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ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITÁ DI BOLOGNA SCUOLA DI LETTERE E BENI CULTURALI Corso di laurea in Storia TITOLO DELLA TESI Heim ins Reich! Le opzioni in Valcanale nel 1939 Tesi di laurea in Storia dell’Italia Contemporanea Relatore Prof: Marica Tolomelli Presentata da: Alessandro Ambrosino Sessione seconda Anno accademico 2013-2014 2 INDICE Introduzione 5 1. Una strada, tre confini 9 1.1. Le particolarità geografiche di una valle alla triplice frontiera 9 1.2. La storia del Canal del Ferro/Valcanale. Una storia di frontiera (I° parte) 13 1.3. La storia del Canal del Ferro/Valcanale. Una storia di frontiera (II° parte) 20 2. La vicenda delle opzioni del 1939 29 2.1. L’insediamento dello stato italiano e l’affermazione della politica fascista 29 2.2. L’avvicinamento alla politica nazista e l’arrivo alla radicale soluzione delle opzioni 34 2.3. Lo svolgimento delle opzioni in Valcanale 40 3. Conseguenze economiche e sociali delle opzioni 51 3.1. Il ruolo dell’Ente Nazionale Tre Venezie 51 3.2. L’acquisizione dei beni dell’Ente Nazionale Tre Venezie da parte dei friulani e il cambiamento socio-culturale della valle 57 Conclusione 65 Allegati 67 Bibliografia 73 3 4 INTRODUZIONE Di norma, se si nasce e si cresce sempre nello stesso ambiente, ci si dimentica, o addirittura non si scopre nemmeno, che esso può rivelare particolarità o caratteri unici nel suo genere ed è solo “uscendo” e confrontandosi con altri modelli culturali e sociali che ci si accorge di quanto, in realtà, questi caratteri sono importanti nella formazione del singolo e nel suo modo di rapportarsi con l’esterno. Una volta liberi dai “legacci” dell’assuefazione ci si confronta anche in maniera diversa verso il proprio territorio e cambia anche il modo di percepire il suo universo culturale, trasformato dall’essere un convenzionale modo di agire ad un interessante terreno di studi per capire quali processi del passato si sono susseguiti e hanno contribuito a creare il mondo in cui si è abituati a vivere. È stato proprio il desiderio di conoscenza delle vicende storiche delle località da cui provengo che mi ha spinto ad analizzare uno dei periodi più tragici della sua storia contemporanea, ovvero la questione delle Opzioni del 1939, un evento che non solo ha cambiato radicalmente la vita di chi è stato oggetto della faccenda, ma che ha anche avuto conseguenze di lungo termine sulla componente etnico-culturale degli abitanti delle zone coinvolte in questo “problema”. Tuttavia, prima di concentrarmi specificatamente sul tema della tesi, la notevole perifericità della mia regione rispetto al resto dell’Italia e la scarsa conoscenza del suo passato mi hanno spinto ad esporre, in sintesi, un primo capitolo di descrizione “storico-geografica” in cui ho delineato le peculiarità del territorio oggetto della mia tesi, il quale si trova all’esatto punto di congiunzione dei tre confini di Austria, Slovenia e Italia, ovvero la parte più nordorientale del Friuli-Venezia Giulia. Si tratta di una regione montagnosa e ricca di diverse tradizioni che hanno concorso a formare quella vallata che oggi viene chiamata Canal del Ferro-Valcanale. Una zona estremamente interessante sotto diversi punti di vista, fra cui spiccano quello etnico, in quanto la regione è il punto d’incontro di tre culture, tre lingue e tre diversi modelli di vita, ma anche quello storico poiché, essendo una regione di confine, la geopolitica qui ha giocato sempre un ruolo di rilievo. La frontiera, costante nella storia della valle, fin dall’inizio dei tempi ha accompagnato le vicende della popolazione che abita in queste terre e ha significato soprattutto una netta linea di separazione amministrativa. Le varie potenze che si confrontarono da una parte e dall’altra, spesso in maniera violenta, tentarono continuamente di spostarla, ma per oltre 900 anni essa rimase più o meno stabile, finché, nel 1919, l’Italia, vincitrice della Prima Guerra Mondiale, 5 ampliò i suoi confini fino al Brennero e in tutta la Venezia Giulia, di conseguenza anche il piccolo territorio della Valcanale entrò nell’orbita italiana. È da questo punto che sono partito per capire, innanzi tutto, come si rapportarono gli abitanti della parte germanica della valle, abituati da secoli a far riferimento al mondo austro-tedesco, all’amministrazione e al modo di agire italiano appena insediatosi e organizzatosi nelle modalità decise dalla dittatura fascista, decisamente ostile alle minoranze, instaurata da Benito Mussolini. In seguito, ho ritenuto necessario analizzare quali eventi internazionali giocarono un ruolo di rilievo nel processo di avvicinamento politico fra l’Italia e la Germania, dove nel frattempo un altro dittatore, Adolf Hitler, aveva imposto il suo fanatico pensiero. In un contesto di politiche europee volte a discriminare, o meglio, annullare in toto le minoranze culturali nel tentativo di omologare tutti gli abitanti di uno Stato e trasformarli in un’unica massa da guidare grazie al carisma di un solo uomo, i “tedeschi” del Sudtirolo, e di conseguenza i “tedeschi” della Valcanale, furono etichettati come un “problema politico” da risolvere. Fu in questo clima che i due dittatori si accordarono, nel 1939, per fare in modo che questa gente fosse costretta a optare, ovvero decidere se trasferirsi definitivamente nel terzo Reich e ricongiungersi con il mondo tedesco ma abbandonando ogni legame con la loro terra, oppure rimanere in Italia e, implicitamente, abbandonare ogni legame culturale con l’universo tedesco dal quale provenivano. Vittime, quindi, di scelte politiche molto più grandi di loro, questi “optanti” furono costretti a compiere una scelta tragica ed a ricominciare una nuova vita lontani da dove erano nati e cresciuti. Lo scopo del secondo capitolo è quindi comprendere come e perché i valcanalesi optarono, cosa si aspettassero dalla nuova Patria e che apparato burocratico venne realizzato per agevolare i trasferimenti e gli ufficiali cambi di cittadinanza. Nel terzo e ultimo capitolo, infine, mi sono concentrato sulla questione delle proprietà degli optanti e sulle conseguenze sociali e culturali della vicenda delle opzioni. Dapprima, grazie all’analisi di documenti inediti conservati all’Ufficio Tavolare di Pontebba, ho cercato di capire che ruolo ebbe nella vicenda l’ente pubblico creato apposta per l’occasione e che si occupò della gestione delle proprietà cedute, mentre nella seconda parte ho cercato di capire chi e perché decise di comprare questi immobili, se fossero stati a conoscenza del perché quelle case erano state vendute e come mai si potevano ottenere così facilmente. La scoperta del fatto che la maggioranza di queste abitazioni fosse stata comprata da friulani delle poverissime valli limitrofe, che poi si sono effettivamente trasferiti in una valle completamente estranea alla loro cultura, mi ha spinto a raccogliere alcune interviste per 6 capire se questi “nuovi arrivati” si fossero adattati facilmente oppure no al nuovo ambiente e che rapporto si fosse stabilito fra i tedeschi rimasti e la nuova componente italo-friulana. Insomma, nonostante la “Grande Storia” fosse passata lontana da questo piccolo territorio, alcuni suoi effetti si sono fatti sentire in maniera significativa, lasciando conseguenze ancora ben visibili. Chiarire le cause, sostanzialmente, è quello che ho cercato di fare, nella speranza di aver trasmesso la verità. 7 8 1. UNA STRADA, TRE CONFINI La Valcanale dalle origini al 1918 1.1. Le particolarità geografiche di una valle alla triplice frontiera Lo spartiacque alpino, da sempre considerato il confine naturale fra le regioni del nord-centro Europa e i territori mediterranei, divide in due grandi sezioni, quella settentrionale e quella meridionale, l’intera catena alpina principale dando origine a diversi corsi d’acqua. Questi torrenti d’alta montagna, ingrossandosi e trasformandosi in fiumi, si dirigono, genericamente, in due direzioni: quelli meridionali, dopo un percorso relativamente breve, si gettano nei grandi fiumi della Francia e dell’Italia, trovando pace nel mar Mediterraneo o nell’Adriatico. Quelli settentrionali sono invece indirizzati ad altri lidi: il Mare del Nord, oppure, dopo un tranquillo seppur lunghissimo percorso nelle terre danubiane, nel Mar Nero. Tuttavia, mentre nei Balcani, a sud, l’imponente mole delle Alpi Dinariche divide in maniera nitida ed inequivocabile i due mari, sulle Alpi Orientali questa linea separatrice è spesso sfumata e di difficile individuazione. In questa regione i ghiacciai e i lunghi tempi geologici hanno levigato ed abbassato le creste alpine creando facili e bassi passaggi da una parte all’altra collegando due regioni apparentemente lontane: la pianura friulano-veneta ed il Carso. A queste due aree geografiche vanno aggiunti i maestosi rilievi delle Alpi Giulie, ultime vestigia delle grandi altezze che si raggiungono proseguendo verso occidente se si segue la catena alpina. Precisamente in questo territorio l’incontro comune fra i mondi mediterraneo, alpino ed illirico crea, in una regione particolarmente circoscritta, un ambiente di confine in cui materia, vita e natura formano singolari opposizioni e peculiari collegamenti. Sempre utilizzando i fiumi come punto di riferimento, ma restringendo il campo visivo al territorio compreso fra il corso della Drava e le Alpi Giulie, si individuano tre corsi d'acqua che da qui defluiscono: ad ovest il Fella (La Fele), maggiore affluente del Tagliamento (Tiliment) e compreso nel bacino Adriatico, ad est la Sava, affluente diretto del Danubio, e, stretta fra i due, il piccolo torrente Slizza (Gailitz) che, superando di slancio la cresta delle Alpi Carniche e delle Caravanche e raggiunta la piana austriaca, subito successiva, si getta prima nella Gail ed in seguito nella Drava. 9 Il territorio ad ovest dello Slizza si chiama Valcanale (Kanaltal-Kanalska dolina-Valcjanâl). Suo punto culminante è la sella di Camporosso (Saifnitz-Zabniče-Cjampros) che, con i suoi 804 metri d’altezza, è la sella spartiacque più bassa delle Alpi. Ad ovest di essa il Fella segue il suo corso per circa trenta chilometri fino al punto in cui riceve le acque del torrente Pontebbana, presso Pontebba, dove, curvando energicamente verso sud s’inoltra nello stretto e sovrastante Canal del Ferro (Eisental-Cjanâl dal fier) per proseguire verso il Tagliamento e poi giù, verso la pianura friulana. Ad est la valle si eleva impercettibilmente verso un altro valico: la piana di Rateče, in Slovenia, dove ha origine la Sava, mentre a sud di detta sella si scontra con lo spartiacque di Sella Nevea (Na Zlebe-Nevee) (1195 mt.), situata alla fine della periferica ma pittoresca valle di Cave del Predil (Raibl – Rabelij) e circondata dai meravigliosi massicci dello Jôf di Montasio (2752 mt.) e del Canin (Kanin) (2592 mt.). Adagiata quindi fra le impressionanti e minacciose creste delle Alpi Giulie a sud e le relativamente più dolci cime delle Alpi Carniche a nord, la Valcanale presenta alcuni caratteri delle ben più larghe valli austriache e altoatesine ma, allo stesso tempo, può essere considerata, in linea di massima e con le dovute e importanti precisazioni delle differenze, una valle dalle caratteristiche geografiche simili alle strette e profonde valli friulane limitrofe. Sia la vallata principale, sia le valli secondarie sono di origine glaciale e si sono formate grazie all’azione erosiva dei ghiacci; si presentano con la caratteristica forma a “U” e numerosi laghi, fra cui il lago di Raibl che è il più importante della zona e i suggestivi laghi di Fusine (Weißenfels-Bela Peč/Fužine-Fusinis). Nel corso del tempo l’azione fisico-dinamica degli agenti atmosferici, in particolare le piogge e l’erosione dei fiumi, ha rimodellato le forme lasciate dal ghiaccio rendendo i valloni molto più angusti. La particolare forma delle cime, tondeggianti sul lato settentrionale e aguzze a sud, ha un’origine geologica: le Alpi Carniche sono molto più antiche delle Alpi Giulie, non presentano fenomeni carsici e le rocce che le compongono sono di tutt’altro tipo rispetto ai bianchi calcari delle altre cime e per questa ragione sono molto più smussate e arrotondate. In Valcanale avviene anche lo scontro fra due differenti placche tettoniche: la placca adriatica e la placca euroasiatica. I loro movimenti hanno causato nel corso dei secoli numerosi e distruttivi terremoti. Da citare sicuramente il rovinoso terremoto di Villach del 1348, violento quasi quanto quello del Friuli del 1976 e quelli del 1511 e del 1692. Naturalmente, la questione geologica della Valcanale è un argomento particolarmente complicato, e sicuramente questa non è la sede adatta a discuterne, ma un piccolo appunto va inserito sottolineando la composizione geologica del M. Re, nella valle di Raibl. Esso è composto di un “calcare metallifero” al cui interno vi è « Il più grande e importante 10 giacimento piombo-zincifero dell’Italia continentale, noto già in epoca preromana: il giacimento di Raibl, presso Cave del Predil ».1 Come tre mondi naturali trovano qui la loro sintesi, allo stesso modo in questa regione si incontrano anche tre differenti regioni climatiche: i climi continentali tipici delle regioni austriache e slovene si scontrano con le ultime propaggini dei climi mediterranei che risalgono il Fella e le montagne lateralmente alla valle di Raibl provocando continui sbalzi di temperatura. Sopra di essi, il rigido clima alpino condiziona l’attività umana in quota: « qui i limiti altimetrici, rispetto ai settori alpini occidentali, vanno abbassati di 400-500 metri. In pratica, se in Piemonte la neve in primavera si è già sciolta dai 1500 metri di quota in giù, nel Tarvisiano la possiamo trovare già ai 1000 metri ».2 In compagnia degli sbalzi di temperatura e degli scontri fra il famoso Föhn e i venti caldi del sud, portatori di temporali, giungono anche le precipitazioni che in questa valle si manifestano con particolare forza. Con gli oltre 3000 mm annui l’alto Friuli si colloca al primo posto in Europa nella classifica delle località più piovose 3. Inoltre, la composizione calcarea della maggior parte delle rocce fa sì che le montagne siano piuttosto franose e di conseguenza, quando le piogge sono più frequenti e violente, l’acqua può provocare anche gravi alluvioni che da sempre preoccupano gli abitanti. Martin Wutte, geografo e storico carinziano attivo negli anni ‘30, regala un’efficace descrizione di quegli elementi naturali che ben contraddistinguono questo territorio caratterizzato da profonde fratture e feroci opposizioni che, naturalmente, si riflettono anche dal punto di vista culturale: Verwitterung und Steinschlag, Wasser und Eis haben Formen geschaffen, die jene der nördlichen Kalkalpen übertreffen, den Dolomiten änlicher, aber ernster und wuchtiger sind. […] Hier schlingen sich breite Bänder um riesige Felsleiber, dort brechen glatte Wände in gähnende Tiefen ab; der verwegene Blick kann in dämmerige Schluchten von unwahrscheinlicher Wildheit dringen, während über steinernen Kanzeln das blendende Licht der Höhen wabert. Leblose HochkarstEinöden, Schlachtfelder elementarer Gewalten, wechseln mit Plätzen lieblicher Geborgenheit.4 1 IL TARVISIANO, a cura di Pietro Treu, Tarvisio, Azienda autonoma di soggiorno, 1974 p.73. PAOLINI F, Escursioni nel tarvisiano, Chiusaforte, Ed. la Chiusa Società Cooperativa, 2013, p. 3. 3 Cfr: IL TARVISIANO, a cura di Pietro Treu, Tarvisio, Azienda autonoma di soggiorno, 1974, pp. 77-82. 4 WUTTE M, Das Kanaltal - La Valcanale, Klagenfurt, Verlag des Geschichtsvereines für Kärnten, 2009, p. 21. Trad, pp. 44-45[Disfacimenti e crolli di rocce, acqua e ghiaccio hanno creato forme che superano quelle presenti nelle Alpi calcaree site a nord della valle, più simili ma anche più severe e imponenti delle Dolomiti. […] Qui le larghe catene si avvinghiano a gigantesche figure di roccia, là le pareti levigate precipitano in buie profondità. Lo sguardo audace è in grado di penetrare in orridi crepuscolari di inusitata bellezza selvaggia, mentre su pulpiti di pietra tremola la luce delle altitudini. Deserti carsici privi di vita, campi di battaglia degli elementi primitivi, si alternano a luoghi sicuri e graziosi.]. 2 11 Proprio a causa di queste aspre peculiarità naturali lo sviluppo e l’evoluzione delle attività umane non è mai stato facile. In Valcanale quasi tre quarti del territorio sono costituiti da boschi, terreni disabitati o non adatti all’agricoltura e le valli laterali che la circondano sono: « fra le più profonde delle Alpi »5. La logica conseguenza, dal punto di vista antropologico, è che anche gli insediamenti umani sono collocati piuttosto in basso e quasi tutti, eccezion fatta per Cave del Predil (Raibl), ma solo per via della sua ricchezza mineraria, si situano sulla direttiva della valle principale. Partendo dal valico confinario di Coccau (Goggau-Kokava-Cocau), localizzato proprio nell’avvallamento dove le Alpi Carniche si legano con la catena delle Caravanche, si trova la località più importante: la città di Tarvisio (Tarvis-Trbiž-Tarvis), da sempre storico punto di transito e snodo commerciale. Successivamente superando Camporosso e scendendo verso Udine, si susseguono una serie di località che si sono sviluppate sugli stretti spazi pianeggianti adiacenti al greto del Fella in modo da sfruttare lo scarso terreno agricolo ponendosi fuori dall’incombente ombra delle cime delle Alpi Giulie. I paesi sono: Malborghetto (Malborgeth-Naborijet-Malborghet), Valbruna (Wolfsbach-Ovčjia Vas- Valbrune), Ugovizza (Uggowitz-Ukve-Ugovize), Bagni di Lusnizza (Lussnitz-Lusnize), San Leopoldo (Leopoldskirchen-Lipalija Vas-La Glesie) ed infine Pontafel, paese di confine della Valcanale, ora facente parte del comune di Pontebba (Ponteibe) in base agli accordi presi alla fine della Prima Guerra Mondiale. Naturalmente, la scelta di sviluppare degli insediamenti proprio nelle rare piane alluvionali in cui gli affluenti del fiume Fella vanno ad ingrossare le sue acque presenta dei rischi particolari sia naturali, sia prettamente antropici che non possono essere evitati e con cui da sempre i valcanalesi devono convivere: […]in der Folgezeit haben hier mehr Schicksale als in anderen Alpengauen – Unsicherheit im Grenzgebiet und Kreisläufe, Feuer – und Wassernot, wirtschaftlicher Wechsel und Verkehrsumgestaltung – Ortschaften vernichtet und wieder aufgebaut, ihre Bedeutung gehoben und gesenkt6 Dunque, sfavorito dalla geografia naturale, soggetto ad un continuo rischio di dissesto idrogeologico, oppresso da continue escursioni termiche che impediscono ai terreni produzioni in grande quantità e, dal punto di vista etnico-politico, perennemente sottoposto ad invasioni, scorrerie, razzie e guerre sembrerebbe che un territorio così martoriato non avesse 5 Ibid, p. 45. Ibid, p. 28 Trad, p. 52[Nei tempi successivi i destini si modificarono qui maggiormente che in altre regioni alpine a causa dell’insicurezza nel territorio di confine, di scorrerie belliche, di miserie dovute ad incendi e ad alluvioni, di cambi d’ordine economico e di mutamenti del traffico. Paesi furono distrutti e poi nuovamente ricostruiti; la loro importanza aumentò o diminuì.]. 6 12 potuto sviluppare una cultura e una comunità stabile; invece la popolazione della valle è sopravvissuta nel corso secoli e ancora oggi assolve il compito al quale è stata chiamata in origine, ovvero operare come ponte fra le tre diverse culture, slava, tedesca e latina, che tutt’ora formano la base dell’intero continente europeo. Una regione di frontiera davvero unica nel suo genere e che, proprio per queste particolarità, attira studiosi e ricercatori in ogni campo, dalla geologia all’entomologia passando, ovviamente per la storia politica ed economica. 