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Interessi diffusi e collettivi

2014, Enciclopedia del diritto - Annali

ESTRATTO ANNALI VII Giuseppe Manfredi INTERESSI DIFFUSI E COLLETTIVI (DIRITTO AMMINISTRATIVO) pubblicazione fuori commercio I INTERESSI DIFFUSI E COLLETTIVI (diritto amministrativo) SOMMARIO: 1. Questioni terminologiche. — 2. Individualismo e diritto amministrativo. — 3. Il dibattito sugli interessi diffusi degli anni Settanta del Novecento. Legge Royer e class action. L’alternativa tra mutamento del processo e mutamento degli interessi diffusi. — 4. Gli orientamenti della giurisprudenza: legittimazione delle associazioni e interessi seriali. — 5. Gli orientamenti normativi: la legittimazione delle associazioni ambientaliste. — 6. La legittimazione delle associazioni dei consumatori. — 7. La legittimazione dei sindacati e delle associazioni di categoria. — 8. Il procedimento amministrativo. — 9. Il ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici. — 10. Interessi diffusi e collettivi. I profili costituzionali e di politica del diritto della tutela degli interessi diffusi. — 11. Oggettivismo e soggettivismo nella tutela degli interessi diffusi. 1. Questioni terminologiche. — Nel linguaggio odierno della dottrina di diritto amministrativo l’espressione « interessi diffusi » in genere viene impiegata per indicare gli interessi che pertengono a un insieme indefinito di soggetti, e quella « interessi collettivi » per indicare gli interessi che pertengono a gruppi di soggetti definiti e dotati di strutture organizzative (1). Queste espressioni sono state però impiegate, e vengono tuttora impiegate, anche in accezioni diverse (2). Ad esempio, in passato entrambe le nozioni di cui s’è detto sono state indicate unitariamente come interessi collettivi o come interessi diffusi: lo si riscontra in particolare nei titoli degli Atti dei tre principali Convegni che sono stati dedicati all’argomento durante gli anni Settanta del Novecento, dato che gli Atti del Convegno di Pavia del 1974 (1) Le due espressioni vengono utilizzate in queste accezioni ad esempio da FERRARA, Interessi collettivi e diffusi (ricorso giurisdizionale amministrativo), in D. disc. pubbl., VIII, 1993, 481 ss. (2) Rassegne dei significati che sono stati attribuiti alle due locuzioni si rinvengono in ALPA, Interessi diffusi, in D. disc. priv., sez. civ., IX, 1993, 609 s., e in CARAVITA, Diritto pubblico dell’ambiente, Bologna, 1990, 277 ss. fanno riferimento agli interessi collettivi, mentre quelli del Convegno di Salerno del 1975 e quelli del Convegno di Varenna del 1977 fanno riferimento agli interessi diffusi (3). L’impiego di una sola delle due espressioni per indicare l’una e l’altra nozione ricorre tuttora in branche della dottrina diverse da quella di diritto amministrativo: ad esempio, la dottrina processualcivilistica molto spesso usa la locuzione interessi collettivi in un’accezione che è comprensiva pure di ciò che i giuspubblicisti definiscono come interessi diffusi (4). Peraltro anche restando nell’ambito della dottrina amministrativistica a tutt’oggi variano le espressioni usate per indicare l’insieme degli interessi che vengono definiti diffusi e collettivi: per lo più si usano espressioni quali « interessi superindividuali », o « interessi sovraindividuali » (5), o ancora « interessi metaindividuali » (6), senza variazioni semantiche di rilievo, ma di recente è stata utilizzata pure quella di « interessi plurisogget(3) In relazione ai titoli degli Atti dei due primi Convegni lo rileva FERRARA, nella nota a Cons. St., sez. VI, 18 maggio 1979, n. 378, in Foro it., 1980, III, 54. I titoli degli Atti citati nel testo sono rispettivamente: Le azioni a tutela di interessi collettivi (Atti del Convegno di studi, Pavia, 11-12 giugno 1974), Padova, 1976; La tutela degli interessi diffusi nel diritto comparato a cura di GAMBARO, Milano, 1976; Rilevanza e tutela degli interessi diffusi: modi e forme di individuazione e protezione degli interessi della collettività (Atti del XXIII Convegno di studi, Varenna, Villa Monastero, 22-24 settembre 1977), Milano, 1978. (4) Lo si riscontra ad esempio nel titolo dello studio di DONZELLI, La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, Napoli, 2008, ma lo stesso uso linguistico si rinviene pure in diverse altre opere di processualcivilisti: v., ad esempio, GIUSSANI, Azioni collettive risarcitorie nel processo civile, Bologna, 2008. (5) Ad esempio in FERRARA, Interessi collettivi e diffusi, cit. (6) LOMBARDI, La tutela delle posizioni giuridiche metaindividuali nel processo amministrativo, Torino, 2008. 513 Interessi diffusi e collettivi tivi » (7), e qui invece si riscontra una differenza di significato, perché l’impiego di questa locuzione si ricollega a una valutazione critica della dimensione collettiva degli interessi in parola. Gli usi linguistici della dottrina di diritto amministrativo non trovano pieno riscontro neppure nel linguaggio legislativo. Sembrano impiegare la locuzione interessi diffusi nell’accezione impiegata dalla dottrina amministrativistica l’art. 146 c. beni cult., ove fa riferimento alle « associazioni portatrici di interessi diffusi » nella materia ambientale, la quale tradizionalmente viene considerata connotata dalla presenza di interessi di questo genere, e l’art. 9 della l. 7 agosto 1990, n. 241, che parla de « i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati »: ma secondo un’autorevole opinione in questi casi sarebbe più corretto parlare di interessi collettivi, dato che si fa riferimento ad associazioni e comitati che costituiscono altrettante strutture organizzative (8). Per contro altre disposizioni impiegano la locuzione interessi collettivi per indicare gli interessi di un insieme di soggetti indefinito: ad esempio, l’art. 1 della l. 30 luglio 1998, n. 281, ove fa riferimento a « i diritti e gli interessi individuali e collettivi dei consumatori e degli utenti », e gli art. 139 e 140 c. cons., che fanno entrambi riferimento agli « interessi collettivi dei consumatori e degli utenti », nonostante che queste due categorie di soggetti siano prive di confini precisi, e tendenzialmente coincidenti con l’intera collettività. Per solito incertezze lessicali di questo genere riflettono difficoltà di sistemazione della materia, delle quali si dice in appresso: è però opportuno anticipare che in queste pagine si utilizza preferibilmente l’espressione interessi diffusi, dato che, come si vedrà, per quanto qui interessa si può revocare in dubbio che la nozione di interessi collettivi abbia effettiva consistenza. 2. Individualismo e diritto amministrativo. — Gli interessi in parola rappresentano una deviazione — quanto ampia lo si vedrà in seguito — rispetto agli assetti consueti sulle posizioni giuridiche soggettive, e sulla loro tutela giurisdizionale: ossia ad assetti squisitamente individualistici, i quali a loro volta si ricollegavano ai caratteri propri dello Stato liberale ottocentesco, in cui, se(7) CUDIA, Gli interessi plurisoggettivi tra diritto e processo amministrativo, Rimini, 2012. (8) CERULLI IRELLI, Lineamenti del diritto amministrativo, Torino, 2010, 341 ss. 514 condo la definizione di Orlando, l’individuo era l’unica « monade costitutiva » (9). A questa stregua venivano considerate meritevoli di tutela, e giuridicamente rilevanti, solo le posizioni individuali, mentre tutto quanto non apparteneva in via esclusiva all’individuo era consegnato all’irrilevanza (10). Gli interessi non strettamente individuali, in quanto diffusi in settori più o meno ampi della società, erano dunque destinati a ricevere una tutela meramente oggettiva quando assumevano la veste di interessi pubblici e venivano affidati alle cure di questa o di quella branca del potere esecutivo e/o della pubblica amministrazione, oppure a restare giuridicamente irrilevanti (o, se si preferisce, a costituire null’altro che interessi semplici) (11). Per questo aspetto gli assetti del diritto amministrativo in nuce non erano dissimili da quelli del diritto civile. Vero è che sulle pagine di questa Enciclopedia è stato acutamente rilevato che per spiegare la scarna formula che dall’art. 24 della l. 31 marzo 1889, n. 5992 era transitata nell’art. 26 t.u. Cons. St., secondo la quale il Consiglio di Stato decide sui ricorsi che abbiano per oggetto « un interesse d’individui e di enti morali giuridici », ci si era sempre trovati a oscillare tra due poli: da un lato, il diritto soggettivo, e, dall’altro lato, l’azione po(9) ORLANDO, Del fondamento giuridico della rappresentanza politica, ora in ID., Diritto pubblico generale. Scritti vari. 1881-1940, Milano, 1940, 422. Questa correlazione viene rilevata tra i primi da ROMANO Alb., Il giudice amministrativo di fronte al problema della tutela degli interessi c.d. diffusi, in Foro it., 1978, I, 12. In proposito v., da ultimo, DONZELLI, op. cit., 1 ss. Peraltro è ampiamente noto che nello Stato liberale le associazioni originariamente erano addirittura vietate, mercé la ben nota legge Le Chapelier (14 giugno 1791) e i testi normativi che ne avevano ripreso i contenuti nei diversi Stati dell’Europa continentale: v., sul punto, BOBBIO, Libertà fondamentali e formazioni sociali. Introduzione storica, in Pol. dir., 1975, 431 ss., e RIDOLA, Democrazia pluralistica e libertà associative, Milano, 1987, specialmente 18 ss. Sugli assetti dello Stato liberale in Italia v., in generale, ALLEGRETTI, Profilo di storia costituzionale italiana. Individualismo e assolutismo nello Stato liberale, Bologna, 1989. (10) Cfr. CERRI, Interessi diffusi, interessi comuni. Azione e difesa, in Dir. soc., 1979, 83 ss. (11) Cfr. ALPA, op. cit., 611, e BIANCA, Note sugli interessi diffusi, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi a cura di LANFRANCHI, Torino, 2003, 67 ss. Sul rapporto tra interessi diffusi e interessi pubblici nella letteratura recente cfr. anche DELSIGNORE, La legittimazione delle associazioni ambientali nel giudizio amministrativo: spunti per una comparazione con lo standing a tutela di environmental interests nella judicial review statunitense, in Dir. proc. amm., 2013, 734 ss. Interessi diffusi e collettivi polare (12), e dunque tra una concezione soggettiva e una concezione oggettiva del processo amministrativo. È noto infatti che in origine una consistente corrente di pensiero sosteneva che quella del Consiglio di Stato dovesse essere una giurisdizione oggettiva, intesa eminentemente a restaurare la legalità violata piuttosto che a tutelare gli interessi dei singoli cittadini, e che concezioni oggettive del processo amministrativo sono riemerse anche in seguito: ad esempio, tramite tesi secondo cui nel giudizio amministrativo gli interessi privati sarebbero solo occasionalmente protetti (13). Né va dimenticato che nella dottrina pubblicistica di inizio Novecento vi fu anche un precoce interessamento per la tematica degli interessi collettivi, tramite lo studio di Bonaudi degli anni Dieci sulla tutela di questi interessi avanti la giustizia amministrativa (14), che peraltro anticipava alcune questioni che sarebbero divenute partico(12) CANNADA BARTOLI, Interesse (diritto amministrativo), in questa Enciclopedia, XXII, 1972, 1 ss. (13) In proposito v., riassuntivamente, SCOCA, Contributo sulla figura dell’interesse legittimo, Milano, 1990, 9 ss., e SORDI, Interesse legittimo, in questa Enciclopedia, Annali, II, t. 2, 2008, 709 ss., nonché ID., Giustizia e amministrazione nell’Italia liberale. La formazione della nozione di interesse legittimo, Milano, 1985. La periodica riemersione di concezioni oggettive del processo amministrativo ovviamente si ricollega al peculiare ruolo che viene giocato dall’interesse pubblico in questo giudizio, e sinanco nella ricostruzione dell’interesse legittimo: cfr., di recente, ROMANO TASSONE, Situazioni giuridiche soggettive (diritto amministrativo), in questa Enciclopedia, Aggiornamento, II, 1998, 966 ss., TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2013, 53 ss., e, criticamente, RENNA, Giusto processo ed effettività della tutela in un cinquantennio di giurisprudenza costituzionale sulla giustizia amministrativa: la disciplina del processo amministrativo tra autonomia e “civilizzazione”, in Diritto amministrativo e Corte costituzionale a cura di DELLA CANANEA e DUGATO, Napoli, 2006, 505 ss. (14) BONAUDI, La tutela degli interessi collettivi, Torino, 1911. Nei primi decenni del Novecento la nozione di interesse collettivo venne però impiegata soprattutto dalla dottrina civilistica per inquadrare il ruolo di rappresentanza degli interessi dei lavoratori assunto dai sindacati nella contrattazione collettiva e nelle controversie avanti la magistratura probivirale: cfr. TARZIA, Le associazioni di categoria nei processi civili con rilevanza collettiva, in Riv. dir. proc., 1987, 774 ss., e DONZELLI, op. cit., 28 ss. Costituzionalisti e amministrativisti per vero erano tutt’altro che indifferenti di fronte alla riemersione di pluralismo sociale che dopo l’eclisse ottocentesca si era verificata tramite la diffusione del sindacalismo, ma in genere preferivano occuparsene partendo da prospettive diverse, e seguendo altre linee di pensiero: ad esempio quelle di ispirazione istituzionalistica a cui si ricollegano le note opere sulla crisi dello Stato e sugli ordinamenti giuridici di ROMANO Santi, Lo Stato moderno e la sua crisi, in Riv. dir. pubbl., 1910, 87 ss., e ID., L’ordinamento giuridico, in Annali delle Università toscane, 1917 e 1918 (entrambe prime pubblicazioni); sugli scritti di ispirazione istituzionalistica di Santi Romano v., per tutti, CASSESE, Ipo- larmente attuali diversi decenni dopo: ad esempio, laddove criticava la giurisprudenza del Consiglio di Stato che negava che le associazioni di imprenditori e di professionisti fossero legittimate a ricorrere per tutelare gli interessi dei membri delle categorie di riferimento in base all’assunto della mancanza di un’adeguata fonte di rappresentanza legale o volontaria di questi soggetti, e proponeva di introdurre nel nostro ordinamento i principi che erano stati affermati in proposito dalla giurisprudenza francese, « per cui l’azione collettiva deve essere consentita sotto forma di ricorso contro gli atti amministrativi che ledono l’esercizio normale di una professione, ossia, generalizzando il principio, contro tutti gli atti che, mentre ledono una norma di diritto obiettivo, ledono ad un tempo gli interessi di una collettività di persone » (15); oppure ove esprimeva, seppure in forma ipotetica, la preoccupazione « che dall’insufficienza della difesa del singolo non si vada per avventura incontro alla tirannia dei gruppi e delle organizzazioni » (16). Nondimeno sino agli anni Sessanta del Novecento la giurisprudenza amministrativa sembrava orientata a ricostruire l’interesse legittimo secondo schemi individualistici al pari del diritto soggettivo, e dunque a intenderlo come una posizione giuridica qualificata, differenziata e personale: un’autorevole dottrina osservava in proposito che « il concetto che sembra dominare l’atteggiamento giurisprudenziale è quello per cui il giudizio amministrativo è costruito nel nostro ordinamento come strumento di tutela degli interessi dei singoli; e, ciò che più conta ai nostri fini, l’interesse dei singoli è qualcosa di irrimediabilmente diverso dall’interesse collettivo, e, pertanto, agli effetti della invocabilità della tutela processuale, ad esso si contrappone » (17). tesi sulla formazione de “L’ordinamento giuridico” di Santi Romano, in ID., La formazione dello Stato amministrativo, Milano, 1974, 20 ss., e gli studi pubblicati in Le dottrine giuridiche di oggi e l’insegnamento di Santi Romano a cura di BISCARETTI DI RUFFIA, Milano, 1977. (15) BONAUDI, op. cit., 176. (16) BONAUDI, op. cit., 175. (17) SCOCA, La tutela degli interessi collettivi nel processo amministrativo, in Le azioni a tutela di interessi collettivi, cit., 46. Peraltro la ricostruzione dell’interesse legittimo secondo schemi individualistici da parte della giurisprudenza non comportava una sua piena equiparazione al diritto soggettivo: basti ricordare che la risarcibilità della prima posizione sarebbe stata ammessa solo in seguito alla notoria sentenza di Cass., sez. un., 22 luglio 1999, n. 500. 