ESTRATTO
ANNALI VII
Giuseppe Manfredi
INTERESSI DIFFUSI
E COLLETTIVI
(DIRITTO AMMINISTRATIVO)
pubblicazione fuori commercio
I
INTERESSI DIFFUSI E COLLETTIVI (diritto
amministrativo)
SOMMARIO: 1. Questioni terminologiche. — 2. Individualismo e diritto
amministrativo. — 3. Il dibattito sugli interessi diffusi degli anni
Settanta del Novecento. Legge Royer e class action. L’alternativa
tra mutamento del processo e mutamento degli interessi diffusi.
— 4. Gli orientamenti della giurisprudenza: legittimazione delle
associazioni e interessi seriali. — 5. Gli orientamenti normativi: la
legittimazione delle associazioni ambientaliste. — 6. La legittimazione delle associazioni dei consumatori. — 7. La legittimazione dei sindacati e delle associazioni di categoria. — 8. Il
procedimento amministrativo. — 9. Il ricorso per l’efficienza
delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici. —
10. Interessi diffusi e collettivi. I profili costituzionali e di politica
del diritto della tutela degli interessi diffusi. — 11. Oggettivismo
e soggettivismo nella tutela degli interessi diffusi.
1. Questioni terminologiche. — Nel linguaggio odierno della dottrina di diritto amministrativo
l’espressione « interessi diffusi » in genere viene
impiegata per indicare gli interessi che pertengono
a un insieme indefinito di soggetti, e quella « interessi collettivi » per indicare gli interessi che
pertengono a gruppi di soggetti definiti e dotati di
strutture organizzative (1).
Queste espressioni sono state però impiegate, e
vengono tuttora impiegate, anche in accezioni diverse (2).
Ad esempio, in passato entrambe le nozioni di
cui s’è detto sono state indicate unitariamente
come interessi collettivi o come interessi diffusi: lo
si riscontra in particolare nei titoli degli Atti dei tre
principali Convegni che sono stati dedicati all’argomento durante gli anni Settanta del Novecento,
dato che gli Atti del Convegno di Pavia del 1974
(1) Le due espressioni vengono utilizzate in queste accezioni ad esempio da FERRARA, Interessi collettivi e diffusi
(ricorso giurisdizionale amministrativo), in D. disc. pubbl.,
VIII, 1993, 481 ss.
(2) Rassegne dei significati che sono stati attribuiti alle
due locuzioni si rinvengono in ALPA, Interessi diffusi, in D.
disc. priv., sez. civ., IX, 1993, 609 s., e in CARAVITA, Diritto
pubblico dell’ambiente, Bologna, 1990, 277 ss.
fanno riferimento agli interessi collettivi, mentre
quelli del Convegno di Salerno del 1975 e quelli
del Convegno di Varenna del 1977 fanno riferimento agli interessi diffusi (3).
L’impiego di una sola delle due espressioni per
indicare l’una e l’altra nozione ricorre tuttora in
branche della dottrina diverse da quella di diritto
amministrativo: ad esempio, la dottrina processualcivilistica molto spesso usa la locuzione interessi collettivi in un’accezione che è comprensiva
pure di ciò che i giuspubblicisti definiscono come
interessi diffusi (4).
Peraltro anche restando nell’ambito della dottrina amministrativistica a tutt’oggi variano le
espressioni usate per indicare l’insieme degli interessi che vengono definiti diffusi e collettivi: per lo
più si usano espressioni quali « interessi superindividuali », o « interessi sovraindividuali » (5), o
ancora « interessi metaindividuali » (6), senza variazioni semantiche di rilievo, ma di recente è stata
utilizzata pure quella di « interessi plurisogget(3) In relazione ai titoli degli Atti dei due primi Convegni lo rileva FERRARA, nella nota a Cons. St., sez. VI, 18
maggio 1979, n. 378, in Foro it., 1980, III, 54. I titoli degli
Atti citati nel testo sono rispettivamente: Le azioni a tutela di
interessi collettivi (Atti del Convegno di studi, Pavia, 11-12
giugno 1974), Padova, 1976; La tutela degli interessi diffusi
nel diritto comparato a cura di GAMBARO, Milano, 1976;
Rilevanza e tutela degli interessi diffusi: modi e forme di
individuazione e protezione degli interessi della collettività
(Atti del XXIII Convegno di studi, Varenna, Villa Monastero, 22-24 settembre 1977), Milano, 1978.
(4) Lo si riscontra ad esempio nel titolo dello studio di
DONZELLI, La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi,
Napoli, 2008, ma lo stesso uso linguistico si rinviene pure in
diverse altre opere di processualcivilisti: v., ad esempio,
GIUSSANI, Azioni collettive risarcitorie nel processo civile,
Bologna, 2008.
(5) Ad esempio in FERRARA, Interessi collettivi e diffusi,
cit.
(6) LOMBARDI, La tutela delle posizioni giuridiche metaindividuali nel processo amministrativo, Torino, 2008.
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Interessi diffusi e collettivi
tivi » (7), e qui invece si riscontra una differenza di
significato, perché l’impiego di questa locuzione si
ricollega a una valutazione critica della dimensione
collettiva degli interessi in parola.
Gli usi linguistici della dottrina di diritto amministrativo non trovano pieno riscontro neppure
nel linguaggio legislativo.
Sembrano impiegare la locuzione interessi diffusi nell’accezione impiegata dalla dottrina amministrativistica l’art. 146 c. beni cult., ove fa riferimento alle « associazioni portatrici di interessi diffusi » nella materia ambientale, la quale tradizionalmente viene considerata connotata dalla presenza di interessi di questo genere, e l’art. 9 della
l. 7 agosto 1990, n. 241, che parla de « i portatori
di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati »: ma secondo un’autorevole opinione in
questi casi sarebbe più corretto parlare di interessi
collettivi, dato che si fa riferimento ad associazioni
e comitati che costituiscono altrettante strutture
organizzative (8).
Per contro altre disposizioni impiegano la locuzione interessi collettivi per indicare gli interessi
di un insieme di soggetti indefinito: ad esempio,
l’art. 1 della l. 30 luglio 1998, n. 281, ove fa
riferimento a « i diritti e gli interessi individuali e
collettivi dei consumatori e degli utenti », e gli art.
139 e 140 c. cons., che fanno entrambi riferimento
agli « interessi collettivi dei consumatori e degli
utenti », nonostante che queste due categorie di
soggetti siano prive di confini precisi, e tendenzialmente coincidenti con l’intera collettività.
Per solito incertezze lessicali di questo genere
riflettono difficoltà di sistemazione della materia,
delle quali si dice in appresso: è però opportuno
anticipare che in queste pagine si utilizza preferibilmente l’espressione interessi diffusi, dato che,
come si vedrà, per quanto qui interessa si può
revocare in dubbio che la nozione di interessi
collettivi abbia effettiva consistenza.
2. Individualismo e diritto amministrativo. —
Gli interessi in parola rappresentano una deviazione — quanto ampia lo si vedrà in seguito —
rispetto agli assetti consueti sulle posizioni giuridiche soggettive, e sulla loro tutela giurisdizionale:
ossia ad assetti squisitamente individualistici, i
quali a loro volta si ricollegavano ai caratteri propri dello Stato liberale ottocentesco, in cui, se(7) CUDIA, Gli interessi plurisoggettivi tra diritto e processo amministrativo, Rimini, 2012.
(8) CERULLI IRELLI, Lineamenti del diritto amministrativo, Torino, 2010, 341 ss.
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condo la definizione di Orlando, l’individuo era
l’unica « monade costitutiva » (9).
A questa stregua venivano considerate meritevoli di tutela, e giuridicamente rilevanti, solo le
posizioni individuali, mentre tutto quanto non
apparteneva in via esclusiva all’individuo era consegnato all’irrilevanza (10).
Gli interessi non strettamente individuali, in
quanto diffusi in settori più o meno ampi della
società, erano dunque destinati a ricevere una
tutela meramente oggettiva quando assumevano la
veste di interessi pubblici e venivano affidati alle
cure di questa o di quella branca del potere esecutivo e/o della pubblica amministrazione, oppure
a restare giuridicamente irrilevanti (o, se si preferisce, a costituire null’altro che interessi semplici) (11).
Per questo aspetto gli assetti del diritto amministrativo in nuce non erano dissimili da quelli del
diritto civile.
Vero è che sulle pagine di questa Enciclopedia
è stato acutamente rilevato che per spiegare la
scarna formula che dall’art. 24 della l. 31 marzo
1889, n. 5992 era transitata nell’art. 26 t.u. Cons.
St., secondo la quale il Consiglio di Stato decide
sui ricorsi che abbiano per oggetto « un interesse
d’individui e di enti morali giuridici », ci si era
sempre trovati a oscillare tra due poli: da un lato,
il diritto soggettivo, e, dall’altro lato, l’azione po(9) ORLANDO, Del fondamento giuridico della rappresentanza politica, ora in ID., Diritto pubblico generale. Scritti vari.
1881-1940, Milano, 1940, 422. Questa correlazione viene
rilevata tra i primi da ROMANO Alb., Il giudice amministrativo
di fronte al problema della tutela degli interessi c.d. diffusi, in
Foro it., 1978, I, 12. In proposito v., da ultimo, DONZELLI, op.
cit., 1 ss. Peraltro è ampiamente noto che nello Stato liberale
le associazioni originariamente erano addirittura vietate,
mercé la ben nota legge Le Chapelier (14 giugno 1791) e i
testi normativi che ne avevano ripreso i contenuti nei diversi
Stati dell’Europa continentale: v., sul punto, BOBBIO, Libertà
fondamentali e formazioni sociali. Introduzione storica, in Pol.
dir., 1975, 431 ss., e RIDOLA, Democrazia pluralistica e libertà
associative, Milano, 1987, specialmente 18 ss. Sugli assetti
dello Stato liberale in Italia v., in generale, ALLEGRETTI,
Profilo di storia costituzionale italiana. Individualismo e assolutismo nello Stato liberale, Bologna, 1989.
(10) Cfr. CERRI, Interessi diffusi, interessi comuni. Azione
e difesa, in Dir. soc., 1979, 83 ss.
(11) Cfr. ALPA, op. cit., 611, e BIANCA, Note sugli interessi diffusi, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi a cura di LANFRANCHI, Torino, 2003, 67 ss. Sul
rapporto tra interessi diffusi e interessi pubblici nella letteratura recente cfr. anche DELSIGNORE, La legittimazione delle
associazioni ambientali nel giudizio amministrativo: spunti per
una comparazione con lo standing a tutela di environmental
interests nella judicial review statunitense, in Dir. proc. amm.,
2013, 734 ss.
Interessi diffusi e collettivi
polare (12), e dunque tra una concezione soggettiva e una concezione oggettiva del processo amministrativo.
È noto infatti che in origine una consistente
corrente di pensiero sosteneva che quella del Consiglio di Stato dovesse essere una giurisdizione
oggettiva, intesa eminentemente a restaurare la
legalità violata piuttosto che a tutelare gli interessi
dei singoli cittadini, e che concezioni oggettive del
processo amministrativo sono riemerse anche in
seguito: ad esempio, tramite tesi secondo cui nel
giudizio amministrativo gli interessi privati sarebbero solo occasionalmente protetti (13).
Né va dimenticato che nella dottrina pubblicistica di inizio Novecento vi fu anche un precoce
interessamento per la tematica degli interessi collettivi, tramite lo studio di Bonaudi degli anni
Dieci sulla tutela di questi interessi avanti la giustizia amministrativa (14), che peraltro anticipava
alcune questioni che sarebbero divenute partico(12) CANNADA BARTOLI, Interesse (diritto amministrativo), in questa Enciclopedia, XXII, 1972, 1 ss.
(13) In proposito v., riassuntivamente, SCOCA, Contributo sulla figura dell’interesse legittimo, Milano, 1990, 9 ss.,
e SORDI, Interesse legittimo, in questa Enciclopedia, Annali,
II, t. 2, 2008, 709 ss., nonché ID., Giustizia e amministrazione
nell’Italia liberale. La formazione della nozione di interesse
legittimo, Milano, 1985. La periodica riemersione di concezioni oggettive del processo amministrativo ovviamente si
ricollega al peculiare ruolo che viene giocato dall’interesse
pubblico in questo giudizio, e sinanco nella ricostruzione
dell’interesse legittimo: cfr., di recente, ROMANO TASSONE,
Situazioni giuridiche soggettive (diritto amministrativo), in
questa Enciclopedia, Aggiornamento, II, 1998, 966 ss., TRAVI,
Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2013, 53 ss., e,
criticamente, RENNA, Giusto processo ed effettività della tutela
in un cinquantennio di giurisprudenza costituzionale sulla
giustizia amministrativa: la disciplina del processo amministrativo tra autonomia e “civilizzazione”, in Diritto amministrativo e Corte costituzionale a cura di DELLA CANANEA e DUGATO,
Napoli, 2006, 505 ss.
(14) BONAUDI, La tutela degli interessi collettivi, Torino,
1911. Nei primi decenni del Novecento la nozione di interesse collettivo venne però impiegata soprattutto dalla dottrina civilistica per inquadrare il ruolo di rappresentanza
degli interessi dei lavoratori assunto dai sindacati nella contrattazione collettiva e nelle controversie avanti la magistratura probivirale: cfr. TARZIA, Le associazioni di categoria nei
processi civili con rilevanza collettiva, in Riv. dir. proc., 1987,
774 ss., e DONZELLI, op. cit., 28 ss. Costituzionalisti e amministrativisti per vero erano tutt’altro che indifferenti di fronte
alla riemersione di pluralismo sociale che dopo l’eclisse
ottocentesca si era verificata tramite la diffusione del sindacalismo, ma in genere preferivano occuparsene partendo da
prospettive diverse, e seguendo altre linee di pensiero: ad
esempio quelle di ispirazione istituzionalistica a cui si ricollegano le note opere sulla crisi dello Stato e sugli ordinamenti giuridici di ROMANO Santi, Lo Stato moderno e la sua
crisi, in Riv. dir. pubbl., 1910, 87 ss., e ID., L’ordinamento
giuridico, in Annali delle Università toscane, 1917 e 1918
(entrambe prime pubblicazioni); sugli scritti di ispirazione
istituzionalistica di Santi Romano v., per tutti, CASSESE, Ipo-
larmente attuali diversi decenni dopo: ad esempio,
laddove criticava la giurisprudenza del Consiglio
di Stato che negava che le associazioni di imprenditori e di professionisti fossero legittimate a ricorrere per tutelare gli interessi dei membri delle
categorie di riferimento in base all’assunto della
mancanza di un’adeguata fonte di rappresentanza
legale o volontaria di questi soggetti, e proponeva
di introdurre nel nostro ordinamento i principi
che erano stati affermati in proposito dalla giurisprudenza francese, « per cui l’azione collettiva
deve essere consentita sotto forma di ricorso contro gli atti amministrativi che ledono l’esercizio
normale di una professione, ossia, generalizzando
il principio, contro tutti gli atti che, mentre ledono
una norma di diritto obiettivo, ledono ad un
tempo gli interessi di una collettività di persone » (15); oppure ove esprimeva, seppure in
forma ipotetica, la preoccupazione « che dall’insufficienza della difesa del singolo non si vada per
avventura incontro alla tirannia dei gruppi e delle
organizzazioni » (16).
