dell’insediamento romano ha continuato
la sua funzione di snodo viario e di richiamo economico sociale. Luceria, come centro gravitazionale, è
stata sostituita in età cristiana dalla vicina pieve di
San Polo, costruita in parte con materiali di spoglio
provenienti dall’antico centro romano, e dal castello
di Canossa, destinato a un ruolo centrale nella politica europea dei secoli successivi.
Queste ricerche non incrementano soltanto le conoscenze storiche sul territorio reggiano, ma incrementano l’oferta di una nuova meta turistica, che ci
auguriamo possa avere nel tempo positive ricadute
economiche per la località e diventare laboratorio di
apprendimento per gli studenti e le nuove generazioni.
Marco Podini
Funzionario Soprintendenza Archeologia dell’Emilia Romagna
Francesco Garbasi
Archeologo, Presidente del Gruppo Archeologico Vea
L’inaugurazione dell’area archeologica ha costituito un’occasione importante per fare il punto sulle
ricerche passate e recenti, relazionandole alle ultime
scoperte efettuate nel territorio e collocandole in una
cornice di più ampio respiro scientiico. La giornata di
studi ha rapprsentato anche la sede più adatta per illustrare i passi compiuti e i criteri perseguiti nel fondamentale passaggio “dallo scavo alla valorizzazione” del
sito di Luceria, nonché un’occasione irrinunciabile per
interrogarsi sulle scelte da compiere, oggi e domani,
per la gestione e la promozione dell’area archeologica.
Il Convegno è stato articolato in due parti principali: la prima dedicata all’approfondimento degli interventi di ricerca svolti a Luceria da metà ottocento
sino ai giorni nostri; la seconda alle opere di consolidamento, restauro e valorizzazione dell’area, queste
ultime tutt’ora in ieri.
Questa struttura, arricchita da un articolo introduttivo dedicato all’analisi delle evidenze archeologi-
che del territorio, permette di avere una visione completa sulle problematiche e sulle potenzialità del sito.
Inine si è scelto, per mostrare possibili modalità di
gestione dell’area all’interno del contesto territoriale,
di aprire il convegno a operatori culturali e studiosi
che hanno saputo, in contesti diversi ma con problematiche socio-culturali aini, intraprendere percorsi
di valorizzazione eicaci che hanno portato giovamento nei rispettivi contesti d’intervento.
La pubblicazione degli Atti del Convegno permette la difusione delle conoscenze acquisite nel
corso di anni di ricerche e si qualiica come base aggiornata dalla quale partire per condurne nuove. L’effettiva opera di valorizzazione, ancora ai primi passi,
avrà il compito di implementare l’oferta culturale
del territorio e, anche grazie allo stimolante esempio
fornito da altre realtà, saperne cogliere le potenzialità, sviluppandone i legami con l’attuale contesto socio-economico.
XI
Introduzione
Elisabetta Cavazza / Marco Podini / Iames Tirabassi
La potenzialità archeologica
del territorio di Luceria
Elisabetta Cavazza
Architetto consulente Regione Emilia Romagna
Marco Podini
Funzionario Archeologo Soprintendenza Archeologia dell’Emilia Romagna
Iames Tirabassi
Già Funzionario Reti e Servizi Culturali dei Musei Civici di Reggio Emilia
Paesaggio, archeologia e pianificazione:
elementi introduttivi
Il Paesaggio, in quanto sistema complesso costituito da componenti diverse, variamente e reciprocamente relazionate, accoglie necessariamente modalità di lettura diferenziate a seconda dell'osservatore.
Il punto di vista dell'archeologo, ad esempio, non
può che essere di tipo analitico: la comprensione dei
siti e dei dati materiali restituiti dal territorio, come
delle modalità insediative del popolamento antico, si
fonda su metodi rigorosamente scientiici e aferenti a speciici ambiti disciplinari. Il pianiicatore, dal
canto suo, concepisce il paesaggio essenzialmente
come uno “spazio progettuale”, id est come “insieme”
che va sì compreso nella sua stratiicata complessità
storica, ma anche reinterpretato alla luce delle nuove
esigenze della comunità che lo popola. In un’ottica di
pianiicazione, dunque, il tema archeologico costituisce soltanto una delle numerose componenti di tale
complessità.
L’approvazione, nel giugno del 2010, del Piano
Territoriale di Coordinamento Provinciale (P.T.C.P.)
e delle relative norme di attuazione ha reso obbligatorio, per i Comuni della Provincia di Reggio Emilia,
la redazione della “Carta delle potenzialità archeologiche” quale strumento conoscitivo facente parte dei
Piani Strutturali Comunali (P.S.C.). In tale scenario,
il Comune di Canossa ha avviato nel 2014 la redazione della propria Carta, incaricando un gruppo di
lavoro interdisciplinare composto da Iames Tirabassi, archeologo, Elisabetta Cavazza, architetto, e Emanuele Porcu, esperto per gli aspetti informatici.
La nascita, lo sviluppo e il perfezionamento delle
carte di potenzialità costituisce, com’è noto, l’esito
di un dibattito avviato ormai più di vent'anni fa. Il
punto di partenza risiede nell’esigenza, fortemente
sentita anche da parte delle pubbliche amministrazioni, di includere il “fattore archeologico” già in
fase di progettazione, ainché il rinvenimento possa
rappresentare non più un avvenimento fortuito, ma
una componente integrante del progetto. Il processo
di elaborazione di tali strumenti per il territorio reggiano è iniziato da pochi anni e, sotto molti punti di
vista, è da considerarsi ancora in fase sperimentale.
Per tale ragione, le carte sinora prodotte e vigenti non
sono semplicemente “integrabili” a livello di quadro
conoscitivo, in funzione dei nuovi dati archeologici
eventualmente provenienti dal sottosuolo, ma perfezionabili anche in termini di impostazione e restituzione, in virtù degli esiti e delle ricadute che dimostreranno di avere sul territorio.
Un passo fondamentale, in tal senso, è stato recentemente compiuto grazie alla pubblicazione, da
parte della Regione Emilia-Romagna, delle “Linee
guida per l’elaborazione della Carta delle potenzialità
archeologiche del territorio”, redatte in collaborazione
con la Soprintendenza per i Beni archeologici dell’Emilia-Romagna. Queste costituiscono uno strumento
uiciale di indirizzo condiviso con la inalità di armonizzare le esigenze diversiicate e spesso contrastanti
della pianiicazione, da un lato, e della tutela archeologica, dall'altro. Da questo punto di vista, le Linee
guida rappresentano un passaggio ulteriore dalla teoria alla pratica, prevedendo l’elaborazione di ricadu-
3
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
te normative da inserire negli strumenti urbanistici,
nonché esplicitando l’applicazione procedurale.
Tornando alle considerazioni iniziali, il lavoro
di redazione delle carte di potenzialità sul territorio
reggiano sta dimostrando come i due sopramenzionati “approcci di lettura” – quello dell'archeologo e
quello del pianiicatore – possano trovare un punto di
incontro, integrandosi reciprocamente e producendo
strumenti nuovi e utili per la gestione del territorio
e il contenimento delle risorse, utilizzando lo studio
archeologico del territorio ai ini della pianiicazione
urbanistica. Una duplice natura di cui, in questa sede,
interessa soprattutto la componente di ricerca archeologica. Preme, in particolare, evidenziare come l'indagine efettuata sul territorio di Canossa abbia contribuito alla conoscenza del territorio, raccogliendo e
sistematizzando dati e documenti d'archivio in parte
inediti, nonché efettuando un'importante attività
di ricognizione, attività che hanno condotto anche
all'individuazione di nuovi siti.
La Carta delle potenzialità archeologiche di Canossa, dunque, non va intesa soltanto come strumento funzionale a una migliore gestione del territorio,
ma come presupposto di conoscenza e di valorizzazione culturale dello stesso. Questo tratto di val
d’Enza acquisisce così un valore ulteriore che si associa alle componenti paesaggistiche immediatamente
percepibili, ora maggiormente comprese nella loro
dimensione storico-archeologica. Il territorio può
rappresentare così un museo difuso, in continua
evoluzione, di cui i nuovi strumenti di pianiicazione
divengono espressione anche di una politica culturale condivisa a livello istituzionale. (E.C. e M.P.)
Riferimenti bibliografici
E. Cavazza (a c.), Linee guida per l'elaborazione della Carta delle potenzialità archeologiche del territorio, Bologna 2014.
C. Guarnieri (a c.), Progettare il passato. Faenza tra pianiicazione urbana e Carta Archeologica, Firenze 2000.
M. Podini (a c.), Tutela archeologica e progresso: un accordo possibile, Atti del convegno del 19 maggio 2012, Reggio
Emilia 2013.
Caratteri del sistema insediativo nelle diverse
fasi di antropizzazione del territorio di Canossa
Il lavoro per redigere la carta delle evidenze storico-archeologiche e quella di potenzialità del Comune
di Canossa ha attraversato diverse tappe. In primo
luogo, è stato necessario raccogliere i dati archeo-
4/
logici editi e inediti relativi alla ricerca scientiica,
svoltasi, per questo territorio, nel corso di tre secoli, a partire dal ’700 ad oggi. Purtroppo, una parte
signiicativa dei dati non era suicientemente circostanziata e, solo in certi casi, la ricerca d’archivio ha
consentito di puntualizzare il luogo di rinvenimento
o di deinirne meglio le caratteristiche. Paradossalmente, ciò è stato più facile con i dati antichi che con
quelli recenti poiché, per questi ultimi, a volte, si disponeva solo di una segnalazione areale generica o di
una coppia di coordinate, risultate poi palesemente
errate. La schedatura dei siti e delle segnalazioni è avvenuta mediante una metodologia ormai consolidata
e messa in atto inizialmente per redigere il P.T.C.P.,
quindi continuamente perfezionata attraverso i
P.S.C. di Campegine, Castelnovo ne’ Monti, Bagnolo,
Bibbiano, per arrivare a quello attuale di Canossa.
La schedatura dei siti, volutamente schematica,
identiica le principali caratteristiche geo-morfologiche del luogo, le condizioni strutturali e conservative, la profondità di giacitura, ecc. e ne fornisce
una cronologia relativa e una bibliograia essenziale.
Nelle “schede di sito” troviamo tutti i rinvenimenti
che rappresentano emergenze di cui è stato possibile accertare l’ubicazione e l’estensione presumibile,
mentre in quelle “di segnalazione” si collocano tutte
le emergenze, mal documentate e/o solo approssimativamente o diicilmente ubicabili, oltre che i reperti
e i manufatti archeologici sporadici.
Una volta conclusa questa raccolta di dati, si è passati a cartografarli. Contemporaneamente sono state
efettuate delle ricerche di supericie nelle aree che
apparentemente sembravano più vocate all’insediamento o che rappresentavano zone con rinvenimenti
mal documentati. L’insieme di questi dati ha consentito di produrre una carta archeologica convenzionale
del noto, parzialmente integrata, in più punti, da una
ricerca sistematica di supericie che documenta anche
le aree prive di stanziamenti umani aioranti.
Questa carta che rappresenta la base di studio
dell’antropizzazione del territorio è stata impiegata
in seguito per ipotizzare la potenzialità delle varie
formazioni geologico-morfologiche. Ha però anche
consentito di formulare una piccola sintesi storico-archeologica del territorio che riassumiamo rapidamente qui di seguito.
Dal Paleolitico al Mesolitico
Il territorio del Comune di Canossa comprende
una delle poche paleosuperici di età pleistocenica
dell’Appennino Reggiano, la quale risulta essere anche
Cavazza / Podini / Tirabassi
La potenzialità archeologica del territorio di Luceria
quella più estesa: Selvapiana. Proprio su di essa sono
state rinvenute, in momenti diversi e in più punti, le
tracce della frequentazione umana. A Ca’ La Selva e
Selvapiana, a Case Predella e a Case Predella est, a partire dagli anni ’70 del secolo scorso e ino ad oggi, sono
stati raccolti diversi manufatti litici (ig. 1a,b) che,
dopo lo studio scientiico delle industrie del Ghiardo,
sappiamo di poter attribuire al Paleolitico Medio di
tipologia musteriana. I reperti non sono molti, ma si
trovano in giacitura primaria e pertanto abbandonati
lì dove oggi li ritroviamo. Essi riaiorano alla supericie dei campi in seguito ad arature profonde che intaccano i depositi loessici al cui interno sono rimasti
Fig. 2. Manufatti in pietra di età paleolitica da Rossena.
sono stati rinvenuti tre manufatti (ig. 2) apparentemente coevi a quelli di Selvapiana.
Inine va messo l’accento sul vasto terrazzo posto
a valle di Ciano d’Enza, quello cioè che conserva i resti dell’antica Luceria. Probabilmente su questo terrazzo sono stati raccolti due manufatti che vengono
detti paleolitici, ma che il segnalatore non documenta con disegni o foto. Purtroppo, trattandosi di determinazioni fatte da membri della Società Reggiana
d’Archeologia, un’associazione di appassionati locali,
l’attribuzione, senza vedere i reperti, resta ipotetica.
Certo è che questo terrazzo, che anche la carta geologica deinisce pleistocenico, risulta frequentato in età
paleolitica dato che poco più a valle, in località Fontaneto, il Chierici, nell’Ottocento, segnalò un sito di tale
età. Come capita nei ben più estesi e studiati terrazzi
pleistocenici dell’alta pianura, anche qui dal Paleolitico Medio in poi ci sono state frequentazioni saltuarie
che hanno lasciato le loro tracce in vari punti.
Fra i reperti neo-eneolitici raccolti verso il margine del terrazzo, all’altezza di Luceria, dalla Società
Reggiana d’Archeologia in più riprese è presente anche un piccolo nucleo in selce a lamelle che potrebbe
risalire al mesolitico, così come a tale età sono forse
da riferire due-tre schegge fra quelle rinvenute.
Fig. 1. Manufatti in pietra di età paleolitica da Ca’ La Selva (a),
Selvapiana (b) e Albareto (c).
conservati per circa 60.000 anni. Lembi di paleosuperici simili sono segnalate sulla carta geologica anche a
Trinità e ad Albareto, ma è solo in quest’ultima località
che un ennesimo manufatto paleolitico fu rinvenuto
nell’ultimo quarto del secolo scorso (ig. 1c).
Un modestissimo lembo di paleosupericie analoga sembrerebbe poi essere conservata a nord della
rupe oiolitica di Rossena, dove su un piccolo pianoro
Neolitico ed età del Rame
Come ben sappiamo in età neolitica l’insediamento nella montagna è del tutto eccezionale, fatte
salve alcune piccole aree pianeggianti che consentivano la semina dei cereali. Diversamente si tratta di
frequentazioni occasionali volte a reperire materiali
non presenti nei territori di pianura (prevalentemente rocce, minerali e fossili) o per integrare la dieta di
pianura con carne derivante dalla caccia degli animali di montagna. È pertanto naturale che fuori da
alcune modeste paleosuperici troviamo solo reperti
5
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 3. Accetta da parata in pietra verde.
singoli, prevalentemente accettine in pietra e cuspidi
di freccia. Tali reperti risultano nel territorio di Canossa piuttosto numerosi se rapportati ad altre realtà
dell’Appennino reggiano, forse perché proprio fra S.
Polo e Canossa la valle dell’Enza sfocia in pianura
allargandosi a ventaglio e fungendo così da invito
alla penetrazione della montagna. Purtroppo le accettine, segnalate dai vari rinvenitori, non sono oggi
rintracciabili fra le raccolte museali e pertanto non
deinibili crono-tipologicamente, ma probabilmente
alcune sono dell’età del Rame (ad esempio quella in
diabase). Eccezionale è quella da parata rinvenuta nel
1910 durante i lavori per la costruzione della ferrovia
RE-Ciano (ig. 3): purtroppo non conosciamo il luogo preciso in cui fu rinvenuta.
Tre sole aree pianeggianti, la cima del Monte
Tesa, il terrazzo luviale posto a valle di Ciano d’Enza
e, in tono minore, Selvapiana sembrano aver rappresentato un territorio in cui gli uomini del Neolitico
possono aver vissuto per un certo tempo. Purtroppo la prima di queste aree è soggetta a dilavamenti
e colluvi che hanno rispettivamente asportato e sepolto le eventuali strutture preistoriche, per cui su di
essa sono stati raccolti solo sporadici manufatti. La
seconda e la terza, rappresentando alti morfologici,
6/
hanno subito sia il dilavamento naturale che le ingiurie dell’agricoltura moderna: anche in queste sono
state rinvenute solo alcune selci.
Rispetto all’età neolitica, quella del Rame dovrebbe aver lasciato maggiori tracce dato che sappiamo
come la montagna in questo periodo fosse piuttosto
frequentata. Prova ne siano le peregrinazioni dell’uomo del Similaun sulle vette delle Alpi, la citata presenza di una necropoli simile a quella di Remedello
Sotto (BS) a Cerreto Alpi (notizia d’archivio ottocentesca di G. Bandieri), le statue stele della Lunigiana e
del Trentino, le valli con incisioni rupestri della Val
Camonica, Valtellina, Valle delle Meraviglie.
Purtroppo, come molti dei siti presenti in montagna, anche quelli dell’età del Rame, anzi ancor più
degli altri, dato che si tratta di strutture modeste sia
per estensione che per tecniche costruttive, sono dificili da individuare. Al momento quindi nel territorio di Canossa non vi è nessun sito vero e proprio che
abbia restituito tracce di abitazioni o di sepolture sia
di età neolitica sia dell’età del Rame.
Età del Bronzo
A partire dalla media età del Bronzo anche in
collina e in montagna si difonde la cultura terrama-
Cavazza / Podini / Tirabassi
La potenzialità archeologica del territorio di Luceria
Fig. 4. Manufatti ceramici dell’età del Bronzo da Rossena.
ricola che dalla pianura, dove ha realizzato le prime
terramare, si estende ino alle cime della media montagna, ma, a causa delle intemperie invernali, non oltre i 1000 m. di altitudine.
Nel territorio di Canossa diverse sono le cime
idonee ad accogliere i siti dell’Età del Bronzo che necessitano di difese. Come ben sappiamo la ricerca di
rocche naturali su cui impiantare i villaggi è particolarmente sentita a partire dalla ine del Bronzo Medio e per tutto il Bronzo Recente e Finale. Sedi privilegiate sono ovviamente i massicci oiolitici, le rupi
calcaree e le cime più svettanti. Purtroppo tali emergenze geologiche sono state in seguito sede di castelli
medievali e pertanto i siti più antichi sono stati distrutti per ediicare i grandi manieri. Nonostante ciò,
attorno a questi castelli, lungo le pendici dei relativi monti che li ospitano, ad un occhio attento non
sfuggono reperti protostorici caduti dalla cima lungo
quelle che Leonardo De Marchi ha deinito, appunto,
“linee di caduta”. Ovviamente il materiale può essere
precipitato verso il basso sia durante la vita del sito
protostorico sia durante gli interventi edilizi successivi. Fatto sta che attorno ai famosi castelli di Rossena e di Canossa (ig. 4) (in quest’ultimo caso anche
alla sommità, come hanno dimostrato recenti scavi),
ma ancor più lungo le pendici di quello di Ceredolo
(ig. 5), sono stati raccolti numerosi frammenti ceramici della media e recente Età del Bronzo.
Il solo sito non distrutto da interventi antropici
successivi è quello che sta sul Monte di Faieto e che è
stato oggetto di scavo, prima d’emergenza e poi scientiico, fra 1997 e 2000. Tale sito si sviluppò sia sulla
cima del rilievo che sui ianchi del monte dove sono
stati individuati due terrazzamenti adibiti a quartieri
abitativi. Il più basso dei due è stato esplorato quasi
completamente e a tutt’oggi risulta una delle migliori documentazioni relative ad abitati di montagna
dell’età del Bronzo (ig. 6-8). Su questo terrazzo realizzato artiicialmente, la cui parete a monte venne
protetta con un muretto a secco, gli abitanti protostorici realizzarono una ampia fossa trasversale aperta
verso valle in modo da drenare la struttura. Sopra ad
essa fu probabilmente collocato un impiantito ligneo
sorretto anche da pali. Tale impiantito rappresentò il pavimento di una capanna. Una volta decaduta l’abitazione, l’area fu livellata e fu probabilmente
ricostruita una nuova abitazione, questa volta non
sollevata da terra. In ogni caso lo scavo ha evidenziato tre successivi momenti insediativi compresi fra
il Bronzo Medio tardo (l’impianto della capanna) e
7
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 5. Manufatti ceramici dell’età del Bronzo da Ceredolo.
8/
Cavazza / Podini / Tirabassi
La potenzialità archeologica del territorio di Luceria
Fig. 6. Faieto – Il terrazzino artificiale in corso di scavo.
Fig. 7. Faieto – I resti della capanna in corso di scavo.
9
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 8. Faieto – Planimetria delle strutture
il Bronzo Recente evoluto (l’abbandono del terrazzo)
(ig. 9). Nel corso degli scavi furono eseguiti diversi
carotaggi anche sul contiguo Monte Pulce, più ampio e più elevato del Monte di Faieto, ma senza esiti.
Anche le ripetute prospezioni su Monte Tesa, un rilievo di grande valenza strategica, ino ad oggi non
hanno consentito di individuare alcun sito dell’Età
del Bronzo. Certo è che nonostante la vicinanza con
Servirola (S.Polo), abitato terramaricolo attivo fra
Bronzo Medio pieno e Bronzo Finale, su tutto il territorio di Canossa non è aiorato alcun reperto del
Bronzo Finale.
Età del Ferro
Per questa età si rimanda ai contributi di Daniela
Locatelli e Luigi Malnati in questo volume e alla relativa bibliograia. Qui si puntualizzano solo alcune
situazioni interne al Comune di Canossa.
I siti dell’età del Ferro anteriori alla riconquista
ligure del territorio etruscizzato sono solamente tre,
ma di rilevante importanza. Innanzitutto abbiamo
le tracce individuate occasionalmente nel 1978 a Luceria in un’area del pianoro che non fu mai esplorata scientiicamente. Pur essendo i materiali raccolti
poca cosa, a causa delle condizioni precarie dell’intervento di recupero, essi evidenziano un’occupazione precoce, fra VI e V sec. a.C., di quello che sarà
in seguito l’agglomerato urbano di età romana. Il secondo sito è Monte Tesa, collocato nel punto più alto
di un aniteatro naturale che si afaccia sulla sottostante pianura controllandola visivamente per decine
di chilometri. Questo sito, già noto al Chierici come
Monte Atesio, ha restituito parecchi reperti ceramici
databili al VI-V sec. a.C. (ig. 10), ma, non essendovi mai stato eseguito neppure un piccolo sondaggio,
non siamo in grado di deinirne la valenza. Certa-
10/
mente si tratta di un punto di grande importanza
strategica e forse anche cultuale. Si tenga conto dei
signiicativi rinvenimenti di Età romana (vedi paragrafo successivo), della presenza di un’edicola votiva
dedicata a S. Maria e di un punto geodetico nazionale. Il terzo sito di una discreta importanza, vista la
quantità di reperti raccolti esclusivamente sulle già
citate linee di caduta, è il Castello di Rossena, il solo
dei tre che, oltre ai materiali etruschi, ne ha restituito
di signiicativi di cultura ligure preromana (ig. 11).
Purtroppo la documentazione di questa età, come di
quella del Bronzo, è stata spazzata via dagli ediicatori del castello.
Più vicine all’Enza troviamo invece le testimonianze liguri di età recente, cioè quelle che si riferiscono ad un Appennino in fase di romanizzazione.
Innanzitutto le 11 tombe a cassetta di cremati trovate a sud di Luceria in località Conchello (ig. 12).
Poi le due tombe andate disperse, di Currada, a poche decine di metri dal torrente, e di Selvapiana di
cui non conosciamo l’ubicazione precisa. Purtroppo
essendo state rinvenute in un periodo piuttosto buio
della ricerca archeologica nel Reggiano, quello che
ha coinciso con la direzione dei Musei Civici di Reggio Emilia da parte di Naborre Campanini, abbiamo
solo dati generici e incerti.
Età romana
Anche per l’età romana e in particolare per Luceria si rimanda al contributo di Enzo Lippolis in questo volume e alla relativa bibliograia. Luceria è l’esito
ultimo di una viabilità già presente nel VI-V sec. a.C.,
ma addirittura probabilmente già attiva come “pista”
nell’età del Bronzo. Lontano da questa via i siti sono
piuttosto rari e comunque collocati solo laddove sia
possibile coltivare della terra. Era pertanto atteso
Cavazza / Podini / Tirabassi
La potenzialità archeologica del territorio di Luceria
Fig. 9. Faieto – manufatti ceramici dell’età del Bronzo.
11
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 10. Ceramiche etrusco-padane da Monte Tesa.
di trovare abitazioni di una certa entità solo in aree
pianeggianti e così è stato. Sul pianoro di Selvapiana,
oltre a meglio deinire il ritrovamento di Case Predella risalente agli anni ’80 del secolo scorso, è stato
possibile intercettarne uno nuovo in località Case
Chiapponi sud-est. Nel primo caso sembra trattarsi
di una domus piuttosto ampia per la montagna, oltre tutto nella sua periferia N-E erano attive almeno
due fornaci, mentre nel secondo le dimensioni e la
consistenza dell’ediicio, di cui sono rimasti i ruderi,
sembrano ben più modesti, ma si tenga conto che il
sito è stato visto arato per meno di un terzo e che in
questo punto il terreno è meno stabile.
Una terza costruzione, come anticipato nel paragrafo dedicato all’età del Ferro, è ubicata sulla cima
di Monte Tesa e in fregio al sito etrusco. Si tratta di
12/
ceramiche e laterizi che non bastano a ipotizzare la
funzione di un ediicio di età romana in un’area che
è, sì, coltivabile, ma soprattutto strategica. Qui in
anni recenti, sono state rinvenute numerose monete
di età romana. Tale fenomeno, insolito già in pianura, è rarissimo in montagna e generalmente connesso
alla presenza di tesoretti o di aree sacre (vedi Ponte
d’Ercole nella montagna modenese). Va inine segnalato un piccolo sito posto a mezzacosta della sponda destra del torrente Enza in località Corte dei Re a
Compiano.
Altre testimonianze di età romana sono andate
distrutte oppure non sono controllabili perché coltivate a prato stabile (Borzano Centro).
Abbiamo invece testimonianze di età romana
sul terrazzo luviale che ospita il vico di Luceria. Una
Cavazza / Podini / Tirabassi
La potenzialità archeologica del territorio di Luceria
Fig. 11. Ceramiche etrusco-padane e liguri da Rossena.
piccola necropoli di una decina di tombe, rinvenute
nel 1909, ma andate distrutte a causa dei lavori per
la costruzione della ferrovia RE-Ciano, tombe che
qualcuno vuol vedere come pertinenti alla vera necropoli di Luceria, e un oggetto sporadico di bronzo
(una ibula) trovato a Taverna.
Insomma nel territorio di Canossa, oltre a Luceria, abbiamo complessivamente solo 4 siti e 5 segnalazioni, ma di questi solo tre hanno caratteristiche
che consentono di considerarli sede di domus o di
costruzioni di una certa consistenza. In ogni caso
su nessuno di essi sono state condotte indagini di
scavo.
Età medievale e post-medievale
L’età medievale, nonostante l’importanza del vico
romano di Luceria, è il momento storico più signiicativo per il territorio di Canossa e di tutta la mon-
13
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 12a. Planimetria fatta realizzare dal Chierici con evidenziata l’ubicazione della necropoli del Conchello.
14/
Cavazza / Podini / Tirabassi
La potenzialità archeologica del territorio di Luceria
Figg. 12b, c. Due delle tombe ad incinerazione esplorate al Conchello.
Fig. 13a. La rupe ofiolitica di Pietra Nera.
15
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 13b. Resti murari sulla cima della rupe di Pietra Nera.
16/
Cavazza / Podini / Tirabassi
La potenzialità archeologica del territorio di Luceria
Fig. 14. Conci d’arenaria presenti sul cocuzzolo che ospitò il castello di Borzano di Vetto (Comune di Canossa)
tagna reggiana. Qui infatti si sono svolti molti degli
eventi più importanti della vita e delle gesta di Matilde di Canossa. Purtroppo proprio per questo Canossa e Rossena, con l’adiacente torre di Rossenella,
hanno eclissato la rimanente storia medievale di questo territorio. Ora invece possiamo dire che, grazie a
segnalazioni e a sopralluoghi mirati, siamo riusciti a
individuare diverse altre emergenze, anche se purtroppo non hanno lasciato grandi tracce. Rappresentano soltanto un punto di partenza nell’afrontare il
tema dell’incastellamento minore in questo territorio
e spronano a veriicare l’efettiva consistenza di tali
ruderi. Trattandosi di ediici quasi completamente
scomparsi perché prima distrutti da eventi bellici e
poi probabilmente spoliati per recuperare materiale
edile da riciclare, non sarà facile riportare in luce planimetrie signiicative. Serviranno comunque studi e
lunghe e diicoltose ricerche d’archivio per ridare ad
essi dignità storica. La loro storia infatti è al momento
spesso avvolta nella nebbia, tant’è che i numerosi ricercatori locali raramente citano tali castelli. Infatti,
se del castello di Ceredolo un fugace cenno viene fatto, del Castrum Praedae di Pietra Nera (ig. 13a,b) si
ha notizia dalle ricerche archivistiche di Don Efrem
Giovanelli sul passaggio dell’omonimo feudo dai
Della Palude ai Pepoli di Bologna, invece del castello di Borzano (ig. 14) nessuno fornisce notizie storiche. Gli storici locali poi danno notizie del castello
di Roncaglio, i cui ruderi dovrebbero essere inglobati
nella chiesa di S. Michele, santo caro ai Longobardi
che giustiicherebbe una tale dedicazione a un ediicio
ben più antico di quello che oggi vediamo. I sopralluoghi efettuati non hanno però permesso di individuare nessun paramento murario inglobato nell’ediicio ecclesiastico o presente ai suoi margini.
Reperti che sembrano essere anteriori al XIII
secolo sono invece stati raccolti in più occasioni nei
pressi della chiesa di Monchio delle Olle e, guarda
caso, si tratta proprio di frammenti di olle con smagranti calcitici.
È stata anche segnalata una sospetta presenza di
pietre sul Monte Cavaliere collocato fra Albareto e
17
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 15. Planimetria fatta realizzare dal Chierici con evidenziata l’ubicazione della necropoli di Case Coppellini.
Vedriano. Nella Carta topograica del Ducato di Modena (detta Carta Carandini), 1821-1828, è riportato
il toponimo M. te Castello Cavallieri, mentre in altre
cartograie tra XVI e XIX sec. si riporta C. Cavaliero
o M. Castel Cavagliere. I sopralluoghi eseguiti hanno
consentito di appurare che il monte sulla cima è per-
18/
fettamente pianeggiante, ma non sappiamo se ciò sia
frutto di livellamenti. Purtroppo tale campo è coltivato
a prato stabile, ma un sentiero che lo attraversa diametralmente mettendo a nudo i depositi sottostanti non
ha rivelato presenze antropiche. Sui versanti sono sì
presenti dei massi, ma sono frutto di erosione selettiva.
Cavazza / Podini / Tirabassi
La potenzialità archeologica del territorio di Luceria
Fig. 16. L’edificio Novecentesco di Villa Marconi.
Signiicativa e di grande interesse storico è poi la
piccola necropoli a rito misto (1 incinerato, 5 inumati) di Case Coppellini (ig. 15) che, grazie alla presenza di una “ibbia dal dente adunco”, sembra essere di
età alto medievale e sembra continuare la tradizione
romana, se, come dice il Chierici, le tombe stavano a
fregio della strada che usciva da Luceria e attraversava
Vico. Inoltre di età post-medievale abbiamo un ritrovamento sporadico ai piedi del Castello di Canossa.
Inine, va segnalata la presenza, nel Catasto d’impianto del 1889, della garetta, ovvero di una garitta,
cioè una torre di guardia, che in passato controllava
il conine fra il Ducato di Parma e quello di Modena,
presso l’attuale Villa Marconi, a sud del castello di
Canossa. L’originario ediicio, di cui non è nota l’epoca di costruzione, è stato probabilmente distrutto
quando venne spostata la sede stradale e ricostruito
nel giardino di pertinenza della villa nei primi decenni del secolo scorso. È verosimile, stando alle testimonianze degli eredi, che con le pietre recuperate
dalla garitta, sia stato ediicato un into rudere di tor-
re che abbiamo esaminato con apposito sopralluogo
(ig. 16).
Caratteristiche delle formazioni e dei
contesti territoriali a differente potenzialità
archeologica
La carta delle potenzialità archeologiche costituisce uno strumento di recente adozione e perciò in
continuo divenire. Si tratta di uno studio che tenta
di predire la potenzialità archeologica di un comprensorio amministrativo ben deinito. Ha quindi
caratteristiche di empiricità sufragate per quanto
possibile da dati di tipo geologico e geo-morfologico corroborati dai ritrovamenti archeologici sin qui
efettuati. È una tematica piuttosto complessa e diicile da afrontare già in pianura, dove, se non altro, le
formazioni sono tutte di tipo alluvionale, e pertanto
ancor più diicile in montagna, dove, invece, a seconda della latitudine, compaiono depositi geologici
caratterizzati da diversa petrograia, sedimentologia,
deposizione, erosione, accumulo supericiale, ecc.
19
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
L’esperienza accumulata con la stesura della carta
di potenzialità del Comune di Castelnovo ne’ Monti,
la prima di ambiente montano realizzata in regione e
irta di diicoltà, ha agevolato in modo signiicativo
l'elaborazione di quella di Canossa.
Il primo passo consiste nell'individuazione di
unità geologiche analoghe per litologia prevalente
e pertanto quelle costituite da argilla, arenaria, calcare, rocce eruttive, ecc.; quindi, in base alla giacitura degli strati, è necessario valutare la stabilità dei
versanti e la capacità di resistenza all’erosione. Occorre, inoltre, identiicare le coperture sedimentarie
sia antiche che recenti, i corpi di frana e i detriti di
falda, gli eventuali relitti di origine glaciale e, più in
generale, le caratteristiche morfologiche di supericie. Da ultimo, ma con particolare signiicanza, la
pendenza dei versanti. È infatti evidente che, anche
laddove il substrato geologico non è particolarmente
vocato all’insediamento a causa della scarsa stabilità
del substrato, la naturale disposizione pianeggiante
dell’area ha favorito l’insediamento umano. Ciò ha
fatto sì che per convenzione abbiamo scelto come discriminante fra le aree pianeggianti e quelle pendenti
un’inclinazione che non supera il 10%.
