ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITÁ DI BOLOGNA
SCUOLA DI LETTERE E BENI CULTURALI
Corso di laurea in
Storia
TITOLO DELLA TESI
Heim ins Reich!
Le opzioni in Valcanale nel 1939
Tesi di laurea in
Storia dell’Italia Contemporanea
Relatore Prof: Marica Tolomelli
Presentata da: Alessandro Ambrosino
Sessione
seconda
Anno accademico
2013-2014
2
INDICE
Introduzione
5
1. Una strada, tre confini
9
1.1. Le particolarità geografiche di una valle alla triplice frontiera
9
1.2. La storia del Canal del Ferro/Valcanale. Una storia di frontiera (I° parte)
13
1.3. La storia del Canal del Ferro/Valcanale. Una storia di frontiera (II° parte)
20
2. La vicenda delle opzioni del 1939
29
2.1. L’insediamento dello stato italiano e l’affermazione della politica fascista
29
2.2. L’avvicinamento alla politica nazista e l’arrivo alla radicale soluzione delle opzioni 34
2.3. Lo svolgimento delle opzioni in Valcanale
40
3. Conseguenze economiche e sociali delle opzioni
51
3.1. Il ruolo dell’Ente Nazionale Tre Venezie
51
3.2. L’acquisizione dei beni dell’Ente Nazionale Tre Venezie da parte dei friulani
e il cambiamento socio-culturale della valle
57
Conclusione
65
Allegati
67
Bibliografia
73
3
4
INTRODUZIONE
Di norma, se si nasce e si cresce sempre nello stesso ambiente, ci si dimentica, o addirittura
non si scopre nemmeno, che esso può rivelare particolarità o caratteri unici nel suo genere ed
è solo “uscendo” e confrontandosi con altri modelli culturali e sociali che ci si accorge di
quanto, in realtà, questi caratteri sono importanti nella formazione del singolo e nel suo modo
di rapportarsi con l’esterno. Una volta liberi dai “legacci” dell’assuefazione ci si confronta
anche in maniera diversa verso il proprio territorio e cambia anche il modo di percepire il suo
universo culturale, trasformato dall’essere un convenzionale modo di agire ad un interessante
terreno di studi per capire quali processi del passato si sono susseguiti e hanno contribuito a
creare il mondo in cui si è abituati a vivere.
È stato proprio il desiderio di conoscenza delle vicende storiche delle località da cui provengo
che mi ha spinto ad analizzare uno dei periodi più tragici della sua storia contemporanea,
ovvero la questione delle Opzioni del 1939, un evento che non solo ha cambiato radicalmente
la vita di chi è stato oggetto della faccenda, ma che ha anche avuto conseguenze di lungo
termine sulla componente etnico-culturale degli abitanti delle zone coinvolte in questo
“problema”.
Tuttavia, prima di concentrarmi specificatamente sul tema della tesi, la notevole perifericità
della mia regione rispetto al resto dell’Italia e la scarsa conoscenza del suo passato mi hanno
spinto ad esporre, in sintesi, un primo capitolo di descrizione “storico-geografica” in cui ho
delineato le peculiarità del territorio oggetto della mia tesi, il quale si trova all’esatto punto di
congiunzione dei tre confini di Austria, Slovenia e Italia, ovvero la parte più nordorientale del
Friuli-Venezia Giulia. Si tratta di una regione montagnosa e ricca di diverse tradizioni che
hanno concorso a formare quella vallata che oggi viene chiamata Canal del Ferro-Valcanale.
Una zona estremamente interessante sotto diversi punti di vista, fra cui spiccano quello etnico,
in quanto la regione è il punto d’incontro di tre culture, tre lingue e tre diversi modelli di vita,
ma anche quello storico poiché, essendo una regione di confine, la geopolitica qui ha giocato
sempre un ruolo di rilievo.
La frontiera, costante nella storia della valle, fin dall’inizio dei tempi ha accompagnato le
vicende della popolazione che abita in queste terre e ha significato soprattutto una netta linea
di separazione amministrativa. Le varie potenze che si confrontarono da una parte e dall’altra,
spesso in maniera violenta, tentarono continuamente di spostarla, ma per oltre 900 anni essa
rimase più o meno stabile, finché, nel 1919, l’Italia, vincitrice della Prima Guerra Mondiale,
5
ampliò i suoi confini fino al Brennero e in tutta la Venezia Giulia, di conseguenza anche il
piccolo territorio della Valcanale entrò nell’orbita italiana.
È da questo punto che sono partito per capire, innanzi tutto, come si rapportarono gli abitanti
della parte germanica della valle, abituati da secoli a far riferimento al mondo austro-tedesco,
all’amministrazione e al modo di agire italiano appena insediatosi e organizzatosi nelle
modalità decise dalla dittatura fascista, decisamente ostile alle minoranze, instaurata da Benito
Mussolini. In seguito, ho ritenuto necessario analizzare quali eventi internazionali giocarono
un ruolo di rilievo nel processo di avvicinamento politico fra l’Italia e la Germania, dove nel
frattempo un altro dittatore, Adolf Hitler, aveva imposto il suo fanatico pensiero. In un
contesto di politiche europee volte a discriminare, o meglio, annullare in toto le minoranze
culturali nel tentativo di omologare tutti gli abitanti di uno Stato e trasformarli in un’unica
massa da guidare grazie al carisma di un solo uomo, i “tedeschi” del Sudtirolo, e di
conseguenza i “tedeschi” della Valcanale, furono etichettati come un “problema politico” da
risolvere. Fu in questo clima che i due dittatori si accordarono, nel 1939, per fare in modo che
questa gente fosse costretta a optare, ovvero decidere se trasferirsi definitivamente nel terzo
Reich e ricongiungersi con il mondo tedesco ma abbandonando ogni legame con la loro terra,
oppure rimanere in Italia e, implicitamente, abbandonare ogni legame culturale con l’universo
tedesco dal quale provenivano.
Vittime, quindi, di scelte politiche molto più grandi di loro, questi “optanti” furono costretti a
compiere una scelta tragica ed a ricominciare una nuova vita lontani da dove erano nati e
cresciuti.
Lo scopo del secondo capitolo è quindi comprendere come e perché i valcanalesi optarono,
cosa si aspettassero dalla nuova Patria e che apparato burocratico venne realizzato per
agevolare i trasferimenti e gli ufficiali cambi di cittadinanza.
Nel terzo e ultimo capitolo, infine, mi sono concentrato sulla questione delle proprietà degli
optanti e sulle conseguenze sociali e culturali della vicenda delle opzioni. Dapprima, grazie
all’analisi di documenti inediti conservati all’Ufficio Tavolare di Pontebba, ho cercato di
capire che ruolo ebbe nella vicenda l’ente pubblico creato apposta per l’occasione e che si
occupò della gestione delle proprietà cedute, mentre nella seconda parte ho cercato di capire
chi e perché decise di comprare questi immobili, se fossero stati a conoscenza del perché
quelle case erano state vendute e come mai si potevano ottenere così facilmente.
La scoperta del fatto che la maggioranza di queste abitazioni fosse stata comprata da friulani
delle poverissime valli limitrofe, che poi si sono effettivamente trasferiti in una valle
completamente estranea alla loro cultura, mi ha spinto a raccogliere alcune interviste per
6
capire se questi “nuovi arrivati” si fossero adattati facilmente oppure no al nuovo ambiente e
che rapporto si fosse stabilito fra i tedeschi rimasti e la nuova componente italo-friulana.
Insomma, nonostante la “Grande Storia” fosse passata lontana da questo piccolo territorio,
alcuni suoi effetti si sono fatti sentire in maniera significativa, lasciando conseguenze ancora
ben visibili. Chiarire le cause, sostanzialmente, è quello che ho cercato di fare, nella speranza
di aver trasmesso la verità.
7
8
1. UNA STRADA, TRE CONFINI
La Valcanale dalle origini al 1918
1.1.
Le particolarità geografiche di una valle alla triplice frontiera
Lo spartiacque alpino, da sempre considerato il confine naturale fra le regioni del nord-centro
Europa e i territori mediterranei, divide in due grandi sezioni, quella settentrionale e quella
meridionale, l’intera catena alpina principale dando origine a diversi corsi d’acqua.
Questi torrenti d’alta montagna, ingrossandosi e trasformandosi in fiumi, si dirigono,
genericamente, in due direzioni: quelli meridionali, dopo un percorso relativamente breve, si
gettano nei grandi fiumi della Francia e dell’Italia, trovando pace nel mar Mediterraneo o
nell’Adriatico. Quelli settentrionali sono invece indirizzati ad altri lidi: il Mare del Nord,
oppure, dopo un tranquillo seppur lunghissimo percorso nelle terre danubiane, nel Mar Nero.
Tuttavia, mentre nei Balcani, a sud, l’imponente mole delle Alpi Dinariche divide in maniera
nitida ed inequivocabile i due mari, sulle Alpi Orientali questa linea separatrice è spesso
sfumata e di difficile individuazione. In questa regione i ghiacciai e i lunghi tempi geologici
hanno levigato ed abbassato le creste alpine creando facili e bassi passaggi da una parte
all’altra collegando due regioni apparentemente lontane: la pianura friulano-veneta ed il
Carso. A queste due aree geografiche vanno aggiunti i maestosi rilievi delle Alpi Giulie,
ultime vestigia delle grandi altezze che si raggiungono proseguendo verso occidente se si
segue la catena alpina. Precisamente in questo territorio l’incontro comune fra i mondi
mediterraneo, alpino ed illirico crea, in una regione particolarmente circoscritta, un ambiente
di confine in cui materia, vita e natura formano singolari opposizioni e peculiari collegamenti.
Sempre utilizzando i fiumi come punto di riferimento, ma restringendo il campo visivo al
territorio compreso fra il corso della Drava e le Alpi Giulie, si individuano tre corsi d'acqua
che da qui defluiscono: ad ovest il Fella (La Fele), maggiore affluente del Tagliamento
(Tiliment) e compreso nel bacino Adriatico, ad est la Sava, affluente diretto del Danubio, e,
stretta fra i due, il piccolo torrente Slizza (Gailitz) che, superando di slancio la cresta delle
Alpi Carniche e delle Caravanche e raggiunta la piana austriaca, subito successiva, si getta
prima nella Gail ed in seguito nella Drava.
9
Il territorio ad ovest dello Slizza si chiama Valcanale (Kanaltal-Kanalska dolina-Valcjanâl).
Suo punto culminante è la sella di Camporosso (Saifnitz-Zabniče-Cjampros) che, con i suoi
804 metri d’altezza, è la sella spartiacque più bassa delle Alpi. Ad ovest di essa il Fella segue
il suo corso per circa trenta chilometri fino al punto in cui riceve le acque del torrente
Pontebbana, presso Pontebba, dove, curvando energicamente verso sud s’inoltra nello stretto e
sovrastante Canal del Ferro (Eisental-Cjanâl dal fier) per proseguire verso il Tagliamento e
poi giù, verso la pianura friulana. Ad est la valle si eleva impercettibilmente verso un altro
valico: la piana di Rateče, in Slovenia, dove ha origine la Sava, mentre a sud di detta sella si
scontra con lo spartiacque di Sella Nevea (Na Zlebe-Nevee) (1195 mt.), situata alla fine della
periferica ma pittoresca valle di Cave del Predil (Raibl – Rabelij) e circondata dai
meravigliosi massicci dello Jôf di Montasio (2752 mt.) e del Canin (Kanin) (2592 mt.).
Adagiata quindi fra le impressionanti e minacciose creste delle Alpi Giulie a sud e le
relativamente più dolci cime delle Alpi Carniche a nord, la Valcanale presenta alcuni caratteri
delle ben più larghe valli austriache e altoatesine ma, allo stesso tempo, può essere
considerata, in linea di massima e con le dovute e importanti precisazioni delle differenze, una
valle dalle caratteristiche geografiche simili alle strette e profonde valli friulane limitrofe.
Sia la vallata principale, sia le valli secondarie sono di origine glaciale e si sono formate
grazie all’azione erosiva dei ghiacci; si presentano con la caratteristica forma a “U” e
numerosi laghi, fra cui il lago di Raibl che è il più importante della zona e i suggestivi laghi di
Fusine (Weißenfels-Bela Peč/Fužine-Fusinis). Nel corso del tempo l’azione fisico-dinamica
degli agenti atmosferici, in particolare le piogge e l’erosione dei fiumi, ha rimodellato le
forme lasciate dal ghiaccio rendendo i valloni molto più angusti. La particolare forma delle
cime, tondeggianti sul lato settentrionale e aguzze a sud, ha un’origine geologica: le Alpi
Carniche sono molto più antiche delle Alpi Giulie, non presentano fenomeni carsici e le rocce
che le compongono sono di tutt’altro tipo rispetto ai bianchi calcari delle altre cime e per
questa ragione sono molto più smussate e arrotondate.
In Valcanale avviene anche lo scontro fra due differenti placche tettoniche: la placca adriatica
e la placca euroasiatica. I loro movimenti hanno causato nel corso dei secoli numerosi e
distruttivi terremoti. Da citare sicuramente il rovinoso terremoto di Villach del 1348, violento
quasi quanto quello del Friuli del 1976 e quelli del 1511 e del 1692.
Naturalmente, la questione geologica della Valcanale è un argomento particolarmente
complicato, e sicuramente questa non è la sede adatta a discuterne, ma un piccolo appunto va
inserito sottolineando la composizione geologica del M. Re, nella valle di Raibl. Esso è
composto di un “calcare metallifero” al cui interno vi è « Il più grande e importante
10
giacimento piombo-zincifero dell’Italia continentale, noto già in epoca preromana: il
giacimento di Raibl, presso Cave del Predil ».1
Come tre mondi naturali trovano qui la loro sintesi, allo stesso modo in questa regione si
incontrano anche tre differenti regioni climatiche: i climi continentali tipici delle regioni
austriache e slovene si scontrano con le ultime propaggini dei climi mediterranei che
risalgono il Fella e le montagne lateralmente alla valle di Raibl provocando continui sbalzi di
temperatura. Sopra di essi, il rigido clima alpino condiziona l’attività umana in quota: « qui i
limiti altimetrici, rispetto ai settori alpini occidentali, vanno abbassati di 400-500 metri. In
pratica, se in Piemonte la neve in primavera si è già sciolta dai 1500 metri di quota in giù, nel
Tarvisiano la possiamo trovare già ai 1000 metri ».2
In compagnia degli sbalzi di temperatura e degli scontri fra il famoso Föhn e i venti caldi del
sud, portatori di temporali, giungono anche le precipitazioni che in questa valle si manifestano
con particolare forza. Con gli oltre 3000 mm annui l’alto Friuli si colloca al primo posto in
Europa nella classifica delle località più piovose 3. Inoltre, la composizione calcarea della
maggior parte delle rocce fa sì che le montagne siano piuttosto franose e di conseguenza,
quando le piogge sono più frequenti e violente, l’acqua può provocare anche gravi alluvioni
che da sempre preoccupano gli abitanti.
Martin Wutte, geografo e storico carinziano attivo negli anni ‘30, regala un’efficace
descrizione di quegli elementi naturali che ben contraddistinguono questo territorio
caratterizzato da profonde fratture e feroci opposizioni che, naturalmente, si riflettono anche
dal punto di vista culturale:
Verwitterung und Steinschlag, Wasser und Eis haben Formen geschaffen, die jene
der nördlichen Kalkalpen übertreffen, den Dolomiten änlicher, aber ernster und
wuchtiger sind. […] Hier schlingen sich breite Bänder um riesige Felsleiber, dort
brechen glatte Wände in gähnende Tiefen ab; der verwegene Blick kann in
dämmerige Schluchten von unwahrscheinlicher Wildheit dringen, während über
steinernen Kanzeln das blendende Licht der Höhen wabert. Leblose HochkarstEinöden, Schlachtfelder elementarer Gewalten, wechseln mit Plätzen lieblicher
Geborgenheit.4
1
IL TARVISIANO, a cura di Pietro Treu, Tarvisio, Azienda autonoma di soggiorno, 1974 p.73.
PAOLINI F, Escursioni nel tarvisiano, Chiusaforte, Ed. la Chiusa Società Cooperativa, 2013, p. 3.
3
Cfr: IL TARVISIANO, a cura di Pietro Treu, Tarvisio, Azienda autonoma di soggiorno, 1974, pp. 77-82.
4
WUTTE M, Das Kanaltal - La Valcanale, Klagenfurt, Verlag des Geschichtsvereines für Kärnten, 2009, p. 21.
Trad, pp. 44-45[Disfacimenti e crolli di rocce, acqua e ghiaccio hanno creato forme che superano quelle presenti
nelle Alpi calcaree site a nord della valle, più simili ma anche più severe e imponenti delle Dolomiti. […] Qui le
larghe catene si avvinghiano a gigantesche figure di roccia, là le pareti levigate precipitano in buie profondità. Lo
sguardo audace è in grado di penetrare in orridi crepuscolari di inusitata bellezza selvaggia, mentre su pulpiti di
pietra tremola la luce delle altitudini. Deserti carsici privi di vita, campi di battaglia degli elementi primitivi, si
alternano a luoghi sicuri e graziosi.].
2
11
Proprio a causa di queste aspre peculiarità naturali lo sviluppo e l’evoluzione delle attività
umane non è mai stato facile. In Valcanale quasi tre quarti del territorio sono costituiti da
boschi, terreni disabitati o non adatti all’agricoltura e le valli laterali che la circondano sono:
« fra le più profonde delle Alpi »5. La logica conseguenza, dal punto di vista antropologico, è
che anche gli insediamenti umani sono collocati piuttosto in basso e quasi tutti, eccezion fatta
per Cave del Predil (Raibl), ma solo per via della sua ricchezza mineraria, si situano sulla
direttiva della valle principale.
Partendo dal valico confinario di Coccau (Goggau-Kokava-Cocau), localizzato proprio
nell’avvallamento dove le Alpi Carniche si legano con la catena delle Caravanche, si trova la
località più importante: la città di Tarvisio (Tarvis-Trbiž-Tarvis), da sempre storico punto di
transito e snodo commerciale. Successivamente superando Camporosso e scendendo verso
Udine, si susseguono una serie di località che si sono sviluppate sugli stretti spazi
pianeggianti adiacenti al greto del Fella in modo da sfruttare lo scarso terreno agricolo
ponendosi fuori dall’incombente ombra delle cime delle Alpi Giulie. I paesi sono:
Malborghetto
(Malborgeth-Naborijet-Malborghet),
Valbruna
(Wolfsbach-Ovčjia
Vas-
Valbrune), Ugovizza (Uggowitz-Ukve-Ugovize), Bagni di Lusnizza (Lussnitz-Lusnize), San
Leopoldo (Leopoldskirchen-Lipalija Vas-La Glesie) ed infine Pontafel, paese di confine della
Valcanale, ora facente parte del comune di Pontebba (Ponteibe) in base agli accordi presi alla
fine della Prima Guerra Mondiale. Naturalmente, la scelta di sviluppare degli insediamenti
proprio nelle rare piane alluvionali in cui gli affluenti del fiume Fella vanno ad ingrossare le
sue acque presenta dei rischi particolari sia naturali, sia prettamente antropici che non possono
essere evitati e con cui da sempre i valcanalesi devono convivere:
[…]in der Folgezeit haben hier mehr Schicksale als in anderen Alpengauen –
Unsicherheit im Grenzgebiet und Kreisläufe, Feuer – und Wassernot,
wirtschaftlicher Wechsel und Verkehrsumgestaltung – Ortschaften vernichtet und
wieder aufgebaut, ihre Bedeutung gehoben und gesenkt6
Dunque, sfavorito dalla geografia naturale, soggetto ad un continuo rischio di dissesto
idrogeologico, oppresso da continue escursioni termiche che impediscono ai terreni
produzioni in grande quantità e, dal punto di vista etnico-politico, perennemente sottoposto ad
invasioni, scorrerie, razzie e guerre sembrerebbe che un territorio così martoriato non avesse
5
Ibid, p. 45.
Ibid, p. 28 Trad, p. 52[Nei tempi successivi i destini si modificarono qui maggiormente che in altre regioni
alpine a causa dell’insicurezza nel territorio di confine, di scorrerie belliche, di miserie dovute ad incendi e ad
alluvioni, di cambi d’ordine economico e di mutamenti del traffico. Paesi furono distrutti e poi nuovamente
ricostruiti; la loro importanza aumentò o diminuì.].