Nondimeno sino agli anni Sessanta del Novecento la giurisprudenza amministrativa sembrava
orientata a ricostruire l’interesse legittimo secondo
schemi individualistici al pari del diritto soggettivo, e dunque a intenderlo come una posizione
giuridica qualificata, differenziata e personale:
un’autorevole dottrina osservava in proposito che
« il concetto che sembra dominare l’atteggiamento
giurisprudenziale è quello per cui il giudizio amministrativo è costruito nel nostro ordinamento
come strumento di tutela degli interessi dei singoli;
e, ciò che più conta ai nostri fini, l’interesse dei
singoli è qualcosa di irrimediabilmente diverso
dall’interesse collettivo, e, pertanto, agli effetti
della invocabilità della tutela processuale, ad esso
si contrappone » (17).
tesi sulla formazione de “L’ordinamento giuridico” di Santi
Romano, in ID., La formazione dello Stato amministrativo,
Milano, 1974, 20 ss., e gli studi pubblicati in Le dottrine
giuridiche di oggi e l’insegnamento di Santi Romano a cura di
BISCARETTI DI RUFFIA, Milano, 1977.
(15) BONAUDI, op. cit., 176.
(16) BONAUDI, op. cit., 175.
(17) SCOCA, La tutela degli interessi collettivi nel processo
amministrativo, in Le azioni a tutela di interessi collettivi, cit.,
46. Peraltro la ricostruzione dell’interesse legittimo secondo
schemi individualistici da parte della giurisprudenza non
comportava una sua piena equiparazione al diritto soggettivo: basti ricordare che la risarcibilità della prima posizione
sarebbe stata ammessa solo in seguito alla notoria sentenza
di Cass., sez. un., 22 luglio 1999, n. 500.
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Interessi diffusi e collettivi
3. Il dibattito sugli interessi diffusi degli anni
Settanta del Novecento. Legge Royer e class action.
L’alternativa tra mutamento del processo e mutamento degli interessi diffusi. — Perché gli assetti
consueti sulle posizioni soggettive vengano messi
seriamente in discussione occorre attendere gli
anni Settanta del Novecento, quando appunto
inizia un intenso dibattito sulla possibilità di tutelare in via giurisdizionale gli interessi diffusi (18).
In questo dibattito l’esigenza di garantire gli
interessi in discorso spesso viene ricollegata a questo o a quel principio costituzionale: di volta in
volta vengono enunciati auspici per il riconoscimento dei « nuovi diritti » (19), intenti di valorizzazione del pluralismo sociale, ove gli interessi in
discorso vengono considerati « interessi sociali
[...] che non sono di nessun individuo a titolo
esclusivo, ma sono di tutti gli individui a titolo
sociale », destinati a dislocarsi in capo alle formazioni sociali (20), e soprattutto aspirazioni a una
più compiuta attuazione del principio democratico, ove si ritiene che, tutelando gli interessi in
parola, si possa realizzare la partecipazione popolare alla funzione giurisdizionale (21).
Ma probabilmente la principale ragione dell’interessamento per questa tematica è rappresentata dalla crisi della rappresentanza politica che si
andava registrando in quegli anni: per tacer d’altro
perché l’aspirazione a una maggiore democraticità
di per sé sola avrebbe potuto essere soddisfatta
altrimenti, e, in particolare, tramite la partecipazione all’esercizio della funzione amministrativa
(18) Testimoniato tra l’altro dagli Atti dei Convegni
citati supra, nt. 3.
(19) Cfr. RODOTÀ, Le azioni civilistiche, in Le azioni a
tutela di interessi collettivi, cit., 81 ss., e BERTI, Interessi senza
struttura (i c.d. interessi diffusi), in Studi in onore di Antonio
Amorth, I, Milano, 1982, 79.
(20) BERTI, op. cit., passim.
(21) V., tra gli altri, DENTI, Relazione introduttiva, in Le
azioni a tutela degli interessi collettivi, cit., 3 ss., VIGORITI,
Interessi collettivi e processo. La legittimazione ad agire,
Milano, 1979, 3 ss., FEDERICI, Gli interessi diffusi. Il problema
della loro tutela nel diritto amministrativo, Padova, 1984, 22
ss. Nella letteratura recente cenni sui precedenti storici di
esercizio popolare della funzione giurisdizionale si leggono
in ROSANVALLON, Controdemocrazia. La politica nell’era della
sfiducia, Roma, 2012, 133 ss. Su altri fattori che hanno
contribuito all’inizio del dibattito di cui si dice nel testo v.
FEDERICI, op. cit., 93 ss. Peraltro anche negli ultimi tempi non
mancano autori che trovano nuove ragioni di interesse per la
tematica degli interessi diffusi: ad esempio, LOMBARDI, La
tutela delle posizioni giuridiche meta-individuali nel processo
amministrativo, cit., passim, fa riferimento all’esigenza di
attuare il principio di precauzione, e DURET, Riflessioni sulla
legitimatio ad causam in materia ambientale tra partecipazione e sussidiarietà, in Dir. proc. amm., 2008, 688 ss.,
richiama il principio di sussidiarietà.
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per la quale proprio in questo periodo si stavano
aprendo spazi di rilievo (22).
Senza tale crisi infatti non si sarebbe ritenuto
così impellente apprestare per gli interessi diffusi
forme di tutela ulteriori rispetto a quelle che essi
possono ricevere sub specie di interessi pubblici da
parte delle istituzioni rappresentative, e da parte
della pubblica amministrazione che da queste istituzioni dipende, e dunque non si sarebbe avuta
« la spinta sempre più forte, da parte di quelle che
sono state definite le “minoranze deboli” e le
“maggioranze diffuse”, a tentare la via giudiziale
per aprirsi forme di partecipazione ai processi
decisionali, a loro negate nelle sedi politiche e
amministrative » (23).
Nel senso della tutela giurisdizionale degli interessi diffusi parevano poi essersi indirizzati anche gli ordinamenti di diversi Paesi occidentali,
seguendo almeno due schemi principali (24).
Il primo era quello, adottato in molti Paesi
dell’Europa continentale, delle azioni delle associazioni dei consumatori agréées previste dall’art.
46 della francese legge Royer del 1973 (l. 27
dicembre 1973, n. 73-1193), che attribuisce la
legittimazione ad agire al fine di tutelare gli interessi di una categoria alle associazioni riconosciute
come rappresentative della categoria medesima
dalle pubbliche autorità (25).
Il secondo era quello della class action prevista
nell’ordinamento statunitense con la Rule 23 delle
Federal Rules of Civil Procedure del 1938 (entrate
in vigore il 16 settembre 1938), che invece riconosce la legittimazione ad agire ai singoli componenti
della categoria sociale interessata, pur prevedendo
(22) Cfr. BENVENUTI, Introduzione, in La procedura amministrativa a cura di PASTORI, Vicenza, 1964, 539 ss., CHITI,
Partecipazione popolare e pubblica amministrazione, Pisa,
1977.
(23) DENTI, Interessi diffusi, in Nss. D.I., Appendice, IV,
1983, 307. Sul punto v. anche FERRARA, in Commentario
breve alle leggi sulla giustizia amministrativa a cura di ROMANO Alb., Padova, 1992, sub art. 26 t.u. Cons. St., 327, che
parla de « la spinta di fenomeni in larghissima misura pregiuridici o metagiuridici », BERTI, Diritto e Stato. Riflessioni
sul cambiamento, Padova, 1986, 435 ss., VIGORITI, lc. cit. Sulla
sfiducia per le istituzioni rappresentative che caratterizza
questo periodo v., nella letteratura recente, la ricostruzione
di MÜLLER, L’enigma democrazia. Le idee politiche nell’Europa del Novecento, Torino, 2012, 242 ss.
(24) Cfr. DENTI, Relazione introduttiva, cit., 3 ss., nonché, riguardo agli spunti che venivano dal diritto comparato,
gli scritti pubblicati in La tutela degli interessi diffusi nel
diritto comparato a cura di GAMBARO, cit.
(25) Cfr. FERRARA, Contributo allo studio della tutela del
consumatore. Profili pubblicistici, Milano, 1983, 102 ss., e
TARUFFO, Modelli di tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e
diffusi a cura di LANFRANCHI, cit., 53 ss.
Interessi diffusi e collettivi
meccanismi di estensione degli effetti della decisione a tutti i componenti della categoria (26).
Peraltro alcuni settori della dottrina ritenevano
che anche nel nostro Paese diversi dati normativi e
giurisprudenziali andassero già nel senso del superamento degli assetti individualistici.
Per vero all’inizio del decennio la giurisprudenza non era sembrata particolarmente propensa
ad ammettere la configurabilità degli interessi in
parola: in particolare nella giurisprudenza del
Consiglio di Stato si ribadiva che sindacati e associazioni di categoria sono privi di legittimazione a
ricorrere per gli interessi degli associati, data la
mancata attuazione legislativa dell’art. 39 della
Costituzione (27), oppure si affermava che « l’interesse comune a una “categoria” di soggetti, in
quanto tale, e cioè in quanto imputabile ad una
pluralità di soggetti caratterizzati da un comune
denominatore, non è ancora, pur essendo un interesse più specifico di quello della generalità,
l’interesse legittimo » (28).
Ma nel senso dell’affermazione di sistemi di
tutela non individualistici venivano letti l’art. 28
dello statuto dei lavoratori (l. 20 maggio 1970, n.
300), che aveva introdotto l’azione degli « organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che
vi abbiano interesse » per la repressione della
condotta antisindacale, e la notissima decisione
della V sezione del Consiglio di Stato n. 253 del
1973 (29), che in capo all’associazione « Italia
nostra » aveva riconosciuto la legittimazione a ricorrere nei confronti dei provvedimenti lesivi delle
bellezze naturali, ritenendo che le finalità statutarie valessero a porla « in posizione differenziata
rispetto al comune cittadino, il quale non può
vantare alcun titolo, fuor della appartenenza alla
comunità nazionale, ad agire per la tutela di un
interesse pubblico diffuso ».
In questo senso veniva interpretata pure l’altrettanto nota decisione della stessa sezione n. 523
del 1970 (30), la quale aveva sì negato (in modo
abbastanza sorprendente) che il comma 9 dell’art.
(26) Cfr. TARUFFO, op. cit., e, amplius, GIUSSANI, Azione
di classe, in questa Enciclopedia, Annali, VII, supra, cui si
rinvia anche per richiami all’ormai amplissima dottrina italiana e straniera che si è occupata dell’argomento.
(27) Cons. St., sez. IV, 15 maggio 1970, n. 345, in Foro
it., 1970, III, 278; in questi termini anche Cons. St., sez. IV,
29 febbraio 1972, n. 108, ivi, 1972, III, 113.
(28) Cons. St., sez. VI, 14 luglio 1972, n. 475, in Foro it.,
1972, III, 269, con nota di ROMANO Alb., Interessi “individuali” e tutela giurisdizionale amministrativa.
(29) Cons. St., sez. V, 9 marzo 1973, n. 253, in Foro it.,
1974, III, 33, con osservazioni di ROMANO Alb. e nota di
ZANUTTIGH, “Italia nostra” di fronte al Consiglio di Stato.
(30) Cons. St., sez. V, 9 giugno 1970, n. 523, in Giur. it.,
10 della legge ponte 6 agosto 1967, n. 765 —
« chiunque può prendere visione presso gli uffici
comunali, della licenza edilizia e dei relativi atti di
progetto e ricorrere contro il rilascio della licenza
edilizia » — avesse introdotto una nuova forma di
azione popolare in materia edilizia, ma al contempo aveva affermato che avverso gli atti di
assenso edilizi sono legittimati a ricorrere non solo
i proprietari degli immobili insistenti in loco, ma
anche « chi sia in una stabile relazione col luogo »:
sicché si riteneva che avesse preso in considerazione « la lesione [...] di un interesse che è pur
sempre differenziato, anche se non è personale » (31).
Diversi autori avanzavano dunque proposte di
riforma legislativa, oppure di reinterpretazione degli istituti di diritto sostanziale e processuale già
esistenti « in funzione “progressista” » (32), al fine
di ampliare gli spazi di tutela degli interessi in
parola.
In realtà in via generale i consueti assetti individualistici sulle posizioni giuridiche soggettive e
sulla loro tutela continuavano a rappresentare un
contesto logicamente incompatibile con queste
proposte di rilettura degli istituti esistenti, dato
che gli interessi diffusi per loro natura sono non
personali e non differenziati: secondo una nota
formula dottrinale essi sono interessi « adespoti,
cioè privi di un loro “portatore” » (33), e secondo
un’altra costituiscono « soltanto un’entità oggettiva » (34).
A fronte di questa incompatibilità tra gli interessi in parola e le sistemazioni consuete del diritto
sostanziale e processuale due erano le soluzioni
astrattamente percorribili al fine di apprestare la
tutela giurisdizionale auspicata.
In sintesi, la prima portava a mutare gli assetti
consueti delle posizioni soggettive e/o del pro1970, III, 193, con nota di GUICCIARDI, La decisione del
“chiunque”.
(31) DENTI, Relazione introduttiva, cit., 14. Dalla lettera
della legge la dottrina aveva univocamente desunto l’introduzione di un’azione popolare: v., ad esempio, SANDULLI
A.M., L’azione popolare contro le licenze edilizie, in Riv. giur.
ed., 1968, II, 3 ss., e SPAGNULO VIGORITA, Interesse pubblico e
azione popolare nella “legge ponte” per l’urbanistica, ivi, 1967,
II, 387 ss.
(32) L’espressione viene impiegata da RODOTÀ, Le azioni
civilistiche, cit., 83, anche se in questo stesso scritto l’autore
non manca di evidenziare pure i rischi insiti nelle operazioni
di « uso alternativo » del diritto.
(33) GIANNINI, Diritto amministrativo, I, Milano, 1993,
113.
(34) NIGRO, Le due facce dell’interesse diffuso: ambiguità
di una formula e mediazioni della giurisprudenza, in ID.,
Scritti giuridici, II, Milano, 1996, 1862.
517
Interessi diffusi e collettivi
cesso, mentre la seconda conduceva a mutare la
natura degli interessi diffusi (35).
Andava nel primo senso chi voleva configurare (o riconfigurare) il processo amministrativo
in senso oggettivo: ad esempio proponendo di
« sganciare la giurisdizione amministrativa dalla
tutela dell’interesse legittimo come situazione giuridica soggettiva a carattere sostanziale. Tale giurisdizione verrebbe così configurata come avente
ad oggetto la mera legittimità del provvedimento
impugnato. L’interesse individuale rimarrebbe
pur sempre come un dato ineliminabile del processo in quanto tale, però sarebbe presente non
più in termini di una situazione giuridica soggettiva a carattere sostanziale, ma solo come una
entità di fatto; e non più come oggetto della tutela
giurisdizionale, ma solo come presupposto per
chiedere il sindacato sulla legittimità del provvedimento impugnato. In tal modo, la tutelabilità
degli interessi c.d. diffusi sarebbe chiaramente
ampliata: perché l’interesse individuale di fatto
configurato solo come presupposto del ricorso
potrebbe non essere connesso con la norma che si
assume sia stata violata dal provvedimento impugnato; e più facilmente potrebbe essere rintracciato anche in quelle ipotesi nelle quali l’elemento
individualistico tende a sbiadirsi per la sua generalizzazione » (36).
