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IL VALDARNO TRA TARDANTICHITÀ E MEDIOEVO: ARCHEOLOGIA DI UNA GRANDE VALLE FLUVIALE di Federico Cantini, Jacopo Bruttini, Francesco Carrera, Beatrice Fatighenti, Emiliano Scampoli, Caterina Toscani 1. C     In questo contributo illustreremo le linee guida e alcuni risultati preliminari di scavi e ricerche che fanno parte di un progetto, diretto da chi scrive (cattedra di Archeologia Medievale, Università di Pisa), che ha l’obbiettivo di studiare le trasformazioni dell’economia della valle dell’Arno tra la Tarda Antichità e il Medioevo. La scelta di quest’area di indagine è stata dettata dall’idea che questo territorio avesse una sua peculiarità e identità, anche economica, legata alla presenza del iume Arno, che da sempre ha costituito un asse viario importante, capace di collegare le diverse zone della Toscana settentrionale, dagli Appennini ino al mare. In particolare ci è sembrato interessante veriicare, attraverso l’archeologia, l’efettiva esistenza di questa identità, i suoi caratteri e come essi si siano trasformati nel tempo. L’agenda della ricerca, costruita tenendo conto dello stretto legame tra economia, insediamento e ambiente, è stata organizzata su più livelli di analisi, contraddistinti da gradi di approfondimento diverso: raccolta dei dati editi e lettura delle fotograie aeree e satellitari; realizzazione di campagne di ricognizione in aree con diverse caratteristiche paesaggistiche; scavo archeologico di alcuni siti campione, diferenti per tipologia insediativa, e indagini mirate allo studio dei paesaggi naturali (carotaggi o piccoli scavi in corrispondenza dei paleolvei dell’Arno e in zone caratterizzate da particolari condizioni ambientali). La scelta dei siti e delle aree da indagare in maniera più approfondita è stata condizionata dalla loro maggiore o minore potenzialità nel fornire risposte ad alcune domande (ig. 1): – come si modiicò l’economia in rapporto alle trasformazioni dell’assetto insediativo rurale (crisi del sistema delle ville, cristianizzazione delle campagne, incastellamento, espansione delle città sul contado) e urbano, della proprietà e dello sfruttamento delle risorse naturali? – che rapporto vi fu tra variabilità delle forme di occupazione, sfruttamento del territorio e cambiamenti ambientali? – l’Arno e i suoi aluenti riuscirono, e in che modo, a mantenere un ruolo di collegamento tra le diverse zone della valle? – in questa rete di relazioni che tipo di gerarchie e di rapporti economici si instaurarono tra i diversi tipi di insediamento (rurale e urbano)? Per rispondere a queste domande stiamo analizzando alcuni contesti urbani e rurali cronologicamente inquadrabili tra il IV e il XIV secolo, attraverso studi e scavi programmati, realizzati anche in collaborazione con la Soprintendenza ai Beni Archeologici della Toscana, alcune amministrazioni comunali e altre Università: la villa tardo antica dell’Oratorio (IV-inizio VI secolo, Capraia e Limite-Fi), il vicus Wallari-borgo di San Genesio (IV-XIII secolo, San Miniato-Pi), la chiesa rurale dei SS. Quirico e Lucia (VII-XV secolo, Montelupo Fiorentino-Fi), la città di Firenze (scavo degli Uizi, Biblioteca Magliabechiana e Palazzo Vecchio, IV-XV secolo) e inine la città di Arezzo (IVXV secolo). A questi contesti abbiamo recentemente aggiunto una ricognizione del territorio comunale di San Miniato (Pi) e uno scavo condotto dalla Soprintendenza a Pisa negli ex Laboratori Gentili, che è ora oggetto di tre tesi di dottorato. Le indagini sono state progettate tenendo conto della necessità di utilizzare degli strumenti il più possibile attendibili per la lettura dei dati archeologici. Per questo motivo abbiamo iniziato a lavorare alla creazione di sicure cronotipologie delle ceramiche (che rimangono uno dei fossili guida dell’archeologia) e degli altri manufatti, che ci permettessero da una parte di datare i contesti e dall’altra di metterli in relazione tra loro. I primi lavori hanno perciò riguardato siti produttivi. Al momento abbiamo