Trasformati informaticamente tutti questi dati e
sovrapposti ad essi quelli archeologici, è stato possibile elaborare una carta che evidenzia aree con condizioni relativamente omogenee che si caratterizzano
per una più o meno spiccata potenzialità archeologica. Qui di seguito, sono descritte le diverse formazioni e le caratteristiche di ognuna di esse.
Formazioni del substrato e fondovalli
alluvionali
Formazioni maggiormente stabili (arenarie, marne
e sedimenti stabilizzati)
Questa formazione comprende una potente successione di rocce sedimentarie di origine marina costituita
dalle Formazioni di Ranzano, Cigarello, Contignaco,
Pantano, Loiano, Petrignacola e dalle Marne di Monte
Piano e di Antognola. L’età è compresa fra l’Eocene medio-superiore e il Miocene medio (fra 40 e 10 milioni
di anni). Fra di esse sono state individuate quelle più
compatte e cioè costituite da arenarie e marne.
Si tratta di tutti quei depositi sedimentari marini
che la pedogenesi ha trasformato in rocce più (arenarie e calcareniti) o meno (marne) compatte. Tali rocce sono ben documentate nel territorio di Canossa
anche se relegate nel solo settore orientale. Su di esse
l’insediamento umano dovrebbe essere più frequente
perché garantito dal persistere di condizioni di stabi-
20/
lità, dovute sia alla loro compattezza che alla scarsa
erodibilità. Nel territorio canossano, a diferenza di
altre aree dell’Appennino reggiano, la loro morfologia è però solo raramente pianeggiante perché l’erosione ha prodotto in esse numerose valli separate da
stretti crinali diicilmente insediabili. Ciò non toglie
che possano esistere ripari sotto roccia o nicchie abitate che solo minuziose e lunghe ricognizioni potrebbero mettere in luce. Simili, per stabilità, sono state
considerate le aree detritiche stabilizzate che troviamo attorno alla Paleosupericie di Selvapiana e quelle
interconnesse alla formazione oiolitica di Campotrera-Rossena-Rossenella.
Nel Reggiano questa formazione ospita la stragrande maggioranza dei siti archeologici più antichi e signiicativi della montagna: quelli dell’età del
Bronzo e dell’età del Ferro. Il Comune di Canossa
non fa eccezione, ma poche sono le aree idonee all’insediamento (Monte Tesa e Faieto).
Formazioni relativamente stabili (flysch o torbiditi)
Questa formazione di età Cretacica (fra 75 e 65 milioni di anni) è costituita da rocce che potrebbero essere relativamente stabili (lysch di M. Caio e M. Cassio, arenarie di Ponte Bratica, conglomerati dei Salti
del Diavolo, formazione delle Marne Rosate di Tizzano), ma a causa della loro origine (depositi di fondo
marino prodottisi in conseguenza del collasso di una
scarpata continentale) i sedimenti si sono depositati in
sequenze alternate di strati duri e ben cementati (calcareo-marnosi) e da strati teneri e facilmente erodibili
(arenaceo-argillosi), fenomeno che ne compromette la stabilità. Inoltre gli strati, poiché scivolati sulle
argille durante l’orogenesi appenninica, sono spesso
stati deformati e inclinati in vario modo. Ciò fa sì che
laddove il lysch si presenta pseudo-orizzontale il suo
substrato si possa considerare stabile quanto quello
delle arenarie-marne, mentre dove è inclinato tale stabilità varia in funzione del grado di inclinazione: debole se gli strati sono inclinati a “franapoggio”, buona
se a “reggipoggio”. Nei casi più esasperati gli strati si
presentano addirittura completamente verticalizzati
come è possibile constatare appena fuori dal nostro
territorio, in Comune di Casina (Muri del Diavolo nel
bacino del Crostolo). Solo la puntuale ricognizione degli aioramenti di lysch, con accertamenti sul grado
di inclinazione degli strati e sul tipo di giacitura degli
stessi può consentire di deinire con precisione la potenzialità archeologica di ciascuno degli aioramenti
presenti sul territorio. Di certo possiamo dire che nel
territorio canossano tale formazione proprio a causa
Cavazza / Podini / Tirabassi
La potenzialità archeologica del territorio di Luceria
della giacitura è particolarmente instabile e laddove,
come sulla sponda destra del torrente Enza, all’altezza
di Monchio delle Olle, sembra più stabile, le pendici
dei rilievi sono molto verticali per cui poche restano
le aree favorevoli all’insediamento.
Formazioni stabili ma dilavate (rocce vulcaniche)
Tali rocce, presenti in scarsa misura nel territorio
reggiano raggiungono l’apice nel territorio canossano. Esse sono prevalentemente costituite da basalti,
ma troviamo anche serpentini, gabbri e brecce, tutti risultanti da eruzioni sottomarine veriicatesi sui
fondali dell’antica Tetide circa 150 milioni di anni
fa e poi dislocati durante la collisione fra la placca
africana e quella europea. Proprio a Campotrera è
poi presente un lembo granitico strappato dalla lava
basaltica mentre fuorusciva dal mantello terrestre.
Anche queste rocce, come i lysch, sono state trasportate scivolando assieme alle argille dalle quali oggi
sporgono grazie all’erosione selettiva prodotta dagli
agenti atmosferici. Sono rocce di grande compattezza
anche se sensibili agli sbalzi termici che ne disgregano lentamente la supericie. Questi “monoliti” che
spiccano nel paesaggio, come dimostrato da numerosi studi specialistici, sono stati luoghi ambiti sin
dalla preistoria perché costituiscono punti arroccati
facilmente difendibili.
Nel territorio di Canossa esiste l’eccezionale esempio di Rossena, che grazie alla sua cospicua
estensione risulta abitata dal Paleolitico Medio ad
oggi, non solo sulla formazione vulcanica, ma anche
sugli antichi colluvi e sulle frane assestate da millenni, mentre in tutti gli altri casi la supericie sommitale è piuttosto modesta e pertanto poco adatta
all’insediamento. Inoltre tale caratteristica fa sì che
eventuali piccoli siti siano stati fortemente erosi e dilavati nel corso dei millenni, tant’è che i sopralluoghi
efettuati a tutt’oggi, fatto salvo il Castrum Praedae,
a Pietra Nera, non hanno dato alcun esito positivo.
Formazioni fortemente dilavabili e instabili (depositi
argillosi ed aree soggette a frane attive)
In questa formazione sono accorpati sia i depositi
argillosi, sia tutte le aree soggette a frane attive, indipendentemente dalla litologia sottostante.
Un tempo deinite complessivamente “argille
scagliose” oggi sono state distinte in numerose formazioni di età diferenti (dal Cretacico inferiore, 125
milioni di anni, al Pliocene inale, 2 milioni di anni)
e comunque raggruppate in un insieme deinito “argille caoticizzate” poiché tutte sono caratterizzate
dall’assenza di stratiicazioni dovuta alle deformazioni subite durante e dopo la deposizione oppure
a frane sottomarine (olistostromi). Tali depositi di
fondale marino nel territorio di Canossa sono prevalentemente costituiti da argille depositatesi sul fondo
dell’antica Tetide e qui dislocate dai sollevamenti della catena appenninica durante l’orogenesi.
Su tale formazione, soprattutto laddove l’inclinazione sia accentuata o dove la falda freatica non sia ben
drenata, sono frequenti le frane e ancor più i calanchi,
ma anche dove i versanti sono più tendenti all’orizzontale i suoli presentano il fenomeno del colluvio,
un lento e modesto movimento verso valle. Ciò fa sì
che questi depositi poco si prestino all’insediamento umano e ancor meno siano idonei alla conservazione delle loro eventuali tracce. Questo non esclude
che sulle argille ci siano siti archeologici, ma, quando
presenti, essi si trovano nelle aree più pianeggianti e
mostrano sovente i danni del degrado naturale.
Ai ini della potenzialità archeologica sono state
assimilate ai depositi argillosi tutte le aree soggette
a frane attive, un fenomeno ben noto e frequente,
soprattutto laddove esistono terreni poco coerenti
come le argille, ma anche sulle altre rocce quando
la loro stratiicazione sia a “franapoggio” o i versanti abbiano pendenze eccessive. Nelle aree soggette a
frane gli eventuali siti archeologici hanno subito certamente ingenti danni poiché dalla nicchia di distacco della frana al sottostante fronte d’accumulo tutto
ciò che è presente sul suo corpo in movimento è stato
abbondantemente dislocato e sconvolto.
In tutto il Comune di Canossa rarissime sono le
attestazioni di siti su questa formazione e quasi tutte frutto di segnalazioni dubbie o topograicamente
non precisabili con esattezza.
Fondovalle alluvionali tardo-olocenici in evoluzione
Sono tutte quelle aree pianeggianti o lievemente terrazzate che caratterizzano il fondo delle valli,
comprensive delle conoidi torrentizie. Nel Comune
di Canossa, estese soprattutto lungo il corso dell’Enza, sono esclusivamente di origine tardo olocenica
e pertanto posteriori all’evo antico. Da ciò si ricava
che su di esse non possono esservi siti archeologici
pre-protostorici, ma neppure di Età romana.
Contesti maggiormente vocati
all'insediamento antico e medievale
Terrazzo Luceria-Ciano
Il solo terrazzo luviale di età pleistocenica è
quello che si è formato nel letto dell’Enza fra Carbo-
21
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
nizzo e Rio Luceria, estendendosi però anche a valle
di questo corso d’acqua, in oltre S. Polo.
La sua altezza rispetto all’attuale letto del iume
(circa 25 m.), la sua composizione pedologica e la
presenza di materiali preistorici attribuiti genericamente al Paleolitico (purtroppo sia quelli segnalati
dalla Società Reggiana di Archeologia che quelli segnalati nell’Ottocento dal Chierici poco più a valle
del Rio Luceria, a Fontaneto in Comune di San Polo,
non sono oggi reperibili e non sono neppure stati
pubblicati, pertanto è impossibile determinarne l’età
precisa) inducono a ritenere che la sua datazione sia
analoga a quella dei terrazzi dell’alta pianura ben documentati dagli studi efettuati nel sito del Ghiardo.
Pare insomma che i sedimenti che lo compongono
siano stati messi in posto nel corso dell’ultima glaciazione e che i loess che sigillano i depositi ghiaiosi
contengano manufatti del Paleolitico Medio.
Tale terrazzo in più punti è poi stato velato dai
colluvi derivanti dai colli posti ad oriente e dalle piccole esondazioni dei modesti drenaggi che lo percorrono o lo incidono da sud verso nord. Fatto sta che
questa formazione, sia per la sua collocazione geograica privilegiata di fondovalle, sia per le sue caratteristiche di terrazzo ben drenato e pianeggiante, ha
attratto dalla preistoria ad oggi l’insediamento umano sviluppatosi attorno a un antico percorso viario
probabilmente già in uso nel corso della protostoria
e poi divenuto irrinunciabile dall’età romana in poi.
Questa è la formazione da sempre più vocata all’insediamento umano di tutto il territorio di Canossa,
come attestano, oltre al sito di Luceria, i numerosi
ritrovamenti precedenti riferibili a tutto l’arco cronologico preistorico, protostorico e a quello storico
successivo.
Paleosuperficie di Selvapiana e Trinità
Si tratta di depositi sedimentari di origine continentale accumulatisi sulle superici pianeggianti del
nostro Appennino nel corso del Pleistocene. Sono
cioè spessi pacchi di detriti ghiaiosi depositatisi negli
interglaciali o durante gli stadi caldi dell’ultima glaciazione, quindi formazioni luvio-glaciali prodotte
dallo scioglimento dei ghiacciai con conseguenti iumane che scendevano verso valle, e dei sovrastanti loess depositati negli stadi freddi. Tutti questi depositi,
ovunque si trovino, garantiscono che loro stessi e i
substrati ad essi sottoposti rappresentino aree stabili dal Paleolitico Medio. Tale età si colloca nella fase
centrale dell’ultima glaciazione, quella wurmiana.
Fatto sta che su questi depositi è possibile trovare siti
22/
archeologici di ogni età a partire almeno dal Paleolitico Medio. Ad Albareto, ma soprattutto a Selvapiana,
le ricerche di supericie hanno ben dimostrato tale fenomeno, restituendo inoltre diverse tracce di frequentazioni preistoriche e storiche di età romana, mentre
sino ad oggi non sono segnalate presenze archeologiche post-romane e tracce di insediamenti medievali.
Altre superfici vocate all'insediamento antico e
medievale
Le aree pianeggianti sono state determinate interpolando diversi dati: quelli oggettivi derivanti dai
geoprocessing, in grado di scegliere le giuste pendenze;
la lettura delle curve di livello, atta a determinare crinali e cime di rilievi; l’analisi dei depositi archeologici
noti e delle segnalazioni di rinvenimenti; la lettura
dell’insediamento storico, in grado di fornirci l’antichità delle superici stesse. Tali aree contemplano tutte quelle superici da tempo stabili e vocate all’insediamento umano e comprendono sia le paleosuperici
vere e proprie che le aree stabili da lungo tempo, ma
non pedogenizzate.
Le paleosuperici, come è noto, sono aree stabili da lungo tempo che la pedogenesi ha trasformato
in suoli maturi. Sono pertanto zone idonee all’insediamento perché normalmente pianeggianti e fertili.
Inoltre, proprio perché di lunga durata, hanno maggior probabilità di aver accolto, nel tempo, gli insediamenti umani.
Ovviamente laddove vengono riscontrati siti il
loro grado di conservazione dipende dalla stabilità del substrato che ospita tali superici: in caso di
paleosuolo vero, da identiicare con ricerche mirate,
la conservazione, nonostante le modiiche apportate
dalla pedogenesi, dovrebbe essere generalmente ottima. Purtroppo solo raramente tali paleosuperici
sono state riconosciute e datate come nel caso di Selvapiana e Trinità.
Le aree stabili da lungo tempo ma non pedogenizzate sono diverse e a volte piuttosto estese, come
possiamo constare fra Rossena e Canossa, dove purtroppo non c’è stato tempo per efettuare ricerche di
supericie. Va inine ricordato che la sola pendenza
non basta a circoscrivere aree stabili e omogenee ai
ini della potenzialità archeologica. Come detto più
sopra, un po’ ovunque sono stati necessari degli aggiustamenti, soprattutto laddove la conoscenza diretta del territorio consentiva di valutare i dati oggettivi risultanti dai geoprocessing. Tre sono gli esempi
più eclatanti: la sommità di Monte Tesa, il complesso
oiolitico di Campotrera-Rossena-Rossenella e l’alto
Cavazza / Podini / Tirabassi
La potenzialità archeologica del territorio di Luceria
morfologico Selvapiana-Albareto-Trinità. In tutti e
tre i casi le elaborazioni automatizzate davano per
stabile solo una parte delle aree, mentre, grazie alle
ricognizioni e ai dati archeologici, in realtà sappiamo
che le frequentazioni antropiche sono presenti un po’
ovunque su di esse.
Conca di Selvapiana
Si tratta di un piccolissimo bacino di modestissima profondità formatosi in una depressione della
paleosupericie di Selvapiana, poi drenato dalla piccola incisione valliva che partendo dal suo bordo
orientale scorre verso nord-est. Tale bacino è stato
in parte saturato dal blando colluvio delle sponde. I
sedimenti accumulatisi sembrano piuttosto modesti.
Pare pertanto che l’intero ciclo di sedimentazione sia
avvenuto dopo l’optimum climatico dell’Olocene cioè
nel post-Atlantico, a partire forse dalla fase tarda del
Subboreale, circa 3000 anni fa. Quindi questa conca, dal punto di vista della potenzialità archeologica,
deve essere valutata come una velatura della paleosupericie di Selvapiana. (I.T.)
De Marchi 2005 = L. De Marchi, Archeologia globale del
territorio tra Parmense e Reggiano. L’età del Ferro nelle valli
Parma, Enza e Baganza tra civilizzazione etrusca e cultura ligure, Prato 2005.
Fabbi 1953 = F. Fabbi, Il castello di Rossena e la torre di
Rossenella, Reggio Emilia 1953.
Farinelli, Cavazza 2006 = F. Farinelli, E. Cavazza (a.c.),
Paesaggi di provincia. Cartograia e sintassi del territorio reggiano, Bologna 2006.
Lasagna Patroncini 1973 = C. Lasagna Patroncini, Strumenti litici genericamente attribuiti al Neo-Eneolitico, raccolti
in supericie in varie località della provincia di Reggio Emilia,
in «Quaderni della Società Reggiana d’Archeologia» 2, 1973,
pp. 29-30.
Lasagna Patroncini 1990a = C. Lasagna Patroncini, Materiali neo-eneolitici da varie località della provincia, in «Quaderni della Società Reggiana d’Archeologia» 5, 1990, pp. 37-40.
Lasagna Patroncini 1990b = C. Lasagna Patroncini, Materiali sparsi attribuibili all’Età del Ferro, in «Quaderni della
Società Reggiana d’Archeologia» 5, 1990, pp. 135-161.
Malaguzzi Valeri 1924 = F. Malaguzzi Valeri, Dalla città,
in «Cronache d᾽arte», anno 1, fasc. 5, 1924, p. 287.
Manenti Valli 1979 = F. Manenti Valli, Il castello di Rossena, in «Reggio Storia», Anno II, nn. 2-3, 1979, pp. 37-44.
Riferimenti bibliografici
Baricchi 1988 = W. Baricchi (a c.), Insediamento storico e
beni culturali. Appennino Reggiano, Reggio Emilia 1988.
Bernini, Cremaschi, Tellini 1980 = M. Bernini, M. Cremaschi, C. Tellini, La paleosupericie di Selvapiana (Appennino reggiano): aspetti geomorfologici e paleopedologici, in S.
Venzo, F. Petrucci, R. Cavazzini (a c.), «Scritti degli Istituti di
Geologia, Paleontologia, Geograia, Petrograia e Giacimenti
Minerari Mineralogia dell’Università di Parma: volume dedicato a Sergio Venzo», Parma 1980, pp. 77-97.
Bertolani del Rio 1965 = M. Bertolani del Rio, I castelli
reggiani, Reggio Emilia 1965.
Calzona 2008 = A. Calzona (a c.), Matilde e il tesoro dei
Canossa tra castelli, monasteri e città, Reggio Emilia 2008.
Manenti Valli 1987 = F. Manenti Valli, Architettura di castelli nell’Appennino reggiano, Modena 1987.
Manenti Valli 2001 = F. Manenti Valli (a c.), Canossa nel
sistema fortiicato matildico, Reggio Emilia 2001.
Manenti Valli 2009 = F. Manenti Valli, Rossenella: vedetta nel sistema fortiicato canossiano, Reggio Emilia 2009.
Meyer 1886 = A.B. Meyer, Di alcune accette di pietra specialmente di giadeite dal R. Museo di Antichità di Parma, in
«Bullettino di Paletnologia Italiana» 12, 1886, pp. 80-88.
Monaco 1950-51 = G. Monaco, Elenco di località di rinvenimenti preistorici nell’Emilia Occidentale e zone initime, in
«Quaderni del Comitato Scientiico Per Emilia Occidentale» 2,
1950-51, pp. 73-80.
Campanini 1915 = N. Campanini, Canossa. Guida storica illustrata, (II ed.), Reggio Emilia 1915.
De Mortillet 1865 = G. De Mortillet, Le terramares du
reggianais, passage des époques anté-historiques aux temps
Historiques, Paris 1865.
Cervi 2007 = G. Cervi, Nuove segnalazioni di insediamenti preistorici e protostorici nell’Appennino reggiano, in
«Bollettino Storico Reggiano» 133, 2007, pp. 29-39.
Patroncini 1994 = L. Patroncini, Luceria d’Enza, insediamento ligure-romano nel territorio di Canossa, Reggio
Emilia 1994.
Chierici 1879 = G. Chierici, Il Museo di Storia Patria di
Reggio nell’Emilia, in «Bullettino di Paletnologia Reggiana» 5,
1879, pp. 177-197.
Scarani 1963 = R. Scarani, Repertorio di scavi e scoperte
dell’Emilia Romagna, in «Preistoria dell᾽Emilia Romagna»
122, 1963, pp. 175-634.
Cremaschi 1976 = M. Cremaschi, Notiziario-Selvapiana
(Comune di Ciano d'Enza), in «Preistoria Alpina» 12, 1976, p. 269.
Siliprandi 1936 = O. Siliprandi, Scavi archeologici avvenuti in provincia di Reggio E. nell’ultimo cinquantennio (18861935): notizie, Reggio Emilia 1936.
De Marchi 2003 = L. De Marchi, Archeologia della preistoria tra parmense e reggiano. L᾽età del Bronzo nelle Valli Parma, Enza e Baganza, Parma 2003.
Tirabassi 1989 = I. Tirabassi, Topograia storica della Valle
dell'Enza, S.Ilario d'Enza, in G. Ambrosetti, R. Macellari, L. Mal-
23
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
nati (a c.), «Sant'Ilario d’Enza: l᾽età della colonizzazione etrusca.
Strade, villaggi, sepolcreti», Reggio Emilia 1989, pp. 37-54.
Tirabassi 1999 = I. Tirabassi (a c.), Faieto - L’età del Bronzo in montagna. Risultati delle prime campagne di scavo, Castelnovo ne' Monti 1999.
Tirabassi, Zanini 1999 = I. Tirabassi, A. Zanini, Alla ricerca di piste pre-protostoriche sull’Appennino Tosco–Ligure–
Emiliano. Relazione preliminare, in «L’Appennino: un crinale
che univa e unirà», Castelnovo ne’ Monti, pp. 197–261.
Tirabassi 2011 = I. Tirabassi, Preistoria e protostoria della
Valle del Tassobbio, in G. Caroli (a c.), «La Valle del Tassobbio.
La vita nei secoli prima dei Canossa», Castelnovo ne’ Monti
2011, pp. 35-73.
Tirabassi 2003 = I. Tirabassi, Faieto di Casina (RE). Risultati delle prime tre campagne di scavo, in «Le comunità della
preistoria italiana. Studi e ricerche sul neolitico e le età dei
metalli», Atti della XXXV Riunione scientiica. Lipari, 2-7
giugno 2000. In memoria di Luigi Bernabò Brea, Vol. 2, Firenze 2003, pp. 863–866.
24/
Tirelli 1991 = G. Tirelli, La rocca di Rossena nell’Appennino reggiano, Reggio Emilia 1991.
Altri manufatti litici raccolti in supericie in varie località del
reggiano a sud della via Emilia, in «Quaderni della Società
Reggiana d’Archeologia» 1, 1970, pp. 35-40.
Materiali raccolti in varie località della provincia, attribuibili al periodo romano, in «Quaderni della Società Reggiana d’Archeologia» 1, 1970, pp. 113-116.
Notizie varie, in «Bullettino di Paletnologia Italiana» 4,
1878, pp. 162-164.
Strumenti litici genericamente attribuiti al Neo-Eneolitico, raccolti in supericie in varie località della provincia di
Reggio Emilia, in «Quaderni della Società Reggiana d’Archeologia» 1, 1970, pp. 41-46.
Sunto delle tornate accademiche dell'anno 1861 a tutto il
1863, 1863, in «Atti della R. Deputazione di Storia Patria-Sottosezione di Reggio nell’Emilia», Vol. I, p. CVII e segg..
1
Antica Luceria:
archeologia
in Val d'Enza
Roberto Macellari
Daniela Locatelli
Luigi Malnati
Enzo Lippolis
Il progetto di scavi a Ciano d'Enza
(RE) di Gaetano Chierici. Alle origini
del Museo di Reggio Emilia
Roberto Macellari
Funzionario Reti e Servizi Culturali dei Musei Civici di Reggio Emilia
Oltre ad unirmi al generale plauso per il conseguimento di un obiettivo tanto atteso, desidero innanzitutto ringraziare gli organizzatori di questa
giornata di studi per avere dato voce al Museo di
Reggio Emilia, la cui origine, come si dirà, è strettamente intrecciata con le fasi iniziali della ricerca
archeologica nel sito di Luceria, ma anche per avermi oferto l’opportunità di richiamare l’attenzione
sulla igura di don Gaetano Chierici, vero fondatore
dell’archeologia reggiana.
Le considerazioni che intendo proporre non possono prescindere da alcuni fondamentali lavori sulla
storia della ricerca archeologica in questo luogo, ad
iniziare dagli studi di Marcel Desittere (Desittere
1985, p. 25, ig. 12), di Enrica Cerchi (Cerchi 1993), di
Enzo Lippolis (Lippolis 1998) e del compianto Luciano Patroncini (Patroncini 1994).
L’avvio di ricerche sistematiche a Luceria è del
maggio 1861, all’indomani cioè della nascita del Regno d’Italia, nel nuovo clima politico che si riverbera
su tutte le iniziative volte a valorizzare il patrimonio
culturale patrio. L’esplorazione archeologica di Luceria è, si potrebbe dire, iglia dell’unità nazionale.
Al tempo stesso è iglia di un insuccesso, forse
l’unico nella luminosa carriera scientiica di Gaetano Chierici, che corrisponde alla prima ricerca sul
campo da lui stesso condotta: il generoso tentativo
di salvare e valorizzare il cosiddetto larario romano di Montecchio Emilia con il suo corredo di una
dozzina di statuette di divinità e di monete romane,
risalente al 1855 (ig. 1). In quell’occasione Chierici
aveva sollecitato il sostegno di mons. Celestino Ca-
vedoni, massima autorità in materia di antichistica
nell’ambito del ducato di Modena e Reggio, con il
ine di creare i presupposti per una raccolta civica
a Reggio Emilia, nella quale potessero conluire le
antichità patrie che ino a quel momento avevano
preso strade diverse, dai musei di Modena e Parma
al commercio antiquario. Il ruolo ambiguo giocato
in quell’occasione da Cavedoni, la cui apparente disponibilità nascondeva la volontà di favorire le collezioni ducali della capitale, ma soprattutto l’epidemia
di colera, da cui Chierici era rimasto contagiato con
rischio della stessa sopravvivenza, avevano mandato in fumo un piano sapientemente orchestrato, con
l’inevitabile dispersione di quel piccolo patrimonio
archeologico, approdato con ogni probabilità ancora
una volta oltre Enza (Macellari 1997, p. 3 s., foto 4
e 5). L’appassionata relazione inviata a Cavedoni in
quella circostanza, oltre a denunciare i numerosi casi
di depauperamento del patrimonio culturale reggiano, poneva le premesse per una svolta, della quale
avrebbe dovuto farsi promotore il Comune di Reggio,
favorendo l’istituzione di una Società per “raccogliere e illustrare le memorie delle cose nostre passate e
tener conto delle correnti” e, in ultima analisi, di un
gabinetto di antichità (Desittere 1985, p. 18 ss.). La
proposta di una Società, che sembra cadere nel vuoto
almeno nell’immediato, se si esclude il riferimento
contenuto in una lettera di don Vincenzo Capretti,
parroco di Correggio, del 1856 (Desittere 1985, p. 20,
nota 31), tornerà, come vedremo, di attualità qualche
anno più tardi.
Dal fallimento del 1855 Chierici si direbbe avesse
27
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 1. Memoria d’uno scavo fatto in riva all’Enza un miglio sotto Montecchio (BMRe, FdGC, busta 2/1).
28/
Macellari
Il progetto di scavi a Ciano d’Enza (RE) di Gaetano Chierici. Alle origini del Museo di Reggio Emilia
ricavato una lezione fondamentale: la causa della salvaguardia del patrimonio culturale locale non si sarebbe potuta vincere operando in solitudine, sia pure
animati dai più nobili intenti. Solo l’istituzione delle
Deputazioni di Storia Patria, per iniziativa di Luigi
Carlo Farini già nel febbraio del 1860, e in particolare della sottosezione reggiana della Deputazione di
Modena, di cui Chierici fu da subito uno dei sei soci
efettivi (Desittere 1985, p. 23), gli avrebbe fornito la
cornice all’interno della quale poter operare evitando
errori e ingenuità di un recente passato. L’istituzione
delle province gli ofriva poi nuove speranze che potesse arrestarsi l’emorragia del patrimonio culturale
reggiano verso il parmense ed il modenese.
Sin dalla prima adunanza della sottosezione reggiana, il 31 maggio del 1861 (quindi esattamente 153
anni fa), Chierici portava l’attenzione dei soci sul
“luogo presso Ciano, dov’è sospetto d’alcuni eruditi
che fosse l’antica Luceria ricordata da Tolomeo”, preannunciando un suo sopralluogo (Desittere 1985, p.
25). Lo stesso tema sarebbe stato dibattuto in tutte le
successive adunanze della Deputazione. A condurlo a
Luceria era certamente la conoscenza diretta del Calendario di Corte per l’anno 1777 dell’abate Schenoni, che dà notizia degli scavi condotti da una Società
di Parmeggiani quando Ciano rientrava nei conini
del ducato di Parma (Patroncini 1994, p. 13). Lo dimostra la trascrizione di quel rapporto di scavi, che si
conserva fra le carte dell’archivio Chierici, nella quale Enrica Cerchi ha riconosciuto la mano di Michele
Lopez, il direttore del Museo di Parma (Cerchi 1993,
p. 8), con cui in quei giorni del 1861 Chierici intratteneva una serrata corrispondenza (BMRe, FdGC, busta 14/2, nn. 2-5). Ma ad attrarlo a Luceria era soprattutto la scoperta, avvenuta nel marzo di quell’anno,
di quattro tombe a cassetta laterizia allineate lungo
un tracciato stradale accuratamente selciato, nel corso di lavori agricoli nel fondo di Francesco Bernuzzi
in località Conchello, i cui corredi erano stati acquistati dal dott. Giuseppe Grisanti (Cerchi 1993, pp. 9
– 14), socio corrispondente della Deputazione.
Il preannunciato sopralluogo di Chierici a Ciano si svolse efettivamente, con la guida di Grisanti
stesso, e produsse quel Ragguaglio degli scavi fatti
nel territorio di Ciano nel mese di marzo del 1861
(ig. 2), presentato alla Deputazione nelle due tornate del 19 e 28 giugno (BMRe, FdGC, busta 2/7, fasc.
1, cc. 1-8). Una preoccupazione agitava Chierici: che
Grisanti potesse prendere contatto con il Museo di
Parma e che i corredi di Luceria prendessero la via
d’oltre Enza, come era accaduto altre volte in passato.
Si giustiica così una lettera a Lopez di quello stesso
1861, preceduta dalla mediazione di un giovane Luigi
Pigorini, nella quale Chierici a nome della Deputazione reggiana lo pregava, si direbbe lo scongiurava,
di non accettare materiali da Ciano: “costì si riiutino
le oferte di oggetti provenienti da Ciano rimettendoli a Reggio, dove s’è disposti a comprarli per quel che
valgono”, minimizzando l’importanza di quelle scoperte e lasciando trasparire il reale suo ine, l’istituzione di un gabinetto di antichità a Reggio: “Luceria
non può dare che poche e povere cose, e solamente
interessanti per noi, che mancando di tutto vogliamo tentare di dar principio a una raccolta che diremo
domestica” (Desittere 1985, p. 103 s., n. 3). Benché la
nuova realtà istituzionale, con la nascita delle province, sembrasse ofrire un valido sostegno al disegno di
Chierici e degli altri deputati reggiani, la minaccia di
una nuova migrazione delle antichità reggiane verso
il Museo di Antichità di Parma continuava a costituire una sorta di ossessione, come sembra dimostrare
la corrispondenza con Pigorini di qualche mese più
tardi, che contiene il fermo rimprovero nei confronti
del “Gabinetto di Parma” che aveva accettato il dono
di materiali terramaricoli da Campegine, raccolti da
Carlo e Giacomo Cocconi in terreni di loro proprietà
(Lettera di L. Pigorini, Parma 27 ottobre 1862, BMRe,
FdGC, busta 15/1/2).
Ottenuta l’approvazione dei soci della Deputazione, dal 23 al 28 settembre Chierici, che pure non consta avesse ancora maturato esperienze di scavo, poteva prendere parte attiva ad una nuova esplorazione
nel sito di Luceria, che portò alla scoperta di cinque
tombe della prima età imperiale romana, dei cui corredi è conosciuta soltanto una bottiglia in vetro giallo
tipo Isings 103, che Chierici poté ofrire in dono alla
Deputazione (Cerchi 1993, p. 14 ss.). Con un secondo rapporto, il Ragguaglio degli scavi fatti a Ciano
nel settembre 1861, egli aggiornava la Deputazione
sull’esito delle nuove ricerche (Patroncini 1994, p. 32
s.). Nella riunione dell’11 dicembre i deputati, visto il
buon esito delle prime indagini sistematiche, davano
mandato a Chierici non solo di proseguire gli scavi,
ma anche di proporre nuove modalità di intervento,
che prevedessero “la cooperazione di molti” (Patroncini 1994, p. 84 s.). È in questo quadro che matura la
Proposta di società, che Chierici sottopone alla Deputazione nella riunione della settimana successiva,
ottenendone unanime approvazione. La riunione
del 18 dicembre ofrì innanzitutto a Chierici l’occasione per presentare il suo Progetto di scavi a Ciano,
che prevedeva la prosecuzione delle ricerche lungo il
29
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 2. Ragguaglio degli scavi fatti nel territorio di Ciano nel mese di marzo del 1861 (BMRe, FdGC, busta 2/7, fasc. 1, cc. 1–8).
30/
Macellari
Il progetto di scavi a Ciano d’Enza (RE) di Gaetano Chierici. Alle origini del Museo di Reggio Emilia
Fig. 3. Mappa dei ritrovamenti nell’area di Luceria (Archivio dei Musei Civici di Reggio Emilia).
31
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 4. Dettaglio della carta archeologica della provincia di Reggio Emilia redatta da Chierici nel 1876, con lo scavo di Luceria (Musei Civici di Reggio Emilia).
tracciato della strada selciata, o via dei sepolcri, per
approdare, così auspicava, al cuore dell’insediamento. Il buon esito dei lavori avrebbe sicuramente creato
i presupposti per il tanto atteso museo archeologico a vocazione provinciale. Il Progetto contemplava
inine l’assicurazione ai deputati di avere già preso
contatto con alcuni proprietari di quei terreni che si
rivelavano promettenti per ottenerne le necessarie
autorizzazioni ai lavori di scavo, in cambio di risarcimenti che avrebbero tenuto conto dei danni arrecati
alle coltivazioni ma anche della stima degli oggetti
rinvenuti, della quale sarebbe stato investito niente
meno che Celestino Cavedoni. Ma preliminare a tutto ciò sarebbe stata la creazione di una Società per
gli scavi di Ciano, destinata a inanziarli, il cui regolamento prevedeva che ogni socio si impegnasse ad
acquistare una o più azioni da 10 lire, allo scopo di
costituire un fondo di almeno 300 lire. Gli scavi erano già programmati per quell’anno e i materiali che
fossero venuti alla luce sarebbero stati donati al Comune di Reggio, perché con essi costituisse il primo
nucleo dell’auspicato museo archeologico (Desittere
1985, p. 113 s., n. 15).