515 Interessi diffusi e collettivi 3. Il dibattito sugli interessi diffusi degli anni Settanta del Novecento. Legge Royer e class action. L’alternativa tra mutamento del processo e mutamento degli interessi diffusi. — Perché gli assetti consueti sulle posizioni soggettive vengano messi seriamente in discussione occorre attendere gli anni Settanta del Novecento, quando appunto inizia un intenso dibattito sulla possibilità di tutelare in via giurisdizionale gli interessi diffusi (18). In questo dibattito l’esigenza di garantire gli interessi in discorso spesso viene ricollegata a questo o a quel principio costituzionale: di volta in volta vengono enunciati auspici per il riconoscimento dei « nuovi diritti » (19), intenti di valorizzazione del pluralismo sociale, ove gli interessi in discorso vengono considerati « interessi sociali [...] che non sono di nessun individuo a titolo esclusivo, ma sono di tutti gli individui a titolo sociale », destinati a dislocarsi in capo alle formazioni sociali (20), e soprattutto aspirazioni a una più compiuta attuazione del principio democratico, ove si ritiene che, tutelando gli interessi in parola, si possa realizzare la partecipazione popolare alla funzione giurisdizionale (21). Ma probabilmente la principale ragione dell’interessamento per questa tematica è rappresentata dalla crisi della rappresentanza politica che si andava registrando in quegli anni: per tacer d’altro perché l’aspirazione a una maggiore democraticità di per sé sola avrebbe potuto essere soddisfatta altrimenti, e, in particolare, tramite la partecipazione all’esercizio della funzione amministrativa (18) Testimoniato tra l’altro dagli Atti dei Convegni citati supra, nt. 3. (19) Cfr. RODOTÀ, Le azioni civilistiche, in Le azioni a tutela di interessi collettivi, cit., 81 ss., e BERTI, Interessi senza struttura (i c.d. interessi diffusi), in Studi in onore di Antonio Amorth, I, Milano, 1982, 79. (20) BERTI, op. cit., passim. (21) V., tra gli altri, DENTI, Relazione introduttiva, in Le azioni a tutela degli interessi collettivi, cit., 3 ss., VIGORITI, Interessi collettivi e processo. La legittimazione ad agire, Milano, 1979, 3 ss., FEDERICI, Gli interessi diffusi. Il problema della loro tutela nel diritto amministrativo, Padova, 1984, 22 ss. Nella letteratura recente cenni sui precedenti storici di esercizio popolare della funzione giurisdizionale si leggono in ROSANVALLON, Controdemocrazia. La politica nell’era della sfiducia, Roma, 2012, 133 ss. Su altri fattori che hanno contribuito all’inizio del dibattito di cui si dice nel testo v. FEDERICI, op. cit., 93 ss. Peraltro anche negli ultimi tempi non mancano autori che trovano nuove ragioni di interesse per la tematica degli interessi diffusi: ad esempio, LOMBARDI, La tutela delle posizioni giuridiche meta-individuali nel processo amministrativo, cit., passim, fa riferimento all’esigenza di attuare il principio di precauzione, e DURET, Riflessioni sulla legitimatio ad causam in materia ambientale tra partecipazione e sussidiarietà, in Dir. proc. amm., 2008, 688 ss., richiama il principio di sussidiarietà. 516 per la quale proprio in questo periodo si stavano aprendo spazi di rilievo (22). Senza tale crisi infatti non si sarebbe ritenuto così impellente apprestare per gli interessi diffusi forme di tutela ulteriori rispetto a quelle che essi possono ricevere sub specie di interessi pubblici da parte delle istituzioni rappresentative, e da parte della pubblica amministrazione che da queste istituzioni dipende, e dunque non si sarebbe avuta « la spinta sempre più forte, da parte di quelle che sono state definite le “minoranze deboli” e le “maggioranze diffuse”, a tentare la via giudiziale per aprirsi forme di partecipazione ai processi decisionali, a loro negate nelle sedi politiche e amministrative » (23). Nel senso della tutela giurisdizionale degli interessi diffusi parevano poi essersi indirizzati anche gli ordinamenti di diversi Paesi occidentali, seguendo almeno due schemi principali (24). Il primo era quello, adottato in molti Paesi dell’Europa continentale, delle azioni delle associazioni dei consumatori agréées previste dall’art. 46 della francese legge Royer del 1973 (l. 27 dicembre 1973, n. 73-1193), che attribuisce la legittimazione ad agire al fine di tutelare gli interessi di una categoria alle associazioni riconosciute come rappresentative della categoria medesima dalle pubbliche autorità (25). Il secondo era quello della class action prevista nell’ordinamento statunitense con la Rule 23 delle Federal Rules of Civil Procedure del 1938 (entrate in vigore il 16 settembre 1938), che invece riconosce la legittimazione ad agire ai singoli componenti della categoria sociale interessata, pur prevedendo (22) Cfr. BENVENUTI, Introduzione, in La procedura amministrativa a cura di PASTORI, Vicenza, 1964, 539 ss., CHITI, Partecipazione popolare e pubblica amministrazione, Pisa, 1977. (23) DENTI, Interessi diffusi, in Nss. D.I., Appendice, IV, 1983, 307. Sul punto v. anche FERRARA, in Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa a cura di ROMANO Alb., Padova, 1992, sub art. 26 t.u. Cons. St., 327, che parla de « la spinta di fenomeni in larghissima misura pregiuridici o metagiuridici », BERTI, Diritto e Stato. Riflessioni sul cambiamento, Padova, 1986, 435 ss., VIGORITI, lc. cit. Sulla sfiducia per le istituzioni rappresentative che caratterizza questo periodo v., nella letteratura recente, la ricostruzione di MÜLLER, L’enigma democrazia. Le idee politiche nell’Europa del Novecento, Torino, 2012, 242 ss. (24) Cfr. DENTI, Relazione introduttiva, cit., 3 ss., nonché, riguardo agli spunti che venivano dal diritto comparato, gli scritti pubblicati in La tutela degli interessi diffusi nel diritto comparato a cura di GAMBARO, cit. (25) Cfr. FERRARA, Contributo allo studio della tutela del consumatore. Profili pubblicistici, Milano, 1983, 102 ss., e TARUFFO, Modelli di tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi a cura di LANFRANCHI, cit., 53 ss. Interessi diffusi e collettivi meccanismi di estensione degli effetti della decisione a tutti i componenti della categoria (26). Peraltro alcuni settori della dottrina ritenevano che anche nel nostro Paese diversi dati normativi e giurisprudenziali andassero già nel senso del superamento degli assetti individualistici. Per vero all’inizio del decennio la giurisprudenza non era sembrata particolarmente propensa ad ammettere la configurabilità degli interessi in parola: in particolare nella giurisprudenza del Consiglio di Stato si ribadiva che sindacati e associazioni di categoria sono privi di legittimazione a ricorrere per gli interessi degli associati, data la mancata attuazione legislativa dell’art. 39 della Costituzione (27), oppure si affermava che « l’interesse comune a una “categoria” di soggetti, in quanto tale, e cioè in quanto imputabile ad una pluralità di soggetti caratterizzati da un comune denominatore, non è ancora, pur essendo un interesse più specifico di quello della generalità, l’interesse legittimo » (28). Ma nel senso dell’affermazione di sistemi di tutela non individualistici venivano letti l’art. 28 dello statuto dei lavoratori (l. 20 maggio 1970, n. 300), che aveva introdotto l’azione degli « organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse » per la repressione della condotta antisindacale, e la notissima decisione della V sezione del Consiglio di Stato n. 253 del 1973 (29), che in capo all’associazione « Italia nostra » aveva riconosciuto la legittimazione a ricorrere nei confronti dei provvedimenti lesivi delle bellezze naturali, ritenendo che le finalità statutarie valessero a porla « in posizione differenziata rispetto al comune cittadino, il quale non può vantare alcun titolo, fuor della appartenenza alla comunità nazionale, ad agire per la tutela di un interesse pubblico diffuso ». In questo senso veniva interpretata pure l’altrettanto nota decisione della stessa sezione n. 523 del 1970 (30), la quale aveva sì negato (in modo abbastanza sorprendente) che il comma 9 dell’art. (26) Cfr. TARUFFO, op. cit., e, amplius, GIUSSANI, Azione di classe, in questa Enciclopedia, Annali, VII, supra, cui si rinvia anche per richiami all’ormai amplissima dottrina italiana e straniera che si è occupata dell’argomento. (27) Cons. St., sez. IV, 15 maggio 1970, n. 345, in Foro it., 1970, III, 278; in questi termini anche Cons. St., sez. IV, 29 febbraio 1972, n. 108, ivi, 1972, III, 113. (28) Cons. St., sez. VI, 14 luglio 1972, n. 475, in Foro it., 1972, III, 269, con nota di ROMANO Alb., Interessi “individuali” e tutela giurisdizionale amministrativa. (29) Cons. St., sez. V, 9 marzo 1973, n. 253, in Foro it., 1974, III, 33, con osservazioni di ROMANO Alb. e nota di ZANUTTIGH, “Italia nostra” di fronte al Consiglio di Stato. (30) Cons. St., sez. V, 9 giugno 1970, n. 523, in Giur. it., 10 della legge ponte 6 agosto 1967, n. 765 — « chiunque può prendere visione presso gli uffici comunali, della licenza edilizia e dei relativi atti di progetto e ricorrere contro il rilascio della licenza edilizia » — avesse introdotto una nuova forma di azione popolare in materia edilizia, ma al contempo aveva affermato che avverso gli atti di assenso edilizi sono legittimati a ricorrere non solo i proprietari degli immobili insistenti in loco, ma anche « chi sia in una stabile relazione col luogo »: sicché si riteneva che avesse preso in considerazione « la lesione [...] di un interesse che è pur sempre differenziato, anche se non è personale » (31). Diversi autori avanzavano dunque proposte di riforma legislativa, oppure di reinterpretazione degli istituti di diritto sostanziale e processuale già esistenti « in funzione “progressista” » (32), al fine di ampliare gli spazi di tutela degli interessi in parola. In realtà in via generale i consueti assetti individualistici sulle posizioni giuridiche soggettive e sulla loro tutela continuavano a rappresentare un contesto logicamente incompatibile con queste proposte di rilettura degli istituti esistenti, dato che gli interessi diffusi per loro natura sono non personali e non differenziati: secondo una nota formula dottrinale essi sono interessi « adespoti, cioè privi di un loro “portatore” » (33), e secondo un’altra costituiscono « soltanto un’entità oggettiva » (34). A fronte di questa incompatibilità tra gli interessi in parola e le sistemazioni consuete del diritto sostanziale e processuale due erano le soluzioni astrattamente percorribili al fine di apprestare la tutela giurisdizionale auspicata. In sintesi, la prima portava a mutare gli assetti consueti delle posizioni soggettive e/o del pro1970, III, 193, con nota di GUICCIARDI, La decisione del “chiunque”. (31) DENTI, Relazione introduttiva, cit., 14. Dalla lettera della legge la dottrina aveva univocamente desunto l’introduzione di un’azione popolare: v., ad esempio, SANDULLI A.M., L’azione popolare contro le licenze edilizie, in Riv. giur. ed., 1968, II, 3 ss., e SPAGNULO VIGORITA, Interesse pubblico e azione popolare nella “legge ponte” per l’urbanistica, ivi, 1967, II, 387 ss. (32) L’espressione viene impiegata da RODOTÀ, Le azioni civilistiche, cit., 83, anche se in questo stesso scritto l’autore non manca di evidenziare pure i rischi insiti nelle operazioni di « uso alternativo » del diritto. (33) GIANNINI, Diritto amministrativo, I, Milano, 1993, 113. (34) NIGRO, Le due facce dell’interesse diffuso: ambiguità di una formula e mediazioni della giurisprudenza, in ID., Scritti giuridici, II, Milano, 1996, 1862. 