6
12
potuto sviluppare una cultura e una comunità stabile; invece la popolazione della valle è
sopravvissuta nel corso secoli e ancora oggi assolve il compito al quale è stata chiamata in
origine, ovvero operare come ponte fra le tre diverse culture, slava, tedesca e latina, che
tutt’ora formano la base dell’intero continente europeo.
Una regione di frontiera davvero unica nel suo genere e che, proprio per queste particolarità,
attira studiosi e ricercatori in ogni campo, dalla geologia all’entomologia passando,
ovviamente per la storia politica ed economica.
1.2.
La strada del Canal del Ferro-Valcanale. Una storia di frontiera (I° parte)
Dalle origini all’istituzione del vescovado di Bamberg (1007)
Delineare la storia del territorio del Canal del Ferro e della Valcanale significa narrare la
storia di una strada, dell’evoluzione delle sue dogane e dei cambiamenti geopolitici che si
sono susseguiti lungo questa direttiva che da tempi immemorabili collega le regioni del nord
Europa con le regioni mediterranee.
Il già citato Martin Wutte, nella sua guida “Das Kanaltal” offre un’interessante introduzione
che merita di essere riportata quasi interamente perché ben illustra i motivi per cui il territorio
della Valcanale presenta delle particolarità confinarie davvero uniche:7
In vierfacher Hinsicht ist das Kanaltal Grenzgebiet: geographisch, völkisch,
kulturell und politisch. Geographisch gehört es nach Lage und
Lebensbedingungen ohne Zweifel zum inneralpinen Raum. […]
In völkischer Hinsicht berühren sich an den Julischen Alpen seit dem frühen
Mittelalter Deutsche, Slowenen und Friauler, zuletzt Italiener, somit die
Hauptvölkergruppen Europas: Germanen, Slawen und Romanen. Bis zum Ende
des Weltkrieges war das Kanaltal weit überwiegend deutscher, zum geringer Teil
slowenischer Volksboden und beherbergte nicht einen einzigen bodenständigen
Italiener. Scharf schieden sich Deutsche und Italiener an der alten Staatgrenze
zwischen dem rein deutschen Pontafel und dem rein italienischen Ponntebba.
Kulturell wurde das Kanaltal fast ausschiließlich von Norden her beeinflusst. Die
Volksgrenze bei Pontafel war eine ebenso scharfe Kulturgrenze. Politisch endlich
war das Kanaltal vom früher Mittelalter bis zum Frieden von St. Germain der
südlichste Grenzstreifen und ein unbestrittener Teil des zum deutschen Norden
gehörigen Herzogturms Kärntens.
Wenn schon die Staatsgrenze infolge der größeren staatenbildenden Kraft des
Nordens zeitweise hinunter in die Po-Tiefebene vorrückte, so war doch die
7
Per approfondimenti sugli usi e i costumi dei valcanalesi si veda: MIGGLAUTSCH K, INGOMAR P, Das
Kanaltal und seine Geschichte, Klagenfurt, K3, 1995.
13
Südgrenze des Kanaltales: Pontebbanabach – Kamm der Julischen Alpen bis
Predil, durch mehr als ein Jahrtausend auch die Südgrenze Kärntens,
ausgenommen eine dreijährige Unterbrechung in der napoleonischen Zeit. Nicht
nur in der Natur, sondern auch als Volks- und Kulturgrenze fest verankert, bewies
sie eine Beständigkeit, wie sie in Europa einer Grenze nur selten zukommt. 8
Sostanzialmente si parla di un’asse viario che nel corso dei secoli ha mantenuto intatta la sua
importanza sia come via di passaggio e di scambio fra merci dal nord, dalla pianura italica e
dalle regioni illiriche, sia come frontiera fra culture e tradizioni diverse spesso contrapposte
anche violentemente. Tuttavia, come scrive Latino Fuccaro, importante storico locale: «
Bisogna tener presente che un confine non è sempre una linea di demarcazione inviolabile e di
scontro, anzi, nei momenti in cui le armi tacciono diventa un punto di proficui scambi sia
economici che culturali. Gli eserciti si scontrano, ma le genti spesso s’incontrano dando
origine a contaminazioni dai risultati inaspettati ».9
« Le tracce più antiche della presenza umana in Friuli sono databili più o meno dal V.
millennio a.C. »10 e sicuramente l’uomo ha abitato queste anche valli persino durante le fasi
interglaciali
sebbene
i
ritrovamenti di
reperti che
potrebbero documentare
più
approfonditamente questo periodo sono scarsi. « Selci lavorate sono state rinvenute nella zona
dei laghi di Fusine e a Cave del Predil. Nel 1821 venne trovata presso Riofreddo un’ascia
litica […] che secondo gli esperti potrebbe datarsi alla fine del Neolitico. […] Nel 1865 fu
trovata a Vidali di Dogna una spada a doppio taglio […] databile alla media-piena età del
bronzo. Questa traccia potrebbe farci pensare che la via del fiume Fella […] fosse frequentata
stabilmente fin dal secondo millennio avanti Cristo ».11
8
WUTTE M, op, cit, p. 79. Trad, p. 93 [La Valcanale è una zona di confine da quattro punti di vista: geografico,
etnico, culturale e politico. Dal punto di vista geografico appartiene per la sua ubicazione e per le sue condizioni
di vita alla zona alpina interna. […] Dal punto di vista etnico vi s’incontrano sin dal primo medioevo Tedeschi,
Sloveni, Friulani ed infine Italiani, ossia i principali ceppi dei popoli d’Europa: Germani, Slavi e Romani. Fino
alla fine della guerra mondiale la Valcanale era un territorio abitato da una preponderante maggioranza tedesca,
in numero meno consistente da quella slovena e da neppure un nativo italiano. Nitidamente i tedeschi e gli
italiani erano divisi dal vecchio confine tra la Pontafel tedesca e la Pontebba esclusivamente italiana. Dal punto
di vista culturale la Valcanale era influenzata quasi esclusivamente dal nord. Il confine di popoli presso Pontafel
era nel contempo un preciso confine culturale. Infine dal punto di vista politico la Valcanale era fin dal primo
medioevo al trattato di San Germano la zona di confine più meridionale e la parte più contesa del Ducato della
Carinzia, appartenente al nord tedesco.
Se come conseguenza della più consistente forza di formazione degli stati del nord il confine dello stato
avanzava temporaneamente giù nella pianura padana, la linea meridionale di delimitazione della Valcanale – dal
rio Pontebbana alla cresta delle Alpi Giulie fino al passo del Predil – rimase da oltre un millennio anche il
confine meridionale della Carinzia, fatta eccezione per un’interruzione di tre anni durante il periodo napoleonico.
Ben consolidata, non soltanto nella natura ma anche come confine etnico e culturale, essa dimostrò la sua
stabilità come raramente accade ad altro confine d’Europa.].
9
FUCCARO L, DANELUTTO A, Chiusaforte e la val Raccolana dalle origini ai giorni nostri, Chiusaforte, La
Chiusa edizioni, 2011, p. 7.
10
DOMENIG R, Malborghetto- Valbruna; comune in Valcanale, Udine, Ed. del Confine, 2003, p. 15.
11
Ibid, p. 15.
14
Già alla luce di questi pochi dati si riscontra in maniera evidente quel carattere di vallata di
transito che resterà incollata al territorio del Canal del Ferro-Valcanale fino ai giorni nostri.
La strada principale di collegamento è stata chiamata in vari modi a seconda dell’utilizzo che
ne è stato fatto nel corso dei secoli: in origine veniva chiamata “Via dell’ambra” perché la
preziosa merce proveniente dal Baltico raggiungeva i porti dell’Adriatico oppure “Via del
Sale”, quando la merce richiesta era il salgemma che veniva estratto in Alta Austria nella
località di Hallstatt, la quale si sviluppò e diede origine ad una grande civiltà proprio grazie al
commercio di questo indispensabile conservante naturale. « Infine, quando dalle miniere della
vicina Carinzia ha cominciato a giungere il ferro, ha preso il nome di Via del Ferro e tutt’ora
la vallata12 è conosciuta come Canal del Ferro ».13
In assenza di reperti storici che possano confermare quanto si teorizza, ci si aiuta con lo studio
della toponomastica.14 L’analisi dei nomi delle località più importanti della valle conferma
quanto rimane dubbioso riguardo l’origine dei primi abitanti stabili della valle e rivela una
chiara origine celtica degli insediamenti « Presso gli antichi scrittori greci e romani
compaiono con i nomi di Carni, Gallo-Carni, Taurisci e Norici».15 In particolare il toponimo
di Tarvisio è di chiara origine celtica (Tarvos significa Toro)16 mentre Tito Livio descrive la
regione del Friuli come Carnorum regio cioè “regione abitata dai Carni”17.
Quando i romani, nel 181 a. C. fondarono la colonia di Aquileia e intrapresero la conquista
delle regioni a nord di essa si trovarono a confrontarsi con tribù già da molto tempo stanziate
in loco. Le relazioni con i Norici, nome con cui queste numerose e diverse popolazioni
venivano indicate dai romani, furono relativamente cordiali anche se i territori più refrattari
alla romanizzazione vennero definitivamente sottomessi solo grazie alle campagne di Augusto
nel 15 a. C.
Il periodo romano merita un piccolo approfondimento a causa di un problema di
localizzazione. Proprio a Camporosso furono ritrovati parecchi resti romani e questo fa
pensare ad una possibile stazione di sosta sulla Via Julia Augusta, la strada romana che, in
periodo imperiale, da Aquileia portava a Virunum, capitale della provincia del Noricum,
12
Da Pontebba in giù [N.d.A.].
FUCCARO L, DANELUTTO A, Chiusaforte e la val Raccolana dalle origini ai giorni nostri, Chiusaforte, La
Chiusa edizioni, 2011, p. 5.
14
Un’importantissima pubblicazione in tal senso è: Legami fra una terra e la sua gente, toponomastica del
comune di Chiusaforte, a cura di FUCCARO L, DANELUTTO A, Comune di Chiusaforte, 2004.
15
IL TARVISIANO a cura di Pietro Treu, Tarvisio, Azienda autonoma di soggiorno, 1974.
16
Legami fra una terra e la sua gente, toponomastica del comune di Chiusaforte, a cura di FUCCARO L,
DANELUTTO A, Comune di Chiusaforte, 2004, p. 36.
17
T. LIVIO, Ab Urbe Condita Libri, XL, 54.
13
15
attuale Maria Saal, nei pressi di Klagenfurt. Però l’identificazione di questo punto di sosta si è
rivelato di non facile interpretazione.
Bisogna tener presente che le strade romane erano organizzate in modo che i viaggatori
potessero sempre trovare un punto di rifornimento ogni qualvolta ne avessero avuto bisogno e
questa distanza era calcolata in circa XXX miglia nel caso di strade agevoli e in XXIII miglia
in caso di strade pericolose o insicure.
Le “stazioni” della Via Julia Augusta sono elencate in uno stradario anonimo chiamato
Itinerarium Antonini, giunto a noi in una forma redatta all’epoca di Diocleziano ma che in
realtà deriva da una copia più antica risalente all’epoca di Caracalla e stilata in base a fonti
datate all’epoca di Augusto.
L’anonimo compilatore, descrivendo l’intero itinerario, nomina la località di Ad TricensimumViam Belloio collocando la stazione di sosta presso Tricesimo, nei dintorni di Udine, XXX
miglia a nord di Aquilea, dopodiché cita la Mansio Larice, una stazione di sosta posta XXIII
miglia a nord di Viam Belloio, in territorio montano e identificata con Chiusaforte mentre
successivamente riporta le località di Santicum, attuale Villach, e Virunum, rispettivamente
dopo XXIII miglia e XXX miglia. Tuttavia, analizzando la distanza fra Aquileia e Klagenfurt
si nota che mancano XXX miglia all’appello.
Uno studioso, Luciano Bosio, si è occupato di risolvere questo problema giungendo alla
conclusione che il compilatore avesse per sbaglio lasciato cadere una tappa, calcolando XXIII
miglia anziché XXX prima della stazione di Larice e tralasciando una stazione di posta
localizzata fra Larice e Santicum. Questa tappa viene collocata proprio a Camporosso ed
indicata con il nome di Statio Bilachiniensis ed in questo modo i conti dell’intera distanza
tornano ad essere precisi in quanto si susseguono XXX miglia da Tricesimo a Chiusaforte,
XXIII miglia da Chiusaforte a Camporosso e poi nuovamente XXIII miglia fino a Villach.18
In aggiunta a questi dati va ricordato che sia la località di Chiusaforte sia la località di
Camporosso hanno restituito importanti testimonianze romane: lapidi, steli e parecchie
monete di epoca imperiale. Inoltre, la stazione di sosta di Larice era preceduta da un posto di
dogana, la Statio Plorucensis, identificata con Resiutta.
Alla luce di queste prove si conferma anche in epoca romana il carattere di confine del luogo,
conclude Bosio: « In tal modo abbiamo lungo questa strada la presenza di un portorium in
18
Cfr: BOSIO L, La strada romana da Aquilea a Virunum in Tarvis, ats dal 68n Congres, Udine, Societât
Filologjiche Furlane, 1991, pp. 25-32.
16
territorio italico (Resiutta), di una linea di confine fra la X Regio (=Italia) e il Noricum
(Chiusaforte), e di una stazione doganale in territorio norico (Camporosso) ».19
L’equilibrio politico-economico che garantiva la pacifica convivenza ai confini dell’Italia
venne bruscamente interrotto con le invasioni dei Quadi e dei Marcomanni, penetrati nel 167
d. C. nella pianura friulana proprio grazie a questa agevole via. In quell’occasione Roma fu
capace di resistere all’urto anche grazie alle doti tattiche e strategiche di Marco Aurelio, ma si
trovò completamente inerme durante il IV sec. d. C. quando orde di barbari discesero in Italia
per il facile valico di Camporosso e per le vie laterali del Predil e del cividalese annientando
quanto restava dell’agonizzante impero. Fra queste popolazioni vanno citati i Longobardi che
calarono in Italia nel 568 d. C. e fondarono il Ducato del Friuli. Recentemente l’insediamento
longobardo di confine, la Meclaria di Paolo Diacono, è stato individuato a Thörl Maglern, a
pochi chilometri oltre il confine italiano.
Un secolo dopo è il turno dell’invasione degli Avari e degli Slavi alpini o Vendi. Questi si
rivelarono immediatamente dei vicini scomodi per i Longobardi i quali si trovarono a dover
lottare per difendere le fertili pianure friulane da queste popolazioni bellicose. Respinti gli
Avari oltre le Alpi, i Vendi, messi dai longobardi in condizione di non nuocere, andarono ad
occupare i territori delle valli alpine rimasti semivuoti istituendo il ducato della Carantania
che comprendeva sia la Carinzia sia la Valcanale confinando con il ducato longobardo.
Probabilmente questi pastori-agricoltori furono i primi abitanti a fondare degli insediamenti
stabili nelle valli dopo parecchi secoli, tuttavia, mentre in Carnia e nel Canal del Ferro,
nonostante i numerosissimi toponimi ancora presenti, l’elemento slavo venne con il tempo
assorbito dall’elemento friulano, in Valcanale esso si radicò, rimase vivo e, contaminandosi
nel corso dei secoli con le popolazioni friulane e carinziane, diede origine a quel caratteristico
ceppo windisch, stanziatosi nelle località di Zabnice, Ukve e Lipalija Vas (Camporosso,
Ugovizza e San Leopoldo), le quali ancora oggi sono abitate da minoranze slovene. 20
In ogni caso, a parte pochi e confusi dati, la storia tace su questo tormentato periodo; la larga
strada romana venne lasciata a sé stessa e le alluvioni la cancellarono, le varie stazioni di
sosta, insieme con gli insediamenti, furono abbandonate e non vennero più citati i nomi latini.
L’unico barlume di civiltà si conservò grazie alle sedi ecclesiali, ma quando anche Julium
carnicum, centro di riferimento religioso dell’alto Friuli, fu abbandonata, solo Aquileia
mantenne il potere spirituale.
19
Ibid, pp. 30-31.
Sull’origine del termine windisch si rimanda a: RADO L, The terms Wende-Winde, Wendisch -Windisch in the
historiographical tradition of the Slovene land, Slovene studies, 2008, p. 93-97.
20
17
La città di Aquileia fu già dal III sec. d. C. uno dei massimi centri di diffusione del
cristianesimo nel nordest italiano e nell’est europeo. Col tempo la sua importanza e la sua
forza politica si accrebbero e, soprattutto grazie alle numerose donazioni longobarde,
nell’VIII secolo era una delle realtà temporali e spirituali più importanti della zona. La diocesi
di Aquileia, retta da un Patriarca autonomo da Roma e in diretto contatto con Costantinopoli,
riusciva ad amministrare un territorio molto vasto, che andava dalla parte occidentale della
pianura friulana, al Cadore, fino alla Stiria, infatti fu grazie all’azione dei primi patriarchi che
le popolazioni windisch vennero cristianizzate.
Successivamente ai Longobardi si sostituirono i Franchi e quando Carlo Magno fu incoronato
imperatore del Sacro Romano Impero nell’800 d. C. l’Europa si trovò nuovamente unita sotto
un’unica politica imperiale. Fu un periodo di rinascita culturale e le politiche di
riorganizzazione burocratica dei territori permisero una gestione pubblica più efficace.
Fra le riforme del periodo va citata quella di ridefinizione dei confini del potere spirituale
delle varie diocesi fra cui quella di Aquileia all’interno del ducato di Carantania, il quale
venne diviso fra i territori a nord della Drava, facenti riferimento alla diocesi di Salisburgo, e
quelli a sud che divennero parte della diocesi di Aquileia.
Tuttavia questo clima di rinascita era destinato a non durare a lungo. Alla morte di Carlo
Magno il Sacro Romano impero venne spartito fra i suoi figli e iniziò un periodo di lotte
dinastiche.
Alla fine di quel periodo che viene definito “Anarchia Feudale” Ottone I imperatore, dopo
essere riuscito ad emergere all’interno della lotta per il trono imperiale, istituì il Ducato di
Carinzia unendo il vecchio Ducato di Carantania, la Marca del Friuli, trasformata in contea, la
Marca di Verona e altre realtà minori, « fu da allora che il nostro territorio iniziò a gravitare
nell’ambito tedesco, mentre si veniva a delineare quello che poi sarebbe stato il confine con il
Friuli ».21
Gli Ottoni cercarono, in questo modo, di legare più strettamente il nord Italia all’Impero in
modo da tenere libero il passaggio verso la Penisola. A questo scopo, in piena lotta per le
investiture, se da un lato essi unirono le varie entità statali in un unico ducato di diretta
dipendenza imperiale, dall’altro mantennero oculatamente buoni rapporti con i patriarchi di
Aquileia elargendo nel corso del tempo numerose donazioni che andarono a formare la base
per il futuro sviluppo del potere temporale. In questo periodo il Patriarcato rimase saldamente
in mano a vescovi-guerrieri di origine tedesca che si premurarono di garantire il sostegno
21
DOMENIG R, Malborghetto-Valbruna, comune in Valcanale, Udine, Ed. del Confine, 2003, p. 20.
18
all’imperatore in cambio di protezione. In questo modo Aquileia ampliò grandemente la sua
autonomia politica ponendosi non solo come un interlocutore di pari livello dei ducati
germanici all’interno della compagine del Sacro Romano Impero ma anche come la più
grande e prestigiosa entità statale del nord Italia del periodo.
Nel 1077, con diploma imperiale datato 3 aprile, l’imperatore Enrico IV, dopo l’umiliazione
di Canossa, per premiare la fedeltà del patriarca Sigeardo, uno fra i pochi vassalli ad essere
rimasto sempre devoto all’imperatore, gli donò in feudo l’intera contea del Friuli, fregiandolo
del titolo di Principe. « È la nascita nel nuovo stato patriarcale, destinato a durare più di tre
secoli, fino al 1420 ».22
Il confine del Patriarcato di Aquileia venne fissato al ponte sulla Pontebbana, dividendo in
questo modo la Pontebba patriarcale dalla Pontafel imperiale.