analizzato il caso di Empoli, attivo tra il IV e l’inizio del VI secolo, quando vi si producevano ceramiche acrome, ingobbiate di rosso e dipinte, oltre che anfore, e San Genesio, dove abbiamo individuato una fornace alto medievale in cui erano cotte ceramiche dipinte con colature di ingobbio rosso. Per deinire la cronologia di questi indicatori ci siamo poi aidati alle datazioni archeomagnetiche dei resti delle fornaci, in collaborazione con il CNR di Pisa, e a quelle radiocarboniche dei resti organici. Naturalmente per la valutazione delle trasformazioni degli assetti economici stiamo tenendo conto anche degli altri tipi di attività produttive (metallurgia, lavorazione del vetro, edilizia, sfruttamento agricolo dei suoli, etc.) e delle diverse forme di circolazione dei manufatti. Contestualmente stiamo lavorando dal punto di vista archeometrico sia sulle ceramiche (sezioni sottili, analisi dei residui organici per l’identiicazione dei contenuti) che sui metalli e i vetri (analisi delle materie prime). Per la comprensione delle diverse forme di circolazione dei prodotti abbiamo poi intenzione di indagare alcuni esempi di infrastrutture, come i porti, i luoghi di mercato le vie di comunicazione. Inine, con l’intento di cercare di gestire e organizzare l’insieme dei dati raccolti abbiamo sperimentato diverse soluzioni informatiche, per testarne l’efettiva potenzialità ed eicacia nei diversi ambiti della ricerca (dati editi, ricognizioni, scavi stratigraici urbani e rurali) e della comunicazione delle informazioni. Fe.C. 2. M   Per le indagini in aree rurali è stato creato un sistema GIS che consente di poter acquisire i dati in micro e macro scala contemporaneamente (ig. 2), senza doversi avvalere di GIS intra-sito e inter-sito (Forte 2002, pp. 47-64), utilizzati di solito in maniera indipendente l’uno dall’altro. Questo sistema integrato permette di individuare e registrare ogni tipo di informazione archeologica, storica e topograica del territorio a vari livelli di scala, dalla localizzazione di un singolo elemento (struttura, sito o unità topograica) alla ricostruzione della maglia insediativa di una determinata porzione di territorio. Il software che ci ha permesso di progettare un tale strumento è Autocad Map 3d dell’Autodesk che racchiude in sé le classiche funzionalità CAD, utili per la vettorializzazione e la redazione di piante di scavo, insieme a una gestione tridimensionale dei dati e alle più moderne applicazioni GIS. La piattaforma GIS è stata realizzata tramite la costruzione di un database relazionale normalizzato, con struttura ad albero e singoli archivi distinti ma relazionati tra loro, in grado di raccogliere le informazioni, storiche e archeologiche, provenienti dall’analisi dell’edito e tutta la documentazione raccolta durante le indagini archeologiche estensive e intensive. Il livello più alto della struttura relazionale è rappresentato dalla scheda “sito”, seguita dalle schede “anomalie”, per la registrazione delle anomalie individuate dall’analisi delle fotograie aeree, “UT”, per la ricognizione o “US”, “USM”, “rinvenimento sepolture”, per le indagini intensive. Il database comprende inoltre archivi speciici per lo studio dei reperti in fase post-scavo o post-ricognizione: “ceramica”, “metalli”, “vetri”, “monete”, “elementi lapidei”, “reperti faunistici”, “reperti archeobotanici”. Ogni archivio è stato dotato di campi per l’inserimento delle coordinate geograiche che permettono il collegamento automatizzato tra il database e la base cartograica composta, sul software precedentemente indicato, da cartograia georiferita in formato vettoriale e raster, fotograie aeree e da elementi vettoriali rappresentati dai singoli rilievi di scavo e di ricognizione. 