517 Interessi diffusi e collettivi cesso, mentre la seconda conduceva a mutare la natura degli interessi diffusi (35). Andava nel primo senso chi voleva configurare (o riconfigurare) il processo amministrativo in senso oggettivo: ad esempio proponendo di « sganciare la giurisdizione amministrativa dalla tutela dell’interesse legittimo come situazione giuridica soggettiva a carattere sostanziale. Tale giurisdizione verrebbe così configurata come avente ad oggetto la mera legittimità del provvedimento impugnato. L’interesse individuale rimarrebbe pur sempre come un dato ineliminabile del processo in quanto tale, però sarebbe presente non più in termini di una situazione giuridica soggettiva a carattere sostanziale, ma solo come una entità di fatto; e non più come oggetto della tutela giurisdizionale, ma solo come presupposto per chiedere il sindacato sulla legittimità del provvedimento impugnato. In tal modo, la tutelabilità degli interessi c.d. diffusi sarebbe chiaramente ampliata: perché l’interesse individuale di fatto configurato solo come presupposto del ricorso potrebbe non essere connesso con la norma che si assume sia stata violata dal provvedimento impugnato; e più facilmente potrebbe essere rintracciato anche in quelle ipotesi nelle quali l’elemento individualistico tende a sbiadirsi per la sua generalizzazione » (36). Nel secondo senso invece chi individuava sistemi di differenziazione di ciò che di per sé sarebbe indifferenziato, atti a selezionare e a discernere una parte degli interessi diffusi al fine di renderli giuridicamente rilevanti, e dunque per assimilarli agli interessi legittimi (37), in particolare tramite l’intervento nel procedimento amministrativo di aggregazioni sociali portatrici di interessi sovraindividuali: « l’introduzione e la difesa di questi interessi nel procedimento richiede un minimo di formalizzazione che ne investe l’aspetto soggettivo: si richiede che il loro portatore sia una (35) Cfr. ROMANO Alb., Intervento, in Le azioni a tutela degli interessi collettivi, cit., 288 ss., e FERRARA, Interessi collettivi e diffusi, cit., passim. (36) ROMANO Alb., Il giudice amministrativo di fronte al problema della tutela degli interessi c.d. diffusi, cit., 10: qui peraltro l’autore svolge considerazioni già esposte in ID., Intervento, cit., e in ID., Giurisdizione amministrativa e limiti della giurisdizione ordinaria, Milano, 1975, 379 ss. Da segnalare che non mancava chi, come VIGNOCCHI, Il problema della tutela degli interessi diffusi nel quadro di enti, raggruppamenti e ordinamenti a sfondo economico, in Rilevanza e tutela degli interessi diffusi, cit., specialmente 221, temeva che a questa stregua il processo sarebbe stato snaturato, e si sarebbe assimilato ai controlli amministrativi. (37) V., sul punto, FERRARA, op. ult. cit., SCOCA, La tutela degli interessi collettivi nel processo amministrativo, cit., passim. 518 figura soggettiva ammessa nell’ordinamento come portatore di interessi non solamente individuali, quindi un organo di un ente pubblico con legittimazione propria, un ente pubblico, un ente privato, un’associazione senza personalità » (38). A questa stregua emergevano come possibili modalità di differenziazione sia il procedimento amministrativo, sia l’individuazione di aggregazioni portatrici degli interessi in parola, ossia, secondo una nota opinione, la « mutazione genetica » degli interessi diffusi in interessi collettivi (39). 4. Gli orientamenti della giurisprudenza: legittimazione delle associazioni e interessi seriali. — Nella seconda metà degli anni Settanta alcuni degli spunti che vengono da questo dibattito sono raccolti e rielaborati dalla giurisprudenza civile e amministrativa. Innanzitutto viene superata ogni perplessità sulla legittimazione dei sindacati e delle associazioni di categoria a ricorrere a favore dei membri della categoria di riferimento: la VI sezione del Consiglio di Stato, in una decisione del 1978 (40), accomuna questi organismi agli ordini professionali, affermando che « la legittimazione processuale delle associazioni di categoria per la tutela degli interessi collettivi si ricollega alla espressa garanzia costituzionale (art. 2) dei fondamentali diritti “dell’uomo” nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità ». Sempre la medesima sezione in una decisione del 1979 (41) afferma che « è [...] possibile ritenere che, se l’interesse è visto dall’ordinamento come proprio di un gruppo, tale interesse evidenzi bensì anche quello del singolo componente, ma al tempo stesso lo trascenda nel senso che venga ad acquistare un valore superindividuale e quindi tipico proprio della collettività », sicché « l’interesse collettivo, differenziato e qualificato dall’ordinamento, può dirsi proprio e personale anche della organizzazione che il gruppo si è venuto a dare e non varrebbe a escludere questa legittima(38) GIANNINI, La tutela degli interessi collettivi nei procedimenti amministrativi, in Le azioni a tutela degli interessi collettivi, cit., 33. V. in questo senso anche BERTI, Interessi senza struttura, cit., passim, CAIANIELLO, Introduzione al tema del convegno, in Rilevanza e tutela degli interessi diffusi, cit., 19 ss., e VIGNOCCHI, op. cit., passim. (39) NIGRO, op. cit., 1863. (40) Cons. St., sez. VI, 10 novembre 1978, n. 1187, in Foro amm., 1978, II, 2265. (41) Cons. St., sez. VI, 18 maggio 1979, n. 378, cit. supra, nt. 3. Su questo orientamento della giurisprudenza amministrativa v. CRESTI, Contributo allo studio della tutela degli interessi diffusi, Milano, 1992, 55 ss. Interessi diffusi e collettivi zione la dizione dell’art. 26 t.u. n. 1054/1924, laddove concede la legittimazione a sole persone fisiche o giuridiche », dato che « la contraria affermazione porterebbe a negare all’ordinamento la possibilità di far sorgere interessi legittimi diversi da quelli individuali, il che contrasta con l’attuale atteggiamento ed evoluzione del sistema positivo ». A risultati analoghi si giunge anche per una diversa tipologia di interessi diffusi in due pronunzie che costituiscono il prosieguo della vicenda della legittimazione a ricorrere di « Italia nostra », che era già stata oggetto della citata decisione n. 253 del 1973 (42). La suddetta decisione viene annullata dalle sezioni unite della Cassazione con la sentenza n. 2207 del 1978 (43) per difetto assoluto di giurisdizione, in base all’assunto che nella specie l’associazione ricorrente non fosse titolare di nessuna posizione soggettiva. Questa sentenza evidenzia che nel nostro ordinamento non sarebbe possibile accordare tutela giurisdizionale a tutti indistintamente gli interessi siffatti, sia perché la « essenza individuale e non collettiva » dell’interesse legittimo « è [...] nell’ordinamento, e deve essere stata ripresa dalla Costituzione (art. 24, 103 e 113) nella concezione allora prevalente e tuttora perdurante », sia perché « i valori tutelati, cui fanno capo gli interessi diffusi, si presentano sovente in potenziale contrasto » (44), il che implica la necessità di « operare una scelta discrezionale che spetta normalmente alla pubblica amministrazione o al potere politico ». Sicché respinge le prospettive di rilettura del processo amministrativo in termini oggettivi: ma al contempo rileva che, « partendo dall’interesse le(42) Cons. St., sez. V, 9 marzo 1973, n. 253, cit. supra, nt. 29. A ben vedere a entrambe si attaglia la definizione di sentenze “dottrinarie” che ZANUTTIGH, “Italia nostra” di fronte alla Corte di Cassazione, in Foro it., 1979, I, 167 ss., impiega per la prima, pur criticandone accesamente i contenuti. Sulle vicende giudiziarie della legittimazione a ricorrere di « Italia nostra » durante gli anni Settanta v. CRESTI, op. cit., 63 ss., e CHIAPPETTA, La tutela giurisdizionale degli interessi diffusi, in Le grandi decisioni del Consiglio di Stato a cura di PASQUINI e SANDULLI A., Milano, 2001, 412 ss. (43) Cass., sez. un., 8 maggio 1978, n. 2207, in Foro it., 1978, I, 1098. (44) In proposito la Corte fa una serie di esempi, che in parte rimangono ancora attuali: « si pensi ai conflitti di carattere sociale ed economico nell’ambito interno del lavoro, o a quelli fra produzione, commercio, consumo, risparmio e lavoro, ai conflitti, talora drammatici, fra situazioni concernenti salute e lavoro, produzione e inquinamento, e infine agli altri fra tutela del paesaggio (nel senso non solo estetico-romantico, ma di rapporto uomo-ambiente), turismo, difesa nazionale e viabilità [...] »: Cass., sez. un., 8 maggio 1978, n. 2207, cit. gittimo nella sua accezione tradizionale », risulta possibile « una individuazione eventuale nel portatore dell’interesse diffuso di una posizione differenziata che renda l’interesse legittimo », e che, per quanto riguarda gli enti esponenziali di collettività, questa « individuazione » è ammissibile in capo agli enti che possono partecipare a un procedimento amministrativo in forza di una specifica norma di legge, ed è stata talora ravvisata in « interessi diffusi concernenti situazioni particolari e comunque collettività o gruppi ben limitati e distinti dalla generalità dei cittadini » (45). A questa stregua la Cassazione accredita dunque la differenziazione e la giuridicizzazione degli interessi diffusi tramite l’individuazione di aggregazioni portatrici degli interessi in parola. Alle stesse conclusioni della Cassazione sulla carenza di legittimazione di « Italia nostra » giunge di lì a poco (in ordine a un altro ricorso presentato dall’associazione) anche l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nella decisione n. 24 del 1979 (46). Le argomentazioni del Consiglio di Stato sono in parte diverse da quelle della Cassazione: in questa decisione infatti si afferma che interessi diffusi « non sono, o almeno non sono soltanto, quelli appartenenti alla collettività, e, quindi, ai componenti di questa in quanto tali considerati », ma anche « gli interessi caratterizzati dalla simultaneità del loro riferimento soggettivo a tutti o parte dei componenti di una data collettività, individualmente considerati, riguardo al medesimo bene ». Il che dà ingresso a una considerazione del ruolo degli enti esponenziali diversa da quella delle sezioni unite: « il fatto che tale interesse, pur senza affatto perdere il carattere della individualità, inerisca però simultaneamente a tutti o a parte dei componenti di una collettività, non soltanto rende possibile, ma evidentemente agevola, ed anzi incoraggia siffatti fenomeni di aggregazione », anche perché l’art. 2 cost. contiene « la enunciazione costituzionale della garanzia dei diritti dell’uomo, non più soltanto come singolo ma inserito altresì nella formazione sociale in cui “si svolge” la sua personalità [che] sembra destinata ad assumere senso compiuto soltanto se intesa pure come affermazione della possibilità di accesso, anche (45) In base a queste premesse Cass., sez. un., 8 maggio 1978, n. 2207, cit., giunge a negare la legittimazione a ricorrere di « Italia nostra », ritenendo che l’associazione non rappresenti nessuna categoria di questo genere. (46) Cons. St., ad. plen., 19 ottobre 1979, n. 24, in Foro it., 1980, III, 1. 519 Interessi diffusi e collettivi della formazione sociale e non del singolo individuo, alla tutela giurisdizionale, che di quella garanzia è evidentemente lo strumento più efficace ». L’adunanza plenaria giunge così ad affermare « la configurabilità, nella materia in esame, di interessi legittimi facenti capo a siffatte forme di aggregazione, specie quando queste, in conformità alla funzione loro assegnata appunto dall’art. 2, si dispongano come momento organizzatorio degli interessi dei singoli associati » (47). E così gli stessi concetti che erano stati esposti nella decisione del 1970 della V sezione sulla legittimazione che si collega all’insediamento in un determinato luogo, ossia sulla cosiddetta vicinitas (48), portano a riconoscere l’esistenza degli interessi legittimi seriali, ossia degli interessi di identico contenuto che appartengono a una pluralità di soggetti che si trova nella stessa situazione (49). Mentre il richiamo ai principi personalistico e pluralistico porta ad ammettere che i titolari di questi interessi possono esercitarli anche aggregandosi in formazioni sociali diverse dai sindacati e dalle associazioni di categoria. A questa stregua la giurisprudenza perviene a differenziare e tutelare gli interessi diffusi procedendo al contempo lungo due diverse direttrici. La prima è quella dell’individuazione dei casi in cui un’aggregazione sociale può agire per tutelare gli interessi della categoria di riferimento; la seconda è invece quella dell’estensione, o dell’ampliamento, della nozione di interesse legittimo sino a ricomprendervi anche gli interessi seriali. In sostanza, quelle che in dottrina sono state definite rispettivamente come la variante giuri(47) Cons. St., ad. plen., 19 ottobre 1979, n. 24, cit., perviene a dichiarare inammissibile il ricorso di « Italia nostra » perché la ritiene portatrice di un interesse ai beni paesaggistici non localizzato in un particolare ambiente naturale. (48) Cons. St., sez. V, 9 giugno 1970, n. 523, cit. supra, nt. 30, su cui v. FERRARA, op. ult. cit. (49) Cfr. NIGRO, Le due facce dell’interesse diffuso, cit., 1874 ss., che peraltro ricorda che nello stesso senso era orientata pure la Cassazione (v., ad esempio, Cass., sez. un., 9 marzo 1979, n. 1463, in Foro it., 1979, I, 939), e SCOCA, Interessi protetti (dir. amm.), in Enc. giur., XVII, 1989, 13. I contenuti di questa decisione peraltro vengono criticati da BERTI, La legge tutela un interesse diffuso, ma il giudice ne ricava un interesse individuale, in Le Regioni, 1980, 734 ss., ove appunto rileva che a questa stregua l’interesse diffuso viene trasformato in un interesse individuale, dato che l’autore riafferma l’opinione espressa in ID., Interessi senza struttura, cit., sulla natura eminentemente sociale degli interessi diffusi. Per ovvie ragioni qui non ci può occupare degli orientamenti della giurisprudenza civile in tema di interessi diffusi, per cui in proposito si rinvia a TROCKER, Interessi collettivi e diffusi, in Enc. giur., XVII, 1989. 