Raimondo Domenig descrive in sintesi ciò che invece pochi anni prima era accaduto dall’altro
lato del ponte:
Il primo novembre 1007 l’imperatore Enrico II […] fondò il Vescovado di Bamberg
in Franconia. Per renderlo effettivo lo dotò di beni regali e proprietà anche
lontane. […]. Dalla prima ora fecero parte in Carinzia della dotazione del
Capitolo il circondario attorno al transito del fiume Drau (Villach), quello attorno
al transito sul fiume Gail (Federaun), Arnoldstein e gli importanti passi alpini di
Camporosso e del Predil. […]. Il 14 febbraio 1014, in occasione della sua
incoronazione a Roma, Enrico II stilò un atto con cui donava al Capitolo tre
località […] difficilmente identificabili. In quel particolare momento storico c’era
l’interesse da parte dell’imperatore di mettere in sicurezza i passi alpini delle Alpi
Orientali per motivi politico-strategici. Questo interesse, assommato a quello delle
mude (dogane) poteva essere esercitato solo da un vassallo fedelissimo come il
vescovo bamberghese. Iniziò da allora la storia della presenza del Capitolo in
valle. Il potere spirituale […] appartenne alla diocesi di Aquileia.23
In questo particolare contesto storico la storia della strada del Canal del Ferro-Valcanale
smette di essere storia di confine e diventa storia di frontiera. Le due realtà si trovarono
stabilmente delimitate ed iniziò un periodo di precisa differenziazione politica destinata a
durare fino alla prima guerra mondiale.
22
FUCCARO L, DANELUTTO A, Chiusaforte e la val Raccolana dalle origini ai giorni nostri, Chiusaforte, La
Chiusa edizioni, 2011, p. 29.
23
DOMENIG R, Malborghetto-Valbruna, comune in Valcanale, Udine, Ed. del Confine, 2003, p. 21.
19
1.3.
La strada del Canal del Ferro-Valcanale. Una storia di frontiera (II° parte)
Dalla fondazione del Capitolo alla fine della Grande Guerra (1918)
Mentre a sud di Pontebba il Patriarcato di Aquileia amministrava la regione storica del Friuli e
riscuoteva la tassa della muda al neonato castello della villa di Chiusa (attuale Chiusaforte),
inserita, insieme a tutto il Canal del Ferro all’interno dei territori del ricco feudo benedettino
di Moggio, a nord la Valcanale rientrava nei domini del Capitolo Bamberghese, la cui storia
in valle è lunga ben 752 anni.
« Villach era il centro delle proprietà bamberghesi in Carinzia e da lì era esercitato il controllo
del cosiddetto “transito o strada trasversale”, la via di collegamento tra le regioni tedesche e il
mercato di Venezia »24. A causa dell’enorme distanza che incorreva fra Bamberg e la
Carinzia, venne deciso di istituire degli amministratori autonomi che gestissero le proprietà
carinziane, dapprima da Villach ed in seguito da Wolfsberg. Gli amministratori della
Valcanale risiedevano, invece, a Federaun, località a ridosso della Gail, sulla strada che
conduce a Villach; da ciò la definizione di Herrschaft Federaun, ovvero Signoria di Federaun,
che venne data alla Valcanale.
A Tarvisio, in epoca più tarda, fu insediata una della figure più importanti nell’ambito della
gestione delle proprietà del vescovado: il Maestro dei boschi o Waldmeister il quale
amministrava l’immensa foresta demaniale di proprietà vescovile.
La foresta di Federaun, successivamente identificata come “Foresta di Tarvisio” è tutt’ora la
foresta demaniale più grande d’Italia e la sua millenaria storia vide diversi cambiamenti di
gestione, dai vescovi bamberghesi al rinnovamento burocratico compiuto dagli Asburgo nel
1757, che comunque non cancellava la proprietà ecclesiastica, fino al passaggio al Fondo
Edifici di Culto del Vaticano e, successivamente al Ministero degli Interni. Tutt’ora i
documenti di proprietà e di utilizzo comune sono pubblici e visionabili all’ufficio Tavolare
del comune di Pontebba, che ancora lavora utilizzando un sistema di catalogazione degli atti
catastali risalente a Maria Teresa d’Austria25.
Essendo questa foresta un bene privato ma utilizzabile con precise concessioni anche dalla
comunità, era necessario registrare i tributi che i sudditi dovevano pagare. Questo « strumento
24
DOMENIG R, Museo etnografico Palazzo Veneziano, Malborghetto, Ed. Comunità Montana del Gemonese,
Canal del Ferro-Valcanale, 2006, p. 12.
25
FRANCESCUTTI M, Mille anni di storia della Val Canale e della sua foresta, Reana del Rojale, 1990.
20
tecnico di gestione era il libro chiamato urbario (Urbar) »26 il quale ci è giunto perfettamente
integro ed è un importantissimo documento per lo studio della storia locale medioevale.
« Con l’avvento del Capitolo, accanto alle preesistenti comunità slovene, si stabilirono in
Valcanale famiglie tedesche della Franconia e della Carinzia, che formarono i primi nuclei dei
paesi con connotati tedeschi, Malborghetto e Tarvisio in Particolare »27.
Durante i secoli XII-XVI la vita degli abitanti della valle migliorò sensibilmente grazie ai
fiorenti commerci di piombo, ferro, pelli e sale, in questo modo anche le vie di comunicazione
furono potenziate e gli insediamenti della valle si consolidarono. Fra questi assunsero ruoli
particolari Pontafel, paese di confine, Malborghetto, vitale centro industriale, e Tarvisio,
snodo commerciale e località di afflusso dei minerali da Raibl.
La vivacità commerciale della valle, naturalmente, non finiva con il paese di Pontafel. A sud
di esso il Patriarcato, nel 1342, aveva concesso a Pontebba la fiera annuale dell’8 settembre,
mentre la Libera comunità di Gemona e il comune di Venzone, cittadelle fortificate a sud
della muda di Chiusa, stavano ingrandendo le loro ricchezze proprio grazie ai commerci che
giungevano da nord e si avviavano a diventare i più ricchi e prestigiosi territori dell’alto
Friuli.
In questo periodo la cultura tedesca si era estesa ampiamente anche nell’area friulana. Scrive
Martin Wutte:
Das Spital Ospedaletto bei Gemona war in Leopoldskirchen, das
Benediktinerinstitut Moggio, eine Gründung des Grafen Kazelin (Koseform für
Kadalhoh) im unteren Gailtal begütert. […] Unvergleichlich stärker waren
dagegen die Beziehungen Kärntens und der anderen Ostalpen zu Friaul. Die
Generalkapitäne von Friaul […] stammten in 13. Und 14. Jahrhundert durchaus
aus Kärnten. […] Die herrschende Oberschicht, vom Patriarchen angefangen,
war lange Zeit durchaus deutsch. Deutsche Kaufleute fanden sich in allen
größeren Orten. […]28
In questo contesto di fiorente economia, però, entrambe le realtà politiche che si
fronteggiavano sul ponte della Pontebbana cercavano di ingrandire i loro domini in modo da
estendere il loro predominio economico.
26
Ibid, p. 13.
Ibid, p. 13.
28
WUTTE M, op, cit, p. 83. Trad, ibid, p. 95-96 [L’ospedale di Ospedaletto presso Gemona si trovava a S.
Leopoldo. Il convento benedettino di Moggio, una fondazione del conte Cacellino (Kazelin, vezzeggiativo di
Kadalhoh) aveva ottenuto beni della valle inferiore del Gail. […] In maniera imparagonabile erano più forti i
rapporti della Carinzia e delle altre regioni orientali delle Alpi con il Friuli. I Capitani generali della Piccola
Patria […] provenivano nel 13° e 14° secolo esclusivamente dalla Carinzia. […] Lo strato sociale dominante, ad
iniziare dai Patriarchi, fu per lungo tempo esclusivamente tedesco. Commercianti tedeschi si trovavano in tutte le
maggiori località[…].
27
21
« I primi contrasti tra il Capitolo bamberghese, titolare del potere temporale, e il Patriarcato,
titolare di quello spirituale, sorsero a causa di una situazione di possesso poco chiara a S.
Leopoldo. Qui l’ospedale di S. Maria dei Colli di Gemona aveva proprietà e propri sudditi. La
vicenda si risolse […] a favore di Bamberg. […] Un’incursione, di cui ignoriamo i contorni,
avvenne sul territorio patriarcale il 25 maggio 1361. […] Una prima vera e propria incursione
in valle avvenne nel 1368 ».29 In particolare quest’ultima scorreria vide le truppe patriarcali
invadere la Valcanale e incendiare Malborghetto, allora Bonborghetto. I Patriarcali vennero
battuti, ma il villaggio era semidistrutto. « La distruzione e il momento economico negativo
conseguente potrebbero essere un motivo per cui Bonborghetto divenne poi Malborghetto.
[…] Il 23 luglio 1380 […] nel nome del paese il prefisso mal aveva già sostituito il bon ».30
Chiudiamo questo primo periodo di dominazione del Capitolo con un evento naturale: nel
1348, nel pieno dell’epidemia della Peste, un disastroso terremoto con epicentro a Villach e
citato in documenti storici di tutta Europa seppellì 17 villaggi e rase al suolo la città
provocando il crollo della montagna del Dobratsch, sovrastante il centro. Danni ingenti si
ebbero anche in Valcanale, dove la strada principale fu chiusa per due anni, inoltre Venzone e
Gemona furono distrutte e solo l’oculata politica del Patriarca Bertrando permise una rapida
ricostruzione degli insediamenti e il restauro della rocca della Chiusa.31
In ogni caso, la ripresa economica fu rapida: « La metà del XIII sec. e soprattutto la fine del
XIV. Sec. furono contrassegnati da numerose concessioni di fucine per la lavorazione del
ferro. […] I due centri principali della valle, Tarvisio e Malborghetto, iniziarono fin da allora
ad essere distinti dal punto di vista amministrativo dagli altri villaggi; rispettivamente nel
1456 e nel 1473 furono elevati a paesi […] con diritto di mercato, da cui la denominazione di
Markt Tarvis e Markt Malborghet ».32
Nel frattempo il Patriarcato di Aquileia, incapace di risolvere i dissidi fra la fazione che
guardava agli imperiali e la fazione rivolta ad ampliare i commerci verso la Serenissima, si
trovò sempre più pressato fra la potenza asburgica e le mire espansionistiche di Venezia.
L’Impero ne approfittò per stringere relazioni con la città di Cividale, conquistare la Chiusa di
Plezzo, gemella della Chiusa del Canal del Ferro ma costruita a difesa del passo del Predil e
della valle dell’Isonzo, e trasformare il Patriarcato in una pedina nella guerra contro Venezia
29
QUADERNI DEL MUSEO, SOTTO IL PASTORALE TEDESCO, a cura di Lara Magri, Malborghetto,
pubblicazioni del Museo Etnografico Palazzo Veneziano di Malborghetto, 2012, pp. 15-16.
30
DOMENIG R, Malborghetto-Valbruna, comune in Valcanale, Malborghetto, Ed. del Confine, 2003, p. 28.
31
Un approfondimento sulla storia della Chiusa nel periodo patriarcale ed in seguito veneziano si trova in:
FUCCARO L, DANELUTTO A, Chiusaforte e Raccolana dalle origini ai giorni nostri, Chiusaforte, Ed. La
Chiusa, 2011.
32
DOMENIG R, Museo etnografico Palazzo Veneziano, Ed. Comunità Montana del Gemonese, Malborghetto,
Canal del Ferro-Valcanale, 2006, p. 13.
22
che, nello stesso periodo, si stava pericolosamente espandendo nel nordest. Alla fine: « nel
1420 la Repubblica di Venezia decretò la fine dello stato patriarcale. D’ora in poi le Alpi
Carniche e Giulie separarono l’area di dominio asburgico da quella della città lagunare ».33
Con questa data cessò ogni tipo di intromissione politica imperiale nel territorio friulano, il
quale entrò nell’orbita politica italiana distinguendosi fortemente dalla Valcanale che restò
saldamente in mano austriaca.
Anche i veneziani si rivelarono dei vicini scomodi; una prima incursione avvenne nel 1435 ed
anche in questo caso Malborghetto fu devastato nonostante la sconfitta delle truppe veneziane.
In ogni caso il pericolo maggiore durante il XV secolo non fu Venezia, che spesso si rivelò
per la valle il più importante partner commerciale, bensì i turchi che, dalla seconda metà del
secolo, presero di mira il Friuli e la Carinzia compiendo diverse scorrerie. Nel 1478 i
cavalleggeri di Kandhar Pascià distrussero i paesi della Valcanale e del Canal del Ferro ma,
trovandosi di fronte alla fortezza della Chiusa, decisero di risalire per il passo di Lanza,
valicando nella valle della Gail. Tarvisio, in questo stesso periodo, divenne la città più ricca
della valle grazie all’istituzione della muda di Tarvisio bassa. Con i soldi guadagnati la città
rinforzò le sue difese e fortificò la chiesa principale.34
Pochi anni dopo, nel 1509, nell’ambito delle guerre d’Italia, furono gli imperiali ad invadere il
territorio in mano alla Repubblica di Venezia. In questa occasione si distinse il forte della
Chiusa che resistette a quattro giorni d’assedio e – con l’aiuto di Antonio Bidernuccio e i suoi
40 archibugieri di Venzone venuti a soccorrere i poveri abitanti della Val Raccolana – riuscì a
mettere in rotta l’intera armata del duca di Brunswick lasciando sul greto del Fella oltre 4000
morti35.
Per tutto il ‘500 brevi periodi di pace si alternarono ad importanti movimenti di truppe mentre
la direttiva della Valcanale perdeva di importanza in favore delle vie atlantiche; nel 1532,
diretto verso l’Italia transitò l’esercito di Carlo V. Ottantamila uomini si riversarono nella
valle e questo significò per tutti un periodo di prosperità perché fu necessario provvedere al
vettovagliamento di tutta l’armata.
Il torrente Pontebbana, nello stesso periodo, si trovò ad essere anche un confine religioso,
divise, infatti, le regioni in cui attecchì la dottrina luterana da quelle in cui la cultura cattolica
restò del tutto predominante. Parecchie Bibbie luterane vennero segnalate a Malborghetto e a
33
M. WUTTE, op, cit, p. 97.
Per approfondimenti sulla storia di Tarvisio in età moderna si veda: DOMENIG R, Tarvisio Fioritura e
sviluppo di una cittadina tra il 15° e il 17° secolo, Tarvisio, Ed. Comune di Tarvisio, 2007.
35
Uno studio approfondito su questo particolare fatto storico è pubblicato in: Bidernuccio Antonio viva! La
difesa della Chiusa (1509), bollettino dell’associazione “Amici di Venzone”, Venzone, 2009.
34
23
Tarvisio anche a causa dell’incertezza della fede nelle alte sfere del vescovado. Solo la
controriforma sradicherà la presenza luterana in Carinzia.
Il XVII secolo incominciò con una nuova guerra fra l’Austria e Venezia per l’egemonia sul
mare adriatico. Nel contesto delle “guerre gradiscane” nel 1616 gli imperiali discesero il
Canal del Ferro con l’intenzione di raggiungere Gemona ma vennero nuovamente fermati alla
Chiusa, da poco restaurata. Il contrattacco veneziano non tardò a farsi sentire e le truppe della
Serenissima arrivarono a distruggere il mercato di Malborghetto e ad occupare la Valcanale.
Tuttavia l’occupazione non si consolidò e il confine venne riportato alla Pontebbana.
In ogni caso, in tutta Europa il ‘600 fu un secolo di crisi, se confrontato con i fasti del ‘400 e
del ‘500.
Anche sulla strada del Canal del Ferro-Valcanale, ormai via commerciale periferica rispetto ai
ben più veloci scambi marittimi e del Brennero, mancò un rinnovamento dei traffici e sia dalla
parte veneziana sia dalla parte imperiale le descrizioni dei pellegrini e dei mercanti riportano
paesaggi miseri, desolati e squallidi36. In questi secoli ci furono scontri e tensioni con il Feudo
di Moggio per i confini in Val Saisera e a Sella Nevea, confini molto più imprecisi rispetto al
corso del fiume Pontebbana.
In un contesto in cui gli stati europei cercavano di accentrare il potere nelle mani di un’unica
istituzione, la presenza di un Capitolo all’interno dell’impero asburgico non poteva essere ben
vista in quanto era una sorta di “stato nello stato”. Dopo il primo documento del Rezess del
1535, in cui si decise che all’interno del collegio giudicante bamberghese dovessero sedere
anche tre giudici carinziani, si arrivò all’Ewige Rezess, o recesso eterno, in cui il vescovo di
Bamberg, d’accordo con l’imperatore Leopoldo I, cedeva la sovranità territoriale in cambio di
un indennizzo: « Al capitolo rimasero le proprietà individuali, come le foreste »37.
Nel 1719 l’istituzione del porto franco di Trieste dirottò i traffici lungo la direttiva ViennaLubiana-Trieste, lasciando da parte la Valcanale. Successivamente l’ampliamento della strada
nel 1748 non portò la rinascita sperata e la crisi finanziaria del Capitolo si aggravò anche a
causa di carestie ed alluvioni. Alla fine, dopo che il Capitolo era stato prosciugato da quasi
ogni finanza e privato di ogni potere: « nell’anno 1759 il vescovo Adamo Seinsheim aliena
tutti i beni della Signoria Federaun all’imperatrice Maria Theresia. […] Così viene a cessare
ogni ingerenza dei vescovi di Bamberga nella vallata.[…] Cessato il dominio bamberghese,
36
Cfr: QUADERNI DEL MUSEO, SOTTO IL PASTORALE TEDESCO, a cura di Lara Magri, Malborghetto,
pubblicazioni del Museo Etnografico Palazzo Veneziano di Malborghetto, 2012, DOMENIG R, Tarvisio,
fioritura e sviluppo di una cittadina tra 15° e 17° secolo, ed. comune di Tarvisio, Tarvisio, 2007, FUCCARO L,
DANELUTTO A, op, cit, p. 73 e seg.
37
DOMENIG R, op, cit, p. 34.
24
troviamo nella valle una situazione stabilizzata. La popolazione italiana 38 in parte si è ritirata
oltre Pontebba, in parte viene assimilata; quella tedesca si è concentrata a Tarvisio, a Cave, a
Fusine, a Malborghetto, a Lusnizza, a Pontafel; quella slovena resta fissa nei villaggi
originari: Camporosso, Valbruna, Ugovizza, S. Leopoldo ».39
Le politiche di Maria Teresa riorganizzarono le proprietà del Capitolo inserendole nel
contesto del Ducato di Carinzia e dell’Impero Asburgico. Il cambiamento più importante
riguardò il potere spirituale poiché la valle venne aggregata alla diocesi di Gurk nel 1787,
dopo che nel 1751 il Patriarca di Aquileia era stato esautorato e la sua diocesi divisa fra
Gorizia e Udine.
In ogni caso, pochi anni dopo, fu l’armata di Napoleone Bonaparte a sconvolgere del tutto gli
equilibri della valle40. Nel 1797 L’armata del Generale, dopo aver sconfitto prima Venezia e
poi ripetutamente gli austriaci, risalì il Canal del Ferro combattendo presso Casasola, poco a
sud del passo della Chiusa41, ed in seguito, raggiunto ed espugnato Tarvisio, si spinse fino a
Leoben, dove venne firmata la resa austriaca. Pochi mesi dopo, con il trattato di
Campoformido, scomparve la secolare Repubblica di Venezia e l’intero Friuli venne
assegnato all’Austria.
Successivamente, nel 1809, dopo che nel 1805 Napoleone venne incoronato Re d’Italia e
sconfisse gli austriaci ad Austerlitz, ci fu la seconda presenza napoleonica in valle.
In quell’occasione si svolsero i fatti bellici « che culminarono tra il 15 e il 17 maggio al forte
di Malborghetto e tra il 16 e il 18 maggio al forte del Predil con la sconfitta imperiale »42. In
quell’occasione si distinse il comandante Friederich Hensel che cadde in battaglia dopo
quattro giorni di strenua resistenza. Il suo sacrificio sarà ricordato nel monumento eretto
dall’imperatore Ferdinando I e ancora visibile sotto l’altura che sostiene i resti del forte.
A seguito della vittoria di Napoleone la Valcanale venne inserita per la prima volta in una
cornice italiana; dopo un passaggio nel Regno d’Illiria fu unita al Regno d’Italia. La parentesi
napoleonica fu importantissima per riorganizzare il catasto in quanto le mappe di Napoleone
sono quelle tutt’ora usate e reperibili all’ufficio tavolare di Pontebba.
Nel 1814, con il congresso di Vienna, la Valcanale rientrò nell’orbita tedesca e con lei tutto il
nord Italia dal Friuli alla Lombardia, inquadrato nel Regno Lombardo Veneto.