1.2. La strada del Canal del Ferro-Valcanale. Una storia di frontiera (I° parte) Dalle origini all’istituzione del vescovado di Bamberg (1007) Delineare la storia del territorio del Canal del Ferro e della Valcanale significa narrare la storia di una strada, dell’evoluzione delle sue dogane e dei cambiamenti geopolitici che si sono susseguiti lungo questa direttiva che da tempi immemorabili collega le regioni del nord Europa con le regioni mediterranee. Il già citato Martin Wutte, nella sua guida “Das Kanaltal” offre un’interessante introduzione che merita di essere riportata quasi interamente perché ben illustra i motivi per cui il territorio della Valcanale presenta delle particolarità confinarie davvero uniche:7 In vierfacher Hinsicht ist das Kanaltal Grenzgebiet: geographisch, völkisch, kulturell und politisch. Geographisch gehört es nach Lage und Lebensbedingungen ohne Zweifel zum inneralpinen Raum. […] In völkischer Hinsicht berühren sich an den Julischen Alpen seit dem frühen Mittelalter Deutsche, Slowenen und Friauler, zuletzt Italiener, somit die Hauptvölkergruppen Europas: Germanen, Slawen und Romanen. Bis zum Ende des Weltkrieges war das Kanaltal weit überwiegend deutscher, zum geringer Teil slowenischer Volksboden und beherbergte nicht einen einzigen bodenständigen Italiener. Scharf schieden sich Deutsche und Italiener an der alten Staatgrenze zwischen dem rein deutschen Pontafel und dem rein italienischen Ponntebba. Kulturell wurde das Kanaltal fast ausschiließlich von Norden her beeinflusst. Die Volksgrenze bei Pontafel war eine ebenso scharfe Kulturgrenze. Politisch endlich war das Kanaltal vom früher Mittelalter bis zum Frieden von St. Germain der südlichste Grenzstreifen und ein unbestrittener Teil des zum deutschen Norden gehörigen Herzogturms Kärntens. Wenn schon die Staatsgrenze infolge der größeren staatenbildenden Kraft des Nordens zeitweise hinunter in die Po-Tiefebene vorrückte, so war doch die 7 Per approfondimenti sugli usi e i costumi dei valcanalesi si veda: MIGGLAUTSCH K, INGOMAR P, Das Kanaltal und seine Geschichte, Klagenfurt, K3, 1995. 13 Südgrenze des Kanaltales: Pontebbanabach – Kamm der Julischen Alpen bis Predil, durch mehr als ein Jahrtausend auch die Südgrenze Kärntens, ausgenommen eine dreijährige Unterbrechung in der napoleonischen Zeit. Nicht nur in der Natur, sondern auch als Volks- und Kulturgrenze fest verankert, bewies sie eine Beständigkeit, wie sie in Europa einer Grenze nur selten zukommt. 8 Sostanzialmente si parla di un’asse viario che nel corso dei secoli ha mantenuto intatta la sua importanza sia come via di passaggio e di scambio fra merci dal nord, dalla pianura italica e dalle regioni illiriche, sia come frontiera fra culture e tradizioni diverse spesso contrapposte anche violentemente. Tuttavia, come scrive Latino Fuccaro, importante storico locale: « Bisogna tener presente che un confine non è sempre una linea di demarcazione inviolabile e di scontro, anzi, nei momenti in cui le armi tacciono diventa un punto di proficui scambi sia economici che culturali. Gli eserciti si scontrano, ma le genti spesso s’incontrano dando origine a contaminazioni dai risultati inaspettati ».9 « Le tracce più antiche della presenza umana in Friuli sono databili più o meno dal V. millennio a.C. »10 e sicuramente l’uomo ha abitato queste anche valli persino durante le fasi interglaciali sebbene i ritrovamenti di reperti che potrebbero documentare più approfonditamente questo periodo sono scarsi. « Selci lavorate sono state rinvenute nella zona dei laghi di Fusine e a Cave del Predil. Nel 1821 venne trovata presso Riofreddo un’ascia litica […] che secondo gli esperti potrebbe datarsi alla fine del Neolitico. […] Nel 1865 fu trovata a Vidali di Dogna una spada a doppio taglio […] databile alla media-piena età del bronzo. Questa traccia potrebbe farci pensare che la via del fiume Fella […] fosse frequentata stabilmente fin dal secondo millennio avanti Cristo ».11 8 WUTTE M, op, cit, p. 79. Trad, p. 93 [La Valcanale è una zona di confine da quattro punti di vista: geografico, etnico, culturale e politico. Dal punto di vista geografico appartiene per la sua ubicazione e per le sue condizioni di vita alla zona alpina interna. […] Dal punto di vista etnico vi s’incontrano sin dal primo medioevo Tedeschi, Sloveni, Friulani ed infine Italiani, ossia i principali ceppi dei popoli d’Europa: Germani, Slavi e Romani. Fino alla fine della guerra mondiale la Valcanale era un territorio abitato da una preponderante maggioranza tedesca, in numero meno consistente da quella slovena e da neppure un nativo italiano. Nitidamente i tedeschi e gli italiani erano divisi dal vecchio confine tra la Pontafel tedesca e la Pontebba esclusivamente italiana. Dal punto di vista culturale la Valcanale era influenzata quasi esclusivamente dal nord. Il confine di popoli presso Pontafel era nel contempo un preciso confine culturale. Infine dal punto di vista politico la Valcanale era fin dal primo medioevo al trattato di San Germano la zona di confine più meridionale e la parte più contesa del Ducato della Carinzia, appartenente al nord tedesco. Se come conseguenza della più consistente forza di formazione degli stati del nord il confine dello stato avanzava temporaneamente giù nella pianura padana, la linea meridionale di delimitazione della Valcanale – dal rio Pontebbana alla cresta delle Alpi Giulie fino al passo del Predil – rimase da oltre un millennio anche il confine meridionale della Carinzia, fatta eccezione per un’interruzione di tre anni durante il periodo napoleonico. Ben consolidata, non soltanto nella natura ma anche come confine etnico e culturale, essa dimostrò la sua stabilità come raramente accade ad altro confine d’Europa.]. 9 FUCCARO L, DANELUTTO A, Chiusaforte e la val Raccolana dalle origini ai giorni nostri, Chiusaforte, La Chiusa edizioni, 2011, p. 7. 10 DOMENIG R, Malborghetto- Valbruna; comune in Valcanale, Udine, Ed. del Confine, 2003, p. 15. 11 Ibid, p. 15. 14 Già alla luce di questi pochi dati si riscontra in maniera evidente quel carattere di vallata di transito che resterà incollata al territorio del Canal del Ferro-Valcanale fino ai giorni nostri. La strada principale di collegamento è stata chiamata in vari modi a seconda dell’utilizzo che ne è stato fatto nel corso dei secoli: in origine veniva chiamata “Via dell’ambra” perché la preziosa merce proveniente dal Baltico raggiungeva i porti dell’Adriatico oppure “Via del Sale”, quando la merce richiesta era il salgemma che veniva estratto in Alta Austria nella località di Hallstatt, la quale si sviluppò e diede origine ad una grande civiltà proprio grazie al commercio di questo indispensabile conservante naturale. « Infine, quando dalle miniere della vicina Carinzia ha cominciato a giungere il ferro, ha preso il nome di Via del Ferro e tutt’ora la vallata12 è conosciuta come Canal del Ferro ».13 In assenza di reperti storici che possano confermare quanto si teorizza, ci si aiuta con lo studio della toponomastica.14 L’analisi dei nomi delle località più importanti della valle conferma quanto rimane dubbioso riguardo l’origine dei primi abitanti stabili della valle e rivela una chiara origine celtica degli insediamenti « Presso gli antichi scrittori greci e romani compaiono con i nomi di Carni, Gallo-Carni, Taurisci e Norici».15 In particolare il toponimo di Tarvisio è di chiara origine celtica (Tarvos significa Toro)16 mentre Tito Livio descrive la regione del Friuli come Carnorum regio cioè “regione abitata dai Carni”17. Quando i romani, nel 181 a. C. fondarono la colonia di Aquileia e intrapresero la conquista delle regioni a nord di essa si trovarono a confrontarsi con tribù già da molto tempo stanziate in loco. Le relazioni con i Norici, nome con cui queste numerose e diverse popolazioni venivano indicate dai romani, furono relativamente cordiali anche se i territori più refrattari alla romanizzazione vennero definitivamente sottomessi solo grazie alle campagne di Augusto nel 15 a. C. Il periodo romano merita un piccolo approfondimento a causa di un problema di localizzazione. Proprio a Camporosso furono ritrovati parecchi resti romani e questo fa pensare ad una possibile stazione di sosta sulla Via Julia Augusta, la strada romana che, in periodo imperiale, da Aquileia portava a Virunum, capitale della provincia del Noricum, 12 Da Pontebba in giù [N.d.A.]. FUCCARO L, DANELUTTO A, Chiusaforte e la val Raccolana dalle origini ai giorni nostri, Chiusaforte, La Chiusa edizioni, 2011, p. 5. 14 Un’importantissima pubblicazione in tal senso è: Legami fra una terra e la sua gente, toponomastica del comune di Chiusaforte, a cura di FUCCARO L, DANELUTTO A, Comune di Chiusaforte, 2004. 15 IL TARVISIANO a cura di Pietro Treu, Tarvisio, Azienda autonoma di soggiorno, 1974. 16 Legami fra una terra e la sua gente, toponomastica del comune di Chiusaforte, a cura di FUCCARO L, DANELUTTO A, Comune di Chiusaforte, 2004, p. 36. 17 T. LIVIO, Ab Urbe Condita Libri, XL, 54. 13 15 attuale Maria Saal, nei pressi di Klagenfurt. Però l’identificazione di questo punto di sosta si è rivelato di non facile interpretazione. Bisogna tener presente che le strade romane erano organizzate in modo che i viaggatori potessero sempre trovare un punto di rifornimento ogni qualvolta ne avessero avuto bisogno e questa distanza era calcolata in circa XXX miglia nel caso di strade agevoli e in XXIII miglia in caso di strade pericolose o insicure. Le “stazioni” della Via Julia Augusta sono elencate in uno stradario anonimo chiamato Itinerarium Antonini, giunto a noi in una forma redatta all’epoca di Diocleziano ma che in realtà deriva da una copia più antica risalente all’epoca di Caracalla e stilata in base a fonti datate all’epoca di Augusto. L’anonimo compilatore, descrivendo l’intero itinerario, nomina la località di Ad TricensimumViam Belloio collocando la stazione di sosta presso Tricesimo, nei dintorni di Udine, XXX miglia a nord di Aquilea, dopodiché cita la Mansio Larice, una stazione di sosta posta XXIII miglia a nord di Viam Belloio, in territorio montano e identificata con Chiusaforte mentre successivamente riporta le località di Santicum, attuale Villach, e Virunum, rispettivamente dopo XXIII miglia e XXX miglia. Tuttavia, analizzando la distanza fra Aquileia e Klagenfurt si nota che mancano XXX miglia all’appello. Uno studioso, Luciano Bosio, si è occupato di risolvere questo problema giungendo alla conclusione che il compilatore avesse per sbaglio lasciato cadere una tappa, calcolando XXIII miglia anziché XXX prima della stazione di Larice e tralasciando una stazione di posta localizzata fra Larice e Santicum. Questa tappa viene collocata proprio a Camporosso ed indicata con il nome di Statio Bilachiniensis ed in questo modo i conti dell’intera distanza tornano ad essere precisi in quanto si susseguono XXX miglia da Tricesimo a Chiusaforte, XXIII miglia da Chiusaforte a Camporosso e poi nuovamente XXIII miglia fino a Villach.18 In aggiunta a questi dati va ricordato che sia la località di Chiusaforte sia la località di Camporosso hanno restituito importanti testimonianze romane: lapidi, steli e parecchie monete di epoca imperiale. Inoltre, la stazione di sosta di Larice era preceduta da un posto di dogana, la Statio Plorucensis, identificata con Resiutta. Alla luce di queste prove si conferma anche in epoca romana il carattere di confine del luogo, conclude Bosio: « In tal modo abbiamo lungo questa strada la presenza di un portorium in 18 Cfr: BOSIO L, La strada romana da Aquilea a Virunum in Tarvis, ats dal 68n Congres, Udine, Societât Filologjiche Furlane, 1991, pp. 25-32. 16 territorio italico (Resiutta), di una linea di confine fra la X Regio (=Italia) e il Noricum (Chiusaforte), e di una stazione doganale in territorio norico (Camporosso) ».19 L’equilibrio politico-economico che garantiva la pacifica convivenza ai confini dell’Italia venne bruscamente interrotto con le invasioni dei Quadi e dei Marcomanni, penetrati nel 167 d. C. nella pianura friulana proprio grazie a questa agevole via. In quell’occasione Roma fu capace di resistere all’urto anche grazie alle doti tattiche e strategiche di Marco Aurelio, ma si trovò completamente inerme durante il IV sec. d. C. quando orde di barbari discesero in Italia per il facile valico di Camporosso e per le vie laterali del Predil e del cividalese annientando quanto restava dell’agonizzante impero. Fra queste popolazioni vanno citati i Longobardi che calarono in Italia nel 568 d. C. e fondarono il Ducato del Friuli. Recentemente l’insediamento longobardo di confine, la Meclaria di Paolo Diacono, è stato individuato a Thörl Maglern, a pochi chilometri oltre il confine italiano. Un secolo dopo è il turno dell’invasione degli Avari e degli Slavi alpini o Vendi. Questi si rivelarono immediatamente dei vicini scomodi per i Longobardi i quali si trovarono a dover lottare per difendere le fertili pianure friulane da queste popolazioni bellicose. Respinti gli Avari oltre le Alpi, i Vendi, messi dai longobardi in condizione di non nuocere, andarono ad occupare i territori delle valli alpine rimasti semivuoti istituendo il ducato della Carantania che comprendeva sia la Carinzia sia la Valcanale confinando con il ducato longobardo. Probabilmente questi pastori-agricoltori furono i primi abitanti a fondare degli insediamenti stabili nelle valli dopo parecchi secoli, tuttavia, mentre in Carnia e nel Canal del Ferro, nonostante i numerosissimi toponimi ancora presenti, l’elemento slavo venne con il tempo assorbito dall’elemento friulano, in Valcanale esso si radicò, rimase vivo e, contaminandosi nel corso dei secoli con le popolazioni friulane e carinziane, diede origine a quel caratteristico ceppo windisch, stanziatosi nelle località di Zabnice, Ukve e Lipalija Vas (Camporosso, Ugovizza e San Leopoldo), le quali ancora oggi sono abitate da minoranze slovene. 20 In ogni caso, a parte pochi e confusi dati, la storia tace su questo tormentato periodo; la larga strada romana venne lasciata a sé stessa e le alluvioni la cancellarono, le varie stazioni di sosta, insieme con gli insediamenti, furono abbandonate e non vennero più citati i nomi latini. L’unico barlume di civiltà si conservò grazie alle sedi ecclesiali, ma quando anche Julium carnicum, centro di riferimento religioso dell’alto Friuli, fu abbandonata, solo Aquileia mantenne il potere spirituale. 19 Ibid, pp. 30-31. Sull’origine del termine windisch si rimanda a: RADO L, The terms Wende-Winde, Wendisch -Windisch in the historiographical tradition of the Slovene land, Slovene studies, 2008, p. 93-97. 20 17 La città di Aquileia fu già dal III sec. d. C. uno dei massimi centri di diffusione del cristianesimo nel nordest italiano e nell’est europeo. Col tempo la sua importanza e la sua forza politica si accrebbero e, soprattutto grazie alle numerose donazioni longobarde, nell’VIII secolo era una delle realtà temporali e spirituali più importanti della zona. La diocesi di Aquileia, retta da un Patriarca autonomo da Roma e in diretto contatto con Costantinopoli, riusciva ad amministrare un territorio molto vasto, che andava dalla parte occidentale della pianura friulana, al Cadore, fino alla Stiria, infatti fu grazie all’azione dei primi patriarchi che le popolazioni windisch vennero cristianizzate. Successivamente ai Longobardi si sostituirono i Franchi e quando Carlo Magno fu incoronato imperatore del Sacro Romano Impero nell’800 d. C. l’Europa si trovò nuovamente unita sotto un’unica politica imperiale. Fu un periodo di rinascita culturale e le politiche di riorganizzazione burocratica dei territori permisero una gestione pubblica più efficace. Fra le riforme del periodo va citata quella di ridefinizione dei confini del potere spirituale delle varie diocesi fra cui quella di Aquileia all’interno del ducato di Carantania, il quale venne diviso fra i territori a nord della Drava, facenti riferimento alla diocesi di Salisburgo, e quelli a sud che divennero parte della diocesi di Aquileia. Tuttavia questo clima di rinascita era destinato a non durare a lungo. Alla morte di Carlo Magno il Sacro Romano impero venne spartito fra i suoi figli e iniziò un periodo di lotte dinastiche. Alla fine di quel periodo che viene definito “Anarchia Feudale” Ottone I imperatore, dopo essere riuscito ad emergere all’interno della lotta per il trono imperiale, istituì il Ducato di Carinzia unendo il vecchio Ducato di Carantania, la Marca del Friuli, trasformata in contea, la Marca di Verona e altre realtà minori, « fu da allora che il nostro territorio iniziò a gravitare nell’ambito tedesco, mentre si veniva a delineare quello che poi sarebbe stato il confine con il Friuli ».21 Gli Ottoni cercarono, in questo modo, di legare più strettamente il nord Italia all’Impero in modo da tenere libero il passaggio verso la Penisola. A questo scopo, in piena lotta per le investiture, se da un lato essi unirono le varie entità statali in un unico ducato di diretta dipendenza imperiale, dall’altro mantennero oculatamente buoni rapporti con i patriarchi di Aquileia elargendo nel corso del tempo numerose donazioni che andarono a formare la base per il futuro sviluppo del potere temporale. In questo periodo il Patriarcato rimase saldamente in mano a vescovi-guerrieri di origine tedesca che si premurarono di garantire il sostegno 21 DOMENIG R, Malborghetto-Valbruna, comune in Valcanale, Udine, Ed. del Confine, 2003, p. 20. 18 all’imperatore in cambio di protezione. In questo modo Aquileia ampliò grandemente la sua autonomia politica ponendosi non solo come un interlocutore di pari livello dei ducati germanici all’interno della compagine del Sacro Romano Impero ma anche come la più grande e prestigiosa entità statale del nord Italia del periodo. Nel 1077, con diploma imperiale datato 3 aprile, l’imperatore Enrico IV, dopo l’umiliazione di Canossa, per premiare la fedeltà del patriarca Sigeardo, uno fra i pochi vassalli ad essere rimasto sempre devoto all’imperatore, gli donò in feudo l’intera contea del Friuli, fregiandolo del titolo di Principe. « È la nascita nel nuovo stato patriarcale, destinato a durare più di tre secoli, fino al 1420 ».22 Il confine del Patriarcato di Aquileia venne fissato al ponte sulla Pontebbana, dividendo in questo modo la Pontebba patriarcale dalla Pontafel imperiale. Raimondo Domenig descrive in sintesi ciò che invece pochi anni prima era accaduto dall’altro lato del ponte: Il primo novembre 1007 l’imperatore Enrico II […] fondò il Vescovado di Bamberg in Franconia. Per renderlo effettivo lo dotò di beni regali e proprietà anche lontane. […]. Dalla prima ora fecero parte in Carinzia della dotazione del Capitolo il circondario attorno al transito del fiume Drau (Villach), quello attorno al transito sul fiume Gail (Federaun), Arnoldstein e gli importanti passi alpini di Camporosso e del Predil. […]. Il 14 febbraio 1014, in occasione della sua incoronazione a Roma, Enrico II stilò un atto con cui donava al Capitolo tre località […] difficilmente identificabili. In quel particolare momento storico c’era l’interesse da parte dell’imperatore di mettere in sicurezza i passi alpini delle Alpi Orientali per motivi politico-strategici. Questo interesse, assommato a quello delle mude (dogane) poteva essere esercitato solo da un vassallo fedelissimo come il vescovo bamberghese. Iniziò da allora la storia della presenza del Capitolo in valle. Il potere spirituale […] appartenne alla diocesi di Aquileia.23 In questo particolare contesto storico la storia della strada del Canal del Ferro-Valcanale smette di essere storia di confine e diventa storia di frontiera. Le due realtà si trovarono stabilmente delimitate ed iniziò un periodo di precisa differenziazione politica destinata a durare fino alla prima guerra mondiale. 22 FUCCARO L, DANELUTTO A, Chiusaforte e la val Raccolana dalle origini ai giorni nostri, Chiusaforte, La Chiusa edizioni, 2011, p. 29. 23 DOMENIG R, Malborghetto-Valbruna, comune in Valcanale, Udine, Ed. del Confine, 2003, p. 21. 19 1.3. La strada del Canal del Ferro-Valcanale. Una storia di frontiera (II° parte) Dalla fondazione del Capitolo alla fine della Grande Guerra (1918) Mentre a sud di Pontebba il Patriarcato di Aquileia amministrava la regione storica del Friuli e riscuoteva la tassa della muda al neonato castello della villa di Chiusa (attuale Chiusaforte), inserita, insieme a tutto il Canal del Ferro all’interno dei territori del ricco feudo benedettino di Moggio, a nord la Valcanale rientrava nei domini del Capitolo Bamberghese, la cui storia in valle è lunga ben 752 anni. « Villach era il centro delle proprietà bamberghesi in Carinzia e da lì era esercitato il controllo del cosiddetto “transito o strada trasversale”, la via di collegamento tra le regioni tedesche e il mercato di Venezia »24. A causa dell’enorme distanza che incorreva fra Bamberg e la Carinzia, venne deciso di istituire degli amministratori autonomi che gestissero le proprietà carinziane, dapprima da Villach ed in seguito da Wolfsberg. Gli amministratori della Valcanale risiedevano, invece, a Federaun, località a ridosso della Gail, sulla strada che conduce a Villach; da ciò la definizione di Herrschaft Federaun, ovvero Signoria di Federaun, che venne data alla Valcanale. A Tarvisio, in epoca più tarda, fu insediata una della figure più importanti nell’ambito della gestione delle proprietà del vescovado: il Maestro dei boschi o Waldmeister il quale amministrava l’immensa foresta demaniale di proprietà vescovile. La foresta di Federaun, successivamente identificata come “Foresta di Tarvisio” è tutt’ora la foresta demaniale più grande d’Italia e la sua millenaria storia vide diversi cambiamenti di gestione, dai vescovi bamberghesi al rinnovamento burocratico compiuto dagli Asburgo nel 1757, che comunque non cancellava la proprietà ecclesiastica, fino al passaggio al Fondo Edifici di Culto del Vaticano e, successivamente al Ministero degli Interni. Tutt’ora i documenti di proprietà e di utilizzo comune sono pubblici e visionabili all’ufficio Tavolare del comune di Pontebba, che ancora lavora utilizzando un sistema di catalogazione degli atti catastali risalente a Maria Teresa d’Austria25. Essendo questa foresta un bene privato ma utilizzabile con precise concessioni anche dalla comunità, era necessario registrare i tributi che i sudditi dovevano pagare. Questo « strumento 24 DOMENIG R, Museo etnografico Palazzo Veneziano, Malborghetto, Ed. Comunità Montana del Gemonese, Canal del Ferro-Valcanale, 2006, p. 12. 