520 sprudenziale del modello oggettivo e il modello soggettivo di tutela degli interessi diffusi (50). Accanto a quelli di cui s’è appena detto vi sono anche orientamenti giurisprudenziali di segno diverso: ad esempio quelli che finiscono per ricondurre gli interessi diffusi nell’alveo degli interessi pubblici. In tal senso va la giurisprudenza contabile, la quale, a partire almeno da una sentenza del 1982 della I sezione della Corte dei conti (51), sostiene che « l’interesse collettivo, come interesse della collettività nazionale, è per ciò stesso interesse pubblico, al quale è per definizione preposta la pubblica amministrazione » (52), e così perviene ad ampliare la nozione di danno erariale, e dunque lo stesso ambito della giurisdizione contabile. E in senso analogo in definitiva va anche la giurisprudenza amministrativa quando ritiene che gli enti territoriali, siccome esponenziali della collettività di riferimento, sono legittimati a ricorrere per tutelare gli interessi diffusi radicati sul proprio territorio (53). In proposito è stato però puntualmente osservato che, quando si risolvono in interessi pubblici, gli interessi diffusi non « hanno ragione di essere presi in considerazione » (54): si potrebbe anzi aggiungere che in questa ipotesi essi non meritano neppure di essere considerati tali. 5. Gli orientamenti normativi: la legittimazione delle associazioni ambientaliste. — I contenuti del dibattito degli anni Settanta determinano, o comunque condizionano, anche gli orientamenti normativi dei decenni seguenti. In primo luogo, l’orientamento che va nel senso dell’introduzione di sistemi analoghi a quello della loi Royer, tramite i quali viene rico(50) NIGRO, op. cit., 1876. (51) C. conti, sez. I, 22 gennaio 1982, n. 10, in Riv. C. conti, 1982, I, 89. Critica gli orientamenti della Corte dei conti in materia, ritenendoli privi di adeguata base normativa, CARAVITA, Interessi diffusi e collettivi (problemi di tutela), in Dir. soc., 1982, 269 ss. (52) SCOCA, Contributo sulla figura dell’interesse legittimo, cit., 43. V., in proposito, anche ROTA, Gli interessi diffusi nell’azione della pubblica amministrazione, Milano, 1998, 58 s. (53) V., ad esempio, Cons. St., sez. V, 31 maggio 2012, n. 3254, in Foro amm. C.d.S., 2012, 1269, e Cons. St., sez. V, 14 aprile 2008, n. 1725, in Riv. giur. ed., 2008, 1157. Cfr., in arg., ANGIULI, Interessi collettivi e tutela giurisdizionale. Le azioni comunali e surrogatorie, Napoli, 1986, nonché CLINI e PERFETTI, Class action, legittimazione a ricorrere degli enti territoriali nella prospettiva dello statuto costituzionale del cittadino e delle autonomie locali, in Dir. proc. amm., 2011, 1443 ss. (54) SCOCA, op. ult. cit., 44. Interessi diffusi e collettivi nosciuta ex lege la legittimazione ad agire in capo ad aggregazioni sociali ritenute esponenziali di gruppi di portatori di interessi diffusi. Detto incidentalmente, il fatto che per tutelare gli interessi in parola il legislatore abbia preferito impiegare uno strumento ispirato a un istituto straniero, in luogo di quello che da sempre viene utilizzato nel nostro ordinamento per tutelare interessi diffusi nella collettività, ossia l’azione popolare (55), pare ascrivibile alla consonanza del modello della legge Royer con la variante giurisprudenziale del modello oggettivo, di cui s’è detto nel paragrafo precedente. Il legislatore interviene in primo luogo nel settore della tutela dell’ambiente, che era stato oggetto delle principali controversie giudiziarie di cui s’è appena detto. La l. 8 luglio 1986, n. 349, istitutiva del Ministero dell’ambiente, adotta dunque un sistema di agrément per risolvere il problema della legittimazione a ricorrere delle associazioni ambientaliste di rilievo nazionale, la quale, come s’è visto, era stata negata dall’adunanza plenaria. L’art. 13 della legge prevede che « le associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e quelle presenti in almeno cinque regioni sono individuate con decreto del Ministro dell’ambiente sulla base delle finalità programmatiche e dell’ordinamento interno democratico previsti dallo statuto, nonché della continuità dell’azione e della sua rilevanza esterna, previo parere del Consiglio nazionale per l’ambiente da esprimere entro novanta giorni dalla richiesta », e il comma 5 dell’art. 18 che « le associazioni individuate in base all’articolo 13 della presente legge possono intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi » (56). In seguito la legittimazione delle associazioni (55) Nonostante che l’impiego dell’azione popolare a tal fine fosse stato esaminato nel dibattito dottrinale degli anni Settanta: cfr., ad esempio, BIAGINI, L’azione popolare e la tutela degli interessi diffusi, in Rilevanza e tutela degli interessi diffusi, cit., 177 ss. Sulle azioni popolari v., per tutti, LUGO, Azione popolare (parte generale), in questa Enciclopedia, IV, 1959, 863 ss., MIGNONE, Azione popolare, in D. disc. pubbl., II, 1987, 149 ss., TIGANO, Le azioni popolari suppletive e correttive. Attualità di una distinzione, Torino, 2008. (56) V., per tutti, MANTINI, Associazioni ambientaliste e interessi diffusi nel procedimento amministrativo. Contributo allo studio della disciplina legale del procedimento amministrativo, Padova, 1990, e CARAVITA e ALIVERTI, Le forme di partecipazione nella tutela ambientale: le associazioni ambientaliste e i referendum locali, in Diritto dell’ambiente a cura di CARAVITA, Bologna, 2001, 330 ss., e la dottrina ivi citata. individuate ex lege n. 349, cit., viene estesa (o ribadita) da diverse leggi di settore. In particolare, dall’art. 13 della l. 6 dicembre 1991, n. 394, per cui le associazioni in parola sono legittimate a ricorrere avverso i nulla osta dell’Ente parco, dall’art. 17 della l. 15 maggio 1997, n. 127, secondo cui esse possono impugnare gli atti « di competenza delle regioni, delle province e dei comuni », dal comma 3 dell’art. 9 t.u. enti loc. (articolo che disciplina l’azione popolare negli enti locali), che prevedeva che « possono proporre le azioni risarcitorie di competenza del giudice ordinario che spettino al comune e alla provincia, conseguenti a danno ambientale. L’eventuale risarcimento è liquidato in favore dell’ente sostituito e le spese processuali sono liquidate in favore o a carico dell’associazione » (57). Quest’ultima disposizione è stata poi abrogata dal d. lg. 3 aprile 2006, n. 152, il cosiddetto codice dell’ambiente, che negli art. 309 e 310 ha però previsto che le associazioni in parola hanno poteri di denuncia dei danni ambientali e sono legittimate a ricorrere avverso i provvedimenti adottati in violazione delle norme in tema di danno ambientale, « nonché avverso il silenzio inadempimento del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e per il risarcimento del danno subito a causa del ritardo nell’attivazione, da parte del medesimo Ministro, delle misure di precauzione, di prevenzione o di contenimento del danno ambientale » (58). Tra le disposizioni di questo genere merita una considerazione a parte l’art. 146 c. beni cult., il quale prevede che l’autorizzazione paesaggistica è impugnabile dalle associazioni riconosciute ex lege n. 349 del 1986 (59), oltre che « da qualsiasi altro (57) In almeno un caso il legislatore ha poi fatto tout court riferimento alle associazioni ambientaliste, senza precisare se si tratti o meno solo di quelle riconosciute ex l. n. 349 del 1986: l’art. 14 della l. 28 dicembre 1993, n. 549, prevede una legittimazione in capo alle « associazioni di protezione ambientale » (oltre che alle associazioni di consumatori): v. AINIS, Questioni di “democrazia ambientale”: il ruolo delle associazioni ambientaliste, in Riv. giur. amb., 1995, 234 s. (58) Cfr. CROSETTI, FERRARA, FRACCHIA e OLIVETTI RASON, Diritto dell’ambiente, Roma-Bari, 2008, 164. (59) La giurisprudenza comunque ammetteva che le associazioni ambientaliste riconosciute sono legittimate a impugnare le autorizzazioni paesaggistiche anche a prescindere dalle norme del codice dei beni culturali (d. lg. 22 gennaio 2004, n. 42: c. beni cult.), in considerazione della « stretta connessione tra i valori ambientali e quelli paesaggistici, anche a livello della tutela costituzionale ad essi apprestata »: così Cons. St., sez. IV, 4 dicembre 2009, n. 7561, in Riv. giur. ed., 2010, I, 557. 521 Interessi diffusi e collettivi soggetto pubblico o privato che ne abbia interesse ». Il testo originario del comma 11 di questo articolo conteneva infatti quella che è stata definita « una strana previsione » (60): « il ricorso è deciso anche se, dopo la sua proposizione ovvero in grado di appello, il ricorrente dichiari di rinunciare o di non avervi più interesse. Le sentenze e le ordinanze del Tribunale amministrativo regionale possono essere impugnate da chi sia legittimato a ricorrere avverso l’autorizzazione paesaggistica, anche se non abbia proposto il ricorso di primo grado ». Parte della dottrina riteneva che tramite questa previsione fosse stata introdotta una ipotesi di giurisdizione oggettiva; e peraltro dubitava della sua costituzionalità sotto vari profili, in particolare assumendone la contrarietà al diritto di azione ex art. 24 e 113 cost., che, avendo come corollario il diritto di non agire, dovrebbe tutelare anche quello di disporre dell’azione intrapresa (61). È probabilmente a fronte delle perplessità della dottrina che il d. lg. 26 marzo 2008, n. 63 ha riscritto l’intero articolo, e delle norme di cui s’è detto ha mantenuto solo quella per cui le sentenze e le ordinanze dei tribunali amministrativi regionali possono essere impugnate dai soggetti legittimati a ricorrere avverso le autorizzazioni paesaggistiche anche se essi non hanno proposto il ricorso di primo grado. Va segnalato pure che in un primo tempo le disposizioni sulla legittimazione a ricorrere delle associazioni ambientaliste riconosciute avevano indotto la giurisprudenza prevalente a negare ogni legittimazione in capo alle aggregazioni sociali prive del riconoscimento ministeriale (62). Questo orientamento era stato però criticato (60) Così POLICE, Il giudice amministrativo e l’ambiente: giurisdizione oggettiva o soggettiva, in Ambiente, attività amministrativa e codificazione a cura di DE CAROLIS, FERRARI e POLICE, Milano, 2006, 298. (61) In questo senso, oltre a POLICE, op. cit., passim, SANDULLI M.A., Verso un processo amministrativo ‘oggettivo’ (nota a margine dell’art. 146, comma 11, del d. lgs. n. 42 del 2004), in Foro amm. T.A.R., 2004, 2423 ss., PARISIO, Beni culturali, paesaggio e giudice amministrativo, ivi, 3229 ss. Invece ANGIULI, in Commentario del Codice dei beni culturali e del paesaggio a cura di ANGIULI e CAPUTI JAMBRENGHI V., Torino, 2005, sub art. 146, 391 ss., ritiene che questa peculiare disposizione avesse la funzione di evitare impieghi strumentali della legittimazione a ricorrere. (62) Cfr., ad esempio, Cons. St., sez. VI, 16 luglio 1990, n. 728, in Foro amm., 1990, 1773; Cons. St., sez. V, 18 novembre 1997, n. 1325, in Giur. it., 1998, 798; e Cons. St., sez. VI, 5 dicembre 2002, n. 6657, in Foro amm. C.d.S., 2002, 3243. 522 da diversi autori (63), e in seguito è stato superato sulla base della condivisibile considerazione che la l. n. 349, cit., « contiene disposizioni non di carattere preclusivo, ma solo di carattere permissivo » (64). E così la giurisprudenza è tornata ad affermare che la legittimazione a ricorrere compete anche « agli organismi — comitati o associazioni — che si costituiscono al precipuo scopo di proteggere l’ambiente, la salute e/o la qualità della vita delle popolazioni residenti su tale circoscritto territorio e non intendano estendere il raggio della propria azione oltre la comunità e l’ambito territoriale ove si collocano e cui riferiscono i loro programmi e la propria attività » (65): in modo in definitiva coerente con i principi sanciti nella citata decisione del 1979 dell’adunanza plenaria (66), che aveva appunto affermato che in capo alle aggregazioni ambientaliste di rilievo locale una legittimazione siffatta si giustifica come proiezione della legittimazione dei singoli. 6. La legittimazione delle associazioni dei consumatori. — Un sistema analogo a quello appena visto è stato predisposto anche al fine di tutelare gli interessi dei consumatori tramite una serie di previsioni della l. n. 281 del 1998, che ora sono riprese nel codice del consumo. L’art. 137 c. cons. prevede l’istituzione presso (63) Cfr. CRESTI, Contributo allo studio della tutela degli interessi diffusi, cit., 70 ss., che richiama appunto Cons. St., ad. plen., 19 ottobre 1979, n. 24, cit. supra, nt. 46, e AINIS, op. cit., passim, che tra l’altro ricorda che negli anni Novanta era stato emanato almeno un testo normativo che prevede una forma di legittimazione ad agire in capo alle associazioni ambientaliste tout court, senza fare cenno al riconoscimento ex lege n. 349 del 1986, ossia l’art. 14 della l. n. 549 del 1993, che fa riferimento alle « associazioni di protezione ambientale », oltre che alle « associazioni di consumatori ». (64) Cons. St., sez. VI, 7 gennaio 1996, n. 182, in Riv. giur. amb., 1996, 694. (65) Cons. St., sez. IV, 2 ottobre 2006, n. 5760, in Riv. giur. ed., 2007, I, 1170. Questo secondo orientamento (e quello in tema di legittimazione delle articolazioni locali delle associazioni nazionali, che si intreccia con la questione di cui si dice nel testo) viene ricostruito da LEONARDI, La legittimazione processuale delle associazioni ambientaliste: alcune questioni ancora giurisprudenziali, ivi, 2011, II, 3 ss. In proposito cfr. anche DURET, Riflessioni sulla legitimatio ad causam in materia ambientale tra partecipazione e sussidiarietà, cit., passim, e GOISIS, Legittimazione al ricorso delle associazioni ambientali ed obblighi discendenti dalla Convenzione di Aarhus e dall’ordinamento dell’Unione europea, in Dir. proc. amm., 2012, 101 ss., che segnala le implicazioni dell’art. 9 della Convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998, ove prevede la legittimazione a ricorrere anche delle « organizzazioni non governative che promuovono la tutela dell’ambiente e che soddisfano i requisiti previsti dal diritto nazionale ». (66) Cons. St., ad. plen., 19 ottobre 1979, n. 24, cit. Interessi diffusi e collettivi il Ministero delle attività produttive dell’elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale, al quale possono iscriversi le associazioni che dimostrano il possesso di un’ampia serie di requisiti (67), e gli art. 139 e 140 affermano che queste associazioni sono legittimate ad agire « a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti ». Il comma 9 dell’art. 140 precisa però che, « fatte salve le norme sulla litispendenza, sulla continenza, sulla connessione e sulla riunione dei procedimenti, le disposizioni di cui al presente articolo non precludono il diritto ad azioni individuali dei consumatori che siano danneggiati dalle medesime violazioni » (68). Come s’è detto supra, § 1, è ovvio che qui, nonostante la formula impiegata dal legislatore, ci si trova di fronte a veri e propri interessi diffusi, in definitiva analoghi a quelli che si riscontrano nel settore della tutela dell’ambiente, dato che consumatori e utenti sono categorie di soggetti dai confini indefiniti, i quali per lo più non fanno neppure parte delle associazioni in discorso. Piuttosto risulta problematico il rapporto che corre tra le azioni di consumatori e utenti e l’a(67) « L’iscrizione nell’elenco è subordinata al possesso, da comprovare con la presentazione di documentazione conforme