Famiglie friulane e italiane erano attestante a Malborghetto già dal ‘300 ma l’assimilazione era ormai già
avanzata.
39
IL TARVISIANO a cura di Pietro Treu, Tarvisio, Azienda autonoma di soggiorno, 1974.
40
Per analisi del periodo Napoleonico in valle si veda: FORAMITTI P, 1797- la guerra in Friuli, Udine, Ed.
Comune di Udine, 1997. Un approfondimento sulle memorie del generale Thiebault, comandante dell’armata
che risalì il Canal del Ferro è pubblicato in: AMBROSINO F, verso la vittoria, Udine, Ed. del Confine, 2009.
41
AMBROSINO F, Verso la vittoria, Udine, Ed. del Confine, 2009, p. 151.
42
DOMENIG R, Malborghetto-Valbruna, comune in Valcanale, Udine, Ed. del Confine, 2003.
38
25
Si apriva così un secolo di enormi stravolgimenti industriali e grandi potenziamenti delle
infrastrutture. La strada per Venezia, sempre sullo stesso tracciato da millenni, venne ampliata
e vistosamente allargata fra il 1833 e il 1853 anche se questo provocò la demolizione, nel
1836, dell’antica rocca della Chiusa, considerata obsoleta e d’intralcio alla circolazione.
Il 1848 fu anche nel Canal del Ferro un anno di tensioni. Gli eventi noti come “resistenza di
Pontebba” possono essere collocati nell’ambito di quei moti insurrezionali per la richiesta
d’indipendenza che accendevano il vicino Lombardo-Veneto. Tuttavia, nonostante la sconfitta
dei rivoltosi, il 1848 portò importanti conseguenze non solo ai sudditi friulani, ma anche agli
abitanti della Valcanale sia perché vennero accantonate le Signorie e i sudditi si trasformarono
in cittadini sia perché si definirono le norme per la legislazione comunale.
Nel 1866 il plebiscito per l’annessione del Friuli al Regno d’Italia comportò una ridefinizione
delle frontiere che vennero mantenute sul ponte della Pontebbana, ora divenuto un ponte
internazionale. Questa frontiera rimarrà la stessa fino alla Prima Guerra Mondiale. Alla fine
dell’800 la nuova ferrovia rudolfiana Villach-Pontafel, collegata con il troncone italiano
Udine-Pontebba, sconvolse gli equilibri della valle e catapultò gli abitanti dei villaggi nel
mondo del lavoro europeo grazie alle possibilità di emigrazione e di spostamenti fra un lato e
l’altro del fiume di frontiera.
Anche l’ultima proprietà del Capitolo bamberghese, la foresta di Federaun, passò nel 1886 in
mani private, venduta dal conte Zinneberg al Fondo di religione della Carinzia.
L’equilibrio fra Regno d’Italia e Impero austroungarico si ruppe in maniera irreparabile con la
Prima Guerra Mondiale.
Sia la Valcanale, sia il Canal del Ferro si trovarono a ridosso della linea del fronte e le
conseguenze per gli insediamenti furono devastanti. Le postazioni di artiglieria italiane,
posizionate nelle valli di Dogna e Raccolana, località più comode e utili strategicamente,
bombardarono l’intero territorio della valle radendo al suolo tutti i paesi, il forte Hensel di
Malborghetto ed anche il santuario del monte Lussari, una delle istituzioni religiose più
antiche e sacre della valle. La maggior parte dei Kanaltaler (valcanalesi) venne evacuata e
poté ritornare nella valle solo dopo il 1917.
Anche dalla parte italiana gli abitanti delle valli di Raccolana e Dogna, localizzate proprio
sulla prima linea, furono costrette all’evacuazione e il territorio si trasformò per 4 anni in una
zona di guerra alpina.43 Dopo lo sfondamento di Caporetto e la definitiva vittoria italiana a
43
Le pubblicazioni che trattano il periodo della Prima Guerra Mondiale nelle valli del Fella sono numerosissime
e facilmente reperibili. Fra le più importanti citiamo i lavori di: AICHINGER J, Le Alpi Giulie e Carniche
durante la Grande Guerra a cura di TONAZZI D, Ed. Saisera, Valbruna, 2004, Chiusaforte e Raccolana, due
26
Vittorio Veneto, le truppe italiane occuparono la Valcanale, destinata così, insieme alle
regioni dell’Alto Adige, di Trieste, di Trento e dell’Istria a far parte del Regno d’Italia. Finiva
così la storia di una frontiera consolidata da oltre mille anni e il plurisecolare confine di
Pontebba venne spostato al valico di Coccau, dove rimase fino al 1995, anno dell’ingresso
dell’Austria nella UE.
piccoli comuni nella Grande Guerra, Ed. Saisera Valbruna, 2004. SCRIMALI F, La Grande Guerra in Val
Dogna, Ed. Panorama, 2004. PUST I, Il fronte di pietra, Mursia, 1985.
27
28
2. LA VICENDA DELLE OPZIONI DEL 1939
La Valcanale fra le due guerre
Tra intolleranza e integrazione
2.1.
L’insediamento dello Stato italiano e l’affermazione della politica fascista
Le truppe italiane si affacciarono oltre il ponte sulla Pontebbana il 4 novembre 1918. Due
giorni dopo furono a Tarvisio e si impossessarono di tutte le infrastrutture della valle.
È facile intuire il senso di disorientamento che colse i valligiani, abituati da generazioni a far
riferimento alla Carinzia per tutti i servizi e i commerci, quando si resero conto che
l’occupazione italiana non sarebbe stata solo temporanea. In ogni caso essi furono giocoforza
obbligati a confrontarsi senza indugio con la nuova amministrazione provvisoria, nell’attesa
di una decisione definitiva che, comunque, fin dal primo momento sembrò sfavorevole a un
ritorno del territorio nell’orbita del dominio austriaco.
Quella che si presentava ai reparti italiani era una vallata profondamente segnata dagli eventi
bellici: la popolazione che era stata evacuata nel 1915, all’inizio delle operazioni militari,
stava lentamente ritornando nei paesi ma molti di questi erano in condizioni pietose e anche le
attività economiche erano state quasi del tutto abbandonate. La valle, dopo quattro anni di
guerra, era stata completamente devastata e gli abitanti erano stremati anche a causa dei
saccheggi attuati da parte di formazioni ungheresi sbandate durante la ritirata austro-ungarica.
Agli ufficiali italiani era affidato il compito di gestire una situazione alla quale si poteva far
fronte solo cercando di instaurare subito buoni rapporti con gli abitanti, traumatizzati non solo
dalle devastazioni ma anche dal radicale e improvviso cambio amministrativo e linguistico –
culturale.
La prima descrizione dell’arrivo delle truppe italiane è in un periodico di Klagenfurt: il Freie
Stimme (Voce Libera) che, il 29 novembre 1918 così scriveva:
Dopo la partenza delle nostre truppe in ritirata, nella quale gli ungheresi si
concessero ancora alcuni scampoli di disonore e infamia, furono completamente
abbandonati al saccheggio i magazzini erariali […]. Attualmente a Tarvis e
dintorni è stanziata la Brigata mista italiana «Porto Mauricia», forte di 6000
uomini al comando del generale Luzzato, l’aiutante del quale è il sottotenente
29
Fandutti. Tutti e due mostrano, nei confronti della popolazione, cortesia
amichevole e s’impegnano in maniera ammirevole per appianare i contrasti. Tra i
soldati italiani domina una disciplina ferrea, gli ufficiali si sforzano di parlare
tedesco […]. Il coprifuoco per la truppa è fissato per le ore 19 […] e sono
previste gravi sanzioni per i trasgressori. Regna la tranquillità in città e nel
circondario. […]. Secondo i racconti di alcuni ufficiali l’Italia avanza il suo
diritto sul Kanaltal e anche sul territorio di Tarvis e Raibl.44
Effettivamente i tempi erano ormai maturi perché il governo italiano presentasse le sue
richieste per prendere ufficialmente possesso del territorio. I lavori del corpo diplomatico di
stato cominciarono subito dopo l’armistizio di Villa Giusti il 4 novembre del 1918. Il 18
gennaio 1919 fu convocata a Versailles la Conferenza di Pace, ma solo dal 19 aprile si iniziò a
discutere le rivendicazioni italiane. Il compromesso finale si trovò con il trattato di SaintGermain nel settembre dello stesso anno.
A tal proposito, estremamente utile per analizzare in che modo si giunse alla definizione dei
confini nel territorio della Valcanale sulla base della sua utilità strategica e per capire il
significato dei primi momenti dell’amministrazione italiana, è lo studio di Alessandro
Pennazzato: « Gli incartamenti che è stato possibile consultare per il Kanaltal hanno quasi
tutti caratteristiche comuni: [gli italiani] dovettero puntare prevalentemente su aspetti pratici e
concreti, su valutazioni economiche e militari, lasciando inizialmente in ombra il richiamo
all’antica presenza romano-latina e veneziana ».45
La linea assunta dalla delegazione italiana prevedeva un’applicazione letterale del Patto di
Londra, firmato quattro anni prima, tuttavia si scontrò con le tesi del presidente americano
Wilson, il quale ridimensionò le richieste dell’Italia sui confini ad est e soprattutto sui territori
dalmati. Anche la Valcanale sembrò rientrare in questo ridimensionamento ma una missiva del
generale Diaz impedì che le trattative sfavorissero le richieste dell’Italia:
La conca di Tarvis costituisce, com’è noto, una vera e propria breccia aperta
nella muraglia alpina che forma il nostro limite naturale. Ed invero dalla conca
di Tarvis per la facile sella di Predil un esercito nemico può scendere direttamente
alla conca di Plezzo […] e proseguire verso la pianura friulana mentre dalla
stessa conca di Tarvis, per l’ampia sella di Saifnitz e per le minori di Sompdogna
e Nevea si scende direttamente per la Carnia aggirando così in un sol colpo tutte
le difese […]. Il possesso della conca di Tarvis è dunque indispensabile alla
nostra difesa […] ed è pertanto indispensabile che essa ci sia attribuita in tutta la
sua estensione.46
PENNAZZATO A, Kanaltal-Valcanale: dall’amministrazione austriaca a quella italiana (novembre 1918 –
ottobre 1922), in “Qualestoria”, Anno XXV, n. 2, dicembre 1997, pp. 3-4.
45
PENNAZZATO A, op, cit, p. 11-12.
46
Archivio di Stato, Trieste, Commissariato Generale Civile della Venezia Giulia, Atti di Gabinetto, b. 12.
44
30
Nel corso della conferenza e nell’anno successivo vi furono alcuni tentativi da parte austriaca
di modificare l’accordo ma la risposta internazionale, influenzata anche dal problema della
creazione del nuovo Regno dei Serbi, Croati e Sloveni ad est, fu fredda e la Valcanale fu
annessa "sic et simpliciter" al Regno d’Italia. Iniziò così il processo di riconversione della
burocrazia imperiale e gli abitanti della valle, volenti o nolenti, dovettero abituarsi al radicale
mutamento amministrativo.47
Una delle prime mosse del Regno fu quella di riorganizzare gli enti pubblici dei territori
conquistati: innanzitutto la valle entrò a far parte della Provincia del Friuli, in seguito
suddivisa fra Provincia di Udine e Provincia di Gorizia, e il Commissariato civile del distretto
di Tarvis, istituito provvisoriamente il 10 febbraio 1919, fu sostituito nel 1922 da una Sottoprefettura che venne definitivamente trasferita a Pontebba l’anno seguente. La pretura
distrettuale austriaca divenne nel 1920 pretura italiana, sottoposta al Tribunale circolare di
Gorizia.
Circa un migliaio di abitanti decisero di trasferirsi nella neonata Austria, usufruendo di un
diritto stabilito in una clausola del Trattato di Saint-Germain, ma la maggior parte di essi
accettò la cittadinanza italiana. Superati i primi caotici momenti iniziali la Valcanale iniziò a
sperimentare la gestione italiana. I valligiani, abituati a ben altra organizzazione, furono
traumatizzati:
In breve tempo la presenza italiana portò con sé l’afflusso di “regnicoli” negli
enti pubblici, nei corpi militari, nelle ferrovie, nelle dogane, nelle scuole,
nell’industria e nel commercio locale, passati da un giorno all’altro in mani
estranee. A guidare un processo dolce e graduale di assimilazione avrebbe dovuto
provvedere una neo installata e robusta burocrazia italiana. Alla luce dei risultati
conseguiti possiamo invece affermare che essa non fu di prima scelta come
sarebbe stato necessario. Anzi, fu spesso contrassegnata da scarsa competenza e
formata da personale impreparato a gestire un territorio che avrebbe necessitato
di personale esperto sotto il profilo giuridico, storico e linguistico.48
Varie testimonianze di questo sconvolgente stravolgimento sociale sono contenute nelle
interviste raccolte da Lara Magri per l’”Archivio della Memoria” del Museo Etnografico
Palazzo Veneziano di Malborghetto. Un esempio tra i più significativi è il racconto di Karl
Migglautsch, classe 1920 di Pontafel:
Intervistatrice: Come sono stati accolti gli italiani a Pontafel dopo la prima
guerra mondiale?
47
48
Cfr: PENNAZZATO A, op, cit, p. 25-29.
DOMENIG R, Italiani al confine orientale 1918-1943, Udine, Aviani & Aviani editori, 2011, p. 25.
31
Karl Migglautsch: Mah! Erano famiglie prolifiche […] provenienti dal meridione,
soprattutto trasferiti per motivi disciplinari; molti erano socialisti, comunisti e
sono stati confinati, come si diceva. Insomma li hanno trasferiti al confine per
punirli. […] E questi erano i nostri vicini. Loro non capivano noi e noi non
capivamo loro. […] Questa era la tragedia: non si aveva l’aiuto della cultura,
come si dice.49
Nello stesso periodo in cui in Valcanale e negli altri territori annessi al regno i nuovi sudditi si
confrontavano con modelli amministrativi completamente nuovi, Benito Mussolini, con la
Marcia su Roma, metteva fine allo stato liberale, già da tempo in crisi, e instaurava la dittatura
fascista. Cavalcando l’onda del patriottismo e del nazionalismo il Duce si adoperò perché nei
territori appena conquistati la politica fascista s’imponesse con forza ancora maggiore: « Con
l’avvento del fascismo nell’ottobre del 1922 si poteva dire praticamente conclusa qualsiasi
possibilità di vertenza dialettica o democratica tra lo stato italiano e le popolazioni annesse».50
Si iniziò così a parlare di “alloglotti” e “allogeni”, due termini che il fascismo userà per
indicare rispettivamente: « persone di uno stesso territorio, che parlano o documentano una
lingua diversa da quella ufficiale della maggioranza » e « Cittadini di stirpe ed eventualmente
di lingua, tradizione o di religione diverse rispetto quella esistente nello stato nazionale ».51
Il primo e più violento attacco alle minoranze presenti in Italia, in un ottica di politica di
discriminazione delle differenze culturali che ormai prendeva piede in tutta Europa, fu
l’italianizzazione dei toponimi ad opera di Ettore Tolomei, uno fra i più ferventi sostenitori
dell’idea di italianizzazione immediata di tutte le Terre Irredente, il quale fu incaricato di
redigere una traduzione ufficiale dei toponimi delle regioni annesse in modo da restaurare una
supposta e forse artificiale romanità del territorio. Fiumi, monti, laghi, ma anche nomi e
cognomi vennero “trasposti”, a volte anche in maniera errata, e fu categoricamente vietata
ogni espressione in lingua “straniera”52 in modo da omologare i nuovi territori con il resto del
Paese. Il secondo atto fu la riorganizzazione della scuola pubblica e degli uffici, elemento
fondamentale da considerare se si tenta di modificare radicalmente l’universo culturale di un
gruppo etnico: « con l’introduzione della riforma scolastica di Giovanni Gentile, il regime
49
Intervista raccolta da Lara Magri e contenuta in: MAGRI L. Valcanale 1939/Kanaltal 1939 die große
Geschichte im Schicksal eines kleines Tal, Malborghetto, Museo Etnografico Palazzo Veneziano, 2013, p. 26.
50
SCROCCARO M, Dall’aquila bicipite alla croce uncinata. L’Italia e le opzioni nelle nuove provincie
Trentino, Sudtirolo, Valcanale (1919-1939), Trento, collana del Museo storico di Trento Onlus, 2000, pp. 74-75
51
DOMENIG R, op, cit, p. 21.
52
SALVEMINI G, Preludio alla seconda guerra mondiale, Milano, Feltrinelli, 1967, p. 704.
32
fascista annullò, con l’anno scolastico 1924-1925, l’insegnamento della lingua tedesca,
imponendo il passaggio alla sola lingua italiana ».53
Gaetano Salvemini, importantissimo storico del fascismo, così descrive la situazione nelle
nuove provincie: « Chi si rivolgeva ad un pubblico funzionario in una lingua che non fosse
l’italiano, non poteva essere che un malintenzionato “anti-nazionale”. L’italiano diventò la
lingua esclusiva in tutti i pubblici uffici. I sudditi di lingua tedesca potevano coprire la carica
di segretario comunale solo se fossero forniti di un certificato […] Non c’era nessun tedesco
con questi requisiti ».54
A questa prima serie di riforme sia in Alto Adige che in Valcanale: « faceva da sfondo una
burocrazia pedante, incapace, non poche volte corrotta, di funzionari impreparati […] che la
gestione fascista aveva ampiamente determinato contribuendo ad allargare ulteriormente la
frattura fra regime e popolazione ».55
Questa, ed altri progetti fascisti volti all’omologazione di questi territori con il resto della
penisola fecero crescere nei valligiani la sensazione di essere « stranieri in patria »56 e
numerose testimonianze descrivono questo stato d’animo.57 Inoltre, soprattutto nella
Valcanale, molto più povera delle fertili valli sudtirolesi, vi era il problema del lavoro e
l’impossibilità per i giovani di trovare un impiego statale. Una relazione non firmata, ma
probabilmente stilata da qualche funzionario fascista locale, datata settembre 1939, descrive,
in sintesi, le problematiche del dopoguerra:
I vecchi rimpiangono – com’è nella natura umana – i tempi passati; ai giovani
rimangono chiuse tutte le porte dell’Amministrazione dello stato. […] Si crea il
detto “Agli allogeni una sola possibilità è offerta: fare il sagrestano”. E le porte
rimangono chiuse anche a coloro che tornano dall’Africa dopo aver
volontariamente combattuto per la conquista dell’Impero.58
E ancora:
Fu loro vietato di partecipare alla vita e agli organismi statali come impiegati ed
operai e troppo spesso quanti di essi riuscirono a raggiungere un impiego furono
53
DOMENIG R, op, cit, p. 27.
SALVEMINI G, op, cit, pp. 707-708.
55
SCROCCARO M, op, cit, p. 76
56
MAGRI L, op, cit, p. 5.
57
MARIO GARIUP, curato di Ugovizza e impegnato da anni nella ricerca storica sulle opzioni, cita nella sua
opera Le opzioni per il 3°Reich. Valcanale 1939 varie testimonianze firmate e conservate nel suo archivio: «
Roma non ritorna con i suoi figli migliori: l’immediato dopoguerra vede alternarsi nel Tarvisiano italiani di ogni
risma che della scorrettezza […] offrono agli abitanti della Valcanale uno sconfortante spettacolo.[…] Dopo
qualche anno il Fascismo fa sentire i primi risultati di un risanamento e di una moralizzazione […] Ma è già tardi
e la penetrazione italiana incontra ormai diffidenza e ostilità da parte dell’elemento allogeno », p. 26.
58
Ibid, op, cit, p. 26-27.
54
33
trasferiti […]. Furono trattati da cittadini sospetti e naturalmente divennero
sospettosi.59
Altre problematiche economiche, che spesso comportarono tensioni sociali, riguardavano gli
espropri e gli acquisti fatti dagli enti:
Qui si contestano i diritti di legname e di pascolo conservati attraverso i secoli
[…] qui si espropriano i pochi fazzoletti di terra coltivabile per costruire caserme
[…] e nella vicina Germania sorgono […] ricoveri per il bestiame in alta
montagna. Qui non si trovano finanziatori per dare una indispensabile
attrezzatura alberghiera ad una delle più belle ed accessibili zone delle Alpi, e al
di là del confine si richiamano i turisti e sciatori anche dalla lontana Trieste con
facilitazioni di soggiorno e servizi automobilistici speciali.60
In questo contesto di endemica carenza di sbocchi occupazionali, e di conseguenti tensioni
sociali e intolleranza verso il potere costituito, il regime non seppe dare risposte concrete, se
non di facciata: « in fondo, i fascisti non si curavano se i tedeschi diventassero italiani o no.