265 ig. 1 – Carta del Valdarno con i siti indagati e l’area ricognita (1. Comune di San Miniato; 2. Pisa; 3. San Genesio; 4. Empoli; 5. Capraia e Limite; 6. Montelupo Fiorentino; 7. Firenze; 8. Arezzo). ig. 2 – Struttura del sistema GIS utilizzato. Gli elementi vettoriali e raster risultano, quindi, collegati ai rispettivi archivi alfanumerici rendendo possibile la realizzazione di cartograia tematica, altrimenti molto diicoltosa in presenza di una vasta mole di dati, o di analisi spaziali vere e proprie. L’utilizzo di tale sistema si dimostra inoltre vantaggioso anche in sede interpretativa ofrendo un notevole supporto alla ricostruzione del sito da una parte e delle dinamiche insediative dall’altra: la sua funzione quindi non è relegata alla semplice archiviazione dei dati, ma viene estesa anche alla produzione di nuove informazioni. Il software Autocad Map 3D, collegato a diferenti database desktop, è stato utilizzato anche per creare un sistema GIS dei dati archeologici urbani. Questa soluzione è stata elaborata all’interno del progetto di ricerca su Firenze (Cantini et al. 2007; Scampoli 2010) per gestire la problematica ed eterogenea documentazione iorentina. In sintesi, le informazioni edite sono state schedate con un database relazionale la cui unità minima è l’elemento topograico (qui chiamata “unità funzionale urbana”), riprendendo la classiicazione adottata dal dipartimento senese (Fronza et al. 2009). I rilievi archeologici sono stati georeferenziati e trasformati in vettori poligonali, mentre le informazioni non collocabili esattamente sono state rappresentate tramite punti. Con il software GIS suddetto, collegato ad un database apposito, è stata poi gestita la documentazione stratigraica di alcuni scavi recenti (v. parte su Firenze). Il sistema creato è stato utilizzato per l’analisi e lo studio dei dati di scavo, per una rilettura generale della storia urbana iorentina e per la realizzazione di carte del potenziale archeologico del centro storico (Scampoli 2010). L’intera banca dati geograica (dati vettoriali e alfanumerici) è stata, in seguito, portata da un ambiente desktop ad uno server, utilizzando un RDBMS opensource chiamato Postgresql in grado di gestire in tabelle sia le informazioni alfanumeriche che quelle geograiche, tramite la sua estensione Postgis (per questo motivo tale sistema è chiamato geo-database). Questo permette una migliore gestione dei dati ma, soprattutto, amplia notevolmente le possibilità di pubblicazione e difusione delle informazioni. Sono disponibili, infatti, numerosi applicativi open source in grado di pubblicare i dati geograici contenuti in Postgres per la realizzazione, ad esempio, di web-G.I.S. o per la produzione di geo-servizi e geo-cataloghi in grado di fornire informazioni nei formati W.M.S. e W.F.S. (Sahlin, Scampoli 2011). 266 ig. 3 – Strutture e mosaico della villa tardo antica di Capraia e Limite. Proprio per questi motivi, Postgresql diventerà il geodatabase nel quale saranno riversati i dati delle banche dati “locali” realizzate nel progetto Valdarno, limitando i problemi di “frammentazione” e perdita di informazioni (problematiche assi difuse nell’uso di database desktop). In questo modo, gli esiti della ricerca archeologica seguiranno le indicazioni delle più recenti direttive europee sulla difusione, pubblicazione e riuso di banche dati geograiche (direttiva INSPIRE, anno 2007, per la formazione di un’infrastruttura per l’informazione territoriale nella Comunità Europea). Applicare il concetto di “open data” alla ricerca archeologica signiica, infatti, poter difondere in rete non solo metodologie e interpretazioni in formato testuale, ma anche mappe, dati vettoriali, banche dati geograiche nei formati e protocolli internazionali più comuni. B.F., E.S. 3. I   :    Presentiamo qui di seguito alcuni degli scavi che sono in corso di svolgimento o di studio per fornire un panoramica sui contesti che stiamo prendendo in considerazione. 