alle prescrizioni e alle procedure stabilite con decreto del Ministro delle attività produttive, dei seguenti requisiti: a) avvenuta costituzione, per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, da almeno tre anni e possesso di uno statuto che sancisca un ordinamento a base democratica e preveda come scopo esclusivo la tutela dei consumatori e degli utenti, senza fine di lucro; b) tenuta di un elenco degli iscritti, aggiornato annualmente con l’indicazione delle quote versate direttamente all’associazione per gli scopi statutari; c) numero di iscritti non inferiore allo 0,5 per mille della popolazione nazionale e presenza sul territorio di almeno cinque regioni o province autonome, con un numero di iscritti non inferiore allo 0,2 per mille degli abitanti di ciascuna di esse, da certificare con dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà resa dal legale rappresentante dell’associazione con le modalità di cui agli articoli 46 e seguenti del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445; d) elaborazione di un bilancio annuale delle entrate e delle uscite con indicazione delle quote versate dagli associati e tenuta dei libri contabili, conformemente alle norme vigenti in materia di contabilità delle associazioni non riconosciute; e) svolgimento di un’attività continuativa nei tre anni precedenti; f) non avere i suoi rappresentanti legali subito alcuna condanna, passata in giudicato, in relazione all’attività dell’associazione medesima, e non rivestire i medesimi rappresentanti la qualifica di imprenditori o di amministratori di imprese di produzione e servizi in qualsiasi forma costituite, per gli stessi settori in cui opera l’associazione ». (68) Cfr. RAMAJOLI, La tutela degli utenti nei servizi pubblici a carattere imprenditoriale, in Dir. amm., 2000, 400 ss. zione delle associazioni: la dottrina processualcivilistica è divisa tra chi sostiene che le azioni inibitorie e preventive previste dall’art. 140 c. cons. (in precedenza dall’art. 3 l. n. 281, cit.) sono riservate alle sole associazioni, e chi invece sostiene che associazioni e singoli hanno identica legittimazione (69). Correlativamente, riguardo alla legittimazione a ricorrere avanti la giurisdizione amministrativa (che ovviamente viene in gioco in ordine alla tutela degli utenti dei servizi pubblici) anche nella dottrina amministrativistica non manca chi sostiene che le associazioni hanno una legittimazione diversa rispetto a quella dei singoli utenti (70). Sul punto la giurisprudenza non fornisce indicazioni perspicue. Vero è che il giudice amministrativo in genere afferma che l’interesse collettivo « non può [...] coincidere con l’interesse individuale dei soggetti di cui è composta la categoria degli utenti e dei consumatori, perché questo è perseguibile direttamente dal soggetto che ne è titolare esclusivo », sicché « deve trascendere i singoli interessi, non potendo [...] rappresentare la sommatoria di interessi individuali, che sono individualmente tutelabili » (71) — la formula secondo la quale l’interesse collettivo “trascende” quello dei singoli la si ritrovava già nella citata decisione della VI sezione del 1978 (72) —. Ma è altrettanto vero che non riesce a delinearne l’esatto contenuto, perché in proposito finisce per rilevare che « uno degli indici (da verificare caso per caso) che denunciano la presenza di un “interesse collettivo” è sicuramente dato dal fatto che un tale interesse deve essere in grado di soddisfare, una volta realizzato, l’intera categoria a motivo della sua omogeneità ed indivisibilità » (73): e a questa stregua pare di intendere che la dimensione collettiva si risolve nella somma degli interessi dei singoli utenti. Nel senso di una conferma dell’assenza di una differenza qualitativa tra gli interessi azionati dalle associazioni e quelli azionati dai singoli utenti potrebbe forse essere letto il recente orientamento (69) V., per tutti, ODORISIO, La tutela giurisdizionale dei diritti dei consumatori e degli utenti: concorso di azioni e ‘giusto processo’ civile, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi a cura di LANFRANCHI, cit., 487 ss. (70) Cfr. RAMAJOLI, op. cit., passim. (71) Cons. St., sez. VI, 25 giugno 2007, n. 3586, in Foro amm. C.d.S., 2007, 1923. (72) Cons. St., sez. VI, 10 novembre 1978, n. 1187, cit. supra, nt. 40. (73) Lo si legge nella motivazione di Cons. St., sez. VI, 25 giugno 2007, n. 3586, cit. 523 Interessi diffusi e collettivi giurisprudenziale che afferma la legittimazione a ricorrere anche delle associazioni che possono comunque ritenersi rappresentative dei consumatori e degli utenti pur non avendo il riconoscimento ex art. 137 c. cons. (74): in ordine alle associazioni ambientaliste di rilievo locale infatti s’è appena visto che una legittimazione siffatta costituisce una proiezione della legittimazione dei singoli aderenti. 7. La legittimazione dei sindacati e delle associazioni di categoria. — Riguardo alla legittimazione dei sindacati e delle associazioni di categoria la giurisprudenza degli ultimi decenni per lo più si è limitata ad applicare i principi che erano stati affermati negli anni Settanta del secolo scorso nelle citate decisioni della VI sezione (75). In ordine alla natura dell’interesse tutelato da questi organismi, la giurisprudenza afferma che essi non possono agire per tutelare né la posizione di un singolo iscritto (76), né quella di una sola parte dei membri di una categoria, perché « l’interesse collettivo deve identificarsi con l’interesse di tutti gli appartenenti alla categoria unitariamente considerata » (77): ciò che peraltro ha indotto a escludere la legittimazione a ricorrere in tutti i casi in cui possa verificarsi un conflitto di interessi tra i soggetti rappresentati. Vero è che l’adunanza plenaria in una sentenza del 2011 (78) ha affermato che gli ordini professionali sono legittimati a ricorrere anche nelle ipotesi di conflitto tra gli iscritti, laddove venga in gioco ciò che viene definito « l’interesse istituzionalizzato » dell’ordine, ossia l’interesse della categoria professionale che è affidato all’ordine dalla legge. Ma la V sezione, in una sentenza del 2013 (79), ha precisato che questo principio non può essere esteso ai sindacati, perché essi, a differenza degli ordini professionali, « sono associazioni private non riconosciute, ossia figure organizzative libere e non soggette a vigilanza, verifiche o controlli pubblici, con carattere pluralistico e ad adesione (74) TAR Lazio, sez. III, 25 settembre 2011, n. 7536, in Foro amm. T.A.R., 2011, 2757. (75) Cons. St., sez. VI, 10 novembre 1978, n. 1187, cit., e Cons. St., sez. VI, 18 maggio 1979, n. 378, cit. supra, nt. 3. Cfr. CRESTI, op. cit., 60 ss. (76) V., ad esempio, Cons. St., sez. IV, 27 aprile 2004, n. 2565, in Foro amm. C.d.S., 2004, 1106. (77) Cons. St., sez. V, 7 settembre 2007, n. 4692, in Foro amm. C.d.S., 2007, 247. (78) Cons. St., ad. plen., 3 giugno 2011, n. 10, in Foro amm. C.d.S., 2011, 1842. (79) Cons. St., sez. V, 3 giugno 2013, n. 3033, in Foro amm. C.d.S., 2013, 1639. 524 eventuale », e dunque « non possono essere considerati come portatori, ciascuno, di un proprio compito generale di difesa, anche in giudizio, dell’interesse dell’intera categoria unitariamente considerata », dato che « l’istituzionalizzazione presuppone, infatti, una attribuzione ex lege (e non in base ad un mero statuto) della tutela degli interessi di tutti gli appartenenti a un gruppo sociale, e in loro luogo: siano essi iscritti o meno. Solo così, in ipotesi, potrebbe ricorrere uno dei “casi espressamente previsti dalla legge” che dà luogo a una sostituzione processuale ai sensi del ricordato art. 81 cod. proc. civ. ». La questione probabilmente è destinata a essere rimessa in discussione a fronte dei contenuti dell’art. 4 della l. 11 novembre 2011, n. 180, intitolata « Norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle imprese », che nel comma 1 prevede che « le associazioni di categoria rappresentate in almeno cinque camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, di seguito denominate “camere di commercio”, ovvero nel Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e le loro articolazioni territoriali e di categoria sono legittimate a proporre azioni in giudizio sia a tutela di interessi relativi alla generalità dei soggetti appartenenti alla categoria professionale, sia a tutela di interessi omogenei relativi solo ad alcuni soggetti », e nel comma 2 che « le associazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale, regionale e provinciale sono legittimate ad impugnare gli atti amministrativi lesivi degli interessi diffusi » (80). Il significato di queste formule è tutt’altro che perspicuo. Il comma 1 prevede un sistema di selezione automatico, che non passa attraverso un qualche tipo di accertamento amministrativo, in base a cui le associazioni che presentano determinati requisiti sembrerebbero legittimate ad agire anche nei casi in cui possa verificarsi un qualche conflitto di interessi tra i membri della categoria, dato che il riferimento agli « interessi omogenei relativi solo ad alcuni soggetti » parrebbe da leggere in tal senso (81). Il comma 2 è di lettura ancor più problematica, ma probabilmente è da intendere nel senso che le associazioni ivi indicate — è quasi inutile rilevare (80) Su queste disposizioni v. SORACE, Diritto delle amministrazioni pubbliche, Bologna, 2012, 497, e QUINTO, Le imprese protagoniste nel processo amministrativo: una nuova dimensione dell’interesse legittimo, in www.giustizia-amministrativa.it. (81) Così QUINTO, op. cit. Interessi diffusi e collettivi l’inopportunità del riferimento alle associazioni « maggiormente rappresentative », dati tutti i problemi interpretativi che notoriamente hanno sempre comportato clausole di tenore analogo, quale quella della lett. a dell’art. 19 l. n. 300 del 1970 prima della sua abrogazione referendaria (82) — possono ricorrere avverso gli atti amministrativi che in qualche modo ledono gli interessi diffusi delle imprese, e in particolare la libertà di iniziativa economica. Questa lettura risulterebbe consona al fine, sancito nell’art. 1 della l. n. 180, cit., « di assicurare lo sviluppo della persona attraverso il valore del lavoro, sia esso svolto in forma autonoma che dìimpresa, e di garantire la libertà di iniziativa economica privata in conformità agli articoli 35 e 41 della Costituzione »: anche se, per vero, a questa stregua non è chiaro se il comma 2 aggiunga qualcosa al comma 1, dato che non si comprende in cosa la tutela degli interessi diffusi delle imprese differisca dalla « tutela di interessi relativi alla generalità dei soggetti appartenenti alla categoria » (83). Va detto incidentalmente che non è da escludere che queste disposizioni vengano considerate espressive di principi estensibili anche ai sindacati e alle associazioni di professionisti, in particolare riguardo alla legittimazione ad agire pure in situazioni di potenziale conflitto tra gli associati: vero è che l’art. 4 della l. n. 180, cit., testualmente è riferibile solo alle associazioni imprenditoriali (e che i criteri di selezione che vi sono posti sono d’ostacolo ad applicazioni analogiche), ma è altrettanto vero che se questa disposizione non fosse (82) Cfr. CONTE, in Commentario breve alle leggi sul lavoro a cura di GRANDI e PERA, Padova, 2001, sub art. 19 l. 20 maggio 1970, n. 300, 746 ss. (83) QUINTO, op. cit., legge questa previsione nel senso della legittimazione a impugnare i bandi e le norme di gara anche a prescindere dalla presentazione di una domanda di partecipazione. Interpretazioni diverse da quella di cui si dice nel testo sembrano comunque poco plausibili: ad esempio, è senz’altro da scartare l’ipotesi che il legislatore abbia voluto legittimare le associazioni in parola ad agire per la tutela di interessi diffusi diversi da quelli delle imprese, sia perché essa non sarebbe coerente con la ratio legis, sia perché comunque quelle sulla legittimazione a ricorrere a tutela di interessi siffatti sono pur sempre norme eccezionali, in quanto tali di stretta interpretazione; oppure quella che il comma 1 riguardi la legittimazione ad agire avanti al giudice ordinario, e il comma 2 invece la legittimazione ad agire avanti il giudice amministrativo, dato che, come s’è visto, anche le associazioni contemplate nel comma 1 vengono già considerate legittimate ad agire nei giudizi amministrativi da tempo; senza poi considerare che anche le norme della l. n. 180 del 2011 con tutta probabilità possono considerarsi di carattere permissivo anziché preclusivo, al pari di quelle della l. n. 349 del 1986 di cui s’è detto più sopra. considerata espressiva di un principio generale in definitiva si introdurrebbe una discriminazione tra questi organismi e le associazioni imprenditoriali tutt’altro che consona al principio di uguaglianza. In ogni caso la l. n. 180, cit., vale a chiarire che anche in questo caso non ci troviamo di fronte a veri e propri interessi collettivi, dato che le associazioni di categoria risultano legittimate a ricorrere pure al fine di tutelare interessi delle imprese non aderenti. 