Bastava che apparissero italiani »61.
L’obiettivo di completa italianizzazione non venne dunque centrato, se non in maniera del
tutto superficiale, non solo a causa dell’impenetrabilità di una certa cultura estremamente
radicata, ma anche, e soprattutto, a causa di questioni economiche che, come nella maggior
parte dei casi, determinarono conseguenze importanti dal punto di vista sociale.
2.2.
L’avvicinamento alla politica nazista e alla radicale soluzione delle Opzioni
Mentre in Italia Mussolini consolidava il suo potere, oltralpe, a partire dagli anni ’20, altre
forze totalitarie si avviavano a prendere il sopravvento nella vita politica. Adolf Hitler, in
Germania, aveva fondato nel 1919 il Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori, nelle parole di
Ennio di Nolfo: « un coacervo di risentimenti e una miscela di motivi populistici,
nazionalistici e autoritari ».62
Rimasto nell’ombra durante gli anni’ 20, con il tempo la sua struttura si era irrobustita e aveva
accresciuto i suoi consensi facendo leva su sentimenti revanscisti e soprattutto antisemiti.
59
Ibid, op, cit, p. 30.
GARIUP M, La Valcanale fra le due guerre mondiali, Cividale, Soc. Coop. Dom, 1993, p. 37.
61
SALVEMINI G, Preludio alla seconda guerra mondiale, Milano, Feltrinelli, 1967, p. 710.
62
DI NOLFO E, Storia delle relazioni internazionali, Milano, Laterza, 2008, p. 97.
60
34
Fra le varie agghiacciati idee elaborate dal futuro Führer, un concetto fondamentale
dell’ideologia nazista, esposto fin dalla prima pagina del Mein Kampf, era l’unione di tutti i
tedeschi d’Europa sotto un’unica bandiera e la ricostituzione del grande Reich, in una
dispotica Europa "purificata" dagli elementi nocivi alla "razza ariana", la quale avrebbe
dovuto essere la nuova luce della civiltà.
Quando, nel 1933, Hitler arrivò a dominare la scena politica tedesca e a diventare cancelliere,
una delle prime mosse della neonata dittatura fu quella di adoperarsi per il riarmo della
nazione e indirizzare la politica estera verso azioni offensive, a cominciare dall’uscita dalla
Società delle Nazioni dell’ottobre del 1933 e dall’occupazione della Renania nel 1935. In
questo contesto, uno fra i più importanti e immediati obiettivi che Hitler si era posto, e che
propagandava già dagli anni ’20, era quello di ricongiungere i territori dell’Austria al Reich e,
nonostante i pareri contrari di tutte le nazioni europee, Italia compresa e per di più schierata in
prima linea contro questo progetto,63 si servì di ogni mezzo per riuscirci.
In quel periodo, proprio a causa del timore di avere la Grande Germania a diretto contatto con
l’Italia, le relazioni diplomatiche fra Italia e Germania si mantennero fredde. Col tempo, però,
i rapporti fra i due Paesi, soprattutto dopo la conquista italiana dell’Etiopia e la questione
delle sanzioni, risolta solo grazie al supporto logistico tedesco, si trovarono a convergere
sempre di più e si incontrarono definitivamente dopo la guerra civile spagnola, quando
sfumarono del tutto le possibilità di un riavvicinamento italiano alla politica delle democrazie
europee.
I comuni obiettivi politici e ideologici portarono i due regimi alla stipulazione dell’Asse
Roma-Berlino nel 1936 e crebbe fra le popolazioni tedesche residenti in Italia l’idea, già
vagheggiata ma priva di fondamento, che la Germania avrebbe rivendicato a sé i territori
dell’Alto Adige e di conseguenza anche della Valcanale.
Bisogna sottolineare che, in questa situazione, soprattutto per le nuove generazioni degli
allogeni, prive di legami ideologici e culturali con l’impero austroungarico e vessate da una
politica anti-tedesca che non accennava a scendere a compromessi, il nazionalsocialismo
restava l’unica speranza di cambiamento e di affermazione sul piano nazionale. Diventava
così sempre più difficile resistere al richiamo del Reich, fra l’altro presentato magistralmente
da una macchina propagandistica sempre più viva e radicata fra le comunità tedesche ancora
separate dalla Germania di Hitler.
63
Cfr: BERNASCONI A, MURAN G, Il testimone di cemento, Udine, Ed. LNB, 2009, p. 14.
35
Nel 1937, la diplomazia italiana si disinteressò progressivamente delle faccende danubiane,
preferendo concentrarsi sulle questioni mediterranee, consapevole che le sorti dell’Austria,
già da tre anni priva di personalità in grado di contrastare il radicamento delle idee
nazionalsocialiste, erano ormai segnate e si poteva solo cercare di ritardare il più possibile
l’annessione.64 Dopo anni di tentennamenti e alti e bassi diplomatici fra le due dittature, il 14
marzo 1938, tre giorni dopo l’occupazione tedesca dell’Austria, Hitler annunciò l’Anschluß,
ovvero la ricongiunzione della sua patria d’origine con il grande Reich germanico. L’evento
fu salutato festosamente da tutte quelle componenti politiche naziste che ormai anche in
Austria avevano assunto un peso preponderante.
Sia a Tarvisio, sia in Alto Adige, ormai « non più semplici zone abitate da tedeschi ai confini
con il Tirolo e la Carinzia, ma terre tedesche confinanti con la grande Germania »65, la notizia
provocò notevole agitazione:
L’Anschluß contagiò anche la popolazione allogena della Valcanale e fece
esplodere una grande propaganda, pubblica, privata, onesta e disonesta contro
l’Italia. La popolazione valcanalese palesò violentemente il desiderio di tornare
all’Austria da cui era stata strappata.66
In realtà fu chiaro fin dall’inizio che l’appoggio italiano all’Anschluß venne dato solo in
cambio del riconoscimento dell’intangibilità delle frontiere, rassicurazione che Hitler
provvide a far pervenire in più occasioni, sia subito prima dell’Anschluß in una lettera
indirizzata allo stesso Mussolini in cui enunciava: « Quali possano essere le conseguenze dei
prossimi avvenimenti, così come ho fissato frontiere definitive fra la Francia e la Germania,
così ne fisso, ora, una non meno definitiva fra l’Italia e noi: è il Brennero.[…] »,67 sia subito
dopo, quando il 7 maggio, a palazzo Venezia, così egli aveva brindato con Mussolini: « È mia
incrollabile volontà, ed è anche il mio testamento politico al popolo tedesco che consideri
intangibile per sempre la frontiera delle Alpi ».68 Addirittura nel Mein Kampf, scritto molti
anni prima dell’Anschluß, si legge: « penso che se un domani si dovrà scendere in lotta,
diventerebbe criminale versare il sangue per 200.000 tedeschi, quando 7 milioni di tedeschi
sono sotto il potere straniero ».69
Sugli eventi diplomatici che sancirono la definitiva annessione dell’Austria alla Germania nazista si rimanda a:
BERNASCONI A, MURAN G, op, cit, pp. 29-36.
65
SCROCCARO M, op, cit, p. 118.
66
Archivio Parrocchiale di Ugovizza (APU), citato in: GARIUP M, op, cit, p. 24.
67
BERNASCONI A. MURAN G, op, cit, pp. 33-35.
68
SCROCCARO M, op, cit, p. 122.
69
Ibid, p. 122.
64
36
Nonostante le dichiarazioni ufficiali di Hitler la speranza di redenzione delle minoranze non
dava segni di cedimento e la situazione peggiorò sia dopo la visita di Hitler a Roma nel
maggio del 1938, la quale si concluse con un nulla di fatto mentre Mussolini sperava in una
ratifica ufficiale del confine settentrionale, sia con la crisi dei Sudeti, nel settembre dello
stesso anno. Parallelamente, la macchina propagandistica tedesca e il notevole flusso turistico
tedesco sulle Dolomiti e sulle Giulie, con conseguenti manifestazioni pro-naziste, contribuiva
a far crescere fra i valligiani la speranza che l’Italia avrebbe preso posizioni definitive sulla
questione degli allogeni, problema che ormai non era più di tipo etnico all’interno dello stato
ma politico fra due dittature.
Di questa faccenda, comunque, si era già parlato in altre occasioni, ma sempre in via
informale. Il già citato Scroccaro, nella sua opera sulla questione delle opzioni, da conto delle
occasioni in cui si affrontò il problema in riferimento alle nuove provincie.70
Ettore Tolomei fin dal 1918 aveva ventilato nel suo "Archivio per l’Alto Adige" l’ipotesi di un
esodo organizzato e lo stesso Hitler, nel 1932, ricevendo una delegazione di sudtirolesi, li
aveva invitati a non porsi come elemento di disturbo all’interno del regime fascista in quanto
l’Italia avrebbe potuto risolvere la questione espropriando i terreni delle valli e trasferendo i
cittadini. Nel 1937 fu la volta di Göring che sostenne il trasferimento come unico sistema per
mantenere il carattere nazionale, ma anche in questo caso si trattò di ipotesi astratte. Per parte
sua, invece, per molto tempo il governo fascista aveva cercato di risolvere il problema
dall’interno, favorendo l’afflusso di italiani e modificando la cultura locale.
Però, a ridosso dell’Anschluß, il problema, come abbiamo visto, si fece impellente e poco
dopo l’evento, il 3 aprile 1938, intervenne il ministro degli esteri Ciano che, preoccupato per
la situazione in Sud-Tirolo e in Val Canale, puntò il dito contro la propaganda nazista e
consegnò al suo diario la famosa frase: « Converrà far cenno ai tedeschi circa l’opportunità di
riassorbirsi i loro uomini, l’Alto Adige è terra geograficamente italiana e poiché non si può
cambiar posto ai monti e corso ai fiumi, bisogna che si spostino gli uomini ».71 In seguito, il
23 aprile, in un incontro fra Göring e il consigliere d’ambasciata a Berlino Massimo
Magistrati, si parlò per la prima volta di opzioni. Magistrati riporta il colloquio con il generale
tedesco, il quale dichiarò: « Occorrerebbe, ad un certo momento, porre gli Alto Atesini
davanti ad un aut-aut: o avviarsi verso la Germania, vedendo naturalmente equamente
liquidati tutti i loro averi oggi esistenti in Alto Adige, o rinunciare, e per sempre, ad essere
70
71
Ibid, p. 141-142.
CIANO G, Diario 1937-1943 a cura di RENZO DE FELICE, Milano, 1980 p. 120-121.
37
considerati tedeschi. […] il problema si assorbirebbe alla base ».72 Anche in questo caso,
tuttavia, si trattò solo di ipotesi e, con l’incontro del 7 maggio fra Hitler e Mussolini, la
faccenda venne accantonata.
Il problema riemerse più urgente che mai nel gennaio del 1939, dopo l’adesione dell’Italia al
“Patto Anti-Comintern” e, soprattutto, con la firma ufficiale, il 22 maggio dello stesso anno,
del “Patto d’Acciaio”, con il quale l’Italia si legò permanentemente, con accordi sia offensivi
che difensivi, alle sorti della Germania nazista, vincolando di fatto il suo destino a quello del
Führer. Nel patto neanche una parola, tranne un piccolo e poco significativo preambolo, venne
spesa da parte tedesca per risolvere la questione degli allogeni, sebbene già da gennaio sia
Ciano, sia Bernardo Attolico, ambasciatore italiano a Berlino, si fossero impegnati perché il
governo tedesco chiudesse definitivamente la questione con un atto ufficiale.
A fine marzo le idee e i tempi stavano maturando nella direzione di quelli che diventeranno
gli accordi per le opzioni. Dopo una serie di incontri sempre più fitti fra Ciano e Von
Ribbentrop, ministro degli esteri tedesco, nonché tra i vari funzionari delle due delegazioni
diplomatiche, il 27 maggio Attolico fece il punto della situazione, precisando le proposte
delineate in via di approvazione, ossia: « la creazione di una commissione mista italo-tedesca
per il rimpatrio dei cittadini germanici e l’opportunità in parallelo di far rientrare, specie dal
Tirolo, i cittadini italiani, 1.300 circa, […] la creazione, almeno in via provvisoria di un
consolato tedesco a Bolzano, per facilitare le operazioni […] »73
Il 15 giugno Himmler in persona dichiarava di aver ricevuto personalmente dal Führer
l’incarico di « studiare la questione altoatesina e tradurre in realtà la possibile soluzione
dell’opzione ».74
Il cerchio oramai era chiuso: la partita era passata di mano dal ministero degli esteri alle SS,
ed era pronta a entrare nella fase operativa, guidata dagli uomini di fiducia del Führer,
incondizionati esecutori delle sue volontà.
A questo punto è bene citare quanto scrive Lara Magri, che centra perfettamente il punto del
nostro lavoro, sulla soluzione raggiunta:
Fu così che il 23 giugno 1939, nella sede della Gestapo di Berlino, dodici
funzionari tedeschi e cinque delegati italiani iniziarono le trattative che portarono
alla sottoscrizione, il 21 ottobre 1939, delle tre convenzioni per il trasferimento
delle popolazioni di origine tedesca residenti nei territori italiani, firmate dal
Console generale di Germania a Milano, Otto Bene, e dal prefetto di Bolzano,
MAGISTRATI M, L’Italia a Berlino (1937-1939), Milano, Mondadori, 1956, p. 165.
SCROCCARO M, op, cit, p. 147.
74
MAGISTRATI M, op, cit, p. 360-362.
72
73
38
Giuseppe Mastromattei. Di queste tre solo la prima, “Norme per il rimpatrio dei
tedeschi di nascita dall’Alto Adige nel Reich”, fu resa pubblica.75
Sulla Gazzetta Ufficiale uscì il 2 settembre una legge sulla perdita della cittadinanza da parte
degli allogeni, mentre le norme per il rimpatrio sono reperibili nei documenti diplomatici
italiani ed è interessante citarne i passi più importanti, i quali rappresentano le direttive con le
quali la macchina iniziò poi, lentamente, a muoversi:
1. Le disposizioni seguenti si applicano ai cittadini germanici e agli allogeni
tedeschi residenti nei territori indicati al paragrafo 2.
2. I territori previsti in queste norme (Territori dell’Accordo) sono:
la provincia di Bolzano;
la zona mistilingue di Egna (provincia di Trento)
la zona mistilingue di Cortina d’Ampezzo (provincia di Belluno)
la zona mistilingue di Tarvisio (provincia di Udine)
3. Il rimpatrio per i cittadini germanici è obbligatorio
4. L’emigrazione degli allogeni tedeschi è volontaria
5. Il rimpatrio e l’emigrazione devono effettuarsi per mezzo delle "Amtliche
Deutsche Ein-und Rückwanderstellen" (A. D. E. u. R. St.) (Uffici germanici
per l’immigrazione e il rimpatrio) istituiti a Bolzano, Merano, Bressanone,
Brunico, Vipiteno e da istituirsi eventualmente altrove. A Bolzano ha sede
l’Ufficio principale dell’ ADEuRSt […]
6. Per i cittadini germanici la scelta della residenza nel Reich è libera. Per
gli allogeni […] possibilmente unitaria.
7. Il rimpatrio dei cittadini germanici si effettuerà entro tre mesi […]
8. L’emigrazione degli allogeni tedeschi […] dovrà effettuarsi entro il
termine massimo del 31 dicembre 1942. Tutti gli allogeni tedeschi
originari dei Territori dell’Accordo dovranno entro il 31 dicembre 1939
presentare al Comune di origine una dichiarazione con la quale
liberamente e spontaneamente s’impegnano – in forma assolutamente
definitiva – o a voler conservare la cittadinanza italiana o a voler
acquistare la cittadinanza germanica e a trasferirsi nel Reich. La mancata
presentazione della dichiarazione […] varrà come definitiva espressione
della loro volontà a conservare la cittadinanza italiana.76
Con queste disposizioni si arriva dunque a una soluzione della questione degli allogeni. I
cittadini coinvolti nell’accordo avrebbero dovuto presentare in Comune un modulo compilato
dal capofamiglia: arancione se si voleva cambiare cittadinanza o bianco se si voleva rimanere
italiani. Coloro i quali avrebbero deciso di restare cittadini italiani entro il 31 dicembre 1939,
75
MAGRI L, op, cit, pp. 14-15.
ITALIA, MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, I documenti diplomatici italiani, nona serie (1939-1943)
Vol. II, Roma, Tipografia dello Stato, p. 601.
76
39
termine poi prorogato al 30 giugno 1940, sarebbero stati trattati allo stesso modo degli altri
sudditi del regno; era sottinteso però che avrebbero dovuto assoggettarsi alle regole del
governo fascista. Infine, un altro punto fondamentale dell’accordo era « la liquidazione dei
beni immobili degli optanti attraverso l’istituzione di apposite commissioni ».77
Come abbiamo visto, inoltre, l’intero processo di trasferimento era da compiersi entro il 31
dicembre 1942. La gestione dell’operazione fu affidata al Reichskommissar für die Festigung
deutschen Volkstum (RKFdV), apparato delle SS comandato dal Gruppenführer Ulrich
Greifelt, alle dirette dipendenze di Himmler. Il suo braccio operativo furono gli uffici
dell’ADEuRSt (Amtliche Deutsch für ein-und rückwanderstelle ovvero l’ufficio per il
rimpatrio degli optanti), con sede a Bolzano e in vari altri distretti.
Tutto era pronto per la fase operativa.
2.3.
Lo svolgimento delle opzioni in Valcanale
Nelle prime fasi dell’elaborazione delle norme la Valcanale, sia a causa del basso numero di
abitanti, sia a causa del suo carattere multietnico, specie per la presenza slovena, venne
lasciata in disparte, ma in seguito la legge fu estesa anche ad essa.
L’organizzazione delle opzioni da parte italiana fu affidata a Riccardo de Beden, funzionario
della Prefettura di Udine, alle dirette dipendenze della Prefettura di Bolzano.
L’ufficio tedesco predisposto alla gestione delle operazioni fu invece istituito il 1°dicembre
1939 a Tarvisio, viste le ovvie difficoltà per gli allogeni di recarsi a Bolzano o a Merano. A
dirigere opzioni e trasferimenti fu chiamato il dottor Karl Starzacher, nipote dello storico
Martin Wutte già citato precedentemente.
Starzacher, aprì i lavori dell’ADEuRSt di Tarvisio il giorno seguente e per prima cosa si trovò
ad affrontare il problema di definire chi fosse da considerare di pura razza tedesca, e quindi
idoneo all’opzione, e chi invece no.
Da parte tedesca i pareri furono divergenti: Starzacher dichiarò subito la sua disponibilità a far
trasferire tutti coloro che lo avessero richiesto, mentre Alois Maier-Kaibitsch, l’incaricato
della Volksdeutsche Mittelstelle, ovvero l’ufficio predisposto alla gestione dell’inserimento dei
valcanalesi in Carinzia, all’inizio si dichiarò perplesso:
77
MAGRI L, op, cit, p. 15.
40
Secondo la mia stima, oggi in Valcanale vivono 5500 tedeschi, ossia il 65%
dell’intera popolazione. Inoltre ci sono da 20 al 25% di sloveni e i restanti sono
cittadini del Regno italico. […]. Il rimpatrio dei valcanalesi si complica in quanto
anche gli sloveni valcanalesi […] vogliono quasi tutti trasferirsi in Carinzia.
Questi valcanalesi di lingua windisch vivono nelle località di Ugovizza,
Camporosso e San Leopoldo e nel complesso raggiungono al massimo il numero
di 1500 unità. Oggi dichiarano di essere tedeschi pur parlando il dialetto sloveno
[…]. Che fare quindi di questi valcanalesi di lingua "windisch"? Se li facciamo
insediare in Carinzia, andranno ad aumentare il numero della popolazione di
lingua slovena […]. Sono fermamente convinto che sia da privilegiare solamente
un’affluenza di concittadini tedeschi[…].78
Successivamente, analizzando più approfonditamente la questione, Maier-Kaibitsch si
convinse che gli sloveni della Valcanale potessero usufruire del diritto di opzione perché
assimilabili ai windisch carinziani che combatterono nel 1919 per l’indipendenza della
Carinzia dalla Jugoslavia e perché di cultura e commerci tradizionalmente rivolti alla
Carinzia:
In Valcanale vivono […] circa 1500 persone che si servono del dialetto sloveno
[…]. Per questi vendi-valcanalesi valgono le stesse identiche cose come valgono
per il gruppo dei vendi-carinziani che, com’è noto, nell’anno 1919, armi in mano,
combatterono contro gli slavi del sud […]questi carinziani vendi sono per noi dei
connazionali a pieno titolo […]. Anche le persone bilingui che abitano nella
Valcanale si riconoscono quasi tutte appartenenti al popolo tedesco.79
I pareri furono discordanti anche perché i funzionari italiani e i loro omologhi tedeschi
assunsero posizioni contrastanti. Se da un lato i funzionari tedeschi consegnarono
indistintamente i moduli a tutti, dall’altro i dipendenti comunali e i Podestà si rifiutarono di
consegnarli a chi venisse classificato come windisch, creando così non pochi attriti fra gli
abitanti dei paesi.