3.1 Ricognizioni Il progetto di ricognizione del territorio comunale di San Miniato, inalizzato anche alla redazione di una carta archeologica, ha previsto la raccolta e schedatura del materiale edito e della cartograia storica, l’analisi delle fotograie aeree e successivamente la ricognizione di supericie vera e propria. Il quadro che avevamo potuto ricostruire basandosi sull’edito mostra una trasformazione dell’insediamento che prevede la presenza di ville e fattorie in epoca romana e una profonda crisi del popolamento tra il III e il IV secolo, quando continua a sopravvivere solo il sito di San Genesio (vedi infra); assistiamo poi, nell’alto Medioevo, alla nascita del sistema curtense e all’organizzazione della cura d’anime per pievi; dal IX secolo iniziano a comparire insediamenti deiniti come ville che avranno continuità ino al basso Medioevo, quando aumentano anche di numero; inine, nell’XI secolo sono attestati i primi castelli, mentre si moltiplicano le chiese dipendenti dalle pievi. Le indagini di supericie, realizzate in due campagne di un mese ciascuna, hanno permesso di individuare un totale di 176 unità topograiche e 42 siti, databili tra l’età tardo antica e il basso Medioevo. Le linee di tendenza generali mostrano una discontinuità dell’insediamento tra il VI e il VII secolo e una rioccupazione dei siti romani in età altomedievale e per tutto il basso Medioevo, quando gli spargimenti sul campo sembrano riferibili a nuclei abitativi di dimensioni ridotte, con uno o due ediici. Per quanto riguarda la disposizione dei siti, in età tardo antica e medievale, è possibile notarne una concentrazione sui versanti collinari o sulle alture, mentre sono deserte le valli, dove i iumi e i torrenti, come suggerito anche dai numerosi paleoalvei individuati nelle foto aeree, dovevano essere sottoposti ad una scarsa regimazione. Fe.C., B.F. 3.2 Siti rurali 3.2.1 Empoli (Fi) Grazie a un accordo con la Soprintendenza ai Beni Archeologici per la Toscana e la locale Associazione Archeologia Medio Valdarno è stato possibile studiare i materiali emersi da alcuni scavi condotti nel centro storico di Empoli e nelle sue immediate vicinanze. Sono emersi numerosi tubuli da fornace e scarti di produzione relativi alle anfore di Empoli e al vasellame da tavola ingobbiato di rosso e dipinto, oltre che ad alcune forme da dispensa acrome. Il centro è attivo tra il IV e l’inizio del VI secolo, quando sembra rifornire una vasta zona del Valdarno. Sulle produzioni locali da mensa e dispensa sono state realizzate sezioni sottili, mentre le anfore sono state sottoposte dalla Soprintendenza anche ad analisi chimiche (Cantini, Boschian, Gabriele c.s.; Pallecchi et al. c.s.). Fe.C. 3.2.2 La villa tardoantica dell’Oratorio (Capraia e Limite, Fi) Il sito dell’Oratorio è stato oggetto di due campagne di scavo dirette dalla Soprintendenza ai Beni Archeologici della Toscana e dall’Università di Pisa, cattedra di Archeologia Cristiana e Medievale. Le indagini hanno permesso di portare alla luce i resti di una grande villa, realizzata, probabilmente sui resti di un ediicio precedente, nella prima metà del IV secolo, in una piccola valle che si afaccia sull’Arno (ig. 3a). La struttura era dotata di una grande sala absidata, destinata a triclinio e ambiente di rappresentanza, arricchita con intonaci dipinti e un tappeto musivo (ig. 3b). Quest’ultimo presenta un emblema centrale con raigurata una scena di caccia al cinghiale. Il rinvenimento di un frammento di iscrizione permette poi di ipotizzare che il complesso appartenesse alla famiglia dei Vetti, almeno nella fase di IV secolo, e forse a quel 267 Vettio Agorio Pretestato che fu corrector Tusciae et Umbriae prima del 362 e praefectus urbi nel 384, nonché proprietario di terre nella regione, dove soggiornava per lunghi periodi. Nel V secolo, probabilmente, la villa passò nelle mani di un altro proprietario, che la ampliò aggiungendo alcuni vani che andarono a delimitare un giardino dotato di fontana, sul cui fondo fu reimpiegata l’iscrizione sopracitata. I reperti ceramici ci indicano un consumo, quasi esclusivo, dei manufatti prodotti nella vicina Empoli, da cui provengono anche le anfore destinate a contenere il vino (Alderighi, Cantini 2011). 