8. Il procedimento amministrativo. — Come strumento di differenziazione degli interessi diffusi non ha invece avuto successo la mera partecipazione al procedimento amministrativo. Anche se l’art. 9 della l. n. 241 del 1990 consente l’intervento nel procedimento amministrativo delle aggregazioni portatrici di interessi diffusi (« qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento »), la giurisprudenza in assoluto prevalente nega che dalla mera partecipazione al procedimento discenda la legittimazione a ricorrere, ossia, se si preferisce, che la partecipazione di per sé sola valga a trasformare gli interessi semplici in veri e propri interessi legittimi (84). L’orientamento della giurisprudenza viene criticato da una parte della dottrina, ad esempio in base alla considerazione che dal rilievo giuridico che gli interessi diffusi assumono nel procedi(84) V. Cons. St., sez. VI, 25 giugno 2008, n. 3243, in Foro amm. C.d.S., 2008, 1858, ove appunto si legge che « dalla facoltà di intervento nel procedimento dei soggetti “portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento” non scaturisce automaticamente la legittimazione processuale di tutti i soggetti portatori di interessi collettivi che abbiano in concreto partecipato al procedimento, restando rimesso all’autorità giudiziaria il compito di verificare nel singolo caso se il soggetto interveniente abbia effettiva legittimazione processuale in quanto portatore di un interesse differenziato e qualificato, senza che la valutazione operata in sede procedimentale vincoli quella da rinnovarsi nella sede processuale », TAR Liguria, sez. II, 13 marzo 2009, n. 311, in Foro amm. T.A.R., 2009, 670, e TAR Lazio, sez. II, 5 giugno 2008, n. 5492, ivi, 2008, 1758. Ricostruiscono gli orientamenti della giurisprudenza RAMAJOLI, in Codice dell’azione amministrativa a cura di SANDULLI M.A., Milano, 2011, sub art. 9 l. n. 241 del 1990, 522 ss. e ROMANO M.C., Interessi diffusi e intervento nel procedimento amministrativo, in Foro amm. C.d.S., 2012, 1691 ss. In generale, sull’intervento nel procedimento dei portatori di interessi diffusi, MORBIDELLI, Il procedimento amministrativo, in Diritto amministrativo a cura di MAZZAROLLI, PERICU, ROMANO Alb., ROVERSI MONACO e SCOCA, II, Bologna, 2001, 1328 ss. 525 Interessi diffusi e collettivi mento amministrativo dovrebbe senz’altro discendere la possibilità di tutelarli anche in sede processuale (85). Per contro altra parte della dottrina osserva che una siffatta modalità di differenziazione andrebbe a collidere con il principio secondo cui la tutela giurisdizionale può essere accordata solo a favore delle posizioni giuridiche di rilievo sostanziale, che « vivono nel diritto materiale » (86). Ma probabilmente vi sono anche altri fattori che contribuiscono all’atteggiamento di chiusura della giurisprudenza: ad esempio, il timore di trovarsi di fronte a un aumento del contenzioso che potrebbe intasare i tribunali amministrativi, dato che, a questa stregua, qualsivoglia interesse potrebbe acquisire rilevanza giuridica e divenire azionabile avanti il giudice amministrativo (87). Inoltre facendo discendere la legittimazione dalla mera partecipazione al procedimento in definitiva si metterebbe a rischio anche la sistemazione dell’interesse legittimo come posizione normativamente qualificata: la quale non era stata compromessa neppure dai processi di ampliamento della nozione di interesse legittimo di cui s’è detto nei paragrafi precedenti. (85) Così COGNETTI, “Quantità” e “qualità” della partecipazione. Tutela procedimentale e legittimazione processuale, Milano, 2000, 52, che si chiede anche « quale giuridicità possa vantare un interesse nel procedimento amministrativo, se la sua sorte può essere arbitrariamente decisa, in quella sede, senza controllo alcuno da parte di un giudice. L’eventuale irrilevanza nel processo amministrativo di quel medesimo interesse (irrilevanza che fonda proprio l’ipotesi di partenza) impedisce che il giudice stesso possa intervenire, verificando col tramite del sindacato di eccesso di potere l’eventuale illegittimità (illogicità, ingiustizia, contraddittorietà, ecc.) del suo sacrificio ». Nello stesso senso v. pure DURET, Partecipazione procedimentale e legittimazione processuale, Torino, 1996, passim, e LOMBARDI, op. cit., 126 s. Questi autori peraltro riprendono le tesi di NIGRO, Procedimento amministrativo e tutela giurisdizionale contro la pubblica amministrazione (il problema di una legge generale sul procedimento amministrativo), ora in ID., Scritti giuridici, cit., III, 1429 ss., che aveva proposto l’integrazione fra procedimento amministrativo e processo giurisdizionale, da cui sarebbe dovuta derivare la « soggettivizzazione degli interessi coinvolti nell’azione amministrativa ». (86) VILLATA, Riflessioni in tema di partecipazione al procedimento e legittimazione processuale, in Dir. proc. amm., 1992, 199. Ma v. in questo senso già ANGIULI, Interessi collettivi e tutela giurisdizionale, cit., 96 ss. (87) Cfr. CERRI, Diritto di agire dei singoli, delle associazioni che li rappresentano, di entità destinate alla difesa di interessi collettivi. I progressivi ampliamenti della legittimazione e le ragioni che li giustificano, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi a cura di LANFRANCHI, cit., 49, e cfr. CASSESE, Gli interessi diffusi e la loro tutela, ivi, 569 s. 526 9. Il ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici. — Negli ultimi anni il legislatore, oltre che al modello della legge Royer, ha preso a ispirarsi anche al modello della statunitense class action (su cui v. anche supra, AZIONE DI CLASSE). Come noto, con la riscrittura dell’art. 140-bis c. cons. attuata dalla l. 23 luglio 2009, n. 99 (successivamente modificata dal d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni in l. 24 marzo 2012, n. 27), è stata introdotta nel nostro ordinamento l’azione di classe. È inutile soffermarsi sui contenuti dell’art. 140bis in questa sede, ove pare sufficiente ricordare che la disposizione riconosce la legittimazione ad agire a tutti i singoli componenti della categoria: il comma 1 prevede che « i diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti di cui al comma 2 nonché gli interessi collettivi sono tutelabili anche attraverso l’azione di classe, secondo le previsioni del presente articolo. A tal fine ciascun componente della classe, anche mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa, può agire per l’accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni » (88). Qui piuttosto interessa l’analogo meccanismo (89) che è stato introdotto con il ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici previsto dal d. lg. 20 dicembre 2009, n. 198, che attua la delega di cui al comma 2 dell’art. 4 della l. 4 marzo 2009, n. 15 (90). (88) In proposito si rinvia pertanto a GIUSSANI, Azione di classe, cit. (89) GIUSSANI, op. ult. cit., contesta che questa azione sia riconducibile al modello dell’azione di classe, dato che non viene previsto che i componenti del gruppo siano destinatari degli effetti della decisione; peraltro l’alterità dell’azione che qui interessa rispetto a quella prevista dall’art.140-bis c. cons. veniva segnalata già nel parere sullo schema di decreto legislativo da Cons. St., sez. consultiva per gli atti normativi, 9 giugno 2009, n. 1943, in Foro it., 2010, III, 89, con nota di TRAVI. Nondimeno, appare innegabile che anche qui la fonte di ispirazione del legislatore sono stati gli schemi della class action, in particolare per quanto riguarda il riconoscimento della legittimazione ad agire in capo a tutti i componenti della categoria sociale interessata: cfr. TRAVI, op. ult. cit. Sulla ratio dell’istituto v. BARTOLINI, La class action nei confronti della P.A. tra favole e realtà, in Lav. pubbl. amm., 2009, 953 ss. (90) La delega era intesa a « prevedere mezzi di tutela giurisdizionale degli interessati nei confronti delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici che si discostano dagli standard qualitativi ed economici fissati o che violano le norme preposte al loro operato », secondo i seguenti principi e criteri direttivi: « consentire a ogni interessato di agire in giudizio nei confronti delle amministra- Interessi diffusi e collettivi Per quanto qui interessa l’art. 1 del d. lg. n. 198, cit., nel comma 1 prevede che, « al fine di ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio, i titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori possono agire in giudizio, con le modalità stabilite nel presente decreto, nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei concessionari di servizi pubblici, se derivi una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi, dalla violazione di termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento, dalla violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi ovvero dalla violazione di standard qualitativi ed economici stabiliti, per i concessionari di servizi pubblici, dalle autorità preposte alla regolazione ed al controllo del settore e, per le pubblizioni, nonché dei concessionari di servizi pubblici, fatte salve le competenze degli organismi con funzioni di regolazione e controllo istituiti con legge dello Stato e preposti ai relativi settori, se dalla violazione di standard qualitativi ed economici o degli obblighi contenuti nelle Carte dei servizi, dall’omesso esercizio di poteri di vigilanza, di controllo o sanzionatori, dalla violazione dei termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali derivi la lesione di interessi giuridicamente rilevanti per una pluralità di utenti o consumatori, nel rispetto dei seguenti criteri: 1) consentire la proposizione dell’azione anche ad associazioni o comitati a tutela degli interessi dei propri associati; 2) devolvere il giudizio alla giurisdizione esclusiva e di merito del giudice amministrativo; 3) prevedere come condizione di ammissibilità che il ricorso sia preceduto da una diffida all’amministrazione o al concessionario ad assumere, entro un termine fissato dai decreti legislativi, le iniziative utili alla soddisfazione degli interessati; in particolare, prevedere che, a seguito della diffida, si instauri un procedimento volto a responsabilizzare progressivamente il dirigente competente e, in relazione alla tipologia degli enti, l’organo di indirizzo, l’organo esecutivo o l’organo di vertice, a che le misure idonee siano assunte nel termine predetto; 4) prevedere che, all’esito del giudizio, il giudice ordini all’amministrazione o al concessionario di porre in essere le misure idonee a porre rimedio alle violazioni, alle omissioni o ai mancati adempimenti di cui all’alinea della presente lettera e, nei casi di perdurante inadempimento, disponga la nomina di un commissario, con esclusione del risarcimento del danno, per il quale resta ferma la disciplina vigente; 5) prevedere che la sentenza definitiva comporti l’obbligo di attivare le procedure relative all’accertamento di eventuali responsabilità disciplinari o dirigenziali; 6) prevedere forme di idonea pubblicità del procedimento giurisdizionale e della sua conclusione; 7) prevedere strumenti e procedure idonei ad evitare che l’azione di cui all’alinea della presente lettera nei confronti dei concessionari di servizi pubblici possa essere proposta o proseguita, nel caso in cui un’autorità indipendente o comunque un organismo con funzioni di vigilanza e controllo nel relativo settore abbia avviato sul medesimo oggetto il procedimento di propria competenza ». che amministrazioni, definiti dalle stesse in conformità alle disposizioni in materia di performance contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, coerentemente con le linee guida definite dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 13 del medesimo decreto e secondo le scadenze temporali definite dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 ». Nel comma 3 si prevede poi che « i soggetti che si trovano nella medesima situazione giuridica del ricorrente possono intervenire nel termine di venti giorni liberi prima dell’udienza di discussione del ricorso che viene fissata d’ufficio, in una data compresa tra il novantesimo ed il centoventesimo giorno dal deposito del ricorso », nel comma 4 che, « ricorrendo i presupposti di cui al comma 1, il ricorso può essere proposto anche da associazioni o comitati a tutela degli interessi dei propri associati, appartenenti alla pluralità di utenti e consumatori di cui al comma 1 », e nel comma 6 che il « ricorso non consente di ottenere il risarcimento del danno cagionato dagli atti e dai comportamenti di cui al comma 1; a tal fine, restano fermi i rimedi ordinari » (91). Prevedibilmente, in dottrina è subito iniziato un dibattito sulla natura di questo ricorso, e su quella delle posizioni che vi vengono azionate. Secondo una parte della dottrina gli « interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei » a cui fa riferimento il comma 1 sarebbero interessi semplici, e il ricorso costituirebbe un’ipotesi di giurisdizione oggettiva (92). Invece, secondo un’altra corrente di pensiero, qui non si esulerebbe dai confini della consueta giurisdizione soggettiva (93), anche se di questa opinione vi sono almeno due varianti. Per alcuni autori gli interessi in parola corrisponderebbero alle posizioni giuridiche soggettive di cui utenti e consumatori erano già titolari sulla (91) Sui profili procedurali del ricorso si rinvia alla trattazione di FIDONE, L’azione per l’efficienza nel processo amministrativo: dal giudizio sull’atto a quello sull’attività, Torino, 2012. (92) Così CINTIOLI, Note sulla cosiddetta class action amministrativa, e CAPUTI JAMBRENGHI M.T.P., Buona amministrazione tra garanzie interne e prospettive comunitarie (a proposito di class action all’italiana), entrambi in GiustAmm.it, www.giustamm.it, 2010. (93) Cfr., ad esempio, MANGANARO, L’azione di classe in un’amministrazione che cambia, in GiustAmm.it, www.giustamm.it, 2010, e GALLO, La class action nei confronti della pubblica amministrazione, in Urbanistica e appalti, 2010, 501 ss., quest’ultimo in base a un’interpretazione restrittiva dei limiti posti dal decreto alla legittimazione a ricorrere dei singoli utenti. 527 Interessi diffusi e collettivi base del diritto vigente prima dell’entrata in vigore del d. lg. n. 198 del 2009 (94). Per altri invece il d. lg. n. 198, cit., avrebbe comportato la « giurificazione di interessi di fatto » (95), perché « si può ritenere che proprio la previsione di un’azione di tal fatta abbia l’effetto di giuridicizzare (tutto o una parte del)l’interesse all’efficienza amministrativa, nel senso che l’efficienza stessa (l’intero principio o solo alcuni aspetti, quelli che trovano corrispondenza in uno standard di condotta) diviene un parametro normativo positivo » (96). Viene letta in tal senso anche un’affermazione che si rinviene in una sentenza del TAR Lazio del 2011 (97), secondo cui « la previsione di legge non crea posizioni giuridiche nuove (non era esclusa dall’ordinamento la possibilità per le associazioni portatrici di interessi diffusi di agire per l’accertamento dell’obbligo di provvedere in relazione ad atti generali) ma le riconosce ai singoli, così elevando gli interessi diffusi ad interessi individualmente azionabili, a conclusione di un processo per certi versi opposto a quello, compiuto dalla giurisprudenza, che al fine di garantirne la tutela aveva perorato un processo di imputazione collettiva » (98); peraltro il tribunale amministrativo del Lazio in seguito ha ribadito questi concetti in una sentenza del 2012 (99), ove si sostiene che « la class action per l’efficienza della pubblica amministrazione è, quindi, normativamente delineata quale strumento di tutela di interessi diffusi collettivi [...] azionabile sia da parte del singolo soggetto, titolare dell’interesse indifferenziato relativo ad un bene della vita omogeneo per tutti gli appartenenti alla pluralità, che abbia subito una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi — così elevando gli interessi diffusi ad interessi individualmente azionabili — nonché da (94) In questo senso pare opinare ad esempio FABRI, Le azioni collettive nei confronti della pubblica amministrazione nella sistematica delle azioni non individuali, Napoli, 2011, 107 ss. (95) PATRONI GRIFFI, Class action e ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari pubblici, in federalismi.it, www.federalismi.it, 30 giugno 2010. (96) CUDIA, Gli interessi plurisoggettivi tra diritto e processo amministrativo, cit., 310. In questo senso, amplius, FIDONE, op. cit., 206 ss. (97) TAR Lazio, sez. III, 20 gennaio 2011, n. 552, in Foro amm. T.A.R., 2011, 136. (98) Così CUDIA, Il ricorso per l’efficienza delle amministrazioni: l’interesse diffuso (finalmente) si ‘concentra’ sull’individuo (in margine a T.A.R. Lazio, Roma, 20 gennaio 2011, n. 552), in GiustAmm.it., www.giustamm.it, 7 aprile 2011. (99) Tar Lazio 1° ottobre 2012, n. 8231, in Foro amm. T.A.R., 2012, 3122. 