25 FRANCESCUTTI M, Mille anni di storia della Val Canale e della sua foresta, Reana del Rojale, 1990. 20 tecnico di gestione era il libro chiamato urbario (Urbar) »26 il quale ci è giunto perfettamente integro ed è un importantissimo documento per lo studio della storia locale medioevale. « Con l’avvento del Capitolo, accanto alle preesistenti comunità slovene, si stabilirono in Valcanale famiglie tedesche della Franconia e della Carinzia, che formarono i primi nuclei dei paesi con connotati tedeschi, Malborghetto e Tarvisio in Particolare »27. Durante i secoli XII-XVI la vita degli abitanti della valle migliorò sensibilmente grazie ai fiorenti commerci di piombo, ferro, pelli e sale, in questo modo anche le vie di comunicazione furono potenziate e gli insediamenti della valle si consolidarono. Fra questi assunsero ruoli particolari Pontafel, paese di confine, Malborghetto, vitale centro industriale, e Tarvisio, snodo commerciale e località di afflusso dei minerali da Raibl. La vivacità commerciale della valle, naturalmente, non finiva con il paese di Pontafel. A sud di esso il Patriarcato, nel 1342, aveva concesso a Pontebba la fiera annuale dell’8 settembre, mentre la Libera comunità di Gemona e il comune di Venzone, cittadelle fortificate a sud della muda di Chiusa, stavano ingrandendo le loro ricchezze proprio grazie ai commerci che giungevano da nord e si avviavano a diventare i più ricchi e prestigiosi territori dell’alto Friuli. In questo periodo la cultura tedesca si era estesa ampiamente anche nell’area friulana. Scrive Martin Wutte: Das Spital Ospedaletto bei Gemona war in Leopoldskirchen, das Benediktinerinstitut Moggio, eine Gründung des Grafen Kazelin (Koseform für Kadalhoh) im unteren Gailtal begütert. […] Unvergleichlich stärker waren dagegen die Beziehungen Kärntens und der anderen Ostalpen zu Friaul. Die Generalkapitäne von Friaul […] stammten in 13. Und 14. Jahrhundert durchaus aus Kärnten. […] Die herrschende Oberschicht, vom Patriarchen angefangen, war lange Zeit durchaus deutsch. Deutsche Kaufleute fanden sich in allen größeren Orten. […]28 In questo contesto di fiorente economia, però, entrambe le realtà politiche che si fronteggiavano sul ponte della Pontebbana cercavano di ingrandire i loro domini in modo da estendere il loro predominio economico. 26 Ibid, p. 13. Ibid, p. 13. 28 WUTTE M, op, cit, p. 83. Trad, ibid, p. 95-96 [L’ospedale di Ospedaletto presso Gemona si trovava a S. Leopoldo. Il convento benedettino di Moggio, una fondazione del conte Cacellino (Kazelin, vezzeggiativo di Kadalhoh) aveva ottenuto beni della valle inferiore del Gail. […] In maniera imparagonabile erano più forti i rapporti della Carinzia e delle altre regioni orientali delle Alpi con il Friuli. I Capitani generali della Piccola Patria […] provenivano nel 13° e 14° secolo esclusivamente dalla Carinzia. […] Lo strato sociale dominante, ad iniziare dai Patriarchi, fu per lungo tempo esclusivamente tedesco. Commercianti tedeschi si trovavano in tutte le maggiori località[…]. 27 21 « I primi contrasti tra il Capitolo bamberghese, titolare del potere temporale, e il Patriarcato, titolare di quello spirituale, sorsero a causa di una situazione di possesso poco chiara a S. Leopoldo. Qui l’ospedale di S. Maria dei Colli di Gemona aveva proprietà e propri sudditi. La vicenda si risolse […] a favore di Bamberg. […] Un’incursione, di cui ignoriamo i contorni, avvenne sul territorio patriarcale il 25 maggio 1361. […] Una prima vera e propria incursione in valle avvenne nel 1368 ».29 In particolare quest’ultima scorreria vide le truppe patriarcali invadere la Valcanale e incendiare Malborghetto, allora Bonborghetto. I Patriarcali vennero battuti, ma il villaggio era semidistrutto. « La distruzione e il momento economico negativo conseguente potrebbero essere un motivo per cui Bonborghetto divenne poi Malborghetto. […] Il 23 luglio 1380 […] nel nome del paese il prefisso mal aveva già sostituito il bon ».30 Chiudiamo questo primo periodo di dominazione del Capitolo con un evento naturale: nel 1348, nel pieno dell’epidemia della Peste, un disastroso terremoto con epicentro a Villach e citato in documenti storici di tutta Europa seppellì 17 villaggi e rase al suolo la città provocando il crollo della montagna del Dobratsch, sovrastante il centro. Danni ingenti si ebbero anche in Valcanale, dove la strada principale fu chiusa per due anni, inoltre Venzone e Gemona furono distrutte e solo l’oculata politica del Patriarca Bertrando permise una rapida ricostruzione degli insediamenti e il restauro della rocca della Chiusa.31 In ogni caso, la ripresa economica fu rapida: « La metà del XIII sec. e soprattutto la fine del XIV. Sec. furono contrassegnati da numerose concessioni di fucine per la lavorazione del ferro. […] I due centri principali della valle, Tarvisio e Malborghetto, iniziarono fin da allora ad essere distinti dal punto di vista amministrativo dagli altri villaggi; rispettivamente nel 1456 e nel 1473 furono elevati a paesi […] con diritto di mercato, da cui la denominazione di Markt Tarvis e Markt Malborghet ».32 Nel frattempo il Patriarcato di Aquileia, incapace di risolvere i dissidi fra la fazione che guardava agli imperiali e la fazione rivolta ad ampliare i commerci verso la Serenissima, si trovò sempre più pressato fra la potenza asburgica e le mire espansionistiche di Venezia. L’Impero ne approfittò per stringere relazioni con la città di Cividale, conquistare la Chiusa di Plezzo, gemella della Chiusa del Canal del Ferro ma costruita a difesa del passo del Predil e della valle dell’Isonzo, e trasformare il Patriarcato in una pedina nella guerra contro Venezia 29 QUADERNI DEL MUSEO, SOTTO IL PASTORALE TEDESCO, a cura di Lara Magri, Malborghetto, pubblicazioni del Museo Etnografico Palazzo Veneziano di Malborghetto, 2012, pp. 15-16. 30 DOMENIG R, Malborghetto-Valbruna, comune in Valcanale, Malborghetto, Ed. del Confine, 2003, p. 28. 31 Un approfondimento sulla storia della Chiusa nel periodo patriarcale ed in seguito veneziano si trova in: FUCCARO L, DANELUTTO A, Chiusaforte e Raccolana dalle origini ai giorni nostri, Chiusaforte, Ed. La Chiusa, 2011. 32 DOMENIG R, Museo etnografico Palazzo Veneziano, Ed. Comunità Montana del Gemonese, Malborghetto, Canal del Ferro-Valcanale, 2006, p. 13. 22 che, nello stesso periodo, si stava pericolosamente espandendo nel nordest. Alla fine: « nel 1420 la Repubblica di Venezia decretò la fine dello stato patriarcale. D’ora in poi le Alpi Carniche e Giulie separarono l’area di dominio asburgico da quella della città lagunare ».33 Con questa data cessò ogni tipo di intromissione politica imperiale nel territorio friulano, il quale entrò nell’orbita politica italiana distinguendosi fortemente dalla Valcanale che restò saldamente in mano austriaca. Anche i veneziani si rivelarono dei vicini scomodi; una prima incursione avvenne nel 1435 ed anche in questo caso Malborghetto fu devastato nonostante la sconfitta delle truppe veneziane. In ogni caso il pericolo maggiore durante il XV secolo non fu Venezia, che spesso si rivelò per la valle il più importante partner commerciale, bensì i turchi che, dalla seconda metà del secolo, presero di mira il Friuli e la Carinzia compiendo diverse scorrerie. Nel 1478 i cavalleggeri di Kandhar Pascià distrussero i paesi della Valcanale e del Canal del Ferro ma, trovandosi di fronte alla fortezza della Chiusa, decisero di risalire per il passo di Lanza, valicando nella valle della Gail. Tarvisio, in questo stesso periodo, divenne la città più ricca della valle grazie all’istituzione della muda di Tarvisio bassa. Con i soldi guadagnati la città rinforzò le sue difese e fortificò la chiesa principale.34 Pochi anni dopo, nel 1509, nell’ambito delle guerre d’Italia, furono gli imperiali ad invadere il territorio in mano alla Repubblica di Venezia. In questa occasione si distinse il forte della Chiusa che resistette a quattro giorni d’assedio e – con l’aiuto di Antonio Bidernuccio e i suoi 40 archibugieri di Venzone venuti a soccorrere i poveri abitanti della Val Raccolana – riuscì a mettere in rotta l’intera armata del duca di Brunswick lasciando sul greto del Fella oltre 4000 morti35. Per tutto il ‘500 brevi periodi di pace si alternarono ad importanti movimenti di truppe mentre la direttiva della Valcanale perdeva di importanza in favore delle vie atlantiche; nel 1532, diretto verso l’Italia transitò l’esercito di Carlo V. Ottantamila uomini si riversarono nella valle e questo significò per tutti un periodo di prosperità perché fu necessario provvedere al vettovagliamento di tutta l’armata. Il torrente Pontebbana, nello stesso periodo, si trovò ad essere anche un confine religioso, divise, infatti, le regioni in cui attecchì la dottrina luterana da quelle in cui la cultura cattolica restò del tutto predominante. Parecchie Bibbie luterane vennero segnalate a Malborghetto e a 33 M. WUTTE, op, cit, p. 97. Per approfondimenti sulla storia di Tarvisio in età moderna si veda: DOMENIG R, Tarvisio Fioritura e sviluppo di una cittadina tra il 15° e il 17° secolo, Tarvisio, Ed. Comune di Tarvisio, 2007. 35 Uno studio approfondito su questo particolare fatto storico è pubblicato in: Bidernuccio Antonio viva! La difesa della Chiusa (1509), bollettino dell’associazione “Amici di Venzone”, Venzone, 2009. 34 23 Tarvisio anche a causa dell’incertezza della fede nelle alte sfere del vescovado. Solo la controriforma sradicherà la presenza luterana in Carinzia. Il XVII secolo incominciò con una nuova guerra fra l’Austria e Venezia per l’egemonia sul mare adriatico. Nel contesto delle “guerre gradiscane” nel 1616 gli imperiali discesero il Canal del Ferro con l’intenzione di raggiungere Gemona ma vennero nuovamente fermati alla Chiusa, da poco restaurata. Il contrattacco veneziano non tardò a farsi sentire e le truppe della Serenissima arrivarono a distruggere il mercato di Malborghetto e ad occupare la Valcanale. Tuttavia l’occupazione non si consolidò e il confine venne riportato alla Pontebbana. In ogni caso, in tutta Europa il ‘600 fu un secolo di crisi, se confrontato con i fasti del ‘400 e del ‘500. Anche sulla strada del Canal del Ferro-Valcanale, ormai via commerciale periferica rispetto ai ben più veloci scambi marittimi e del Brennero, mancò un rinnovamento dei traffici e sia dalla parte veneziana sia dalla parte imperiale le descrizioni dei pellegrini e dei mercanti riportano paesaggi miseri, desolati e squallidi36. In questi secoli ci furono scontri e tensioni con il Feudo di Moggio per i confini in Val Saisera e a Sella Nevea, confini molto più imprecisi rispetto al corso del fiume Pontebbana. In un contesto in cui gli stati europei cercavano di accentrare il potere nelle mani di un’unica istituzione, la presenza di un Capitolo all’interno dell’impero asburgico non poteva essere ben vista in quanto era una sorta di “stato nello stato”. Dopo il primo documento del Rezess del 1535, in cui si decise che all’interno del collegio giudicante bamberghese dovessero sedere anche tre giudici carinziani, si arrivò all’Ewige Rezess, o recesso eterno, in cui il vescovo di Bamberg, d’accordo con l’imperatore Leopoldo I, cedeva la sovranità territoriale in cambio di un indennizzo: « Al capitolo rimasero le proprietà individuali, come le foreste »37. Nel 1719 l’istituzione del porto franco di Trieste dirottò i traffici lungo la direttiva ViennaLubiana-Trieste, lasciando da parte la Valcanale. Successivamente l’ampliamento della strada nel 1748 non portò la rinascita sperata e la crisi finanziaria del Capitolo si aggravò anche a causa di carestie ed alluvioni. Alla fine, dopo che il Capitolo era stato prosciugato da quasi ogni finanza e privato di ogni potere: « nell’anno 1759 il vescovo Adamo Seinsheim aliena tutti i beni della Signoria Federaun all’imperatrice Maria Theresia. […] Così viene a cessare ogni ingerenza dei vescovi di Bamberga nella vallata.[…] Cessato il dominio bamberghese, 36 Cfr: QUADERNI DEL MUSEO, SOTTO IL PASTORALE TEDESCO, a cura di Lara Magri, Malborghetto, pubblicazioni del Museo Etnografico Palazzo Veneziano di Malborghetto, 2012, DOMENIG R, Tarvisio, fioritura e sviluppo di una cittadina tra 15° e 17° secolo, ed. comune di Tarvisio, Tarvisio, 2007, FUCCARO L, DANELUTTO A, op, cit, p. 73 e seg. 37 DOMENIG R, op, cit, p. 34. 24 troviamo nella valle una situazione stabilizzata. La popolazione italiana 38 in parte si è ritirata oltre Pontebba, in parte viene assimilata; quella tedesca si è concentrata a Tarvisio, a Cave, a Fusine, a Malborghetto, a Lusnizza, a Pontafel; quella slovena resta fissa nei villaggi originari: Camporosso, Valbruna, Ugovizza, S. Leopoldo ».39 Le politiche di Maria Teresa riorganizzarono le proprietà del Capitolo inserendole nel contesto del Ducato di Carinzia e dell’Impero Asburgico. Il cambiamento più importante riguardò il potere spirituale poiché la valle venne aggregata alla diocesi di Gurk nel 1787, dopo che nel 1751 il Patriarca di Aquileia era stato esautorato e la sua diocesi divisa fra Gorizia e Udine. In ogni caso, pochi anni dopo, fu l’armata di Napoleone Bonaparte a sconvolgere del tutto gli equilibri della valle40. Nel 1797 L’armata del Generale, dopo aver sconfitto prima Venezia e poi ripetutamente gli austriaci, risalì il Canal del Ferro combattendo presso Casasola, poco a sud del passo della Chiusa41, ed in seguito, raggiunto ed espugnato Tarvisio, si spinse fino a Leoben, dove venne firmata la resa austriaca. Pochi mesi dopo, con il trattato di Campoformido, scomparve la secolare Repubblica di Venezia e l’intero Friuli venne assegnato all’Austria. Successivamente, nel 1809, dopo che nel 1805 Napoleone venne incoronato Re d’Italia e sconfisse gli austriaci ad Austerlitz, ci fu la seconda presenza napoleonica in valle. In quell’occasione si svolsero i fatti bellici « che culminarono tra il 15 e il 17 maggio al forte di Malborghetto e tra il 16 e il 18 maggio al forte del Predil con la sconfitta imperiale »42. In quell’occasione si distinse il comandante Friederich Hensel che cadde in battaglia dopo quattro giorni di strenua resistenza. Il suo sacrificio sarà ricordato nel monumento eretto dall’imperatore Ferdinando I e ancora visibile sotto l’altura che sostiene i resti del forte. A seguito della vittoria di Napoleone la Valcanale venne inserita per la prima volta in una cornice italiana; dopo un passaggio nel Regno d’Illiria fu unita al Regno d’Italia. La parentesi napoleonica fu importantissima per riorganizzare il catasto in quanto le mappe di Napoleone sono quelle tutt’ora usate e reperibili all’ufficio tavolare di Pontebba. Nel 1814, con il congresso di Vienna, la Valcanale rientrò nell’orbita tedesca e con lei tutto il nord Italia dal Friuli alla Lombardia, inquadrato nel Regno Lombardo Veneto. Famiglie friulane e italiane erano attestante a Malborghetto già dal ‘300 ma l’assimilazione era ormai già avanzata. 39 IL TARVISIANO a cura di Pietro Treu, Tarvisio, Azienda autonoma di soggiorno, 1974. 40 Per analisi del periodo Napoleonico in valle si veda: FORAMITTI P, 1797- la guerra in Friuli, Udine, Ed. Comune di Udine, 1997. Un approfondimento sulle memorie del generale Thiebault, comandante dell’armata che risalì il Canal del Ferro è pubblicato in: AMBROSINO F, verso la vittoria, Udine, Ed. del Confine, 2009. 41 AMBROSINO F, Verso la vittoria, Udine, Ed. del Confine, 2009, p. 151. 42 DOMENIG R, Malborghetto-Valbruna, comune in Valcanale, Udine, Ed. del Confine, 2003. 38 25 Si apriva così un secolo di enormi stravolgimenti industriali e grandi potenziamenti delle infrastrutture. La strada per Venezia, sempre sullo stesso tracciato da millenni, venne ampliata e vistosamente allargata fra il 1833 e il 1853 anche se questo provocò la demolizione, nel 1836, dell’antica rocca della Chiusa, considerata obsoleta e d’intralcio alla circolazione. Il 1848 fu anche nel Canal del Ferro un anno di tensioni. Gli eventi noti come “resistenza di Pontebba” possono essere collocati nell’ambito di quei moti insurrezionali per la richiesta d’indipendenza che accendevano il vicino Lombardo-Veneto. Tuttavia, nonostante la sconfitta dei rivoltosi, il 1848 portò importanti conseguenze non solo ai sudditi friulani, ma anche agli abitanti della Valcanale sia perché vennero accantonate le Signorie e i sudditi si trasformarono in cittadini sia perché si definirono le norme per la legislazione comunale. Nel 1866 il plebiscito per l’annessione del Friuli al Regno d’Italia comportò una ridefinizione delle frontiere che vennero mantenute sul ponte della Pontebbana, ora divenuto un ponte internazionale. Questa frontiera rimarrà la stessa fino alla Prima Guerra Mondiale. Alla fine dell’800 la nuova ferrovia rudolfiana Villach-Pontafel, collegata con il troncone italiano Udine-Pontebba, sconvolse gli equilibri della valle e catapultò gli abitanti dei villaggi nel mondo del lavoro europeo grazie alle possibilità di emigrazione e di spostamenti fra un lato e l’altro del fiume di frontiera. Anche l’ultima proprietà del Capitolo bamberghese, la foresta di Federaun, passò nel 1886 in mani private, venduta dal conte Zinneberg al Fondo di religione della Carinzia. L’equilibrio fra Regno d’Italia e Impero austroungarico si ruppe in maniera irreparabile con la Prima Guerra Mondiale. Sia la Valcanale, sia il Canal del Ferro si trovarono a ridosso della linea del fronte e le conseguenze per gli insediamenti furono devastanti. Le postazioni di artiglieria italiane, posizionate nelle valli di Dogna e Raccolana, località più comode e utili strategicamente, bombardarono l’intero territorio della valle radendo al suolo tutti i paesi, il forte Hensel di Malborghetto ed anche il santuario del monte Lussari, una delle istituzioni religiose più antiche e sacre della valle. La maggior parte dei Kanaltaler (valcanalesi) venne evacuata e poté ritornare nella valle solo dopo il 1917. Anche dalla parte italiana gli abitanti delle valli di Raccolana e Dogna, localizzate proprio sulla prima linea, furono costrette all’evacuazione e il territorio si trasformò per 4 anni in una zona di guerra alpina.43 Dopo lo sfondamento di Caporetto e la definitiva vittoria italiana a 43 Le pubblicazioni che trattano il periodo della Prima Guerra Mondiale nelle valli del Fella sono numerosissime e facilmente reperibili. Fra le più importanti citiamo i lavori di: AICHINGER J, Le Alpi Giulie e Carniche durante la Grande Guerra a cura di TONAZZI D, Ed. Saisera, Valbruna, 2004, Chiusaforte e Raccolana, due 26 Vittorio Veneto, le truppe italiane occuparono la Valcanale, destinata così, insieme alle regioni dell’Alto Adige, di Trieste, di Trento e dell’Istria a far parte del Regno d’Italia. Finiva così la storia di una frontiera consolidata da oltre mille anni e il plurisecolare confine di Pontebba venne spostato al valico di Coccau, dove rimase fino al 1995, anno dell’ingresso dell’Austria nella UE. piccoli comuni nella Grande Guerra, Ed. Saisera Valbruna, 2004. SCRIMALI F, La Grande Guerra in Val Dogna, Ed. Panorama, 2004. PUST I, Il fronte di pietra, Mursia, 1985. 