Nel secondo senso invece chi individuava sistemi di differenziazione di ciò che di per sé
sarebbe indifferenziato, atti a selezionare e a discernere una parte degli interessi diffusi al fine di
renderli giuridicamente rilevanti, e dunque per
assimilarli agli interessi legittimi (37), in particolare tramite l’intervento nel procedimento amministrativo di aggregazioni sociali portatrici di interessi sovraindividuali: « l’introduzione e la difesa
di questi interessi nel procedimento richiede un
minimo di formalizzazione che ne investe l’aspetto
soggettivo: si richiede che il loro portatore sia una
(35) Cfr. ROMANO Alb., Intervento, in Le azioni a tutela
degli interessi collettivi, cit., 288 ss., e FERRARA, Interessi
collettivi e diffusi, cit., passim.
(36) ROMANO Alb., Il giudice amministrativo di fronte al
problema della tutela degli interessi c.d. diffusi, cit., 10: qui
peraltro l’autore svolge considerazioni già esposte in ID.,
Intervento, cit., e in ID., Giurisdizione amministrativa e limiti
della giurisdizione ordinaria, Milano, 1975, 379 ss. Da segnalare che non mancava chi, come VIGNOCCHI, Il problema della
tutela degli interessi diffusi nel quadro di enti, raggruppamenti
e ordinamenti a sfondo economico, in Rilevanza e tutela degli
interessi diffusi, cit., specialmente 221, temeva che a questa
stregua il processo sarebbe stato snaturato, e si sarebbe
assimilato ai controlli amministrativi.
(37) V., sul punto, FERRARA, op. ult. cit., SCOCA, La tutela
degli interessi collettivi nel processo amministrativo, cit., passim.
518
figura soggettiva ammessa nell’ordinamento come
portatore di interessi non solamente individuali,
quindi un organo di un ente pubblico con legittimazione propria, un ente pubblico, un ente privato, un’associazione senza personalità » (38).
A questa stregua emergevano come possibili
modalità di differenziazione sia il procedimento
amministrativo, sia l’individuazione di aggregazioni portatrici degli interessi in parola, ossia,
secondo una nota opinione, la « mutazione genetica » degli interessi diffusi in interessi collettivi (39).
4. Gli orientamenti della giurisprudenza: legittimazione delle associazioni e interessi seriali. —
Nella seconda metà degli anni Settanta alcuni
degli spunti che vengono da questo dibattito sono
raccolti e rielaborati dalla giurisprudenza civile e
amministrativa.
Innanzitutto viene superata ogni perplessità
sulla legittimazione dei sindacati e delle associazioni di categoria a ricorrere a favore dei membri
della categoria di riferimento: la VI sezione del
Consiglio di Stato, in una decisione del 1978 (40),
accomuna questi organismi agli ordini professionali, affermando che « la legittimazione processuale delle associazioni di categoria per la tutela
degli interessi collettivi si ricollega alla espressa
garanzia costituzionale (art. 2) dei fondamentali
diritti “dell’uomo” nelle formazioni sociali ove si
svolge la sua personalità ».
Sempre la medesima sezione in una decisione
del 1979 (41) afferma che « è [...] possibile ritenere che, se l’interesse è visto dall’ordinamento
come proprio di un gruppo, tale interesse evidenzi
bensì anche quello del singolo componente, ma al
tempo stesso lo trascenda nel senso che venga ad
acquistare un valore superindividuale e quindi
tipico proprio della collettività », sicché « l’interesse collettivo, differenziato e qualificato dall’ordinamento, può dirsi proprio e personale anche
della organizzazione che il gruppo si è venuto a
dare e non varrebbe a escludere questa legittima(38) GIANNINI, La tutela degli interessi collettivi nei procedimenti amministrativi, in Le azioni a tutela degli interessi
collettivi, cit., 33. V. in questo senso anche BERTI, Interessi
senza struttura, cit., passim, CAIANIELLO, Introduzione al tema
del convegno, in Rilevanza e tutela degli interessi diffusi, cit.,
19 ss., e VIGNOCCHI, op. cit., passim.
(39) NIGRO, op. cit., 1863.
(40) Cons. St., sez. VI, 10 novembre 1978, n. 1187, in
Foro amm., 1978, II, 2265.
(41) Cons. St., sez. VI, 18 maggio 1979, n. 378, cit.
supra, nt. 3. Su questo orientamento della giurisprudenza
amministrativa v. CRESTI, Contributo allo studio della tutela
degli interessi diffusi, Milano, 1992, 55 ss.
Interessi diffusi e collettivi
zione la dizione dell’art. 26 t.u. n. 1054/1924,
laddove concede la legittimazione a sole persone
fisiche o giuridiche », dato che « la contraria affermazione porterebbe a negare all’ordinamento la
possibilità di far sorgere interessi legittimi diversi
da quelli individuali, il che contrasta con l’attuale
atteggiamento ed evoluzione del sistema positivo ».
A risultati analoghi si giunge anche per una
diversa tipologia di interessi diffusi in due pronunzie che costituiscono il prosieguo della vicenda
della legittimazione a ricorrere di « Italia nostra »,
che era già stata oggetto della citata decisione n.
253 del 1973 (42).
La suddetta decisione viene annullata dalle
sezioni unite della Cassazione con la sentenza n.
2207 del 1978 (43) per difetto assoluto di giurisdizione, in base all’assunto che nella specie l’associazione ricorrente non fosse titolare di nessuna
posizione soggettiva.
Questa sentenza evidenzia che nel nostro ordinamento non sarebbe possibile accordare tutela
giurisdizionale a tutti indistintamente gli interessi
siffatti, sia perché la « essenza individuale e non
collettiva » dell’interesse legittimo « è [...] nell’ordinamento, e deve essere stata ripresa dalla Costituzione (art. 24, 103 e 113) nella concezione allora
prevalente e tuttora perdurante », sia perché « i
valori tutelati, cui fanno capo gli interessi diffusi, si
presentano sovente in potenziale contrasto » (44),
il che implica la necessità di « operare una scelta
discrezionale che spetta normalmente alla pubblica amministrazione o al potere politico ».
Sicché respinge le prospettive di rilettura del
processo amministrativo in termini oggettivi: ma al
contempo rileva che, « partendo dall’interesse le(42) Cons. St., sez. V, 9 marzo 1973, n. 253, cit. supra,
nt. 29. A ben vedere a entrambe si attaglia la definizione di
sentenze “dottrinarie” che ZANUTTIGH, “Italia nostra” di
fronte alla Corte di Cassazione, in Foro it., 1979, I, 167 ss.,
impiega per la prima, pur criticandone accesamente i contenuti. Sulle vicende giudiziarie della legittimazione a ricorrere di « Italia nostra » durante gli anni Settanta v. CRESTI,
op. cit., 63 ss., e CHIAPPETTA, La tutela giurisdizionale degli
interessi diffusi, in Le grandi decisioni del Consiglio di Stato a
cura di PASQUINI e SANDULLI A., Milano, 2001, 412 ss.
(43) Cass., sez. un., 8 maggio 1978, n. 2207, in Foro it.,
1978, I, 1098.
(44) In proposito la Corte fa una serie di esempi, che in
parte rimangono ancora attuali: « si pensi ai conflitti di
carattere sociale ed economico nell’ambito interno del lavoro, o a quelli fra produzione, commercio, consumo, risparmio e lavoro, ai conflitti, talora drammatici, fra situazioni
concernenti salute e lavoro, produzione e inquinamento, e
infine agli altri fra tutela del paesaggio (nel senso non solo
estetico-romantico, ma di rapporto uomo-ambiente), turismo, difesa nazionale e viabilità [...] »: Cass., sez. un., 8
maggio 1978, n. 2207, cit.
gittimo nella sua accezione tradizionale », risulta
possibile « una individuazione eventuale nel portatore dell’interesse diffuso di una posizione differenziata che renda l’interesse legittimo », e che,
per quanto riguarda gli enti esponenziali di collettività, questa « individuazione » è ammissibile in
capo agli enti che possono partecipare a un procedimento amministrativo in forza di una specifica
norma di legge, ed è stata talora ravvisata in
« interessi diffusi concernenti situazioni particolari
e comunque collettività o gruppi ben limitati e
distinti dalla generalità dei cittadini » (45).
A questa stregua la Cassazione accredita dunque la differenziazione e la giuridicizzazione degli
interessi diffusi tramite l’individuazione di aggregazioni portatrici degli interessi in parola.
Alle stesse conclusioni della Cassazione sulla carenza di legittimazione di « Italia nostra »
giunge di lì a poco (in ordine a un altro ricorso
presentato dall’associazione) anche l’adunanza
plenaria del Consiglio di Stato, nella decisione n.
24 del 1979 (46).
Le argomentazioni del Consiglio di Stato sono
in parte diverse da quelle della Cassazione: in
questa decisione infatti si afferma che interessi
diffusi « non sono, o almeno non sono soltanto,
quelli appartenenti alla collettività, e, quindi, ai
componenti di questa in quanto tali considerati »,
ma anche « gli interessi caratterizzati dalla simultaneità del loro riferimento soggettivo a tutti o
parte dei componenti di una data collettività, individualmente considerati, riguardo al medesimo
bene ».
Il che dà ingresso a una considerazione del
ruolo degli enti esponenziali diversa da quella
delle sezioni unite: « il fatto che tale interesse, pur
senza affatto perdere il carattere della individualità, inerisca però simultaneamente a tutti o a parte
dei componenti di una collettività, non soltanto
rende possibile, ma evidentemente agevola, ed
anzi incoraggia siffatti fenomeni di aggregazione »,
anche perché l’art. 2 cost. contiene « la enunciazione costituzionale della garanzia dei diritti dell’uomo, non più soltanto come singolo ma inserito
altresì nella formazione sociale in cui “si svolge” la
sua personalità [che] sembra destinata ad assumere senso compiuto soltanto se intesa pure come
affermazione della possibilità di accesso, anche
(45) In base a queste premesse Cass., sez. un., 8 maggio
1978, n. 2207, cit., giunge a negare la legittimazione a
ricorrere di « Italia nostra », ritenendo che l’associazione
non rappresenti nessuna categoria di questo genere.
(46) Cons. St., ad. plen., 19 ottobre 1979, n. 24, in Foro
it., 1980, III, 1.
519
Interessi diffusi e collettivi
della formazione sociale e non del singolo individuo, alla tutela giurisdizionale, che di quella garanzia è evidentemente lo strumento più efficace ».
L’adunanza plenaria giunge così ad affermare
« la configurabilità, nella materia in esame, di interessi legittimi facenti capo a siffatte forme di
aggregazione, specie quando queste, in conformità
alla funzione loro assegnata appunto dall’art. 2, si
dispongano come momento organizzatorio degli
interessi dei singoli associati » (47).
E così gli stessi concetti che erano stati esposti
nella decisione del 1970 della V sezione sulla
legittimazione che si collega all’insediamento in un
determinato luogo, ossia sulla cosiddetta vicinitas (48), portano a riconoscere l’esistenza degli
interessi legittimi seriali, ossia degli interessi di
identico contenuto che appartengono a una pluralità di soggetti che si trova nella stessa situazione (49).
Mentre il richiamo ai principi personalistico e
pluralistico porta ad ammettere che i titolari di
questi interessi possono esercitarli anche aggregandosi in formazioni sociali diverse dai sindacati
e dalle associazioni di categoria.
A questa stregua la giurisprudenza perviene a
differenziare e tutelare gli interessi diffusi procedendo al contempo lungo due diverse direttrici.
La prima è quella dell’individuazione dei casi
in cui un’aggregazione sociale può agire per tutelare gli interessi della categoria di riferimento; la
seconda è invece quella dell’estensione, o dell’ampliamento, della nozione di interesse legittimo sino
a ricomprendervi anche gli interessi seriali.
In sostanza, quelle che in dottrina sono state
definite rispettivamente come la variante giuri(47) Cons. St., ad. plen., 19 ottobre 1979, n. 24, cit.,
perviene a dichiarare inammissibile il ricorso di « Italia
nostra » perché la ritiene portatrice di un interesse ai beni
paesaggistici non localizzato in un particolare ambiente naturale.
(48) Cons. St., sez. V, 9 giugno 1970, n. 523, cit. supra,
nt. 30, su cui v. FERRARA, op. ult. cit.
(49) Cfr. NIGRO, Le due facce dell’interesse diffuso, cit.,
1874 ss., che peraltro ricorda che nello stesso senso era
orientata pure la Cassazione (v., ad esempio, Cass., sez. un.,
9 marzo 1979, n. 1463, in Foro it., 1979, I, 939), e SCOCA,
Interessi protetti (dir. amm.), in Enc. giur., XVII, 1989, 13. I
contenuti di questa decisione peraltro vengono criticati da
BERTI, La legge tutela un interesse diffuso, ma il giudice ne
ricava un interesse individuale, in Le Regioni, 1980, 734 ss.,
ove appunto rileva che a questa stregua l’interesse diffuso
viene trasformato in un interesse individuale, dato che l’autore riafferma l’opinione espressa in ID., Interessi senza
struttura, cit., sulla natura eminentemente sociale degli interessi diffusi. Per ovvie ragioni qui non ci può occupare degli
orientamenti della giurisprudenza civile in tema di interessi
diffusi, per cui in proposito si rinvia a TROCKER, Interessi
collettivi e diffusi, in Enc. giur., XVII, 1989.
520
sprudenziale del modello oggettivo e il modello
soggettivo di tutela degli interessi diffusi (50).
Accanto a quelli di cui s’è appena detto vi sono
anche orientamenti giurisprudenziali di segno diverso: ad esempio quelli che finiscono per ricondurre gli interessi diffusi nell’alveo degli interessi
pubblici.
In tal senso va la giurisprudenza contabile, la
quale, a partire almeno da una sentenza del 1982
della I sezione della Corte dei conti (51), sostiene
che « l’interesse collettivo, come interesse della
collettività nazionale, è per ciò stesso interesse
pubblico, al quale è per definizione preposta la
pubblica amministrazione » (52), e così perviene
ad ampliare la nozione di danno erariale, e dunque
lo stesso ambito della giurisdizione contabile.
E in senso analogo in definitiva va anche la
giurisprudenza amministrativa quando ritiene che
gli enti territoriali, siccome esponenziali della collettività di riferimento, sono legittimati a ricorrere
per tutelare gli interessi diffusi radicati sul proprio
territorio (53).
In proposito è stato però puntualmente osservato che, quando si risolvono in interessi pubblici,
gli interessi diffusi non « hanno ragione di essere
presi in considerazione » (54): si potrebbe anzi
aggiungere che in questa ipotesi essi non meritano
neppure di essere considerati tali.