La Società per gli scavi di Ciano nasceva probabilmente ad imitazione di associazioni analoghe,
come il Sodalizio per il Museo Patrio per il Tirolo,
fondato a Innsbruck nel 1823, o come la Società Co-
32/
lombaria iorentina, che svolgeva ricerca archeologica fra Chiusi e Sovana dal 1858; o, per passare a
realtà più vicine e ben note a Chierici, la già ricordata
Società di Parmeggiani e la Società archeologica modenese, costituita quest’ultima nel 1844, della quale facevano parte il conte Luigi Forni, gli antichisti
Celestino Cavedoni e Carlo Malmusi e addirittura il
duca Francesco IV. Altre società sarebbero in seguito
iorite a Torino, a Novara ed in Istria, e per rientrare
nella nostra regione, a Bazzano dove dal 1873 avrebbe operato un sodalizio che riuniva noti paletnologi
come Arsenio Crespellani e Torquato Costa (Di Pietro 1995, p. 53 ss.).
Della nuova Società reggiana facevano parte
25 membri, scelti fra i soci della Deputazione, della
quale sembra fosse diretta emanazione, a cominciare dal vicepresidente, Paolo Terrachini, che si vide
riconoscere una posizione di vertice anche nella Società, dal tesoriere, Giuseppe Turri, noto biblioilo e
collezionista, da Giulio Cesare Vedriani a Chierici
stesso (Desittere 1985, p. 114). Vi era rappresentata
la nuova classe dirigente uscita dalle due guerre di
indipendenza, a cominciare dal sindaco di Reggio,
Pietro Manodori, e dal presidente della Camera di
Commercio, Agostino Sforza (Ferraboschi 2003, p.
126), con alcuni leader dei moderati come Enrico
Terrachini e Domenico Sidoli (Idem, p. 55), ed alcu-
Macellari
Il progetto di scavi a Ciano d’Enza (RE) di Gaetano Chierici. Alle origini del Museo di Reggio Emilia
Fig. 5. Saggio degli scavi fatti a Ciano nel 1862 (Archivio dei Musei Civici di Reggio Emilia).
ni reduci delle battaglie risorgimentali, come Fortunato Modena (Idem, p. 55), con esponenti della élite
ebraica ma anche con un canonico della cattedrale,
con rappresentanti della borghesia delle professioni,
come l’avv. Giuseppe Fornaciari (Idem, p. 155) e della
nobiltà, come il conte Gian Battista Spalletti (Idem,
p.158). Colpisce in questo elenco la presenza di Achille Sidoli, che nel 1845, quando era ancora giovinetto,
era stato aidato all’istitutore don Geatano Chierici
per un memorabile viaggio, una sorta di grand tour,
verso Roma e poi Napoli con i Campi Flegrei e Pompei, la Sicilia, e, sulla via del ritorno, Paestum, Capua
e l’Etruria. Achille Sidoli era l’ultimo iglio di Giovanni, carbonaro scomparso prematuramente in esilio, e di Giuditta Bellerio, della quale è nota la lunga
relazione con Giuseppe Mazzini. Il giovane Achille
era stato aidato al sacerdote dal nonno paterno, legittimista, che intendeva sottrarlo all’inluenza nefasta della madre, evidentemente ignaro dei sentimenti
patriottici che animavano don Gaetano Chierici. Il
giovane era inevitabilmente destinato a deludere le
aspettative del nonno: qualche anno più tardi avrebbe infatti partecipato agli ultimi moti mazziniani e
alla difesa della Repubblica Romana (Macellari 2011,
p. 73). Quel viaggio verso i tesori archeologici del nostro Paese aveva lasciato un segno indelebile non soltanto in Chierici, che era tornato a Reggio archeologo
appassionato, ma si direbbe anche in Achille Sidoli,
che nel 1862 ritroviamo fra i membri di una società
archeologica.
Costituita la Società, in una successiva riunione,
il 26 agosto, si procedette alla nomina della commissione direttiva degli scavi, aidandone la responsabilità a Chierici, il quale aveva nel frattempo arricchito
il proprio curriculum di archeologo militante, scavando nella cripta della Cattedrale di Reggio (Scavo
nei sotterranei della chiesa cattedrale di Reggio fatto
nel principio del 1862, BMRe, FdGC, busta 2/4) e poi
a Codisotto (Relazione dello scavo di Codisotto fatto
nella ine del febbraio e nel principio del marzo del
1862, BMRe, FdGC, busta 2/2), tutto in quel febbrile 1862. Si stabilì anche di iniziare le nuove ricerche
non prima del 9 settembre, con l’intento di recare
il minore danno possibile alle coltivazioni. Gli scavi iniziarono quando convenuto e si protrassero per
tredici giorni, impegnando una ventina di operai,
33
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 6. Alessandro Prampolini, veduta di Ciano (Archivio dei Musei Civici di Reggio Emilia).
con il coinvolgimento diretto di tre soci, Bartolomeo
e Giovanni Sidoli e Ludovico Guidelli, oltre naturalmente a Gaetano Chierici. La Relazione alla Società
archeologica reggiana degli scavi eseguiti a Ciano
nel settembre dell’anno 1862, che si conserva fra le
carte manoscritte di Chierici (BMRe, FdGC, busta
2/7), permette di ricostruire le strutture riportate in
luce: una strada acciottolata larga circa 6 metri, con
orientamento nord-sud, e resti di ediici con più fasi
costruttive, alla più antica delle quali (I-II sec. d.C.)
andrebbero ricondotti rocchi di colonna in calcare e
frammenti architettonici, che Chierici non esitò ad
interpretare come resti di un piccolo tempio dorico
in relazione con una vicina fontana. Della documentazione di scavo fa parte una accurata mappa dei
ritrovamenti, vecchi e nuovi, preparata per un’adunanza della Società (ig. 3). Questo strumento sembra
già attestare il grande interesse dell’autore per la cartograia archeologica, che avrebbe trovato la massima espressione nella spettacolare Carta archeologica
della provincia di Reggio Emilia (ig. 4). Ne fa anche
parte un disegno a china delle strutture emerse da
quel saggio (ig. 5). Qualche tempo dopo Chierici
34/
avrebbe commissionato ad Alessandro Prampolini
una veduta prospettica del suo scavo, che sembra una
rielaborazione di quel disegno (ig. 6). Prampolini,
pittore di paesaggio e scenografo, membro di una famiglia di patrioti e patriota lui stesso, era ben noto a
Chierici, in quanto aveva potuto beneiciare di una
pensione artistica comunale che gli aveva consentito
di soggiornare a Roma, subentrando ad un altro pittore reggiano, Alfonso Chierici, suo fratello, il quale
dimostrava grande apprezzamento per il suo talento
artistico. A Roma si era segnalato per alcune notevoli
rappresentazioni di rovine, che forse giustiicano la
commissione della veduta di Luceria da parte di Gaetano Chierici (Farioli 1984).
Mentre con la campagna del settembre 1862 si
concludeva l’impegno diretto di Chierici sul terreno
di scavo di Luceria, nuove side venivano da lui contestualmente afrontate: innanzitutto con sorprendente puntualità onorava l’obbligo di rendere pubblico l’esito dei suoi scavi, in due tornate degli Atti della
Deputazione (Chierici 1863a; Chierici 1863b). Ma soprattutto realizzava il principale obiettivo, suo e della Società archeologica, da molti anni a quella parte:
Macellari
Il progetto di scavi a Ciano d’Enza (RE) di Gaetano Chierici. Alle origini del Museo di Reggio Emilia
Fig. 7. G. Chierici, inventario della Collezione di Paletnologia, 1, c. 1 (Archivio dei Musei Civici di Reggio Emilia).
l’apertura di un Gabinetto di Antichità Patrie, in un
locale contiguo al Museo Spallanzani che il Comune
rese disponibile alla Deputazione. Si può anzi afermare che proprio la necessità di custodire in luogo
idoneo i corredi funerari di Luceria, che la Deputazione aveva acquistato dal dott. Grisanti, spinse i deputati a maturare l’idea di un Gabinetto e a stenderne
la deliberazione. È signiicativo che proprio uno degli
oggetti di quei corredi, la “catenella a doppia treccia
d’argento” sia registrato nell’inventario del neonato
museo con il numero 1 (ig. 7).
Riferimenti bibliografici
BMRe, FdGC = Biblioteca Municipale “A. Panizzi” di
Reggio Emilia, Fondo don Gaetano Chierici.
Cerchi 1993 = E. Cerchi, La romanizzazione della Cispadana: il contributo degli scavi di Gaetano Chierici a Luceria (18611862), in «Civiltà Padana» 4, 1993, pp. 7-26.
Chierici 1863a = G. Chierici, Del sito dell’antica Luceria
nel Reggiano e degli scavi ivi eseguiti, in «AttiMemModena-Parma» 1, 1863, pp. CVII-CVIII.
Chierici 1863b = G. Chierici, Scavi di Ciano, in «AttiMemModena-Parma» 1, 1863, p. CX.
Desittere 1985 = M. Desittere, Dal Gabinetto di Antichità Patrie al Museo di Storia Patria di Reggio Emilia (18621886), Reggio Emilia 1985.
Di Pietro 1995 = V. Di Pietro, La società per scavi archeologici di Bazzano e le società archeologiche nell’Italia postunitaria, in «Miscellanea di Studi Archeologici e di Antichità»
4, 1995, pp. 51-74.
Farioli 1984 = E. Farioli, Alessandro Prampolini “ felice
dipintore” di quadri di paese, in E. Monducci (a c.), «Giovanni Fontanesi, Alessandro Trampolini, Alfonso Beccaluva,
paesaggisti reggiani dell’ottocento», Reggio Emilia 1984, pp.
47–58.
Ferraboschi 2003 = A. Ferraboschi, Borghesia e potere
civico a Reggio Emilia nella seconda metà dell’Ottocento, Soveria Mannelli 2003.
Lippolis 1998 = E. Lippolis, Nuceria, in R. Farioli Campanati (a c.), «XLIII Corso di cultura sull’arte ravennate e
bizantina: seminario internazionale di studi sul tema “Ricerche di archeologia e topograia” in memoria del Prof. Nereo
Alieri, Ravenna, 22-26 marzo 1997», Ravenna 1998, pp. 401428.
35
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Macellari 1997 = R. Macellari, L’inizio della ricerca
archeologica a Montecchio e la nascita del Museo di Storia
Patria a Reggio Emilia, in R. Macellari, I. Tirabassi (a c.),
Montecchio Emilia, “Catasto archeologico della Provincia
di Reggio Emilia. Supplemento 2”, Reggio Emilia 1997, pp.
3-10.
Macellari 2011 = R. Macellari, “… Interi battaglioni di
preti si vedranno sul campo …”. Don Gaetano Chierici e la
36/
questione nazionale, in G.M. Della Fina (a c.), «La fortuna
degli Etruschi nella costituzione dell’Italia unita», Atti del
XVIII Convegno Internazionale di Studi sulla Storia e l’Archeologia dell’Etruria (Orvieto, 2010), “AnnFaina” XVIII,
Roma 2011, pp. 69-100.
Patroncini 1994 = L. Patroncini, Luceria d’Enza. Insediamento ligure–romano nel territorio di Canossa, Reggio
Emilia 1994.
Liguri ed Etruschi
lungo la via dell’Enza
Daniela Locatelli
Funzionario Archeologo Soprintendenza Archeologia dell’Emilia-Romagna
È stato più volte ribadito, in anni recenti, che il
territorio emiliano a occidente di Bologna presenta
aspetti speciici e peculiarità attribuibili al suo essere zona di frontiera rispetto al più generale comparto
etrusco-padano, sottoposta pertanto a stretti rapporti
con le aree culturali circostanti (veneta, ligure, golasecchiana), benché con esiti diferenti nei diversi distretti territoriali e nei diferenti periodi cronologici1.
Inoltre, soprattutto nella fascia a occidente
dell’attuale provincia di Modena, l’occupazione del
territorio appare strettamente inalizzata al controllo
delle vie transappenniniche da e verso il Po, fatto da
cui risultano fortemente condizionati sia le modalità
di aggregazione del popolamento e le sue componenti ‘etniche’, sia il panorama della cultura materiale,
spesso divergente da quello dell’ambito territoriale
più vicino alla ‘capitale’ Bologna (Fig. 1).
Del resto, anche per le più antiche epoche dell’Età
del Bronzo Media e Recente, è ampiamente noto il
ruolo svolto dalle valli del Secchia e dell’Enza nell’ambito degli scambi tra mondo terramaricolo e mondo
peninsulare e della circolazione del metallo dalle aree
minerarie toscane. Dopo il tracollo del sistema insediativo terramaricolo, si assiste a una sensibile riduzione numerica degli insediamenti, con il mantenimento di quelli collocati in posizione più favorevole
al controllo del territorio e delle vie di scambio tra i
giacimenti metalliferi della Toscana settentrionale e
la Pianura Padana, da cui – tramite la grande arteria
luviale del Po – era possibile l’accesso da un lato alla
valle dell’Adige e all’Europa transalpina, dall’altro al
mare Adriatico e al Mediterraneo orientale2.
Punto nodale di tale sistema di comunicazioni
è la rupe di Bismantova, verso cui dovevano convergere le percorrenze che scendevano dai passi
appenninici di Pradarena e del Cerreto e la cui
necropoli protovillanoviana ben illustra, tramite i materiali dei corredi funerari, la fitta rete di
contatti ‘internazionali’ in cui l’insediamento era
inserito3.
Verso Bismantova dovevano probabilmente puntare non solo le vie di percorrenza provenienti dalla valle del Secchia (a controllo della quale stava ad
esempio l’insediamento individuato sulla cima del
Monte Valestra4), ma anche quelle relative al bacino
1
4
Problematiche afrontate ad esempio in Locatelli 2009 e
in Locatelli 2014d, limitatamente al periodo compreso tra
il IX e il VI secolo a.C.
2
3
In generale sul Bronzo Finale in Emilia occidentale:
Locatelli 2009, pp. 25-26; Locatelli, Malnati c.s.; sulla
speciica situazione reggiana Tirabassi, Zanini 1999,
pp. 246-248 e Locatelli 2014a. Per quanto concerne
il versante toscano, i contatti dovevano avvenire
soprattutto tramite la valle del Serchio, per la quale
si conosce una consistente frequentazione di Bronzo
Finale: Perazzi 2004, pp. 138-141. Per una rassegna dei
siti e relativa bibliograia, si veda Armanini 2007, passim.
Sulla necropoli di Campo Pianelli, da ultimo, Locatelli
2014b e Locatelli 2014c. Per l’edizione completa dei
corredi Catarsi, Dall’Aglio 1978.
Miari 2004, pp. 154-155, con bibliograia precedente e,
per i più recenti scavi condotti da I. Tirabassi sui terrazzi
posti sotto la cima del monte, Montanari, Tirabassi 2007.
37
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 1. Carta con localizzazione dei siti menzionati nel testo (elaborazione grafica R.Gabusi).
idrograico dell’Enza, collegato al precedente tramite un percorso intervallivo che sfruttava i corsi dei
torrenti Tassobbio e Maillo: non è pertanto privo di
signiicato il fatto che l’insediamento di Montecastagneto, localizzato proprio sul rio Maillo, abbia di
recente restituito testimonianze relative a una consistente fase di frequentazione databile nel Bronzo
Finale.5 Tale fatto potrebbe dunque essere assunto
come prova dell’utilizzo della via dell’Enza già in
questa fase, benché – in area più vicina alla pianura –
i dati a nostra disposizione si limitino alla sporadica
presenza di materiali a Campo Servirola di S. Polo
5
Dopo le ricerche ottocentesche del Chierici, il sito è stato
interessato tra il 2005 e il 2011 da campagne di scavo
dirette dalla scrivente per conto della Soprintendenza
per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, ed è
attualmente inedito. Prime anticipazioni sullo scavo sono
in Locatelli, Malnati, c.s.
38/
d’Enza6, nei cui pressi potrebbe forse essere localizzabile un altro insediamento, stando alle indicazioni
– in verità piuttosto labili e incerte – fornite da uno
scavo efettuato nel 1995 in località Pontenovo7.
6
7
Mi riferisco ad esempio alla presenza di frammenti di
ibule ad arco serpeggiante a contorno quadrangolare
(Preistoria protostoria 1975, ig. 25, 6-7), di una tipologia
assimilabile a quelle rinvenute a Monte Valestra – Case
Pantani (Preistoria protostoria 1975, ig. 63, 4-5) e a
Bismantova (Catarsi, Dall’Aglio 1978, pp. 38-39, n. 6.2.1).
Nel corso di un intervento di emergenza è stata
infatti portata a luce una serie di buche di palo forse
riconducibili a una palizzata la cui costruzione è stata
in maniera dubitativa collocata nell’età del Bronzo
Finale (Catarsi Dall’Aglio 1997a), non tanto in base a
indicazioni cronologiche fornite dai materiali, quanto per
la posizione stratigraica degli elementi immediatamente
al di sotto del livello in cui, in un’area contigua, erano
state individuate strutture databili all’età del Ferro.
Locatelli
Liguri ed Etruschi lungo la via dell’Enza
Un ulteriore motivo di interesse è rappresentato dal fatto che gran parte dei materiali ceramici di
Bronzo Finale recuperati a Montecastagneto presenta forti analogie con la facies dei castellieri del
Levante ligure, a riprova di una possibile connotazione culturale in questo senso dell’area appenninica reggiana in da periodi molto antichi (Fig. 2). Del
resto riferimenti allo stesso orizzonte possono essere riscontrati anche nei materiali di coevi insediamenti aferenti al bacino del Secchia, come quello
di S. Michele di Valestra sulla cime del monte omonimo, nonché nelle due tombe a incinerazione di X
secolo a.C. rinvenute in località Case Pantani, su un
terrazzo del versante orientale dello stesso monte,
ricondotte ad ambito ligure per via del rituale di
seppellimento entro cassetta litica e della morfologia di ossuari e ciotole di copertura8.
Dopo uno iato di quasi due secoli rispetto alle
testimonianze menzionate, indizi di una ripresa del
popolamento della zona appenninica reggiana si
manifestano soltanto nella seconda metà dell’VIII
secolo, probabilmente in connessione con la conclusione del processo di formazione urbana di Bologna,
processo che doveva aver indotto un momentaneo
convergere degli interessi etruschi – e conseguentemente delle comunicazioni transappenniniche –
verso la città e il suo immediato comprensorio9.
Le localizzazioni dei materiali (Bismantova e
San Polo d’Enza) sembrano indicare l’avvenuto ripristino di quel sistema integrato di comunicazioni
Secchia-Enza che avevamo visto attivo nell’Età del
Bronzo Finale, e – per quanto estremamente sporadiche – ci parlano di contatti ad ampio raggio, ben
esempliicati dal fermaglio di cintura di ispirazione
golasecchiana da San Polo10, dalla ibula a sanguisuga proveniente dal monte Pezzola (Tirabassi 2014, p.
44) o dalla ibula ora dispersa che il catalogo Chierici indica come proveniente da Bismantova e che
trova confronti con l’ambito etrusco-settentrionale
costiero11.
8
Miari 2004, pp. 156-157 (e relativa scheda alla p. 187, III.37),
con bibliograia precedente. Confronti per la ceramica sono
indicati in Locatelli 2014d, pp. 103-104, ntt. 7-9.
9 Sulla temporanea disattivazione della via del Secchia, e
conseguentemente della complementare via dell’Enza,
tra la ine del Bronzo Finale e la ine dell’VIII secolo:
Locatelli 2009, pp. 27 e 47-48.
10 Damiani et alii 1992, p. 174, n. 1392, tav. LXXXIX,
confrontabile con Peroni 1975, p. 233, ig. 62,4.
11 Macellari 1995a, pp. LXVIII-LXIX, ig. 1; poi anche in
Locatelli 2009, tav. 3,4.
Il progressivo attivarsi di nuovi nuclei di insediamento lungo la valle dell’Enza è un processo ormai
in atto nel corso del VII secolo a.C.: all’incirca alla
ine dello stesso secolo si è pertanto deinito un asse
del popolamento che a partire da Servirola San Polo,
situata allo sbocco del iume dall’alta valle, prosegue
verso l’aperta pianura con gli insediamenti di Montecchio e Sant’Ilario d’Enza, quest’ultimo verosimilmente collocato – insieme all’abitato di Quingento in
sinistra Enza – in corrispondenza del passaggio della
pista pedemontana est-ovest che poi sarà ricalcata
dal tracciato della via Emilia12. Appare inoltre in da
subito chiaro che l’obiettivo di tale assetto insediativo è il controllo della via che dai passi appenninici
conduce al Po: è infatti alla conluenza tra quest’ultimo e l’Enza che, a partire almeno dalla metà del VII
secolo, doveva essere attivo un vero e proprio scalo. Il
noto complesso di materiali proveniente da Brescello,
così datati e da sempre interpretati come corredo funerario di una rappresentante femminile dell’élite locale, ofrono un panorama di confronti tale – soprattutto considerando la consistente presenza di ambra
e le ibule a navicella13 – da orientare verso l’interpretazione del sito come centro di smistamento di
prodotti, nonché di incontro delle vie di scambio che
provenivano da un lato dai passi appenninici, dall’altro dall’Italia settentrionale e nord-orientale (Fig. 3).
Nel corso del VI secolo l’assetto così deinitosi vede un ampliarsi del numero degli insediamenti
e un consolidarsi del ruolo dei centri già esistenti14.
Allo sbocco del iume in pianura il terrazzo di Servirola diventa il principale centro di aggregazione del
popolamento: all’abitato di età arcaica dovevano appartenere i resti di capanne e di impianti produttivi
individuati dal Chierici nel 1863 (Macellari, Bertani
1998), e i materiali di importazione ivi rinvenuti ci
indicano il suo ruolo di primo piano nella redistribu12 Dai livelli superiori della terramara di Quingento proviene
uno spillone con capocchia a noduli serrati databile a
partire dalla ine del VII secolo a.C. (Saronio 1989, pp.
110 e 114, n. 2, tav. 1,2). Per i materiali di VII secolo
da Servirola e Sant’Ilario si veda oltre; a Montecchio,
invece, la fase iniziale di insediamento, probabilmente
da collocare allo scorcio del secolo, è documentata da
materiali scarsamente caratterizzati.
13 I primi indicano infatti intensi rapporti con l’area
adriatica, le seconde trovano confronti in ambito veneto.
Per i materiali: Damiani et alii 1992, pp. 113,132,188-189,
217, 229-231. Sul contesto anche Locatelli 2009, pp. 43-47.
14 Tirabassi 1989, in particolare pp. 40-44 e tav. VI, con
elenco completo dei siti ino a quel momento noti, cui qui
si aggiungono le localizzazioni più recenti.
39
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 2. Montecastagneto (Castelnovo ne’ Monti): ceramica di impasto databile al Bronzo Finale (disegni C. Buoite; elaborazione grafica R. Gabusi).
40/
Locatelli
Liguri ed Etruschi lungo la via dell’Enza
zione di tali prodotti in direzione del Po (Damiani et
alii 1992, pp. 83-84, nn. 540-542).
A monte di San Polo d’Enza rinvenimenti sporadici di materiali di supericie sono stati efettuati
nei comuni di Canossa e di Vetto, rispettivamente a
Monchio delle Olle e a Groppo (Lasagna Patroncini 1990, p. 140, n. 236; De Marchi 2005, pp. 98-99,
ig. 4), nonchè sulla postazione più elevata del monte Tesa (Lasagna Patroncini 1990, pp. 141-144). Sul
versante sinistro si segnala la ibula ad arco ingrossato e stafa lunga recuperata a Lupazzano (Comune
di Neviano degli Arduini), sito collocato sul crinale
displuviale tra val d’Enza e val Parma, in posizione
di altura corrispondente a quella occupata – sull’altra sponda – da Monchio delle Olle.15
I rinvenimenti della sponda reggiana si localizzano probabilmente non a caso in corrispondenza
dell’accesso ai percorsi intervallivi che sfociavano nella valle del Secchia proprio in prossimità delle due località che nel Bronzo Finale rappresentavano le principali postazioni di controllo lungo quella direttrice,
benché in questa fase cronologica non siano materialmente documentati né l’utilizzo di tali percorsi, né la
continuità di vita degli insediamenti di Montecastagneto e del Monte Valestra, che al contrario sembrano
riattivarsi soltanto in un periodo successivo. Il fatto
però che, anche in un momento posteriore, non siano documentati rinvenimenti di materiali molto più
a monte della conluenza del Tassobbio nell’Enza, induce a ritenere plausibile l’ipotesi già prospettata circa
il fatto che l’itinerario dell’Enza si innestasse sul crinale occidentale di quello del Secchia proprio grazie
alle valli del Tassobbio e del Maillo, usufruendo così
di un percorso più agevole verso i passi appenninici
(Tirabassi 1989, pp. 45-46); si conigura in tal modo
un sistema integrato di comunicazioni che doveva
mettere in rapporto reciproco i bacini di entrambi i
iumi.
Da San Polo in direzione dell’aperta pianura una
serie pressoché continua di insediamenti si allinea
in destra Enza ino a poco oltre Sant’Ilario: tracce in
questo senso sono state individuate – sempre in Comune di San Polo – in località Pontenovo16, poi nel
15 Il sito risulta avere una continuità di vita anche nel V
secolo (De Marchi 2005, pp. 116-117, ig. 9). La ibula
(ig. 9,22) è confrontabile con il tipo 1 delle ibule ad
arco ingrossato a tutto sesto e stafa lunga del Reggiano,
attestate anche a S. Ilario e a San Polo (Damiani et alii
1992, p. 126, nn. 889-899, tav. LX).
16 In prossimità dell’area che ha restituito testimonianze
di età protostorica, un ulteriore intervento di scavo
territorio di Montecchio17 e nelle località Romei, Bettolino, Fornaci e Taneto in Comune di Sant’Ilario,
dove ai resti di viabilità attrezzata e alle piccole necropoli da tempo conosciute disposte lungo un paleoalveo del iume18 sono ora da aggiungere le tracce di
insediamento individuate in prossimità delle località
Fornaci e Taneto, a dimostrazione che ciascuna delle
necropoli doveva essere in relazione con altrettanti
nuclei abitati19. In entrambi i casi sono stati infatti
portati a luce resti di impianti produttivi, in particolare fornaci, con annessi pozzi per acqua, silos per
la conservazione delle derrate e altre strutture non
sempre chiaramente interpretabili; nel primo caso è
stata inoltre individuata un’area a probabile destinazione abitativa, con strutture a pianta rettangolare
delimitate da trincee di fondazione. Degno di nota
è anche il rinvenimento, a sud di quest’ultima area
di abitato, di una porzione di massicciata stradale in
ciottoli con orientamento NW-SE (Fig. 4), cioè grossomodo parallelo al percorso della via Emilia e pertanto ortogonale alla direttrice dell’Enza individuata
nell’Ottocento dal Chierici poco più a nord (Sassatelli, Govi 1992, p. 139, n. 22).
Fronteggia Sant’Ilario, sulla sponda parmense
dell’Enza, il già citato abitato rivierasco di Quingento
di San Prospero, il cui ruolo commerciale è ben messo in evidenza dal rinvenimento di lingotti in bronzo
di cui si dirà, e che nel VI secolo appare aiancato da
un altro insediamento sorto poco più a nord, sempre
in prossimità del corso del iume (San Prospero, località Castellazzo; Saronio 1989, pp. 109-110 e 114-116,
tavv. 2-3).
ha portato alla luce una fossa di forma circolare e
allungata e buche di palo che la presenza di argilla
concotta e incannucciato fanno interpretare come area
di insediamento. Il rinvenimento di bucchero, ceramica
depurata dipinta a fasce e ceramica grigia fanno
propendere per una datazione tra il VI e il V secolo a.C.
(Catarsi Dall’Aglio 1997b).
17 Dove almeno una decina di siti sono stati individuati
lungo la direttrice in destra Enza (Macellari 1997b). E’ in
prossimità dei più settentrionali di essi (area della cava
Spalletti) che recentemente sono emersi i resti di una
necropoli di cui si dirà.
18 Ambrosetti, Macellari, Malnati 1989; per il paleoalveo:
Tirabassi 1989, pp. 38-39.
19 La prima indagine è stata condotta dalla Soprintendenza
per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna tra il 2004
e il 2006, in prossimità dell’incrocio tra la strada che
proviene da Montecchio e la via Emilia (podere Chiesa),
la seconda nel corso della costruzione di una strada di
collegamento tra SP 38 e la SP 39, sempre nel 2006.
41
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 3. Brescello: reperti in metallo, osso lavorato, ambra e pasta vitrea considerati pertinenti a un corredo funerario femminile. Metà del VII
secolo a.C. (Reggio Emilia, Civici Musei).
Procedendo oltre la linea della via Emilia, in territorio parmense sembra conservarsi una tendenza all’aggregazione del popolamento in prossimità
42/
del corso del iume20, anche se non mancano tracce
20 Rinvenimenti di Casalbaroncolo (strutture di abitato;
cenni in Catarsi 2008, p. 142), Casaltone di Sorbolo
Locatelli
Liguri ed Etruschi lungo la via dell’Enza
Fig. 4. Sant’Ilario d’Enza, podere Chiesa (scavo 2006): tratto di acciottolato stradale. VI secolo a.C..
di insediamenti localizzati nella pianura tra Enza e
Parma, forse in relazione a corsi d’acqua minori ora
scomparsi, allineati comunque lungo una direzione
che puntava sulla foce dell’Enza e su Brescello21. Ma
è soprattutto in area reggiana che si riscontra la presenza di allineamenti leggermente divergenti dalla
direttrice principale e aggregati lungo corsi d’acqua
secondari con direzione sud-ovest/nord-est22, nonché di un popolamento più difuso e capillare, come
sembra veriicarsi nella zona di Poviglio (Bottazzi,
Bronzoni, Mutti 1990, pp. 101-121), probabilmente
perché area nella quale le attività di sfruttamento del
territorio prevalgono su quelle commerciali.
Lungo la via dell’Enza – la cui vocazione commerciale sarebbe denunciata anche dal rinvenimento
(tracce di necropoli e tracce di strada selciata; Macellari
2008b, pp. 114-116, 118), Sorbolo-Ramoscello, località
Corte Casino (materiali da ricognizioni di supericie;
Macellari 2008b, pp. 116-117, ig. 6), Sorbolo-Borghetto
di Frassinara (Macellari 2008b, pp.117-119, ig. 4,4-9).
21 Mi riferisco in particolare all’insediamento in località
Pedrignano, i cui materiali mostrano chiari riferimenti,
come si dirà, con altri attestati oltre il Po.
22 Quali quello verso la zona di Ceresola Nova e Gaida e
quello verso l’area di Campegine (Tirabassi 1989, p. 42,
rispettivamente nn. 31-37 e 39-42, tav. II).
di aes rude e di pani di bronzo con impronta del ramo
secco23 – la maggiore testimonianza del rapporto con
il mondo etrusco è rappresentata dalla difusione delle importazioni – con conseguente successivo svilupparsi delle produzioni locali – di vasellame in bucchero, attestato in dalla ine del VII secolo. In alcuni casi
è possibile desumere indicazioni più stringenti circa
l’ambito geograico di riferimento: signiicativa è ad
esempio la difusione della ciotola a vasca carenata con
alto labbro verticale percorso da solcature orizzontali,
forma tipica della produzione pisana di ine VII secolo24; alla stessa produzione pisana è verosimilmente
23 Ciò almeno secondo l’interpretazione di tali reperti come
forma di scambio premonetale, concentrati nella fascia
di pianura proprio in virtù dell’incrociarsi in questa zona
di diverse correnti commerciali. Lungo il corso dell’Enza
sono stati efettuati rinvenimenti a Servirola - San Polo,
Quingento – S. Prospero, Campegine, Poviglio – Via
Tolara. Per la problematica generale e l’illustrazione dei
rinvenimenti, Pellegrini, Macellari 2002, pp. 37-59, 125126, con bibliograia precedente.
24 Per la distribuzione del tipo in ambito tirrenico si veda,
da ultima, Paltinieri 2010, p. 59. Lungo il corso dell’Enza
esemplari sia in bucchero che in impasto provengono
da Ceresola Nova (Ambrosetti, Macellari, Malnati 1989,
tav. IX, 11-12), da Sant’Ilario, dove sono attestati sia
nell’insediamento in località Cave Gazzani (Ambrosetti,
43
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 5. Localizzazione dei principali porti del Tirreno settentrionale attivi nel VII-VI secolo a.C., in probabile rapporto con gli insediamenti
gravitanti sulla Val d’Enza (da Locatelli 2014d).
da attribuire anche la ciotola carenata con stampiglia
a rosette a otto petali da Servirola San Polo (Damiani
et alii 1992, pp. 55, 57-58, n. 244, tav. XXII), o il fondo
di ciotola con stampiglia quadrangolare raigurante
un quadrupede incedente verso destra proveniente
da Parma – località Pedrignano (Stoppani 2013, p. 8),
che pare trovare confronti a Massarosa-San Rocchino
(Paribeni 1990, p. 85, ig. 35, 36).
La presenza di materiali importati dall’ambito
tirrenico settentrionale – un fenomeno che peraltro
non si limita alla sola valle dell’Enza ma investe anMacellari, Malnati 1989, tav. XIV, 2), sia in quello, ancora
inedito, di Podere Chiesa, sia inine in quello di Taneto
(Damiani et alii 1992, n. 268, tav. XXIV).
44/
che la più orientale direttrice del Secchia – induce
allora a interpretare lo strutturarsi di questi assi di
comunicazione come un rilesso di quanto andava
accadendo sulla costa settentrionale del Tirreno.
Qui il commercio marittimo etrusco, già da tempo
attivo e ora egemonizzato dalla città di Pisa, si andava infatti appoggiando su una serie di approdi distribuiti tra la Versilia e il Levante ligure (Maggiani
2004, pp. 222-223; Maggiani 2006), alcuni dei quali
certamente rappresentavano anche punti di penetrazione verso i passi e le vie transappenniniche che
conducevano alla Pianura Padana 25.
25 La problematica è trattata più difusamente in Locatelli
2014d. L’ipotesi di rapporti diretti tra Emilia occidentale
Locatelli
Liguri ed Etruschi lungo la via dell’Enza
Fig. 6. Sant’Ilario d’Enza, Podere Chiesa (scavo 2006): frammenti di vasi carenati in bucchero decorati a stampiglia con raffigurazione di aquila
ad ali aperte. Fine VII-prima metà VI secolo a.C. (disegno C. Buoite).