27 28 2. LA VICENDA DELLE OPZIONI DEL 1939 La Valcanale fra le due guerre Tra intolleranza e integrazione 2.1. L’insediamento dello Stato italiano e l’affermazione della politica fascista Le truppe italiane si affacciarono oltre il ponte sulla Pontebbana il 4 novembre 1918. Due giorni dopo furono a Tarvisio e si impossessarono di tutte le infrastrutture della valle. È facile intuire il senso di disorientamento che colse i valligiani, abituati da generazioni a far riferimento alla Carinzia per tutti i servizi e i commerci, quando si resero conto che l’occupazione italiana non sarebbe stata solo temporanea. In ogni caso essi furono giocoforza obbligati a confrontarsi senza indugio con la nuova amministrazione provvisoria, nell’attesa di una decisione definitiva che, comunque, fin dal primo momento sembrò sfavorevole a un ritorno del territorio nell’orbita del dominio austriaco. Quella che si presentava ai reparti italiani era una vallata profondamente segnata dagli eventi bellici: la popolazione che era stata evacuata nel 1915, all’inizio delle operazioni militari, stava lentamente ritornando nei paesi ma molti di questi erano in condizioni pietose e anche le attività economiche erano state quasi del tutto abbandonate. La valle, dopo quattro anni di guerra, era stata completamente devastata e gli abitanti erano stremati anche a causa dei saccheggi attuati da parte di formazioni ungheresi sbandate durante la ritirata austro-ungarica. Agli ufficiali italiani era affidato il compito di gestire una situazione alla quale si poteva far fronte solo cercando di instaurare subito buoni rapporti con gli abitanti, traumatizzati non solo dalle devastazioni ma anche dal radicale e improvviso cambio amministrativo e linguistico – culturale. La prima descrizione dell’arrivo delle truppe italiane è in un periodico di Klagenfurt: il Freie Stimme (Voce Libera) che, il 29 novembre 1918 così scriveva: Dopo la partenza delle nostre truppe in ritirata, nella quale gli ungheresi si concessero ancora alcuni scampoli di disonore e infamia, furono completamente abbandonati al saccheggio i magazzini erariali […]. Attualmente a Tarvis e dintorni è stanziata la Brigata mista italiana «Porto Mauricia», forte di 6000 uomini al comando del generale Luzzato, l’aiutante del quale è il sottotenente 29 Fandutti. Tutti e due mostrano, nei confronti della popolazione, cortesia amichevole e s’impegnano in maniera ammirevole per appianare i contrasti. Tra i soldati italiani domina una disciplina ferrea, gli ufficiali si sforzano di parlare tedesco […]. Il coprifuoco per la truppa è fissato per le ore 19 […] e sono previste gravi sanzioni per i trasgressori. Regna la tranquillità in città e nel circondario. […]. Secondo i racconti di alcuni ufficiali l’Italia avanza il suo diritto sul Kanaltal e anche sul territorio di Tarvis e Raibl.44 Effettivamente i tempi erano ormai maturi perché il governo italiano presentasse le sue richieste per prendere ufficialmente possesso del territorio. I lavori del corpo diplomatico di stato cominciarono subito dopo l’armistizio di Villa Giusti il 4 novembre del 1918. Il 18 gennaio 1919 fu convocata a Versailles la Conferenza di Pace, ma solo dal 19 aprile si iniziò a discutere le rivendicazioni italiane. Il compromesso finale si trovò con il trattato di SaintGermain nel settembre dello stesso anno. A tal proposito, estremamente utile per analizzare in che modo si giunse alla definizione dei confini nel territorio della Valcanale sulla base della sua utilità strategica e per capire il significato dei primi momenti dell’amministrazione italiana, è lo studio di Alessandro Pennazzato: « Gli incartamenti che è stato possibile consultare per il Kanaltal hanno quasi tutti caratteristiche comuni: [gli italiani] dovettero puntare prevalentemente su aspetti pratici e concreti, su valutazioni economiche e militari, lasciando inizialmente in ombra il richiamo all’antica presenza romano-latina e veneziana ».45 La linea assunta dalla delegazione italiana prevedeva un’applicazione letterale del Patto di Londra, firmato quattro anni prima, tuttavia si scontrò con le tesi del presidente americano Wilson, il quale ridimensionò le richieste dell’Italia sui confini ad est e soprattutto sui territori dalmati. Anche la Valcanale sembrò rientrare in questo ridimensionamento ma una missiva del generale Diaz impedì che le trattative sfavorissero le richieste dell’Italia: La conca di Tarvis costituisce, com’è noto, una vera e propria breccia aperta nella muraglia alpina che forma il nostro limite naturale. Ed invero dalla conca di Tarvis per la facile sella di Predil un esercito nemico può scendere direttamente alla conca di Plezzo […] e proseguire verso la pianura friulana mentre dalla stessa conca di Tarvis, per l’ampia sella di Saifnitz e per le minori di Sompdogna e Nevea si scende direttamente per la Carnia aggirando così in un sol colpo tutte le difese […]. Il possesso della conca di Tarvis è dunque indispensabile alla nostra difesa […] ed è pertanto indispensabile che essa ci sia attribuita in tutta la sua estensione.46 PENNAZZATO A, Kanaltal-Valcanale: dall’amministrazione austriaca a quella italiana (novembre 1918 – ottobre 1922), in “Qualestoria”, Anno XXV, n. 2, dicembre 1997, pp. 3-4. 45 PENNAZZATO A, op, cit, p. 11-12. 46 Archivio di Stato, Trieste, Commissariato Generale Civile della Venezia Giulia, Atti di Gabinetto, b. 12. 44 30 Nel corso della conferenza e nell’anno successivo vi furono alcuni tentativi da parte austriaca di modificare l’accordo ma la risposta internazionale, influenzata anche dal problema della creazione del nuovo Regno dei Serbi, Croati e Sloveni ad est, fu fredda e la Valcanale fu annessa "sic et simpliciter" al Regno d’Italia. Iniziò così il processo di riconversione della burocrazia imperiale e gli abitanti della valle, volenti o nolenti, dovettero abituarsi al radicale mutamento amministrativo.47 Una delle prime mosse del Regno fu quella di riorganizzare gli enti pubblici dei territori conquistati: innanzitutto la valle entrò a far parte della Provincia del Friuli, in seguito suddivisa fra Provincia di Udine e Provincia di Gorizia, e il Commissariato civile del distretto di Tarvis, istituito provvisoriamente il 10 febbraio 1919, fu sostituito nel 1922 da una Sottoprefettura che venne definitivamente trasferita a Pontebba l’anno seguente. La pretura distrettuale austriaca divenne nel 1920 pretura italiana, sottoposta al Tribunale circolare di Gorizia. Circa un migliaio di abitanti decisero di trasferirsi nella neonata Austria, usufruendo di un diritto stabilito in una clausola del Trattato di Saint-Germain, ma la maggior parte di essi accettò la cittadinanza italiana. Superati i primi caotici momenti iniziali la Valcanale iniziò a sperimentare la gestione italiana. I valligiani, abituati a ben altra organizzazione, furono traumatizzati: In breve tempo la presenza italiana portò con sé l’afflusso di “regnicoli” negli enti pubblici, nei corpi militari, nelle ferrovie, nelle dogane, nelle scuole, nell’industria e nel commercio locale, passati da un giorno all’altro in mani estranee. A guidare un processo dolce e graduale di assimilazione avrebbe dovuto provvedere una neo installata e robusta burocrazia italiana. Alla luce dei risultati conseguiti possiamo invece affermare che essa non fu di prima scelta come sarebbe stato necessario. Anzi, fu spesso contrassegnata da scarsa competenza e formata da personale impreparato a gestire un territorio che avrebbe necessitato di personale esperto sotto il profilo giuridico, storico e linguistico.48 Varie testimonianze di questo sconvolgente stravolgimento sociale sono contenute nelle interviste raccolte da Lara Magri per l’”Archivio della Memoria” del Museo Etnografico Palazzo Veneziano di Malborghetto. Un esempio tra i più significativi è il racconto di Karl Migglautsch, classe 1920 di Pontafel: Intervistatrice: Come sono stati accolti gli italiani a Pontafel dopo la prima guerra mondiale? 47 48 Cfr: PENNAZZATO A, op, cit, p. 25-29. DOMENIG R, Italiani al confine orientale 1918-1943, Udine, Aviani & Aviani editori, 2011, p. 25. 31 Karl Migglautsch: Mah! Erano famiglie prolifiche […] provenienti dal meridione, soprattutto trasferiti per motivi disciplinari; molti erano socialisti, comunisti e sono stati confinati, come si diceva. Insomma li hanno trasferiti al confine per punirli. […] E questi erano i nostri vicini. Loro non capivano noi e noi non capivamo loro. […] Questa era la tragedia: non si aveva l’aiuto della cultura, come si dice.49 Nello stesso periodo in cui in Valcanale e negli altri territori annessi al regno i nuovi sudditi si confrontavano con modelli amministrativi completamente nuovi, Benito Mussolini, con la Marcia su Roma, metteva fine allo stato liberale, già da tempo in crisi, e instaurava la dittatura fascista. Cavalcando l’onda del patriottismo e del nazionalismo il Duce si adoperò perché nei territori appena conquistati la politica fascista s’imponesse con forza ancora maggiore: « Con l’avvento del fascismo nell’ottobre del 1922 si poteva dire praticamente conclusa qualsiasi possibilità di vertenza dialettica o democratica tra lo stato italiano e le popolazioni annesse».50 Si iniziò così a parlare di “alloglotti” e “allogeni”, due termini che il fascismo userà per indicare rispettivamente: « persone di uno stesso territorio, che parlano o documentano una lingua diversa da quella ufficiale della maggioranza » e « Cittadini di stirpe ed eventualmente di lingua, tradizione o di religione diverse rispetto quella esistente nello stato nazionale ».51 Il primo e più violento attacco alle minoranze presenti in Italia, in un ottica di politica di discriminazione delle differenze culturali che ormai prendeva piede in tutta Europa, fu l’italianizzazione dei toponimi ad opera di Ettore Tolomei, uno fra i più ferventi sostenitori dell’idea di italianizzazione immediata di tutte le Terre Irredente, il quale fu incaricato di redigere una traduzione ufficiale dei toponimi delle regioni annesse in modo da restaurare una supposta e forse artificiale romanità del territorio. Fiumi, monti, laghi, ma anche nomi e cognomi vennero “trasposti”, a volte anche in maniera errata, e fu categoricamente vietata ogni espressione in lingua “straniera”52 in modo da omologare i nuovi territori con il resto del Paese. Il secondo atto fu la riorganizzazione della scuola pubblica e degli uffici, elemento fondamentale da considerare se si tenta di modificare radicalmente l’universo culturale di un gruppo etnico: « con l’introduzione della riforma scolastica di Giovanni Gentile, il regime 49 Intervista raccolta da Lara Magri e contenuta in: MAGRI L. Valcanale 1939/Kanaltal 1939 die große Geschichte im Schicksal eines kleines Tal, Malborghetto, Museo Etnografico Palazzo Veneziano, 2013, p. 26. 50 SCROCCARO M, Dall’aquila bicipite alla croce uncinata. L’Italia e le opzioni nelle nuove provincie Trentino, Sudtirolo, Valcanale (1919-1939), Trento, collana del Museo storico di Trento Onlus, 2000, pp. 74-75 51 DOMENIG R, op, cit, p. 21. 52 SALVEMINI G, Preludio alla seconda guerra mondiale, Milano, Feltrinelli, 1967, p. 704. 32 fascista annullò, con l’anno scolastico 1924-1925, l’insegnamento della lingua tedesca, imponendo il passaggio alla sola lingua italiana ».53 Gaetano Salvemini, importantissimo storico del fascismo, così descrive la situazione nelle nuove provincie: « Chi si rivolgeva ad un pubblico funzionario in una lingua che non fosse l’italiano, non poteva essere che un malintenzionato “anti-nazionale”. L’italiano diventò la lingua esclusiva in tutti i pubblici uffici. I sudditi di lingua tedesca potevano coprire la carica di segretario comunale solo se fossero forniti di un certificato […] Non c’era nessun tedesco con questi requisiti ».54 A questa prima serie di riforme sia in Alto Adige che in Valcanale: « faceva da sfondo una burocrazia pedante, incapace, non poche volte corrotta, di funzionari impreparati […] che la gestione fascista aveva ampiamente determinato contribuendo ad allargare ulteriormente la frattura fra regime e popolazione ».55 Questa, ed altri progetti fascisti volti all’omologazione di questi territori con il resto della penisola fecero crescere nei valligiani la sensazione di essere « stranieri in patria »56 e numerose testimonianze descrivono questo stato d’animo.57 Inoltre, soprattutto nella Valcanale, molto più povera delle fertili valli sudtirolesi, vi era il problema del lavoro e l’impossibilità per i giovani di trovare un impiego statale. Una relazione non firmata, ma probabilmente stilata da qualche funzionario fascista locale, datata settembre 1939, descrive, in sintesi, le problematiche del dopoguerra: I vecchi rimpiangono – com’è nella natura umana – i tempi passati; ai giovani rimangono chiuse tutte le porte dell’Amministrazione dello stato. […] Si crea il detto “Agli allogeni una sola possibilità è offerta: fare il sagrestano”. E le porte rimangono chiuse anche a coloro che tornano dall’Africa dopo aver volontariamente combattuto per la conquista dell’Impero.58 E ancora: Fu loro vietato di partecipare alla vita e agli organismi statali come impiegati ed operai e troppo spesso quanti di essi riuscirono a raggiungere un impiego furono 53 DOMENIG R, op, cit, p. 27. SALVEMINI G, op, cit, pp. 707-708. 55 SCROCCARO M, op, cit, p. 76 56 MAGRI L, op, cit, p. 5. 57 MARIO GARIUP, curato di Ugovizza e impegnato da anni nella ricerca storica sulle opzioni, cita nella sua opera Le opzioni per il 3°Reich. Valcanale 1939 varie testimonianze firmate e conservate nel suo archivio: « Roma non ritorna con i suoi figli migliori: l’immediato dopoguerra vede alternarsi nel Tarvisiano italiani di ogni risma che della scorrettezza […] offrono agli abitanti della Valcanale uno sconfortante spettacolo.[…] Dopo qualche anno il Fascismo fa sentire i primi risultati di un risanamento e di una moralizzazione […] Ma è già tardi e la penetrazione italiana incontra ormai diffidenza e ostilità da parte dell’elemento allogeno », p. 26. 58 Ibid, op, cit, p. 26-27. 54 33 trasferiti […]. Furono trattati da cittadini sospetti e naturalmente divennero sospettosi.59 Altre problematiche economiche, che spesso comportarono tensioni sociali, riguardavano gli espropri e gli acquisti fatti dagli enti: Qui si contestano i diritti di legname e di pascolo conservati attraverso i secoli […] qui si espropriano i pochi fazzoletti di terra coltivabile per costruire caserme […] e nella vicina Germania sorgono […] ricoveri per il bestiame in alta montagna. Qui non si trovano finanziatori per dare una indispensabile attrezzatura alberghiera ad una delle più belle ed accessibili zone delle Alpi, e al di là del confine si richiamano i turisti e sciatori anche dalla lontana Trieste con facilitazioni di soggiorno e servizi automobilistici speciali.60 In questo contesto di endemica carenza di sbocchi occupazionali, e di conseguenti tensioni sociali e intolleranza verso il potere costituito, il regime non seppe dare risposte concrete, se non di facciata: « in fondo, i fascisti non si curavano se i tedeschi diventassero italiani o no. Bastava che apparissero italiani »61. L’obiettivo di completa italianizzazione non venne dunque centrato, se non in maniera del tutto superficiale, non solo a causa dell’impenetrabilità di una certa cultura estremamente radicata, ma anche, e soprattutto, a causa di questioni economiche che, come nella maggior parte dei casi, determinarono conseguenze importanti dal punto di vista sociale. 2.2. L’avvicinamento alla politica nazista e alla radicale soluzione delle Opzioni Mentre in Italia Mussolini consolidava il suo potere, oltralpe, a partire dagli anni ’20, altre forze totalitarie si avviavano a prendere il sopravvento nella vita politica. Adolf Hitler, in Germania, aveva fondato nel 1919 il Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori, nelle parole di Ennio di Nolfo: « un coacervo di risentimenti e una miscela di motivi populistici, nazionalistici e autoritari ».62 Rimasto nell’ombra durante gli anni’ 20, con il tempo la sua struttura si era irrobustita e aveva accresciuto i suoi consensi facendo leva su sentimenti revanscisti e soprattutto antisemiti. 59 Ibid, op, cit, p. 30. GARIUP M, La Valcanale fra le due guerre mondiali, Cividale, Soc. Coop. Dom, 1993, p. 37. 61 SALVEMINI G, Preludio alla seconda guerra mondiale, Milano, Feltrinelli, 1967, p. 710. 62 DI NOLFO E, Storia delle relazioni internazionali, Milano, Laterza, 2008, p. 97. 60 34 Fra le varie agghiacciati idee elaborate dal futuro Führer, un concetto fondamentale dell’ideologia nazista, esposto fin dalla prima pagina del Mein Kampf, era l’unione di tutti i tedeschi d’Europa sotto un’unica bandiera e la ricostituzione del grande Reich, in una dispotica Europa "purificata" dagli elementi nocivi alla "razza ariana", la quale avrebbe dovuto essere la nuova luce della civiltà. Quando, nel 1933, Hitler arrivò a dominare la scena politica tedesca e a diventare cancelliere, una delle prime mosse della neonata dittatura fu quella di adoperarsi per il riarmo della nazione e indirizzare la politica estera verso azioni offensive, a cominciare dall’uscita dalla Società delle Nazioni dell’ottobre del 1933 e dall’occupazione della Renania nel 1935. In questo contesto, uno fra i più importanti e immediati obiettivi che Hitler si era posto, e che propagandava già dagli anni ’20, era quello di ricongiungere i territori dell’Austria al Reich e, nonostante i pareri contrari di tutte le nazioni europee, Italia compresa e per di più schierata in prima linea contro questo progetto,63 si servì di ogni mezzo per riuscirci. In quel periodo, proprio a causa del timore di avere la Grande Germania a diretto contatto con l’Italia, le relazioni diplomatiche fra Italia e Germania si mantennero fredde. Col tempo, però, i rapporti fra i due Paesi, soprattutto dopo la conquista italiana dell’Etiopia e la questione delle sanzioni, risolta solo grazie al supporto logistico tedesco, si trovarono a convergere sempre di più e si incontrarono definitivamente dopo la guerra civile spagnola, quando sfumarono del tutto le possibilità di un riavvicinamento italiano alla politica delle democrazie europee. I comuni obiettivi politici e ideologici portarono i due regimi alla stipulazione dell’Asse Roma-Berlino nel 1936 e crebbe fra le popolazioni tedesche residenti in Italia l’idea, già vagheggiata ma priva di fondamento, che la Germania avrebbe rivendicato a sé i territori dell’Alto Adige e di conseguenza anche della Valcanale. Bisogna sottolineare che, in questa situazione, soprattutto per le nuove generazioni degli allogeni, prive di legami ideologici e culturali con l’impero austroungarico e vessate da una politica anti-tedesca che non accennava a scendere a compromessi, il nazionalsocialismo restava l’unica speranza di cambiamento e di affermazione sul piano nazionale. Diventava così sempre più difficile resistere al richiamo del Reich, fra l’altro presentato magistralmente da una macchina propagandistica sempre più viva e radicata fra le comunità tedesche ancora separate dalla Germania di Hitler. 63 Cfr: BERNASCONI A, MURAN G, Il testimone di cemento, Udine, Ed. LNB, 2009, p. 14. 35 Nel 1937, la diplomazia italiana si disinteressò progressivamente delle faccende danubiane, preferendo concentrarsi sulle questioni mediterranee, consapevole che le sorti dell’Austria, già da tre anni priva di personalità in grado di contrastare il radicamento delle idee nazionalsocialiste, erano ormai segnate e si poteva solo cercare di ritardare il più possibile l’annessione.64 Dopo anni di tentennamenti e alti e bassi diplomatici fra le due dittature, il 14 marzo 1938, tre giorni dopo l’occupazione tedesca dell’Austria, Hitler annunciò l’Anschluß, ovvero la ricongiunzione della sua patria d’origine con il grande Reich germanico. L’evento fu salutato festosamente da tutte quelle componenti politiche naziste che ormai anche in Austria avevano assunto un peso preponderante. Sia a Tarvisio, sia in Alto Adige, ormai « non più semplici zone abitate da tedeschi ai confini con il Tirolo e la Carinzia, ma terre tedesche confinanti con la grande Germania »65, la notizia provocò notevole agitazione: L’Anschluß contagiò anche la popolazione allogena della Valcanale e fece esplodere una grande propaganda, pubblica, privata, onesta e disonesta contro l’Italia. La popolazione valcanalese palesò violentemente il desiderio di tornare all’Austria da cui era stata strappata.66 In realtà fu chiaro fin dall’inizio che l’appoggio italiano all’Anschluß venne dato solo in cambio del riconoscimento dell’intangibilità delle frontiere, rassicurazione che Hitler provvide a far pervenire in più occasioni, sia subito prima dell’Anschluß in una lettera indirizzata allo stesso Mussolini in cui enunciava: « Quali possano essere le conseguenze dei prossimi avvenimenti, così come ho fissato frontiere definitive fra la Francia e la Germania, così ne fisso, ora, una non meno definitiva fra l’Italia e noi: è il Brennero.[…] »,67 sia subito dopo, quando il 7 maggio, a palazzo Venezia, così egli aveva brindato con Mussolini: « È mia incrollabile volontà, ed è anche il mio testamento politico al popolo tedesco che consideri intangibile per sempre la frontiera delle Alpi ».68 Addirittura nel Mein Kampf, scritto molti anni prima dell’Anschluß, si legge: « penso che se un domani si dovrà scendere in lotta, diventerebbe criminale versare il sangue per 200.000 tedeschi, quando 7 milioni di tedeschi sono sotto il potere straniero ».69 Sugli eventi diplomatici che sancirono la definitiva annessione dell’Austria alla Germania nazista si rimanda a: BERNASCONI A, MURAN G, op, cit, pp. 29-36. 