5. Gli orientamenti normativi: la legittimazione delle associazioni ambientaliste. — I contenuti del dibattito degli anni Settanta determinano,
o comunque condizionano, anche gli orientamenti
normativi dei decenni seguenti.
In primo luogo, l’orientamento che va nel
senso dell’introduzione di sistemi analoghi a
quello della loi Royer, tramite i quali viene rico(50) NIGRO, op. cit., 1876.
(51) C. conti, sez. I, 22 gennaio 1982, n. 10, in Riv. C.
conti, 1982, I, 89. Critica gli orientamenti della Corte dei
conti in materia, ritenendoli privi di adeguata base normativa, CARAVITA, Interessi diffusi e collettivi (problemi di tutela),
in Dir. soc., 1982, 269 ss.
(52) SCOCA, Contributo sulla figura dell’interesse legittimo, cit., 43. V., in proposito, anche ROTA, Gli interessi
diffusi nell’azione della pubblica amministrazione, Milano,
1998, 58 s.
(53) V., ad esempio, Cons. St., sez. V, 31 maggio 2012,
n. 3254, in Foro amm. C.d.S., 2012, 1269, e Cons. St., sez. V,
14 aprile 2008, n. 1725, in Riv. giur. ed., 2008, 1157. Cfr., in
arg., ANGIULI, Interessi collettivi e tutela giurisdizionale. Le
azioni comunali e surrogatorie, Napoli, 1986, nonché CLINI e
PERFETTI, Class action, legittimazione a ricorrere degli enti
territoriali nella prospettiva dello statuto costituzionale del
cittadino e delle autonomie locali, in Dir. proc. amm., 2011,
1443 ss.
(54) SCOCA, op. ult. cit., 44.
Interessi diffusi e collettivi
nosciuta ex lege la legittimazione ad agire in capo
ad aggregazioni sociali ritenute esponenziali di
gruppi di portatori di interessi diffusi.
Detto incidentalmente, il fatto che per tutelare
gli interessi in parola il legislatore abbia preferito
impiegare uno strumento ispirato a un istituto
straniero, in luogo di quello che da sempre viene
utilizzato nel nostro ordinamento per tutelare interessi diffusi nella collettività, ossia l’azione popolare (55), pare ascrivibile alla consonanza del
modello della legge Royer con la variante giurisprudenziale del modello oggettivo, di cui s’è
detto nel paragrafo precedente.
Il legislatore interviene in primo luogo nel
settore della tutela dell’ambiente, che era stato
oggetto delle principali controversie giudiziarie di
cui s’è appena detto.
La l. 8 luglio 1986, n. 349, istitutiva del Ministero dell’ambiente, adotta dunque un sistema di
agrément per risolvere il problema della legittimazione a ricorrere delle associazioni ambientaliste di
rilievo nazionale, la quale, come s’è visto, era stata
negata dall’adunanza plenaria.
L’art. 13 della legge prevede che « le associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e quelle presenti in almeno cinque regioni
sono individuate con decreto del Ministro dell’ambiente sulla base delle finalità programmatiche e
dell’ordinamento interno democratico previsti
dallo statuto, nonché della continuità dell’azione e
della sua rilevanza esterna, previo parere del Consiglio nazionale per l’ambiente da esprimere entro
novanta giorni dalla richiesta », e il comma 5
dell’art. 18 che « le associazioni individuate in
base all’articolo 13 della presente legge possono
intervenire nei giudizi per danno ambientale e
ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa
per l’annullamento di atti illegittimi » (56).
In seguito la legittimazione delle associazioni
(55) Nonostante che l’impiego dell’azione popolare a
tal fine fosse stato esaminato nel dibattito dottrinale degli
anni Settanta: cfr., ad esempio, BIAGINI, L’azione popolare e la
tutela degli interessi diffusi, in Rilevanza e tutela degli interessi diffusi, cit., 177 ss. Sulle azioni popolari v., per tutti,
LUGO, Azione popolare (parte generale), in questa Enciclopedia, IV, 1959, 863 ss., MIGNONE, Azione popolare, in D. disc.
pubbl., II, 1987, 149 ss., TIGANO, Le azioni popolari suppletive
e correttive. Attualità di una distinzione, Torino, 2008.
(56) V., per tutti, MANTINI, Associazioni ambientaliste e
interessi diffusi nel procedimento amministrativo. Contributo
allo studio della disciplina legale del procedimento amministrativo, Padova, 1990, e CARAVITA e ALIVERTI, Le forme di
partecipazione nella tutela ambientale: le associazioni ambientaliste e i referendum locali, in Diritto dell’ambiente a cura di
CARAVITA, Bologna, 2001, 330 ss., e la dottrina ivi citata.
individuate ex lege n. 349, cit., viene estesa (o
ribadita) da diverse leggi di settore.
In particolare, dall’art. 13 della l. 6 dicembre
1991, n. 394, per cui le associazioni in parola sono
legittimate a ricorrere avverso i nulla osta dell’Ente
parco, dall’art. 17 della l. 15 maggio 1997, n. 127,
secondo cui esse possono impugnare gli atti « di
competenza delle regioni, delle province e dei
comuni », dal comma 3 dell’art. 9 t.u. enti loc.
(articolo che disciplina l’azione popolare negli enti
locali), che prevedeva che « possono proporre le
azioni risarcitorie di competenza del giudice ordinario che spettino al comune e alla provincia,
conseguenti a danno ambientale. L’eventuale risarcimento è liquidato in favore dell’ente sostituito
e le spese processuali sono liquidate in favore o a
carico dell’associazione » (57).
Quest’ultima disposizione è stata poi abrogata
dal d. lg. 3 aprile 2006, n. 152, il cosiddetto codice
dell’ambiente, che negli art. 309 e 310 ha però
previsto che le associazioni in parola hanno poteri
di denuncia dei danni ambientali e sono legittimate a ricorrere avverso i provvedimenti adottati
in violazione delle norme in tema di danno ambientale, « nonché avverso il silenzio inadempimento del Ministro dell’ambiente e della tutela del
territorio e per il risarcimento del danno subito a
causa del ritardo nell’attivazione, da parte del
medesimo Ministro, delle misure di precauzione,
di prevenzione o di contenimento del danno ambientale » (58).
Tra le disposizioni di questo genere merita una
considerazione a parte l’art. 146 c. beni cult., il
quale prevede che l’autorizzazione paesaggistica è
impugnabile dalle associazioni riconosciute ex lege
n. 349 del 1986 (59), oltre che « da qualsiasi altro
(57) In almeno un caso il legislatore ha poi fatto tout
court riferimento alle associazioni ambientaliste, senza precisare se si tratti o meno solo di quelle riconosciute ex l. n.
349 del 1986: l’art. 14 della l. 28 dicembre 1993, n. 549,
prevede una legittimazione in capo alle « associazioni di
protezione ambientale » (oltre che alle associazioni di consumatori): v. AINIS, Questioni di “democrazia ambientale”: il
ruolo delle associazioni ambientaliste, in Riv. giur. amb.,
1995, 234 s.
(58) Cfr. CROSETTI, FERRARA, FRACCHIA e OLIVETTI RASON,
Diritto dell’ambiente, Roma-Bari, 2008, 164.
(59) La giurisprudenza comunque ammetteva che le
associazioni ambientaliste riconosciute sono legittimate a
impugnare le autorizzazioni paesaggistiche anche a prescindere dalle norme del codice dei beni culturali (d. lg. 22
gennaio 2004, n. 42: c. beni cult.), in considerazione della
« stretta connessione tra i valori ambientali e quelli paesaggistici, anche a livello della tutela costituzionale ad essi
apprestata »: così Cons. St., sez. IV, 4 dicembre 2009, n.
7561, in Riv. giur. ed., 2010, I, 557.
521
Interessi diffusi e collettivi
soggetto pubblico o privato che ne abbia interesse ».
Il testo originario del comma 11 di questo
articolo conteneva infatti quella che è stata definita
« una strana previsione » (60): « il ricorso è deciso
anche se, dopo la sua proposizione ovvero in
grado di appello, il ricorrente dichiari di rinunciare o di non avervi più interesse. Le sentenze e le
ordinanze del Tribunale amministrativo regionale
possono essere impugnate da chi sia legittimato a
ricorrere avverso l’autorizzazione paesaggistica,
anche se non abbia proposto il ricorso di primo
grado ».
Parte della dottrina riteneva che tramite questa
previsione fosse stata introdotta una ipotesi di
giurisdizione oggettiva; e peraltro dubitava della
sua costituzionalità sotto vari profili, in particolare
assumendone la contrarietà al diritto di azione ex
art. 24 e 113 cost., che, avendo come corollario il
diritto di non agire, dovrebbe tutelare anche
quello di disporre dell’azione intrapresa (61).
È probabilmente a fronte delle perplessità
della dottrina che il d. lg. 26 marzo 2008, n. 63 ha
riscritto l’intero articolo, e delle norme di cui s’è
detto ha mantenuto solo quella per cui le sentenze
e le ordinanze dei tribunali amministrativi regionali possono essere impugnate dai soggetti legittimati a ricorrere avverso le autorizzazioni paesaggistiche anche se essi non hanno proposto il ricorso di primo grado.
Va segnalato pure che in un primo tempo le
disposizioni sulla legittimazione a ricorrere delle
associazioni ambientaliste riconosciute avevano indotto la giurisprudenza prevalente a negare ogni
legittimazione in capo alle aggregazioni sociali
prive del riconoscimento ministeriale (62).
Questo orientamento era stato però criticato
(60) Così POLICE, Il giudice amministrativo e l’ambiente:
giurisdizione oggettiva o soggettiva, in Ambiente, attività
amministrativa e codificazione a cura di DE CAROLIS, FERRARI
e POLICE, Milano, 2006, 298.
(61) In questo senso, oltre a POLICE, op. cit., passim,
SANDULLI M.A., Verso un processo amministrativo ‘oggettivo’
(nota a margine dell’art. 146, comma 11, del d. lgs. n. 42 del
2004), in Foro amm. T.A.R., 2004, 2423 ss., PARISIO, Beni
culturali, paesaggio e giudice amministrativo, ivi, 3229 ss.
Invece ANGIULI, in Commentario del Codice dei beni culturali
e del paesaggio a cura di ANGIULI e CAPUTI JAMBRENGHI V.,
Torino, 2005, sub art. 146, 391 ss., ritiene che questa peculiare disposizione avesse la funzione di evitare impieghi
strumentali della legittimazione a ricorrere.
(62) Cfr., ad esempio, Cons. St., sez. VI, 16 luglio 1990,
n. 728, in Foro amm., 1990, 1773; Cons. St., sez. V, 18
novembre 1997, n. 1325, in Giur. it., 1998, 798; e Cons.
St., sez. VI, 5 dicembre 2002, n. 6657, in Foro amm. C.d.S.,
2002, 3243.
522
da diversi autori (63), e in seguito è stato superato
sulla base della condivisibile considerazione che la
l. n. 349, cit., « contiene disposizioni non di carattere preclusivo, ma solo di carattere permissivo » (64).
E così la giurisprudenza è tornata ad affermare
che la legittimazione a ricorrere compete anche
« agli organismi — comitati o associazioni — che
si costituiscono al precipuo scopo di proteggere
l’ambiente, la salute e/o la qualità della vita delle
popolazioni residenti su tale circoscritto territorio
e non intendano estendere il raggio della propria
azione oltre la comunità e l’ambito territoriale ove
si collocano e cui riferiscono i loro programmi e la
propria attività » (65): in modo in definitiva coerente con i principi sanciti nella citata decisione
del 1979 dell’adunanza plenaria (66), che aveva
appunto affermato che in capo alle aggregazioni
ambientaliste di rilievo locale una legittimazione
siffatta si giustifica come proiezione della legittimazione dei singoli.
6. La legittimazione delle associazioni dei consumatori. — Un sistema analogo a quello appena
visto è stato predisposto anche al fine di tutelare
gli interessi dei consumatori tramite una serie di
previsioni della l. n. 281 del 1998, che ora sono
riprese nel codice del consumo.
L’art. 137 c. cons. prevede l’istituzione presso
(63) Cfr. CRESTI, Contributo allo studio della tutela degli
interessi diffusi, cit., 70 ss., che richiama appunto Cons. St.,
ad. plen., 19 ottobre 1979, n. 24, cit. supra, nt. 46, e AINIS, op.
cit., passim, che tra l’altro ricorda che negli anni Novanta era
stato emanato almeno un testo normativo che prevede una
forma di legittimazione ad agire in capo alle associazioni
ambientaliste tout court, senza fare cenno al riconoscimento
ex lege n. 349 del 1986, ossia l’art. 14 della l. n. 549 del 1993,
che fa riferimento alle « associazioni di protezione ambientale », oltre che alle « associazioni di consumatori ».
(64) Cons. St., sez. VI, 7 gennaio 1996, n. 182, in Riv.
giur. amb., 1996, 694.
(65) Cons. St., sez. IV, 2 ottobre 2006, n. 5760, in Riv.
giur. ed., 2007, I, 1170. Questo secondo orientamento (e
quello in tema di legittimazione delle articolazioni locali
delle associazioni nazionali, che si intreccia con la questione
di cui si dice nel testo) viene ricostruito da LEONARDI, La
legittimazione processuale delle associazioni ambientaliste: alcune questioni ancora giurisprudenziali, ivi, 2011, II, 3 ss. In
proposito cfr. anche DURET, Riflessioni sulla legitimatio ad
causam in materia ambientale tra partecipazione e sussidiarietà, cit., passim, e GOISIS, Legittimazione al ricorso delle
associazioni ambientali ed obblighi discendenti dalla Convenzione di Aarhus e dall’ordinamento dell’Unione europea, in
Dir. proc. amm., 2012, 101 ss., che segnala le implicazioni
dell’art. 9 della Convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998,
ove prevede la legittimazione a ricorrere anche delle « organizzazioni non governative che promuovono la tutela dell’ambiente e che soddisfano i requisiti previsti dal diritto
nazionale ».
(66) Cons. St., ad. plen., 19 ottobre 1979, n. 24, cit.
Interessi diffusi e collettivi
il Ministero delle attività produttive dell’elenco
delle associazioni dei consumatori e degli utenti
rappresentative a livello nazionale, al quale possono iscriversi le associazioni che dimostrano il
possesso di un’ampia serie di requisiti (67), e gli
art. 139 e 140 affermano che queste associazioni
sono legittimate ad agire « a tutela degli interessi
collettivi dei consumatori e degli utenti ».
Il comma 9 dell’art. 140 precisa però che,
« fatte salve le norme sulla litispendenza, sulla
continenza, sulla connessione e sulla riunione dei
procedimenti, le disposizioni di cui al presente
articolo non precludono il diritto ad azioni individuali dei consumatori che siano danneggiati dalle
medesime violazioni » (68).