Una delle vie maggiormente indiziate in questo
senso, soprattutto per il periodo compreso tra il VII e il
VI secolo, è la valle del Magra – ampia e di agevole penetrazione nel tratto più vicino alla costa – dalla quale
all’altezza di Aulla si dipartono le vallecole laterali del
Taverone e dell’Aulella, che conducono rispettivamente ai passi del Lagastrello e del Cerreto e pertanto alle
valli dell’Enza e del Secchia in territorio emiliano.
La foce del Magra era dotata di ben due empori,
quelli di Fiumaretta e di Ameglia, collocati il primo
al limite del territorio ormai etruschizzato della Versilia, il secondo in sponda destra e in territorio ligure26: diicile è però stabilire quale dei due – o in che
misura ciascuno di essi – sia da ritenere responsabile
della distribuzione dei prodotti del commercio etrusco
in territorio emiliano, e nella valle dell’Enza in particolare (Fig. 5).
Non mancano infatti – proprio per la fase di ine
VII-inizi VI – alcune signiicative consonanze con
materiali attestati a Chiavari, sebbene la cronologia
dei contesti emiliani risulti più tarda rispetto a quella
ed Etruria che prescindevano dalla mediazione di
Bologna è già di G. Colonna (Gambari, Colonna 1988,
pp. 155 e 158), che però riteneva la valle del Serchio come
l’itinerario attraverso il quale le importazioni avevano
accesso all’area emiliana.
26 Sull’etruschizzazione dell’area versiliese, da ultimo,
Maggiani 2004, p. 223. Per Fiumaretta: Bonamici 1996,
pp. 34-35. La frequentazione di VII secolo della zona di
Ameglia è documentata da materiali presenti nell’area
della necropoli e nelle stesse tombe di età ellenistica
(Maggiani 2004, pp. 219-220).
dei contesti della necropoli ligure. Per limitarci ai casi
riguardanti la direttrice dell’Enza, si possono citare il
kantharos in bucchero e un pendaglio a verghetta in
bronzo da San Polo d’Enza27, ma soprattutto le stampiglie con raigurazione di un’aquila schematica ad ali
aperte rinvenute in un recente scavo condotto in località Podere Chiesa a Sant’Ilario d’Enza28 (Fig. 6).
Né va sottovalutato anche l’indizio fornito dalla distribuzione delle statue-stele lunigianesi di età
arcaica: evidentemente correlate a forme di autorappresentazione da parte di élites aristocratiche – che
si riappropriavano così di una tradizione scultorea
millenaria – la loro presenza lungo le direttrici sopra
menzionate (valle del Taverone e dell’Aulella) sembra
infatti indicare una sorta di controllo dei percorsi
commerciali da parte di quei gruppi liguri che l’avanzata degli Etruschi sulle coste della Versilia aveva
coninato nell’entroterra (Locatelli 2014d, p. 109).
È dunque possibile che nel corso di tutto il periodo arcaico non fossero gli Etruschi – o comunque
non solo loro – a gestire le esportazioni di materiale
etrusco verso la Pianura Padana e verso il Po, nonché
eventualmente a contribuire al popolamento dei centri
27 Per il primo, presente anche con versioni in impasto
(Damiani et alii 1992, p. 56, n. 249, tav. XXIII): Paltinieri
2010, p. 52, Taz(it) T 02, ig. 27. Per il secondo: Damiani
et alii 1992, p. 169, n. 1349, tav. LXXXVI, con confronti in
Paltinieri 2010, p. 78, Pend(br) T 04, ig. 74.
28 Lo scavo, diretto dalla scrivente, è tuttora inedito. La
stampiglia è confrontabile con quella presente sulla
ciotola carenata proveniente dalla tomba 55D della
necropoli di Chiavari (Paltinieri 2010, p. 59, tav. 70,2).
45
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 7. Distribuzione delle borchie in bronzo di tipo ligure (da Macellari 2008a).
collocati lungo le stesse vie, spinti a ciò dalla necessità
di controllo delle direttrici commerciali utilizzate.
Circa l’eventuale connotazione in senso ligure
di tale popolamento29, la documentazione materiale
distribuita nel corso di tutto il VI secolo non aggiunge molte indicazioni a quelle già evidenziate;
una certa estraneità di alcune forme ceramiche in
impasto rispetto alla tradizione padana è tuttavia
riscontrabile in alcuni insediamenti della fascia di
pianura (ad esempio a Ceresola Nova e a Sant’Ilario
d’Enza30), dove alcune morfologie di olle sembrano richiamare l’ambito ligure, e dove – forse non a
caso – è attestato un particolare ilone produttivo
rappresentato dalla cosiddetta ‘ceramica rusticata’,
cioè quel vasellame con supericie esterna ricoperta prima della cottura da una scialbatura di argilla
liquida atta a rendere scabra la supericie che è do29 In generale sul problema dei rapporti tra mondo ligure ed
Emilia occidentale: Macellari 2008a.
30 Nel secondo caso si tratta dei materiali provenienti dal
recente scavo condotto in località Podere Chiesa; per
Ceresola Nova: Ambrosetti, Macellari, Malnati 1989, pp.
61-65, tavv. VIII-XII.
46/
cumentata, oltre che nel Reggiano, anche in alcuni
siti del Parmense.
Sempre a Sant’Ilario sono poi concentrate, per
quanto concerne la valle dell’Enza, svariate testimonianze relative a contesti tombali inseribili in quella
serie di piccole necropoli a rito misto distribuite nella
fascia di pianura tra Piacenza e il Secchia e databili tra i
decenni centrali del VI e gli inizi del V secolo, le cui tombe a incinerazione sono caratterizzate dalla deposizione entro un grosso dolio posto all’interno del pozzetto
sepolcrale31. È stato sottolineato che tale rituale potreb31 Altro rinvenimento di minore entità lungo l’Enza è
quello presso Casaltone di Sorbolo (Vitali 1983, p. 152,
n. 15, ig. 14). Da raccolte di supericie condotte in area
montana (Groppo in Comune di Vetto citato sopra)
proviene inoltre un frammento di fermaglio di cintura a
serpentina simile a quello della tomba 20 del sepolcreto
delle Fornaci a Sant’Ilario (Ambrosetti, Macellari,
Malnati 1989, tav. XXXVIII,1), che potrebbe indiziare la
presenza di una tomba. Tutta la documentazione relativa
alle tombe a dolio, compresa la inedita necropoli di
Pontenure (PC), è stata presa in esame in Zamboni 20082009 (estrema sintesi in Zamboni 2013). La bibliograia
relativa a tutti i contesti noti è anche in Locatelli 2014d,
Locatelli
Liguri ed Etruschi lungo la via dell’Enza
be trovare paralleli sia nelle necropoli felsinee che in
ambito etrusco-settentrionale, in particolare a Pisa, ma
sono la scarsità (in qualche caso si tratta addirittura di
assenza) di ceramica di accompagno e la presenza di tipologie di oggetti particolari a sottolineare una sorta di
estraneità rispetto al milieu etrusco-padano ed etrusco
in generale, estraneità che – messa in evidenza soprattutto per quanto concerne la sfera dell’abbigliamento e
dell’ornamento – può a ben ragione essere interpretata
come espressione di un’identità culturale precisa.
È infatti la presenza in queste necropoli di elementi quali i fermagli di cintura in lamina quadrangolare con decorazione a sbalzo a puntini e borchiette e
i pendagli a ruota raggiata che ha indotto prima D.
Vitali e poi R. De Marinis a indicare nella documentazione emiliano-occidentale di VI secolo una sorta di
facies autonoma, denominata rispettivamente Sant’Ilario-Correggio e S. Ilario-Remedello, o comunque a
ipotizzare la presenza di piccoli gruppi estranei alle
tradizioni di un’egemonica cultura etrusca32.
Ma, una volta appurata l’esoticità del fenomeno
delle tombe a dolio, imputabile a fatti non ancora
ben chiari33, resta il problema che l’ambito di riferimento culturale non risulta identiicabile in maniera
univoca: i confronti infatti spaziano da un orizzonte
occidentale (cultura di Golasecca) al mondo ligure, a
quello veneto e del Caput Adriae, nonché alla Romagna e a tutto il versante adriatico.
Alle stesse conclusioni conduce l’esame di quella particolare produzione di buccheri a probabile
destinazione cerimoniale o rituale rappresentati da
grandi coppe baccellate, sostegni cilindrici dal proilo costolato, piedi di grandi olle svasati e modanati,
le cui testimonianze sono localizzabili in un’area che
gravita sul basso corso dell’Enza e dell’Oglio, con attestazioni a Remedello, Fontanella Mantovana e – in
area emiliana – a Sant’Ilario e nel già menzionato sito
parmense di Pedrignano, oltre che, talvolta con imitazioni in impasto, a Taneto e San Polo34.
p. 111, nt. 62. In speciico per Sant’Ilario: Ambrosetti,
Macellari, Malnati 1989, passim.
32 Secondo l’opinione di L. Malnati (Malnati 2004, pp. 159160). Per la facies di S. Ilario-Remedello: Vitali 1983, pp.
133-134, 141-142; De Marinis 1986, pp. 65-66, ig. 26;
Damiani et alii 1992, pp. 132-134, 146.
33 Dal momento che la maggior parte delle sepolture
appartiene a individui di sesso femminile, si potrebbe
forse pensare a fenomeni di esogamia piuttosto che allo
spostamento di interi gruppi.
34 Sant’Ilario-Fornaci e Sant’Ilario-Bettolino (coperchi con
alte impugnature modanate): Ambrosetti, Macellari,
Malnati 1989, tavv. XXXIX,3-6 e XLV,1. Taneto (coperchi
Privi di confronti precisi con le produzioni note
dei centri etruschi – se non per vaghe similitudini con
quelle centro-italiche ed etrusco-meridionali35 – questi vasi sembrano raccogliere anche una serie di suggestioni provenienti dal mondo halstattiano orientale. Il fatto dunque che essi siano stati rinvenuti per lo
più in connessione con le necropoli inquadrabili nella
cosiddetta facies S. Ilario-Remedello36, e che gli stessi corredi di questa facies presentino legami piuttosto
stretti – sia a livello di rituale funerario che di tipologie
di materiali – anche con l’area veneto orientale e friulana-isontina, potrebbe indurre a concludere che fenomeni di mobilità a partire da quell’ambito e che nel VI
secolo investono Bologna possano avere ingenerato la
presenza di una tale componente anche in Emilia occidentale (Locatelli 2013a).
La questione – allo stato attuale della documentazione – è ben lungi da una risoluzione deinitiva e
sicuramente cela situazioni complesse, frutto di rapporti con diversi orizzonti culturali, nonché dell’intersecarsi di svariati fattori (rapporti commerciali,
forme di acculturazione, spostamenti di gruppi di
persone). Resta comunque il fatto – per tornare al
problema del rapporto con il mondo ligure – che
nei corredi delle necropoli delle tombe a dolio sono
presenti chiari riferimenti anche a questo ambito, ad
esempio nelle armille a capi aperti con estremità a
pomello simili a prototipi più antichi attestati a Chiacon alte impugnature modanate e fondo di olla): Damiani
et alii 1992, p. 57, nn. 265-266, tav. XXIV (bucchero);
p. 78, nn. 513-514, tav. XLVII (impasto); p. 61, n.
270, tav. XXIV. Parma-Pedrignano: contesto inedito;
anticipazioni in Locatelli 2013c. S. Polo-Servirola (coppa
con baccellature e alto piede di coppa): Damiani et alii
1992, p. 61, n. 269, tav. XXIV e p. 65, n. 327, tav. XXIX
(impasto). Remedello: De Marinis 1986, pp. 62-64.
35 Il che confermerebbe ancora una volta le direttrici di
traico già delineate, dal momento che una componente
etrusco-meridionale è presente lungo la rotta tirrenica in
dalla sua attivazione alla ine dell’VIII secolo, e non viene
meno anche quando tale direttrice è ormai egemonizzata
da Pisa e degli empori del Tirreno settentrionale, come
dimostrano i materiali di tipo etrusco-meridionale
rinvenuti nella necropoli di Chiavari.
36 Così avviene pressoché in tutte le situazioni menzionate,
nelle quali i vasi sono stati rinvenuti in fosse collocate
in prossimità delle sepolture (a Parma-Pedrignano in
una fossa che separa l’area dell’abitato da quella della
necropoli), adombrando tra l’altro la possibilità che
essi siano da riferire a particolari rituali funerari che
contemplino l’utilizzo della ceramica a scopi cerimoniali
ma non la sua deposizione all’interno dei corredi. Sul
problema: Locatelli 2013b, pp. 33-34.
47
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 8. Montecastagneto (Castelnovo ne’ Monti): strutture murarie pertinenti all’insediamento di V-III secolo a.C., rinvenute da G. Chierici e
riportate alla luce nel corso degli scavi del 2006.
48/
Locatelli
Liguri ed Etruschi lungo la via dell’Enza
vari37 e nei fermagli di cintura con decorazione a ile
di puntini a rilievo, forse da considerarsi un’evoluzione tipologica di quelli chiavaresi, che in taluni casi
sostituiscono la decorazione ad appliques semisferiche con quella a pseudo-borchie a rilievo.38
Una delle testimonianze più recenti di questa
fase così complessa per il popolamento della valle
dell’Enza e dell’area emiliano-occidentale in generale è fornita dalla necropoli da poco individuata a
Montecchio, nell’area della cava Spalletti, i cui materiali sono ancora in corso di restauro e di studio39. Si
tratta di una decina di sepolture a inumazione, per lo
più collocate entro casse lignee e ricoperte da piccoli
tumuli di cui sono state riconosciute le tracce. Nonostante l’uso rigoroso dell’inumazione rappresenti
una netta diversiicazione dal rituale misto adottato
nelle precedenti necropoli, la composizione dei corredi, che ad un primo esame sembrano collocabili in
un momento iniziale del V secolo a.C., si allinea al
trend compositivo visto in precedenza. Praticamente
assente è infatti la ceramica, e gli oggetti di ornamento, tutti appartenenti a tipologie attestate anche a San
Polo-Servirola, presentano un panorama di confronti che coinvolge l’ambito golasecchiano, atestino e
adriatico40.
L’assetto del secolo successivo, cui corrisponde la
deinitiva organizzazione del ‘sistema’ Etruria Pada37 Paltinieri 2010, p. 92, tipo Arm(br) T 01, igg. 100-103. In
area emiliana il tipo è attestato a San Polo d’Enza e nella
tomba 3 del sepolcreto di S. Ilario-Fornaci (Ambrosetti,
Macellari, Malnati 1989, p. 104, nn. 16-17, ig. XXVI;
Damiani et alii 1992, pp. 153 e 157, nn. 1165-1167, tav.
LXXIV).
38 Si tratta di una variante del tipo Fermcint(br) T 01,
attestata in ben due tombe della necropoli (Paltinieri
2010, pp. 89-90, igg. 93-94). Difusione in ambito
emiliano: Damiani et alii 1992, pp. 173 e 175, nn. 13661368, 1372, 1375, 1377, tavv. LXXXVII-LXXXVIII.
39 Lo scavo, del 2011, è stato condotto con la direzione
della scrivente per quanto concerne la fase relativa alla
necropoli dell’età del Ferro.
40 Sono infatti presenti, tra gli altri, bracciali spiraliformi
tipo 4, varietà A (Damiani et alii 1992, p. 155, n. 1190,
tav. LXXVII), vari tipi di pendagli a secchiello, tra
cui uno a corpo ovoide e collo cilindrico decorato
da incisioni orizzontali attestato anche a San Polo
(Damiani et alii 1992, p. 167, n. 1325, tav. LXXXV; per il
confronto Damiani et alii 1992, p. 170, nt. 197), pendagli
a bulla (Damiani et alii 1992, pp. 168 e 170, nt. 200,
nn. 1335-1336, tav. LXXXV), vaghi in pasta vitrea con
motivo decorativo a zig zag bianco su fondo blu o con
decorazione “ad occhio” molto difusi in area veneta,
vaghi in ambra e conchiglie cipree.
na e dei suoi capisaldi urbani, vede da un lato una
stabilizzazione del popolamento precedente e un
incremento del numero degli insediamenti41, dall’altro uno stemperarsi di elementi riferibili al mondo
ligure.
Ciò in particolare nella zona di pianura, dove
la documentazione materiale restituita dai centri
di nuova fondazione42 così come da quelli già attivi
nel secolo precedente si allinea completamente con
quanto documentato dal restante ambito etrusco-padano, probabilmente per efetto della probabile – ma
per questo periodo non documentata – attività del
porto luviale di Brescello e del conseguente arrivo
di merci di importazione che, a partire dal porto di
Spina, percorrevano la via luviale del Po. E qui si
concentrano anche le iscrizioni che rivelano la presenza di etruscofoni, per lo più rappresentate da sigle, oppure da prenomi scarsamente signiicativi43,
più raramente da prenomi uniti a gentilizi (Macellari
2004, pp. 146-151).
Non è chiaro tuttavia se il raforzamento della
componente etrusca del popolamento che tali iscrizioni sembrano celare debba essere riferita a fattori
del tutto interni all’area padana (con una gestione
del processo evidentemente da imputare a Bologna)
oppure a nuovi apporti provenienti dall’Etruria propria, come sembrerebbe indicare il gentilizio Perkalina menzionato nell’iscrizione rinvenuta a Fodico
di Poviglio e per il quale A. Maggiani ha proposto
la derivazione dal nome Perkale, che ha riscontri in
Etruria settentrionale44.
Sta di fatto che la via commerciale che nel V secolo percorreva la valle dell’Enza potrebbe ora avere
come corrispondente al di là del crinale appenninico non più la valle del Magra e l’areale ligure, bensì
41 Fenomeni ai quali potrebbe non essere del tutto estranea
la presenza del lituo in bronzo da Sant’Ilario d’Enza,
databile a ine VI secolo e forse riferibile a qualche
episodio di colonizzazione e fondazione (Macellari
1994).
42 Ad esempio il Monte di Montecchio (Macellari 1989a e b;
altri materiali in Damiani et alii 1992, passim, riferimenti
alla p. 242).
43 Come l’υχυ presente su un orlo di anfora attica databile
a ine VI secolo rinvenuto a San Prospero Parmense,
che tuttavia R. Macellari interpreta come nome di un
indigeno acculturato all’etrusca (Macellari 2008a, pp.
364-375).
44 Nel quale tuttavia il suisso –ale potrebbe essere
interpretato come variante ligure del più difuso suisso
padano –alu. Sul problema Macellari 2004, p. 148, con
riferimenti bibliograici.
49
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 9. Montecastagneto (Castelnovo ne’ Monti): materiale di tradizione ligure (ceramica di impasto con decorazioni incise e a tacche, ceramica
depurata dipinta, borchia in bronzo), (disegni C. Buoite; elaborazione grafica R. Gabusi).
quella valle del Serchio in cui, dopo il boom demograico del Bronzo Finale e il successivo spopolamento, decolla una nuova fase insediativa solo a partire
dalla ine del VI secolo a.C. (Ciampoltrini 1993a, p.
73). E l’insieme di queste due percorrenze (Serchio e
Secchia) rappresenta quasi certamente quel sistema
di comunicazioni che dovevano collegare Pisa e il
porto di Spina di cui parlano anche le fonti (Maggiani 1985).
È da rilevare tuttavia che, man mano che dalla
fascia di pianura ci si addentra seguendo questo ipotetico percorso verso il crinale appenninico, oltre a
registrare ancora una volta la presenza di materiali
che esulano dal panorama di quelli normalmente
veicolati lungo le rotte commerciali etrusche ed etru-
50/
sco-padane45, riemergono anche le tracce relative alla
presenza della componente ligure.
Così accade ad esempio per Servirola-San Polo,
centro che è oggetto in questo periodo di una com45 Tali sono ad esempio, in un contesto caratterizzato dalla
presenza di ceramica attica e di vasellame in bronzo
di tipo simposiaco, la iasca da pellegrino in lamina di
bronzo e la ibula presente nella tomba di Bibbiano. La
prima, ampiamente difusa in Italia settentrionale e in area
transalpina, è probabilmente da riferire a una produzione
localizzata in Italia nord-orientale, la seconda – ricollegabile
al tipo Fraore – rappresenta un tipo caratteristico dell’area
golasecchiana. Per l’esame del contesto e dei materiali:
Damiani et alii 1992, pp. 84-85, nn. 545-546; p. 112, n. 751;
p. 115, n. 760; p. 130, n. 963; p. 232; Pellegrini 1989.
Locatelli
Liguri ed Etruschi lungo la via dell’Enza
pleta ristrutturazione in senso urbano (Macellari,
Bertani 1998) e che doveva fare parte di un sistema
integrato a controllo del punto di accesso alla media valle dell’Enza che comprendeva anche il suo
corrispondente in sinistra idrograica, l’abitato di
Guardiola di Guardasone, nonché l’insediamento
sul monte Pezzola, in grado di dominare dall’alto
l’accesso alla vallata46. L’abbondanza di ceramica attica e di importazioni etrusche da un lato (rispetto a
quanto restituito dagli altri insediamenti della valle
dell’Enza)47e la presenza di borchie troncoconiche in
bronzo dall’altro48, fa sì che l’insediamento di Servirola appaia come una sorta di centro di smistamento
tra il lusso di traici che proveniva dal Po e dalla
zona della pianura e quello che giungeva dall’area
etrusco-settentrionale, attraverso un percorso proveniente dai passi appenninici segnalato dagli insediamenti di Monte Tesa e poi di Luceria, presso Ciano
d’Enza (Macellari 2005, p. 37).
La distribuzione delle borchie troncoconiche, oltre a fornire una precisa caratterizzazione culturale
del popolamento di V secolo in area appenninica,
testimonia che il sistema di comunicazioni già visto
operante per un periodo più antico è di nuovo attivo. Benché fondato su un numero maggiore di insediamenti, sorta di punti logistici caratterizzati dalla
presenza di pozzi per l’approvvigionamento idrico
ora ben visibili l’uno dall’altro (Macellari 2008a, pp.
376-377, Macellari 1995b), esso ripropone il percorso
già evidenziato anche per quanto concerne l’innesto
della valle dell’Enza su quella del Secchia nel tratto
più vicino al crinale, nonché per il ruolo centrale rappresentato dalla Pietra di Bismantova (Fig. 7).
46 L’insediamento, già noto per i rinvenimenti ottocenteschi
del Chierici, ha restituito più di recente materiali di V
secolo e ceramiche di tipo ligure. Oggetto di sondaggi
di scavo efettuati dalla Soprintendenza nel 2005, ha
rivelato però uno scarso stato di conservazione degli
elementi strutturali relativi all’occupazione del pianoro.
Per Guardasone: De Marchi 2005, pp. 103-105, ig. 4.
47 Per le importazioni di ceramica attica: Damiani et alii
1992, pp. 84-106, tavv. B-N, passim; probabili importazioni
da area etrusca sono invece gli elementi pertinenti a
candelabri in bronzo e tripodi (Damiani et alii 1992, pp.
203 e 206, nn. 1747-1749 e 1765-1767, tavv. O-P), mentre
di incerto inquadramento è un amphoriskos in pasta vitrea
(Damiani et alii 1992, p. 107, n. 690, tav. A).
48 Ritenute tipiche del costume femminile ligure esse
rappresentano, come è noto, una variante tipologica di
quelle – più antiche – presenti nella necropoli di Chiavari.
Difuse in media e alta valle, San Polo rappresenta il
punto più settentrionale di attestazione (Fig. 7, in questo
articolo).
E tale innesto poteva avvenire ancora una volta
tramite percorsi intervallivi segnati da torrenti tributari dell’Enza. È il caso della via lungo il Tassobbio, su cui è l’insediamento di Monte Venera (Macellari 2005, p. 37), o di quella che – come già nel
Bronzo Finale – toccava il sito di Monte Castagneto, dove gli scavi condotti dal Chierici sul pianoro
sommitale nei decenni inali dell’Ottocento portarono alla luce robuste murature in scaglie di arenaria e un grande pozzo monumentalizzato (sintesi in
Macellari 1995b, pp. 88-90). Indagini condotte dalla
Soprintendenza tra il 2005 e il 2011 hanno consentito di riportare alla luce le strutture individuate dal
Chierici, chiarendo meglio la stratigraia dell’insediamento (Fig. 8).
Lo studio dei materiali recuperati è ancora in
corso, ma una prima loro ricognizione ha consentito di veriicare innanzitutto che la vita dell’insediamento si prolunga per varie fasi edilizie che senza
soluzioni di continuità si dispongono tra il V e il III/
II secolo a.C., nonché la compresenza di materiale
di tipo etrusco-padano con altro rapportabile a una
facies ligure: si tratta di ceramica di impasto con
tipiche decorazioni a onda o a tacche sull’orlo, di
ceramica depurata dipinta aine a quella prodotta
in area apuana49, oltre che delle usuali borchie tronconconiche, rinvenute del resto anche nell’area alle
pendici del monte che doveva fungere da necropoli
dell’insediamento50 (Fig. 9).
Anche nel corso del V secolo tutto l’ambito appenninico continuerebbe pertanto ad essere interessato da un popolamento ligure, senza che la occorrenza di materiale di tipo etrusco, di per sé imputabile
a una circolazione di tipo commerciale, debba necessariamente implicare anche quella presenza isica di
etruscofoni che invece segnalano le iscrizioni della fascia di pianura. Dove senza dubbio l’elemento
etrusco rappresentava componente egemone, funzionale a saldare il consolidato sistema di comunicazioni dell’Etruria padana con le rotte commerciali
transappenniniche, la cui gestione e controllo erano
evidentemente state lasciate – mediante forme di accordo di cui ci sfuggono i contorni – ai Liguri stanziati nel comparto appenninico. Non a caso, infatti,
49 Ciampoltrini 1993b, passim; esempi di vasi appartenenti a
questa produzione anche in De Marinis, Spadea 2004, pp.
422-428.
50 Il Chierici cita infatti il rinvenimento a Ferniola di
sepolture a inumazione e di materiali che di recente
R. Macellari ha identiicato tra quelli della collezione
Chierici: Macellari 2007, p. 102, ig. 2.
51
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
il punto di incontro tra le due sfere di controllo può
essere molto probabilmente identiicato nell’insediamento collocato in corrispondenza dello sbocco in
pianura dell’Enza, su quel terrazzo di Servirola che
alla compresenza di materiali di pertinenza dei due
ambiti associa forme di urbanizzazione sconosciute
nel mondo ligure e comparabili a quelle adottate nei
centri ristrutturati in funzione delle nuove esigenze
del sistema etrusco-padano (ad esempio Marzabotto).
L’assetto delineato sembra inizialmente sopravvivere anche all’invasione gallica degli inizi del IV secolo: ancora per almeno mezzo secolo infatti la fascia
rivierasca del Po, e dunque anche il porto di Brescello,
rimangono sotto il controllo etrusco, a giudicare dai
materiali di datazione più tarda rinvenuti a Brescello
stesso, a Guastalla e a Viadana (sulla sponda lombarda), risultato di quella stessa circolazione di merci che
aveva caratterizzato il secolo precedente51. E la medesima continuità di importazioni di ceramiche attiche
ed etrusche si riscontra, ino alla metà del IV secolo, a
San Polo-Servirola, associata a una presenza di oggetti di tipo lateniano assolutamente sporadica, ma che
proprio qui era stata particolarmente precoce.
Risalgono infatti alla ine del V-inizi del IV secolo
una ibula di tipo tardo-halstattiano occidentale e un
gancio di cintura traforato con motivo igurato, considerati indizio la prima di rapporti commerciali con
l’Europa centro-occidentale, il secondo – in quanto
elemento tipico dell’abbigliamento militare – della
presenza di un guerriero celta52. Ad un periodo più
tardo, collocabile tra la ine del IV e la prima metà
del III, si ascrivono alcuni oggetti di ornamento forse
riferibili a una sepoltura femminile: sia bracciale che
il collare con anelli applicati contornati da elementi
51 Macellari 2004, pp. 153-155. Non è invece chiaramente
valutabile il ruolo di un insediamento posto anch’esso in
prossimità della parte inale del corso dell’Enza, ma in
territorio parmense, quello di Borghetto di Frassinara.
Già attivo nei secoli precedenti, mostra – a giudicare
dalle tipologie della ceramica di impasto – una continuità
di vita anche per il IV-III secolo, ma non ha per ora
restituito materiale di importazione. Il rinvenimento di
un frammento di parete con decorazione di tradizione
lateniana ha fatto sì che esso venisse messo in relazione
con il popolamento celtico della fase dopo l’invasione,
ma si tratta di un tipo di decorazione di norma attestata
anche nelle produzioni liguri. Per il sito in generale:
Macellari 2008b, pp. 117-119, igg. 4, 4-9.
52 Ciò a prescindere dalla questione relativa alla sua dibattuta
provenienza (area centroeuropea o meridionale):
Damiani et alii 1992, n. 1393, pp. 174 e 176, tav. LXXXIX.
Sul problema: Frey 1987; Kruta 1987; Bondini 2003. Per
la ibula: Damiani et alii 1992, n. 967, p. 131, tav. LXIV.
52/
globulari, entrambi con decorazione in stile vegetale
continuo, trovano confronti – come già il precedente gancio traforato - nella zona marniana53. La possibilità che l’insediamento sul terrazzo di Servirola
abbia subito dopo la metà del IV secolo un forte restringimento e sia stato occupato da una necropoli
degli ‘invasori’ è ipotesi che si può basare soltanto sui
materiali menzionati, e su una punta di lancia che il
Chierici dice ritrovata “al centro del tumulo di ghiaia” (Macellari 1997a, p. 1), i quali tuttavia – in assenza
di contesti di riferimento – potrebbero anche essere interpretati come oferte in relazione al culto che
sembra ancora mantenersi in vita intorno al pozzo
situato al centro del terrazzo.
Del resto tutto il territorio aferente al torrente
Enza non restituisce testimonianze attribuibili con
chiarezza all’ethnos celtico in generale, e in particolare poi a quella componente boica che considerazioni
di carattere storico inducono a ritenere ricoprisse un
ruolo egemone anche nel comparto della pianura occidentale, oltre che a Bologna e nel bolognese. La presenza di individui di stirpe celtica è infatti segnalata
soprattutto da oggetti pertinenti la sfera femminile:
così è per i reperti sopra menzionati da San Polo, e
così è per le armille in vetro rinvenute a Bibbiano, che
potrebbero indicare fenomeni altri da quello dell’occupazione stabile del territorio ed essere imputabili
a episodi di esogamia destinati a rinsaldare rapporti
di tipo commerciale, sempre che – in particolare le
ultime – non siano addirittura da inserire nel novero
delle semplici acquisizioni di merci esotiche.54
Poche altre indicazioni non chiaramente interpretabili55, troppo generiche e non più controllabili56, op53 Damiani et alii 1992, nn. 1219 e 1436, pp. 157 e 181, tavv.
LXXXXII e XCI; a essi si aggiunge un collare rigido
inornato (Damiani et alii 1992, n. 1435, p. 181, tav. XCI).
Un confronto stringente per il primo collare è in Kruta
Poppi 1999, pp. 89-90, nn.116-117.
54 Armille in vetro di produzione gallica risultano infatti
abbastanza difuse anche in ambito ligure. Per Bibbiano:
Macellari 1990b (databili tra la seconda metà del III e gli
inizi del II secolo a.C.).
55 Tale è l’iscrizione leponzia di IV secolo a.C. da PoviglioCase Carpi, recante tuttavia l’indicazione di un nome
attestato anche in quelle lunigianesi (Macellari 1990a, pp.
266-267, tav. LXXIX,4).
56 Come le notizie relative al rinvenimento di “ibule celtoetrusche” in località Froldo Croce a Boretto (Carta
Archeologica della provincia di Reggio Emilia. Comune di
Boretto, 1989, p. 18, n. 1) o di un “complesso funebre di tipo
gallico” a Brescello (Carta Archeologica della provincia di
Reggio Emilia. Comune di Brescello, 1989, p. 32, n. 1).
Locatelli
Liguri ed Etruschi lungo la via dell’Enza
pure di cronologia molto avanzata57 si aggiungono alle
precedenti senza contribuire a delineare una isionomia
chiara del territorio di pianura in una fase avanzata del
IV e nel III secolo, mentre piuttosto ben radicato appare – come già in precedenza – il popolamento ligure
dell’area collinare e montana, testimoniato da rinvenimenti di supericie distribuiti tra bassa e alta valle.58
Dato questo quadro generale, è a mio avviso possibile che la più volte sottolineata ‘rinascita’ dei Liguri
della montagna a partire dal momento in cui le invasioni galliche degli inizi del IV secolo determinarono
il tracollo dell’assetto precedente sia da imputare non
tanto a un aumento del controllo da essi esercitato
sul territorio occupato o al fatto che improvvisamente prendano possesso della postazione chiave di Bismantova59, quanto all’isolamento determinatosi nel
tempo proprio a causa dell’invasione e della conseguente lessione dei lussi commerciali lungo le rotte transappenniniche. Flessione che, interrompendo
anche tutte le dinamiche di scambio commerciale e
acculturazione, determinò l’inizio di una nuova fase,
nella quale riemersero gli aspetti speciici e caratterizzanti la sola cultura ligure.
Aspetti che infatti si manifesteranno in pieno, sul
piano sia del rituale funerario che della cultura materiale, nella tarda facies delle tombe a cassetta della
valle dell’Enza60, scaglionate tra la metà del III e la
metà del I secolo a.C. tra l’alta valle e la pianura a segnalare – nei corredi sempre più ricchi di riferimenti
all’ambito romano – la progressiva acculturazione
delle genti liguri della montagna dopo la sconitta subita intorno alla metà del II secolo e le successive deportazioni forzate in pianura in nuovi insediamenti
pienamente inseriti nei circuiti commerciali del nuovo stato romano, come nel caso di Luceria.
57 Una ibula di tradizione lateniana da Poviglio-podere S.
Rosa, confrontabile con esemplari databili a partire dal
I secolo a.C. (Bottazzi, Bronzoni, Mutti 1990, ig. 33,13)
e una moneta da Boretto appartenente a una emissione
non padana, forse pervenuta in età cesariana (Macellari
2008b, p. 119, nt. 36, con bibl. precedente).
58 Dove le ceramiche di impasto di tipo ligure sono spesso
associate a ceramica a vernice nera di produzione nordetrusca. Si tratta dei rinvenimenti di Canossa-castello
di Rossena, Vetto-Monte Sole, Ramiseto-Castellaro di
Cecciola sul fronte reggiano (De Marchi 2005, pp. 193-197,
ig. 21), di Montesalandro di Guardasone, Monte Verola e
Monte La Pila su quello parmense (Idem, pp. 190, 166-169).