65 SCROCCARO M, op, cit, p. 118. 66 Archivio Parrocchiale di Ugovizza (APU), citato in: GARIUP M, op, cit, p. 24. 67 BERNASCONI A. MURAN G, op, cit, pp. 33-35. 68 SCROCCARO M, op, cit, p. 122. 69 Ibid, p. 122. 64 36 Nonostante le dichiarazioni ufficiali di Hitler la speranza di redenzione delle minoranze non dava segni di cedimento e la situazione peggiorò sia dopo la visita di Hitler a Roma nel maggio del 1938, la quale si concluse con un nulla di fatto mentre Mussolini sperava in una ratifica ufficiale del confine settentrionale, sia con la crisi dei Sudeti, nel settembre dello stesso anno. Parallelamente, la macchina propagandistica tedesca e il notevole flusso turistico tedesco sulle Dolomiti e sulle Giulie, con conseguenti manifestazioni pro-naziste, contribuiva a far crescere fra i valligiani la speranza che l’Italia avrebbe preso posizioni definitive sulla questione degli allogeni, problema che ormai non era più di tipo etnico all’interno dello stato ma politico fra due dittature. Di questa faccenda, comunque, si era già parlato in altre occasioni, ma sempre in via informale. Il già citato Scroccaro, nella sua opera sulla questione delle opzioni, da conto delle occasioni in cui si affrontò il problema in riferimento alle nuove provincie.70 Ettore Tolomei fin dal 1918 aveva ventilato nel suo "Archivio per l’Alto Adige" l’ipotesi di un esodo organizzato e lo stesso Hitler, nel 1932, ricevendo una delegazione di sudtirolesi, li aveva invitati a non porsi come elemento di disturbo all’interno del regime fascista in quanto l’Italia avrebbe potuto risolvere la questione espropriando i terreni delle valli e trasferendo i cittadini. Nel 1937 fu la volta di Göring che sostenne il trasferimento come unico sistema per mantenere il carattere nazionale, ma anche in questo caso si trattò di ipotesi astratte. Per parte sua, invece, per molto tempo il governo fascista aveva cercato di risolvere il problema dall’interno, favorendo l’afflusso di italiani e modificando la cultura locale. Però, a ridosso dell’Anschluß, il problema, come abbiamo visto, si fece impellente e poco dopo l’evento, il 3 aprile 1938, intervenne il ministro degli esteri Ciano che, preoccupato per la situazione in Sud-Tirolo e in Val Canale, puntò il dito contro la propaganda nazista e consegnò al suo diario la famosa frase: « Converrà far cenno ai tedeschi circa l’opportunità di riassorbirsi i loro uomini, l’Alto Adige è terra geograficamente italiana e poiché non si può cambiar posto ai monti e corso ai fiumi, bisogna che si spostino gli uomini ».71 In seguito, il 23 aprile, in un incontro fra Göring e il consigliere d’ambasciata a Berlino Massimo Magistrati, si parlò per la prima volta di opzioni. Magistrati riporta il colloquio con il generale tedesco, il quale dichiarò: « Occorrerebbe, ad un certo momento, porre gli Alto Atesini davanti ad un aut-aut: o avviarsi verso la Germania, vedendo naturalmente equamente liquidati tutti i loro averi oggi esistenti in Alto Adige, o rinunciare, e per sempre, ad essere 70 71 Ibid, p. 141-142. CIANO G, Diario 1937-1943 a cura di RENZO DE FELICE, Milano, 1980 p. 120-121. 37 considerati tedeschi. […] il problema si assorbirebbe alla base ».72 Anche in questo caso, tuttavia, si trattò solo di ipotesi e, con l’incontro del 7 maggio fra Hitler e Mussolini, la faccenda venne accantonata. Il problema riemerse più urgente che mai nel gennaio del 1939, dopo l’adesione dell’Italia al “Patto Anti-Comintern” e, soprattutto, con la firma ufficiale, il 22 maggio dello stesso anno, del “Patto d’Acciaio”, con il quale l’Italia si legò permanentemente, con accordi sia offensivi che difensivi, alle sorti della Germania nazista, vincolando di fatto il suo destino a quello del Führer. Nel patto neanche una parola, tranne un piccolo e poco significativo preambolo, venne spesa da parte tedesca per risolvere la questione degli allogeni, sebbene già da gennaio sia Ciano, sia Bernardo Attolico, ambasciatore italiano a Berlino, si fossero impegnati perché il governo tedesco chiudesse definitivamente la questione con un atto ufficiale. A fine marzo le idee e i tempi stavano maturando nella direzione di quelli che diventeranno gli accordi per le opzioni. Dopo una serie di incontri sempre più fitti fra Ciano e Von Ribbentrop, ministro degli esteri tedesco, nonché tra i vari funzionari delle due delegazioni diplomatiche, il 27 maggio Attolico fece il punto della situazione, precisando le proposte delineate in via di approvazione, ossia: « la creazione di una commissione mista italo-tedesca per il rimpatrio dei cittadini germanici e l’opportunità in parallelo di far rientrare, specie dal Tirolo, i cittadini italiani, 1.300 circa, […] la creazione, almeno in via provvisoria di un consolato tedesco a Bolzano, per facilitare le operazioni […] »73 Il 15 giugno Himmler in persona dichiarava di aver ricevuto personalmente dal Führer l’incarico di « studiare la questione altoatesina e tradurre in realtà la possibile soluzione dell’opzione ».74 Il cerchio oramai era chiuso: la partita era passata di mano dal ministero degli esteri alle SS, ed era pronta a entrare nella fase operativa, guidata dagli uomini di fiducia del Führer, incondizionati esecutori delle sue volontà. A questo punto è bene citare quanto scrive Lara Magri, che centra perfettamente il punto del nostro lavoro, sulla soluzione raggiunta: Fu così che il 23 giugno 1939, nella sede della Gestapo di Berlino, dodici funzionari tedeschi e cinque delegati italiani iniziarono le trattative che portarono alla sottoscrizione, il 21 ottobre 1939, delle tre convenzioni per il trasferimento delle popolazioni di origine tedesca residenti nei territori italiani, firmate dal Console generale di Germania a Milano, Otto Bene, e dal prefetto di Bolzano, MAGISTRATI M, L’Italia a Berlino (1937-1939), Milano, Mondadori, 1956, p. 165. SCROCCARO M, op, cit, p. 147. 74 MAGISTRATI M, op, cit, p. 360-362. 72 73 38 Giuseppe Mastromattei. Di queste tre solo la prima, “Norme per il rimpatrio dei tedeschi di nascita dall’Alto Adige nel Reich”, fu resa pubblica.75 Sulla Gazzetta Ufficiale uscì il 2 settembre una legge sulla perdita della cittadinanza da parte degli allogeni, mentre le norme per il rimpatrio sono reperibili nei documenti diplomatici italiani ed è interessante citarne i passi più importanti, i quali rappresentano le direttive con le quali la macchina iniziò poi, lentamente, a muoversi: 1. Le disposizioni seguenti si applicano ai cittadini germanici e agli allogeni tedeschi residenti nei territori indicati al paragrafo 2. 2. I territori previsti in queste norme (Territori dell’Accordo) sono: la provincia di Bolzano; la zona mistilingue di Egna (provincia di Trento) la zona mistilingue di Cortina d’Ampezzo (provincia di Belluno) la zona mistilingue di Tarvisio (provincia di Udine) 3. Il rimpatrio per i cittadini germanici è obbligatorio 4. L’emigrazione degli allogeni tedeschi è volontaria 5. Il rimpatrio e l’emigrazione devono effettuarsi per mezzo delle "Amtliche Deutsche Ein-und Rückwanderstellen" (A. D. E. u. R. St.) (Uffici germanici per l’immigrazione e il rimpatrio) istituiti a Bolzano, Merano, Bressanone, Brunico, Vipiteno e da istituirsi eventualmente altrove. A Bolzano ha sede l’Ufficio principale dell’ ADEuRSt […] 6. Per i cittadini germanici la scelta della residenza nel Reich è libera. Per gli allogeni […] possibilmente unitaria. 7. Il rimpatrio dei cittadini germanici si effettuerà entro tre mesi […] 8. L’emigrazione degli allogeni tedeschi […] dovrà effettuarsi entro il termine massimo del 31 dicembre 1942. Tutti gli allogeni tedeschi originari dei Territori dell’Accordo dovranno entro il 31 dicembre 1939 presentare al Comune di origine una dichiarazione con la quale liberamente e spontaneamente s’impegnano – in forma assolutamente definitiva – o a voler conservare la cittadinanza italiana o a voler acquistare la cittadinanza germanica e a trasferirsi nel Reich. La mancata presentazione della dichiarazione […] varrà come definitiva espressione della loro volontà a conservare la cittadinanza italiana.76 Con queste disposizioni si arriva dunque a una soluzione della questione degli allogeni. I cittadini coinvolti nell’accordo avrebbero dovuto presentare in Comune un modulo compilato dal capofamiglia: arancione se si voleva cambiare cittadinanza o bianco se si voleva rimanere italiani. Coloro i quali avrebbero deciso di restare cittadini italiani entro il 31 dicembre 1939, 75 MAGRI L, op, cit, pp. 14-15. ITALIA, MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, I documenti diplomatici italiani, nona serie (1939-1943) Vol. II, Roma, Tipografia dello Stato, p. 601. 76 39 termine poi prorogato al 30 giugno 1940, sarebbero stati trattati allo stesso modo degli altri sudditi del regno; era sottinteso però che avrebbero dovuto assoggettarsi alle regole del governo fascista. Infine, un altro punto fondamentale dell’accordo era « la liquidazione dei beni immobili degli optanti attraverso l’istituzione di apposite commissioni ».77 Come abbiamo visto, inoltre, l’intero processo di trasferimento era da compiersi entro il 31 dicembre 1942. La gestione dell’operazione fu affidata al Reichskommissar für die Festigung deutschen Volkstum (RKFdV), apparato delle SS comandato dal Gruppenführer Ulrich Greifelt, alle dirette dipendenze di Himmler. Il suo braccio operativo furono gli uffici dell’ADEuRSt (Amtliche Deutsch für ein-und rückwanderstelle ovvero l’ufficio per il rimpatrio degli optanti), con sede a Bolzano e in vari altri distretti. Tutto era pronto per la fase operativa. 2.3. Lo svolgimento delle opzioni in Valcanale Nelle prime fasi dell’elaborazione delle norme la Valcanale, sia a causa del basso numero di abitanti, sia a causa del suo carattere multietnico, specie per la presenza slovena, venne lasciata in disparte, ma in seguito la legge fu estesa anche ad essa. L’organizzazione delle opzioni da parte italiana fu affidata a Riccardo de Beden, funzionario della Prefettura di Udine, alle dirette dipendenze della Prefettura di Bolzano. L’ufficio tedesco predisposto alla gestione delle operazioni fu invece istituito il 1°dicembre 1939 a Tarvisio, viste le ovvie difficoltà per gli allogeni di recarsi a Bolzano o a Merano. A dirigere opzioni e trasferimenti fu chiamato il dottor Karl Starzacher, nipote dello storico Martin Wutte già citato precedentemente. Starzacher, aprì i lavori dell’ADEuRSt di Tarvisio il giorno seguente e per prima cosa si trovò ad affrontare il problema di definire chi fosse da considerare di pura razza tedesca, e quindi idoneo all’opzione, e chi invece no. Da parte tedesca i pareri furono divergenti: Starzacher dichiarò subito la sua disponibilità a far trasferire tutti coloro che lo avessero richiesto, mentre Alois Maier-Kaibitsch, l’incaricato della Volksdeutsche Mittelstelle, ovvero l’ufficio predisposto alla gestione dell’inserimento dei valcanalesi in Carinzia, all’inizio si dichiarò perplesso: 77 MAGRI L, op, cit, p. 15. 40 Secondo la mia stima, oggi in Valcanale vivono 5500 tedeschi, ossia il 65% dell’intera popolazione. Inoltre ci sono da 20 al 25% di sloveni e i restanti sono cittadini del Regno italico. […]. Il rimpatrio dei valcanalesi si complica in quanto anche gli sloveni valcanalesi […] vogliono quasi tutti trasferirsi in Carinzia. Questi valcanalesi di lingua windisch vivono nelle località di Ugovizza, Camporosso e San Leopoldo e nel complesso raggiungono al massimo il numero di 1500 unità. Oggi dichiarano di essere tedeschi pur parlando il dialetto sloveno […]. Che fare quindi di questi valcanalesi di lingua "windisch"? Se li facciamo insediare in Carinzia, andranno ad aumentare il numero della popolazione di lingua slovena […]. Sono fermamente convinto che sia da privilegiare solamente un’affluenza di concittadini tedeschi[…].78 Successivamente, analizzando più approfonditamente la questione, Maier-Kaibitsch si convinse che gli sloveni della Valcanale potessero usufruire del diritto di opzione perché assimilabili ai windisch carinziani che combatterono nel 1919 per l’indipendenza della Carinzia dalla Jugoslavia e perché di cultura e commerci tradizionalmente rivolti alla Carinzia: In Valcanale vivono […] circa 1500 persone che si servono del dialetto sloveno […]. Per questi vendi-valcanalesi valgono le stesse identiche cose come valgono per il gruppo dei vendi-carinziani che, com’è noto, nell’anno 1919, armi in mano, combatterono contro gli slavi del sud […]questi carinziani vendi sono per noi dei connazionali a pieno titolo […]. Anche le persone bilingui che abitano nella Valcanale si riconoscono quasi tutte appartenenti al popolo tedesco.79 I pareri furono discordanti anche perché i funzionari italiani e i loro omologhi tedeschi assunsero posizioni contrastanti. Se da un lato i funzionari tedeschi consegnarono indistintamente i moduli a tutti, dall’altro i dipendenti comunali e i Podestà si rifiutarono di consegnarli a chi venisse classificato come windisch, creando così non pochi attriti fra gli abitanti dei paesi. Il comportamento dei funzionari italiani deve essere visto alla luce del risultato plebiscitario delle opzioni che si stava prospettando, e che Starzacher aveva già previsto da ottobre: « Martedì 3 ottobre, […] mi sono recato a Tarvisio. Al nostro arrivo alle ore 12 siamo andati direttamente a casa del camerata Rach […]. Il camerata Rach80 e gli altri sopracitati compagni della Valcanale sono convinti che il 95% dei cittadini vorrà certamente trasferirisi […] ».81 78 Deutsches Bundesarchiv Berlin, (BArch), R.49/Anhang VIII/1, RKFdV, citato in: MAGRI L, op, cit, p. 7. BArch, R.49 Anhang VIII/1, RKFdV, citato in: MAGRI L, op, cit, p. 24. 80 Erich Rach fu uno dei maggiori collaboratori di Starzacher. Iscritto al NSDAP, fu uno dei più accesi propagandisti per le opzioni. 81 BArch, R.49/Nr. 2143, RKFdV, citato in: MAGRI L, op, cit, p. 18. 79 41 Un così clamoroso “successo” sarebbe stato uno schiaffo morale e una dimostrazione del fallimento della politica fascista di rinazionalizzazione, ed era solo per questo motivo che le autorità italiane cercavano di ostacolare quello che si stava delineando come un esodo biblico sia in Valcanale, sia in Alto Adige. In questo contesto il consigliere De Beden così si lamentava con il prefetto di Udine: Al comune di Malborghetto sono pervenute, su una popolazione globale di 1597 abitanti, n. 633 dichiarazioni di opzione […] di cui n. 423 da parte di allogeni non di origine tedesca. […] Nel comune di Malborghetto ricorrono lapidi sepolcrali in lingua slava […] nelle famiglie si parla tutt’ora lo slavo e […] le prediche si tengono in lingua slava. […] Che poi gli abitanti di Ugovizza abbiano avuto sempre un profondo sentimento nazionale slavo lo comprova una fatto verificatosi nel dopoguerra: quel consiglio comunale venne sciolto […] perché i consiglieri si rifiutarono di firmare un verbale di seduta redatto in italiano, dichiarando di essere slavi […].82 Karl Starzacher, nella sua prima relazione inviata alla sede centrale di Bolzano, così commentò la faccenda: Quando, sabato 2 dicembre 1939, sono giunto nella sede di Tarvisio per iniziare il lavoro, sono stato subito sommerso da una serie di lamentele, dalle quali ho dedotto che venivano fatte mille difficoltà agli optanti, a motivo della loro appartenenza all’etnia slava. […] Ho capito fin dall’inizio che la definizione di chi fosse o non fosse sloveno dipendeva fortemente dagli interessi economici di alcune e poche personalità della valle. […] il rappresentante principale della teoria degli slavi nella Valcanale è il Sindaco di Malborghetto ing. Rimediotti […] L’ing. Rimediotti ha però, per esempio, un credito per oltre 100.000 lire con gli abitanti di Ugovizza […] è fin troppo chiaro il motivo per cui lui ora sia così entusiasta per aver trovato un modo, grazie alla teoria slava, per non far andare via i concittadini di Ugovizza. […] La Valcanale da molti secoli è puramente terra di cultura tedesca. […]. Da quando la Valcanale fa parte dell’Italia, la totalità dei suoi abitanti si è sentita ancora più fortemente tedesca ed è da tedeschi che sono stati trattati dagli italiani. Quando sopravvenne la storia delle opzioni […] gli italiani hanno considerato come tedeschi la totalità della popolazione. Da quando è saltata fuori questa “faccenda degli slavi”, improvvisamente tutti sono diventati sloveni. […] Il comportamento degli italiani non è conforme alle linee guida. […].Non dobbiamo cedere alla mossa dei “pezzi grossi” italiani, con la loro interpretazione a proposito degli slavi della Valcanale.83 Si deduce, da questo tipo di documenti, che, mentre gli italiani cercavano di impedire le partenze, i tedeschi, invece, pressavano per convincere il maggior numero di allogeni ad 82 Archivio famiglia De Antoni, citato in: MAGRI L, op, cit, p. 25. BArch, R. 49/2611, RKFdV, citato in: le opzioni in Valcanale nel 1939, a cura di MAGRI L, MEPV, Malborghetto, 2012, p. 17. 83 42 optare. Questa condotta da parte germanica dev’essere contestualizzata nel fosco quadro geopolitico che si era creato alla fine del 1939. Con l’invasione della Polonia il 1° settembre, la Germania aveva scatenato la Seconda Guerra Mondiale ed era nel suo interesse poter arruolare il maggior numero di uomini possibile; era quindi naturale che cercasse di convincere non solo tutti i cittadini germanici a lavorare per la vittoria ma anche gli allogeni a trasferirsi, in modo da guadagnare nuove braccia per le industrie del Reich e uomini da assoldare nella Wermacht. I funzionari nazisti non esitarono a ricorrere alle più esplicite e fantasiose forme di propaganda, peraltro negate dagli addetti ai lavori,84 per convincere gli allogeni ad optare. Innanzi tutto la Germania venne presentata come la diretta erede dello stato asburgico: uno stato ricco e pieno di possibilità di lavoro. Si coniò il detto Heim ins Reich! Ovvero: ritorno a casa nel Reich, una sorta di terra promessa dopo tutte le tribolazioni avute sotto il governo fascista. Poi si diffuse la voce che un plebiscito avrebbe spinto Hitler ad interessarsi nuovamente della questione del confine e si sarebbe ripreso le terre dell’Alto Adige e della Valcanale. Ma soprattutto agì la paura di essere trasferiti al sud, in Sicilia o in Calabria. Si fece strada, infatti, l’idea che chi non avesse optato sarebbe stato confinato. Quest’ultima “leggenda”, diffusa dai funzionari nazisti che si muovevano fra Villach e la Valcanale per convincere la gente a trasferirsi, condizionò grandemente la popolazione, mentre al governo italiano mancò rapidità di reazione, di modo che la sconfessione di tali propositi arrivò solo molto più tardi. Le opposizioni alla propaganda furono scarse e deboli; solo il Podestà Rimediotti di Malborghetto e il parroco di Camporosso Premrl cercarono di persuadere i valcanalesi a non trasferirsi. In particolare quest’ultimo, disubbidendo alle linee guida date dal vescovo di Udine, dichiarò pubblicamente che si sarebbe fatto tagliare la testa se anche ad un solo camporossiano fosse stato concesso di partire.85 In seguito, a causa dei suoi interventi, Don Premrl venne internato a Dachau e fortunatamente ritornò in Patria molto tempo dopo. 86 Sempre nel tentativo di salvaguardare gli interessi dei valcanalesi, l’Ing. Rimediotti scrisse nel novembre 1939 al prefetto di Udine: Così risponde l’ADEuRSt al consigliere Bene che aveva chiesto chiarimenti su questo comportamento: « Il giorno 8 dicemre 1939 il sig. Prefetto ha fatto visita alla sede staccata di Tarvisio ed ha dichiarato […] che sotto la direzione di Rach […] era stata condotta una sistematica propaganda […] secondo la quale tutti quelli che non avessero optato per la Germania sarebbero stati trasferiti in meridione o in Sicilia. Il dottor Starzacher, però, ribatté dicendo che non era a conoscenza di alcuna propaganda e che fin dal giorno del suo arrivo a Tarvisio, il 2.12.39, aveva dato ai suoi collaboratori severe disposizioni di astenersi da ogni tipo di discussione […] ». BArch, R49/Nr.2189, RKFdV, citato in MAGRI L, op, cit, p. 35. 85 BArch, R49/Nr. 2189, RKFdV, citato in MAGRI L, op, cit, p. 38. 86 GARIUP M, op, cit, pp. 87-93. 