Come s’è detto supra, § 1, è ovvio che qui,
nonostante la formula impiegata dal legislatore, ci
si trova di fronte a veri e propri interessi diffusi, in
definitiva analoghi a quelli che si riscontrano nel
settore della tutela dell’ambiente, dato che consumatori e utenti sono categorie di soggetti dai
confini indefiniti, i quali per lo più non fanno
neppure parte delle associazioni in discorso.
Piuttosto risulta problematico il rapporto che
corre tra le azioni di consumatori e utenti e l’a(67) « L’iscrizione nell’elenco è subordinata al possesso,
da comprovare con la presentazione di documentazione
conforme alle prescrizioni e alle procedure stabilite con
decreto del Ministro delle attività produttive, dei seguenti
requisiti: a) avvenuta costituzione, per atto pubblico o per
scrittura privata autenticata, da almeno tre anni e possesso di
uno statuto che sancisca un ordinamento a base democratica
e preveda come scopo esclusivo la tutela dei consumatori e
degli utenti, senza fine di lucro; b) tenuta di un elenco degli
iscritti, aggiornato annualmente con l’indicazione delle
quote versate direttamente all’associazione per gli scopi
statutari; c) numero di iscritti non inferiore allo 0,5 per mille
della popolazione nazionale e presenza sul territorio di
almeno cinque regioni o province autonome, con un numero
di iscritti non inferiore allo 0,2 per mille degli abitanti di
ciascuna di esse, da certificare con dichiarazione sostitutiva
dell’atto di notorietà resa dal legale rappresentante dell’associazione con le modalità di cui agli articoli 46 e seguenti
del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari
in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n.
445; d) elaborazione di un bilancio annuale delle entrate e
delle uscite con indicazione delle quote versate dagli associati e tenuta dei libri contabili, conformemente alle norme
vigenti in materia di contabilità delle associazioni non riconosciute; e) svolgimento di un’attività continuativa nei tre
anni precedenti; f) non avere i suoi rappresentanti legali
subito alcuna condanna, passata in giudicato, in relazione
all’attività dell’associazione medesima, e non rivestire i medesimi rappresentanti la qualifica di imprenditori o di amministratori di imprese di produzione e servizi in qualsiasi
forma costituite, per gli stessi settori in cui opera l’associazione ».
(68) Cfr. RAMAJOLI, La tutela degli utenti nei servizi
pubblici a carattere imprenditoriale, in Dir. amm., 2000, 400
ss.
zione delle associazioni: la dottrina processualcivilistica è divisa tra chi sostiene che le azioni inibitorie e preventive previste dall’art. 140 c. cons. (in
precedenza dall’art. 3 l. n. 281, cit.) sono riservate
alle sole associazioni, e chi invece sostiene che
associazioni e singoli hanno identica legittimazione (69).
Correlativamente, riguardo alla legittimazione
a ricorrere avanti la giurisdizione amministrativa
(che ovviamente viene in gioco in ordine alla tutela
degli utenti dei servizi pubblici) anche nella dottrina amministrativistica non manca chi sostiene
che le associazioni hanno una legittimazione diversa rispetto a quella dei singoli utenti (70).
Sul punto la giurisprudenza non fornisce indicazioni perspicue.
Vero è che il giudice amministrativo in genere
afferma che l’interesse collettivo « non può [...]
coincidere con l’interesse individuale dei soggetti
di cui è composta la categoria degli utenti e dei
consumatori, perché questo è perseguibile direttamente dal soggetto che ne è titolare esclusivo »,
sicché « deve trascendere i singoli interessi, non
potendo [...] rappresentare la sommatoria di interessi individuali, che sono individualmente tutelabili » (71) — la formula secondo la quale l’interesse collettivo “trascende” quello dei singoli la si
ritrovava già nella citata decisione della VI sezione
del 1978 (72) —.
Ma è altrettanto vero che non riesce a delinearne l’esatto contenuto, perché in proposito finisce
per rilevare che « uno degli indici (da verificare
caso per caso) che denunciano la presenza di un
“interesse collettivo” è sicuramente dato dal fatto
che un tale interesse deve essere in grado di soddisfare, una volta realizzato, l’intera categoria a
motivo della sua omogeneità ed indivisibilità » (73): e a questa stregua pare di intendere che
la dimensione collettiva si risolve nella somma
degli interessi dei singoli utenti.
Nel senso di una conferma dell’assenza di una
differenza qualitativa tra gli interessi azionati dalle
associazioni e quelli azionati dai singoli utenti
potrebbe forse essere letto il recente orientamento
(69) V., per tutti, ODORISIO, La tutela giurisdizionale dei
diritti dei consumatori e degli utenti: concorso di azioni e
‘giusto processo’ civile, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi a cura di LANFRANCHI, cit., 487 ss.
(70) Cfr. RAMAJOLI, op. cit., passim.
(71) Cons. St., sez. VI, 25 giugno 2007, n. 3586, in Foro
amm. C.d.S., 2007, 1923.
(72) Cons. St., sez. VI, 10 novembre 1978, n. 1187, cit.
supra, nt. 40.
(73) Lo si legge nella motivazione di Cons. St., sez. VI,
25 giugno 2007, n. 3586, cit.
523
Interessi diffusi e collettivi
giurisprudenziale che afferma la legittimazione a
ricorrere anche delle associazioni che possono comunque ritenersi rappresentative dei consumatori
e degli utenti pur non avendo il riconoscimento ex
art. 137 c. cons. (74): in ordine alle associazioni
ambientaliste di rilievo locale infatti s’è appena
visto che una legittimazione siffatta costituisce una
proiezione della legittimazione dei singoli aderenti.
7. La legittimazione dei sindacati e delle associazioni di categoria. — Riguardo alla legittimazione dei sindacati e delle associazioni di categoria
la giurisprudenza degli ultimi decenni per lo più si
è limitata ad applicare i principi che erano stati
affermati negli anni Settanta del secolo scorso
nelle citate decisioni della VI sezione (75).
In ordine alla natura dell’interesse tutelato da
questi organismi, la giurisprudenza afferma che
essi non possono agire per tutelare né la posizione
di un singolo iscritto (76), né quella di una sola
parte dei membri di una categoria, perché « l’interesse collettivo deve identificarsi con l’interesse
di tutti gli appartenenti alla categoria unitariamente considerata » (77): ciò che peraltro ha indotto a escludere la legittimazione a ricorrere in
tutti i casi in cui possa verificarsi un conflitto di
interessi tra i soggetti rappresentati.
Vero è che l’adunanza plenaria in una sentenza
del 2011 (78) ha affermato che gli ordini professionali sono legittimati a ricorrere anche nelle
ipotesi di conflitto tra gli iscritti, laddove venga in
gioco ciò che viene definito « l’interesse istituzionalizzato » dell’ordine, ossia l’interesse della categoria professionale che è affidato all’ordine dalla
legge.
Ma la V sezione, in una sentenza del 2013 (79),
ha precisato che questo principio non può essere
esteso ai sindacati, perché essi, a differenza degli
ordini professionali, « sono associazioni private
non riconosciute, ossia figure organizzative libere
e non soggette a vigilanza, verifiche o controlli
pubblici, con carattere pluralistico e ad adesione
(74) TAR Lazio, sez. III, 25 settembre 2011, n. 7536, in
Foro amm. T.A.R., 2011, 2757.
(75) Cons. St., sez. VI, 10 novembre 1978, n. 1187, cit.,
e Cons. St., sez. VI, 18 maggio 1979, n. 378, cit. supra, nt. 3.
Cfr. CRESTI, op. cit., 60 ss.
(76) V., ad esempio, Cons. St., sez. IV, 27 aprile 2004,
n. 2565, in Foro amm. C.d.S., 2004, 1106.
(77) Cons. St., sez. V, 7 settembre 2007, n. 4692, in Foro
amm. C.d.S., 2007, 247.
(78) Cons. St., ad. plen., 3 giugno 2011, n. 10, in Foro
amm. C.d.S., 2011, 1842.
(79) Cons. St., sez. V, 3 giugno 2013, n. 3033, in Foro
amm. C.d.S., 2013, 1639.
524
eventuale », e dunque « non possono essere considerati come portatori, ciascuno, di un proprio
compito generale di difesa, anche in giudizio, dell’interesse dell’intera categoria unitariamente considerata », dato che « l’istituzionalizzazione presuppone, infatti, una attribuzione ex lege (e non in
base ad un mero statuto) della tutela degli interessi
di tutti gli appartenenti a un gruppo sociale, e in
loro luogo: siano essi iscritti o meno. Solo così, in
ipotesi, potrebbe ricorrere uno dei “casi espressamente previsti dalla legge” che dà luogo a una
sostituzione processuale ai sensi del ricordato art.
81 cod. proc. civ. ».
La questione probabilmente è destinata a essere rimessa in discussione a fronte dei contenuti
dell’art. 4 della l. 11 novembre 2011, n. 180,
intitolata « Norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle imprese », che nel comma 1
prevede che « le associazioni di categoria rappresentate in almeno cinque camere di commercio,
industria, artigianato e agricoltura, di seguito denominate “camere di commercio”, ovvero nel
Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e le
loro articolazioni territoriali e di categoria sono
legittimate a proporre azioni in giudizio sia a tutela
di interessi relativi alla generalità dei soggetti appartenenti alla categoria professionale, sia a tutela
di interessi omogenei relativi solo ad alcuni soggetti », e nel comma 2 che « le associazioni di
categoria maggiormente rappresentative a livello
nazionale, regionale e provinciale sono legittimate
ad impugnare gli atti amministrativi lesivi degli
interessi diffusi » (80).
Il significato di queste formule è tutt’altro che
perspicuo.
Il comma 1 prevede un sistema di selezione
automatico, che non passa attraverso un qualche
tipo di accertamento amministrativo, in base a cui
le associazioni che presentano determinati requisiti sembrerebbero legittimate ad agire anche nei
casi in cui possa verificarsi un qualche conflitto di
interessi tra i membri della categoria, dato che il
riferimento agli « interessi omogenei relativi solo
ad alcuni soggetti » parrebbe da leggere in tal
senso (81).
Il comma 2 è di lettura ancor più problematica,
ma probabilmente è da intendere nel senso che le
associazioni ivi indicate — è quasi inutile rilevare
(80) Su queste disposizioni v. SORACE, Diritto delle amministrazioni pubbliche, Bologna, 2012, 497, e QUINTO, Le
imprese protagoniste nel processo amministrativo: una nuova
dimensione dell’interesse legittimo, in www.giustizia-amministrativa.it.
(81) Così QUINTO, op. cit.
Interessi diffusi e collettivi
l’inopportunità del riferimento alle associazioni
« maggiormente rappresentative », dati tutti i problemi interpretativi che notoriamente hanno sempre comportato clausole di tenore analogo, quale
quella della lett. a dell’art. 19 l. n. 300 del 1970
prima della sua abrogazione referendaria (82) —
possono ricorrere avverso gli atti amministrativi
che in qualche modo ledono gli interessi diffusi
delle imprese, e in particolare la libertà di iniziativa economica.
Questa lettura risulterebbe consona al fine,
sancito nell’art. 1 della l. n. 180, cit., « di assicurare
lo sviluppo della persona attraverso il valore del
lavoro, sia esso svolto in forma autonoma che
dìimpresa, e di garantire la libertà di iniziativa
economica privata in conformità agli articoli 35 e
41 della Costituzione »: anche se, per vero, a
questa stregua non è chiaro se il comma 2 aggiunga qualcosa al comma 1, dato che non si
comprende in cosa la tutela degli interessi diffusi
delle imprese differisca dalla « tutela di interessi
relativi alla generalità dei soggetti appartenenti alla
categoria » (83).
Va detto incidentalmente che non è da escludere che queste disposizioni vengano considerate
espressive di principi estensibili anche ai sindacati
e alle associazioni di professionisti, in particolare
riguardo alla legittimazione ad agire pure in situazioni di potenziale conflitto tra gli associati: vero è
che l’art. 4 della l. n. 180, cit., testualmente è
riferibile solo alle associazioni imprenditoriali (e
che i criteri di selezione che vi sono posti sono
d’ostacolo ad applicazioni analogiche), ma è altrettanto vero che se questa disposizione non fosse
(82) Cfr. CONTE, in Commentario breve alle leggi sul
lavoro a cura di GRANDI e PERA, Padova, 2001, sub art. 19 l.
20 maggio 1970, n. 300, 746 ss.
(83) QUINTO, op. cit., legge questa previsione nel senso
della legittimazione a impugnare i bandi e le norme di gara
anche a prescindere dalla presentazione di una domanda di
partecipazione. Interpretazioni diverse da quella di cui si
dice nel testo sembrano comunque poco plausibili: ad esempio, è senz’altro da scartare l’ipotesi che il legislatore abbia
voluto legittimare le associazioni in parola ad agire per la
tutela di interessi diffusi diversi da quelli delle imprese, sia
perché essa non sarebbe coerente con la ratio legis, sia
perché comunque quelle sulla legittimazione a ricorrere a
tutela di interessi siffatti sono pur sempre norme eccezionali,
in quanto tali di stretta interpretazione; oppure quella che il
comma 1 riguardi la legittimazione ad agire avanti al giudice
ordinario, e il comma 2 invece la legittimazione ad agire
avanti il giudice amministrativo, dato che, come s’è visto,
anche le associazioni contemplate nel comma 1 vengono già
considerate legittimate ad agire nei giudizi amministrativi da
tempo; senza poi considerare che anche le norme della l. n.
180 del 2011 con tutta probabilità possono considerarsi di
carattere permissivo anziché preclusivo, al pari di quelle
della l. n. 349 del 1986 di cui s’è detto più sopra.
considerata espressiva di un principio generale in
definitiva si introdurrebbe una discriminazione tra
questi organismi e le associazioni imprenditoriali
tutt’altro che consona al principio di uguaglianza.
In ogni caso la l. n. 180, cit., vale a chiarire che
anche in questo caso non ci troviamo di fronte a
veri e propri interessi collettivi, dato che le associazioni di categoria risultano legittimate a ricorrere pure al fine di tutelare interessi delle imprese
non aderenti.
8. Il procedimento amministrativo. — Come
strumento di differenziazione degli interessi diffusi non ha invece avuto successo la mera partecipazione al procedimento amministrativo.
Anche se l’art. 9 della l. n. 241 del 1990
consente l’intervento nel procedimento amministrativo delle aggregazioni portatrici di interessi
diffusi (« qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui
possa derivare un pregiudizio dal provvedimento,
hanno facoltà di intervenire nel procedimento »),
la giurisprudenza in assoluto prevalente nega che
dalla mera partecipazione al procedimento discenda la legittimazione a ricorrere, ossia, se si
preferisce, che la partecipazione di per sé sola
valga a trasformare gli interessi semplici in veri e
propri interessi legittimi (84).