528 parte di associazioni o enti rappresentativi di tali interessi ». 10. Interessi diffusi e collettivi. I profili costituzionali e di politica del diritto della tutela degli interessi diffusi. — Dopo che nelle pagine che precedono sono stati descritti — seppure in modo cursorio — i principali orientamenti giurisprudenziali e normativi in materia, si possono svolgere alcune considerazioni di carattere generale sugli assetti della disciplina degli interessi in discorso. Alla luce di quanto suesposto risulta innanzitutto confermato che per quanto qui interessa una nozione di interessi collettivi nettamente distinta da quella di interessi diffusi non ha ragione d’essere. Infatti a ben vedere anche le aggregazioni sociali a cui il legislatore riconosce la legittimazione ad agire in questo o in quel settore non corrispondono a gruppi di soggetti definiti: è scontato che non vi corrispondono le associazioni ambientaliste di rilievo nazionale riconosciute ex l. n. 349 del 1986, ma s’è visto che una corrispondenza siffatta sicuramente non la si riscontra neppure nel caso delle associazioni di consumatori e utenti, e persino in quello delle associazioni di categoria, perché anche questi organismi finiscono per agire pure nell’interesse di soggetti diversi dai propri membri. E d’altro canto già da tempo autorevole dottrina ha rilevato che tra gli uni e gli altri interessi « la distinzione corre [...] non sotto il profilo ontologico, bensì sotto il profilo estrinseco del grado di aggregazione e delimitazione del gruppo cui il fenomeno fa capo. Il criterio assunto non si presta perciò ad essere usato come scriminante, atta a penetrare la “specificità” giuridica di quella data categoria di interessi » (100). Sono poi opportune alcune precisazioni sul ruolo delle norme e dei principi costituzionali in materia, dato che soprattutto durante gli anni Settanta del secolo scorso si è postulato che determinati assetti della tutela degli interessi in discorso discendano da determinate norme o da determinati principi costituzionali. Diverse implicazioni di queste norme e di questi principi sono state esattamente individuate dagli orientamenti della giurisprudenza degli anni Settanta del Novecento: in particolare per quanto riguarda il riconoscimento delle situazioni soggettive seriali che sono espressione dei diritti fonda(100) TROCKER, Interessi collettivi e diffusi, cit., 2. Interessi diffusi e collettivi mentali, quale il diritto alla salute ex art. 32 cost. (101). Altre implicazioni che erano state ipotizzate dalla dottrina appaiono per contro di dubbio fondamento, e forse sono dovute a eccessi di costruttivismo, tramite i quali si sono letti nella Costituzione significati che essa (seppure interpretata evolutivamente) invero non contiene. Ad esempio, per quanto riguarda il ruolo delle formazioni sociali: appare infatti discutibile in primo luogo che gli interessi in parola debbano essere necessariamente tutelati per il tramite delle formazioni sociali (102). Vero è che da un punto di vista sociologico, e pregiuridico, la dislocazione degli interessi diffusi spesso coincide con un determinato gruppo sociale: ciò però non può avere come implicazione logica che sul piano giuridico questi interessi debbano essere necessariamente affidati alle cure di un gruppo quando invece possono provvedervi i singoli, ad esempio tramite gli interessi di tipo seriale e/o tramite le azioni di classe. Ma la Costituzione non sembra fornire una risposta univoca neppure per il problema delle implicazioni negative dell’attribuzione della legittimazione a ricorrere in capo alle aggregazioni sociali, in termini di controllo sociale e di conservatorismo, sollevato dall’autorevole dottrina che aveva criticato « la stessa logica dell’ingabbiamento degli interessi e dell’affidamento della loro “rappresentanza” ad enti ed organismi appositi che comporta la omologazione, il livellamento e l’uniformazione di essi e li piega a regole di gruppo conservative per la loro stessa natura » (103). Ora, appare senz’altro condivisibile il rilievo per cui (anche) in questa materia le posizioni soggettive dei singoli non possono essere espropriate per essere attribuite ad aggregazioni sociali di un qualche tipo (104). (101) Fermo però restando che, poiché l’art. 2 cost. costituisce una fattispecie aperta — secondo la nota formula di BARBERA, in Commentario della Costituzione a cura di BRANCA, Principi fondamentali (Art. 1-12), Bologna-Roma, 1975, sub art. 2, 50 ss. —, è senz’altro possibile che anche in futuro emergano nuovi interessi diffusi meritevoli di tutela in quanto espressione di nuovi diritti inviolabili. (102) Come pare ritenere ad esempio BERTI, Interessi senza struttura, cit., passim. (103) NIGRO, Le due facce dell’interesse diffuso, cit., 1869: peraltro questi rilievi sono in accordo con le valutazioni più generali sul rapporto tra persona e formazioni sociali che l’autore espone in ID., Formazioni sociali, poteri privati e libertà del terzo, ora in ID., Scritti giuridici, III, cit., 1131 ss. (104) V., in questo senso, CUDIA, Gli interessi plurisoggettivi tra diritto e processo amministrativo, cit., 91 ss., e LANFRANCHI, Le animulae vagulae blandulae e l’altra faccia Nondimeno, quando non preesistono posizioni siffatte, non pare che possa considerarsi precluso al legislatore attribuire ex novo un qualche tipo di legittimazione a ricorrere in capo a una qualche aggregazione sociale (105): e d’altro canto una forma di tutela non priva di imperfezioni è pur sempre preferibile a nessuna tutela (106). In disparte la considerazione che il problema non va drammatizzato, sia perché in molti casi la legittimazione a ricorrere delle aggregazioni sociali deve considerarsi aggiuntiva rispetto a quella del singolo (107), sia perché, come s’è visto, da ultimo il legislatore pare orientato a utilizzare anche strumenti ispirati al modello dell’azione di classe, che prevedono il riconoscimento della legittimazione ad agire in capo a tutti i componenti della categoria sociale interessata. Opinabile appare poi anche l’idea — particolarmente diffusa negli anni Settanta dello scorso secolo — che la tutela degli interessi diffusi costituisca una sorta di implicazione necessaria del principio democratico. È vero infatti che tutelando questi interessi si della luna, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi a cura di LANFRANCHI, cit., XIX ss. (105) Cfr. COMOGLIO, La garanzia costituzionale dell’azione ed il processo civile, Padova, 1970, 112 ss. (106) Si potrebbe però obiettare che a questa stregua viene lesa la strumentalità delle formazioni sociali ai diritti inviolabili dell’uomo, sancita dall’art. 2 cost.; come noto, la dottrina in assoluto prevalente concorda sulla preminenza del principio personalistico sul principio pluralistico, e anzi sottolinea che il pluralismo è funzionale all’attuazione del primo principio, e dunque dei diritti inviolabili del singolo: v., per tutti, TOSATO, Persona, società intermedie e Stato, Milano, 1989, 225 ss., ROSSI, Le formazioni sociali nella Costituzione italiana, Padova, 1989, 190 ss., PALADIN, Diritto costituzionale, Padova, 1988, 566, DE SIERVO, Il pluralismo sociale dalla Costituzione repubblicana ad oggi: presupposti teorici e soluzioni nella Costituzione italiana, in Il pluralismo sociale nello Stato democratico (Atti del 50° Corso di aggiornamento, Ferrara, 7-12 settembre 1980), Milano, 1980, 60 ss., PASTORI, Il pluralismo sociale dalla Costituzione repubblicana ad oggi: l’attuazione del pluralismo sociale nel trentennio repubblicano, ivi, 80 ss. A ben vedere, però, gli interessi diffusi che sono tutelati sub specie di interessi legittimi non vertono nel novero dei diritti inviolabili, che secondo un orientamento della giurisprudenza costituzionale è addirittura più ristretto del novero dei diritti costituzionalmente garantiti: v. D’ALESSIO, in Commentario breve alla Costituzione a cura di CRISAFULLI e PALADIN, Padova, 1990, sub art. 2, 11. Che possa esservi una qualche coincidenza tra diritti inviolabili e interessi legittimi dovrebbe addirittura escludersi in radice secondo le teorie sui diritti cosiddetti “resistenti” o “non degradabili” — su cui v. ZITO, Il tradizionale criterio di riparto, in Codice della giustizia amministrativa a cura di MORBIDELLI, Milano, 2005, 60 ss.: anche se va ricordato che queste tesi non vengono condivise da una parte della dottrina —. V., per tutti, TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, cit., 64 ss. (107) Cfr. LANFRANCHI, op. cit., passim. 529 Interessi diffusi e collettivi può agevolare la partecipazione democratica: ma è altrettanto vero che la partecipazione non deve necessariamente passare attraverso l’esercizio popolare della funzione giurisdizionale, che anzi nelle democrazie moderne costituisce un’evenienza eccezionale (108). Dal che discende che in definitiva scegliere di volta in volta quali tra gli interessi diffusi meritano di essere tutelati in via giurisdizionale rientra nella discrezionalità del legislatore, e dunque si risolve in una questione di politica del diritto (109): in ordine a cui non va dimenticato che la scelta di tutelare interessi siffatti, al pari della scelta di tutelare qualsiasi situazione giuridica soggettiva, può avere anche implicazioni negative, e non solo in termini di incremento del contenzioso, o di rischi di impieghi strumentali della legittimazione a ricorrere, ma anche e soprattutto perché in definitiva a ogni posizione attiva in capo a un soggetto dell’ordinamento corrispondono obblighi o doveri in capo ad altri soggetti (110). 11. Oggettivismo e soggettivismo nella tutela degli interessi diffusi. — Appare anche opinabile che, ove si scelga di garantire gli interessi in parola, la Costituzione imponga determinate modalità di tutela invece di altre: in particolare, che essa imponga di garantire gli intessi diffusi sempre tramite forme di giurisdizione soggettiva anziché di giurisdizione oggettiva, ossia, se si preferisce, che, come di recente ha proposto attenta dottrina, (anche) per quanto qui interessa dalla Costituzione discenda la necessaria soggettività della tutela (111). (108) Lo stesso può dirsi pure per altri principi costituzionali che vengono richiamati a fondamento della tutela degli interessi in discorso: ad esempio, anche dalla recente, articolata ricostruzione di DURET, Riflessioni sulla legitimatio ad causam in materia ambientale tra partecipazione e sussidiarietà, cit., passim, che, come s’è visto, ricollega la tutela di questi interessi al principio di sussidiarietà orizzontale, non si evince in quali casi ed entro quali limiti una tutela siffatta sarebbe imposta dalla Costituzione. (109) Cfr. CASSESE, Gli interessi diffusi e la loro tutela, cit. (110) Cfr. BARBERA, Nuovi diritti: attenzione ai confini, in Corte costituzionale e diritti fondamentali a cura di CALIFANO, Torino, 2004, 19 ss., ove l’autore (al quale, come s’è ricordato, si deve la formula dell’art. 2 cost. come « fattispecie aperta ») segnala l’esigenza di non ampliare oltre misura il novero dei nuovi diritti. Nella letteratura recente, sulle implicazioni della giurificazione v. anche le considerazioni di ordine generale di RODOTÀ, Il diritto e il suo limite, in ID., La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Milano, 2007, 9 ss., e, sul rapporto tra tutela dei diritti e scarsità delle risorse, cfr. HOLMES e SUNSTEIN, Il costo dei diritti. Perché la libertà dipende dalle tasse, Bologna, 2000. (111) Ci si riferisce in particolare a CUDIA, op. ult. cit., 530 Ora, è pacifico che dagli art. 24 e 113 cost. discende che il processo amministrativo ordinariamente ha un contenuto soggettivo (112). Ciò però non sembra escludere in radice ogni possibile eccezione, e dunque che anche avanti al giudice amministrativo possano essere celebrati processi a contenuto oggettivo: se non altro perché processi siffatti si riscontrano persino nell’ambito della giurisdizione soggettiva par excellence, ossia nella giurisdizione civile (113). E nel contesto della giurisdizione amministrativa in genere vengono considerati come processi a contenuto oggettivo quelli che vengono iniziati tramite le azioni popolari (114), mentre è discusso se siano tali quelli che corrispondono alle cosiddette legittimazioni ex lege delle pubbliche amministrazioni (115). Come noto, da ultimo il dibattito si è riacceso in ordine alla natura del processo regolato dall’art. passim, che in ordine agli interessi in parola riprende e sviluppa un’impostazione che si rinveniva già in ORSI BATTAGLINI, Alla ricerca dello Stato di diritto. Per una giustizia “non amministrativa” (Sonntagsgedanken), Milano, 2005, 50 e passim. (112) V. almeno PIRAS, Interesse legittimo e giudizio amministrativo, I, Milano, 1962, e BACHELET, La giustizia amministrativa nella Costituzione italiana, Milano, 1966. Da ult. il dibattito viene riassunto da SPUNTARELLI, La parità delle parti nel giusto processo amministrativo, Roma, 2012. (113) V. la convincente dimostrazione