84 43 Secondo quanto ho potuto stabilire in base a dichiarazioni avute dai diretti interessati mi risulta: che viene svolta una attiva propaganda che mira all’emigrazione totalitaria. Che agli allogeni, che ancora non hanno preso una decisione, viene insinuato il timore che la Valcanale potrà ritornare alla Germania. […] Viene lamentato da parte di parecchi allogeni […] la mancanza di chiarimenti da parte delle autorità italiane. È con animo addolorato ch’io debbo riferire a V.E. la mia netta convinzione di una situazione non grave, ma preoccupante, anche per gli sviluppi che potrà assumere man mano che si avvicinerà il termine utile per l’opzione.87 Il temutissimo trasferimento al sud compare in quasi tutte le interviste raccolte dall’”Archivio della Memoria” del Palazzo Veneziano: Grillz Giovanni, classe 1926 di San Leopoldo racconta, per esempio: […] il 95% ha optato. Perché gli altri, qui, dicevano che se non si optava per la Germania ci mandavano giù, di là, Sardegna e chissà dove. Ci mandavano via di qui e allora la gente è sparita.88 Mentre Moritsch Herbert del 1923 di Coccau riporta: Hanno fatto dei biglietti i germanici: “guardate, gente, e se restate lì andrete in Sicilia o Napoli”. E per quel motivo tanti hanno optato anche, per la Germania. Questo mi ricordo molto bene. Hanno optato 5.700 persone […].89 Nonostante si trattasse di una scelta estremamente difficile e sofferta e si dovesse prendere una decisione importantissima da cui dipendeva la vita di migliaia di persone nel tempo assurdamente breve di poco più di due mesi, allo scadere del termine ultimo per le opzioni i dati mostravano, come era già stato ampiamente previsto, un enorme successo per la Germania nazista e una disfatta terribile per la politica italiana. Nella sola Valcanale, seguendo i dati riportati dal ministero degli interni, si arrivò a 4.897 persone su circa 6.000 optanti della valle, pari a circa l’81% di votanti per la Germania, e di poco si discostarono i dati in Alto Adige, dove fra l’80 e l’87% di votanti decisero di trasferirsi.90 Lettera firmata dell’Archivio Emilio Riimediotti, Archivio Mario Gariup, citato in GARIUP M, op, cit, pp. 5253. 88 Intervista a GIOVANNI GRILLZ, classe 1926 di San Leopoldo, raccolta nel 2009 da MAGRI L, ”Archivio della Memoria” Palazzo Veneziano (AdMPV). 89 Intervista a MORITSCH HERBERT, classe 1923 di Coccau, raccolta nel 2009 da MAGRI L, AdMPV. 90 SCROCCARO M, op, cit, p, 179. Secondo altri conteggi effettuati da parte tedesca si arriva addirittura al 90% di valcanalesi optanti, ma è probabile che i dati nazisti siano stati approssimati per eccesso, cfr: SCROCCARO M, op, cit, p. 177-178 e MAGRI L, op, cit, p. 53. 87 44 Il prefetto Mastromattei, convinto da principio che avrebbero optato solo fanatici e nullatenenti,91 fu costretto dal clamoroso risultato alle dimissioni e fu sostituito da Agostino Podestà. Come abbiamo visto i motivi per cui si arrivò a questi eccezionali risultati devono essere ricercati sia nell’antico substrato culturale e tradizionale che legava queste terre al mondo tedesco sia nella prepotenza di una martellante propaganda che minacciava trasferimenti coatti e inverosimili annessioni. Oltretutto « un territorio con una popolazione allogena numericamente piuttosto ridotta non era in grado di esprimere dei capipopolo in grado di orientare […] gli strati sociali più inclini al richiamo dell’istinto ».92 Ma al di là dei motivi ideologici va sottolineato che gli optanti decisero per lo più di emigrare per motivi economici, convinti che il terzo Reich avrebbe loro garantito un futuro radioso. Fanno riflettere anche i dati relativi alle partenze post-opzione: i primi a partire furono proprio i nullatenenti e i contadini, sia perché non trattenuti da problemi relativi alla proprietà, sia perché potevano essere i più facilmente manovrati dal punto di vista ideologico e i primi da poter inviare al fronte con le divise della Wermacht. Le interviste contenute nell’”Archivio della memoria” del Palazzo Veneziano di Malborghetto comprovano quanto riferito: La maggior parte degli oriundi degli allogeni tedeschi hanno optato per la Germania e specialmente i nullatenenti, perché non avevano problemi di possedimenti e sono stati integrati, i ferrovieri nelle ferrovie tedesche, i minatori nelle varie miniere che ci sono qui, perciò non era difficile trovare immediatamente l’occupazione, un’occupazione anche ben pagata […].93 E inoltre: Per quelli che non avevano niente era uguale, non avevano niente da perdere, solo da guadagnare, perché sono andati di là, han trovato un bel posto, anche statale, che qua era impossibile trovare. Per la nostra gente… posti statali non c’erano… miniera e bosco c’era, per loro!94 Fra la fine del 1939 e la tarda primavera del 1940 prevalse uno stato di euforia. Nella valle ci si immaginava un luminoso futuro in terra tedesca, dopo vent’anni di angherie malcelate all’interno dello Stato italiano. La generale eccitazione era mantenuta continuamente viva 91 Archivio Statale del Ministero degli Affari Esteri (ASMAE), rappresentanze diplomatiche, Berlino, 18971943, b. 169, f. 2, promemoria del prefetto Mastromattei all’ambasciatore Attolico: « Si vedrà allora come tutto questo attaccamento alla Germania […] sia in definitiva molto più apparente che reale, e come essa invece sia […] amante del quieto vivere, […] e disposta a seguire quel regime che meglio le assicuri tranquillità e benessere », citato in: SCROCCARO M, op, cit, p. 137. 92 DOMENIG R, Italiani al confine orientale, Udine, Aviani e aviani Ed, 2011, p. 49. 93 Intervista a TREU GIUSEPPE di Tarvisio, classe 1920, raccolta nel 2010 da MAGRI L, AdMPV. 94 Intervista a URBANO PUFITSCH di Camporosso, classe 1931, raccolta nel 2010 da MAGRI L, AdMPV. 45 anche grazie alle organizzazione naziste che provvidero a orchestrare grandi cerimonie per i neo-cittadini del Reich, corsi di tedesco per i figli degli optanti che non avevano avuto la possibilità di imparare la lingua a scuola e campi estivi per ragazzi nelle file dell’Hitlerjugend. In particolare i corsi di tedesco riscossero un grande successo fra gli allogeni che attendevano di partire. Karl Starzacher redasse questo rapporto: Tarvisio, 15 marzo 1940 Ieri, in presenza del dr. Fradella e dell’ispettore scolastico distrettuale, abbiamo aperto il primo corso di lingua tedesca a Camporosso, […]. È stata una celebrazione molto bella, della quale […] sono rimasti soddisfatti anche gli italiani. […] ora potremo aprire anche tutti gli altri corsi di lingua senza ulteriori difficoltà.95 Successivamente, il 15 luglio 1940 e il 26 agosto, Starzacher, in altri due verbali si dimostra colpito dall’efficacia del progetto: Tarvisio, 15 luglio 1940 I corsi di lingua tedesca sono iniziati anche a Tarvisio e da allora hanno riscosso un ottimo successo. Entrambi gli insegnanti, […] hanno già conseguito degli ottimi risultati.96 Tarvisio, 26 agosto 1940 I corsi di lingua tedesca, che nel territorio di competenza della nostra filiale, si sono svolti nel corso di tutta l’estate, continuano con successo. Vengono frequentati con entusiasmo invariato ed i progressi […] sono veramente sorprendenti. […] Ora tutti i paesi sono serviti dai corsi di lingua tedesca.97 Nel frattempo, così come riporta un anonimo documento, la Carinzia si era preparata all’accoglienza degli optanten. « Il 15.2.1940 dalla stazione ferroviaria di Tarvisio partì il primo treno di 80 optanti. La seconda comitiva di 150 persone partì […] il 24.2.1940. Una terza comitiva di 270 persone lasciò la Valcanale il 9.3.1940 »98 Le partenze si susseguirono più o meno regolarmente per tutto il 1940 e il 1941, calarono progressivamente l’anno successivo a causa delle incertezze della guerra, delle difficoltà di sistemazione e del progressivo ripensamento di molti cittadini, restii ad abbandonare le loro proprietà nell’insicurezza del futuro, e terminarono del tutto con l’8 settembre 1943. Alla data del 7 95 BArch, R.49, Nr 2143 RKFdV, citato in: MAGRI L, op, cit, pp. 93-94. BArch, R.49, Nr 2174, RKFdV, citato in: MAGRI L, op, cit, p. 95. 97 BArch, R.49, Nr 2174 RKFdV, citato in: MAGRI L, op, cit, p. 95. 98 Archivio Parrocchiale di Tarvisio (APT), citato in: GARIUP M, op, cit, p. 158. 96 46 ottobre 1943 risultavano trasferiti in Carinzia circa quattromila valcanalesi su seimila abitanti totali.99 A questo punto è interessante approfondire in che modo la stampa di regime riportò le notizie dei trasferimenti. Poiché, di fatto, si trattò di un grande successo per la politica nazista, i giornalisti dell’epoca non esitarono a servirsene per magnificare i trionfi del Führer e l’importanza del “legame di sangue” rispetto al territorio. Per fare un paio di esempi citiamo alcuni articoli apparsi fra il 1940 e il 1942 su vari periodici del Reich fra cui il Kärntner Grenzruf e l’Heimatkreis: Era già verso l’imbrunire, quando le grida di giubilo della gente hanno annunciato l’arrivo dei rimpatriati. Erano appena scesi dall’automezzo all’inizio del paese e stavano giungendo marciando per la strada in salita. Dapprima ha risuonato una marcia di benvenuto […] Commossi, uomini e donne della Valcanale stavano lì, ancora confusi ed anche stanchi per il lungo viaggio, ma i loro occhi luccicanti di gioia testimoniavano la nuova forza d’animo che li pervadeva. Spontaneamente, alla fine del canto, sono scoppiati in esclamazione come “Sieg Heil” in favore del nostro Führer, che sembravano non voler mai terminare.100 In un articolo del marzo 1940 si parla del discorso del vice-governante carinziano: Nel suo discorso di benvenuto ai valcanalesi rimpatriati di sabato scorso, il vice Gaulaiter Kutschera,[…] ha parlato del sacrificio compiuto dai valcanalesi nel lasciare la loro terra […]. Ha citato poi la grande battaglia finale che il popolo tedesco deve ora affrontare e che richiede l’impegno totale da parte di ciascuno. […]. Infine il vice-Gauleiter ha augurato a tutti i fratelli e le sorelle della Valcanale e dal Sudtirolo un buon inizio della permanenza in patria e di poter successivamente marciare mano nella mano con tutti gli altri connazionali in onore della nostra Germania e di Adolf Hitler.101 Infine citiamo l’articolo di un’opinionista del mensile Heimatkreis: Dopo i lunghi lavori preparatori finalmente è giunta l’ora: i primi trasporti di rimpatriandi possono partire per la Carinzia […]. L’atmosfera durante questi viaggi è sempre gioiosa e fiduciosa, poiché più grande del dolore, che è normale che sorga in ogni persona al momento di lasciare la propria Patria, è la gioia per aver meritato la potente Patria germanica. Non è il passato, bensì il presente ed il futuro a regnare e da tutti gli occhi traspare la fiduciosa certezza che il futuro sarà bello ed assicurato.102 99 BArch, R.49Anhang VIII Nr.2, RFKdV, citato in: MAGRI L, op, cit, p. 113. 250 Kanaltaler im Lavanttal eingetroffen, in: Kärntner Grenzruf, 11 marzo1940, AdMPV. 101 Der Obersturmbannführer Kutschera spricht auf Kanaltalern an, in: Kärntner Grenzruft, 27 marzo1940, AdMPV. 102 POLLY H, Was denken die Kanaltalern? In: Heimatkreis, maggio 1940, AdMPV, citato in MAGRI L, op, cit, p. 123-124. 100 47 Per sistemare tutti questi nuovi cittadini, in Carinzia venne predisposta la costruzione di interi nuovi Siedlungen, ovvero nuovi alloggi. Si istituì una società immobiliare denominata Neue Heimat, la quale ebbe il compito di costruire i nuovi appartamenti per i valcanalesi. Tuttavia, a causa dell’elevato numero di famiglie sopraggiunte, non tutti riuscirono ad essere sistemati. Per risolvere in maniera radicale la questione, Himmler ordinò di evacuare tempestivamente le famiglie slovene stanziate nella zona mistilingue della Carinzia, in modo da “fare spazio” ai valcanalesi. Questa operazione, denominata Kärnten Aktion (K-Aktion) e volta a rendere operativo l’ordine di Himmler Macht dieses Land Deutsch! (Rendete tedesco questo Paese), s’inseriva nel contesto del trasferimento di persone non ritenute “autenticamente tedesche” e quindi considerate pericolose dal punto di vista razziale e politico. Alle 5 del mattino del 14 aprile 1942 le SS diedero, quindi, il via alla deportazione di 227 famiglie slovene e in poco più di un’ora intere proprietà vennero sequestrate senza indennizzi dallo Stato nazista. Gli evacuati furono raccolti nel RAD (Reichsarbeitdienst, ovvero il servizio di lavoro del Reich) in attesa di essere trasportati presso il lager di Schwarzenberg, in Baviera. Secondo Lara Magri: « nel complesso furono 917 le persone deportate nei campi […] tutti coloro che avevano più di 15 anni […] vennero impiegati come operai nelle fabbriche e nell’industria bellica ».103 Non tutti i valcanalesi decisero di prendere possesso delle proprietà confiscate proprio perché si resero conto di quello che era appena successo. Alcuni, però, decisero di stabilirsi, e alla fine della guerra, quando i legittimi proprietari tornarono a reclamare quelle che erano le loro case, essi si ritrovarono senza proprietà, perché in Valcanale era già stato venduto tutto. Una testimonianza particolarmente toccante su questo fatto è quella di Autz Kristine: il cuore faceva male quando si arrivava lì e si vedeva come... i bambini piccoli, sul tavolo c’era ancora la bottiglia/biberon del bambino, ancora da bere e la ciotola della polenta....allora il padre ha detto “no...”; “Ma deve pur decidersi, signor Fillafer, a prendere qualche cosa!”; E lui dice: “No, questo non lo prendo”. Ed anche la signora Mandl di Coccau, con la quale era andato a vedere qualche proprietà… Klagenfurt e circondario, non ha accettato niente, e lei poi è andata in un appartamento ad Hermagor.104 Chi, invece, accettò la casa racconta: 103 104 MAGRI L, op, cit, p. 156. Intervista a AUTZ KRISTINE di Coccau, classe 1922, raccolta nel 2010 da MAGRI L, AdMPV. 48 […] dicevano che, chi aveva una casa, ne poteva ottenere una in Carinzia , da cui erano stati cacciati gli sloveni. E così mia nonna è andata a cercare una casa libera in giro per la Carinzia e dice, sì, giù a Ferlach, precisamente a Kleinach, dove c’era una piccola casa di contadini con il soffitto ancora nero, perché vi affumicavano la carne e naturalmente mio padre ha aggiustato tutto, ha fatto una cucina normale, la stalla per i maiali e quant’altro.105 Episodi come quelli riportati dalle interviste, unite all’incerto andamento delle operazioni belliche, contribuirono ad un cambiamento di mentalità negli optanti e a tentativi di ritardi nelle partenze nell’attesa di uno stabilizzarsi della situazione. Tuttavia, l’8 settembre 1943 l’intero Friuli e la Venezia Giulia vennero invasi e annessi direttamente al Terzo Reich, inquadrati nella Zona di Operazioni dell’Alto Adriatico (Operationszone Adriatisches Küstenland o OZAK). L’intera operazione venne immediatamente sospesa e si aprì una nuova fase nella storia delle Opzioni in Valcanale e in Alto Adige. La sconfitta del terzo Reich nell’aprile 1945 aprì il problema della regolarizzazione della cittadinanza non solo degli optanti già trasferiti che desideravano ritornare nei loro posti d’origine, ma soprattutto di tutti gli optanti che ancora non avevano traslocato e che si ritrovavano a vivere in Italia ma con una cittadinanza non più valida, qual era quella nazista, e impossibilitati a guadagnare quella italiana se non tramite complicate operazioni burocratiche. L’11 luglio 1945 fu deciso da parte delle forze d’occupazione americane che « tutti coloro che risultavano cittadini italiani alla data del 1° gennaio 1940 o dopo tale data, e residenti nella provincia di Bolzano al 4 maggio 1945 non dovevano essere considerati cittadini germanici ».106 Per tutti i trasferiti si dovrà attendere il famoso "Patto De Gasperi-Gruber" del 5 settembre 1946 con il quale i ministri italiano e austriaco si impegnavano a risolvere il problema degli optanti che ancora non avevano regolarizzato la loro posizione. Il risultato delle discussioni fu il cosiddetto “decreto sulle opzioni” del 2 febbraio 1948, in base al quale tutti gli optanti che non erano entrati in possesso della cittadinanza germanica e non si erano trasferiti nel Reich avrebbero potuto ritirare l’opzione e rimanere cittadini italiani. Per gli optanti che già avevano acquistato la cittadinanza germanica, anche se ancora residenti in Italia, era prevista la possibilità di ritirare l’opzione e di riottenere la cittadinanza italiana.107 105 Intervista a PAIER ANNA di Cave del Predil, classe 1920, raccolta nel 2010 da MAGRI L, AdMPV. SCROCCARO M, op, cit, pp. 242-243. 107 ITALIA, GAZZETTA UFFICIALE (G.U.), 5 febbraio 1948, n.29, Roma, Tipografia dello Stato. 106 49 Gli optanti sudtirolesi ebbero tempo fino al 1949 per decidere se rioptare e alla fine, spinti dalla stampa e dall’opinione pubblica decisero in massa di ritornare nelle loro case e di nuovo si aprirono problemi di accettazione e di lavoro. La Valcanale, sempre periferica rispetto ai grandi numeri dei sudtirolesi, a differenza dell’Alto Adige, non riuscì a far valere i suoi diritti sull’applicazione del “Patto De Gasperi-Gruber”, quindi i rioptanti furono molti di meno sia perché spesso la sistemazione trovata in Carinzia si era rivelata soddisfacente, sia perché era stato molto più facile rimpiazzare coloro che se ne erano andati, infatti la compravendita dei beni dei valcanalesi, libera dalle restrittive norme del Patto, poté svolgersi con facilità. Ne approfittarono abitanti delle valli limitrofe, spinti dalla ghiotta occasione di poter comprar casa a prezzi stracciati. 50 3. CONSEGUENZE ECONOMICHE E SOCIALI DELLE OPZIONI I “nuovi arrivati”: la compravendita delle proprietà degli optanti e il cambiamento culturale della valle 3.1 Il ruolo dell’Ente Nazionale per le Tre Venezie. Per poter analizzare in che modo la compravendita delle proprietà degli optanti si risolse in una massiccia immigrazione nella valle di elementi friulani dalle valli limitrofe e ivi attirati dall’opportunità di ottenere immobili a prezzi estremamente convenienti, bisogna fare un passo indietro e delineare, in sintesi, la storia dell’Ente Nazionale per le Tre Venezie, l’unico ente pubblico che si occupò, da parte italiana, della gestione dei beni degli allogeni fino al 1972, anno in cui venne soppresso in quanto dichiarato ente obsoleto e quindi inutile. Seguendo le sue vicende, dalla nascita al tempo dell’accordo per il rimpatrio, è possibile precisare non solo il ruolo che esso ebbe nell’evento delle opzioni, ma anche in che modo esso venne utilizzato dal governo fascista per tentare di italianizzare le terre di nuova acquisizione. La storia dell’Ente è anteriore al fascismo e inizia con la creazione, nel 1921, di un Istituto per la Rinascita Agraria al quale venne attribuito il compito di rimettere in sesto le terre danneggiate dalla prima guerra mondiale e di razionalizzare l’attività produttiva nelle campagne venete tramite la gestione statali di terreni espropriati dietro indennizzo. Va ricordato, parallelamente, che durante gli anni venti crebbe alquanto la pressione del regime sulle minoranze e fra i circoli nazionalistici vicini ad Ettore Tolomei si radicò la teoria della “conquista del suolo”, che i nazionalisti propagandavano a gran voce già dai tempi dell’annessione, e secondo la quale l’italianizzazione delle terre di nuova acquisizione non avrebbe mai potuto essere incisiva senza le acquisizioni dei terreni saldamente in mano a braccianti allogeni. Scroccaro, nella sua opera, riporta uno scritto, datato 1926, del marchese Adriano Colocci Vespucci, stretto collaboratore di Tolomei: « Noi non riusciremo a penetrare negli animi degli alto atesini, e quindi inseriamoci almeno nelle loro terre; fino a quando non sarà spezzato il 51 compatto, assoluto dominio degli alto atesini sulla proprietà terriera, saremo e rimarremo degli stranieri ».108 Per mettere in pratica tale progetto di espulsione dei vecchi proprietari allogeni, il governo fascista abolì, innanzi tutto, nel 1929, l’istituto giuridico del “maso chiuso”, antica normativa altoatesina che preservava l’indivisibilità delle terre garantendone la trasmissione al primogenito maschio, rendendo così possibile parcellizzare i terreni. In tal modo le rendite del contadino sarebbero calate e contestualmente sarebbe aumentato il suo bisogno di credito. La crisi internazionale accorsa nello stesso anno, oltretutto, costrinse i contadini e gli agricoltori ad indebitarsi per mantenere il controllo delle terre e questa occasione fornì il pretesto per un progetto in grande stile di ottenimento dei terreni fra Alto Adige, Friuli e Venezia Giulia. Sicché, durante gli anni Trenta, in un contesto in cui il fascismo tentava di mettere in pratica le politiche di autarchia tanto reclamizzate dal Duce istituendo enti pubblici che garantissero l’autosufficienza dello Stato, l’Ente Rinascita Agraria (ERA) – che nel frattempo aveva espropriato e amministrato un gran numero di appezzamenti nelle provincie fra Venezia e Treviso109 – fu individuato dal fascismo come l’organo più adatto alla gestione “sul campo” di queste faccende e poté affinare le sue capacità di statalizzazione della terra acquisendo sempre maggiore importanza nell’ambito della direzione dei terreni montani.110 Con il regio decreto del 7 gennaio 1937 le competenze dell’ERA vennero ampliate e l’Ente, ritrasformato in Ente di Rinascita Agraria delle Tre Venezie, ottenne il diritto di « chiedere il trasferimento in sua proprietà di immobili a chiunque appartengano, quando appaiono suscettibili di essere utilizzati per i fini che l’Ente persegue […]m»,111 inoltre: « L'Ente può ottenere in concessione o in appalto con preferenza rispetto a ogni altro aspirante, anche se consorzio di proprietari, l'esecuzione delle opere che giovino a mettere in valore il suo patrimonio o comunque servano ai suoi scopi istituzionali ».112 108 SCROCCARO M, op, cit, p. 104. Archivio di Stato di Udine, (ASU), ENTE DI RICOSTRUZIONE E RINASCITA AGRARIA PER LE PROVINCIE DI VENEZIA E TREVISO, Ricostruzione delle terre danneggiate: appunti e dati. ERA relazione sull’esercizio 1926, quad. 55, anno 6, ottobre 1927. 