L’orientamento della giurisprudenza viene criticato da una parte della dottrina, ad esempio in
base alla considerazione che dal rilievo giuridico
che gli interessi diffusi assumono nel procedi(84) V. Cons. St., sez. VI, 25 giugno 2008, n. 3243, in
Foro amm. C.d.S., 2008, 1858, ove appunto si legge che
« dalla facoltà di intervento nel procedimento dei soggetti
“portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o
comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento” non scaturisce automaticamente la legittimazione
processuale di tutti i soggetti portatori di interessi collettivi
che abbiano in concreto partecipato al procedimento, restando rimesso all’autorità giudiziaria il compito di verificare
nel singolo caso se il soggetto interveniente abbia effettiva
legittimazione processuale in quanto portatore di un interesse differenziato e qualificato, senza che la valutazione
operata in sede procedimentale vincoli quella da rinnovarsi
nella sede processuale », TAR Liguria, sez. II, 13 marzo 2009,
n. 311, in Foro amm. T.A.R., 2009, 670, e TAR Lazio, sez. II,
5 giugno 2008, n. 5492, ivi, 2008, 1758. Ricostruiscono gli
orientamenti della giurisprudenza RAMAJOLI, in Codice dell’azione amministrativa a cura di SANDULLI M.A., Milano, 2011,
sub art. 9 l. n. 241 del 1990, 522 ss. e ROMANO M.C., Interessi
diffusi e intervento nel procedimento amministrativo, in Foro
amm. C.d.S., 2012, 1691 ss. In generale, sull’intervento nel
procedimento dei portatori di interessi diffusi, MORBIDELLI, Il
procedimento amministrativo, in Diritto amministrativo a
cura di MAZZAROLLI, PERICU, ROMANO Alb., ROVERSI MONACO e
SCOCA, II, Bologna, 2001, 1328 ss.
525
Interessi diffusi e collettivi
mento amministrativo dovrebbe senz’altro discendere la possibilità di tutelarli anche in sede processuale (85).
Per contro altra parte della dottrina osserva
che una siffatta modalità di differenziazione andrebbe a collidere con il principio secondo cui la
tutela giurisdizionale può essere accordata solo a
favore delle posizioni giuridiche di rilievo sostanziale, che « vivono nel diritto materiale » (86).
Ma probabilmente vi sono anche altri fattori
che contribuiscono all’atteggiamento di chiusura
della giurisprudenza: ad esempio, il timore di trovarsi di fronte a un aumento del contenzioso che
potrebbe intasare i tribunali amministrativi, dato
che, a questa stregua, qualsivoglia interesse potrebbe acquisire rilevanza giuridica e divenire
azionabile avanti il giudice amministrativo (87).
Inoltre facendo discendere la legittimazione
dalla mera partecipazione al procedimento in definitiva si metterebbe a rischio anche la sistemazione dell’interesse legittimo come posizione normativamente qualificata: la quale non era stata
compromessa neppure dai processi di ampliamento della nozione di interesse legittimo di cui
s’è detto nei paragrafi precedenti.
(85) Così COGNETTI, “Quantità” e “qualità” della partecipazione. Tutela procedimentale e legittimazione processuale,
Milano, 2000, 52, che si chiede anche « quale giuridicità
possa vantare un interesse nel procedimento amministrativo,
se la sua sorte può essere arbitrariamente decisa, in quella
sede, senza controllo alcuno da parte di un giudice. L’eventuale irrilevanza nel processo amministrativo di quel medesimo interesse (irrilevanza che fonda proprio l’ipotesi di
partenza) impedisce che il giudice stesso possa intervenire,
verificando col tramite del sindacato di eccesso di potere
l’eventuale illegittimità (illogicità, ingiustizia, contraddittorietà, ecc.) del suo sacrificio ». Nello stesso senso v. pure
DURET, Partecipazione procedimentale e legittimazione processuale, Torino, 1996, passim, e LOMBARDI, op. cit., 126 s.
Questi autori peraltro riprendono le tesi di NIGRO, Procedimento amministrativo e tutela giurisdizionale contro la pubblica amministrazione (il problema di una legge generale sul
procedimento amministrativo), ora in ID., Scritti giuridici, cit.,
III, 1429 ss., che aveva proposto l’integrazione fra procedimento amministrativo e processo giurisdizionale, da cui
sarebbe dovuta derivare la « soggettivizzazione degli interessi coinvolti nell’azione amministrativa ».
(86) VILLATA, Riflessioni in tema di partecipazione al
procedimento e legittimazione processuale, in Dir. proc. amm.,
1992, 199. Ma v. in questo senso già ANGIULI, Interessi
collettivi e tutela giurisdizionale, cit., 96 ss.
(87) Cfr. CERRI, Diritto di agire dei singoli, delle associazioni che li rappresentano, di entità destinate alla difesa di
interessi collettivi. I progressivi ampliamenti della legittimazione e le ragioni che li giustificano, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi a cura di LANFRANCHI,
cit., 49, e cfr. CASSESE, Gli interessi diffusi e la loro tutela, ivi,
569 s.
526
9. Il ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici. — Negli
ultimi anni il legislatore, oltre che al modello della
legge Royer, ha preso a ispirarsi anche al modello
della statunitense class action (su cui v. anche
supra, AZIONE DI CLASSE).
Come noto, con la riscrittura dell’art. 140-bis c.
cons. attuata dalla l. 23 luglio 2009, n. 99 (successivamente modificata dal d.l. 24 gennaio 2012, n.
1, convertito con modificazioni in l. 24 marzo
2012, n. 27), è stata introdotta nel nostro ordinamento l’azione di classe.
È inutile soffermarsi sui contenuti dell’art. 140bis in questa sede, ove pare sufficiente ricordare
che la disposizione riconosce la legittimazione ad
agire a tutti i singoli componenti della categoria: il
comma 1 prevede che « i diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti di cui al
comma 2 nonché gli interessi collettivi sono tutelabili anche attraverso l’azione di classe, secondo
le previsioni del presente articolo. A tal fine ciascun componente della classe, anche mediante
associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa, può agire per l’accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno
e alle restituzioni » (88).
Qui piuttosto interessa l’analogo meccanismo (89) che è stato introdotto con il ricorso per
l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici previsto dal d. lg. 20 dicembre 2009, n. 198, che attua la delega di cui
al comma 2 dell’art. 4 della l. 4 marzo 2009, n.
15 (90).
(88) In proposito si rinvia pertanto a GIUSSANI, Azione di
classe, cit.
(89) GIUSSANI, op. ult. cit., contesta che questa azione sia
riconducibile al modello dell’azione di classe, dato che non
viene previsto che i componenti del gruppo siano destinatari
degli effetti della decisione; peraltro l’alterità dell’azione che
qui interessa rispetto a quella prevista dall’art.140-bis c.
cons. veniva segnalata già nel parere sullo schema di decreto
legislativo da Cons. St., sez. consultiva per gli atti normativi,
9 giugno 2009, n. 1943, in Foro it., 2010, III, 89, con nota di
TRAVI. Nondimeno, appare innegabile che anche qui la fonte
di ispirazione del legislatore sono stati gli schemi della class
action, in particolare per quanto riguarda il riconoscimento
della legittimazione ad agire in capo a tutti i componenti
della categoria sociale interessata: cfr. TRAVI, op. ult. cit. Sulla
ratio dell’istituto v. BARTOLINI, La class action nei confronti
della P.A. tra favole e realtà, in Lav. pubbl. amm., 2009,
953 ss.
(90) La delega era intesa a « prevedere mezzi di tutela
giurisdizionale degli interessati nei confronti delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici che si discostano dagli standard qualitativi ed economici fissati o che
violano le norme preposte al loro operato », secondo i
seguenti principi e criteri direttivi: « consentire a ogni interessato di agire in giudizio nei confronti delle amministra-
Interessi diffusi e collettivi
Per quanto qui interessa l’art. 1 del d. lg. n. 198,
cit., nel comma 1 prevede che, « al fine di ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la
corretta erogazione di un servizio, i titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una
pluralità di utenti e consumatori possono agire in
giudizio, con le modalità stabilite nel presente decreto, nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei concessionari di servizi pubblici, se derivi
una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri
interessi, dalla violazione di termini o dalla mancata
emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi
obbligatoriamente entro e non oltre un termine
fissato da una legge o da un regolamento, dalla
violazione degli obblighi contenuti nelle carte di
servizi ovvero dalla violazione di standard qualitativi ed economici stabiliti, per i concessionari di
servizi pubblici, dalle autorità preposte alla regolazione ed al controllo del settore e, per le pubblizioni, nonché dei concessionari di servizi pubblici, fatte salve
le competenze degli organismi con funzioni di regolazione e
controllo istituiti con legge dello Stato e preposti ai relativi
settori, se dalla violazione di standard qualitativi ed economici o degli obblighi contenuti nelle Carte dei servizi, dall’omesso esercizio di poteri di vigilanza, di controllo o
sanzionatori, dalla violazione dei termini o dalla mancata
emanazione di atti amministrativi generali derivi la lesione di
interessi giuridicamente rilevanti per una pluralità di utenti o
consumatori, nel rispetto dei seguenti criteri: 1) consentire la
proposizione dell’azione anche ad associazioni o comitati a
tutela degli interessi dei propri associati; 2) devolvere il
giudizio alla giurisdizione esclusiva e di merito del giudice
amministrativo; 3) prevedere come condizione di ammissibilità che il ricorso sia preceduto da una diffida all’amministrazione o al concessionario ad assumere, entro un termine
fissato dai decreti legislativi, le iniziative utili alla soddisfazione degli interessati; in particolare, prevedere che, a seguito della diffida, si instauri un procedimento volto a
responsabilizzare progressivamente il dirigente competente
e, in relazione alla tipologia degli enti, l’organo di indirizzo,
l’organo esecutivo o l’organo di vertice, a che le misure
idonee siano assunte nel termine predetto; 4) prevedere che,
all’esito del giudizio, il giudice ordini all’amministrazione o
al concessionario di porre in essere le misure idonee a porre
rimedio alle violazioni, alle omissioni o ai mancati adempimenti di cui all’alinea della presente lettera e, nei casi di
perdurante inadempimento, disponga la nomina di un commissario, con esclusione del risarcimento del danno, per il
quale resta ferma la disciplina vigente; 5) prevedere che la
sentenza definitiva comporti l’obbligo di attivare le procedure relative all’accertamento di eventuali responsabilità
disciplinari o dirigenziali; 6) prevedere forme di idonea
pubblicità del procedimento giurisdizionale e della sua conclusione; 7) prevedere strumenti e procedure idonei ad
evitare che l’azione di cui all’alinea della presente lettera nei
confronti dei concessionari di servizi pubblici possa essere
proposta o proseguita, nel caso in cui un’autorità indipendente o comunque un organismo con funzioni di vigilanza e
controllo nel relativo settore abbia avviato sul medesimo
oggetto il procedimento di propria competenza ».
che amministrazioni, definiti dalle stesse in conformità alle disposizioni in materia di performance
contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009,
n. 150, coerentemente con le linee guida definite
dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche
di cui all’articolo 13 del medesimo decreto e secondo le scadenze temporali definite dal decreto
legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 ».
Nel comma 3 si prevede poi che « i soggetti
che si trovano nella medesima situazione giuridica
del ricorrente possono intervenire nel termine di
venti giorni liberi prima dell’udienza di discussione del ricorso che viene fissata d’ufficio, in una
data compresa tra il novantesimo ed il centoventesimo giorno dal deposito del ricorso », nel
comma 4 che, « ricorrendo i presupposti di cui al
comma 1, il ricorso può essere proposto anche da
associazioni o comitati a tutela degli interessi dei
propri associati, appartenenti alla pluralità di
utenti e consumatori di cui al comma 1 », e nel
comma 6 che il « ricorso non consente di ottenere
il risarcimento del danno cagionato dagli atti e dai
comportamenti di cui al comma 1; a tal fine,
restano fermi i rimedi ordinari » (91).
Prevedibilmente, in dottrina è subito iniziato
un dibattito sulla natura di questo ricorso, e su
quella delle posizioni che vi vengono azionate.
Secondo una parte della dottrina gli « interessi
giuridicamente rilevanti ed omogenei » a cui fa
riferimento il comma 1 sarebbero interessi semplici, e il ricorso costituirebbe un’ipotesi di giurisdizione oggettiva (92).
Invece, secondo un’altra corrente di pensiero,
qui non si esulerebbe dai confini della consueta
giurisdizione soggettiva (93), anche se di questa
opinione vi sono almeno due varianti.
Per alcuni autori gli interessi in parola corrisponderebbero alle posizioni giuridiche soggettive
di cui utenti e consumatori erano già titolari sulla
(91) Sui profili procedurali del ricorso si rinvia alla
trattazione di FIDONE, L’azione per l’efficienza nel processo
amministrativo: dal giudizio sull’atto a quello sull’attività,
Torino, 2012.
(92) Così CINTIOLI, Note sulla cosiddetta class action
amministrativa, e CAPUTI JAMBRENGHI M.T.P., Buona amministrazione tra garanzie interne e prospettive comunitarie
(a proposito di class action all’italiana), entrambi in GiustAmm.it, www.giustamm.it, 2010.
(93) Cfr., ad esempio, MANGANARO, L’azione di classe in
un’amministrazione che cambia, in GiustAmm.it, www.giustamm.it, 2010, e GALLO, La class action nei confronti della
pubblica amministrazione, in Urbanistica e appalti, 2010, 501
ss., quest’ultimo in base a un’interpretazione restrittiva dei
limiti posti dal decreto alla legittimazione a ricorrere dei
singoli utenti.
527
Interessi diffusi e collettivi
base del diritto vigente prima dell’entrata in vigore
del d. lg. n. 198 del 2009 (94).
Per altri invece il d. lg. n. 198, cit., avrebbe
comportato la « giurificazione di interessi di fatto » (95), perché « si può ritenere che proprio la
previsione di un’azione di tal fatta abbia l’effetto
di giuridicizzare (tutto o una parte del)l’interesse
all’efficienza amministrativa, nel senso che l’efficienza stessa (l’intero principio o solo alcuni
aspetti, quelli che trovano corrispondenza in uno
standard di condotta) diviene un parametro normativo positivo » (96).
Viene letta in tal senso anche un’affermazione
che si rinviene in una sentenza del TAR Lazio del
2011 (97), secondo cui « la previsione di legge non
crea posizioni giuridiche nuove (non era esclusa
dall’ordinamento la possibilità per le associazioni
portatrici di interessi diffusi di agire per l’accertamento dell’obbligo di provvedere in relazione ad
atti generali) ma le riconosce ai singoli, così elevando gli interessi diffusi ad interessi individualmente azionabili, a conclusione di un processo per
certi versi opposto a quello, compiuto dalla giurisprudenza, che al fine di garantirne la tutela aveva perorato un processo di imputazione collettiva » (98); peraltro il tribunale amministrativo del
Lazio in seguito ha ribadito questi concetti in una
sentenza del 2012 (99), ove si sostiene che « la
class action per l’efficienza della pubblica amministrazione è, quindi, normativamente delineata
quale strumento di tutela di interessi diffusi collettivi [...] azionabile sia da parte del singolo soggetto, titolare dell’interesse indifferenziato relativo
ad un bene della vita omogeneo per tutti gli
appartenenti alla pluralità, che abbia subito una
lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi — così elevando gli interessi diffusi ad
interessi individualmente azionabili — nonché da
(94) In questo senso pare opinare ad esempio FABRI, Le
azioni collettive nei confronti della pubblica amministrazione
nella sistematica delle azioni non individuali, Napoli, 2011,
107 ss.