59 Sui materiali che documentano la frequentazione ligure
della rupe e della zona circostante nel IV-III secolo a.C.,
su cui in questa sede non ci si soferma in quanto non
strettamente pertinenti alla valle dell’Enza, Macellari
2007, pp. 101-102. Ad essi va aggiunto il recente fortuito
rinvenimento, da parte di I. Tirabassi, di tre corredi funerari
con oggetti di tipologia ligure efettuato lungo la parete
meridionale della Pietra, rinvenimento tuttora inedito.
60 Per la seriazione cronologica delle tombe Malnati 1990,
pp. 285-289 e Malnati 2004, pp. 162-163; sintesi sui
diversi corredi sono anche in Macellari 2005, pp. 43-44
e Macellari 1997a, pp. 3-4, con carta di distribuzione dei
rinvenimenti (ig. 3).
Bottazzi, Bronzoni, Mutti 1990 = G. Bottazzi, L. Bronzoni, A. Mutti (a c.), Carta archeologica del comune di Poviglio:
1986-1989, Poviglio 1990.
Riferimenti bibliografici
Ambrosetti, Macellari, Malnati 1989 = G. Ambrosetti,
R. Macellari, L. Malnati (a c.), Sant’Ilario d’Enza. L’età della colonizzazione etrusca. Strade villaggi sepolcreti, Reggio
Emilia 1989.
Ambrosetti, Macellari, Malnati 1990 = G. Ambrosetti,
R. Macellari, L. Malnati (a c.), Vestigia Crustunei. Insediamenti etruschi lungo il corso del Crostolo, Reggio Emilia 1990.
Armanini 2007 = M. Armanini, La Liguria apuana tra
Bronzo Finale e romanizzazione: conoscenze attuali, interpretazioni e prospettive future, in «AttiMemModena» 29, 2007,
pp. 307-399.
Bonamici 1996 = M. Bonamici, Contributo alle rotte arcaiche nell’alto Tirreno, in «StEtr» 61, 1996, pp. 3-43.
Bondini 2003 = A. Bondini, I ganci di cintura traforati del Veneto: proposta di lettura iconograica, in D. Vitali (a
c.), «L’immagine tra mondo celtico e mondo etrusco-italico»,
Bologna 2003, pp. 85-112.
Catarsi 2008 = M. Catarsi, Testimonianze dell’età del Ferro
dal Parmense, in M. Bernabò Brea, R. Valloni (a c.), «Archeologia ad alta velocità in Emilia. Indagini geologiche e archeologiche lungo il tracciato ferroviario», (Quaderni di archeologia
dell’Emilia Romagna 22), Firenze 2008, pp. 139-146.
Catarsi Dall’Aglio 1997a = M. Catarsi Dall’Aglio, S. Polo
d’Enza, località Pontenovo, in «AEmil» 1/2, 1997, p. 20.
Catarsi Dall’Aglio 1997b = M. Catarsi Dall’Aglio, S. Polo
d’Enza, località Pontenovo, in «AEmil» 1/2, 1997, pp. 43-44.
Catarsi, Dall’Aglio 1978 = M. Catarsi, P.L. Dall’Aglio, La
necropoli protovillanoviana di Bismantova, Reggio Emilia 1978.
Ciampoltrini 1993a = G. Ciampoltrini, L’insediamento
etrusco nella Valle del Serchio dall’Età del Ferro al VI secolo
a.C.. Nuovi contributi archeologici, in «StEtr» 58 (1992), 1993,
pp. 53-73.
Ciampoltrini 1993b = G. Ciampoltrini, Ricerche sugli insediamenti liguri dell’Alta Valle del Serchio, in «BdA» 19-21,
1993, pp. 39-70.
Damiani et alii 1992 = I. Damiani, A. Maggiani, E. Pellegrini, A.C. Saltini, A. Serges, L’Età del Ferro nel Reggiano. I
53
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
materiali della collezione dei Civici Musei di Reggio Emilia, I,
Reggio Emilia 1992.
De Marchi 2005 = L. De Marchi, Archeologia globale del
territorio tra Parmense e Reggiano. L’età del ferro nelle valli
Parma, Enza e Baganza tra civilizzazione etrusca e cultura
ligure, Prato 2005.
De Marinis 1986 = R. De Marinis, I commerci dell’Etruria con i paesi a nord del Po dal IX al VI secolo a.C., in R. De
Marinis (a c.), «Gli Etruschi a nord del Po», Mantova 1986,
pp. 52-81.
De Marinis, Spadea 2004 = R. C. De Marinis, G. Spadea
(a c.), I Liguri. Un antico popolo europeo tra Alpi e Mediterraneo, Ginevra-Milano 2004.
Frey 1987 = O.H. Frey, Sui ganci di cintura celtici e sulla prima fase di La Téne nell’Italia del nord, in Vitali 1987, pp. 9-20.
Gambari, Colonna 1988 = F.M. Gambari, G. Colonna, Il
bicchiere con iscrizione arcaica da Castelletto Ticino e l’adozione della scrittura nell’Italia nord-occidentale, in «StEtr» 54
(1986), 1988, pp. 119-164.
Kruta 1987 = V. Kruta, Il corallo, il vino e l’Albero della
vita: apporti peninsulari allo sviluppo della civiltà di La Tène,
in Vitali 1987, pp. 23-33.
Kruta Poppi 1999 = L. Kruta Poppi (a c.), Le arti del fuoco dei Celti. Ceramica, ferro, bronzo e vetro nella Champagne
dal V al I secolo a.C., Sceaux 1999.
Lasagna Patroncini 1990 = C. Lasagna Patroncini, Materiali sparsi attribuibili all’Età del Ferro, in «QuadAReggio»
5, 1990, pp. 135-164.
Locatelli 2009 = D. Locatelli, La pianura emiliana occidentale tra VIII e VI secolo a.C. Considerazioni dopo le ultime ricerche, in C. Chiaramonte Treré (a c.), «Archeologia
preromana in Emilia occidentale. La ricerca oggi tra monti e
pianura», Milano 2006, Milano 2009, pp. 23-59.
Locatelli 2013a = D. Locatelli, Stranieri a Felsina e forse
nella pianura occidentale. Dinamiche di mobilità in Emilia
nel VI secolo a.C., in G.M. Della Fina (a c.), «Mobilità geograica e mercenariato nell’Italia preromana», Atti del XX
Convegno Internazionale di Studi sulla Storia e l’Archeologia
dell’Etruria, in «AnnFaina» 20, 2013, pp. 361-395.
Locatelli 2013b = D. Locatelli, Riti per i defunti o riti per i
vivi?, in Locatelli, Malnati, Maras 2013, pp. 33-36.
Locatelli 2013c = D. Locatelli, Una produzione di buccheri monumentali, in Locatelli, Malnati, Maras 2013, p. 38.
Locatelli 2014a = D. Locatelli, L’Età del Bronzo Finale e i
baluardi montani di un sistema di relazioni “internazionali”,
in Tirabassi 2014, pp. 34-35.
Locatelli 2014b = D. Locatelli, La necropoli di Campo
Pianelli: caratteristiche e aspetti del rituale, in Tirabassi 2014,
pp. 36-37.
Locatelli 2014c = D. Locatelli, La necropoli di Campo
Pianelli: i corredi come “rappresentazione” della comunità, in
Tirabassi 2014, pp. 38-40.
54/
Locatelli 2014d = D. Locatelli, Sulla via per il Bodinco.
Mondo ligure ed Emilia tra VII e VI secolo a.C., in F. Benente, N. Campana (a.c.), «Antiche genti del Tigullio a Chiavari.
Dalla necropoli ligure al Medioevo», Atti del Convegno di
Studi, Chiavari 2010, Bordighera-Chiavari 2014, pp. 103-117.
Locatelli, Malnati c.s. = D. Locatelli, L. Malnati, L’Emilia dal Bronzo Finale all’età orientalizzante, in «Preistoria e
protostoria dell’Emilia Romagna», Atti della XLV Riunione
Scientiica dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria,
Modena 2010, c.s.
Locatelli, Malnati, Maras 2013 = D. Locatelli, L. Malnati,
D.F. Maras (a c.), Storie della prima Parma. Etruschi, Galli e
Romani. Le origini della città alla luce delle nuove scoperte
archeologiche, Roma 2013.
Macellari 1989a = R. Macellari, Montecchio. Insediamento di tipo rustico in località il Monte, in Ambrosetti, Macellari, Malnati 1989, pp. 215-222.
Macellari 1989b = R. Macellari, Montecchio. Il sepolcreto
situato nei pressi del Monte, in Ambrosetti, Macellari, Malnati 1989, pp. 223-224.
Macellari 1990a = R. Macellari, Poviglio – Case Carpi, in
Ambrosetti, Macellari, Malnati 1990, pp. 265-269.
Macellari 1990b = R. Macellari, Bibbiano – La Castellina. Testimonianze di età ellenistica, in Ambrosetti, Macellari, Malnati 1990, pp. 281-283.
Macellari 1994 = R. Macellari, Lituo in bronzo nel museo “Gaetano Chierici” di Paletnologia a Reggio Emilia, in
«Quaderni del Museo Archeologico Etnologico di Modena»
1 (1991), 1994, pp. 209-212.
Macellari 1995a = R. Macellari, Comunità etrusche e liguri sulla Pietra e nelle sue adiacenze, in S. Farri (a c.), Bismantova, Parma 1995, pp. LXVII-LXXVI.
Macellari 1995b = R. Macellari, Pozzi etruschi in val
d’Enza, in «Ocnus» 3, 1995, pp. 87-107.
Macellari 1997a = R. Macellari, Testimonianze di età ellenistica nell’insediamento di Servirola presso San Polo d’Enza, «PagA» 6, 1997.
Macellari 1997b = R. Macellari, Età del Ferro, in R. Macellari, I. Tirabassi (a c.), Montecchio Emilia, Reggio Emilia
1997, pp. 71-92.
Macellari 2004 = R. Macellari, Gli Etruschi del Po, in
«Ocnus» 12, 2004, pp. 145-160.
Macellari 2005 = R. Macellari, Il versante destro della
Valle dell’Enza nel primo millennio a.C., in De Marchi 2005,
pp. 29-62.
Macellari 2007 = R. Macellari, Testimonianze di cultura
ligure sulla montagna reggiana dal V al II secolo a.C., in R.
C. De Marinis, G. Spadea (a c.), «Ancora sui Liguri. Un antico popolo europeo tra Alpi e Mediterraneo», Vol. II, Genova
2007, pp. 99-104.
Macellari 2008a = R. Macellari, Rapporti tra Etruschi e
mondo ligure, in G.M. Della Fina (a c.), «La colonizzazione
Locatelli
Liguri ed Etruschi lungo la via dell’Enza
etrusca in Italia», Atti del XV Convegno Internazionale di
Studi sulla Storia e l’Archeologia dell’Etruria, in «AnnFaina»
15, 2008, pp. 365-400.
Macellari 2008b = R. Macellari, Fra Etruschi e Celti, Sorbolo e il suo territorio nel primo millennio a.C., in R. Conversi, R. Macellari (a c.), «Una storia in comune: 1806-2006»,
Atti della Giornata di Studi, Sorbolo 2006, Parma 2008, pp.
113-122.
Macellari, Bertani 1998 = R. Macellari, M.G. Bertani,
L’abitato di Servirola-San Polo, in «Atti del XIII Congresso
U.I.S.P.P.», Forlì 1996, Forlì 1998, pp. 637-643.
Pellegrini, Macellari 2002 = E. Pellegrini, R. Macellari, I
lingotti con il segno del ramo secco. Considerazioni su alcuni
aspetti socio-economici nell’area etrusco-italica durante il periodo arcaico, Pisa-Roma 2002.
Perazzi 2004 = P. Perazzi, Il Bronzo Medio, Recente e
Finale nella Toscana settentrionale, in De Marinis, Spadea
2004, pp. 135-141.
Peroni 1975 = R. Peroni, Studi sulla cronologia delle civiltà di Este e Golasecca, Firenze 1975.
Preistoria protostoria 1975 = Preistoria e protostoria nel
Reggiano. Ricerche e scavi 1940-1965, Reggio nell’Emilia 1975.
Maggiani 1985 = A. Maggiani, Pisa, Spina e un passo
controverso di Scilace, in G. Bermond Montanari (a c.), «La
Romagna tra VI e IV secolo a.C. nel quadro della protostoria
dell’Italia centrale», Atti del Convegno, Bologna 1982, Bologna 1985, pp. 307-319.
Saronio 1989 = P. Saronio, L’Età del Ferro a Quingento nel quadro della protostoria dell’Emilia occidentale, in
«Quingento di San Prospero fra il II e il I millennio a.C.»,
Parma 1989, pp. 107-134.
Maggiani 2004 = A. Maggiani, Momenti dell’acculturazione etrusca tra i Liguri orientali dalla ine dell’VIII al V secolo a.C., in De Marinis, Spadea 2004, pp. 219-223.
Sassatelli, Govi 1992 = G. Sassatelli, E. Govi, Testimonianze di età preromana: strade e “monumentalizzazione”, in
L. Quilici, S. Quilici Gigli (a.c.), «Tecnica stradale romana»,
Roma 1992, pp. 125-139.
Maggiani 2006 = A. Maggiani, Rotte e tappe nel Tirreno
settentrionale, in S. Gori, M.C. Bettini (a c.), «Gli Etruschi
da Genova ad Ampurias», Atti del XXIV Convegno di Studi
Etruschi e Italici, Marseille-Lattes 2002, Pisa-Roma 2006, pp.
435-453.
Stoppani 2013 = C. Stoppani, Materiali per Parma etrusca, in Locatelli, Malnati, Maras 2013, pp. 7-9.
Tirabassi 1989 = I. Tirabassi, Topograia storica della Valle
dell’Enza, in Ambrosetti, Macellari, Malnati 1989, pp. 37-54.
Malnati 1990 = L. Malnati, Villa Baroni di Roncolo
(Quattro Castella). Sepolcreto di età ellenistica, in Ambrosetti, Macellari, Malnati 1990, pp. 285-295.
Tirabassi 2014 = I. Tirabassi (a c.), Antichissima Bismantova. Il sito pre-protostorico di Campo Pianelli: 150 anni di
ricerche, Pescara 2014.
Malnati 2004 = L. Malnati, I Liguri in Emilia, in M. Venturino Gambari, D. Gandoli (a c.), «Ligures celeberrimi. La
Liguria interna nella seconda età del Ferro», Atti del Congresso Internazionale, Mondovì 2002, Bordighera 2004, pp.
159-164.
Tirabassi, Zanini 1999 = I. Tirabassi, A. Zanini, Alla ricerca di piste pre-protostoriche sull’Appennino tosco-ligure-emiliano. Relazione preliminare, in «L’Appennino: un crinale
che univa e unirà», Convegno di studi storici, Castelnovo ne’
Monti 1998, Castelnovo ne’ Monti 1999, pp. 197-260.
Miari 2004 = M. Miari, Il Bronzo Finale e l’inizio dell’Età
del Ferro nell’Appennino emiliano, in De Marinis, Spadea
2004, pp. 153-157.
Vitali 1983 = D. Vitali, L’Età del Ferro nell’Emilia occidentale; dati, considerazioni e proposte, in «Studi sulla città antica.
L’Emilia Romagna», Roma, pp. 129-172.
Montanari, Tirabassi 2007 = P. Montanari, I. Tirabassi
(a c.), Gli antichi Liguri a Carpineti. Ricerche archeologiche
vecchie e nuove sul crinale Fosola-Valestra, Felina 2007.
Vitali 1987 = D. Vitali (a c.), Celti ed Etruschi nell’Italia
centro-settentrionale dal V sec. a.C. alla romanizzazione, Atti
del colloquio internazionale, Bologna 12-14 aprile 1985, Bologna 1987.
Paribeni 1990 = E. Paribeni (a c.), Etruscorum ante quam
Ligurum. La Versilia tra VII e III secolo a.C., Pontedera 1990.
Paltinieri 2010 = S. Paltinieri, La necropoli di Chiavari.
Scavi Lamboglia (1959-1969), Bordighiera-Chiavari 2010.
Pellegrini 1989 = E. Pellegrini, Bibbiano – La Castellina. Tomba a inumazione, in Ambrosetti, Macellari, Malnati
1990, pp. 271-279.
Zamboni 2008-2009 = L. Zamboni, Contesti funerari arcaici in Emilia occidentale. Una cultura di frontiera alla luce
di nuove indagini, Tesi di Specializzazione, Università degli
Studi di Milano, a.a. 2008-2009.
Zamboni 2013 = L. Zamboni, Le necropoli con tombe a dolio, in Locatelli, Malnati, Maras 2013, pp. 45-47.
55
Luceria tra Liguri e Romani
alla luce degli scavi
degli anni Ottanta
Luigi Malnati
Direttore Generale per le Antichità Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo
Il mio legame afettivo con Reggio Emilia e la
sua provincia risale all’inizio della mia carriera di
archeologo e di funzionario del Ministero dei Beni
Culturali, in una stagione che è stata felice, certo non
per merito mio, ma per una serie di circostanze concomitanti, per l’archeologia italiana; a Reggio Emilia
ho comunque trovato una situazione particolarmente positiva e favorevole sia per gli stimoli professionali e scientiici, sia per l’ambiente umano, cordiale
e civile quanto può esserlo la provincia per chi la sa
apprezzare.
Nel 1983, pochi anni dopo la nomina a funzionario archeologo nella Soprintendenza Archeologica
dell’Emilia Romagna, in accordo con il Comune di
Ciano d’Enza (ora Canossa), promuovevo con il sostegno dell’allora Soprintendente Giovanna Bermond
Montanari, la ripresa degli scavi nel sito dell’antica
Luceria.
Non si trattava di una scelta evidentemente casuale, ma di una strategia che esprimeva la volontà
di indagare alcune delle principali evidenze archeologiche della provincia di Reggio Emilia, già a suo
tempo messe in luce dall’opera, in particolare, di Gaetano Chierici, e che aveva portato la Soprintendenza
l’anno precedente a condurre una campagna di scavo
anche a Bismantova.
Per quanto riguarda Luceria, lo scopo dell’intervento di scavo era anche legato a motivi di tutela, in
quanto si trattava di veriicare le condizioni di conservazione dell’area archeologica e di deinirne l’estensione a seguito di interventi edilizi che erano stati efettuati negli anni Settanta e che avevano portato
all’ediicazione di alcuni stabili a poca distanza dal
limite presunto dei resti archeologici. In tali interventi, i controlli in corso d’opera non pare avessero
identiicato la presenza di resti antichi.
Gli scavi, che a partire dalla ine del Settecento
avevano interessato il sito, avevano messo in luce resti riferibili ad un centro di età romana relativamente
poco esteso ma con strutture urbane ben riconoscibili, in particolare una strada selciata, pozzi in cotto, diversi ambienti delimitati da fondazioni in ciottoli e alcune sepolture ad incinerazione in cassetta di tegole.
Il sito, identiicato con la Nuceria citata da Tolomeo tra le città della Gallia Togata per la presenza sul
posto del “ri d’Lusera”, presenta un particolare rilievo
nell’indagine sulla problematica relativa al processo
di romanizzazione delle popolazioni liguri dell’Appennino emiliano, Friniati e Apuani. Tra le sepolture
recuperate lungo la strada selciata almeno una, di cui
si è conservato il corredo, è infatti sicuramente attribuibile ai Liguri. Si tratta della tomba 3 del 1861, la
cui struttura era costituita da una cassa laterizia, con
pareti in mattoni, piano e copertura in tegole. I mattoni erano di dimensioni anomale rispetto ai sesquipedali canonici, con misure (52x40x4) che richiamano quelli rinvenuti nelle mura di Ravenna o in quelle
di Modena, presumibilmente databili nell’arco del II
secolo a.C. e riutilizzati in una sepoltura di epoca leggermente posteriore. La datazione del corredo, ad incinerazione entro una situla bronzea, riposa soprattutto sulla ibula in argento tipo Nauheim: l’orizzonte
di tali ibule è ora collocato all’inizio del La Tène D,
negli anni a cavallo del 100 a.C.
57
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 1. Saggi di scavo sul sito di Luceria.
Si tratta di una sepoltura femminile di rango appartenente all’élite di stirpe ligure che si stava integrando nella cultura romana dominante: soprattutto
le ibule e i braccialetti in argento si inquadrano nella
tradizione locale, mentre le collane, il vaso utilizzato come cinerario e la stessa struttura laterizia della
tomba rivelano il processo di acculturazione ormai
avanzato.
Questa sepoltura, per altro non isolata, anche se
delle altre tombe rinvenute non sono state conservate
le associazioni in corredo, era indicativa delle potenzialità d’indagine del sito di Luceria per quanto riguarda la fase inale della cultura ligure in Emilia. È
per questo motivo che i sondaggi del 1983, proseguiti
nel 1985, si sono particolarmente concentrati sull’analisi stratigraica dell’insediamento, non limitandosi quindi allo scoprimento dei resti archeologici di
età imperiale romana, ad evidenza strutturale e monumentale, ma concentrandosi anche sull’individuazione della fasi precedenti (ig. 1).
Si presentava quindi l’occasione concreta di investigare un abitato ligure dell’Appennino emiliano,
58/
in una situazione di scarsa conoscenza di queste realtà in regione; negli stessi anni invece scavi mirati e
studi sistematici erano stati condotti in tutte le realtà liguri contermini, in Liguria, nel Piemonte meridionale e nella Toscana settentrionale (Chiaramonte
Treré 2003).
Riepilogherò in forma sintetica i risultati dei sondaggi eseguiti nel 1983 e nel 1985, in quanto sono
stati editi in forma pressoché completa nel 1990, nel
III volume della collana di Studi Miscellanei promossa dal compianto amico Fernando Rebecchi (Cerchi
1987; Malnati et alii 1990.).
Le aree sottoposte a scavo furono due, una (AC) collocata nel settore meridionale del centro antico (ig. 2), in prossimità delle realizzazioni edilizie
più recenti, allo scopo di delimitare in via deinitiva l’area archeologica e escludere al di là di qualsiasi dubbio ogni possibilità di ulteriori ediicazioni,
l’altra (B-D) più spostata verso Ovest (ig. 3), dove
il maggior declivio assicurava una consistenza stratigraica del deposito archeologico meglio conservata.
Malnati
Luceria tra Liguri e Romani alla luce degli scavi degli anni Ottanta
Fig. 2. Settori A e C di età romana.
Il primo saggio (A-C) ha rilevato la presenza di
strutture edilizie di età romana in due diverse fasi, la
più recente delle quali, mal conservata perché piuttosto supericiale (ig. 4a-b), vive almeno ino al IV secolo d.C., come testimoniato dal rinvenimento di un
follis in bronzo di Costanzo Cesare, datato tra il 330
e il 335; la più antica fase strutturale sembra datarsi ad età augustea. Si tratta di fondazioni murarie in
ciottoli e pochi laterizi unite con malta, che sembrano mantenere l’orientamento dell’impianto stradale
individuato in varie occasioni in passato e riscoperto
negli scavi più recenti (ig. 5).
Nel saggio è stato possibile veriicare la stratigraia, che conservava, al di sotto dello strato di età
romana un livello di frequentazione con reperti riferibili all’orizzonte ligure databili sicuramente al III-I
secolo a.C., con qualche indizio riferibile anche a periodi precedenti.
Nel secondo sondaggio (B-D) i livelli di età romana, riferibili alla prima età imperiale, erano molto
mal conservati e limitati a resti di strutture murarie
e ad un piano pavimentale in battuto. Al di sotto di
queste strutture sono stati messi in luce un ambiente rettangolare e una modesta porzione di un altro
vano contiguo, entrambi appartenenti ad un ediicio
abitativo, obliterato dalle strutture successive (figg.
6a-b). I due ambienti erano sotto-scavati per circa 25
cm rispetto al terreno vergine e si erano conservati in modo decisamente buono, almeno per quanto
riguarda i piani pavimentali, in cocciopesto con rarissimi inserimenti di tessere bianche. Gli ambienti
erano delimitati da fondazioni murarie in ciottoli
ben connessi.
I livelli di crollo di questo ediicio erano costituiti principalmente da frammenti di tegoloni che riempivano completamente la cavità artiiciale ino al
livello del piano pavimentale della fase successiva; tra
i reperti riferibili alla demolizione dell’ediicio era un
frammento di ceramica a pareti sottili grigia, che ne
deinisce l’obliterazione nella prima metà del I secolo
d.C., in coincidenza con la nuova fase edilizia. Il poco
materiale recuperato invece in un piccolo saggio al di
sotto delle strutture scoperte colloca la fondazione di
questo ediicio nella fase di II secolo a.C., in accordo
59
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 3. Settore B, fase romana.
60/
Malnati
Luceria tra Liguri e Romani alla luce degli scavi degli anni Ottanta
Fig. 4a. Settore C, strutture di età tardoantica.
61
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 4b. Settore C, strutture di età tardoantica.
con il materiale edilizio che costituiva la copertura
ittile in tegole.
Purtroppo gli impegni connessi con il continuo
lavoro di tutela svolto nella provincia di Reggio Emilia negli anni successivi non mi hanno consentito di
proseguire gli scavi di Luceria, come mi ero ripromesso di fare, proprio allo scopo di indagare meglio la prima fase insediativa di questo abitato, così
importante per lo studio dell’integrazione delle popolazioni liguri nella nuova provincia romana della
Cispadana.
Per quanto riguarda i risultati degli scavi di quegli anni, a trent’anni di distanza, non mi sofermerò
sulla fase di età romana, per la quale i successivi interventi di scavo di Enzo Lippolis e Renata Curina
hanno portato novità e dati più sostanziali. Tuttavia
le informazioni acquisite all’epoca per la fase dell’insediamento ligure mi sembrano ancora importanti.
Mi pare chiaro che è stata confermata la cronologia
relativamente tarda dell’insediamento di Luceria,
presumibilmente tra la ine del III e l’inizio del II secolo a.C., in accordo quindi con i dati della necropoli,
per quel che si è potuto recuperare di quest’ultima.
62/
Siamo quindi nella fase immediatamente successiva
alla prima vittoria romana sui Boi nel 223 o, al massimo, alla disfatta deinitiva dei Liguri Friniati nel 177
a.C..
Si può pensare ragionevolmente che, nel momento in cui è ormai chiusa la fase di scontro tra Liguri
e Roma, le comunità liguri superstiti dell’Appennino
(i Romani operarono vere e proprie deportazioni in
pianura e addirittura nella penisola) si siano andate
concentrando in centri abitati di maggiori dimensioni nelle aree di fondo valle, lasciando il sistema di
villaggi arroccati in posizioni d’altura. In tali centri
maggiormente inseriti nei circuiti commerciali e culturali romani, collegati ai centri coloniali, avviene in
modo graduale il processo di romanizzazione, che si
va concludendo presumibilmente in età augustea. Si
tratta di un percorso che, a grandi linee e in modo
più clamoroso, avviene sui colli Piacentini per quanto riguarda Veleia.
Credo che l’eventuale prosecuzione delle indagini a Luceria possa in futuro meglio chiarire queste
fasi ancora non suicientemente note dell’archeologia regionale.
Malnati
Luceria tra Liguri e Romani alla luce degli scavi degli anni Ottanta
Fig. 5. Settore B, strutture di età imperiale.
63
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 6a. Settori B e D, fase di II-I sec. a.C. Planimetria.
Mi sia consentito concludere questa breve nota con
il ricordo di coloro che con me collaborarono a quello
scavo, tutti non solo collaboratori, ma cari amici, molti
dei quali hanno continuato e continuano anche oggi
64/
a lavorare con successo come archeologi: Lia Scotti,
Anna Maria Volontè, Laura Romanazzi, Enrica Cerchi
(la cui tesi su Luceria è stata fondamentale), Ivan Chiesi, Donato Labate, Maurizio Forte, Gian Luca Bottazzi.
Malnati
Luceria tra Liguri e Romani alla luce degli scavi degli anni Ottanta
Fig. 6b. Settori B e D, fase di II-I sec. a.C. foto.
Riferimenti bibliografici
Cerchi 1987 = E. Cerchi, Luceria e il popolamento romano nella bassa valle dell’Enza, in M. Calzolari, G. Bottazzi (a
c.), «L’Emilia in età Romana. Ricerche di topograia antica»,
Modena 1987, pp. 69-83.
Chiaramonte Treré 2003 = C. Chiaramonte Treré
(a c.), Antichi liguri sulle vie appenniniche tra Tirreno e
Po: nuovi contributi, Milano, 17 gennaio 2002, Milano
2003.
Malnati et alii 1990 = L. Malnati, E. Cerchi, I. Chiesi, D.
Labate, Gli scavi di Ciano d’Enza 1983-1985 e il problema del
rapporto tra Liguri e Romani, in F. Rebecchi (a c.), «Miscellanea di Studi Archeologici e di Antichità», III, Modena 1990,
pp. 75-99.
65
I Romani nella Pianura Padana
e a Luceria: occupazioni,
integrazioni e ibridismi culturali
Enzo Lippolis
Dipartimento di Scienze dell’Antichità - Università La Sapienza di Roma
Nella cultura contemporanea il tema della colonizzazione ha acquistato un’importanza particolare,
connessa al nuovo ‘ordine’ internazionale. L’interesse
scaturisce dalla profonda trasformazione del sistema
geopolitico iniziata con la ine della seconda guerra
mondiale, che ha comportato un progressivo ridimensionamento della posizione dominante a lungo
esercitata dalle nazioni europee. In una prima fase,
l’emancipazione politica di colonie e protettorati ha
posto le basi di un nuovo sistema di rapporti, che
si è afermato in un secondo momento, quando si è
imposta la tendenza a una marcata globalizzazione
incentivata dalle nuove forme di elaborazione e di comunicazione digitale, responsabili di una vera e propria rivoluzione. Così, mentre le nazioni europee iniziano ad afrontare il rischio di una subalternità che
potrebbe invertire i ruoli consueti, si è avviata una
rilessione sempre più critica sul tema dei rapporti tra
comunità, sui meccanismi come sulle conseguenze
sociali dei fenomeni legati alle dominazioni di tipo
imperialista, attuate in maniera più o meno violenta, sui processi di integrazione e sullo sviluppo delle
culture miste, gli ibridismi, su cui si è sviluppato un
acceso dibattito.
Al centro dell’analisi si pongono soprattutto il
sistema coloniale messo in atto dalle potenze europee tra Ottocento e Novecento e le motivazioni che
lo avevano giustiicato. La superiorità culturale e
l’opera di civilizzazione invocate dagli europei oggi
appaiono sempre più chiaramente il processo di mistiicazione di una realtà animata invece da soprafazioni brutali, da sconvolgimenti radicali dei sistemi
di vita delle diverse società violentate dalla presenza
europea, con la riscoperta del punto di vista e della
qualità culturale degli ‘altri’. La crescita culturale e
di identità delle vaste regioni colonizzate o un tempo oggetto di tentativi di colonizzazione, comprese
alcune che apparivano depositarie, sin dall’inizio,
di una storia sociale complessa e autorevole, come la
Cina o l’India, hanno costretto gli osservatori a constatare in molti casi il fallimento e l’ingiustizia del
colonialismo.
Non ci si deve meravigliare se tali indirizzi di ricerca abbiano cercato paralleli proprio nei fenomeni
di colonizzazione antica, per cercare di riconoscerne meccanismi e forme applicative. In quest’ottica,
quindi, hanno acquistato un interesse particolare le
vaste colonizzazioni conosciute dal Mediterraneo e
dall’Europa, prima per opera delle comunità greche
tra VIII e II sec. a.C. e poi per mano dello stato romano tra la seconda metà del IV sec. a.C. e il IV sec. d.C.
La riscoperta del ruolo delle popolazioni soggette a
queste occupazioni e le trasformazioni indotte da tali
sistemi politici invitano a rivalutarne la capacità di
autonomia e a sottolinearne forme di identità riconoscibili. Anche per poter deinire queste comunità
subalterne, si è aperta una discussione sulla terminologia più corretta per poterle indicare: indigeni, nativi, locali, autoctoni sono alcuni dei nomi impiegati,
quando non si preferisce usare semplicemente gli etnonimi originari, se sono attestati.
La cattiva coscienza degli Europei contemporanei si muove, quindi, ora più correttamente, nella
direzione di una rivalutazione attenta dei casi e dei
67
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 1. Appennino bolognese presso Monterenzio, in cui è ubicato il sito archeologico di Monte Bibele.
ruoli assunti dai diversi protagonisti di tali vicende
storiche ma non può adattare la realtà antica all’immaginario contemporaneo. L’occupazione dell’Italia
romana, per esempio, non può non essere riconosciuta in tutta la sua brutalità, in maniera indipendente
dagli esiti culturali del processo messo in atto. Nel
momento della conquista e della rideinizione territoriale e amministrativa dei territori si sono sperimentate, infatti, soluzioni radicali e diverse: pogrom
di intere comunità (per es. nel caso degli Equi, dei
Cartaginesi o dei Corinzi), deportazioni di massa
(come per i Picenti e per i Liguri), difuse espropriazioni e marginalizzazioni, interventi che hanno condizionato in maniera nuova e deinitiva il panorama
geo-politico e sociale delle regioni conquistate. In
alcuni casi, quindi, la colonizzazione non è un fenomeno reversibile.
Nella zona tra Appennino e Pianura Padana, per
esempio, sono state messe in atto operazioni particolarmente drastiche, ripetendo alcune forme della
conquista già sperimentate nell’Italia centrale e meridionale: la deportazione di gran parte dei Liguri
Apuani nell’Appennino sud-orientale (i cd. Ligures
Baebiani et Corneliani trasferiti con le loro famiglie
68/
nel sub-appennino dauno) e l’allontanamento dei
Boi hanno rappresentato due eventi decisivi, con una
modiicazione totale del popolamento di queste regioni. Nell’intervento di appropriazione sistematica
del territorio non sono certamente mancati alcuni
nuclei risparmiati dall’occupazione, ma essi sembrano essere stati coninati entro spazi marginali: le
vallate dell’Appennino tosco-emiliano o le zone della
pianura meno appetibili e più distanti dal nuovo asse
di percorrenza della via Emilia, itinerario di occupazione e di riorganizzazione territoriale.
L’archeologia, però, legge con molta diicoltà
le vicende che si sono prodotte nei decenni decisivi
tra la ine del III e la prima metà del II sec. a.C., a
causa sia della lunga durata dei fenomeni sia di un
processo di omologazione culturale che ha interessato questo periodo storico anche in maniera indipendente dall’espansione dell’impero. Infatti, già
prima dell’arrivo dei Romani, nel territorio in esame
si può notare un’apertura a produzioni e comportamenti elaborati nell’Italia centro-meridionale e nel
Mediterraneo ellenistico. Soprattutto le aree padane
meridionali, quindi, avevano già avviato un processo
di integrazione economica, anche se molto parziale
Lippolis
I Romani nella Pianura Padana e a Luceria: occupazioni, integrazioni e ibridismi culturali
e discontinuo, basato soprattutto sullo scambio delle principali risorse locali dell’agricoltura e dell’allevamento. I centri abitati, generalmente di piccole
dimensioni, oppida e santuari, come vengono ricordati dalle fonti romane, erano i luoghi in cui tale
processo socio-economico trovava il suo spazio di
sviluppo più avanzato, in un ambiente che era già,
almeno in parte, caratterizzato da presenze miste.