110 Cfr: Option Heimat. Opzioni, una storia dell’Alto Adige, Catalogo della mostra a cura del Südtiroler Kulturverein, Bolzano, 1989, pp. 87-88. 111 ITALIA, G. U, Anno 78, n° 40, 17 febbraio 1937, Roma, Tipografia dello Stato, p. 588 112 Ibid, p. 589. 109 52 Applicando questa legge, in meno di due anni l’Ente espropriò più di 1.500 ettari di terreno nella sola Valcanale113, mentre in Alto Adige rallentò la frequenza delle requisizioni preferendo concentrarsi sulla creazione del polo industriale di Bolzano. Anche questo tentativo di italianizzare il territorio, però, si rivelò un fallimento sia perché i funzionari dell’Ente si resero costantemente odiosi agli allogeni e vessarono indistintamente tutte le minoranze spingendole ad un atteggiamento sempre più ostile a tutto ciò che era italiano, sia perché il governo tento di sostituire la popolazione rurale allogena con contadini che avrebbero dovuto dimostrare comprovata fedeltà al regime ma che in realtà erano « a loro volta degli oppressi, delle persone in fuga dalla miseria […]. Diluiti nel territorio, isolati, finirono molto spesso per integrarsi con la popolazione locale ».114 Come riporta il catalogo della mostra sulle Opzioni a Bolzano: « l’alternativa era il fallimento o l’adattamento, non solo in senso economico, all’ambiente ».115 Nel 1939, a ridosso delle opzioni, l’Ente venne trasformato in Ente Nazionale per le Tre Venezie (ENTV) con una nuova legge che gli concedeva spazi di manovra ancora più ampi: Art. 1: l’Ente di Rinascita Agraria per le Tre Venezie […] estende la sua azione ad ogni forma di attività economica sociale ed educativa, assumendo la denominazione di <<Ente Nazionale per le Tre Venezie>>. Art. 2: L’Ente si propone: 1) di assumere l’esecuzione di opere di bonifica, trasformazione e riordinamento della proprietà fondiaria, agendo in qualità di acquirente, affittuario o appaltatore […] 2) di acquistare fondi urbani a qualsiasi uso destinati 3) di rilevare e cedere aziende industriali e commerciali […]. Art. 8: L’Ente può chiedere il trasferimento in sua proprietà di immobili, a chiunque appartengano, quando appaiono suscettibili di essere utilizzati per i suoi fini istituzionali. […]. Anche prima della risoluzione del contratto l’Ente può procedere all’occupazione dell’immobile e alla utilizzazione dei materiali e degli impianti ivi esistenti, corrispondendo agli affittuari […] un indennizzo […].116 Essendo quindi diventato un organo burocratico di enorme peso nelle mani del governo fascista, Mastromattei, il prefetto di Bolzano che stipulò il patto relativo alle opzioni con la delegazione germanica, vide in esso l’istituzione più adatta per la compravendita delle proprietà e lo propose come organo competente alla compravendita degli immobili. Dopo Si rimanda alla visione degli Atti d’Esproprio, Ufficio Tavolare di Pontebba (UTP), Documenti Tavolari 1938-1939. 114 SCROCCARO M, op, cit, p. 106. 115 Option Heimat. Opzioni, op, cit, p. 88. 116 ITALIA, G.U. Anno 79, n°287, 12 dicembre 1939, Roma, Tipografia dello Stato, p. 565. 113 53 alcune discussioni sulle modalità di estimo del patrimonio, l’Ente fu incaricato di gestire le proprietà dei rimpatriandi. Le norme per il rimpatrio erano articolate in due parti: la prima, già citata, trattava le questioni relative alle persone, mentre nella seconda parte erano evidenziate le disposizioni di carattere economico. Gli articoli di questa sezione illustravano le modalità di trasferimento nonché di valutazione quotazione dei patrimoni in Italia: Art.23: Secondo gli accordi stipulati fra il governo italiano e quello germanico relativamente all’attuazione, agli effetti economici dell’emigrazione è previsto il trasferimento I. dell’intero patrimonio netto situato in Italia […]. II. Del solo patrimonio netto come sopra precisato, situato nei Territori dell’Accordo per i cittadini germanici che, pur non essendo originari dei Territori dell’Accordo, abbiano la loro residenza in Italia […]. […] Art. 27: Le persone indicate al paragrafo 23 possono portare seco in Germania, […] tutti i beni mobili in loro possesso […]. 29. Le persone di cui al n. 23 potranno alienare i loro beni sul libero mercato. Altrimenti questi beni saranno comprati dall’Ente Nazionale per le Tre Venezie di Bolzano. Il trapasso all’Ente avviene sulla base del valore fissato, per ogni caso, dalla « Commissione italo-germanica per la stima ». […] Art. 33: La « Commissione italo-germanica per la stima » si compone di una Commissione principale e di sottocommissioni. […].117 Nel complicato iter che un optante doveva seguire per rendere inappellabile la sua decisione di trasferirsi, dapprima, come abbiamo visto, era necessario il nulla osta dell’ADEuRSt ma il passo successivo era stabilire il valore dei beni immobili che dovevano essere trasferiti. Per prima cosa l’emigrante procedeva ad inventariare le proprie sostanze, in seguito presentava alla sottocommissione competente i suoi dati e quest’ultima procedeva, tramite due tesorieri, uno italiano e uno tedesco, all’estimo dell’”autovalutazione” presentata dal soggetto. « Se le tre valutazioni concordavano, la pratica veniva chiusa e trasmessa alla commissione superiore. In caso contrario veniva redatto un verbale […]. Il verbale della sottocommissione veniva passato alla commissione superiore […] e si ripeteva l’iter[…] ITALIA, MINISTERO AFFARI ESTERI, I documenti diplomatici italiani, nona serie (1939 – 1943), Vol. II, Roma, Tipografia dello Stato, 1964, pp. 605-609. 117 54 l’esito veniva convalidato dal presidente e notificato al soggetto. Avverso questo parere egli [l’optante] non aveva più facoltà di ricorso ».118 Una volta ricevuta la risposta definitiva sulla valutazione l’optante era libero di affidare i suoi beni all’ENTV tramite un verbale di consegna. In seguito l’ENTV effettuava un bonifico su un conto speciale della DUT (Deutsche Umsiedlungs-Treuhandgesellschaft o Società fiduciaria per il trasferimento dei beni degli optanti) che poi inviava all’optante un mandato di pagamento corrispondente al suo patrimonio. « Quanto però a poter disporre del deposito bancario, doveva attendere sin quando poteva fornire la “prova di aver effettuato un oculato investimento” del suo denaro ».119 Anche a Tarvisio, naturalmente, vennero aperte sezioni della DUT e dell’ENTV con rispettive sottocommissioni ma, a differenza dell’Alto Adige, si stabilì che, visto il basso numero di allogeni da trasferire rispetto ai quasi 200.000 sudtirolesi che dovevano per forza essere dispersi nei territori del Reich, tutti i valcanalesi avrebbero dovuto essere trasferiti in Carinzia. Per favorire un reinserimento felice degli optanti fu quindi istituito l’ufficio della Volksdeutsche Mittelstelle del già citato Alois Maier-Kaibitsch. Il macchinoso percorso burocratico che era necessario seguire prima di fare le valigie e le difficoltà che spesso sorgevano all’interno della commissione di stima giocarono, successivamente, un ruolo molto importante nel calo dell’entusiasmo che aveva pervaso gli optanti nella prima e concitata fase delle partenze e aprirono la strada a numerosi ripensamenti, soprattutto fra chi possedeva immobili e magari aveva avviato attività in proprio ed era preoccupato per l’andamento della guerra. Molti optanti facoltosi, a differenza dei nullatenenti che non creavano particolari problemi burocratici e poterono partire immediatamente, preferirono procrastinare il proprio trasferimento usufruendo di una clausola per cui « un optante poteva emigrare soltanto quando il suo patrimonio fosse stato valutato ed estinto » e quindi: « Se l’optante […] aveva dimenticato qualche cosa poteva ripercorrere la […] procedura ».120 A questi motivi si aggiunge il fatto che spesso sorsero problemi, anche gravi, con la restituzione del capitale che era nelle mani della DUT; molti optanti non poterono accedere al deposito bancario oppure ricevettero solo una minima parte del denaro che gli spettava. 118 Option Heimat. Opzioni, op, cit, p. 203. Ibid, p. 206. 120 Ibid, p. 207. 119 55 Non deve stupire, perciò, se alla fine del 1942, su oltre 63.000 istanze presentate a Bolzano dalle varie commissioni, solo 9.700 vennero evase.121 Con il passare del tempo all’esaltazione subentrò, quindi, un sentimento di sconforto e dalla festosa accoglienza organizzata dalle autorità ed esaltata dalla stampa di regime, si passò rapidamente al silenzio totale. Erano soprattutto le crescenti difficoltà a stimare le proprietà di imprenditori e commercianti e la difficoltà a collocarli, unite al fosco contesto internazionale, che stavano mutando radicalmente il clima dell’operazione. S’era capito che la macchina perfetta che si supponeva […] evidenziava pecche tali da essere messa in dubbio in toto. Molti trasferiti non trovarono sistemazione adeguata, altri, e nello specifico contadini, non trovarono di loro gradimento quanto il regime nazista proponeva.122 Il mutato umore fra coloro i quali erano in procinto di partire portò anche al mutamento di atteggiamento nella minoranza di coloro che erano rimasti in valle verso chi se ne era andato, che venne etichettato come una sorta di “traditore”, colpevole di aver abbandonato la comunità della valle e di essersi lasciato abbindolare in vari modi, preso dall’ infatuazione collettiva. La realtà della situazione e la constatazione di come spesso le proprietà erano effettivamente state cedute senza soluzioni sicure non facevano più rimpiangere il mito della felice residenza carinziana. In particolare, chi subì il contraccolpo più duro furono quegli sfortunati che all’8 settembre 1943 non avevano ancora completato il percorso che gli avrebbe consentito il trasferimento e che, però, avevano già ceduto le proprietà all’ENTV. « Rimasero tutti etichettati come “allogeni” […] posti in una situazione di spettatori inermi, privati del diritto di cittadinanza, ma anche di parità sociale rispetto a quanto avveniva sul territorio. […] A differenza di quanto accadde in Sudtirolo, dove agli allogeni emigrati o meno sarà concesso il riacquisto delle proprietà, qui tale diritto fu loro negato ».123 Alla fine dell’estate del 1942, inoltre, i “nuovi alloggi” costruiti dalla Neue Heimat erano stati quasi completamente ceduti e la soluzione trovata da Maier-Kaibitsch di deportazione delle famiglie slovene nell’ambito della K-Aktion, non aveva convinto parecchi optanti che ancora si ritrovavano senza fissa dimora e che, ignari di quello che era accaduto ai precedenti abitanti di quelle fattorie, si allarmarono all’idea di trasferirsi senza fidejussioni in casa d’altri col rischio che i legittimi proprietari potessero tornare da un momento all’altro. 121 Ibid, p. 207. DOMENIG R, op, cit, pp. 64-65. 123 DOMENIG R, op, cit, p. 75. 122 56 Effettivamente, alla fine della guerra, circa 70 famiglie slovene tornarono e rioccuparono le loro legittime proprietà lasciando letteralmente i valcanalesi sulla strada poiché era a loro impossibile ricomprare i vecchi lotti o le case in valle cedute all’ENTV poiché non solo i contratti con il terzo Reich non avevano alcun valore ma anche perché, nelle discussioni di Parigi relative al trattato di pace fra l’Italia e le potenze vincitrici, venne deciso che in Valcanale non ci si poteva appellare al sovracitato Patto De Gasperi-Gruber principalmente perché le statistiche effettuate alla fine della guerra mostravano come la gran parte della popolazione tedesca emigrata avesse deciso di non tornare e moltissime proprietà erano già state vendute.124 3.2 l’acquisizione dei beni dell’Ente Nazionale per le Tre Venezie da parte dei friulani delle valli limitrofe e il cambiamento socioculturale della valle. Mentre gli emigranti espletavano le loro pratiche e si trasferivano definitivamente in Carinzia, l’Ente Nazionale per le Tre Venezie agiva indisturbato accumulando un’enorme ricchezza in terreni e « beni immobili rustici »125. Per capire quanto l’ENTV avesse ampliato la sua influenza, valga un documento archiviato all’Ufficio Tavolare di Pontebba e datato 30 gennaio 1939 in cui si concede all’Ente per la Rinascita Agraria Tre Venezie, ancora non trasformato nell’Ente che amministrerà i possedimenti nel periodo delle opzioni grazie al Regio Decreto del 30 novembre 1939: « Il trasferimento in sua proprietà della Malga presso il Passo di Pramollo, in comune di Pontebba, appartenente all’Alpe di Nassfeld e Winkler, oppure Alpe di Tressdorf, estesa ettari 442.39.12 ».126 Di seguito vi si legge: « L’Ente depositerà alla cassa depositi e prestiti la somma di £. 150.000, da esso offerta come indennità e non accettata dagli aventi diritto, in attesa della definitiva liquidazione […] ».127 È evidente come, ancor prima di essere trasformato nell’istituzione che conosciamo, l’Ente già esprimesse un enorme potere ablatorio – la capacità, cioè, di sacrificare l’interesse privato a quello pubblico – avverso il quale non valse nemmeno la protesta dei consorzi vicinali dei paesi oggetto degli espropri, una delle istituzioni più importanti e prestigiose dell’economia 124 Una statistica del 1949 stilata da Don Fontana, parroco di Tarvisio durante la Second Guerra Mondiale, stima circa 832 tedeschi e 1.098 sloveni su quasi 10.000 abitanti della valle. Archivio Parrocchiale Tarvisio. 125 Uffico Tavolare di Pontebba (UTP), Ente Nazionale Tre Venezie (ENTV), Documenti tavolari 1940-1943. Verbali di consegna a favore dell’ENTV, nr. 50/1941, Libro Fondiario. 126 Ufficio Tavolare di Pontebba, (UTP), Documenti tavolari anno 1939, nr. 238/1939, Libro Fondiario. 127 UTP, Documenti tavolari anno 1939, nr. 238/1939, Libro Fondiario. 57 valliva. Conseguentemente, negli anni dei trasferimenti, la maggior parte delle proprietà degli allogeni vennero acquisite e l’Ente aumentò di molto il suo raggio d’azione e la sua importanza nell’amministrazione della valle128. Già dai tempi delle prime partenze, visto che i risultati dell’opzione erano irreversibili e, in linea teorica, si sarebbe dovuto trasferire tutti i beni e le persone entro la fine del 1942, l’organo aveva incominciato a rivendere a prezzi stracciati gli immobili ceduti. In quel medesimo anno, quando ormai i cambiamenti di residenza erano in avanzato stadio di compimento, i “rimasti” si accorsero con una certa preoccupazione che il destino della valle sarebbe stato molto incerto non solo perché non c’erano piani strutturati per il ripopolamento dei paesi ma anche perché, nel pieno ormai della Seconda Guerra Mondiale, era difficile fare previsioni in una vallata depauperata di gran parte della popolazione dedita alle attività produttive. Un interessante attestato di tale apprensione si ritrova negli scritti del parroco di Valbruna, Don Simiz il quale, preoccupato del danno possibile all’importante vocazione turistica della località, tentò qualche previsione sul futuro della parrocchia: l’avvenire della Parrocchia dipenderà molto dal modo e dall’uso a cui verrà adibito il Grand Hotel Saisera. Se, come si vocifera, tale ambiente verrà adibito a sanatorio militare o scuola militare, il resto del paese verrà come assorbito dal militarismo. Se invece va a cadere in possesso di privati, per turismo, il resto del paese si dovrà adattare alle esigenze del caso.129 Il fatto che più preoccupava le amministrazioni della valle, nelle attività di compravendita dell’Ente, era proprio la mancanza di un piano economico organico, che ingenerava il timore di possibili soprusi, da parte di soggetti non autorizzati, soprattutto sui diritti silvestri, asse portante dell’economia valliva sin da tempi remotissimi. In tal senso il nuovo podestà di Malborghetto, Patrizio Agnola, difendendo i diritti degli italiani che si avviavano ad acquistare le proprietà, così scrisse all’alto commissariato per l’esecuzione degli accordi italo-tedeschi quanto segue: Per quanto riguarda il ripopolamento della zona, faccio presente che in questo comune, […] si verificherà, all’atto dell’esodo completo, una situazione insostenibile sotto tutti gli aspetti sia agricoli-silvestri che economici. Già ora si comincia a risentire di tale situazione: mancanza di artigiani, scarsità di mano d’opera ecc… I verbali di consegna degli optanti mostrano come, fra il 1940 e il 1943, all’ENTV pervennero la maggior parte dei beni immobili e arativi. In questo modo l’Ente divenne un punto di riferimento obbligato negli acquisti successivi. UTP, documenti tavolari anni 1940-1943, Libro Fondiario. 129 Lt. 18 febbraio 1942, Archivio Parrocchiale Valbruna (APV), citato in: GARIUP M, op, cit, p. 200 128 58 Solo un tempestivo piano di riorganizzazione può evitare il perpetuarsi di tale situazione: afflusso controllato di elementi italiani tratti preferibilmente dalla Carnia o dal Bellunese; immutabilità dell’attuale stato economico che collega strettamente la proprietà agricola con quella silvestre. Infine si segnala la necessità che l’Ente Nazionale delle Tre Venezie dia precise e chiare disposizioni sulla procedura e sulle condizioni di subingresso delle proprietà allogene.130 Quindi il podestà rimarcò la preoccupazione per le compravendite che avvenivano al di fuori delle garanzie riconosciute dell’Ente: […]si sta verificando in questi ultimi giorni una forte contrattazione di cessione di beni appartenenti ad allogeni optanti per la cittadinanza germanica a favore di privati provenienti da diverse parti del regno. Esistono poi, in sito, alcuni mediatori che cercano di speculare sul valore dei beni cedendo al rialzo ai privati italiani i beni che hanno contrattato per un prezzo inferiore […]. Tali cessioni avvengono al di fuori di ogni organo o Ente preposto, com’è noto, alla regolazione dei beni degli allogeni[…]. Praticamente tale abuso potrebbe essere frenato impedendo ogni cessione di beni se non a mezzo dell’Ente Nazionale delle Tre Venezie che dovrebbe in caso di nulla osta, preservare soprattutto la colonizzazione delle proprietà, richiedendo adeguata garanzia da parte del subentrante.131 Erano le pertinenze boschive i luoghi nei quali e sui quali potevano avvenire le peggiori ingiustizie. Vi era, infatti, il rischio concreto di raggiri soprattutto sulle proprietà alpestri complementari agli immobili poiché, non rispettando le garanzie offerte dall’Ente, certi edifici avrebbero potuto essere venduti separatamente dai loro boschi contermini, economicamente coessenziali. Agnola, rimarcando l’inscindibilità della proprietà terriera da quella alpestre, scrisse infatti che: « Credere che una famiglia colona italiana possa vivere con i soli prodotti della terra è pura utopia »132. Per risolvere questo tale problema, l’Ente Tre Venezie si convinse a stipulare contratti di compravendita per la costituzione di « piccole proprietà contadine »133 ovvero proprietà che, oltre alla casa, comprendessero anche appezzamenti arativi o boschivi, in modo che gli acquirenti, nella stragrande maggioranza anch’essi pastori o contadini, potessero usufruire della servitù di legname per il riscaldamento invernale e dello sfalcio del fieno per nutrire bestie, in modo da rilanciare l’economia silvo-pastorale della valle. 130 Lt. 8 gennaio 1942, Archivio Mario Gariup (AMG), citato in: GARIUP M, op, cit, pp. 202-203. Ibid, pp. 204-205. 132 Ibid, pp. 205. 133 UTP, ENTV, contratto di compravendita per la costituzione di piccola proprietà contadina n. 47/52. Documenti tavolari 1949-1952, Libro Fondiario. 