Il comportamento dei funzionari italiani deve essere visto alla luce del risultato plebiscitario
delle opzioni che si stava prospettando, e che Starzacher aveva già previsto da ottobre: «
Martedì 3 ottobre, […] mi sono recato a Tarvisio. Al nostro arrivo alle ore 12 siamo andati
direttamente a casa del camerata Rach […]. Il camerata Rach80 e gli altri sopracitati compagni
della Valcanale sono convinti che il 95% dei cittadini vorrà certamente trasferirisi […] ».81
78
Deutsches Bundesarchiv Berlin, (BArch), R.49/Anhang VIII/1, RKFdV, citato in: MAGRI L, op, cit, p. 7.
BArch, R.49 Anhang VIII/1, RKFdV, citato in: MAGRI L, op, cit, p. 24.
80
Erich Rach fu uno dei maggiori collaboratori di Starzacher. Iscritto al NSDAP, fu uno dei più accesi
propagandisti per le opzioni.
81
BArch, R.49/Nr. 2143, RKFdV, citato in: MAGRI L, op, cit, p. 18.
79
41
Un così clamoroso “successo” sarebbe stato uno schiaffo morale e una dimostrazione del
fallimento della politica fascista di rinazionalizzazione, ed era solo per questo motivo che le
autorità italiane cercavano di ostacolare quello che si stava delineando come un esodo biblico
sia in Valcanale, sia in Alto Adige. In questo contesto il consigliere De Beden così si
lamentava con il prefetto di Udine:
Al comune di Malborghetto sono pervenute, su una popolazione globale di 1597
abitanti, n. 633 dichiarazioni di opzione […] di cui n. 423 da parte di allogeni
non di origine tedesca. […] Nel comune di Malborghetto ricorrono lapidi
sepolcrali in lingua slava […] nelle famiglie si parla tutt’ora lo slavo e […] le
prediche si tengono in lingua slava. […] Che poi gli abitanti di Ugovizza abbiano
avuto sempre un profondo sentimento nazionale slavo lo comprova una fatto
verificatosi nel dopoguerra: quel consiglio comunale venne sciolto […] perché i
consiglieri si rifiutarono di firmare un verbale di seduta redatto in italiano,
dichiarando di essere slavi […].82
Karl Starzacher, nella sua prima relazione inviata alla sede centrale di Bolzano, così
commentò la faccenda:
Quando, sabato 2 dicembre 1939, sono giunto nella sede di Tarvisio per iniziare il
lavoro, sono stato subito sommerso da una serie di lamentele, dalle quali ho
dedotto che venivano fatte mille difficoltà agli optanti, a motivo della loro
appartenenza all’etnia slava. […] Ho capito fin dall’inizio che la definizione di
chi fosse o non fosse sloveno dipendeva fortemente dagli interessi economici di
alcune e poche personalità della valle. […] il rappresentante principale della
teoria degli slavi nella Valcanale è il Sindaco di Malborghetto ing. Rimediotti […]
L’ing. Rimediotti ha però, per esempio, un credito per oltre 100.000 lire con gli
abitanti di Ugovizza […] è fin troppo chiaro il motivo per cui lui ora sia così
entusiasta per aver trovato un modo, grazie alla teoria slava, per non far andare
via i concittadini di Ugovizza. […]
La Valcanale da molti secoli è puramente terra di cultura tedesca. […]. Da
quando la Valcanale fa parte dell’Italia, la totalità dei suoi abitanti si è sentita
ancora più fortemente tedesca ed è da tedeschi che sono stati trattati dagli
italiani. Quando sopravvenne la storia delle opzioni […] gli italiani hanno
considerato come tedeschi la totalità della popolazione. Da quando è saltata fuori
questa “faccenda degli slavi”, improvvisamente tutti sono diventati sloveni. […]
Il comportamento degli italiani non è conforme alle linee guida. […].Non
dobbiamo cedere alla mossa dei “pezzi grossi” italiani, con la loro
interpretazione a proposito degli slavi della Valcanale.83
Si deduce, da questo tipo di documenti, che, mentre gli italiani cercavano di impedire le
partenze, i tedeschi, invece, pressavano per convincere il maggior numero di allogeni ad
82
Archivio famiglia De Antoni, citato in: MAGRI L, op, cit, p. 25.
BArch, R. 49/2611, RKFdV, citato in: le opzioni in Valcanale nel 1939, a cura di MAGRI L, MEPV,
Malborghetto, 2012, p. 17.
83
42
optare. Questa condotta da parte germanica dev’essere contestualizzata nel fosco quadro
geopolitico che si era creato alla fine del 1939.
Con l’invasione della Polonia il 1° settembre, la Germania aveva scatenato la Seconda Guerra
Mondiale ed era nel suo interesse poter arruolare il maggior numero di uomini possibile; era
quindi naturale che cercasse di convincere non solo tutti i cittadini germanici a lavorare per la
vittoria ma anche gli allogeni a trasferirsi, in modo da guadagnare nuove braccia per le
industrie del Reich e uomini da assoldare nella Wermacht.
I funzionari nazisti non esitarono a ricorrere alle più esplicite e fantasiose forme di
propaganda, peraltro negate dagli addetti ai lavori,84 per convincere gli allogeni ad optare.
Innanzi tutto la Germania venne presentata come la diretta erede dello stato asburgico: uno
stato ricco e pieno di possibilità di lavoro. Si coniò il detto Heim ins Reich! Ovvero: ritorno a
casa nel Reich, una sorta di terra promessa dopo tutte le tribolazioni avute sotto il governo
fascista. Poi si diffuse la voce che un plebiscito avrebbe spinto Hitler ad interessarsi
nuovamente della questione del confine e si sarebbe ripreso le terre dell’Alto Adige e della
Valcanale. Ma soprattutto agì la paura di essere trasferiti al sud, in Sicilia o in Calabria. Si
fece strada, infatti, l’idea che chi non avesse optato sarebbe stato confinato. Quest’ultima
“leggenda”, diffusa dai funzionari nazisti che si muovevano fra Villach e la Valcanale per
convincere la gente a trasferirsi, condizionò grandemente la popolazione, mentre al governo
italiano mancò rapidità di reazione, di modo che la sconfessione di tali propositi arrivò solo
molto più tardi.
Le opposizioni alla propaganda furono scarse e deboli; solo il Podestà Rimediotti di
Malborghetto e il parroco di Camporosso Premrl cercarono di persuadere i valcanalesi a non
trasferirsi. In particolare quest’ultimo, disubbidendo alle linee guida date dal vescovo di
Udine, dichiarò pubblicamente che si sarebbe fatto tagliare la testa se anche ad un solo
camporossiano fosse stato concesso di partire.85 In seguito, a causa dei suoi interventi, Don
Premrl venne internato a Dachau e fortunatamente ritornò in Patria molto tempo dopo. 86
Sempre nel tentativo di salvaguardare gli interessi dei valcanalesi, l’Ing. Rimediotti scrisse nel
novembre 1939 al prefetto di Udine:
Così risponde l’ADEuRSt al consigliere Bene che aveva chiesto chiarimenti su questo comportamento: « Il
giorno 8 dicemre 1939 il sig. Prefetto ha fatto visita alla sede staccata di Tarvisio ed ha dichiarato […] che sotto
la direzione di Rach […] era stata condotta una sistematica propaganda […] secondo la quale tutti quelli che non
avessero optato per la Germania sarebbero stati trasferiti in meridione o in Sicilia. Il dottor Starzacher, però,
ribatté dicendo che non era a conoscenza di alcuna propaganda e che fin dal giorno del suo arrivo a Tarvisio, il
2.12.39, aveva dato ai suoi collaboratori severe disposizioni di astenersi da ogni tipo di discussione […] ».
BArch, R49/Nr.2189, RKFdV, citato in MAGRI L, op, cit, p. 35.
85
BArch, R49/Nr. 2189, RKFdV, citato in MAGRI L, op, cit, p. 38.
86
GARIUP M, op, cit, pp. 87-93.
84
43
Secondo quanto ho potuto stabilire in base a dichiarazioni avute dai diretti
interessati mi risulta: che viene svolta una attiva propaganda che mira
all’emigrazione totalitaria. Che agli allogeni, che ancora non hanno preso una
decisione, viene insinuato il timore che la Valcanale potrà ritornare alla
Germania. […] Viene lamentato da parte di parecchi allogeni […] la mancanza di
chiarimenti da parte delle autorità italiane.
È con animo addolorato ch’io debbo riferire a V.E. la mia netta convinzione di
una situazione non grave, ma preoccupante, anche per gli sviluppi che potrà
assumere man mano che si avvicinerà il termine utile per l’opzione.87
Il temutissimo trasferimento al sud compare in quasi tutte le interviste raccolte dall’”Archivio
della Memoria” del Palazzo Veneziano: Grillz Giovanni, classe 1926 di San Leopoldo
racconta, per esempio:
[…] il 95% ha optato. Perché gli altri, qui, dicevano che se non si optava per la
Germania ci mandavano giù, di là, Sardegna e chissà dove. Ci mandavano via di
qui e allora la gente è sparita.88
Mentre Moritsch Herbert del 1923 di Coccau riporta:
Hanno fatto dei biglietti i germanici: “guardate, gente, e se restate lì andrete in
Sicilia o Napoli”. E per quel motivo tanti hanno optato anche, per la Germania.
Questo mi ricordo molto bene. Hanno optato 5.700 persone […].89
Nonostante si trattasse di una scelta estremamente difficile e sofferta e si dovesse prendere
una decisione importantissima da cui dipendeva la vita di migliaia di persone nel tempo
assurdamente breve di poco più di due mesi, allo scadere del termine ultimo per le opzioni i
dati mostravano, come era già stato ampiamente previsto, un enorme successo per la
Germania nazista e una disfatta terribile per la politica italiana. Nella sola Valcanale,
seguendo i dati riportati dal ministero degli interni, si arrivò a 4.897 persone su circa 6.000
optanti della valle, pari a circa l’81% di votanti per la Germania, e di poco si discostarono i
dati in Alto Adige, dove fra l’80 e l’87% di votanti decisero di trasferirsi.90
Lettera firmata dell’Archivio Emilio Riimediotti, Archivio Mario Gariup, citato in GARIUP M, op, cit, pp. 5253.
88
Intervista a GIOVANNI GRILLZ, classe 1926 di San Leopoldo, raccolta nel 2009 da MAGRI L, ”Archivio
della Memoria” Palazzo Veneziano (AdMPV).
89
Intervista a MORITSCH HERBERT, classe 1923 di Coccau, raccolta nel 2009 da MAGRI L, AdMPV.
90
SCROCCARO M, op, cit, p, 179. Secondo altri conteggi effettuati da parte tedesca si arriva addirittura al 90%
di valcanalesi optanti, ma è probabile che i dati nazisti siano stati approssimati per eccesso, cfr: SCROCCARO
M, op, cit, p. 177-178 e MAGRI L, op, cit, p. 53.
87
44
Il prefetto Mastromattei, convinto da principio che avrebbero optato solo fanatici e
nullatenenti,91 fu costretto dal clamoroso risultato alle dimissioni e fu sostituito da Agostino
Podestà.
Come abbiamo visto i motivi per cui si arrivò a questi eccezionali risultati devono essere
ricercati sia nell’antico substrato culturale e tradizionale che legava queste terre al mondo
tedesco sia nella prepotenza di una martellante propaganda che minacciava trasferimenti
coatti e inverosimili annessioni. Oltretutto « un territorio con una popolazione allogena
numericamente piuttosto ridotta non era in grado di esprimere dei capipopolo in grado di
orientare […] gli strati sociali più inclini al richiamo dell’istinto ».92
Ma al di là dei motivi ideologici va sottolineato che gli optanti decisero per lo più di emigrare
per motivi economici, convinti che il terzo Reich avrebbe loro garantito un futuro radioso.
Fanno riflettere anche i dati relativi alle partenze post-opzione: i primi a partire furono proprio
i nullatenenti e i contadini, sia perché non trattenuti da problemi relativi alla proprietà, sia
perché potevano essere i più facilmente manovrati dal punto di vista ideologico e i primi da
poter inviare al fronte con le divise della Wermacht. Le interviste contenute nell’”Archivio
della memoria” del Palazzo Veneziano di Malborghetto comprovano quanto riferito:
La maggior parte degli oriundi degli allogeni tedeschi hanno optato per la
Germania e specialmente i nullatenenti, perché non avevano problemi di
possedimenti e sono stati integrati, i ferrovieri nelle ferrovie tedesche, i minatori
nelle varie miniere che ci sono qui, perciò
non era difficile trovare
immediatamente l’occupazione, un’occupazione anche ben pagata […].93
E inoltre:
Per quelli che non avevano niente era uguale, non avevano niente da perdere,
solo da guadagnare, perché sono andati di là, han trovato un bel posto, anche
statale, che qua era impossibile trovare. Per la nostra gente… posti statali non
c’erano… miniera e bosco c’era, per loro!94
Fra la fine del 1939 e la tarda primavera del 1940 prevalse uno stato di euforia. Nella valle ci
si immaginava un luminoso futuro in terra tedesca, dopo vent’anni di angherie malcelate
all’interno dello Stato italiano. La generale eccitazione era mantenuta continuamente viva
91
Archivio Statale del Ministero degli Affari Esteri (ASMAE), rappresentanze diplomatiche, Berlino, 18971943, b. 169, f. 2, promemoria del prefetto Mastromattei all’ambasciatore Attolico: « Si vedrà allora come tutto
questo attaccamento alla Germania […] sia in definitiva molto più apparente che reale, e come essa invece sia
[…] amante del quieto vivere, […] e disposta a seguire quel regime che meglio le assicuri tranquillità e
benessere », citato in: SCROCCARO M, op, cit, p. 137.
92
DOMENIG R, Italiani al confine orientale, Udine, Aviani e aviani Ed, 2011, p. 49.
93
Intervista a TREU GIUSEPPE di Tarvisio, classe 1920, raccolta nel 2010 da MAGRI L, AdMPV.
94
Intervista a URBANO PUFITSCH di Camporosso, classe 1931, raccolta nel 2010 da MAGRI L, AdMPV.
45
anche grazie alle organizzazione naziste che provvidero a orchestrare grandi cerimonie per i
neo-cittadini del Reich, corsi di tedesco per i figli degli optanti che non avevano avuto la
possibilità di imparare la lingua a scuola e campi estivi per ragazzi nelle file
dell’Hitlerjugend.
In particolare i corsi di tedesco riscossero un grande successo fra gli allogeni che attendevano
di partire. Karl Starzacher redasse questo rapporto:
Tarvisio, 15 marzo 1940
Ieri, in presenza del dr. Fradella e dell’ispettore scolastico distrettuale, abbiamo
aperto il primo corso di lingua tedesca a Camporosso, […]. È stata una
celebrazione molto bella, della quale […] sono rimasti soddisfatti anche gli
italiani. […] ora potremo aprire anche tutti gli altri corsi di lingua senza ulteriori
difficoltà.95
Successivamente, il 15 luglio 1940 e il 26 agosto, Starzacher, in altri due verbali si dimostra
colpito dall’efficacia del progetto:
Tarvisio, 15 luglio 1940
I corsi di lingua tedesca sono iniziati anche a Tarvisio e da allora hanno riscosso
un ottimo successo. Entrambi gli insegnanti, […] hanno già conseguito degli
ottimi risultati.96
Tarvisio, 26 agosto 1940
I corsi di lingua tedesca, che nel territorio di competenza della nostra filiale, si
sono svolti nel corso di tutta l’estate, continuano con successo. Vengono
frequentati con entusiasmo invariato ed i progressi […] sono veramente
sorprendenti. […] Ora tutti i paesi sono serviti dai corsi di lingua tedesca.97
Nel frattempo, così come riporta un anonimo documento, la Carinzia si era preparata
all’accoglienza degli optanten. « Il 15.2.1940 dalla stazione ferroviaria di Tarvisio partì il
primo treno di 80 optanti. La seconda comitiva di 150 persone partì […] il 24.2.1940. Una
terza comitiva di 270 persone lasciò la Valcanale il 9.3.1940 »98 Le partenze si susseguirono
più o meno regolarmente per tutto il 1940 e il 1941, calarono progressivamente l’anno
successivo a causa delle incertezze della guerra, delle difficoltà di sistemazione e del
progressivo ripensamento di molti cittadini, restii ad abbandonare le loro proprietà
nell’insicurezza del futuro, e terminarono del tutto con l’8 settembre 1943. Alla data del 7
95
BArch, R.49, Nr 2143 RKFdV, citato in: MAGRI L, op, cit, pp. 93-94.
BArch, R.49, Nr 2174, RKFdV, citato in: MAGRI L, op, cit, p. 95.
97
BArch, R.49, Nr 2174 RKFdV, citato in: MAGRI L, op, cit, p. 95.
98
Archivio Parrocchiale di Tarvisio (APT), citato in: GARIUP M, op, cit, p. 158.
96
46
ottobre 1943 risultavano trasferiti in Carinzia circa quattromila valcanalesi su seimila abitanti
totali.99
A questo punto è interessante approfondire in che modo la stampa di regime riportò le notizie
dei trasferimenti. Poiché, di fatto, si trattò di un grande successo per la politica nazista, i
giornalisti dell’epoca non esitarono a servirsene per magnificare i trionfi del Führer e
l’importanza del “legame di sangue” rispetto al territorio. Per fare un paio di esempi citiamo
alcuni articoli apparsi fra il 1940 e il 1942 su vari periodici del Reich fra cui il Kärntner
Grenzruf e l’Heimatkreis:
Era già verso l’imbrunire, quando le grida di giubilo della gente hanno
annunciato l’arrivo dei rimpatriati. Erano appena scesi dall’automezzo all’inizio
del paese e stavano giungendo marciando per la strada in salita. Dapprima ha
risuonato una marcia di benvenuto […] Commossi, uomini e donne della
Valcanale stavano lì, ancora confusi ed anche stanchi per il lungo viaggio, ma i
loro occhi luccicanti di gioia testimoniavano la nuova forza d’animo che li
pervadeva. Spontaneamente, alla fine del canto, sono scoppiati in esclamazione
come “Sieg Heil” in favore del nostro Führer, che sembravano non voler mai
terminare.100
In un articolo del marzo 1940 si parla del discorso del vice-governante carinziano:
Nel suo discorso di benvenuto ai valcanalesi rimpatriati di sabato scorso, il vice
Gaulaiter Kutschera,[…] ha parlato del sacrificio compiuto dai valcanalesi nel
lasciare la loro terra […]. Ha citato poi la grande battaglia finale che il popolo
tedesco deve ora affrontare e che richiede l’impegno totale da parte di ciascuno.
[…]. Infine il vice-Gauleiter ha augurato a tutti i fratelli e le sorelle della
Valcanale e dal Sudtirolo un buon inizio della permanenza in patria e di poter
successivamente marciare mano nella mano con tutti gli altri connazionali in
onore della nostra Germania e di Adolf Hitler.101
Infine citiamo l’articolo di un’opinionista del mensile Heimatkreis:
Dopo i lunghi lavori preparatori finalmente è giunta l’ora: i primi trasporti di
rimpatriandi possono partire per la Carinzia […]. L’atmosfera durante questi
viaggi è sempre gioiosa e fiduciosa, poiché più grande del dolore, che è normale
che sorga in ogni persona al momento di lasciare la propria Patria, è la gioia per
aver meritato la potente Patria germanica. Non è il passato, bensì il presente ed il
futuro a regnare e da tutti gli occhi traspare la fiduciosa certezza che il futuro
sarà bello ed assicurato.102
99
BArch, R.49Anhang VIII Nr.2, RFKdV, citato in: MAGRI L, op, cit, p. 113.