in TOMMASEO, I processi a contenuto oggettivo, in Riv. dir. civ., 1988, I, 495 ss. e 685 ss. Va però ricordato che il dubbio sulla coerenza delle azioni popolari con l’art. 24 cost. ove attribuisce il diritto di azione alla tutela dei “propri” diritti e interessi è risalente, e ricorrente: v. CAIANIELLO, Introduzione al tema del convegno, cit., 29. Dubbi che di recente (in ordine al processo ex art. 21-bis l. 10 ottobre 1990, n. 287, di cui si dice nel prosieguo del testo) vengono ritenuti infondati da CLARICH, I poteri di impugnativa dell’AGCM ai sensi del nuovo art. 21-bis l. 287/90, in www.giustizia-amministrativa.it, in base alla considerazione che « riconoscere una impostazione squisitamente soggettiva del processo amministrativo, non significa ritenere indispensabile sempre e necessariamente la presenza di una situazione giuridica soggettiva di tipo sostanziale correlata al processo instaurato. Nel diritto processuale civile, del quale mai è stata messa in dubbio la natura soggettiva, i casi di legittimazione ex lege, ai quali fa riferimento sia l’art. 69 cod. proc. civ. a proposito dell’azione del pubblico ministero e sia altre disposizioni del codice civile e di leggi speciali, non hanno dato origine a una discussione in ordine a se e a quale tipo di situazione giuridica soggettiva si imputi al soggetto al quale la legge attribuisce il potere di iniziativa processuale ». (114) Da segnalare che da ult. CUDIA, op. ult. cit., 125 ss., propone di ricondurre tutte indistintamente queste ipotesi entro schemi soggettivistici: ciò che però non appare interamente convincente, se non altro perché a questa stregua si corre il rischio di operare una forzatura di tali schemi, e, dunque, di confonderli con quelli oggettivistici. (115) Su cui v., in generale, DURET, La legittimazione ex lege nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 1999, 40 ss. Interessi diffusi e collettivi 21-bis che è stato inserito nella l. 10 ottobre 1990, n. 287, dall’art. 35 del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni nella l. 22 dicembre 2011, n. 214, secondo cui l’Autorità garante della concorrenza e del mercato « è legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato ». La dottrina è infatti divisa tra chi legge questa disposizione in senso oggettivo (116), chi invece ritiene che essa non esula dal modello del processo di parti, mettendo l’accento sul « ruolo del soggetto affidatario della tutela di un interesse pubblico particolare, fino al punto di essere legittimato ad agire direttamente in giudizio contro gli atti e i comportamenti che, violando la legge, ne integrino una lesione, in aggiunta a quella dei diritti e degli interessi degli operatori, pubblici o privati, specificamente coinvolti » (117), e chi infine la riconduce a schemi squisitamente soggettivi, affermando che essa configura un’ipotesi in definitiva assimilabile a quelle in cui vengono considerati titolari di interessi legittimi gli enti pubblici che ricorrono in sede giurisdizionale al fine di tutelare le proprie competenze e/o gli interessi di cui sono portatori (118). Pare dunque che al fine di tutelare gli interessi (116) Ad esempio, CINTIOLI, Osservazioni sul ricorso giurisdizionale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e sulla legittimazione a ricorrere delle Autorità indipendenti, in federalismi.it, www.federalismi.it, 5 giugno 2012, che, pur ritenendo che la giurisdizione amministrativa ha in generale carattere soggettivo, afferma sul punto che non è « possibile circoscrivere in capo ad AGCM una situazione soggettiva in senso proprio, perché questo significherebbe concedere tanto alla nozione da renderla del tutto evanescente e priva di rilevanza classificatoria ». A questa impostazione aderiscono anche CLARICH, op. cit., POLITI, Ricadute processuali a fronte dell’esercizio dei nuovi poteri rimessi all’AGCM ex art. 21-bis della l. 287/1990. Legittimazione al ricorso ed individuazione dell’interesse alla sollecitazione del sindacato, in federalismi.it, www.federalismi.it, 5 giugno 2012, e URBANO, I nuovi poteri processuali delle autorità indipendenti, in Giorn. dir. amm., 2012, 1022 ss. (117) SANDULLI M.A., Introduzione a un dibattito sul nuovo potere di legittimazione al ricorso dell’AGCM nell’art. 21-bis l. n. 287 del 1990, in federalismi.it, www.federalismi.it, 5 giugno 2012. (118) Così GOISIS, Il potere di iniziativa dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato ex art. 21-bis l. 287 del 1990: profili sostanziali e processuali, in Dir. proc. amm., 2013, 471 ss. In questo senso v. TAR Lazio, sez. III, 15 marzo 2013, n. 2720, in Foro amm. T.A.R., 2013, 1587, ove si sostiene che l’Autorità « è per legge l’affidataria dell’interesse alla concorrenza, in quanto effettivamente portatrice di un interesse sostanziale protetto dall’ordinamento (nella specie, nella forma dell’interesse legittimo), che si soggettivizza in capo ad essa come posizione differenziata rispetto a quella degli altri attori del libero mercato ». diffusi non esuli dalla discrezionalità del legislatore neppure la possibilità di prevedere i processi a contenuto oggettivo che, come s’è visto, erano stati postulati già nel contesto del dibattito degli anni Settanta. Se però si pone mente agli orientamenti normativi degli ultimi decenni, ci si avvede che di questa possibilità il legislatore sembra essersi avvalso di rado. Un processo a contenuto oggettivo era senz’altro previsto dal codice dei beni culturali nella versione originaria del 2004 dell’art. 146, ma, se si considera che nella giurisdizione del giudice amministrativo processi siffatti costituiscono un’eccezione alla regola generale, la più parte delle altre ipotesi di legittimazione previste dalla legge per la tutela degli interessi diffusi possono essere lette secondo schemi soggettivi: e, in particolare, la più recente tra esse, ossia il ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici. Dal che dunque discende che alla fin fine le tutele apprestate a favore degli interessi diffusi non hanno sovvertito gli assetti consueti del diritto amministrativo sulle posizioni soggettive e sulla loro tutela, perché gli interessi in parola in genere sono stati trasformati in interessi legittimi, la cui titolarità — nel caso degli interessi seriali — è stata riconosciuta contemporaneamente in capo a una pluralità di soggetti, oppure in capo alle aggregazioni sociali individuate come portatrici in base ai diversi sistemi di riconoscimento elaborati dal legislatore. Sicché in luogo del sovvertimento e del superamento dei caratteri dell’interesse legittimo si è verificato piuttosto quell’ampliamento, o quella estensione della figura che sono stati rilevati da tempo dalla migliore dottrina (119). In altri termini, l’impatto degli interessi diffusi sugli assetti consueti delle posizioni soggettive nel diritto amministrativo ha portato non all’abbandono di questi assetti, ma piuttosto al loro aggiornamento e ammodernamento, in particolare perché l’interesse legittimo resta tuttora una posizione giuridica personale, anche se ha perso la tradizionale connotazione di esclusività. Giuseppe Manfredi FONTI. — Sui principi costituzionali a cui dottrina e giurisprudenza hanno ricollegato la tutela di interessi diffusi: art. 1, 2, 3, 24, 18, 32, 113, 118 cost.; sulla partecipazione al (119) Ci si riferisce ovviamente a SCOCA, Interessi protetti, cit., e ID., Contributo sulla figura dell’interesse legittimo, cit. 531 Interessi diffusi e collettivi procedimento amministrativo: art. 9 l. 7 agosto 1990, n. 241; sulla legittimazione delle associazioni ambientaliste: art. 13 e 18 l. 8 luglio 1986, n. 349, art. 13 l. 6 dicembre 1991, n. 394, art. 14 l. 28 dicembre 1993, n. 549, art. 17 l. 15 maggio 1997, n. 127, art. 146 c. beni cult., art. 309 e 310 d. lg. 3 aprile 2006, n. 152; sulla legittimazione delle associazioni dei consumatori e utenti: art. 137, 138, 139, 140 e 141 c. cons.; sulla legittimazione delle associazioni di categoria: art. 4 l. 11 novembre 2011, n. 180; sull’azione di classe: art. 140-bis c. cons.; sul ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici: art. 4 l. 4 marzo 2009, n. 5, art. 1-8 d. lg. 20 dicembre 2009, n. 198. LETTERATURA. — La letteratura sull’argomento è vastissima, per cui qui si forniscono solo i riferimenti bibliografici essenziali, rinviando per il resto alle opere citate nel testo; opere collettanee: Le azioni a tutela di interessi collettivi (Atti del Convegno di studi, Pavia, 11-12 giugno 1974), Padova, 1976; La tutela degli interessi diffusi nel diritto comparato a cura di GAMBARO, Milano, 1976; Rilevanza e tutela degli interessi diffusi: modi e forme di individuazione e protezione degli interessi della collettività (Atti del XXIII Convegno di studi, Varenna, Villa Monastero, 22-24 settembre 1977), Milano, 1978; La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi a cura di LANFRANCHI, Torino, 2003; voci enciclopediche: ALPA, Interessi diffusi, in D. disc. priv., sez. civ., IX, 1993, 609 ss.; DENTI, Interessi diffusi, in Nss. D.I., Appendice, IV, 1983, 305 ss.; FERRARA, Interessi collettivi e diffusi (ricorso giurisdizionale amministrativo), in D. disc. pubbl., VIII, 1993, 481 ss.; SCOCA, Interessi protetti (dir. amm.), in Enc. giur., XVII, 1989; TROCKER, Interessi collettivi e diffusi, ivi; opere monografiche dedicate agli interessi diffusi nella dottrina di diritto amministrativo: ANGIULI, Interessi collettivi e tutela giurisdizionale. Le azioni comunali e surrogatorie, Napoli, 1986; CRESTI, Contributo allo studio della tutela degli interessi diffusi, Milano, 1992; CUDIA, Gli interessi plurisoggettivi tra diritto e processo amministrativo, Rimini, 2012; FEDERICI, Gli interessi diffusi. Il problema della loro tutela in diritto amministrativo, Padova, 1984; LOMBARDI, La tutela delle posizioni giuridiche meta-individuali nel processo amministrativo, Torino, 2008; ROTA, Gli interessi diffusi nell’azione della pubblica amministrazione, Milano, 1998; nella letteratura processualcivilistica sulle azioni collettive e sulle azioni di classe v. DONZELLI, La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, Napoli, 2008; GIUSSANI, Azioni collettive risarcitorie nel processo civile, Bologna, 2008; nonché ID., Azione di classe, in questo Annale, supra, 132 ss., ove si ritrovano completi riferimenti alla letteratura sull’argomento (153 ss.). INTERNET (diritto costituzionale) SOMMARIO: 1. Inquadramento costituzionale. — 2. Il dibattito sulla neutralità di Internet. — 3. Segue: gli interventi volti a garantire il carattere aperto e neutrale di Internet: l’Open Internet Order. — 4. Segue: la disciplina sulla net neutrality in Europa. — 5. Network management e tutela della privacy. — 6. Il ruolo degli intermediari. — 7. Internet e il pluralismo delle fonti informative. 1. Inquadramento costituzionale. — Internet è un sistema formato da reti di computer collegate tra di loro che utilizzano un linguaggio standardizzato (il cosiddetto protocollo TCP/IP) per la trasmissione dei dati. Si tratta dunque di una rete 532 di reti, che mette in collegamento miliardi di persone in tutto il mondo, permettendo ad esse la condivisione di contenuti informativi e di servizi di ogni genere. Le caratteristiche di Internet ne rendono difficile l’inquadramento costituzionale. Si tratta infatti di un mezzo di comunicazione assai diverso da quelli presi in considerazione dai nostri costituenti. La libertà di comunicazione, com’è noto, è disciplinata dalla nostra Costituzione in due distinte disposizioni: l’art. 15 e l’art. 21. Non è possibile procedere in questa sede ad un esame di tali norme e delle complesse problematiche alle stesse collegate. È sufficiente ricordare che l’art. 15 cost., secondo l’interpretazione prevalente, tutela la libertà e la segretezza delle comunicazioni interpersonali, cioè delle comunicazioni dirette ad uno o più soggetti determinati (1). L’art. 21 cost., invece, riguarda le comunicazioni rivolte a un numero indeterminato o fungibile di destinatari (2). Mentre le comunicazioni interpersonali (1) Sulla libertà di corrispondenza cfr. BARILE e CHELI, Corrispondenza (libertà di), in questa Enciclopedia, X, 1962, 743 ss.; DI MAJO, Corrispondenza (diritto privato), ivi, 741 ss.; ITALIA, Libertà e segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni, Milano, 1963; ID., La libertà di corrispondenza, in La pubblica sicurezza a cura di BARILE, Vicenza, 1967, 203 ss.; PACE, in Commentario della Costituzione a cura di BRANCA, Rapporti civili (Art. 13-20), Bologna-Roma, 1977, sub art. 15, 80 ss.; ID., Contenuto e oggetto della libertà di corrispondenza e di comunicazione, in Aspetti e tendenze del diritto costituzionale. Scritti in onore di Costantino Mortati, I, Milano, 1977, 813 ss.; BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna, 1984, 163 ss.; TROISIO, Corrispondenza (libertà e segretezza della), in Enc. giur., IX, 1988; GIOCOLI NACCI, Libertà di corrispondenza, in Trattato di diritto amministrativo diretto da SANTANIELLO, XII, Padova, 1990, 107 ss.; PACE, Problematica delle libertà costituzionali. Parte speciale, Padova, 1992; CERRI, Telecomunicazioni e diritti fondamentali, in Dir. inform., 1996, 785 ss.; CARETTI, Corrispondenza (libertà di), in D. disc. pubbl., IV, 1989, 200 ss.; SALERNO, La protezione della riservatezza e l’inviolabilità della corrispondenza, in I diritti costituzionali a cura di NANIA e RIDOLA, I, Torino, 2001, 417 ss.; VALASTRO, Libertà di comunicazione e nuove tecnologie, Milano, 2001; ID., Il futuro dei diritti fondamentali in materia di comunicazione dopo la riforma del Titolo V, in Diritti, nuove tecnologie. trasformazioni sociali. Scritti in memoria di Paolo Barile, Padova, 2003, 860 ss.; CARETTI, Diritto dell’informazione e della comunicazione. Stampa, radiotelevisione, telecomunicazioni, teatro e cinema, Bologna, 2005; DONATI, in Commentario alla Costituzione a cura di BIFULCO, CELOTTO e OLIVETTI, I, Torino, 2006, sub art. 15, 369 ss. (2) Sulla libertà di informazione la bibliografia è sterminata. Tra la letteratura costituzionalistica italiana cfr. CARETTI, Diritto dell’informazione e della comunicazione, Bologna, 2013; ZACCARIA, VALASTRO e ALBANESI, Diritto dell’informazione e della comunicazione, Padova, 2013; PACE e MANETTI, La libertà di manifestazione del proprio pensiero, in Commentario della Costituzione fondato da BRANCA, conti-