3.2.3 Vicus Wallari-borgo di San Genesio (San Miniato, Pi) Lo scavo del sito di San Genesio, prima condotto come Università di Siena e poi di Pisa, ha consentito di indagare archeologicamente un vicus altomedievale, ricordato dalle fonti scritte nel 715 come vicus Wallari e dall’XI secolo come burgum Sancti Genesii. I dati sono ora in corso di elaborazione per l’edizione scientiica dello scavo. Il centro sembra avere uno spiccato ruolo produttivo, come dimostra il ritrovamento di una fornace e di uno scarico di ceramiche altomedievali, dipinte con colature di ingobbio rosso, e di tracce della lavorazione del metallo (ferro e bronzo). Queste due produzioni sono ora al centro di analisi archeometriche (sezioni sottili, analisi dell’ematite per individuarne la provenienza). Il ruolo centrale di questo vicus si deve anche alla sua posizione, posta in prossimità dell’Arno e del suo aluente Elsa, all’incrocio della strada romana che univa Pisa a Firenze e della via Francigena. Questa centralità ne promosse la destinazione a sede di una grande pieve, dedicata a S. Genesio, e probabilmente anche di un mercato. Eccezionali sono anche le restituzioni numismatiche e ceramiche che confermano il ruolo di “central place” dell’insediamento ancora dopo il 1000, quando, insieme a Pisa, sarà uno dei pochi luoghi dove arriveranno i primi esemplari di vasellame islamico. L’abitato, sviluppatosi come submansio della via Francigena, sarà raso al suolo dagli abitanti del vicino castello di San Miniato nel 1248 (Cantini, Salvestrini 2010]. Fe.C., B.F. 3.2.4 SS. Quirico e Lucia (Montelupo, Fi) Si tratta di una piccola chiesa, posta vicino alla conluenza della Pesa nell’Arno, che oggi appare nelle vesti assunte in età moderna, quando fu sconsacrata e trasformata in una casa colonica. Lo scavo, eseguito con il Museo Archeologico e della Ceramica di Montelupo Fiorentino, ha interessato sia l’interno che l’esterno del complesso architettonico, permettendo di individuare una prima frequentazione di età imperiale, un uso necropolare dell’area in età tardo antica, e la costruzione in età alto medievale di un primo ediicio di culto, di cui ci rimangono anche alcuni elementi scolpiti del recinto presbiteriale. La chiesa sarà riediicata nel primo basso Medioevo in forme romaniche. L’indagine archeologica ha previsto anche lo scavo e lo studio antropologico delle sepolture che dall’alto ino al basso Medioevo erano collocate intorno all’ediicio. Fe.C. 3.3 Centri urbani 3.3.1 Pisa Lo scavo urbano, iniziato nel 2008 e tutt’ora in corso, è ubicato nell’area occidentale del² quartiere medievale di Kinzica e occupa un’area di circa 9500 m . Le indagini hanno permesso di portare alla luce un intero quartiere artigianale per la produzione e la vendita di oggetti in vetro e metallo, inquadrabile entro un arco cronologico compreso tra la ine del XII secolo e il 1406, data che segna la distruzione delle botteghe a seguito della conquista iorentina. Il contesto risulta particolarmente interessante per la quantità e qualità del materiale rinvenuto che non ha eguali a Pisa (ig. 4a), oltre che per la sequenza stratigraica che permette una puntuale cronotipologizzazione dei reperti nonché una buona lettura del contesto storico-archeologico del quartiere. La lavorazione del vetro è attestata dalla presenza di tre forni per la fusione, di cui uno rinvenuto all’interno di una bottega annessa a un probabile magazzino. Gli indicatori della produzione consistono sia in resti della fase di fusione, come crogioli utilizzati e non, prove di luidità, riccioli, gocciolature, ilamenti, colletti, ritagli con segni di strumenti, scorie, masse e nuclei di vetro, sia in scarti di lavorazione. Dai malfatti si evince che la produzione locale consisteva principalmente in oggetti di uso comune: bicchieri, bottiglie, coppe, ampolle, lampade a sospensione e iale da spezieria; tra i manufatti di pregio vi sono frammenti di vetri da inestra nei colori verde smeraldo, ambra e viola, bicchieri in vetro rosso e coppe con decoro in blu. Inine, sono stati rinvenuti alcuni semilavorati, consistenti in pani di vetro in diferenti colorazioni, bacchette tortili bicrome e lastrine di vetro al rame. La lavorazione dei metalli, principalmente