La documentazione di Monterenzio, nell’Appennino
bolognese, ha mostrato, infatti, la chiara persistenza di nuclei di cultura etrusca accanto a quelli celtici
(ig. 1) e, nonostante le diicoltà di riconoscimento,
appare evidente anche dalle fonti romane che gran
parte delle zone montane centro-occidentali erano
occupata dalle tribù liguri; anche in Romagna, la forte pressione dei Celti appare bilanciata da persistenze
e acquisizioni territoriali degli Umbri. È verosimile,
inine, che alcuni gruppi degli Etruschi sconitti non
avessero partecipato all’emigrazione verso sud all’epoca dell’invasione celtica, ma si fossero mantenuti
in qualche modo in alcuni oppida boi e cenomani,
evidentemente con ruoli subalterni, come potrebbe
essere avvenuto nel mantovano e anche nella parte
centrale della pianura sub-padana. Toponimi e tradizioni famigliari che emergono dalle fonti letterarie
o storie individuali come quella di Virgilio lasciano
supporre, infatti, diverse forme di interazione, in cui
la componente celtica dominante formava le classi di
potere, lasciando altri gruppi in posizione subordinata o marginalizzandoli.
Se in qualche modo già misto era il popolamento precedente alla colonizzazione romana, ancor più
lo diventa con il processo di colonizzazione, che ha
coinvolto gruppi di diversa provenienza, accomunati
dalla cooptazione nel sistema federale romano. Essere romano, in sostanza, nel tempo perde progressivamente il carattere dell’identità etnica per divenire, soprattutto dopo l’89 a.C. (con l’estensione della
cittadinanza agli Italici), un diritto politico di partecipazione e di condivisione dei vantaggi prodotti
dall’espansione dell’impero.
L’allontanamento dei Boi dopo la loro deinitiva
sconitta aveva creato uno spazio destinato a essere
occupato rapidamente dalla nuova potenza politica.
Nella parte più estesa della pianura, la deduzione di
colonie di diritto romano e di diritto latino ha rappresentato l’esito più evidente del sistema imperialistico
in via di sviluppo, aiancandosi anche a concessioni,
aitti e forme di sfruttamento dei territori disponibili,
che attiravano emigrazione e prospettive di incremento economico. I vantaggi immediati andavano agli
assegnatari delle terre, che ne promuovevano boniica e messa a coltura sistematica, creando il sistema
regolare e strutturato del paesaggio emiliano, costruitosi attraverso un palinsesto di centuriazioni. I nuovi
venuti erano prevalentemente Italici di varie origini,
certamente in parte provenienti dalla plebe di Roma e
dalle comunità latine, come mostra la cultura materiale di alcune aree, con produzioni e consumi che richiamano direttamente il mondo laziale. Se queste tracce
sono più evidenti nell’area romagnola, tendono a rarefarsi in Emilia, dove forse prevalgono altre componenti italiche, tutte certamente da diversi distretti culturali della penisola centro-meridionale. La presenza di
un brindisino a Clastidium già prima della guerra annibalica e l’analisi delle formule onomastiche della fase
successiva alla colonizzazione mostrano in maniera
evidente il carattere eterogeneo di questa emigrazione,
sostenuta anche dall’assegnazione di terre ai militari,
in un fenomeno intenso che ha comportato un radicale cambiamento del sistema di popolamento dell’area e un rapido aumento della densità demograica.
Tra le grandi colonie di popolamento dedotte, alcune
sembrano essersi costituite anche con una certa diicoltà: nello stesso caso di Bologna, solo un aumento
considerevole delle quote di terra assegnate (50 iugeri
a testa) permise il successo dell’insediamento, mentre
per Parma si dovette prevedere il riconoscimento del
diritto romano ai coloni per garantirne la fondazione;
il possesso dei diritti di cittadinanza, quindi, in questa
fase rappresentava la vera prospettiva di crescita sociale e costituiva l’elemento fondante dell’identità, più
della provenienza etnica.
In questo processo di sfruttamento e di inclusione non deve essere sottovalutato anche il ruolo della
gestione a distanza: vaste aree sembrano essere state
sfruttate in funzione del reddito possibile, prodotto
attraverso la manodopera locale (di diversa estrazione etnica e giuridica). Intere comunità del Lazio
e della Campania, come per esempio le città di Atella
e di Arpino, che in questo periodo rappresentano i
centri propulsori dell’Italia romana, acquisiscono
diritti d’uso sugli agri vectigales, ampi distretti che
gestiscono direttamente, cercando di salvaguardare
i propri interessi attraverso la costituzione di legami
politici e di evitare, sempre grazie ai sistemi clientelari tipici della società romana, eventuali limitazioni e
perdite dovute a nuove assegnazioni di terre.
La ricerca archeologica in Emilia Romagna si è a
lungo interessata soprattutto di queste grandi colonie, Piacenza, Parma, Modena, Bologna, Rimini, per
ricordarne solo alcune tra le principali, mentre ha
69
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 2. La valle dell’Enza vista da Campotrera verso Compiano.
prestato un interesse minore per gli altri insediamenti. Questi sembrano svilupparsi in diverse maniere;
in alcuni casi è possibile che possano dipendere dalla
persistenza di nuclei del popolamento preromano,
in altri possono aver raccolto assegnatari di terre e
responsabili di attività in aree distanti dalle colonie,
ma tutti hanno accolto certamente italici trasferiti
nelle nuove sedi dopo il deinitivo consolidamento
politico della regione. Proprio per queste presenze
in aree meno strutturate i vari magistrati romani responsabili del governo della provincia sembrano aver
promosso la costituzione di luoghi deputati all’amministrazione della giustizia o alla gestione delle attività istituzionali ed economiche. In questo caso, si
tratta soprattutto di fora e conciliabula che a volte si
sviluppano sino a ottenere un riconoscimento statale
e a volte la promozione a civitates e municipia, come
avviene a Regium Lepidi, il centro principale del distretto tra Modena e Parma. Nella stessa area, però,
Tannetum e Brixellum segnalano situazioni diverse e
complementari, sviluppando anch’esse una capacità
di aggregazione che permette di acquisire la dignità
cittadina, in maniera stabile nel caso dell’importante
guado sul Po di Brescello, in forma molto discontinua, invece, per Tanneto. Quest’ultimo, che appare ancora di diicile caratterizzazione topograica,
70/
sembra accentrare alcune funzioni, ma non pare aver
mai raggiunto la complessità di un impianto cittadino esteso e complesso, come invece avviene a Reggio.
Questo sviluppo in qualche modo incompiuto ne determina il ruolo subalterno, in alcuni periodi iniziali
e forse nuovamente dopo il primo impero, oscillando
tra una parziale autonomia amministrativa e il ruolo
di centro dipendente, di insediamento vicanico compreso forse entro il perimetro municipale reggiano.
All’interno di questo sistema di centri minori
si colloca anche il caso di Luceria. Il suo interesse,
quindi, non consiste solo nella possibilità di conoscere un elemento del sistema di popolamento locale,
ma anche nel fatto di poter rappresentare una tipologia di abitato. Si tratta, infatti, di un abitato che occupa un livello ausiliare nella gerarchia insediativa,
dipendente quindi da un altro centro amministrativo (in questo caso Tanneto o Reggio, forse a seconda dei periodi), ma proprio per questo di particolare
importanza per la ricostruzione del sistema organizzativo ed economico interno a una civitas. Inoltre,
situazioni simili a quella di Luceria sono poco note
e il piccolo agglomerato sulla valle dell’Enza può divenire un caso di studio esemplare per ricostruire il
sistema organizzativo dei territori colonizzati (ig. 2).
La sua funzione era quella di gestire il collegamento
Lippolis
I Romani nella Pianura Padana e a Luceria: occupazioni, integrazioni e ibridismi culturali
tra l’economia appenninica e quella più complessa
della pianura, veicolando le risorse provenienti dallo
sfruttamento delle valli e delle aree pedemontane e
montane nel circuito di consumo e di scambio gestiti
a vario livello nei grandi centri sulla via Emilia.
Tutti gli abitati, quindi, erano inseriti in una gerarchia di rapporti determinata dal ruolo demograico, amministrativo, economico; al livello inferiore
si pone il popolamento rurale sparso (anche questo
distinguibile a seconda del carattere, dalle più semplici fattorie alle complesse ville di produzione), poi
i piccoli abitati come Luceria, elementi minori nella
rete organizzativa del territorio; gli abitati più complessi, come Tanneto, collocati in un contesto topograico molto favorevole (per es. la posizione sulla
grande arteria di attraversamento dell’Emilia); quindi i fora e i centri simili, quali Reggio, che rivestivano
un ruolo formalmente pariicato a quello delle grandi città della regione. Queste ultime, come Modena,
Bologna, Rimini, avevano però un livello di sviluppo e di ruolo gestionale ancora maggiore. Il sistema
quindi era capillare e articolato e, oltre a permettere
la difusione insediativa e lo sfruttamento organico
del territorio, gestiva il drenaggio delle risorse dalla
campagna e dalle aree incolte verso gli insediamenti
principali, a loro volta centri dello scambio primario
sia a livello locale sia nei confronti dell’esterno.
La forma del piccolo insediamento di Luceria
tradisce chiaramente le funzioni dell’abitato; esso
era posto su un percorso di risalita nord-sud lungo la
valle dell’Enza, secondo un itinerario che corre ancora oggi sulla sponda destra del iume, innervandosi
nel sistema montano e permettendo anche l’attraversamento dell’Appennino tosco-emiliano (anche se in
questo periodo storico non risulta un valico primario, rispetto ad altri passi). È molto probabile che al
contempo l’agglomerato gestisse un guado sul iume
e quindi fosse collegato anche a un asse di attraversamento pedemontano est-ovest.
Se il toponimo antico fosse Nuceria o Luceria è
per il momento un problema destinato a restare in
sospeso. Il primo nome, per il quale in un primo tempo mi sembrava possibile propendere, rimanda chiaramente a forme linguistiche centro-italiche che non
sembrano attestate nell’ambiente ligure; inoltre, esso
è riferito ad abitati in posizione elevata, che potrebbero anche spiegarne la formazione linguistica. La
seconda forma, invece, connessa a una componente
tribale di Roma stessa (i Luceres), era stata già impiegata per un’importante colonia romana nel meridione, l’attuale Lucera, appunto. Non si può escludere,
quindi, che un sostrato locale oppure una coincidenza tra questo e forme toponomastiche romane già
esistenti in altri luoghi, oppure, ancora, uno speciico
elemento legato alla colonizzazione possano essere
motivazioni più probabili per una scelta di questo
tipo, lasciando supporre, di conseguenza, che il toponimo originario potesse essere quello di Luceria.
Elementi di corredo funerario provenienti dalla
zona sembrano confermare che lo sviluppo dell’abitato, posteriore alla seconda guerra punica, possa
essere imputabile soprattutto a una comunità di origine ligure. In questo caso, l’allontanamento dei Boi
dalla pianura e un processo di graduale integrazione
politica con la federazione romana possono aver permesso (come per esempio per la non lontana comunità dei Veleiates) l’acquisizione di forme residenziali
stabili e una sostanziale integrazione con le comunità di immigrati costituitesi lungo l’Emilia. Il gruppo
ligure di pertinenza dovrebbe essere quello dei Friniates, contro i quali i Romani intervengono ripetutamente e che sconiggono deinitivamente tra il 175
e il 173 a.C., distruggendone le roccaforti appenniniche e costringendoli a insediarsi in aree più pianeggianti. Proprio in seguito a tali operazioni potrebbe
essere stato deinito il nuovo schema di popolamento
del Reggiano e in particolare della valle dell’Enza.
Il carattere subordinato dell’abitato di Luceria,
all’interno del sistema di popolamento, potrebbe
quindi essere collegato anche al ruolo subordinato
della popolazione locale, inquadrata probabilmente
come incolae all’interno delle nuove strutture amministrative della regione. Lo sviluppo di Tanneto e di
Brescello sul medesimo asse nord-sud lascia supporre, comunque, che lungo la valle dell’Enza possano
essersi concentrati anche altri gruppi del popolamento preromano della regione, mostrando una situazione che non sembra essere la più consueta in Emilia.
Naturalmente, i processi di colonizzazione, che sembrano essersi assestati entro il terzo quarto del I sec.
a.C., hanno avviato un processo di ibridazione e di
integrazione culturale, segnato dalla rapida difusione del latino e dei comportamenti completamente
omologati che caratterizzano l’Italia romana, soprattutto dall’età augustea e dal primo impero.
A monte di Luceria si sviluppava l’economia dei
saltus e delle superici incolte in cui prevalevano le risorse provenienti dall’ambiente naturale, la raccolta e
l’allevamento. Si tratta di aree connotate da un livello
produttivo minore ma fondamentali per l’economia
delle grandi città della pianura, in quanto garantivano innanzitutto il fondamentale approvvigiona-
71
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
mento di legname e di carbone, poi anche quello di
materiali da costruzione e forse anche di calce. L’altra
importante risorsa era rappresentata dai pascoli e dal
prodotto che ofrivano in carne da macello e derivati,
tra i quali sembrano prevalere i formaggi. Purtroppo,
è diicile accertare se anche in queste aree si producesse il formaggio detto lunense, dal principale porto di imbarco sulla costa tirrenica, caratterizzato da
pezzi di grandi dimensioni che potrebbe anche essere
un antenato romano dell’attuale Parmigiano. L’omogeneità del popolamento ligure su entrambi i versanti
di questo tratto appenninico potrebbe suggerire, infatti, una similarità di forme produttive, ma mancano
per il momento elementi speciici legati al riconoscimento di una rilevante attività casearia. Altri prodotti di minore incidenza quantitativa e più occasionali
potevano integrare ulteriormente il panorama delle
risorse appenniniche, legati alla raccolta di vegetali e
di frutta commestibili e al loro consumo.
La riscoperta di un’epigrafe che ricorda lo svolgimento di nundinae nel sito di Luceria rappresenta un’acquisizione molto importante. Spiega, infatti,
come si svolgeva l’occasione più rappresentativa delle
funzioni economiche locali, consistente, quindi, nello svolgimento di iere periodiche. In genere poste
sotto una tutela religiosa, tali occasioni rappresentavano in contesti culturali diversi il momento privilegiato di mercato, soprattutto per queste aree marginali. Che tale scambio coinvolgesse prevalentemente
il bestiame è molto probabile e la stessa sistemazione
dell’area pubblica dell’abitato sembra poterlo documentare. Bisogna però rilevare subito che lo sviluppo
di Luceria in questo settore appare essere stato alternativo a quello di altri luoghi storici di iere regionali.
Non è assolutamente casuale che proprio nello stesso
periodo, l’epoca del principato di Claudio, se da un
lato si provvede al riconoscimento formale del ruolo
di Luceria (le nundinae richiedevano l’approvazione
e la regolamentazione statale), dall’altro si permetteva lo smantellamento deinitivo dell’importante
centro religioso ed economico dei Campi Macri, sito
che aveva svolto in una fase precedente le medesime
funzioni. Questo santuario, legato alla tradizione dei
Boi e ubicato in pianura, tra Modena e Reggio, aveva avuto un ruolo rappresentativo nella realtà preromana regionale, forse troppo marcato dal punto di
vista politico per non essere considerato dai Romani
uno spazio identitario legato al popolamento celtico.
Per altri versi, lo sviluppo dei numerosi centri posti
lungo la via Emilia aveva senza dubbio privato le riunioni dei Campi Macri di quelle funzioni di raccolta
72/
e distribuzione di risorse, ora svolte dalle varie civitates e coloniae in maniera concorrenziale e più complessa. Così, la discontinuità del popolamento boico
forse spiega la sua progressiva perdita di signiicato
come spazio di riferimento collettivo e cultuale e la
mancata rivalutazione, anche in forme diverse, delle
sue funzioni pubbliche può dipendere dall’afermazione di un nuovo sistema di gestione delle risorse. Di
certo, comunque, proprio a partire dal principato di
Claudio il sito, non ancora chiaramente identiicato
sul terreno, appariva abbandonato e in rovina, tanto che i parenti della proprietaria, Alliatoria Celsilla, chiesero formalmente la possibilità di riutilizzare
il materiale edilizio delle strutture ancora esistenti,
operazione per la quale era necessaria un’autorizzazione del Senato. La concessione verrà accordata con
il senato consulto Volusiano del 56 d.C., apparentemente concludendo la lunga e importante storia del
sito, identiicato in genere presso Magreta, nel territorio mutinensis. Il rinvenimento ad Ercolano dell’epigrafe su tabula bronzea con l’approvazione del Senato potrebbe essere connesso alla documentazione
relativa ai comportamenti da seguire nel reimpiego
degli ediici rovinati dal terremoto del 62, ma potrebbe anche avere un’altra motivazione nella possibilità
che la famiglia proprietaria possa appartenere all’area campana, mostrando una persistenza di interessi
esterni nello sfruttamento delle regioni padane.
A Luceria gli scavi hanno messo in luce una strada longitudinale lastricata e dotata di marciapiedi,
percorso intorno al quale si addensava lo sviluppo
edilizio, attribuendo all’abitato una caratteristica forma rettilinea, comune ad altri casi analoghi (ig. 3).
Lo spazio pubblico, posto tra la strada e il iume, era
un’area rettangolare, delimitata solo da un semplice
muro perimetrale; alcune case poste lungo la strada, anch’esse molto semplici, completavano inine la
maglia abitativa privata. Queste non appartengono al
tipo delle dimore romane con atrio o con peristilio,
ben attestate a Reggio, ma sono semplici aggregazioni di vani, in alcuni casi con un piano superiore, che
rivelano la loro funzione plurivalente di strutture destinate ad attività economiche, stoccaggio e residenza
allo stesso tempo; in questo senso riprendono piuttosto il tipo delle case-bottega dei quartieri urbani con
spiccate destinazioni economiche e basso livello di
reddito.
Lo spazio pubblico, che si sviluppa in maniera parallela al percorso stradale e da questo risulta
accessibile, era il luogo evidentemente deputato allo
scambio; invece manca, sinora, ogni traccia di strut-
Lippolis
I Romani nella Pianura Padana e a Luceria: occupazioni, integrazioni e ibridismi culturali
Fig. 3. Sito archeologico di Luceria. In primo piano la strada che faceva da spartiacque tra l’area pubblica, a ovest, e gli edifici residenziali, a est.
ture connesse alla gestione politica o amministrativa, funzioni che potevano essere esercitate, quindi,
solo in maniera saltuaria, in occasione del passaggio
di eventuali magistrati o svolte, più probabilmente,
attraverso un trasferimento degli abitanti a Tanneto o a Reggio. Lo spazio così identiicato era quello
certamente destinato soprattutto allo svolgimento
del mercato e delle nundinae locali, richiamando il
recinto per animali d’allevamento più che un’area
pubblica vera e propria; in esso si potevano radunare
il bestiame e i prodotti locali destinati ai più importanti luoghi di scambio della pianura, dove poi sarebbero stati consumati o utilizzati per il commercio a
distanza (ig. 4).
Anche la cultura materiale rivelata dallo scavo
mostra un modello di vita molto autarchico: sono
pochissime le importazioni di ceramica da mensa e
anche quella utilitaria appare poco attestata. Gli abitanti, quindi, avevano scarse suppellettili, consumavano poco e producevano pochi riiuti, mostrando
un modello di consumo molto diverso da quello delle
famiglie insediate a Reggio, dove invece la circolazione dei beni appare variegata e complessa e l’accumulo
di riiuti, che rappresenta una delle fonti principali
dell’archeologia, mostra un volume e una frequenza
molto maggiore. Di conseguenza, a Luceria si deve
immaginare un ampio impiego di stoviglie e suppellettili in materiale deperibile, soprattutto in legno,
mentre un caso a parte è costituito dalla difusione
degli oggetti in metallo. Infatti, sono state rinvenute molte applicazioni destinate a oggetti di uso e di
mobilio, elementi di tecnica e di fattura accurata.
Essi segnalano l’importazione di manufatti di pregio che costituivano evidentemente gli unici elementi rappresentativi delle famiglie locali più abbienti.
Un’applicazione in bronzo, forse di armadio, recuperata durante lo scavo, esibisce il busto di una divinità
femminile che sembra identiicabile con Flora o una
ninfa (ig. 5), non a caso incarnazione e simbolo di
quella disponibilità spontanea della natura e del suo
73
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 4. Proposta ricostruttiva dell’area pubblica dell’abitato di Luceria, strutturato a mo’ di “recinto” per lo stazionamento temporaneo e lo
scambio del bestiame.
74/
Lippolis
I Romani nella Pianura Padana e a Luceria: occupazioni, integrazioni e ibridismi culturali
Fig. 5. Applique in bronzo con busto di divinità femminile da Luceria.
75
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
rapporto con il ciclo della vita che rappresenta molto
bene il territorio di Luceria.
La storia del piccolo centro è strettamente legata
allo sviluppo romano della regione: nasce lentamente
al momento della colonizzazione, si istituzionalizza
tardi, nell’età giulio-claudia e vive probabilmente
sino agli inizi del IV sec. d.C. Dopo questa data è dificile riconoscere tracce di una persistenza abitativa
nel sito: può darsi che la crisi economica del tardo
impero abbia reso sempre meno visibile il consumo
locale, ma non sembra che si possano riconoscere
elementi di sopravvivenza signiicativi. Con la guerra
greco-gotica, poi, inizia un processo di rideinizione
insediativa a livello regionale che privilegia i siti di
altura con funzioni strategiche; l’economia della pax
romana non è più da tempo possibile e si afermano
altri sistemi organizzativi, che orientano in maniera
molto diversa il popolamento del territorio.
in archaeology and ancient history, in «Archaeological Dialogues» 21-1, 2014, pp. 30-40 (doi: 1017/S1380203814000063).
Woolf 1999 = G. Woolf, Becoming Roman. he Origins of
Provincial Civilization in Gaul, Cambridge 1998.
Sulle forme urbanistiche della colonizzazione romana:
Gros, Torelli 1988 = P. Gros, M. Torelli, Storia dell’urbanistica. Il mondo romano, Bari-Roma 1988.
Sommella, Migliorati 1988 = P. Sommella, L. Migliorati,
Italia antica. L’urbanistica romana, Roma 1988.
Sugli agri vectigales:
Biundo 2003 = R. Biundo, Terre di pertinenza di coloni e
municipi fuori del loro territorio: gestione e risorse, in «CahGlotz» 14, 2003, pp. 131-142.
Sulla regio Aemilia:
Riferimenti bibliografici
Sullo sviluppo economico moderno e sul rapporto con la
cultura storica:
Wallerstein 1984 = I. Wallerstein, he Politics of the World-Economy, the States, the Movements and the Civilizations,
Cambridge 1984.
Sulla romanizzazione:
Attema, Burgers, Van Leusen 2011 = P.A.J. Attema, G.J.
Burgers, P.M. Van Leusen, Regional Pathways to Complexity:
Settlement and Land-Use Dynamics from the Bronze Age to
the Republican Period, (Amsterdam Archaeological Studies
13), Amsterdam 2011.
Fentress 2000 = E. Fentress (a c.), Romanization of the city.
Creation, Transformations, and Failures, Portsmouth 2000.
Hingley 2000 = R. Hingley, Roman Oicers and English Gentlemen. he Imperial Origins of Roman Archaeology,
London-New York 2000.
Hingley 2005 = R. Hingley, Globalizing Roman Culture. Unity, Diversity and Empire, London 2005.
Hurst, Owen 2005 = H. Hurst, S. Owen (a c.), Ancient
Colonizations. Analogy, Similarity, and Diference, London
2005.
Keay, Terrenato 2001 = S. J. Keay, N. Terrenato (a c.),
Italy and the West: Comparative Issues in Romanization,
Oxford 2001.
Marini Calvani, Curina, Lippolis 2000 = M. Marini Calvani, R. Curina, E. Lippolis (a c.), Aemilia. La cultura romana in Emilia Romagna dal III sec. a.C. all’età costantiniana,
Venezia 2000.
Sui Campi Macri
Ortalli 2012 = J. Ortalli, I Campi Macri: un mercato panitalico sulla via della lana, in M.S. Busana, P. Basso (a c.),
«La lana nella Cisalpina romana. Economia e società», Studi
in onore di Stefania Pesavento Mattioli, Atti del Convegno
Padova - Verona, 18-20 maggio 2011, Padova 2012, pp. 195211.
Su Reggio Emilia e Tannetum:
Ambrosetti, Macellari, Malnati 1996 = G. Ambrosetti,
R. Macellari, L. Malnati, Lepidoregio. Testimonianze di età
romana a Reggio Emilia, Reggio Emilia 1996.
Lippolis 2000 = E. Lippolis, Reggio Emilia, in M. Marini
Calvani, R. Curina, E. Lippolis (a c.), «Aemilia. La cultura
romana in Emilia Romagna dal III sec. a.C. all’età costantiniana», Venezia 2000, pp. 412-420.
Storchi 2012-2014 = P. Storchi, Nuovi elementi per l’ubicazione di Tannetum, in «PagA», 2012-2014.
Sugli scavi di Luceria e sulla romanizzazione dell’Appennino reggiano:
Torelli 1999 = M. Torelli, Tota Italia: Essays in the Cultural Formation of Roman Italy, Oxford 1999.
Cassone 2005-2006 = N. Cassone, I conini perduti. Antiche comunità rurali nell’Appennino Emiliano, in «Pagine di
Archeologia» 2, 2005-2006, pp. 1-41.
Stek 2014 = T.D. Stek, Roman Imperialism, globalization
and Romanisation in Early Roman Italy. Research questions
Cerchi 1987 = E. Cerchi, Luceria ed il popolamento romano nella bassa Val d’Enza, in G. Bottazzi, G. Calzolari (a
76/
Lippolis
I Romani nella Pianura Padana e a Luceria: occupazioni, integrazioni e ibridismi culturali
c.), «L’Emilia preromana. Ricerche di topograia antica», Modena 1987, pp. 69-83.
Cerchi 1993 = E. Cerchi, La romanizzazione della Cispadana: il contributo degli scavi di Gaetano Chierici a Luceria
(1861 - 1862), in «CivPad» 4, 1993, pp. 7-32.
Lippolis 1996 = E. Lippolis, Canossa. Area archeologica
di Luceria, in M. Marini Calvani (a c.), «Schede di Archeologia dell’Emilia Romagna», Parma 1996.
Lippolis 1998 = E. Lippolis, Nuceria, in R. Farioli Campanati (a c.), XLIII Corso di cultura sull’arte ravvennate e
bizantina: seminario internazionale di studi sul tema “Ricerche di archeologia e topograia” in memoria del Prof. Nereo Algieri, Ravenna, 22-26 marzo 1997, Ravenna 1998, pp.
401-428.
Lippolis, Losi, Cassone 1998 = E. Lippolis, A. Losi, N.
Cassone, L’insediamento romano nell’Appennino reggiano:
nuovi rinvenimenti e problemi interpretativi, in «AEmil» 2-1,
1998, pp. 101-126.
Lippolis 2000a = E. Lippolis, Edilizia pubblica: Fora e
basiliche, in M. Marini Calvani, R. Curina, E. Lippolis (a c.),
«Aemilia. La cultura romana in Emilia Romagna dal III sec.
a.C. all’età costantiniana», Venezia 2000, pp. 106-115.
Lippolis 2000b = E. Lippolis, Tannetum e Luceria, in M.
Marini Calvani, R. Curina, E. Lippolis (a c.), «Aemilia. La
cultura romana in Emilia Romagna dal III sec. a.C. all’età
costantiniana», Venezia 2000, pp. 405-407.
Macellari 1997 = R. Macellari, Testimonianze di età ellenistica nell’insediamento di Servirola presso S. Polo, in «Pagine di Archeologia» 6, 1997.
Macellari 1998 = R. Macellari, Luceria, Canossa (RE),
tomba 3, in G. Sena Chiesa, M.P. Lavizzari Pedrazzini (a
c.) «Tesori della Postumia. Catalogo della mostra», Milano
1998, pp. 110-112.
Patroncini 1994 = L. Patroncini, Luceria d’Enza. Insediamento ligure romano nel territorio di Canossa, Reggio
Emilia 1994.
77
2
Tutela
e valorizzazione
Renata Curina / Anna Losi
Filippo Fontana / Francesco Garbasi
Donatella Girotto / Giuseppe Marangoni
Sara Cura / Luiz Oosterbeek
Gli interventi di consolidamento,
restauro ed allestimento didattico
di Luceria (Canossa, RE)
Renata Curina
Funzionario Archeologo Soprintendenza Archeologia dell’Emilia Romagna
Anna Losi
Archeologa AR/S Archeosistemi Società Cooperativa
Il sito di Luceria è noto in letteratura da diversi
secoli, anche se le scoperte e le ricerche archeologiche
furono caratterizzate per lo più da interventi saltuari,
dettati spesso da diferenti interessi. Le prime scoperte fortuite risalgono al XVI secolo, mentre agli anni
tra il 1776 e il 1786 risalgono i primi scavi efettuati
da dotti parmensi e inanziati dai Borbone, duchi di
Parma; una ripresa delle indagini nell’area di Luceria, più sistematiche e scientiiche, si ebbe alla ine del
XIX secolo ad opera di Don Gaetano Chierici. I risultati ottenuti nel corso dei secoli, misero in evidenza i
resti di una necropoli e di un insediamento a carattere urbano, distribuito lungo un asse viario che, nel
punto in cui attraversava l’abitato, era pavimentato
in ciottoli di considerevoli dimensioni, divenendone
l’asse generatore. A queste prime ed importanti indagini, seguirono quindi, alla ine del secolo scorso,
ricerche sistematiche e un nuovo interesse per questo
impianto urbano, posizionato lungo la valle dell’Enza in una posizione privilegiata per il collegamento
tra la pianura e i valichi appenninici che conducevano verso le città di Lucca e Luni; un abitato che ebbe
una continuità di vita di breve durata. Le prime attestazioni, soprattutto derivanti dagli oggetti di corredo rinvenuti all’interno delle sepolture, risalgono
al II-I secolo a.C., mentre il massimo sviluppo urbanistico dell’impianto può essere ricondotto ai secoli
centrali dell’impero, cui seguì un graduale e deinitivo abbandono, probabilmente nel corso del V secolo.
Come molti insediamenti urbani, anche Luceria dovette risentire della profonda crisi economica e sociale che investì l’impero tra III e IV secolo d.C.; a questo
periodo infatti sembra risalire l’inizio di un degrado delle strutture private e pubbliche, queste ultime
caratterizzate spesso da una riconversione dell’uso
degli spazi che vennero adibiti ad altre funzioni. A
partire dal momento del suo defunzionamento, l’area
venne destinata esclusivamente a lavorazioni di tipo
agricolo, attività che permise da una parte che venisse mantenuta la leggibilità dell’impianto ma nello
stesso tempo, data la scarsa profondità di giacitura,
rese più diicile la conservazione dei resti strutturali,
di cui si sono mantenuti quasi esclusivamente la parti
in fondazione e alcuni piani pavimentali in terra battuta o lacerti di mosaico.
Le indagini sistematiche, iniziate ad opera della
Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia
Romagna nel 1983 con l’importante e insostituibile collaborazione dei volontari dell’associazione
«Amici di Luceria», hanno permesso di ricostruire
in maniera dettagliata parte dello sviluppo planimetrico di questo abitato di epoca romana. È doveroso ricordare in questa sede il fondatore e presidente dell’associazione, Dott. Corrado Chiari, che con
grande passione e interesse ha seguito le indagini
e gli scavi archeologici, prodigandosi nell’afrontare le diicoltà e gli imprevisti che si sono presentati
con l’avanzare dei lavori, promuovendo insieme alla
Soprintendenza alcuni eventi signiicativi, tra cui la
realizzazione di una mostra fotograica sulle ultime
campagne di scavo.
Le ultime indagini archeologiche svolte in una
serie di campagne di scavo tra il 1983 e il 2008 hanno
quindi permesso di deinire l’estensione dell’agglo-
81
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
merato urbano ed una sua interna organizzazione,
riuscendo ad individuare con una certa chiarezza
gli spazi adibiti ad attività pubbliche, quali la grande
area scoperta porticata, già parzialmente individuata alla ine del XIX secolo, interpretabile come foro
commerciale, e gli spazi privati caratterizzati dalla
presenza di abitazioni, alcune delle quali riconoscibili anche nella loro articolazione interna. Le diverse
campagne di scavo hanno inoltre permesso di individuare un settore dell’impianto in cui le strutture erano meglio conservate e leggibili nella loro volumetria
e quindi di valutare la possibilità di renderlo fruibile,
valorizzando le parti ediicate meglio comprensibili e
che potessero far percepire al pubblico l’articolazione
dell’agglomerato urbano, attraverso un percorso di
visita articolato e supportato da un adeguato apparato didascalico.
La tappa odierna rappresenta quindi il risultato
di un trentennio di attività di indagine e valorizzazione che possono essere così riassunte:
• Elaborazione di un progetto di valorizzazione
di un’area a seguito delle prime due campagne
di scavo efettuate negli anni 1983 e 1985 sotto
la direzione scientiica di Luigi Malnati, progetto
redatto dalla dott.ssa Cerchi di Archeosistemi;
• Avvio da parte della Soprintendenza, in accordo
con l’Amministrazione Comunale e con i privati possessori dei terreni, di una serie di sondaggi
inalizzati ad acquisire il maggior numero di dati
al ine di poter deinire sia il reale sviluppo dell’abitato sia di poter procedere ad una permuta dei
terreni, in modo da realizzare l’area archeologica
in terreni di proprietà comunale e poter procedere all’esecuzione di un dettagliato progetto di
valorizzazione.
• Acquisizione da parte del Comune di Canossa
di alcune aree e ripresa delle indagini archeologiche per estesi saggi tra il 1990 e 2000; gli scavi
efettuati hanno aggiunto nuove informazione
restituendo un’articolazione tale di strutture, che
ha portato alla redazione di un nuovo progetto e
all’apposizione di due vincoli, uno di importante
interesse archeologico sull’area che ha restituito i
resti dell’abitato, l’altro di rispetto all’area di tutela diretta.
• Attività di consolidamento e primo restauro della
strada e di una serie di strutture emerse nel corso delle precedenti campagne di scavo relative ad
una domus prospettante sulla strada, inalizzate
a valorizzare e rendere fruibile la parte meglio
82/
conservata e articolata delle medesime, eseguito
dalla ditta Quattoli e dalla Gea di Parma.