(95) PATRONI GRIFFI, Class action e ricorso per l’efficienza
delle amministrazioni e dei concessionari pubblici, in federalismi.it, www.federalismi.it, 30 giugno 2010.
(96) CUDIA, Gli interessi plurisoggettivi tra diritto e processo amministrativo, cit., 310. In questo senso, amplius,
FIDONE, op. cit., 206 ss.
(97) TAR Lazio, sez. III, 20 gennaio 2011, n. 552, in Foro
amm. T.A.R., 2011, 136.
(98) Così CUDIA, Il ricorso per l’efficienza delle amministrazioni: l’interesse diffuso (finalmente) si ‘concentra’ sull’individuo (in margine a T.A.R. Lazio, Roma, 20 gennaio 2011,
n. 552), in GiustAmm.it., www.giustamm.it, 7 aprile 2011.
(99) Tar Lazio 1° ottobre 2012, n. 8231, in Foro amm.
T.A.R., 2012, 3122.
528
parte di associazioni o enti rappresentativi di tali
interessi ».
10. Interessi diffusi e collettivi. I profili costituzionali e di politica del diritto della tutela degli
interessi diffusi. — Dopo che nelle pagine che
precedono sono stati descritti — seppure in modo
cursorio — i principali orientamenti giurisprudenziali e normativi in materia, si possono svolgere
alcune considerazioni di carattere generale sugli
assetti della disciplina degli interessi in discorso.
Alla luce di quanto suesposto risulta innanzitutto confermato che per quanto qui interessa una
nozione di interessi collettivi nettamente distinta
da quella di interessi diffusi non ha ragione d’essere.
Infatti a ben vedere anche le aggregazioni sociali a cui il legislatore riconosce la legittimazione
ad agire in questo o in quel settore non corrispondono a gruppi di soggetti definiti: è scontato che
non vi corrispondono le associazioni ambientaliste
di rilievo nazionale riconosciute ex l. n. 349 del
1986, ma s’è visto che una corrispondenza siffatta
sicuramente non la si riscontra neppure nel caso
delle associazioni di consumatori e utenti, e persino in quello delle associazioni di categoria, perché anche questi organismi finiscono per agire
pure nell’interesse di soggetti diversi dai propri
membri.
E d’altro canto già da tempo autorevole dottrina ha rilevato che tra gli uni e gli altri interessi
« la distinzione corre [...] non sotto il profilo
ontologico, bensì sotto il profilo estrinseco del
grado di aggregazione e delimitazione del gruppo
cui il fenomeno fa capo. Il criterio assunto non si
presta perciò ad essere usato come scriminante,
atta a penetrare la “specificità” giuridica di quella
data categoria di interessi » (100).
Sono poi opportune alcune precisazioni sul
ruolo delle norme e dei principi costituzionali in
materia, dato che soprattutto durante gli anni
Settanta del secolo scorso si è postulato che determinati assetti della tutela degli interessi in discorso
discendano da determinate norme o da determinati principi costituzionali.
Diverse implicazioni di queste norme e di questi principi sono state esattamente individuate dagli orientamenti della giurisprudenza degli anni
Settanta del Novecento: in particolare per quanto
riguarda il riconoscimento delle situazioni soggettive seriali che sono espressione dei diritti fonda(100) TROCKER, Interessi collettivi e diffusi, cit., 2.
Interessi diffusi e collettivi
mentali, quale il diritto alla salute ex art. 32
cost. (101).
Altre implicazioni che erano state ipotizzate
dalla dottrina appaiono per contro di dubbio fondamento, e forse sono dovute a eccessi di costruttivismo, tramite i quali si sono letti nella Costituzione significati che essa (seppure interpretata evolutivamente) invero non contiene.
Ad esempio, per quanto riguarda il ruolo delle
formazioni sociali: appare infatti discutibile in
primo luogo che gli interessi in parola debbano
essere necessariamente tutelati per il tramite delle
formazioni sociali (102).
Vero è che da un punto di vista sociologico, e
pregiuridico, la dislocazione degli interessi diffusi
spesso coincide con un determinato gruppo sociale: ciò però non può avere come implicazione
logica che sul piano giuridico questi interessi debbano essere necessariamente affidati alle cure di
un gruppo quando invece possono provvedervi i
singoli, ad esempio tramite gli interessi di tipo
seriale e/o tramite le azioni di classe.
Ma la Costituzione non sembra fornire una risposta univoca neppure per il problema delle implicazioni negative dell’attribuzione della legittimazione a ricorrere in capo alle aggregazioni sociali, in
termini di controllo sociale e di conservatorismo,
sollevato dall’autorevole dottrina che aveva criticato « la stessa logica dell’ingabbiamento degli interessi e dell’affidamento della loro “rappresentanza” ad enti ed organismi appositi che comporta
la omologazione, il livellamento e l’uniformazione
di essi e li piega a regole di gruppo conservative per
la loro stessa natura » (103).
Ora, appare senz’altro condivisibile il rilievo
per cui (anche) in questa materia le posizioni
soggettive dei singoli non possono essere espropriate per essere attribuite ad aggregazioni sociali
di un qualche tipo (104).
(101) Fermo però restando che, poiché l’art. 2 cost.
costituisce una fattispecie aperta — secondo la nota formula
di BARBERA, in Commentario della Costituzione a cura di
BRANCA, Principi fondamentali (Art. 1-12), Bologna-Roma,
1975, sub art. 2, 50 ss. —, è senz’altro possibile che anche in
futuro emergano nuovi interessi diffusi meritevoli di tutela in
quanto espressione di nuovi diritti inviolabili.
(102) Come pare ritenere ad esempio BERTI, Interessi
senza struttura, cit., passim.
(103) NIGRO, Le due facce dell’interesse diffuso, cit.,
1869: peraltro questi rilievi sono in accordo con le valutazioni più generali sul rapporto tra persona e formazioni
sociali che l’autore espone in ID., Formazioni sociali, poteri
privati e libertà del terzo, ora in ID., Scritti giuridici, III, cit.,
1131 ss.
(104) V., in questo senso, CUDIA, Gli interessi plurisoggettivi tra diritto e processo amministrativo, cit., 91 ss., e
LANFRANCHI, Le animulae vagulae blandulae e l’altra faccia
Nondimeno, quando non preesistono posizioni siffatte, non pare che possa considerarsi
precluso al legislatore attribuire ex novo un qualche tipo di legittimazione a ricorrere in capo a una
qualche aggregazione sociale (105): e d’altro canto
una forma di tutela non priva di imperfezioni è
pur sempre preferibile a nessuna tutela (106).
In disparte la considerazione che il problema
non va drammatizzato, sia perché in molti casi la
legittimazione a ricorrere delle aggregazioni sociali
deve considerarsi aggiuntiva rispetto a quella del
singolo (107), sia perché, come s’è visto, da ultimo
il legislatore pare orientato a utilizzare anche strumenti ispirati al modello dell’azione di classe, che
prevedono il riconoscimento della legittimazione
ad agire in capo a tutti i componenti della categoria sociale interessata.
Opinabile appare poi anche l’idea — particolarmente diffusa negli anni Settanta dello scorso
secolo — che la tutela degli interessi diffusi costituisca una sorta di implicazione necessaria del
principio democratico.
È vero infatti che tutelando questi interessi si
della luna, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi
e diffusi a cura di LANFRANCHI, cit., XIX ss.
(105) Cfr. COMOGLIO, La garanzia costituzionale dell’azione ed il processo civile, Padova, 1970, 112 ss.
(106) Si potrebbe però obiettare che a questa stregua
viene lesa la strumentalità delle formazioni sociali ai diritti
inviolabili dell’uomo, sancita dall’art. 2 cost.; come noto, la
dottrina in assoluto prevalente concorda sulla preminenza
del principio personalistico sul principio pluralistico, e anzi
sottolinea che il pluralismo è funzionale all’attuazione del
primo principio, e dunque dei diritti inviolabili del singolo:
v., per tutti, TOSATO, Persona, società intermedie e Stato,
Milano, 1989, 225 ss., ROSSI, Le formazioni sociali nella
Costituzione italiana, Padova, 1989, 190 ss., PALADIN, Diritto
costituzionale, Padova, 1988, 566, DE SIERVO, Il pluralismo
sociale dalla Costituzione repubblicana ad oggi: presupposti
teorici e soluzioni nella Costituzione italiana, in Il pluralismo
sociale nello Stato democratico (Atti del 50° Corso di aggiornamento, Ferrara, 7-12 settembre 1980), Milano, 1980, 60
ss., PASTORI, Il pluralismo sociale dalla Costituzione repubblicana ad oggi: l’attuazione del pluralismo sociale nel trentennio
repubblicano, ivi, 80 ss. A ben vedere, però, gli interessi
diffusi che sono tutelati sub specie di interessi legittimi non
vertono nel novero dei diritti inviolabili, che secondo un
orientamento della giurisprudenza costituzionale è addirittura più ristretto del novero dei diritti costituzionalmente
garantiti: v. D’ALESSIO, in Commentario breve alla Costituzione a cura di CRISAFULLI e PALADIN, Padova, 1990, sub art.
2, 11. Che possa esservi una qualche coincidenza tra diritti
inviolabili e interessi legittimi dovrebbe addirittura escludersi in radice secondo le teorie sui diritti cosiddetti “resistenti” o “non degradabili” — su cui v. ZITO, Il tradizionale
criterio di riparto, in Codice della giustizia amministrativa a
cura di MORBIDELLI, Milano, 2005, 60 ss.: anche se va ricordato che queste tesi non vengono condivise da una parte
della dottrina —. V., per tutti, TRAVI, Lezioni di giustizia
amministrativa, cit., 64 ss.
(107) Cfr. LANFRANCHI, op. cit., passim.
529
Interessi diffusi e collettivi
può agevolare la partecipazione democratica: ma è
altrettanto vero che la partecipazione non deve
necessariamente passare attraverso l’esercizio popolare della funzione giurisdizionale, che anzi
nelle democrazie moderne costituisce un’evenienza eccezionale (108).
Dal che discende che in definitiva scegliere di
volta in volta quali tra gli interessi diffusi meritano
di essere tutelati in via giurisdizionale rientra nella
discrezionalità del legislatore, e dunque si risolve
in una questione di politica del diritto (109): in
ordine a cui non va dimenticato che la scelta di
tutelare interessi siffatti, al pari della scelta di
tutelare qualsiasi situazione giuridica soggettiva,
può avere anche implicazioni negative, e non solo
in termini di incremento del contenzioso, o di
rischi di impieghi strumentali della legittimazione
a ricorrere, ma anche e soprattutto perché in
definitiva a ogni posizione attiva in capo a un
soggetto dell’ordinamento corrispondono obblighi o doveri in capo ad altri soggetti (110).
11. Oggettivismo e soggettivismo nella tutela
degli interessi diffusi. — Appare anche opinabile
che, ove si scelga di garantire gli interessi in parola,
la Costituzione imponga determinate modalità di
tutela invece di altre: in particolare, che essa imponga di garantire gli intessi diffusi sempre tramite
forme di giurisdizione soggettiva anziché di giurisdizione oggettiva, ossia, se si preferisce, che,
come di recente ha proposto attenta dottrina,
(anche) per quanto qui interessa dalla Costituzione discenda la necessaria soggettività della tutela (111).
(108) Lo stesso può dirsi pure per altri principi costituzionali che vengono richiamati a fondamento della tutela
degli interessi in discorso: ad esempio, anche dalla recente,
articolata ricostruzione di DURET, Riflessioni sulla legitimatio
ad causam in materia ambientale tra partecipazione e sussidiarietà, cit., passim, che, come s’è visto, ricollega la tutela di
questi interessi al principio di sussidiarietà orizzontale, non
si evince in quali casi ed entro quali limiti una tutela siffatta
sarebbe imposta dalla Costituzione.
(109) Cfr. CASSESE, Gli interessi diffusi e la loro tutela,
cit.
(110) Cfr. BARBERA, Nuovi diritti: attenzione ai confini, in
Corte costituzionale e diritti fondamentali a cura di CALIFANO,
Torino, 2004, 19 ss., ove l’autore (al quale, come s’è ricordato, si deve la formula dell’art. 2 cost. come « fattispecie
aperta ») segnala l’esigenza di non ampliare oltre misura il
novero dei nuovi diritti. Nella letteratura recente, sulle
implicazioni della giurificazione v. anche le considerazioni di
ordine generale di RODOTÀ, Il diritto e il suo limite, in ID., La
vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Milano, 2007, 9 ss.,
e, sul rapporto tra tutela dei diritti e scarsità delle risorse, cfr.
HOLMES e SUNSTEIN, Il costo dei diritti. Perché la libertà
dipende dalle tasse, Bologna, 2000.
(111) Ci si riferisce in particolare a CUDIA, op. ult. cit.,
530
Ora, è pacifico che dagli art. 24 e 113 cost.
discende che il processo amministrativo ordinariamente ha un contenuto soggettivo (112).
Ciò però non sembra escludere in radice ogni
possibile eccezione, e dunque che anche avanti al
giudice amministrativo possano essere celebrati
processi a contenuto oggettivo: se non altro perché
processi siffatti si riscontrano persino nell’ambito
della giurisdizione soggettiva par excellence, ossia
nella giurisdizione civile (113).
E nel contesto della giurisdizione amministrativa in genere vengono considerati come processi a
contenuto oggettivo quelli che vengono iniziati
tramite le azioni popolari (114), mentre è discusso
se siano tali quelli che corrispondono alle cosiddette legittimazioni ex lege delle pubbliche amministrazioni (115).
Come noto, da ultimo il dibattito si è riacceso
in ordine alla natura del processo regolato dall’art.
passim, che in ordine agli interessi in parola riprende e
sviluppa un’impostazione che si rinveniva già in ORSI BATTAGLINI, Alla ricerca dello Stato di diritto. Per una giustizia
“non amministrativa” (Sonntagsgedanken), Milano, 2005, 50
e passim.
(112) V. almeno PIRAS, Interesse legittimo e giudizio
amministrativo, I, Milano, 1962, e BACHELET, La giustizia
amministrativa nella Costituzione italiana, Milano, 1966. Da
ult. il dibattito viene riassunto da SPUNTARELLI, La parità delle
parti nel giusto processo amministrativo, Roma, 2012.
(113) V. la convincente dimostrazione in TOMMASEO, I
processi a contenuto oggettivo, in Riv. dir. civ., 1988, I, 495 ss.
e 685 ss. Va però ricordato che il dubbio sulla coerenza delle
azioni popolari con l’art. 24 cost. ove attribuisce il diritto di
azione alla tutela dei “propri” diritti e interessi è risalente, e
ricorrente: v. CAIANIELLO, Introduzione al tema del convegno,
cit., 29. Dubbi che di recente (in ordine al processo ex art.
21-bis l. 10 ottobre 1990, n. 287, di cui si dice nel prosieguo
del testo) vengono ritenuti infondati da CLARICH, I poteri di
impugnativa dell’AGCM ai sensi del nuovo art. 21-bis l.