ferro e leghe di rame, è attestata dal rinvenimento della bottega e delle aree di lavorazione e di stoccaggio dei materiali ad essa limitrofe, dove è stato possibile identiicare le tracce delle attrezzature quali forni, forge, mantici, banconi di lavoro, ecc. In questo settore sono stati rinvenuti tutti gli elementi per la ricostruzione dell’intera iliera produttiva: piombo, ematite e rottami in lega di rame, tuyeres, scorie, crogioli, stampi in ceramica, elementi semilavorati e initi – principalmente ibbie e lamine ornamentali – nonché strumenti da lavoro (ig. 4c). Questa produzione si distingue sia per l’elevato numero di rinvenimenti, sia per le tecnologie utilizzate; infatti, il ritrovamento di numerosi stampi ceramici a valve multiple per la fusione a grappolo (ig. 4d) – dei quali è stato rinvenuto il forno per realizzarli – mostrano un’attività altamente specializzata che poteva soddisfare elevati volumi di produzione. L’importanza di questi rinvenimenti permetterà di tracciare l’organizzazione, il funzionamento e il volume di produzione di una bottega specializzata in un contesto urbano di rilievo sul piano economico-commerciale mediterraneo. Le ceramiche provenienti dal quartiere artigianale testimoniano, come già attestato da altri scavi urbani, gli intensi legami commerciali di Pisa con il resto del Mediterraneo: è infatti documentata un’ingente presenza di vasellame proveniente dal Nord Africa, dalla Penisola Iberica, dall’Italia meridionale e dalla Sicilia, dalla Liguria e dall’Oriente bizantino (ig. 4b). La grande quantità di materiale ceramico ofre, poi, la possibilità di fare chiarezza sulla cultura materiale di una città al culmine del suo sviluppo, che sembra aver intensi contatti anche con il resto della regione, in particolare con la zona delle Colline Metallifere, da dove proviene un numero elevato di olle realizzate a mano. Numerosa risulta essere, inoltre, la ceramica di produzione locale, acroma e rivestita. Lo studio del materiale ceramico, proprio grazie all’abbondanza di vasellame importato dal bacino mediterraneo che ofre sicuri agganci cronologici, permetterà, inoltre, una rilettura delle cronologie del materiale acromo di produzione locale o regionale (Ducci et al., 2011). Fr.C., B.F., C.T.. 3.3.2 Firenze Nel centro storico di Firenze, grazie a un accordo con la Soprintendenza ai Beni Archeologici della Toscana, sono stati studiati la stratigraia e i reperti emersi dagli scavi condotti nella terza corte di Palazzo Vecchio e nell’area compresa tra gli Uizi e via dei Castellani. Quest’ultima, posta fuori dalle difese romane e altomedievali, fu utilizzata come luogo di discarica e coltivazione sino al XII secolo, quando fu realizzato un muraglione che prolungava il lato orientale delle mura sino al iume, presso un punto fortiicato chiamato “castrum Altafrontis”. Le altre strutture di un certo rilievo sono testimoniate solo nel XIII secolo quando si formò una viabilità e comparvero i primi ediici. Il muraglione fu progressivamente demolito o riutilizzato dalle abitazioni suddette nel corso del XIII secolo, quando ormai aveva perso la sua funzione. Nel XIV secolo l’urbanizzazione delle aree indagate giunse ad occupare quasi tutti gli spazi disponibili e, verso la ine del secolo, furono realizzati i primi ambienti sotterranei. Lo studio dei materiali ha potuto delineare un quadro 268 ig. 4 – Materiali rinvenuti durante le indagini presso gli ex Laboratori Gentili: a. Grosso pisano in argento; b. Ciotola in cobalto e manganese tunisina; c. Crogiolo per leghe di rame; d. Ricostruzione di uno stampo in ceramica. ig. 5 – L’enclave degli Uberti. Vista in direzione Nord-Ovest: alla destra dell’immagine è visibile l’aniteatro riutilizzato nel Bassomedioevo, a sinistra il teatro, ancora a sinistra la turris major; lungo il iume si collocano lo scalo luviale, il castello d’Altafronte e ponte Vecchio prima della distruzione della piena dell’Arno del 1177 (disegno di Mirko Picchioni). dei commerci e dell’economia della città dall’epoca tardoantica