• Realizzazione di un nuovo progetto, redatto sempre da Enrica Cerchi (anno 2003) su incarico del
Comune, proprietario dell’area oggetto di valorizzazione. Aggiornamento al progetto, sempre
redatto dalla dott.ssa Cerchi (anno 2005) e realizzazione di quanto indicato nel 1° stralcio progettuale (recinzione esterna dell’area archeologica,
passerella di visita sul lato Sud e protezione con
grata metallica del pozzo situato nell’area cortilizia di pertinenza della domus).
• Esecuzione, da parte di Archeosistemi, dei lavori
di consolidamento e restauro delle strutture e redazione dell’apparato didascalico/illustrativo, su
progetto della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna. Un intervento analogo, svolto in anni precedenti dalla stessa Ditta,
aveva riguardato la casa VI di Marzabotto, su
progetto dell’Arch. Andrea Sardo della Direzione
Regionale, con il coordinamento della Dott.ssa
Paola Desantis, direttrice del Museo Archeologico di Marzabotto.
• Al termine delle attività di sistemazione e restauro si è proceduto inine alla realizzazione di un
apparato didattico, che fornisse informazioni sia
di carattere generale (storia delle ricerche e degli
scavi) sia particolare sui resti visibili (l’area pubblica, la strada, le botteghe, la casa). I pannelli
autoportanti sono stati disposti lungo il percorso d’accesso all’area e sui leggii predisposti sulla
passerella. Al momento non è ancora disponibile
un aggiornato sussidio informativo su pieghevoli, ai quali può venire aidato il compito sia di
illustrare il sito che di pubblicizzarlo, fornendo
le informazioni utili per la visita (orari, telefono e
indirizzo mail degli incaricati alla visita).
• A completamento dell’apparato didattico si prevede di fornire al visitatore un pieghevole, agile
guida informativa sulle principali caratteristiche
dell’area archeologica.
I inanziamenti per il progetto di valorizzazione
e per le sue fasi esecutive sono stati erogati dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo,
dal Comune di Canossa e dalla Fondazione Manodori di Reggio Emilia.
Il restauro delle strutture
L’area inserita nel progetto di valorizzazione è
interessata quasi interamente dalla presenza di resti
archeologici ma solo una parte, quella orientale, è
Curina / Losi
Gli interventi di consolidamento, restauro ed allestimento didattico di Luceria (Canossa, RE)
Fig. 1. Planimetria generale dell’area oggetto dell’intervento di restauro.
stata resa visibile e oggetto di un intervento di manutenzione, consolidamento e restauro che tenesse
conto, in particolare, della scelta di progetto di non
prevedere opere di copertura che salvaguardassero i
resti dagli agenti atmosferici. Si è provveduto quindi
a delimitare il lato Ovest della futura area archeologica con un parapetto ligneo, per impedire l’accesso del
pubblico alla zona con le strutture emergenti.
La parte occidentale, interessata da strutture che
si è deciso di non mantenere a vista, è stata adibita ad
area di accoglienza al pubblico, ripristinando il manto erboso, eliminando la terra di risulta di precedenti sondaggi di scavo e demolendo la vecchia tettoia,
adibita a ricovero per attrezzature, sostituita da un
prefabbricato in legno, progettato dall’Arch. Giuliano Cervi, da destinare a reception (luglio-settembre
2012).
Le diverse modalità di intervento adottate, costituiscono il risultato di un’attenta disamina delle varie
possibilità di esecuzione e sono state efettuate sotto
il coordinamento scientiico della dott.ssa Antonella
Pomicetti del laboratorio di restauro della Soprinten-
denza Archeologia dell’Emilia Romagna. Sono state
seguite inoltre le direttive della “Carta del Restauro –
circolare 117”, emanata dal Ministero della Pubblica
Istruzione nell’Aprile del 1972, direttamente ripresa
della Carta del 1931, con un nuovo aggiornamento
edito nel 1987. Con essa si cercava di pervenire a criteri uniformi nell’ambito della conservazione del patrimonio artistico ed architettonico, speciica attività
dell’Amministrazione delle Antichità e Belle Arti.
La pianta (ig. 1) racchiude il complesso delle
zone oggetto dell’intervento di valorizzazione, limitatamente al lotto di proprietà comunale. L’estensione
complessiva dell’area oggetto delle indagini archeologiche risulta molto più ampia, interessando l’intero
pianoro delimitato a Nord dal Rio Luceria, ad Ovest
dalla strada sterrata d’accesso attuale, a Sud da Via
Conchello e ad Est dalla S.S. Val d’Enza.
Si possono distinguere due zone con funzioni diverse, ognuna delle quali si presenta con caratteristiche costruttive particolari, sia dal punto di vista dei
materiali edilizi impiegati sia per la tecnica costruttiva utilizzata:
83
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Figg. 2, 3, 4. USM 208 veduta tratto Ovest (prima tecnica), tratto centrale (seconda tecnica) e fondazione di taglio (terza tecnica).
1. Gli spazi privati: l’ediico abitativo
2. Gli spazi pubblici: la strada, i portici laterali e
l’area pubblica.
Di seguito verranno descritti in maniera sintetica
le caratteristiche speciiche e gli accorgimenti utilizzati per il consolidamento e il restauro delle strutture.
Fig. 5. Particolare delle fondazioni in pezzame USM 226, 228.
84/
1. L’edifico abitativo
Formato in pianta da spazi rettangolari di diverse dimensioni, risultato di successivi ampliamenti
edilizi; questo forse giustiica la diversità delle tecniche utilizzate, anche a livello delle componenti materiche, per le fondazioni e per i primi corsi
Curina / Losi
Gli interventi di consolidamento, restauro ed allestimento didattico di Luceria (Canossa, RE)
Fig. 6. USM 211 situazione iniziale.
85
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 7. USM 211 consolidamento.
86/
Curina / Losi
Gli interventi di consolidamento, restauro ed allestimento didattico di Luceria (Canossa, RE)
Fig. 8. USM 211 situazione finale.
87
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 9. L’angolo Sud Est della casa.
Fig. 10. USM 2, estremità Sud Ovest.
88/
Curina / Losi
Gli interventi di consolidamento, restauro ed allestimento didattico di Luceria (Canossa, RE)
Figg. 11, 12. Le ultime due fasi della sistemazione degli ambienti e l’angolo Sud Est della casa a lavori ultimati.
89
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 13. Veduta particolare dell’accesso della casa dalla strada.
dell’alzato, per le quali si è reso necessario diversiicare le modalità operative di intervento.
• Una prima tecnica edilizia prevede murature in
ciottoli luviali anche di medie dimensioni, di
forma squadrata e lavorata spesso “faccia a vista” (US 2, 201, 211 e parzialmente 208) sostanzialmente in buono stato di conservazione, con
limitate lacune; conservano generalmente sia il
livello delle fondazioni, sia un corso dell’alzato,
ad esclusione del divisorio interno 201, che presentava invece due corsi di alzato (ig. 2).
Nel caso del perimetrale Ovest dell’abitazione
(USM 211), il paramento murario, oltre a ciottoli luviali lavorati “faccia a vista”, è costituito da
blocchi lapidei tagliati e squadrati, mentre l’interno è caratterizzato da un riempimento a sacco
di scaglie lapidee e frammenti laterizi.
• Una seconda tecnica edilizia presenta una modalità costruttiva mista, esito probabilmente dei
diversi periodi di ediicazione e/o rifacimento.
Esempliicativo è il caso della USM 208, la quale presenta un primo limitato tratto (Ovest) realizzato in prima tecnica mentre per il restante
90/
•
•
tratto presenta un ilo in ciottoli luviali sbozzati,
ma con un paramento irregolare e riempimento
interno a sacco caotico in laterizi e ciottoli (ig.
3). Solamente in un limitato tratto presenta un
paramento formato da ciottoli di forma piatta ed
arrotondata messi di taglio obliquo, tali da suggerire l’ipotesi della presenza di una soglia di accesso laterale (terza tecnica, vedi infra).
Una terza tecnica (ig. 4) mostra fondazioni prevalentemente con utilizzo di ciottoli di forma
piatta ed arrotondata, messi in opera di taglio e
in obliquo, probabilmente per assolvere in maniera migliore al drenaggio degli elevati, probabilmente realizzati in materiale deperibile (legno, mattoni crudi).
Una quarta tecnica (ig. 5), sempre per le fondazioni, utilizza quasi esclusivamente frammenti
laterizi disposti generalmente di taglio e a secco,
sistemati entro una fossa di fondazione (USM
200, 213, 226, 228, 260); in tutti questi casi si è di
fronte a fondazioni di divisori interni, privi pertanto di funzione portante e che potrebbe quindi
giustiicare la loro modesta profondità.
Curina / Losi
Gli interventi di consolidamento, restauro ed allestimento didattico di Luceria (Canossa, RE)
Figg. 14, 15, 16. La strada con la copertura di protezione; la rimozione del geo tessuto; la strada ed il portico Est a fine lavori.
Nei primi tre casi, dopo un preliminare intervento di pulizia e diradamento manuale della vegetazione, sono stati consolidati gli elementi lapidei dei due
paramenti laterali con un intervento di cuci-scuci; in
seguito si è proceduto a colmare con pietrisco e malta cementizia gli interstizi superiori, ricollocando in
situ il materiale di riempimento interno e ricostruen-
do parzialmente le parti della quale si conservava almeno una piccola porzione, anche solamente in fondazione (igg. 6, 7, 8).
Nel quarto caso, ci si è trovati in presenza di un
materiale laterizio altamente degradato e di diicile
conservazione a vista; in accordo con il responsabile
del Laboratorio di Restauro della Soprintendenza, si
è deciso di mantenere la fondazione originale, isolandola con uno strato di pietrisco inerte a pezzatura
ine, sopra la quale è stata ricostruita una nuova fondazione in pezzame, impiegando frammenti laterizi
originali recuperati nel corso dello scavo dell’area. La
linea delle fondazioni è stata resa con pali di legno di
castagno disposti sui bordi esterni.
Nel caso di gravi lacune strutturali, anche se si
era conservata la traccia delle fondazione e/o delle
spoliazioni, che permettevano comunque di ricostruire lo sviluppo delle strutture delimitanti gli ambienti della domus, si è optato, invece, per una ricostruzione di tipo neutro, in quanto risultava arduo
attribuire alle tracce strutturali una tecnica piuttosto
che un’altra. Facendo ricorso ai pali di castagno sopra menzionati, è stato ricostruito l’andamento planimetrico, riempiendo la lacuna con ghiaia spezzata
di media pezzatura.
L’intervento conclusivo nell’area dell’abitazione
è stato rappresentato da un leggero rialzamento del
terreno negli spazi interni alle strutture, originariamente occupati dai piani pavimentali in terra battura
e dei quali non rimane alcuna traccia. In via preliminare era già stato eseguito lo sfalcio del manto erboso
con decespugliatore e lo scotico manuale del terreno
agricolo supericiale per eliminare ogni traccia degli
apparati radicali. Successivamente si è proceduto al
diserbo chimico (con glifosate 450 g/l, lavorazione
sottoposta a controllo e sorveglianza sanitaria e regolamentata da DVR aziendale e Relazione del rischio
Chimico secondo il D.Lgs 81 del 2008 e s.m.i.) e a
stendere geo tessuto, sul quale si è sovrapposto prima
uno strato spesso circa cm 10 di corteccia di pino, poi
uno strato di 10 cm di ghiaietto di diversa pezzatura
(igg. 9, 10, 11, 12, 13).
2. La strada
Immediatamente dopo l’interruzione delle
campagne di scavo la zona interessata dalla presenza dell’asse stradale e dai portici laterali era stata
protetta con geo tessuto, isolato da uno strato di
ghiaia (ig. 14). L’adozione di questa procedura conservativa ha impedito alla vegetazione infestante
– particolarmente abbondante in tutta la zona – di
91
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Figg. 17, 18, 19. Particolare della canaletta in arenaria; l’area della
rampa con muro di chiusura laterale; il portico Ovest a fine lavori.
attecchire sui resti archeologici (se non in minima parte). Dopo la rimozione del tessuto, si è reso
necessario solo un limitato intervento di pulizia
manuale, cui è seguito il consolidamento degli elementi smossi e il tamponamento delle lacune con
ghiaia di piccolo formato (igg. 15-16). Diversa era la
situazione corrispondente ai portici laterali, originariamente costituiti da basi in laterizi di sostegno
92/
per colonne e muri continui di chiusura, arretrati
dalla strada circa 4 metri. Del muro di delimitazione Ovest si conservava solo la parte di fondazione:
per questo motivo si è optato per una soluzione con
pali di castagno a ricostruirne l’andamento planimetrico, riempiendo la lacuna con ghiaia spezzata
di media pezzatura.
All’estremità meridionale del Cardine si trova un
accesso allo spazio pubblico formato da una rampa,
acciottolata come la sede stradale, bordata a nord da
una scolina di drenaggio in pietra arenaria (ig. 17).
In corrispondenza dell’ingresso alla piazza era collocato uno scalino, sempre in arenaria. Sopra queste
strutture si sovrapponeva una muratura in laterizi
con asse EO, di una fase edilizia posteriore (ig. 18).
Ci si trovava quindi di fronte a rifacimenti strutturali
di epoche diverse: per questo motivo, rispettando l’obiettivo iniziale di restituire l’aspetto della zona nel
periodo immediatamente precedente il suo abbandono, si è deciso di proteggere con geo tessuto e ghiaia le strutture in pietra, poste ad una quota inferiore
rispetto a quella della rampa di accesso alla piazza.
Successivamente sono state consolidate le murature
in laterizio, anche con il sistema di cuci scuci delle
stesse, e livellati con geo tessuto e ghiaia i piani d’uso
laterali della strada (ig. 19).
Le varie fasi del progetto di valorizzazione descritte hanno permesso quindi di rendere fruibile
un settore dell’antico abitato di Nuceria, l’odierna
Luceria, vicus che deve la sua importanza, come
è stato più volte indicato, alla posizione strategica
occupata lungo quell’asse di percorrenza che congiunge i valichi appenninici alla via Emilia e alla
pianura.
Lo studio delle fonti, la ricerca archeologica e le
attività di scavo ad essa correlate si conigurano come
un primo passo verso la riscoperta di un sito. Solamente dopo avere completato – anche parzialmente
nel caso di settori distinti di scavo – le indagini, è
possibile avviare un idoneo progetto atto a conservare i resti strutturali portati alla luce ed attivare le
sinergie necessarie per la valorizzazione, fruizione
e gestione di un sito archeologico. Questo percorso,
dallo scavo alla valorizzazione, è stato seguito anche
per Luceria; molto è stato compiuto con la collaborazione di Enti, igure professionali, volontari, molto si
dovrà ancora fare, per permettere la continua fruizione di questo patrimonio culturale e per consentire
la prosecuzione delle ricerche archeologiche in questo importante sito.
Professionisti e associazioni
di volontariato: opportunità
di crescita e definizione
dei rapporti reciproci
Filippo Fontana
Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici Università di Bologna
Francesco Garbasi
Archeologo
Il tema della gestione dei beni culturali coinvolge
sempre di più igure professionali specializzate e va
di pari passo con le necessità di tutela che sono, come
più volte ricordato, di primaria importanza. Quello
che si propone in questo intervento è un insieme di
rilessioni nate contestualmente all’attività svolta fra i
comuni di San Polo d’Enza e Canossa, in un territorio
in cui sono individuabili aree di interesse archeologico che fanno capo ai resti dell’insediamento di età romana di Luceria e alle emergenze monumentali di età
medievale rappresentate dalle fortezze di Canossa e
Rossena. Qui si nota, inoltre, una radicata attenzione
da parte della cittadinanza alle tematiche che coinvolgono la ricerca storico-archeologica. Al ine di intervenire con adeguati progetti di valorizzazione e tutela
mirati alle aree di interesse ricordate pare determinante sottolineare il rapporto che esiste fra i beni culturali, nel nostro caso archeologici, e il territorio in
questione. Un valido esempio di come questo rapporto si sia sviluppato è rappresentato dalla testimonianza e dalle attività del Gruppo Archeologico VEA e
dell’Associazione di Volontariato «Amici di Luceria»
che da tempo operano sul territorio. I diversi progetti
del gruppo VEA hanno visto l’attuazione e l’attività
di found-raising per gli scavi della chiesa di Santo Stefano (igg. 1-2), i saggi sul Monte Pezzola e le ricerche
per l’inquadramento del territorio nell’età del Bronzo con la collaborazione dei Civici Musei di Reggio
nell’Emilia e la supervisione del Museo archeologico
Nazionale di Parma (Tirabassi 2003). Maggiormente
focalizzate sull’emergenza monumentale di età romana sono state le iniziative dell’Associazione «Amici di
Luceria» che sono culminate nello scavo e successiva
musealizzazione dell’area archeologica di Luceria.
Le dinamiche che coinvolgono i processi di tutela e valorizzazione, lungi dall’essere standardizzate,
variano in misura rilevante a seconda del contesto in
cui ci si trova ad operare e alla natura dei beni culturali cui sono rivolte le pratiche ricordate. Quello che è
emerso nell’area in esame sottolinea una forte potenzialità che risiede innanzitutto nelle buone pratiche
elaborate e portate avanti da quella parte di cittadinanza attenta alle tematiche della gestione del territorio; una cittadinanza che possiamo deinire attiva
e che è stabilmente strutturata nella rete di relazioni
mantenuta dal substrato associativo che abbiamo ricordato. Sono molteplici gli efetti positivi che l’analisi di questo contesto sviluppa e, in particolar modo,
appare interessante individuare l’apertura di spazi
e prospettive per le diverse professionalità coinvolte
nella gestione e nella tutela dei beni culturali. Un approccio di questo tipo è infatti orientato a favorire una
gestione qualiicata da parte di professionisti, con la
consapevolezza dell’importanza di mantenere il legame con il territorio e con la cittadinanza.
La situazione così descritta appare un ottimo
punto di partenza per pensare a interventi mirati alla
valorizzazione delle emergenze in un costante dialogo con la cittadinanza; i luoghi archeologici e monumentali rappresentano infatti veri e propri luoghi della memoria collettiva la cui fruizione e gestione deve
essere costantemente comunicata alla cittadinanza; in
particolare passando per quella parte di cittadinanza
attiva maggiormente coinvolta e attenta.
93
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 1. Perimetro delle fondazioni nell’area absidale della chiesa di S. Stefano (San Polo d’Enza, RE).
Il punto di focalizzazione delle problematiche relative alla gestione e alla valorizzazione dei beni archeologici del territorio passa per la necessità di organizzare le potenzialità che si esplicano a diversi livelli. Se
da una parte ci sono i dati relativi alla tendenza di aumento della popolazione che interessa la fascia pedecollinare della nostra regione, con le evidenti ricadute
potenziali sul sistema economico e produttivo, dall’altra parte abbiamo la necessità di tutelare e valorizzare
il territorio attraverso i suoi punti di forza di modo che
a una crescita demograica corrisponda un adeguato
livello di gestione dei beni immateriali (ig. 3).
Il substrato del percorso di medio-lungo termine
che ha come inalità la tutela e la valorizzazione delle
emergenze archeologiche del territorio è rappresentato dai gruppi di volontariato, in particolare il Gruppo
Archeologico VEA e l’associazione Amici di Luceria
che da tempo operano in loco. I gruppi di volontariato
concentrano una grande spinta propulsiva delle dinamiche di gestione negli ambiti in cui operano. Rappresentano infatti un buon esempio di sperimentazione
di quella che viene deinita “cittadinanza attiva”. Con
questo termine si intende la presa di coscienza del singolo che si sente parte della comunità e il riconosci-
94/
mento che i cittadini possono prendere autonome iniziative per realizzare interessi generali. In quest’ottica
si deinisce un rapporto nuovo tra cittadini e istituzioni secondo il principio della sussidiarietà orizzontale.
Tale rapporto dà modo di far crescere una sussidiarietà tesa a prendersi cura in modo volontario e libero
da obblighi del patrimonio collettivo (Cotturri 2013).
Per quanto riguarda, nello speciico, il caso del
volontariato nell’ambito dei beni culturali pare necessario considerare, innanzitutto, come questa forma di associazionismo rappresenti la prima ila di
quel pubblico interessato al quale si può e si deve rivolgere la necessaria opera divulgativa di chi opera
nel campo dei beni culturali. In questo modo è possibile pensare alla costruzione di un ponte di dialogo
proicuo fra i professionisti che si occupano di beni
culturali, nel nostro caso speciicatamente archeologici, e la cittadinanza. Il rapporto con il territorio
non può infatti non passare attraverso una relazione
stretta con chi è parte, abita e vive nel territorio stesso che non può essere considerato come un semplice
caso di studio ma come il risultato di diversi fattori
diacronici che sono ancora in atto e contribuiscono a
modiicare il paesaggio. Occupandosi infatti di qual-
Fontana / Garbasi
Professionisti e associazioni di volontariato: opportunità di crescita e definizione dei rapporti reciproci
Fig. 2. Soci del Gruppo Archeologico VEA durante le fasi di scavo della chiesa di S. Stefano (San Polo d’Enza, RE).
95
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Figg. 3-4. Schema riassuntivo dell’organizzazione delle attività e delle ricadute a breve e a lungo termine; schema di alcuni punti importanti che
definiscono la figura del volontario.
cosa che è un bene comune, come ricorda lo stesso
codice dei beni culturali, è prioritario che una delle
inalità del professionista sia quella di far conoscere
la propria attività e le potenzialità, in àmbito archeologico, del territorio che studia (Settis 2002).
Proprio perché di territorio si parla è utile sottolineare come allo stesso livello partecipativo dei gruppi di
volontariato si situi un legame forte con i luoghi e con
il resto della popolazione. In questo modo il percorso
progettuale di medio-lungo periodo ricordato focalizza una rete di legami, di interesse e di dialogo con la
cittadinanza indispensabile per la gestione globale degli
aspetti culturali e archeologici di un territorio. Un ruolo
di così forte impatto e potenziale giocato dagli abitanti
stessi dell’ambiente di studio e ricerca è esempliicato
nei casi degli Ecomusei del territorio dove i volontari
sono spesso parte integrante del sistema museale. Partecipi attivamente nel processo di valorizzazione del territorio, forniscono il primo approccio al visitatore che
si avvicina al territorio (Frattara 2008). In quest’ottica
pare, perciò, un interessante spunto evidenziare come
sia proicuo da ambo le parti un dialogo costruttivo fra
la cittadinanza e gli operatori dei beni culturali che può
iniziare attraverso il confronto con la parte di cittadinanza che si dimostra più partecipante e attenta al tema.
In un quadro teorico così delineato sembrano molteplici le positività che possono emergere dal confronto
di professionalità e operatori volontari; ciò nonostante è
opportuno sottolineare, nell’ambito di una progettualità di interventi di gestione territoriale, le criticità del
modello quali sono emerse in contesti simili. Volendo
impostare l’analisi del fenomeno in maniera analitica
è utile issare le tappe normative che hanno deinito il
volontariato nel campo dei beni culturali.
96/
Il volontariato in questo settore ha, infatti, radici
piuttosto stratiicate che contano interventi normativi diversi. Una prima sperimentazione in merito si
ha con la Legge del 27 Giugno 1906, in materia di
“norme sugli uici e il personale delle antichità e belle arti”, dove agli articoli 47-52 viene istituita e regolata la igura degli Ispettori onorari nel campo delle
antichità e belle arti; funzione di indubbio prestigio
connessa ad una prestazione volontaria individuale.
In seguito due altri provvedimenti, i Decreti del Presidente della Repubblica del 30 settembre 1963 n.1409
e 10 novembre 1966 n. 1356, istituiscono e regolano
la possibilità di svolgere prestazioni volontarie individuali presso archivi o biblioteche.
In base alle disposizioni dell’art. 3 della legge n. 4
del 14.1.1993 il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo può utilizzare volontari per assicurare
l’apertura quotidiana prolungata di musei, biblioteche e
archivi di Stato. La legge Ronchey si ricollega alla legge-quadro sul volontariato, la n. 266 dell’11.8.1991, dove
viene riconosciuto il ruolo fondamentale dei gruppi di
volontariato con i quali le istituzioni pubbliche possono
stipulare convenzioni. In questo modo vengono individuate speciiche attribuzioni di competenze che, in accordo con un principio di sussidiarietà, hanno come inalità il perseguimento delle attività di carattere sociale,
civile e culturale individuate dalle stesse associazioni.
Il volontariato presso Enti pubblici, così come regolato
dalla legge-quadro, circoscrive la possibilità di impiego
disciplinando il fenomeno esclusivamente dal punto di
vista associativo. In questo modo l’associazione stessa
risponde del comportamento del volontario tutelando
così le istituzioni pubbliche. La legge n. 4/93 prevede
la possibilità di utilizzare volontari nelle strutture di-
Fontana / Garbasi
Professionisti e associazioni di volontariato: opportunità di crescita e definizione dei rapporti reciproci
Fig. 5. Esposizione di materiali didattici e riproduzioni di mosaici romani, realizzati dal mosaicista W. Ferrarini, presso il Mercato della Centuriazione
Romana di Villadose (RO), a cura del Gruppo Archeologico Vea.
pendenti dal Ministero attraverso la stipula di apposite
convenzioni, inquadrate dall’art. 7 della legge n. 266/91,
con le organizzazioni di volontariato aventi inalità culturali, iscritte da almeno sei mesi nei registri regionali, sentite le organizzazioni sindacali. L’articolo 3 della
stessa legge sancisce pertanto la possibilità, per gli Enti,
di stipulare convenzioni con Associazioni di Volontariato al ine di assicurare l’apertura prolungata di musei,
archivi e biblioteche. L’impiego di volontari nell’ambito
dei beni culturali verrebbe a delineare, quindi, una risposta alle inalità culturali e sociali dei gruppi recependo così una tendenza in concordanza con il principio di
sussidiarietà già ricordato (Buzzi 1993).
Proprio la deinizione degli ambiti di impiego dei
volontari rappresentano però il punto più intricato
della questione. Il punto più controverso è rappresentato infatti dal problema del c.d. “professionismo
negato” dove appunto il volontario si trova a svolgere
delle mansioni organiche che necessitano di professionalità ben deinite (ig. 4). Un tentativo di sintesi
in merito è stato fatto recentemente dalla regione
Toscana con la redazione di una Magna Charta del
Volontariato per i beni culturali. Un progetto portato
avanti da Regione Toscana e CESVOT, con la collaborazione della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana e della Federazione
Toscana dei Volontari per i Beni Culturali, assieme
a Promo PA Fondazione. Il documento raccoglie in
maniera organica i principi per deinire ruoli, diritti
e compiti dei volontari operanti nel settore culturale.
Obiettivo della Magna Charta è creare, nella fattispecie in Toscana, un percorso per il riconoscimento, la
programmazione e l’organizzazione dell’attività del
volontariato nell’ambito del patrimonio culturale
statale e locale. Sulla base di queste premesse viene
esaminato il problema della deinizione precisa delle
mansioni afermando il principio che se da una parte
il volontario concorre ad afermare e difendere i beni
culturali dall’altra è necessario pensare alla igura di
un volontario informato che si ponga, cioè, sotto la
97
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 6. Esempi di attività didattiche del Gruppo Archeologico Vea (mosaico) e del Gruppo Archeologico di Bondeno (manipolazione dell’argilla).
Foto: Francesco Garbasi, Micol Boschetti
guida e il riferimento di una igura professionale. In
questo modo è possibile pensare ad un dialogo costruttivo che valorizzi tutti gli attori che concorrono
alla tutela, a diversi livelli, dei beni culturali; d’altra
parte vengono ulteriormente valorizzate e riconosciute le professionalità che operano nel settore moltiplicando gli ambiti d’azione. Vengono inoltre ribadite le
buone pratiche per la deinizione delle aree di impiego
dei volontari, che seppure cambiando da caso a caso
a seconda delle circostanze e degli Enti coinvolti, rispettano alcuni importanti principi quali: la non obbligatorietà della prestazione, la non sostituzione alle
igure professionali e la non interferenza con le mansioni ordinarie dell’ente (Velani, Rosati 2012).
L’esempio del caso toscano rappresenta, crediamo, un buon punto di partenza per percorrere la
strada di un dialogo produttivo che prenda in considerazione le risorse e le inalità delle associazioni
di volontariato in un percorso di deinizione di una
cittadinanza attiva e partecipe, e allo stesso tempo
valorizzi le professionalità che operano nel settore.
98/
Nel nostro caso i progetti di valorizzazione del
territorio interessano in particolare modo gli aspetti
archeologici del popolamento, della cultura materiale
e delle pratiche di archeologia sperimentale. Se la rete
sulla quale ci è stato possibile strutturare questa forma
di tutela e valorizzazione si basa sulla rete sociale, composta dai gruppi di volontariato, il punto di arrivo di
questa progettualità mira a creare opportunità e spazi
per le varie professionalità coinvolte in un costante dialogo con la cittadinanza attiva composta, come dicevamo, di volontari. Il processo partecipativo del volontariato per i beni culturali rappresenta quindi una risorsa,
in questa prospettiva, capace di creare quella rete sociale nella quale può essere sviluppato un programma
di medio-lungo periodo attuato con diversi progetti che
vanno dai laboratori, alla didattica, alla salvaguardia
dei saperi tecnici, alla ricerca e allo studio che sono e
devono essere svolte da professionisti qualiicati.
Grazie a queste considerazioni e ad esempi nazionali e internazionali, in cui l’attiva collaborazione tra
volontari e professionisti ha permesso lo stabilirsi di
Fontana / Garbasi
Professionisti e associazioni di volontariato: opportunità di crescita e definizione dei rapporti reciproci
circoli virtuosi che hanno portato sviluppo culturale
ed economico, si è deciso di iniziare un percorso di
valorizzazione operando dall’interno delle associazioni culturali locali, al ine di costruire un programma a
medio-lungo termine di corretta gestione delle risorse.
La presenza di archeologi e altri operatori professionisti d’ambito storico all’interno del sistema associativo volontario hanno, dunque, lo scopo di organizzare
la progettualità a medio-lungo termine delle associazioni e di aprire nuovi canali di dialogo tra la comunità
scientiica e la popolazione residente sul territorio.
L’impegno diretto da parte di professionisti ha come
scopo principale l’ampliamento dell’interesse per i beni
culturali locali, in modo da incrementarne il numero di
fruitori e di curarne la gestione, che riveste sempre più importanza nell’ampio panorama della gestione territoriale.
Tale inalità deve essere perseguita tramite un’adeguata pubblicizzazione dei beni del territorio che
spesso non vengono percepiti come patrimonio comune a causa di una ridotta promozione.
I beni storico-archeologici, frutto di una società,
un’economia e un ambiente circoscritti nello spazio
e nel tempo, sono sempre contraddistinti da tratti di
unicità, il cui valore immateriale, quando non tramandato nel sentire comune, deve essere aiutato ad
emergere dai professionisti del settore.
La strutturazione della conoscenza storica di un determinato territorio passa, quindi, dal lavoro di singole
igure professionali che una volta individuate le potenzialità di interesse culturale e i metodi di comunicazione
più idonei per far rientrare quel patrimonio nel sentire
comune di “bene culturale”, ne organizzano la gestione.
La memoria di una società è in parte legata ai cosiddetti marcatori territoriali, i monumenti, che veicolano miti, tradizioni e conoscenze. Tuttavia quando manca la monumentalità manca anche il veicolo
per la cristallizzazione di ideali e saperi tradizionali.
In quest’ultimo caso il lavoro di archeologi e storici è
essenziale per la valorizzazione dei territori ricchi di
emergenze storiche non conservate in alzato.
I membri dei gruppi di volontariato e in particolar modo i professionisti che ne fanno parte devono possedere un’accurata conoscenza del territorio,
infatti, le problematiche e le potenzialità che lo contraddistinguono sono i due elementi cardine su cui i
singoli progetti devono essere impostati.
I gruppi archeologici, in particolare, che di per sé
studiano l’evoluzione sociale, culturale ed economica
del territorio, raccolgono già un primo nucleo di popolazione interessata a produrre cultura e attenta alle
possibili vie di promozione territoriale.
In ambito locale, il Gruppo Archeologico VEA,
attivo dall’anno 2000, grazie all’impegno del suo fondatore Walter Ferrarini, ha permesso l’avvio di collaborazioni con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna e con il Comune di San Polo
d’Enza, creando la prima essenziale rete di contatti
tra enti preposti alla tutela dei beni archeologici e cittadinanza interessata a collaborare a tale inalità.
La riorganizzazione del Gruppo VEA, iniziata
nel dicembre 2012, grazie alla quale diversi archeologi professionisti ne sono entrati a far parte, sta permettendo la progettazione di diverse collaborazioni
con enti italiani e stranieri che perseguono le medesime inalità.
I progetti, oltre ad essere incentrati sullo sviluppo
culturale ed economico del territorio, mirano a creare
nuovi spazi lavorativi per gli operatori dei beni culturali.
L’ampliamento del numero delle persone e degli
enti coinvolti e la condivisione del programma con
gli enti pubblici, garantisce il riconoscimento della rilevanza sociale delle attività svolte, fornendo la
possibilità di attrarre investimenti sia pubblici che
privati a sostegno delle iniziative turistico-culturali
proposte. La creazione di spazi culturali, allestendo
e organizzando strutture messe a disposizione dalle
amministrazioni locali o da privati, e la promozione
di progetti inalizzati all’ampliamento e alla fruizione della conoscenza storica (ig. 5), ofriranno nuove
opportunità per i professionisti che spesso non hanno
adeguati spazi per la realizzazione delle proprie attività e sofrono la ridotta richiesta di attività culturali.
Il territorio sul quale si sta attuando questo tipo
di organizzazione, volta alla realizzazione nel breve
termine di progetti di didattica, ricerca e valorizzazione, che costituiranno la base necessaria su cui impostare il lavoro futuro, coincide con i comuni di San
Polo d’Enza (RE) e Canossa (RE).
Il territorio, nel suo insieme, seppur con forti differenze interne dovute al cambiamento ambientale e
demograico dalla fascia di alta pianura a quella di
collina, presenta una generale tendenza all’aumento
demograico. L’aumento di popolazione in un territorio ricco di beni storico-archeologici esige un altrettanto importante sforzo di salvaguardia e promozione culturale.
I dati regionali1 mostrano che la crescita demograica registrata nel decennio 1999-2009 è stata del 12%
1
Dati relativi all’anno 2009. Popolazione, Relazione sullo
stato dell’ambiente della Regione Emilia-Romagna:
http://ambiente.regione.emilia-romagna.it/.