250 Kanaltaler im Lavanttal eingetroffen, in: Kärntner Grenzruf, 11 marzo1940, AdMPV.
101
Der Obersturmbannführer Kutschera spricht auf Kanaltalern an, in: Kärntner Grenzruft, 27 marzo1940,
AdMPV.
102
POLLY H, Was denken die Kanaltalern? In: Heimatkreis, maggio 1940, AdMPV, citato in MAGRI L, op,
cit, p. 123-124.
100
47
Per sistemare tutti questi nuovi cittadini, in Carinzia venne predisposta la costruzione di interi
nuovi Siedlungen, ovvero nuovi alloggi. Si istituì una società immobiliare denominata Neue
Heimat, la quale ebbe il compito di costruire i nuovi appartamenti per i valcanalesi. Tuttavia,
a causa dell’elevato numero di famiglie sopraggiunte, non tutti riuscirono ad essere sistemati.
Per risolvere in maniera radicale la questione, Himmler ordinò di evacuare tempestivamente
le famiglie slovene stanziate nella zona mistilingue della Carinzia, in modo da “fare spazio” ai
valcanalesi.
Questa operazione, denominata Kärnten Aktion (K-Aktion) e volta a rendere operativo
l’ordine di Himmler Macht dieses Land Deutsch! (Rendete tedesco questo Paese), s’inseriva
nel contesto del trasferimento di persone non ritenute “autenticamente tedesche” e quindi
considerate pericolose dal punto di vista razziale e politico.
Alle 5 del mattino del 14 aprile 1942 le SS diedero, quindi, il via alla deportazione di 227
famiglie slovene e in poco più di un’ora intere proprietà vennero sequestrate senza indennizzi
dallo Stato nazista. Gli evacuati furono raccolti nel RAD (Reichsarbeitdienst, ovvero il
servizio di lavoro del Reich) in attesa di essere trasportati presso il lager di Schwarzenberg, in
Baviera.
Secondo Lara Magri: « nel complesso furono 917 le persone deportate nei campi […] tutti
coloro che avevano più di 15 anni […] vennero impiegati come operai nelle fabbriche e
nell’industria bellica ».103
Non tutti i valcanalesi decisero di prendere possesso delle proprietà confiscate proprio perché
si resero conto di quello che era appena successo. Alcuni, però, decisero di stabilirsi, e alla
fine della guerra, quando i legittimi proprietari tornarono a reclamare quelle che erano le loro
case, essi si ritrovarono senza proprietà, perché in Valcanale era già stato venduto tutto.
Una testimonianza particolarmente toccante su questo fatto è quella di Autz Kristine:
il cuore faceva male quando si arrivava lì e si vedeva come... i bambini piccoli,
sul tavolo c’era ancora la bottiglia/biberon del bambino, ancora da bere e la
ciotola della polenta....allora il padre ha detto “no...”; “Ma deve pur decidersi,
signor Fillafer, a prendere qualche cosa!”; E lui dice: “No, questo non lo
prendo”. Ed anche la signora Mandl di Coccau, con la quale era andato a vedere
qualche proprietà… Klagenfurt e circondario, non ha accettato niente, e lei poi è
andata in un appartamento ad Hermagor.104
Chi, invece, accettò la casa racconta:
103
104
MAGRI L, op, cit, p. 156.
Intervista a AUTZ KRISTINE di Coccau, classe 1922, raccolta nel 2010 da MAGRI L, AdMPV.
48
[…] dicevano che, chi aveva una casa, ne poteva ottenere una in Carinzia , da cui
erano stati cacciati gli sloveni. E così mia nonna è andata a cercare una casa
libera in giro per la Carinzia e dice, sì, giù a Ferlach, precisamente a Kleinach,
dove c’era una piccola casa di contadini con il soffitto ancora nero, perché vi
affumicavano la carne e naturalmente mio padre ha aggiustato tutto, ha fatto una
cucina normale, la stalla per i maiali e quant’altro.105
Episodi come quelli riportati dalle interviste, unite all’incerto andamento delle operazioni
belliche, contribuirono ad un cambiamento di mentalità negli optanti e a tentativi di ritardi
nelle partenze nell’attesa di uno stabilizzarsi della situazione.
Tuttavia, l’8 settembre 1943 l’intero Friuli e la Venezia Giulia vennero invasi e annessi
direttamente al Terzo Reich, inquadrati nella Zona di Operazioni dell’Alto Adriatico
(Operationszone
Adriatisches
Küstenland
o
OZAK).
L’intera
operazione
venne
immediatamente sospesa e si aprì una nuova fase nella storia delle Opzioni in Valcanale e in
Alto Adige. La sconfitta del terzo Reich nell’aprile 1945 aprì il problema della
regolarizzazione della cittadinanza non solo degli optanti già trasferiti che desideravano
ritornare nei loro posti d’origine, ma soprattutto di tutti gli optanti che ancora non avevano
traslocato e che si ritrovavano a vivere in Italia ma con una cittadinanza non più valida, qual
era quella nazista, e impossibilitati a guadagnare quella italiana se non tramite complicate
operazioni burocratiche.
L’11 luglio 1945 fu deciso da parte delle forze d’occupazione americane che « tutti coloro che
risultavano cittadini italiani alla data del 1° gennaio 1940 o dopo tale data, e residenti nella
provincia di Bolzano al 4 maggio 1945 non dovevano essere considerati cittadini germanici
».106 Per tutti i trasferiti si dovrà attendere il famoso "Patto De Gasperi-Gruber" del 5
settembre 1946 con il quale i ministri italiano e austriaco si impegnavano a risolvere il
problema degli optanti che ancora non avevano regolarizzato la loro posizione.
Il risultato delle discussioni fu il cosiddetto “decreto sulle opzioni” del 2 febbraio 1948, in
base al quale tutti gli optanti che non erano entrati in possesso della cittadinanza germanica e
non si erano trasferiti nel Reich avrebbero potuto ritirare l’opzione e rimanere cittadini
italiani. Per gli optanti che già avevano acquistato la cittadinanza germanica, anche se ancora
residenti in Italia, era prevista la possibilità di ritirare l’opzione e di riottenere la cittadinanza
italiana.107
105
Intervista a PAIER ANNA di Cave del Predil, classe 1920, raccolta nel 2010 da MAGRI L, AdMPV.
SCROCCARO M, op, cit, pp. 242-243.
107
ITALIA, GAZZETTA UFFICIALE (G.U.), 5 febbraio 1948, n.29, Roma, Tipografia dello Stato.
106
49
Gli optanti sudtirolesi ebbero tempo fino al 1949 per decidere se rioptare e alla fine, spinti
dalla stampa e dall’opinione pubblica decisero in massa di ritornare nelle loro case e di nuovo
si aprirono problemi di accettazione e di lavoro.
La Valcanale, sempre periferica rispetto ai grandi numeri dei sudtirolesi, a differenza dell’Alto
Adige, non riuscì a far valere i suoi diritti sull’applicazione del “Patto De Gasperi-Gruber”,
quindi i rioptanti furono molti di meno sia perché spesso la sistemazione trovata in Carinzia si
era rivelata soddisfacente, sia perché era stato molto più facile rimpiazzare coloro che se ne
erano andati, infatti la compravendita dei beni dei valcanalesi, libera dalle restrittive norme
del Patto, poté svolgersi con facilità. Ne approfittarono abitanti delle valli limitrofe, spinti
dalla ghiotta occasione di poter comprar casa a prezzi stracciati.
50
3.
CONSEGUENZE ECONOMICHE
E SOCIALI DELLE OPZIONI
I “nuovi arrivati”: la compravendita delle proprietà degli optanti
e il cambiamento culturale della valle
3.1
Il ruolo dell’Ente Nazionale per le Tre Venezie.
Per poter analizzare in che modo la compravendita delle proprietà degli optanti si risolse in
una massiccia immigrazione nella valle di elementi friulani dalle valli limitrofe e ivi attirati
dall’opportunità di ottenere immobili a prezzi estremamente convenienti, bisogna fare un
passo indietro e delineare, in sintesi, la storia dell’Ente Nazionale per le Tre Venezie, l’unico
ente pubblico che si occupò, da parte italiana, della gestione dei beni degli allogeni fino al
1972, anno in cui venne soppresso in quanto dichiarato ente obsoleto e quindi inutile.
Seguendo le sue vicende, dalla nascita al tempo dell’accordo per il rimpatrio, è possibile
precisare non solo il ruolo che esso ebbe nell’evento delle opzioni, ma anche in che modo
esso venne utilizzato dal governo fascista per tentare di italianizzare le terre di nuova
acquisizione.
La storia dell’Ente è anteriore al fascismo e inizia con la creazione, nel 1921, di un Istituto per
la Rinascita Agraria al quale venne attribuito il compito di rimettere in sesto le terre
danneggiate dalla prima guerra mondiale e di razionalizzare l’attività produttiva nelle
campagne venete tramite la gestione statali di terreni espropriati dietro indennizzo.
Va ricordato, parallelamente, che durante gli anni venti crebbe alquanto la pressione del
regime sulle minoranze e fra i circoli nazionalistici vicini ad Ettore Tolomei si radicò la teoria
della “conquista del suolo”, che i nazionalisti propagandavano a gran voce già dai tempi
dell’annessione, e secondo la quale l’italianizzazione delle terre di nuova acquisizione non
avrebbe mai potuto essere incisiva senza le acquisizioni dei terreni saldamente in mano a
braccianti allogeni.
Scroccaro, nella sua opera, riporta uno scritto, datato 1926, del marchese Adriano Colocci
Vespucci, stretto collaboratore di Tolomei: « Noi non riusciremo a penetrare negli animi degli
alto atesini, e quindi inseriamoci almeno nelle loro terre; fino a quando non sarà spezzato il
51
compatto, assoluto dominio degli alto atesini sulla proprietà terriera, saremo e rimarremo
degli stranieri ».108
Per mettere in pratica tale progetto di espulsione dei vecchi proprietari allogeni, il governo
fascista abolì, innanzi tutto, nel 1929, l’istituto giuridico del “maso chiuso”, antica normativa
altoatesina che preservava l’indivisibilità delle terre garantendone la trasmissione al
primogenito maschio, rendendo così possibile parcellizzare i terreni. In tal modo le rendite del
contadino sarebbero calate e contestualmente sarebbe aumentato il suo bisogno di credito.
La crisi internazionale accorsa nello stesso anno, oltretutto, costrinse i contadini e gli
agricoltori ad indebitarsi per mantenere il controllo delle terre e questa occasione fornì il
pretesto per un progetto in grande stile di ottenimento dei terreni fra Alto Adige, Friuli e
Venezia Giulia.
Sicché, durante gli anni Trenta, in un contesto in cui il fascismo tentava di mettere in pratica
le politiche di autarchia tanto reclamizzate dal Duce istituendo enti pubblici che garantissero
l’autosufficienza dello Stato, l’Ente Rinascita Agraria (ERA) – che nel frattempo aveva
espropriato e amministrato un gran numero di appezzamenti nelle provincie fra Venezia e
Treviso109 – fu individuato dal fascismo come l’organo più adatto alla gestione “sul campo” di
queste faccende e poté affinare le sue capacità di statalizzazione della terra acquisendo sempre
maggiore importanza nell’ambito della direzione dei terreni montani.110
Con il regio decreto del 7 gennaio 1937 le competenze dell’ERA vennero ampliate e l’Ente,
ritrasformato in Ente di Rinascita Agraria delle Tre Venezie, ottenne il diritto di « chiedere il
trasferimento in sua proprietà di immobili a chiunque appartengano, quando appaiono
suscettibili di essere utilizzati per i fini che l’Ente persegue […]m»,111 inoltre: « L'Ente può
ottenere in concessione o in appalto con preferenza rispetto a ogni altro aspirante, anche se
consorzio di proprietari, l'esecuzione delle opere che giovino a mettere in valore il suo
patrimonio o comunque servano ai suoi scopi istituzionali ».112
108
SCROCCARO M, op, cit, p. 104.
Archivio di Stato di Udine, (ASU), ENTE DI RICOSTRUZIONE E RINASCITA AGRARIA PER LE
PROVINCIE DI VENEZIA E TREVISO, Ricostruzione delle terre danneggiate: appunti e dati. ERA relazione
sull’esercizio 1926, quad. 55, anno 6, ottobre 1927.
110
Cfr: Option Heimat. Opzioni, una storia dell’Alto Adige, Catalogo della mostra a cura del Südtiroler
Kulturverein, Bolzano, 1989, pp. 87-88.
111
ITALIA, G. U, Anno 78, n° 40, 17 febbraio 1937, Roma, Tipografia dello Stato, p. 588
112
Ibid, p. 589.
109
52
Applicando questa legge, in meno di due anni l’Ente espropriò più di 1.500 ettari di terreno
nella sola Valcanale113, mentre in Alto Adige rallentò la frequenza delle requisizioni
preferendo concentrarsi sulla creazione del polo industriale di Bolzano.
Anche questo tentativo di italianizzare il territorio, però, si rivelò un fallimento sia perché i
funzionari dell’Ente si resero costantemente odiosi agli allogeni e vessarono indistintamente
tutte le minoranze spingendole ad un atteggiamento sempre più ostile a tutto ciò che era
italiano, sia perché il governo tento di sostituire la popolazione rurale allogena con contadini
che avrebbero dovuto dimostrare comprovata fedeltà al regime ma che in realtà erano « a loro
volta degli oppressi, delle persone in fuga dalla miseria […]. Diluiti nel territorio, isolati,
finirono molto spesso per integrarsi con la popolazione locale ».114 Come riporta il catalogo
della mostra sulle Opzioni a Bolzano: « l’alternativa era il fallimento o l’adattamento, non
solo in senso economico, all’ambiente ».115
Nel 1939, a ridosso delle opzioni, l’Ente venne trasformato in Ente Nazionale per le Tre
Venezie (ENTV) con una nuova legge che gli concedeva spazi di manovra ancora più ampi:
Art. 1:
l’Ente di Rinascita Agraria per le Tre Venezie […] estende la sua azione ad ogni
forma di attività economica sociale ed educativa, assumendo la denominazione di
<<Ente Nazionale per le Tre Venezie>>.
Art. 2:
L’Ente si propone: 1) di assumere l’esecuzione di opere di bonifica,
trasformazione e riordinamento della proprietà fondiaria, agendo in qualità di
acquirente, affittuario o appaltatore […] 2) di acquistare fondi urbani a qualsiasi
uso destinati 3) di rilevare e cedere aziende industriali e commerciali […].
Art. 8:
L’Ente può chiedere il trasferimento in sua proprietà di immobili, a chiunque
appartengano, quando appaiono suscettibili di essere utilizzati per i suoi fini
istituzionali. […]. Anche prima della risoluzione del contratto l’Ente può
procedere all’occupazione dell’immobile e alla utilizzazione dei materiali e degli
impianti ivi esistenti, corrispondendo agli affittuari […] un indennizzo […].116
Essendo quindi diventato un organo burocratico di enorme peso nelle mani del governo
fascista, Mastromattei, il prefetto di Bolzano che stipulò il patto relativo alle opzioni con la
delegazione germanica, vide in esso l’istituzione più adatta per la compravendita delle
proprietà e lo propose come organo competente alla compravendita degli immobili. Dopo
Si rimanda alla visione degli Atti d’Esproprio, Ufficio Tavolare di Pontebba (UTP), Documenti Tavolari
1938-1939.
114
SCROCCARO M, op, cit, p. 106.
115
Option Heimat. Opzioni, op, cit, p. 88.
116
ITALIA, G.U. Anno 79, n°287, 12 dicembre 1939, Roma, Tipografia dello Stato, p. 565.
113
53
alcune discussioni sulle modalità di estimo del patrimonio, l’Ente fu incaricato di gestire le
proprietà dei rimpatriandi.
Le norme per il rimpatrio erano articolate in due parti: la prima, già citata, trattava le
questioni relative alle persone, mentre nella seconda parte erano evidenziate le disposizioni di
carattere economico.
Gli articoli di questa sezione illustravano le modalità di trasferimento nonché di valutazione
quotazione dei patrimoni in Italia:
Art.23:
Secondo gli accordi stipulati fra il governo italiano e quello germanico
relativamente all’attuazione, agli effetti economici dell’emigrazione è previsto il
trasferimento
I.
dell’intero patrimonio netto situato in Italia […].
II. Del solo patrimonio netto come sopra precisato, situato nei Territori
dell’Accordo per i cittadini germanici che, pur non essendo originari dei Territori
dell’Accordo, abbiano la loro residenza in Italia […].
[…]
Art. 27:
Le persone indicate al paragrafo 23 possono portare seco in Germania, […] tutti
i beni mobili in loro possesso […].
29. Le persone di cui al n. 23 potranno alienare i loro beni sul libero mercato.
Altrimenti questi beni saranno comprati dall’Ente Nazionale per le Tre Venezie di
Bolzano. Il trapasso all’Ente avviene sulla base del valore fissato, per ogni caso,
dalla « Commissione italo-germanica per la stima ». […]
Art. 33:
La « Commissione italo-germanica per la stima » si compone di una
Commissione principale e di sottocommissioni. […].117
Nel complicato iter che un optante doveva seguire per rendere inappellabile la sua decisione
di trasferirsi, dapprima, come abbiamo visto, era necessario il nulla osta dell’ADEuRSt ma il
passo successivo era stabilire il valore dei beni immobili che dovevano essere trasferiti.
Per prima cosa l’emigrante procedeva ad
inventariare le proprie sostanze, in seguito
presentava alla sottocommissione competente i suoi dati e quest’ultima procedeva, tramite
due tesorieri, uno italiano e uno tedesco, all’estimo dell’”autovalutazione” presentata dal
soggetto. « Se le tre valutazioni concordavano, la pratica veniva chiusa e trasmessa alla
commissione superiore. In caso contrario veniva redatto un verbale […]. Il verbale della
sottocommissione veniva passato alla commissione superiore […] e si ripeteva l’iter[…]
ITALIA, MINISTERO AFFARI ESTERI, I documenti diplomatici italiani, nona serie (1939 – 1943), Vol. II,
Roma, Tipografia dello Stato, 1964, pp. 605-609.
117
54
l’esito veniva convalidato dal presidente e notificato al soggetto. Avverso questo parere egli
[l’optante] non aveva più facoltà di ricorso ».118
Una volta ricevuta la risposta definitiva sulla valutazione l’optante era libero di affidare i suoi
beni all’ENTV tramite un verbale di consegna. In seguito l’ENTV effettuava un bonifico su
un conto speciale della DUT (Deutsche Umsiedlungs-Treuhandgesellschaft o Società
fiduciaria per il trasferimento dei beni degli optanti) che poi inviava all’optante un mandato di
pagamento corrispondente al suo patrimonio. « Quanto però a poter disporre del deposito
bancario, doveva attendere sin quando poteva fornire la “prova di aver effettuato un oculato
investimento” del suo denaro ».119
Anche a Tarvisio, naturalmente, vennero aperte sezioni della DUT e dell’ENTV con rispettive
sottocommissioni ma, a differenza dell’Alto Adige, si stabilì che, visto il basso numero di
allogeni da trasferire rispetto ai quasi 200.000 sudtirolesi che dovevano per forza essere
dispersi nei territori del Reich, tutti i valcanalesi avrebbero dovuto essere trasferiti in Carinzia.
Per favorire un reinserimento felice degli optanti fu quindi istituito l’ufficio della
Volksdeutsche Mittelstelle del già citato Alois Maier-Kaibitsch.
Il macchinoso percorso burocratico che era necessario seguire prima di fare le valigie e le
difficoltà che spesso sorgevano all’interno della commissione di stima giocarono,
successivamente, un ruolo molto importante nel calo dell’entusiasmo che aveva pervaso gli
optanti nella prima e concitata fase delle partenze e aprirono la strada a numerosi
ripensamenti, soprattutto fra chi possedeva immobili e magari aveva avviato attività in proprio
ed era preoccupato per l’andamento della guerra.
Molti optanti facoltosi, a differenza dei nullatenenti che non creavano particolari problemi
burocratici e poterono partire immediatamente, preferirono procrastinare il proprio
trasferimento usufruendo di una clausola per cui « un optante poteva emigrare soltanto
quando il suo patrimonio fosse stato valutato ed estinto » e quindi: « Se l’optante […] aveva
dimenticato qualche cosa poteva ripercorrere la […] procedura ».120
A questi motivi si aggiunge il fatto che spesso sorsero problemi, anche gravi, con la
restituzione del capitale che era nelle mani della DUT; molti optanti non poterono accedere al
deposito bancario oppure ricevettero solo una minima parte del denaro che gli spettava.