sino all’età moderna. In particolare, l’analisi della ceramica da mensa, cucina e trasporto databile tra III e VII secolo ha fornito un quadro inedito dei rapporti commerciali di Florentia. La città, in età imperiale, aveva un’economia pienamente inserita all’interno dei traici mediterranei, con importazioni di prodotti alimentari e ceramiche dalle province (soprattutto dall’Africa Settentrionale). A partire dal IV secolo, i dati indicano una progressiva diminuzione di ceramica d’importazione sino alla cesura di VIII secolo, con la ine delle importazioni mediterranee e un impoverimento delle produzioni locali. Nel XIII secolo, quando l’area fu pienamente urbanizzata, i reperti tornano a parlarci di un’economia complessa, con monete veneziane e milanesi e numerosi tipi di vasellame acromo prodotto localmente (Cantini et al. 2007). Nella terza corte di Palazzo Vecchio sono emersi i resti del teatro della città romana di Florentia, che ha fatto da contenitore a una stratigraia databile ino ai giorni nostri. 269 Il teatro, realizzato nella metà del I sec. a.C. e ampliato in epoca adrianea, cambiò la sua destinazione d’uso in età tardo antica: parte della struttura fu adibita ad area sepolcrale e, mentre una camera radiale venne impiegata come riparo, la restante parte dell’ediicio subì pesanti spoliazioni. Successivamente si trasformò in una sorta di contenitore in cui si riversarono consistenti dark layers. Tra la seconda metà dell’XI e il XII secolo, poi, l’area del teatro fu recuperata con la realizzazione di ediici, torri, livellamenti e terrazzamenti. Il monumento manteneva comunque pressoché intatta la sua mole e la sua riconoscibilità. In seguito i ruderi della struttura entrarono a far parte di quello spazio urbano gestito dalla famiglia degli Uberti, che ne fece una vera e propria enclave, che comprendeva anche la turris major, il castello d’Altafronte, l’aniteatro e il porto (ig. 5). Nel corso del XIII secolo parte delle volte del teatro furono riutilizzate nella costruzione di nuovi palazzi e a partire dal XIV secolo alcuni ediici posti in quest’area ospitarono i rappresentanti del Comune. Solo nel XVI secolo, per consentire la costruzione della terza corte, le strutture murarie antiche furono rasate e riorientate, mentre furono innalzati nuovi muri perimetrali e posti in opera smaltitoi, pozzi, pozzi di butto e canalizzazioni (Cianferoni, Cantini, Bruttini 2007; Bruttini c.s.; Nicosia et al. c.s.). Fe.C., J.B., E.S. 3.3.3 Arezzo Ad Arezzo stiamo studiando i reperti ceramici, databili tra l’età tardo antica e il XV secolo, emersi dallo scavo del colle del Pionta, diretto dalle Prof.sse Alessandra Molinari e Elisabetta De Minicis. Questo lavoro ha permesso, per la prima volta in questa città, di creare cronotipologie ancorate a una buona sequenza stratigraica. Particolarmente interessanti sono i manufatti ingobbiati di rosso o decorati con colature di ingobbio, databili tra il IV e il VII secolo, e quelli caratterizzati da vetrina sparsa, prodotti dalla seconda metà del X al XIII secolo. Su questi reperti stiamo ora realizzando una serie di analisi su sezione sottile, per caratterizzarli dal punto di vista mineralogico e veriicarne la provenienza. Fe.C. B Alderighi L., Cantini F. (a cura di) 2011, La villa dei Vetti. Nuove e vecchie indagini archeologiche in una grande villa tardoantica del medio Valdarno (Capraia e Limite-Fi), «Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana» 6, 2010, pp. 47-81. Bruttini J. c.s., Enclavi urbane a Firenze: il caso della famiglia Uberti, «Annali di Storia di Firenze». Cantini F. c.s., Produzioni e indicatori di produzione ceramica a Empoli tra IV e VI secolo, in L. Alderighi, L. Terreni (a cura di), L’anfora “di Empoli”: produzioni e difusione in età romana (Empoli, 14-16 ottobre 2010). Cantini F., Boschian G., Gabriele M. c.s., Empoli, a pottery production centre in the Arno valley (Florence, Tuscany, Italy) (4th6th century), in A. Mentzos, N. Poulou-Papadimitriou, V. 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