287/90, in www.giustizia-amministrativa.it, in base alla considerazione che « riconoscere una impostazione squisitamente soggettiva del processo amministrativo, non significa
ritenere indispensabile sempre e necessariamente la presenza
di una situazione giuridica soggettiva di tipo sostanziale
correlata al processo instaurato. Nel diritto processuale civile, del quale mai è stata messa in dubbio la natura soggettiva, i casi di legittimazione ex lege, ai quali fa riferimento sia
l’art. 69 cod. proc. civ. a proposito dell’azione del pubblico
ministero e sia altre disposizioni del codice civile e di leggi
speciali, non hanno dato origine a una discussione in ordine
a se e a quale tipo di situazione giuridica soggettiva si imputi
al soggetto al quale la legge attribuisce il potere di iniziativa
processuale ».
(114) Da segnalare che da ult. CUDIA, op. ult. cit., 125
ss., propone di ricondurre tutte indistintamente queste ipotesi entro schemi soggettivistici: ciò che però non appare
interamente convincente, se non altro perché a questa stregua si corre il rischio di operare una forzatura di tali schemi,
e, dunque, di confonderli con quelli oggettivistici.
(115) Su cui v., in generale, DURET, La legittimazione ex
lege nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 1999,
40 ss.
Interessi diffusi e collettivi
21-bis che è stato inserito nella l. 10 ottobre 1990,
n. 287, dall’art. 35 del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201,
convertito con modificazioni nella l. 22 dicembre
2011, n. 214, secondo cui l’Autorità garante della
concorrenza e del mercato « è legittimata ad agire
in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i
regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela
della concorrenza e del mercato ».
La dottrina è infatti divisa tra chi legge questa
disposizione in senso oggettivo (116), chi invece
ritiene che essa non esula dal modello del processo
di parti, mettendo l’accento sul « ruolo del soggetto affidatario della tutela di un interesse pubblico particolare, fino al punto di essere legittimato ad agire direttamente in giudizio contro gli
atti e i comportamenti che, violando la legge, ne
integrino una lesione, in aggiunta a quella dei
diritti e degli interessi degli operatori, pubblici o
privati, specificamente coinvolti » (117), e chi infine la riconduce a schemi squisitamente soggettivi, affermando che essa configura un’ipotesi in
definitiva assimilabile a quelle in cui vengono considerati titolari di interessi legittimi gli enti pubblici che ricorrono in sede giurisdizionale al fine di
tutelare le proprie competenze e/o gli interessi di
cui sono portatori (118).
Pare dunque che al fine di tutelare gli interessi
(116) Ad esempio, CINTIOLI, Osservazioni sul ricorso
giurisdizionale dell’Autorità garante della concorrenza e del
mercato e sulla legittimazione a ricorrere delle Autorità indipendenti, in federalismi.it, www.federalismi.it, 5 giugno
2012, che, pur ritenendo che la giurisdizione amministrativa
ha in generale carattere soggettivo, afferma sul punto che
non è « possibile circoscrivere in capo ad AGCM una situazione soggettiva in senso proprio, perché questo significherebbe concedere tanto alla nozione da renderla del tutto
evanescente e priva di rilevanza classificatoria ». A questa
impostazione aderiscono anche CLARICH, op. cit., POLITI,
Ricadute processuali a fronte dell’esercizio dei nuovi poteri
rimessi all’AGCM ex art. 21-bis della l. 287/1990. Legittimazione al ricorso ed individuazione dell’interesse alla sollecitazione del sindacato, in federalismi.it, www.federalismi.it, 5
giugno 2012, e URBANO, I nuovi poteri processuali delle
autorità indipendenti, in Giorn. dir. amm., 2012, 1022 ss.
(117) SANDULLI M.A., Introduzione a un dibattito sul
nuovo potere di legittimazione al ricorso dell’AGCM nell’art.
21-bis l. n. 287 del 1990, in federalismi.it, www.federalismi.it,
5 giugno 2012.
(118) Così GOISIS, Il potere di iniziativa dell’Autorità
garante della concorrenza e del mercato ex art. 21-bis l. 287
del 1990: profili sostanziali e processuali, in Dir. proc. amm.,
2013, 471 ss. In questo senso v. TAR Lazio, sez. III, 15 marzo
2013, n. 2720, in Foro amm. T.A.R., 2013, 1587, ove si
sostiene che l’Autorità « è per legge l’affidataria dell’interesse alla concorrenza, in quanto effettivamente portatrice di
un interesse sostanziale protetto dall’ordinamento (nella specie, nella forma dell’interesse legittimo), che si soggettivizza
in capo ad essa come posizione differenziata rispetto a quella
degli altri attori del libero mercato ».
diffusi non esuli dalla discrezionalità del legislatore neppure la possibilità di prevedere i processi
a contenuto oggettivo che, come s’è visto, erano
stati postulati già nel contesto del dibattito degli
anni Settanta.
Se però si pone mente agli orientamenti normativi degli ultimi decenni, ci si avvede che di
questa possibilità il legislatore sembra essersi avvalso di rado.
Un processo a contenuto oggettivo era senz’altro previsto dal codice dei beni culturali nella
versione originaria del 2004 dell’art. 146, ma, se si
considera che nella giurisdizione del giudice amministrativo processi siffatti costituiscono un’eccezione alla regola generale, la più parte delle altre
ipotesi di legittimazione previste dalla legge per la
tutela degli interessi diffusi possono essere lette
secondo schemi soggettivi: e, in particolare, la più
recente tra esse, ossia il ricorso per l’efficienza
delle amministrazioni e dei concessionari di servizi
pubblici.
Dal che dunque discende che alla fin fine le
tutele apprestate a favore degli interessi diffusi
non hanno sovvertito gli assetti consueti del diritto
amministrativo sulle posizioni soggettive e sulla
loro tutela, perché gli interessi in parola in genere
sono stati trasformati in interessi legittimi, la cui
titolarità — nel caso degli interessi seriali — è stata
riconosciuta contemporaneamente in capo a una
pluralità di soggetti, oppure in capo alle aggregazioni sociali individuate come portatrici in base ai
diversi sistemi di riconoscimento elaborati dal legislatore.
Sicché in luogo del sovvertimento e del superamento dei caratteri dell’interesse legittimo si è
verificato piuttosto quell’ampliamento, o quella
estensione della figura che sono stati rilevati da
tempo dalla migliore dottrina (119).
In altri termini, l’impatto degli interessi diffusi
sugli assetti consueti delle posizioni soggettive nel
diritto amministrativo ha portato non all’abbandono di questi assetti, ma piuttosto al loro aggiornamento e ammodernamento, in particolare perché l’interesse legittimo resta tuttora una posizione
giuridica personale, anche se ha perso la tradizionale connotazione di esclusività.
Giuseppe Manfredi
FONTI. — Sui principi costituzionali a cui dottrina e
giurisprudenza hanno ricollegato la tutela di interessi diffusi:
art. 1, 2, 3, 24, 18, 32, 113, 118 cost.; sulla partecipazione al
(119) Ci si riferisce ovviamente a SCOCA, Interessi protetti, cit., e ID., Contributo sulla figura dell’interesse legittimo,
cit.
531
Interessi diffusi e collettivi
procedimento amministrativo: art. 9 l. 7 agosto 1990, n. 241;
sulla legittimazione delle associazioni ambientaliste: art. 13 e
18 l. 8 luglio 1986, n. 349, art. 13 l. 6 dicembre 1991, n. 394,
art. 14 l. 28 dicembre 1993, n. 549, art. 17 l. 15 maggio 1997,
n. 127, art. 146 c. beni cult., art. 309 e 310 d. lg. 3 aprile
2006, n. 152; sulla legittimazione delle associazioni dei consumatori e utenti: art. 137, 138, 139, 140 e 141 c. cons.; sulla
legittimazione delle associazioni di categoria: art. 4 l. 11
novembre 2011, n. 180; sull’azione di classe: art. 140-bis c.
cons.; sul ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei
concessionari di servizi pubblici: art. 4 l. 4 marzo 2009, n. 5,
art. 1-8 d. lg. 20 dicembre 2009, n. 198.
LETTERATURA. — La letteratura sull’argomento è vastissima, per cui qui si forniscono solo i riferimenti bibliografici
essenziali, rinviando per il resto alle opere citate nel testo;
opere collettanee: Le azioni a tutela di interessi collettivi
(Atti del Convegno di studi, Pavia, 11-12 giugno 1974),
Padova, 1976; La tutela degli interessi diffusi nel diritto
comparato a cura di GAMBARO, Milano, 1976; Rilevanza e
tutela degli interessi diffusi: modi e forme di individuazione e
protezione degli interessi della collettività (Atti del XXIII
Convegno di studi, Varenna, Villa Monastero, 22-24 settembre 1977), Milano, 1978; La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi a cura di LANFRANCHI, Torino, 2003;
voci enciclopediche: ALPA, Interessi diffusi, in D. disc.
priv., sez. civ., IX, 1993, 609 ss.; DENTI, Interessi diffusi, in
Nss. D.I., Appendice, IV, 1983, 305 ss.; FERRARA, Interessi
collettivi e diffusi (ricorso giurisdizionale amministrativo), in
D. disc. pubbl., VIII, 1993, 481 ss.; SCOCA, Interessi protetti
(dir. amm.), in Enc. giur., XVII, 1989; TROCKER, Interessi
collettivi e diffusi, ivi;
opere monografiche dedicate agli interessi diffusi nella
dottrina di diritto amministrativo: ANGIULI, Interessi collettivi
e tutela giurisdizionale. Le azioni comunali e surrogatorie,
Napoli, 1986; CRESTI, Contributo allo studio della tutela degli
interessi diffusi, Milano, 1992; CUDIA, Gli interessi plurisoggettivi tra diritto e processo amministrativo, Rimini, 2012;
FEDERICI, Gli interessi diffusi. Il problema della loro tutela in
diritto amministrativo, Padova, 1984; LOMBARDI, La tutela
delle posizioni giuridiche meta-individuali nel processo amministrativo, Torino, 2008; ROTA, Gli interessi diffusi nell’azione
della pubblica amministrazione, Milano, 1998;
nella letteratura processualcivilistica sulle azioni collettive e sulle azioni di classe v. DONZELLI, La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, Napoli, 2008; GIUSSANI, Azioni
collettive risarcitorie nel processo civile, Bologna, 2008; nonché ID., Azione di classe, in questo Annale, supra, 132 ss., ove
si ritrovano completi riferimenti alla letteratura sull’argomento (153 ss.).
INTERNET (diritto costituzionale)
SOMMARIO: 1. Inquadramento costituzionale. — 2. Il dibattito sulla
neutralità di Internet. — 3. Segue: gli interventi volti a garantire
il carattere aperto e neutrale di Internet: l’Open Internet Order.
— 4. Segue: la disciplina sulla net neutrality in Europa. — 5.
Network management e tutela della privacy. — 6. Il ruolo degli
intermediari. — 7. Internet e il pluralismo delle fonti informative.
1. Inquadramento costituzionale. — Internet
è un sistema formato da reti di computer collegate
tra di loro che utilizzano un linguaggio standardizzato (il cosiddetto protocollo TCP/IP) per la
trasmissione dei dati. Si tratta dunque di una rete
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di reti, che mette in collegamento miliardi di
persone in tutto il mondo, permettendo ad esse la
condivisione di contenuti informativi e di servizi di
ogni genere.
Le caratteristiche di Internet ne rendono difficile l’inquadramento costituzionale. Si tratta infatti
di un mezzo di comunicazione assai diverso da
quelli presi in considerazione dai nostri costituenti.
La libertà di comunicazione, com’è noto, è
disciplinata dalla nostra Costituzione in due distinte disposizioni: l’art. 15 e l’art. 21. Non è
possibile procedere in questa sede ad un esame di
tali norme e delle complesse problematiche alle
stesse collegate. È sufficiente ricordare che l’art.
15 cost., secondo l’interpretazione prevalente, tutela la libertà e la segretezza delle comunicazioni
interpersonali, cioè delle comunicazioni dirette ad
uno o più soggetti determinati (1). L’art. 21 cost.,
invece, riguarda le comunicazioni rivolte a un
numero indeterminato o fungibile di destinatari (2). Mentre le comunicazioni interpersonali
(1) Sulla libertà di corrispondenza cfr. BARILE e CHELI,
Corrispondenza (libertà di), in questa Enciclopedia, X, 1962,
743 ss.; DI MAJO, Corrispondenza (diritto privato), ivi, 741 ss.;
ITALIA, Libertà e segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni, Milano, 1963; ID., La libertà di corrispondenza, in
La pubblica sicurezza a cura di BARILE, Vicenza, 1967, 203 ss.;
PACE, in Commentario della Costituzione a cura di BRANCA,
Rapporti civili (Art. 13-20), Bologna-Roma, 1977, sub art. 15,
80 ss.; ID., Contenuto e oggetto della libertà di corrispondenza
e di comunicazione, in Aspetti e tendenze del diritto costituzionale. Scritti in onore di Costantino Mortati, I, Milano,
1977, 813 ss.; BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali,
Bologna, 1984, 163 ss.; TROISIO, Corrispondenza (libertà e
segretezza della), in Enc. giur., IX, 1988; GIOCOLI NACCI,
Libertà di corrispondenza, in Trattato di diritto amministrativo diretto da SANTANIELLO, XII, Padova, 1990, 107 ss.; PACE,
Problematica delle libertà costituzionali. Parte speciale, Padova, 1992; CERRI, Telecomunicazioni e diritti fondamentali,
in Dir. inform., 1996, 785 ss.; CARETTI, Corrispondenza (libertà di), in D. disc. pubbl., IV, 1989, 200 ss.; SALERNO, La
protezione della riservatezza e l’inviolabilità della corrispondenza, in I diritti costituzionali a cura di NANIA e RIDOLA, I,
Torino, 2001, 417 ss.; VALASTRO, Libertà di comunicazione e
nuove tecnologie, Milano, 2001; ID., Il futuro dei diritti
fondamentali in materia di comunicazione dopo la riforma del
Titolo V, in Diritti, nuove tecnologie. trasformazioni sociali.
Scritti in memoria di Paolo Barile, Padova, 2003, 860 ss.;
CARETTI, Diritto dell’informazione e della comunicazione.
Stampa, radiotelevisione, telecomunicazioni, teatro e cinema,
Bologna, 2005; DONATI, in Commentario alla Costituzione a
cura di BIFULCO, CELOTTO e OLIVETTI, I, Torino, 2006, sub art.
15, 369 ss.
(2) Sulla libertà di informazione la bibliografia è sterminata. Tra la letteratura costituzionalistica italiana cfr. CARETTI, Diritto dell’informazione e della comunicazione, Bologna, 2013; ZACCARIA, VALASTRO e ALBANESI, Diritto dell’informazione e della comunicazione, Padova, 2013; PACE e MANETTI, La libertà di manifestazione del proprio pensiero, in
Commentario della Costituzione fondato da BRANCA, conti-