99
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
nei comuni collinari con popolazione compresa tra i
3001 e i 5000 abitanti e del 15,19% in quelli con popolazione compresa tra i 5001 e i 10.000 abitanti, fasce demograiche compatibili con i comuni rispettivamente di Canossa e San Polo d’Enza, che efettivamente
hanno evidenziato un certo incremento. Nel decennio
considerato la popolazione regionale è aumentata del
9,5% a fronte di una sostanziale stabilità nel decennio
precedente. La decisa crescita demograica è dovuta,
in buona parte, ai recenti lussi migratori che rendono
più variegato il panorama culturale e richiedono approcci didattici e divulgativi in parte nuovi.
L’analisi dei trends regionali ha anche evidenziato un crescente numero di visitatori delle aree archeologiche statali, che nel 2013 ha fatto registrare un
aumento del 4,6% rispetto all’anno precedente e del
22% rispetto alla media 2001-20122.
I dati relativi agli accessi dei musei regionali, censiti in numero di 326 nell’anno 2000, evidenziano come
la maggior parte di essi abbiano un numero di ingressi
annuo compreso tra i 1001 e i 5000 visitatori (33%) e
che 20 musei (6% degli istituti) abbiano accolto il 68%
dei fruitori. Un altro dato signiicativo è che i visitatori (3.470.450 nel 2000) hanno prediletto i musei d’arte
29% e quelli di archeologia 22%, che costituiscono rispettivamente il 20% e il 10% delle strutture museali3.
Questi dati, considerata l’alta concentrazione di
monumenti e aree archeologiche nel territorio in oggetto, sommati alla radicata tradizione dell’associazionismo volontario, ci fanno ritenere che i comuni
in cui operiamo siano aree privilegiate in cui sviluppare progetti culturali e di valorizzazione.
Le attività di studio e ricerca si proilano come indispensabili per la creazione di una solida base culturale. L’impatto sociale delle attività culturali, che mettano al centro dell’attenzione la cultura come insieme
dinamico di apporti interni ed esterni, punta ad agevolare i processi d’integrazione di culture diferenti,
sempre più presenti in ambito locale e nazionale.
Le attività didattiche e di archeologia sperimentale permettono, inoltre, la contestualizzazione storica delle emergenze presenti sul territorio e valorizzano le attività manuali tramite il recupero di alcune
conoscenze tecniche antiche. La manipolazione di
2
3
Dati disponibili nel sito della Soprintendenza per i Beni
Archeologici dell’Emilia-Romagna: http://www.archeobo.
arti.beniculturali.it/comunicati_stampa/bilancio_2013.htm.
Dati disponibili sul portale della Regione EmiliaRomagna: http://statistica.regione.emilia-romagna.it/
allegati/pubbl/musei_trasparenza.pdf.
100/
varie materie prime, oltre a stimolare l’interesse per
l’artigianato aiuta a ridurre il divario tra conoscenze
teoriche e pratiche, queste ultime sempre più penalizzate dall’utilizzo decisamente preponderante della
tecnologia (ig. 6).
Le attività, pensate soprattutto per i ragazzi delle
scuole locali, potranno essere aperte ad un pubblico
più vasto, attivando corsi speciici inerenti tematiche
puntali (es. le coltivazioni antiche, la lavorazione di
diferenti materie prime).
Il network che il gruppo di professionisti potrà
realizzare a livello italiano e europeo, permetterà di
poter concorrere all’ottenimento di inanziamenti
europei, che diano maggiore consistenza ai progetti
volti alla valorizzazione territoriale.
Una delle inalità principali, come già ricordato, è
quella di creare nuovi spazi lavorativi in ambito culturale, che possano accrescere e soddisfare l’alusso
turistico e raforzare la coscienza storica locale, mantenendo un rapporto di stretta collaborazione tra attività di volontariato e attività professionali.
Riferimenti bibliografici
AA.VV. 1994 = L’ Italia dei nuovi musei, Roma 1994.
Buzzi 1993 = A.M. Buzzi, Il rapporto di volontariato nella normativa vigente in «Notiziario dei beni culturali», Roma
1993, pp. 67-73.
Cotturri 2013 = G. Cotturri, La forza riformatrice della
cittadinanza attiva, Roma 2013.
Frattara 2008 = A. Frattari, Open air museum: principi di
progettazione per gli ecomusei, Roma 2008.
Settis 2002 = S. Settis, Italia S.p.A. L’assalto al patrimonio culturale, Torino 2002.
Tirabassi 2003 = I. Tirabassi, L’Età del Bronzo nel territorio di San Polo, Cavriago 2003.
Velani, Rosati 2012 = F. Velani, C. Rosati, La Magna
Charta del Volontariato per i Beni Culturali, Firenze 2012.
Sitografia
http://ambiente.regione.emilia-romagna.it/
http://www.archeobo.arti.beniculturali.it/comunicati_
stampa/bilancio_2013.htm
http://statistica.regione.emilia-romagna.it/allegati/pubbl/
musei_trasparenza.pdf
Valorizzare è far rivivere.
La gestione del patrimonio
culturale come snodo cruciale
Donatella Girotto
Vice-presidente Turismo&Cultura soc. coop.
Giuseppe Marangoni
Presidente nazionale CTG- Centro Turistico Giovanile
1. Superare le separazioni
Il management culturale troppo spesso separa la
dimensione della conservazione del patrimonio culturale materiale da quello immateriale e l’arte della
salvaguardia e recupero da quella del riuso e della
valorizzazione.
Superare queste separazioni è uno dei principi-obiettivo per una corretta governance dei beni culturali ed è anche uno degli aspetti principali del caso di
studio che andiamo sinteticamente ad illustrare nella
nostra comunicazione: quello di un’impresa culturale – la cooperativa Turismo&Cultura di Rovigo – la
cui vicenda per certi aspetti acquista una signiicatività maggiore se si considera il fatto che opera in una
provincia svantaggiata rispetto al resto del Veneto,
regione di appartenenza.
2. Un approccio integrato
Nel corso della breve esposizione, cercheremo di
illustrare anche in termini esempliicativi come l’approccio integrato alla gestione del patrimonio non si
limita agli aspetti della salvaguardia- restauro e riuso-valorizzazione, ma tocca altri elementi di integrazione: il rapporto tra volontariato e impresa, tra
pubblico e privato, tra attività scientiica e divulgativa, tra livello culturale e commerciale, tra didattica e
gestione, tra luoghi e tecniche museali e tecniche di
animazione artistica e di spettacolo, tra utenza locale
e utenza turistica.
La nostra esperienza ci dice come al di fuori di
questa ilosoia gestionale una gestione di beni culturali, specialmente in zone periferiche e non dotate
di beni di impatto assoluto- che è il caso più frequente-, non possa reggersi né sul piano economico né su
quello strettamente culturale.
In proposito, va particolarmente sottolineata
l’importanza di un corretto e sistematico rapporto
tra pubblico e privato, specie con il privato del 3° settore (associazioni, cooperative), specializzando l’istituzione titolare del bene culturale nella regolamentazione e nel controllo, dando però grande spazio di
manovra operativa ai soggetti imprenditoriali che si
occupano della gestione (manutenzione, fruizione,
valorizzazione).
3. Un caso di studio: Turismo&Cultura
Per sviluppare l’argomento, può essere utile alla
comprensione afrontarlo attraverso la disamina di
un esempio concreto.
La cooperativa Turismo&Cultura opera ininterrottamente dal 1984 nella provincia di Rovigo,
con interessi diretti e collaborazioni anche in altre
province del Veneto e dell’Emilia Romagna. Ha 2
dirigenti, 11 dipendenti a tempo indeterminato, 4 a
tempo determinato, 3 collaboratori a progetto, una
trentina di collaboratori occasionali. Il giro d’afari si
aggira attualmente sui 900.000 euro, modesto in linea assoluta, ragguardevole se si pensa che si occupa
di attività culturali in zona svantaggiata.
3.1 Origine ed evoluzione. Dal volontariato all’impresa
Può essere interessante un cenno sulle origini.
La cooperativa nasce dal Centro Turistico Giovanile, un’associazione presente in Italia dal 1949 e che
101
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 1. Il palazzo neoclassico dell’idrovora ottocentesca di Amolara-Adria,complesso architettonico dismesso e abbandonato, per cui Turismo&Cultura ha promosso il recupero come Museo sulla storia della civiltà delle acque nel Delta del Po (SEPTEM MARIA MUSEUM), con annesso ostello, sala
convegni, ristorante. Il Museo ospita tra l’altro l’associazione culturale di divulgazione storica VIIII LEGIO.
102/
Girotto / Marangoni
Valorizzare è far rivivere. La gestione del patrimonio culturale come snodo cruciale
principale della nostra terra – integrati da elementi
storico-artistici legati alla presenza di ville venete e
castelli lungo i iumi.
Fig. 2. Ecomuseo Mulino al Pizzon di Fratta Polesine.
persegue, secondo una ispirazione cristiana vissuta
laicamente, la promozione della persona nei settori
della cultura, del turismo, del tempo libero. Ecco allora l’evoluzione: CTG – conoscenza del territorio –
passione per la divulgazione – organizzazione di corsi per guide di turismo sociale a livello territoriale,
specializzazione poi convertita, in base alle esigenze
dell’utenza prescelta, in corsi per animatori culturali
e ambientali.
L’evoluzione prosegue passando dalla passione e
dall’impegno associazionistico al servizio e all’organizzazione in forma imprenditoriale, per rispondere
ad esigenza di continuità, di professionalità, di responsabilità, di formazione, di legalità.
Il rapporto volontariato-impresa è una costante
che abbiamo continuato a salvaguardare e coltivare
nel tempo come stimolo motivazionale per tutti gli
operatori della cooperativa, compresi dipendenti e
collaboratori.
3.2 Le prime attività. Gli itinerari, le visite guidate
I primi itinerari approntati sono nel Delta del Po,
ambiente allora sconosciuto (si vendevano le cartoline di Venezia). Siamo l’unico team sul territorio a
funzionare da supporto concreto ai pionieri culturali e imprenditoriali: il nascente museo civico archeologico di Rovigo, qualche battelliere e pescatore
del Delta, un cantiere navale tradizionale, artigiani
di terrecotte del Po. Mettiamo in circolo piccoli gadget pieni di sapienza. Oltre al Delta, attenzione ad
itinerari ambientali lungo i iumi – la caratteristica
3.3 La formazione degli operatori. Una costante
La costante in dall’inizio è la cura della formazione e aggiornamento degli addetti, attraverso corsi
e riunioni periodiche, incontri con esperti e testimoni, ricerche e sopralluoghi. Tale formazione ha
sempre recepito i contenuti dal mondo scientiico,
integrato però con un’apertura di ascolto e attenzione
a protagonisti della cultura popolare, artigiani, imprenditori, insegnanti, studiosi non canonici. Parallelamente la formazione ha battuto sulla metodologia della comunicazione, trattando l’opera dei nostri
animatori come una mediazione culturale applicata a
contesti e utenze diverse.
Secondo il concetto di turismo sociale che era il
nostro valore di partenza, nessuna categoria doveva
intendersi esclusa dalla fruizione dei beni culturali:
non solo turisti ma anzitutto residenti, dai bambini
dell’asilo agli anziani delle case di riposo, con attenzione anche a portatori di handicap (sordi, ciechi,
ecc.). Evidente che i linguaggi e i contenuti devono
essere diversi. Sembra ovvio, ma non lo è se si pensa che a livello legislativo e regolamentare dobbiamo
ancora combattere con chi ritiene che la igura professionale della guida turistica possa coprire tutte le
casistiche sopraccitate.
3.4 Le strutture ricettive. L’idea degli ostelli di città
e di campagna
Ben presto l’intervento di una giornata o di mezza giornata si rivela insuiciente rispetto alle richieste di gruppi e scuole, dal punto di vista turistico,
didattico, socio-culturale. Ecco l’esigenza di impegnarsi in un nuovo campo d’azione: la ricettività.
Cominciamo col campeggio nelle isole del Delta per
adolescenti. Ma emerge la necessità di una continuità
organizzativa e standard di struttura e di sicurezza,
con apertura ad altre categorie di utenti: famiglie,
adulti amanti della natura, ecc. Ecco gli ostelli. Prima a Padova un ostello di città. Poi A Gorino Sullam
presso le foci del Po. Sposiamo in ambedue le ipotesi il concetto ecologico non della nuova costruzione
ma della salvaguardia e riuso di fabbricati esistenti e
abbandonati da tempo. A Padova un ex asilo notturno. A Gorino un ex asilo d’infanzia. La cooperativa
e l’associazione non dispongono però di struttura
societaria e capitali per intraprendere l’avventura da
soli. Ecco allora l’idea della sinergia privato-pubbli-
103
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 3. Il Gruppo Ctg di adolescenti “Latin Lovers”. Corsi di lingua e cultura latina, confezione di maschere, teatro di strada su autori latini e non
solo, come passione educativa svolta nel tempo libero.
co. Il privato ha l’idea, trova l’applicazione, trova la
via inanziaria, interpella l’Ente proprietario dell’immobile (Comune, Provincia, Consorzio di Boniica),
studia un progetto di recupero e riuso del bene, propone come condizione al tutto la concessione della
gestione (decennale, ventennale) alla cooperativa o
all’associazione, che poi si avvale in ogni caso della
cooperativa come organismo tecnico.
L’ostello di Padova ha un giro d’afari di 300.000
euro, con 5 dipendenti e varie collaborazioni esterne. Gorino Sullam € 350.000 con 5 operatori. Ostello
Amolara di Adria € 450.000 con 10 dipendenti (ig.
1), Ecomuseo Mulino al Pizzon di Fratta Polesine €
200.000 con 5 operatori (ig. 2).
Progetti di recupero e gestione vengono proposti anche per altre utilizzazioni, non commerciali: la
Torre Grimani del castello di Rovigo, salvata dall’abbandono e trasformata in uicio turistico; il Complesso Olivetano di S. Bartolomeo a Rovigo, all’interno del quale collaboriamo per la realizzazione del
Museo dei Grandi Fiumi e predisponiamo il servizio di animazione didattica del CeDi, di cui si dirà
più avanti. In questi ultimi casi la cooperativa non
ha un ritorno in termini economici, ma costruisce
strumenti di promozione che valgono per tutta la comunità e però in particolare anche per l’azione della
cooperativa, potenziandone l’impatto sul territorio.
La via gestionale seguita per gli ostelli è di una
gestione diretta per i primi anni, per assicurare l’im-
104/
postazione corretta e il lancio della struttura, con
denaro fresco che entra a coprire gli investimenti
iniziali, e poi ricerca di una gestione separata verso
cui si opera un tutoraggio e si mantiene un legame di
collaborazione in rete.
Vantaggi per l’Ente: ha un percorso garantito;
non ha costi di manutenzione ordinaria; ha provocato l’innesco sul proprio territorio di attività culturali e turistiche e di posti di lavoro; ha costi certi
complessivamente; ha l’opportunità di coinvolgere il
gestore in una parte degli investimenti (attrezzature,
arredamenti, sistemazioni ambientali).
3.5 Diversificazione delle attività
L’uso delle strutture, così come le attività della
cooperativa applicate ai beni culturali, spaziano dal
turismo, alla didattica, alle iniziative sociali e ambientali rivolte in particolare ai giovani. Questo, sia
perché sono in efetti settori collegati sia perché di
cultura, musei e oasi da soli non si vive. Anche qui
vale il principio dell’approccio integrato, della diversiicazione dei campi operativi, ma anche dell’utenza.
Noi abbiamo sempre cercato di non aidarci solo alle
convenzioni con Enti pubblici, ma di avere un nostro
mercato di commesse difuse: gruppi, Comuni, associazioni, agenzie, scuole.
Sulle scuole in particolare abbiamo sviluppato
un ampio ventaglio di proposte: visite guidate, laboratori, progetti didattici, visite animate, percorsi
Girotto / Marangoni
Valorizzare è far rivivere. La gestione del patrimonio culturale come snodo cruciale
annuali e pluriennali di accompagnamento tematico
sviluppati d’intesa con Istituti Superiori e che spesso sfociano in convegnistica dove i giovani studenti
sono protagonisti con le loro ricerche, aiancati dagli
insegnanti all’interno di un progetto studiato ad hoc.
Diversiicare signiica anche articolare attività
durante il tempo dell’anno, senza fermi che produrrebbero la necessità di interrompere rapporti di lavoro. In questo settore si inseriscono la gestione di
Centri estivi comunali – in particolare le animazioni
di eccellenza presso musei –, doposcuola, ludoteche,
attività teatrali e musicali (ig. 3) connesse all’animazione dei centri storici, attività editoriale.
3.6.1 Elementi di rischio imprenditoriale
• attenzione ai costi issi (sedi, energia, pulizie,
ecc.). All’occorrenza, trovare soluzioni miste
con altri enti e cercare economie di scala.
• assumere se c’è esigenza e dopo aver veriicato la redditività. Prima creare il giro.
• calcolare bene il rientro degli investimenti.
3.6.2 Punti di debolezza
• diicoltà a farsi pagare adeguatamente le attività culturali.
• esiguità dei margini sulle attività culturali.
• beneici sociali non pagati.
• turn over di persone qualiicate.
3.6.3 Punti di forza
• addetti motivati e preparati.
• diversiicazione delle attività e delle commesse.
• radicamento nel territorio.
• regia della rete territoriale.
3.7 La cultura radicata. Il progetto Ce.Di per una
learning region
L’ultimo punto è proprio questo. Il radicamento nel
territorio e la costruzione di una rete di relazioni valide
sul piano della progettazione, lo svolgimento di servizi
culturali e di gestione dei beni culturali e ambientali.
Il radicamento riguarda lo studio, la conoscenza
e le relazioni. Quindi la consapevolezza dei valori e
delle esigenze. Corrispondentemente al radicamento sul territorio Turismo&Cultura ha sviluppato da
sempre la massima apertura agli studi e alle esperienze che venivano contemporaneamente portate avanti
in altre parti d’Italia e del mondo, interscambiando il
più possibile a livello teorico e pratico.
A questo livello, il CeDi – Centro per la Didattica
dei Beni Culturali e Ambientali – è il modello che
abbiamo più esportato e su cui, a distanza di 16 anni,
ancora registriamo interesse da parte di Regioni,
Province, Istituti Culturali, Associazioni sia in Italia
che all’estero.
Il CeDi è un progetto che raccoglie l’adesione di
organismi vari – pubblici e privati – presenti sul territorio (Enti locali, musei, parchi, archivi, biblioteche,
scuole, associazioni) che ha sede presso il Museo dei
Grandi Fiumi e funziona anche come sezione didattica dello stesso museo (ig. 4). Il CeDi rende operativa
la rete, dando vita ad una learning region, attraverso
progetti e servizi qualiicati cui ogni organismo aderente dà un apporto speciico (inanziario, di struttura, di personale, ecc.) agevolando la ricerca di soluzioni le più economiche ed eicaci per la gestione dei Beni
Culturali e per l’oferta di servizi educativi e didattici.
Il segreto del successo del CeDi è che ha un motore
agile ed eiciente: la cooperativa Turismo&Cultura.
Fig. 4. Laboratorio di simulazione di scavo nel Giardino del Museo dei Grandi Fiumi di Rovigo, durante l’Animazione di Eccellenza nel periodo estivo.
105
Prehistoric Art Museum of Mação
(Portugal): a project of culture,
education and science
Sara Cura
Prehistoric Art Museum of Mação – Earth and Memory Institute
Luiz Oosterbeek
Polytechnic Institute of Tomar – Quaternary and Prehistory Group of the Geosciences Centre
(uID73 – FCT)
1. Departure
In 2005 the Dr. João Calado Rodrigues Museum, inaugurated in 1986, reopened ater a major restructuring resulting form a partnership between the
Municipality of Mação, the Polytechnic Institute of
Tomar (IPT) and the European Research Centre of
the Prehistory of Northern Ribatejo (CEIPHAR).
he IPT project, since the early 1990’s, was to articulate four dimensions that in terms of juridical and
institutional organization are separated. his separation results in a severe injury both for heritage and
citizens: the research (essential for the identiication
and understanding of heritage), the education (essential for the formation of specialists but also to globally
raise an heritage consciousness in society), the conservation (crucial to preserve the identiied remains
throughout time) and the fruition of the citizens (justiication of all previous items).
In this scope, the goal was to create an excellence
research centre strictly articulated with regional development. In September 2000 occurred the discovery of Paleolithic rock art in the river Ocreza valley
(Mação). A request of collaboration to preserve the
rock art was addressed to the Municipality of Mação
and the answer was a proposal of cooperation to reorganize the Museum (Oosterbeek 2002b).
he restructuring logic was aligned with the main
concerns in the domain of heritage: the axis was not
the conservation of collections and sites, neither the
research, but the dynamic genesis of a difuse knowledge building, catalyzed but the archaeological heritage. Within this framework, the needs for conser-
vation and research emerged as tools for a qualiied
social appropriation of heritage, which ultimately is
considered as a citizenship vehicle in the frame of
what we call Integrated Territory Management (Scheunemann, Oosterbeek 2012). In other words, was
implemented an intervention in culture and heritage
that aims to exceed these dimensions and contribute
to ight against alienation and to raise citizens critical
consciousness within the articulation of social, environmental and economical dimensions (Oosterbeek
et alii 2011).
he Museum reopened in 2005 with a new thematic in the main building (rock art associated with
the beginning of agriculture) followed by the launching of heritage memory extensions in diferent locations of Mação municipality. he new permanent
exhibition, centered in the Neolithic and Chalcolithic
periods, allowed a discourse about the relation between human behavior and its environmental and
climatic context. his relation directly connects the
worries of current society and the decay of the rural
world identities. he knowledge socialization activities and didactic projects where organized over this
axis, that values the relevance of technology and rationality in society (ig. 1).
Subsequently the tactile (2008) and virtual
(PACAD, Digital scientiic and artistic animation
program, 2009) exhibitions consolidated this strategy. he Museum through several exhibitions develops
a conceptual cadency that always resumes the same
thematic: time (agriculture origins, climatic and environmental changes, cultural and artistic innova-
107
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
Fig. 1. Permanent exhibition « A trait in the landscape».
tions), space (the Tagus river, the natural and social
resources) and causality (the freedom of choice and
its constraints, the innovation and the central role of
technology and education for human beings). In 2011,
a new exhibition, emerging form the collections of
the Memory Spaces of diferent localities of Mação
region, represented a conceptual and technological
encounter between the academic knowledge and the
secular knowledge and the plural identity of society
(Oosterbeek et alii 2010). herefore archaeology and
prehistory are fostered as useful tools for the current
society in the delineation of new adaptive strategies
and new governance solutions (Oosterbeek 2009).
2. Structural lines and principles
he irst structuring line of the Museum is research, of its collections and of the territory, conservation being the second. he third line of action is
communication, not only in the academic world, but
within a global social frame. he fourth line is the
services that the museum provides to the community, beyond the dimensions of study, conservation and
cultural dissemination.
hese structural lines are based in several principles of continuity and innovation. Rigor, demand,
diiculty, aversion to the logic of the «spectacle museum», favoring a museum of debate and proximity, are
options that reinforce the path, initiated in 2009, towards a construction of a global network, with several
108/
regional and international poles, mainly from South
America and Africa.
2.1 Priority to research and conservation
his priority is given, at a local level, not only
trough the study of the archaeological remains directly connected to the main themes of the Museum (rock
art, quaternary, lithic technology, ceramic technology,
environment and chronology, heritage, theory), but
also to the entire cultural heritage of Mação region.
he Museum, together with CEIPHAR and IPT, the
Earth and Memory Institute and the Quaternary and
Prehistory group of the Geosciences Centre, coordinates projects in Mação and Middle Tagus region, but
also in other European countries, as well as in South
America and Africa. his diversity of projects reinforces the global ethos of the Museum and contributes
to a new dimension of the village of Mação, grounded
in the conviction that currently it is possible, and even
desirable, that major projects be coordinated and centralized outside the bigger urban contexts (ig. 2).
2.2 Strategic inset within the territory and local and
regional population
he Museum program assumes the local population as its irst priority, intervening in the social reorganization. Its role is the promotion of encounters, relections, knowledge building and new concepts and
the elaboration of critical reasoning. hat’s why in the
Cura / Oosterbeek
Prehistoric Art Museum of Mação (Portugal): a project of culture, education and science
beginning of the reorganization in 2002 one of the
irst steps was an extensive inquiry to the population,
which actively involved over 10% of the population
(including almost 40% of the Mação village itself).
he Museum activities are orientated by academic criteria, but in permanent dialogue with the population, as the Museum serves the population and not
only the visitors and users.
2.3 Social intervention
he interaction with the population takes form
in two ways: on one side, the Museum is a space of
strategic debate over crucial questions that afect the
population (desertiication, forest, domestic violence,
etc); on the other side the Museum and the Municipality promote activities that attract the inhabitants
to the Museum (inaugurations and ludic intercultural events).
2.4 Accredited quality permanently evaluated at
national and international levels
he Museum of Mação was positively evaluated
and integrated the Portuguese Museum Network
from 2010. It was evaluated and certiied by the international organization HERITY and is the headquarter of International seminars on Quality Management of Cultural Heritage an Rock Art, supported by
the European Commission that granted the seminars
with the Golden Prize of Erasmus. At a local level,
the museum promotes independent assessments on a
regular basis, including on its inancial viability and
local economy impacts. his global culture of quality
converges with a local trend, which promotes external permanent assessments on the performance of
schools, of forest management or of social services
(Oosterbeek 2002a).
Fig. 2. Research Laboratories: lithic technology, ceramic and rock art.
109
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
2.5 Subordination of knowledge socialization to the
research contents
All visits are guided and oriented towards raising
doubts and questions, and not as much on “answers”.
he visits detailed focus change according to the interest and prior knowledge of museum users, aiming
to transform the visits in moments of thought and debate, leading to understand that the focus of diiculties are not the problems, but the dilemma. he same
principle guides the knowledge socialization activities
that are articulated with the programs of research,
mainly those on prehistoric technologies. We privilege
the construction of critical reasoning and we don’t reduce the didactics to a simplistic popularization of the
research results. Simultaneously we try to involve the
users of the museum that have no speciic training in
archaeology, into the themes of scientiic research (ig.
3) (Cura et alii 2011; Oosterbeek et alii 2007).
2.6 Global understanding and heritage identity
he Museum Project tries to make its visitors and
users look into the past in retrospective and at a distance, so that they perceive convergences beyond the
diferences that research evidences.
he human behavior was always a social and intellectual game of interaction with the environment.
Archaeology and heritage reinforce the notion of
unity of the human species, serving mainly for the
comprehension of the materiality relevance in cultural construction, allowing each citizen to build
its own mediated and relective relation with the
past and, through that relection, to reach the understanding of convergence and diversity of cultural
mechanisms.
3. Action strategies
he above mentioned principles have diferent
strategies of action, which implementation was time
phased according to the programmatic priorities of
the Museum and its human and inancial capacities.
3.1 Conservation and formation
All these projects are successful because of the
concentration in Mação, through several research
degrees of more than hundred researchers, many of
them with several research fellowships.
hrough the implementation of projects outside
of Mação, in diferent continents, the Museum reinforces the relevance of the local community, promoting the insertion of students and staf originated of
110/
more than 40 diferent countries in the social-cultural
life of the village. his has been resulting in a growing accession of the population towards the dynamic
of the Museum project, which is the best base for an
afective heritage conservation, which doesn’t exempt
the research resources oriented to the study and conservation of collections and sites, but is supported in
the understanding of the population about the relevance of heritage preservation and study.
3.2 International and Multidisciplinar research
Because of the research and education programs,
structured in several partnerships, the Museum develops and collaborates in projects in the Middle Tagus Region in Portugal (Quaternary, Megaliths and
Rock Art), in Brazil (projects of landscape archaeology, heritage management, integrated landscape management in 14 diferent states), in Senegal (study of
quaternary formations in collaboration with the Fundamental Institute of Black Africa and the University
of Dakar), in Angola (Rock Art from the Ebo region)
and many other countries.
hese projects have diferent funding sources,
both national (mainly the Science and Technology
Foundation) and international (the respective countries and the European Union). Altogether they allow
consolidating Mação and IPT as the only research
and heritage management centre in Portugal with an
efective international dimension.
3.3 Differentiated communication
On the communicational level the major concern
is the diferentiation of speech which as to be adapted
to diferent interlocutors, always keeping the whole
cluster of central lines that conigure the thematic
of the permanent exhibition (landscape, technology,
hunting-gathering, rural world, agro-pastoralism,
social complexiication, rock art, history, identities,
innovation, development), of the Archaeological circuits and the Memory Spaces in the diferent localities of the Mação region.
he goal of the Museum is to build knowledge,
not only in the academic world, but within a global social frame. his goal implies the elaboration of
communication plans that integrate the knowledge
socialization activities, but are also prolonged in the
dialogues that structure the guided visits or in the relation with the media, which has a crucial role in the
presentation of the Museum as a pole of cultural and
social innovation.
Cura / Oosterbeek
Prehistoric Art Museum of Mação (Portugal): a project of culture, education and science
3.4 Relation with the community
he strategy of establishing in Mação a research
pole (supported by a specialized library with more
than 50.000 entries), stimulating the permanence of
students and researchers, has a great impact on the
village. he Museum has currently more than ten
thousand annual users, a permanent team of dozens
of persons, most of which with research fellowships
and living in the village. Since 2007 the hosting capacity is exhausted and new private investments are
taking place, though delayed by the current crisis.
he insertion of the Museum in the economic life
of Mação and the surrounding region results from a
strategy articulated with cultural tourism. Actually,
if the Museum is capable, with a rigorous scientiic
speech of ensuring its responsibility in research and
conservation, to attract a signiicant number of visitors, these contribute to the local economy. We know
that the medium cost of a user is around 15 euros, but
the medium revenue resulting from this compound of
users and projects is of around 35 euros. his is an undeniable factor of development for the village. Howev-
er, the Museum is not a project of touristic growth, but
one of proximity and of local and regional integration.
he Museum is currently consolidating the relation with enterprises of Mação and its surroundings,
exploring the contribution that its image and partnership networks can give to the promotion and commercialization of diferent products.
3.5 Management (Public-Private partnership)
he implementation of goals’ oriented management was made ater consulting with a local company, Beneits & Proits. he balance of this management
model is extremely positive: it allowed for the reduction of operational costs and the rigorous monitoring
of all working sectors, internal and external.
We now have mechanisms that allow us to know
what each person does and how much it costs the Museum in terms of human resources, energy or services.
his model of partnership is not the mere contracting of an enterprise: the company is involved in
the Museum, without inal decision power, but coordinating activities and projects as well. his is done
Fig. 3. Knowledge socialization activities.
111
Strenna 3-2015
di Pagine d’Archeologia
in terms of a partnership in which the public sector
decreases the inancial investment, but controls the
dynamic and the strategic decisions.
3.6 Accreditation
In a frame of progressive growing, quality control
and accreditation foster the regulation of institutions’
performance, which everyday dynamic always tends
to set aside the formal plans. Quality as an external
controlling mechanism is essential.
he international projects are audited and these
represent a management tool as well as transparency,
which should be implemented on a global level. Beyond the oicial accreditation and evaluation mechanisms, the evaluation is permanent trough questionnaires done to each visitor.
3.7 Technological innovation (Public-Private
collaboration)
he implementation of a digital scientiic and artistic animation program (PACAD) strengthens an
international network that brings together knowledge
producers and the average citizen in a unique system
of communication, highly accessible and of low cost.
PACAD is a simple and innovative concept to make
exhibitions with the active participation of the visitors, sharing contents between partners in real time.
Departing from cultural heritage the system helps to
structure the concepts of space (geography), time (history) and causality (technology, innovation, economy).
4. Concluding
he program of the museum of Mação builds from
one core consideration: to help fostering critical reasoning. Its focus is not the heritage, but the relevance
of heritage to reinforce resilience in society. hus, it
tries to overcome the “economy-culture” divide, assuming that the museum is an excellent platform to
understand the intercrossing of disciplines and interests, in the context of globalization (Oosterbeek 2007).
112/
References
Cura, Oosterbeek, Cura 2011 = S. Cura, L. Oosterbeek,
P. Cura, A Educação Patrimonial no Museu de Arte Pré-Histórica de Mação, in M. J. Almeida A. Carvalho (a c.), Actas
do Encontro Arqueologia e Autarquias, Cascais 2011, pp.611619.
Oosterbeek 2002a = L. Oosterbeek, Absolute quality:
a point of view, in M. Quagliuolo (a c.), La Gestione del
Patrimonio Culturale - Proceedings of the 6th International Meeting, Barletta, 4/8 dicembre 2001, Roma 2002, pp.
230-233.
Oosterbeek 2002b = L. Oosterbeek, Museu Municipal de
Mação: Museu de Arte Pré-histórica e do Sagrado no Vale do
Tejo, in A. R. Cruz, L. Oosterbeek (a c.), Territórios, Mobilidade e Povoamento no Alto Ribatejo III - Arte Pré-histórica e
o seu contexto, «Arkeos» 12, 2002, pp. 11-28.
Oosterbeek 2007 = L. Oosterbeek, Arqueologia, Património e Gestão do Território – polémicas, Erechim (Brasil)
2007.
Oosterbeek 2009 = L. Oosterbeek, A arqueologia de um
ponto de vista social: recursos, identidades e riscos num contexto de mudança, in S. Figueiredo (a c.), Actas das Jornadas
de Arqueologia do Vale do Tejo, em território português (Lisbona 2009), Lisbona 2009, pp. 49-63
Oosterbeek, Cura, Cura, 2007 = L. Oosterbeek, S. Cura,
P. Cura, Educação, criatividade e cidadania no Museu de Arte
Pré-Histórica de Mação, in «Revista de Arqueologia» Sociedade de Arqueologia Brasileira 19, 2007, pp. 103-110.
Oosterbeek, Morais, Figueira 2010 = L. Oosterbeek, M.
Morais, M.C. Figueira, Espaços de Memória e Cultura em
Mação – Portugal e Pelotas – Brasil, in «Arkeos» 28, 2010,
pp.189-94.
Oosterbeek, Cura, Bastos 2011 = L. Oosterbeek, S. Cura,
R. L. Bastos, Pensar Local, Agir Global - O Museu de Arte Pré-Histórica de Mação: memória, intuição e expectativa, in M.
J. Almeida A. Carvalho (a c.), Actas do Encontro Arqueologia
e Autarquias, Cascais 2011, pp. 487-499.
Scheunemann, Oosterbeek 2012 = I. Scheunemann, L.
Oosterbeek (a c.), Um novo paradigma da sustentabilidade:
teoria e prática da Gestão Integrada do território, Rio de Janeiro, 2012.
Finito di stampare
dal Centro Stampa del Comune di Reggio Emilia
nel dicembre 2015