131 59 L’analisi dei contratti conservati all’ufficio del libro fondiario, confrontati con i verbali di consegna degli optanti di pochi anni precedenti, permette di avvalorare quanto detto, poiché sia nei verbali di consegna sia all’interno dei contratti del dopoguerra veniva descritta anche la proprietà in procinto di essere venduta. Un esempio: […]La piccola azienda agraria cui si riferisce la domanda in esame è ubicata in provincia di Udine, Comune di Malborghetto, frazione di Ugovizza, misura la superficie di 4.44.90 Ha, ha un reddito di imponibile censuario di £.616.29 annue […]. I terreni dell’azienda risultano suddivisi in cinque appezzamenti dei quali quattro a fondovalle, mentre il quinto è a monte, quota 1300, località Malga di Uqua, raggiungibile direttamente per una strada militare con un’ora e tre quarti di cammino […]. I terreni di fondovalle sono prevalentemente pianeggianti con esposizione nord – ovest. L’arativo è di ottima fertilità […]. Il terreno a monte invece è leggermente in pendio è coltivato a prato ed ha pure una consistenza legnosa […]. La parte edificale dell’azienda è rappresentata da una casa colonica […]. Al fondo sono connessi importanti diritti di legnatico, sulla foresta demaniale di Tarvisio […]. La proprietà di cui trattasi costituisce una organica azienda agricola […] essa consente un reddito sufficiente per il mantenimento di una adeguata famiglia rurale montanara.134 Dunque, in una valle che si stava lentamente ma inesorabilmente svuotando, iniziarono ad arrivare i nuovi compaesani friulani dalle più povere valli vicine: la Val Dogna, la Val Raccolana, la zona della Carnia e la Val Resia. Costoro poterono acquistare a prezzi modici le proprietà lasciate in custodia all’Ente e approfittarono di questa congiuntura favorevole per un miglioramento delle loro condizioni di vita. Una significativa testimonianza è quella riportata da Maria Piussi di Piani di là, frazione di Chiusaforte, figlia di un bracciante agricolo della val Raccolana che, consapevole dell’estrema povertà dei terreni di quella vallata, non esitò a cogliere l’opportunità che contratti come quello già citato potevano offrire: Int.) Parlando di un tema un po’più personale: posso chiederle perché vi siete trasferiti? MP) Perché non c’era lavoro, e mio padre, nel 1942, ha avuto l’opportunità di prendere una casa in affitto. Anzi, due, una per lui e una per lo zio. Eh… non c’era lavoro in Val Raccolana, e mio padre aveva già fatto l’emigrante. Aveva emigrato già da giovane in Romania e poi si era spostato in Francia… però la famiglia era rimasta tutta là, [a Piani n.d.A.] la nonna, il nonno e noi che eravamo piccoli. E quindi, visto che aveva capito che grosse opportunità c’erano qui [a Valbruna n.d.A] ha deciso di far trasferire tutti: la nonna, il nonno ecc… Eh, andava benone qui! Non serviva il treno né grandi sacrifici, rispetto a dove eravamo prima… 134 UTP, ENTV, contratto di compravendita per la costituzione di piccola proprietà contadina, nr. 52/1951, Documenti tavolari anno 1951, Libro Fondiario. 60 Int.) Certo, in molti mi hanno ripetuto che era meglio fare il fieno nella piana di Camporosso che sui “prati” di Samedons!135 MP) Si esatto! Mia madre col “Géi” [fr: gerla], povera! Si spaccava la schiena ogni giorno su quelle scarpate improduttive, quel cambiamento, per noi si è rivelato un vero paradiso.136 L’approccio con un ambiente completamente diverso sia culturalmente che linguisticamente, però, fu, in particolare per le primissime famiglie che vennero a stabilirsi nella Valcanale, piuttosto traumatico. Una delle prime fonti che riportano l’arrivo dei “nuovi immigrati” è una lettera, dell’autunno 1942 in cui il parroco di Valbruna, don Guion, scrive: […] fino al febbraio 1942 a rimpiazzare i partenti di Valbruna non era ancora arrivato nessun immigrato. Finalmente da Resia e Chiusaforte arrivarono le nuove famiglie a rimpiazzare ed occupare le case abbandonate dai valbrunesi che hanno optato per il 3° Reich. Le proprietà, per il momento, vengono consegnate in affitto ai nuovi arrivati da un ente governativo chiamato Ente Nazionale per le Tre Venezie. I nuovi arrivati, spaesati in un ambiente completamente nuovo per loro, con tradizioni e lingua completamente diverse, non riescono a inserirsi nel tessuto sociale del paese e della parrocchia […] sono costernato […]. Tutto ciò porta alla disperazione. Domine dona nobis pacem!137 Naturalmente non dobbiamo pensare che la situazione pressoché catastrofica descritta dal curato fosse generalizzata né che lo spaesamento fosse poi stato una costante. Bisogna poi contestualizzare questo documento nel clima estremamente pesante dovuto all’incerto andamento della guerra. In realtà i nuovi arrivati, il più delle volte, seppero adattarsi felicemente alla nuova situazione abitativa e spesso fu proprio il buon inserimento dell’elemento latino nell’universo culturale delle comunità a richiamare, nell’immediato dopoguerra, parenti e familiari dal Friuli, attirati dalle possibilità lavorative della valle e sicuri di poter appoggiarsi a persone fidate già integrate. Un’appassionata testimonianza è quella di Oreste Pezzano, abitante del “Canale di Raccolana” e trasferitosi a Fusine nel 1946: Int) è stato un motivo di lavoro, quello che vi ha spinto a trasferirvi qui? OP) Sì, ma non solo, è stato anche perché c’erano già parenti che abitavano lassù, sulla collina, [la collina di Speinkolm vicino a Fusine n.d.A.] erano zii, c’era la sorella di mio padre. Ci hanno detto “venite su e state in affitto, poi se vi 135 Località della Val Raccolana. Intervista in friulano raccolta e tradotta da Alessandro Ambrosino a MARIA PIUSSI, classe 1937 di Piani, 10 ottobre 2014. 137 APV, citato in: GARIUP M, op, cit, pp. 205-206 136 61 trovate bene comprate la proprietà” ma a noi sembrava un po’ scomoda e fuori mano. Un po’ più in basso, sulla strada, però, c’erano anche altri due parenti, erano venuti su nel ’42, quando ero militare. Loro avevano due case, anche loro in affitto, ma molto più comode, una meraviglia! Così ci siamo guardati in faccia e abbiamo deciso di spostarci e prenderne una delle loro, prima io e mio fratello, il 26 marzo del 1946, e ad ottobre è venuto su mio padre. Abbiamo detto “Adesso prendiamo in affitto lassù, a Speinkolm, e ci mettiamo in comune. Se ci troviamo bene, nel ’50 cambiamo la residenza”. Nel ’50 abbiamo portato su la residenza e nel 1952 abbiamo firmato il contratto con l’Ente. Int) e come è stato l’impatto con le nuove case? OP) è stato meraviglioso, non me lo dimenticherò mai! Eravamo con i Piussi, che poi si sarebbero trasferiti due anni dopo a Fusine, abbiamo visto queste proprietà, con i prati, i boschi, le stalle, tutto pulito, e si facevano più di 450 quintali di fieno…meraviglioso! Ci siamo inginocchiati di fronte alle case – pensi che eravamo appena usciti dalla guerra – e abbiamo pianto pensando: “questo è un vero paradiso, rispetto a dove eravamo prima, un miracolo del cielo!138 Inoltre non va dimenticato che i paesi erano quasi completamente svuotati e l’arrivo di nuovi abitanti comportò un importante cambiamento sociale in quanto i friulani si ritrovarono di colpo ad essere in numero superiore ai tedeschi “autoctoni”. Alla fine della guerra, secondo un anonimo valcanalese, la stima della popolazione della valle è la seguente: « dopo l’emigrazione, nel 1942 cominciarono ad occupare le abitazioni vuote gli italiani, ciò che fino al 1945 portò il numero di italiani a 6.250 unità ».139 In una situazione di normalità, però, il nuovo arrivato che prende la residenza in una comunità si adegua all’esistente. Ciò avvenne, per esempio, negli anni trenta in Alto Adige, quando i contadini si insediarono a macchia di leopardo nei territori espropriati dall’ENTV e finirono con l’uniformarsi alla componente sudtirolese. Nel nostro caso, però, furono i friulani, ritrovatisi in un tempo assai breve ad essere in maggioranza numerica rispetto agli allogeni – salvo che nei paesi a maggioranza slovena come Ugovizza – riuscirono ad imporre il loro modo di operare e di vivere. Vero è che alcune famiglie allogene rimaste si arroccarono in un mondo “pre-opzioni” che non c’era più e per anni soprattutto nei paesi minori come Ugovizza o Bagni di Lusnizza, evitarono i contatti con l’elemento friulano ed italiano. Tuttavia, anche in uno spirito di collaborazione comune, alla maggior parte degli “exallogeni” convenne adattarsi alla nuova situazione etnica della valle e abituarsi ai “nuovi vicini”. La testimonianza di Bruno Deotto, figlio dell’unico italiano trasferitosi a Valbruna alla fine della Prima Guerra Mondiale e quindi osservatore privilegiato della vicenda in 138 Intervista raccolta da Alessandro Ambrosino a ORESTE PEZZANO di Samedons, frazione di Chiusaforte, classe 1922, 07 ottobre 2014. 139 GARIUP M, op, cit, p. 207. 62 quanto né optante, né di famiglia immigrata negli anni del dopoguerra, è particolarmente significativa: Int.) Ma i valbrunesi, o meglio, i valcanalesi rimasti, come hanno visto questi friulani “immigrati”? BD) Bisogna dire la verità. Quei pochi che sono rimasti, oriundi del paese, forse in un primo momento non li avranno visti tanto di buon occhio, qualche famiglia non si è espressa tanto. Ma poi si sono subito associati, hanno subito collaborato fra di loro, d’altra parte la terra è sempre terra. Erano tutti contadini e per superare le difficoltà è stato più utile mettere da parte le divergenze “di razza”, come si diceva. Poi, col tempo, gli oriundi sono stati sempre meno… Int) Be’ bisogna dire che la componente tedesca è andata perdendosi… BD) Esatto. Si sono resi conto che bisognava collaborare, dovevano collaborare, nell’interesse di tutti. Inoltre al tempo della guerra erano andati via più della metà, e quei pochi che non sono andati, che sono rimasti proprietari delle loro case e non hanno venduto all’Ente, hanno capito che era meglio relazionare con i nuovi abitanti… tranne qualcuno che aveva qualche “ruggine” hitleriana. Ma poi la cosa è andata come doveva andare…140 In altri paesi, come Tarvisio o Malborghetto, dove i rimescolamenti culturali ed etnici sono una costante nella storia, il ripopolamento comportò, effettivamente, la progressiva perdita dell’identità tedesca in favore di una nuova cultura dominante “italo-friulana”. Questo tipo di cambiamento nelle tradizioni e nel tessuto sociale della valle è evidente soprattutto nel modo in cui i friulani modificarono gli aspetti urbani e alimentari della valle. Il già citato Oreste Pezzano, riporta una divertente descrizione riguardante le abitudini urbanistiche e culinarie dei tedeschi e delle modifiche apportate dagli italiani, facendo emergere un malcelato orgoglio per quelle che, a suo dire sono state le migliorie dei nuovi “inquilini”: Int) […] sono venuti in tanti ad abitare in Valcanale? OP) Sono venuti da ogni parte, anche dal Bellunese e dalla Carnia. Int) Be’ la valle era quasi vuota… OP) Già, e poi… bisogna dire che a Tarvisio, quella volta non è che ci fosse chissà cosa! Int) Sicuramente, bisogna ricordare che eravamo in tempo di guerra… OP) Sì, certo, ma io parlo proprio a livello di case… erano catapecchie, tutte vecchie. Questa qui era una signora casa, in quei tempi, ma le loro… erano come le case che ci sono in campagna: di legno, col tetto in travi e due metri di muro, neanche in sasso […] Int.) Ma i tedeschi? Vi hanno accettato? Cosa facevano in valle se erano rimasti così pochi? OP) Ma quelli! Cosa vuoi? Mangiavano patate tre volte al giorno, mattino, pranzo e a cena! Non sapevano neanche… neanche lavorare il maiale! Non sapevano fare il salame o il musét [fr: cotechino n.d.a]. Sai cosa facevano al 140 Intervista raccolta da Alessandro Ambrosino a BRUNO DEOTTO, classe 1934, di Valbruna, 09 ottobre 2014. 63 maiale? Lo spellavano, che rimaneva mezzo pelo su, come veniva veniva, tagliavano la testa, finivano di spellarlo un po’, lo aprivano fuori, pulivano tutto il resto e poi, su un tavolo, avevano un çoc [fr: rozzo pestello di legno] di legno e lo pestavano tutto, a pezzi… ma pezzi grossi così! E sulle coste veniva così di lardo. Poi mettevano tutto sotto sale… dopo siamo arrivati noi! Non so quanti maiali ho ammazzato! Int) per spiegare ai tedeschi come si faceva? OP) Eh Sì! Gli italiani si arrangiavano! E gli ho fatto vedere anche come si facevano le luanis [fr: salsicce], il salame e il musét…mi andavano giornate intere per spiegare!141 Anche a prescindere delle testimonianze dei singoli, è evidente che gli effetti demografici delle opzioni produssero nella valle il più importante mutamento etnico-sociale dei tempi moderni e che lo stravolgimento linguistico e culturale che ne seguì ebbe conseguenze ancora oggi rintracciabili nelle comunità locali. Ciò accadde prima che sopravvenisse nel tessuto sociale ed economico della valle, con l’istituzione dei nuovi uffici doganali e soprattutto con l'incremento del commercio verso i paesi del nord e dell’est Europa, l'immigrazione dal Meridione, che fu etichettata come “diversa” e fu effettivamente protagonista di episodi di intolleranza, ma solo perché appartenente ad un altro tipo di tradizioni e ambienti, mentre i friulani e i veneti che si trasferirono in valle nell’immediato dopoguerra erano avvezzi alla vita contadina delle Alpi tanto quanto i vecchi abitanti. In quel periodo, sostanzialmente dagli anni ’60 in poi, si verificò un repentino sviluppo turistico e, conseguentemente, a Tarvisio venne istituito il mercato. Le comunità della valle seppero adattarsi alla nuova situazione e, com’è noto, continuarono a identificarsi, nel bene e nel male, con quella caratteristica di “gente di confine” che li contraddistingue. Negli ultimi decenni la Valcanale, inserita in progetti di sviluppo economico e turistico insieme al Canal del Ferro, sta riscoprendo, soprattutto grazie alle associazioni culturali e al cambiamento generale della mentalità, il suo antico patrimonio carinziano, friulano e sloveno, riutilizzandolo in progetti turistici transfrontalieri che sembrano dare i primi frutti. 141 Intervista raccolta da me a ORESTE PEZZANO, classe 1922 di Samedons, 07.10.2014. 64 CONCLUSIONE Nonostante le opzioni in Valcanale riguardino un territorio regionale molto ristretto, esse presentano, tuttavia, un notevole interesse storico, poiché, insieme con il progetto di trasferimento dei sudtirolesi, questione molto più dibattuta e conosciuta sia a livello accademico che pubblico, esse vanno inserite e spiegate nel quadro politico e ideologico particolarmente interessante dei due totalitarismi nazista e fascista. Un aspetto forte e portante dell’ideologia delle dittature affermatesi in Europa fra gli anni ’20 e ’30 persegue infatti l’obiettivo di trasformare la massa in un corpo unico e compatto, in perenne movimento, piegata alla volontà del capo e destinata a seguirlo senza possibilità di differenziarsi né mediante le singole individualità né per le peculiarità regionali 142. Una politica, questa delle dittature, che venne resa possibile dalla mancata soluzione dei problemi nazionali antecedenti la Prima Guerra Mondiale: basti pensare alla questione balcanica o alle turbolente nazionalità del centro Europa in perenne conflitto con l’autorità asburgica. Problemi a risolvere i quali non bastò certo, nel primo dopoguerra, il principio di autodeterminazione dei popoli di Wilson, che trovò solo parziale applicazione, di modo che ogni stato europeo si ritrovò di nuovo a dover a fare i conti con le sue minoranze linguistiche interne. In particolare, a causa della disgregazione dell’impero austro-ungarico, gruppi minoritari tedeschi si formarono nell’est Europa, nei Balcani e in Italia. Una realtà davvero scoraggiante per tutti quegli stati che avevano fatto della nazionalità il principio base della loro esistenza. In questo contesto, lo sviluppo dell’ideologia nazista, aiutata da una propaganda martellante che si richiamava all’unità di tutto il popolo tedesco nella Grande Germania, trovò terreno fertile in queste comunità e così Hitler decise di risolvere il problema in maniera quasi scientifica, dapprima ricorrendo alla diplomazia, successivamente con la forza, trascinando il mondo nell’apocalisse della Seconda Guerra Mondiale. Sono ben quindici gli accordi firmati dalla Germania con gli Stati che presentavano minoranze tedesche. Per fare degli esempi, il patto Molotov-von Ribbentrop, che prescriveva, fra l’altro, il trasferimento nel Reich dei tedeschi residenti in Polonia; il trattato per lo spostamento nel Reich dei 137.000 tedeschi della Bukovina e della Dobrugia, regioni nel nord della Romania cedute all’URSS nel 1940; il protocollo per il trasferimento dei tedeschi 142 Manuale di storia del pensiero politico, a cura di Carlo Galli, il Mulino, Bologna, 2011, pp. 489. 65 abitanti in Lettonia per risolvere la questione baltica. Fra questi accordi rientrano anche le “opzioni” del 23 ottobre, firmate dai due gerarchi Hitler e Mussolini. Va sottolineato in ogni modo che la Germania nazista non fu l’unico Stato a stipulare accordi per lo spostamento in blocco di intere comunità. Altri stati europei, come la Grecia e la Turchia che si accordarono nel 1923 per il trasferimento dei turchi dalla Tracia, oppure la Turchia e la Romania che decisero, nel 1936 di far traslocare più di 67.000 turchi dalla Transilvania meridionale alle regioni sotto il controllo di Ankara, non si preoccuparono di ridefinire le artificiali linee di frontiera tracciate dopo la Grande Guerra ma preferirono firmarono trattati che, in ossequio ai principi di nazionalità e sulla base di “civili” accordi internazionali, decisero a tavolino di trasferire un totale di quasi due milioni di persone nel giro di vent’anni, costringendole ad abbandonare in fretta e furia il territorio sul quale vivevano da generazioni, per emigrare in patrie lontane e molto spesso sconosciute. Nel nostro caso, data la limitatezza del territorio e della popolazione residente, certi parametri da “macrostoria” non sono utilizzabili, ma la tragicità dell’evento e le conseguenze sociolinguistiche che seguirono, possono essere tranquillamente confrontate con altre situazioni in scala maggiore. La consapevolezza dei risultati deleteri che questo tipo di scelte politiche comportarono spinsero gli Stati, nel secondo dopoguerra, a considerare in maniera diversa le minoranze etniche, ritenendole un importante elemento tradizionale da salvaguardare, sia dal punto di vista linguistico, che strettamente culturale. Allo stesso modo, nell’Europa Unita di oggi, un cittadino su sette parla una lingua che non è quella ufficiale. Compito delle istituzioni statali è quello di salvaguardare queste differenze evitando di ricadere nell’errore dell’omologazione totale. In questo lavoro ho cercato di analizzare la questione e le sue conseguenze, sia da un punto di vista storico-diplomatico, che da uno strettamente “umano”, sperando di aver dato un contributo alla conoscenza non solo del mio territorio e della sua storia, ma anche dei motivi per cui la salvaguardia delle identità minoritarie è importante anche in un contesto più ampio quale quello europeo attuale, senza che ciò debba per forza comportare il rischio di cadere nel localismo e nella retorica del “piccolo è bello”. 66 ALLEGATI In queste ultime pagine riporto alcune immagini significative riguardanti la questione presa in esame. La maggior parte delle fotografie provengono dall’”Archivio della memoria” del Palazzo Veneziano di Malborghetto, ma altre sono state riprese dai documenti dell’Archivio Tavolare di Pontebba. Significative sono le due immagini che riproducono le tessere ufficiali per l’opzione sulla cittadinanza e quelle delle famiglie in procinto di partire. I: frontespizio degli Accordi sulle opzioni, Roma, Tipografia dello Stato, 1940. 67 II: tessera arancione, valida per la richiesta di assumere la cittadinanza germanica, indirizzata al comune di Tarvisio. Archivio della Memoria, Palazzo Veneziano di Malborghetto (AdMPV). III: tessera bianca, valida per la richiesta di mantenere la cittadinanza italiana, indirizzata al comune di Malborghetto-Valbruna. (AdMPV). 68 IV: optanti valcanalesi in partenza, primavera 1940. Archivio della Memoria, Palazzo Veneziano di Malborghetto. V: Paul Früstuck, figlio di optanti di Tarvisio, indossa la divisa della Wermacht, estate 1940. (AdMPV). 69 VI: foto di gruppo di camporossiani optanti (Abwanderungsjahr significa “anno della partenza”) autunno 1941. (AdMPV). VII: foto di gruppo dei dipendenti dell’ADEuRSt di Tarvisio. Il dottor Starzacher non è presente. (AdMPV). 70 VIII: frontespizio dei documenti riguardanti le procedure di valutazione e stima degli immobili degli optanti da parte della sottocommissione italo-germanica. Ufficio Tavolare di Pontebba. IX: cartello segnaletico della città di Villach che identifica il quartiere, tutt’ora esistente, in cui vennero costruite le nuove abitazioni dei valcanalesi (AdMPV): 71 X: un’altra immagine del complesso residenziale costruito dal 3°Reich per dare una casa agli optanti. (AdMPV). 72 BIBLIOGRAFIA Fonti bibliografiche - BERNASCONI ALESSANDRO, MURAN GIOVANNI, Il testimone di cemento, Udine, La Nuova Base, 2009. - BOSIO LUCIANO, La strada romana da Aquilea a Virunum in Tarvis, Udine, ats dal 68n Congres, Societât Filologjiche Furlane, 1991. - CATTARUZZA MARINA, L’Italia e il confine orientale, Bologna, il Mulino, 2008. - CIANO GALEAZZO, Diario 1937-1943, Milano, Rizzoli, 1980. - DE BERNARDI ALBERTO, Da mondiale a globale. 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