118
Option Heimat. Opzioni, op, cit, p. 203.
Ibid, p. 206.
120
Ibid, p. 207.
119
55
Non deve stupire, perciò, se alla fine del 1942, su oltre 63.000 istanze presentate a Bolzano
dalle varie commissioni, solo 9.700 vennero evase.121
Con il passare del tempo all’esaltazione subentrò, quindi, un sentimento di sconforto e dalla
festosa accoglienza organizzata dalle autorità ed esaltata dalla stampa di regime, si passò
rapidamente al silenzio totale. Erano soprattutto le crescenti difficoltà a stimare le proprietà di
imprenditori e commercianti e la difficoltà a collocarli, unite al fosco contesto internazionale,
che stavano mutando radicalmente il clima dell’operazione.
S’era capito che la macchina perfetta che si supponeva […] evidenziava pecche
tali da essere messa in dubbio in toto. Molti trasferiti non trovarono sistemazione
adeguata, altri, e nello specifico contadini, non trovarono di loro gradimento
quanto il regime nazista proponeva.122
Il mutato umore fra coloro i quali erano in procinto di partire portò anche al mutamento di
atteggiamento nella minoranza di coloro che erano rimasti in valle verso chi se ne era andato,
che venne etichettato come una sorta di “traditore”, colpevole di aver abbandonato la
comunità della valle e di essersi lasciato abbindolare in vari modi, preso dall’ infatuazione
collettiva. La realtà della situazione e la constatazione di come spesso le proprietà erano
effettivamente state cedute senza soluzioni sicure non facevano più rimpiangere il mito della
felice residenza carinziana. In particolare, chi subì il contraccolpo più duro furono quegli
sfortunati che all’8 settembre 1943 non avevano ancora completato il percorso che gli avrebbe
consentito il trasferimento e che, però, avevano già ceduto le proprietà all’ENTV. « Rimasero
tutti etichettati come “allogeni” […] posti in una situazione di spettatori inermi, privati del
diritto di cittadinanza, ma anche di parità sociale rispetto a quanto avveniva sul territorio. […]
A differenza di quanto accadde in Sudtirolo, dove agli allogeni emigrati o meno sarà concesso
il riacquisto delle proprietà, qui tale diritto fu loro negato ».123
Alla fine dell’estate del 1942, inoltre, i “nuovi alloggi” costruiti dalla Neue Heimat erano stati
quasi completamente ceduti e la soluzione trovata da Maier-Kaibitsch di deportazione delle
famiglie slovene nell’ambito della K-Aktion, non aveva convinto parecchi optanti che ancora
si ritrovavano senza fissa dimora e che, ignari di quello che era accaduto ai precedenti abitanti
di quelle fattorie, si allarmarono all’idea di trasferirsi senza fidejussioni in casa d’altri col
rischio che i legittimi proprietari potessero tornare da un momento all’altro.
121
Ibid, p. 207.
DOMENIG R, op, cit, pp. 64-65.
123
DOMENIG R, op, cit, p. 75.
122
56
Effettivamente, alla fine della guerra, circa 70 famiglie slovene tornarono e rioccuparono le
loro legittime proprietà lasciando letteralmente i valcanalesi sulla strada poiché era a loro
impossibile ricomprare i vecchi lotti o le case in valle cedute all’ENTV poiché non solo i
contratti con il terzo Reich non avevano alcun valore ma anche perché, nelle discussioni di
Parigi relative al trattato di pace fra l’Italia e le potenze vincitrici, venne deciso che in
Valcanale non ci si poteva appellare al sovracitato Patto De Gasperi-Gruber principalmente
perché le statistiche effettuate alla fine della guerra mostravano come la gran parte della
popolazione tedesca emigrata avesse deciso di non tornare e moltissime proprietà erano già
state vendute.124
3.2
l’acquisizione dei beni dell’Ente Nazionale per le Tre Venezie da parte dei friulani
delle valli limitrofe e il cambiamento socioculturale della valle.
Mentre gli emigranti espletavano le loro pratiche e si trasferivano definitivamente in Carinzia,
l’Ente Nazionale per le Tre Venezie agiva indisturbato accumulando un’enorme ricchezza in
terreni e « beni immobili rustici »125.
Per capire quanto l’ENTV avesse ampliato la sua influenza, valga un documento archiviato
all’Ufficio Tavolare di Pontebba e datato 30 gennaio 1939 in cui si concede all’Ente per la
Rinascita Agraria Tre Venezie, ancora non trasformato nell’Ente che amministrerà i
possedimenti nel periodo delle opzioni grazie al Regio Decreto del 30 novembre 1939: « Il
trasferimento in sua proprietà della Malga presso il Passo di Pramollo, in comune di
Pontebba, appartenente all’Alpe di Nassfeld e Winkler, oppure Alpe di Tressdorf, estesa ettari
442.39.12 ».126 Di seguito vi si legge: « L’Ente depositerà alla cassa depositi e prestiti la
somma di £. 150.000, da esso offerta come indennità e non accettata dagli aventi diritto, in
attesa della definitiva liquidazione […] ».127
È evidente come, ancor prima di essere trasformato nell’istituzione che conosciamo, l’Ente
già esprimesse un enorme potere ablatorio – la capacità, cioè, di sacrificare l’interesse privato
a quello pubblico – avverso il quale non valse nemmeno la protesta dei consorzi vicinali dei
paesi oggetto degli espropri, una delle istituzioni più importanti e prestigiose dell’economia
124
Una statistica del 1949 stilata da Don Fontana, parroco di Tarvisio durante la Second Guerra Mondiale, stima
circa 832 tedeschi e 1.098 sloveni su quasi 10.000 abitanti della valle. Archivio Parrocchiale Tarvisio.
125
Uffico Tavolare di Pontebba (UTP), Ente Nazionale Tre Venezie (ENTV), Documenti tavolari 1940-1943.
Verbali di consegna a favore dell’ENTV, nr. 50/1941, Libro Fondiario.
126
Ufficio Tavolare di Pontebba, (UTP), Documenti tavolari anno 1939, nr. 238/1939, Libro Fondiario.
127
UTP, Documenti tavolari anno 1939, nr. 238/1939, Libro Fondiario.
57
valliva. Conseguentemente, negli anni dei trasferimenti, la maggior parte delle proprietà degli
allogeni vennero acquisite e l’Ente aumentò di molto il suo raggio d’azione e la sua
importanza nell’amministrazione della valle128.
Già dai tempi delle prime partenze, visto che i risultati dell’opzione erano irreversibili e, in
linea teorica, si sarebbe dovuto trasferire tutti i beni e le persone entro la fine del 1942,
l’organo aveva incominciato a rivendere a prezzi stracciati gli immobili ceduti.
In quel medesimo anno, quando ormai i cambiamenti di residenza erano in avanzato stadio di
compimento, i “rimasti” si accorsero con una certa preoccupazione che il destino della valle
sarebbe stato molto incerto non solo perché non c’erano piani strutturati per il ripopolamento
dei paesi ma anche perché, nel pieno ormai della Seconda Guerra Mondiale, era difficile fare
previsioni in una vallata depauperata di gran parte della popolazione dedita alle attività
produttive.
Un interessante attestato di tale apprensione si ritrova negli scritti del parroco di Valbruna,
Don Simiz il quale, preoccupato del danno possibile all’importante vocazione turistica della
località, tentò qualche previsione sul futuro della parrocchia:
l’avvenire della Parrocchia dipenderà molto dal modo e dall’uso a cui verrà
adibito il Grand Hotel Saisera. Se, come si vocifera, tale ambiente verrà adibito a
sanatorio militare o scuola militare, il resto del paese verrà come assorbito dal
militarismo. Se invece va a cadere in possesso di privati, per turismo, il resto del
paese si dovrà adattare alle esigenze del caso.129
Il fatto che più preoccupava le amministrazioni della valle, nelle attività di compravendita
dell’Ente, era proprio la mancanza di un piano economico organico, che ingenerava il timore
di possibili soprusi, da parte di soggetti non autorizzati, soprattutto sui diritti silvestri, asse
portante dell’economia valliva sin da tempi remotissimi.
In tal senso il nuovo podestà di Malborghetto, Patrizio Agnola, difendendo i diritti degli
italiani che si avviavano ad acquistare le proprietà, così scrisse all’alto commissariato per
l’esecuzione degli accordi italo-tedeschi quanto segue:
Per quanto riguarda il ripopolamento della zona, faccio presente che in questo
comune, […] si verificherà, all’atto dell’esodo completo, una situazione
insostenibile sotto tutti gli aspetti sia agricoli-silvestri che economici.
Già ora si comincia a risentire di tale situazione: mancanza di artigiani, scarsità
di mano d’opera ecc…
I verbali di consegna degli optanti mostrano come, fra il 1940 e il 1943, all’ENTV pervennero la maggior
parte dei beni immobili e arativi. In questo modo l’Ente divenne un punto di riferimento obbligato negli acquisti
successivi. UTP, documenti tavolari anni 1940-1943, Libro Fondiario.
129
Lt. 18 febbraio 1942, Archivio Parrocchiale Valbruna (APV), citato in: GARIUP M, op, cit, p. 200
128
58
Solo un tempestivo piano di riorganizzazione può evitare il perpetuarsi di tale
situazione: afflusso controllato di elementi italiani tratti preferibilmente dalla
Carnia o dal Bellunese; immutabilità dell’attuale stato economico che collega
strettamente la proprietà agricola con quella silvestre.
Infine si segnala la necessità che l’Ente Nazionale delle Tre Venezie dia precise e
chiare disposizioni sulla procedura e sulle condizioni di subingresso delle
proprietà allogene.130
Quindi il podestà rimarcò la preoccupazione per le compravendite che avvenivano al di fuori
delle garanzie riconosciute dell’Ente:
[…]si sta verificando in questi ultimi giorni una forte contrattazione di cessione
di beni appartenenti ad allogeni optanti per la cittadinanza germanica a favore di
privati provenienti da diverse parti del regno. Esistono poi, in sito, alcuni
mediatori che cercano di speculare sul valore dei beni cedendo al rialzo ai privati
italiani i beni che hanno contrattato per un prezzo inferiore […].
Tali cessioni avvengono al di fuori di ogni organo o Ente preposto, com’è noto,
alla regolazione dei beni degli allogeni[…].
Praticamente tale abuso potrebbe essere frenato impedendo ogni cessione di beni
se non a mezzo dell’Ente Nazionale delle Tre Venezie che dovrebbe in caso di
nulla osta, preservare soprattutto la colonizzazione delle proprietà, richiedendo
adeguata garanzia da parte del subentrante.131
Erano le pertinenze boschive i luoghi nei quali e sui quali potevano avvenire le peggiori
ingiustizie. Vi era, infatti, il rischio concreto di raggiri soprattutto sulle proprietà alpestri
complementari agli immobili poiché, non rispettando le garanzie offerte dall’Ente, certi edifici
avrebbero potuto essere venduti separatamente dai loro boschi contermini, economicamente
coessenziali. Agnola, rimarcando l’inscindibilità della proprietà terriera da quella alpestre,
scrisse infatti che: « Credere che una famiglia colona italiana possa vivere con i soli prodotti
della terra è pura utopia »132.
Per risolvere questo tale problema, l’Ente Tre Venezie si convinse a stipulare contratti di
compravendita per la costituzione di « piccole proprietà contadine »133 ovvero proprietà che,
oltre alla casa, comprendessero anche appezzamenti arativi o boschivi, in modo che gli
acquirenti, nella stragrande maggioranza anch’essi pastori o contadini, potessero usufruire
della servitù di legname per il riscaldamento invernale e dello sfalcio del fieno per nutrire
bestie, in modo da rilanciare l’economia silvo-pastorale della valle.
130
Lt. 8 gennaio 1942, Archivio Mario Gariup (AMG), citato in: GARIUP M, op, cit, pp. 202-203.
Ibid, pp. 204-205.
132
Ibid, pp. 205.
133
UTP, ENTV, contratto di compravendita per la costituzione di piccola proprietà contadina n. 47/52.
Documenti tavolari 1949-1952, Libro Fondiario.
131
59
L’analisi dei contratti conservati all’ufficio del libro fondiario, confrontati con i verbali di
consegna degli optanti di pochi anni precedenti, permette di avvalorare quanto detto, poiché
sia nei verbali di consegna sia all’interno dei contratti del dopoguerra veniva descritta anche
la proprietà in procinto di essere venduta. Un esempio:
[…]La piccola azienda agraria cui si riferisce la domanda in esame è ubicata in
provincia di Udine, Comune di Malborghetto, frazione di Ugovizza, misura la
superficie di 4.44.90 Ha, ha un reddito di imponibile censuario di £.616.29 annue
[…]. I terreni dell’azienda risultano suddivisi in cinque appezzamenti dei quali
quattro a fondovalle, mentre il quinto è a monte, quota 1300, località Malga di
Uqua, raggiungibile direttamente per una strada militare con un’ora e tre quarti
di cammino […]. I terreni di fondovalle sono prevalentemente pianeggianti con
esposizione nord – ovest. L’arativo è di ottima fertilità […]. Il terreno a monte
invece è leggermente in pendio è coltivato a prato ed ha pure una consistenza
legnosa […]. La parte edificale dell’azienda è rappresentata da una casa
colonica […]. Al fondo sono connessi importanti diritti di legnatico, sulla foresta
demaniale di Tarvisio […]. La proprietà di cui trattasi costituisce una organica
azienda agricola […] essa consente un reddito sufficiente per il mantenimento di
una adeguata famiglia rurale montanara.134
Dunque, in una valle che si stava lentamente ma inesorabilmente svuotando, iniziarono ad
arrivare i nuovi compaesani friulani dalle più povere valli vicine: la Val Dogna, la Val
Raccolana, la zona della Carnia e la Val Resia. Costoro poterono acquistare a prezzi modici le
proprietà lasciate in custodia all’Ente e approfittarono di questa congiuntura favorevole per un
miglioramento delle loro condizioni di vita.
Una significativa testimonianza è quella riportata da Maria Piussi di Piani di là, frazione di
Chiusaforte, figlia di un bracciante agricolo della val Raccolana che, consapevole dell’estrema
povertà dei terreni di quella vallata, non esitò a cogliere l’opportunità che contratti come
quello già citato potevano offrire:
Int.) Parlando di un tema un po’più personale: posso chiederle perché vi siete
trasferiti?
MP) Perché non c’era lavoro, e mio padre, nel 1942, ha avuto l’opportunità di
prendere una casa in affitto. Anzi, due, una per lui e una per lo zio. Eh… non
c’era lavoro in Val Raccolana, e mio padre aveva già fatto l’emigrante. Aveva
emigrato già da giovane in Romania e poi si era spostato in Francia… però la
famiglia era rimasta tutta là, [a Piani n.d.A.] la nonna, il nonno e noi che
eravamo piccoli. E quindi, visto che aveva capito che grosse opportunità c’erano
qui [a Valbruna n.d.A] ha deciso di far trasferire tutti: la nonna, il nonno ecc…
Eh, andava benone qui! Non serviva il treno né grandi sacrifici, rispetto a dove
eravamo prima…
134
UTP, ENTV, contratto di compravendita per la costituzione di piccola proprietà contadina, nr. 52/1951,
Documenti tavolari anno 1951, Libro Fondiario.
60
Int.) Certo, in molti mi hanno ripetuto che era meglio fare il fieno nella piana di
Camporosso che sui “prati” di Samedons!135
MP) Si esatto! Mia madre col “Géi” [fr: gerla], povera! Si spaccava la schiena
ogni giorno su quelle scarpate improduttive, quel cambiamento, per noi si è
rivelato un vero paradiso.136
L’approccio con un ambiente completamente diverso sia culturalmente che linguisticamente,
però, fu, in particolare per le primissime famiglie che vennero a stabilirsi nella Valcanale,
piuttosto traumatico.
Una delle prime fonti che riportano l’arrivo dei “nuovi immigrati” è una lettera, dell’autunno
1942 in cui il parroco di Valbruna, don Guion, scrive:
[…] fino al febbraio 1942 a rimpiazzare i partenti di Valbruna non era ancora
arrivato nessun immigrato. Finalmente da Resia e Chiusaforte arrivarono le
nuove famiglie a rimpiazzare ed occupare le case abbandonate dai valbrunesi che
hanno optato per il 3° Reich. Le proprietà, per il momento, vengono consegnate
in affitto ai nuovi arrivati da un ente governativo chiamato Ente Nazionale per le
Tre Venezie.
I nuovi arrivati, spaesati in un ambiente completamente nuovo per loro, con
tradizioni e lingua completamente diverse, non riescono a inserirsi nel tessuto
sociale del paese e della parrocchia […] sono costernato […]. Tutto ciò porta
alla disperazione. Domine dona nobis pacem!137
Naturalmente non dobbiamo pensare che la situazione pressoché catastrofica descritta dal
curato fosse generalizzata né che lo spaesamento fosse poi stato una costante. Bisogna poi
contestualizzare questo documento nel clima estremamente pesante dovuto all’incerto
andamento della guerra. In realtà i nuovi arrivati, il più delle volte, seppero adattarsi
felicemente alla nuova situazione abitativa e spesso fu proprio il buon inserimento
dell’elemento latino nell’universo culturale delle comunità a richiamare, nell’immediato
dopoguerra, parenti e familiari dal Friuli, attirati dalle possibilità lavorative della valle e sicuri
di poter appoggiarsi a persone fidate già integrate.
Un’appassionata testimonianza è quella di Oreste Pezzano, abitante del “Canale di
Raccolana” e trasferitosi a Fusine nel 1946:
Int) è stato un motivo di lavoro, quello che vi ha spinto a trasferirvi qui?
OP) Sì, ma non solo, è stato anche perché c’erano già parenti che abitavano
lassù, sulla collina, [la collina di Speinkolm vicino a Fusine n.d.A.] erano zii,
c’era la sorella di mio padre. Ci hanno detto “venite su e state in affitto, poi se vi
135
Località della Val Raccolana.
Intervista in friulano raccolta e tradotta da Alessandro Ambrosino a MARIA PIUSSI, classe 1937 di Piani, 10
ottobre 2014.
137
APV, citato in: GARIUP M, op, cit, pp. 205-206
136
61
trovate bene comprate la proprietà” ma a noi sembrava un po’ scomoda e fuori
mano. Un po’ più in basso, sulla strada, però, c’erano anche altri due parenti,
erano venuti su nel ’42, quando ero militare. Loro avevano due case, anche loro
in affitto, ma molto più comode, una meraviglia! Così ci siamo guardati in faccia
e abbiamo deciso di spostarci e prenderne una delle loro, prima io e mio fratello,
il 26 marzo del 1946, e ad ottobre è venuto su mio padre. Abbiamo detto “Adesso
prendiamo in affitto lassù, a Speinkolm, e ci mettiamo in comune. Se ci troviamo
bene, nel ’50 cambiamo la residenza”. Nel ’50 abbiamo portato su la residenza e
nel 1952 abbiamo firmato il contratto con l’Ente.
Int) e come è stato l’impatto con le nuove case?
OP) è stato meraviglioso, non me lo dimenticherò mai! Eravamo con i Piussi, che
poi si sarebbero trasferiti due anni dopo a Fusine, abbiamo visto queste
proprietà, con i prati, i boschi, le stalle, tutto pulito, e si facevano più di 450
quintali di fieno…meraviglioso! Ci siamo inginocchiati di fronte alle case – pensi
che eravamo appena usciti dalla guerra – e abbiamo pianto pensando: “questo è
un vero paradiso, rispetto a dove eravamo prima, un miracolo del cielo!138
Inoltre non va dimenticato che i paesi erano quasi completamente svuotati e l’arrivo di nuovi
abitanti comportò un importante cambiamento sociale in quanto i friulani si ritrovarono di
colpo ad essere in numero superiore ai tedeschi “autoctoni”.
Alla fine della guerra, secondo un anonimo valcanalese, la stima della popolazione della valle
è la seguente: « dopo l’emigrazione, nel 1942 cominciarono ad occupare le abitazioni vuote
gli italiani, ciò che fino al 1945 portò il numero di italiani a 6.250 unità ».139
In una situazione di normalità, però, il nuovo arrivato che prende la residenza in una comunità
si adegua all’esistente. Ciò avvenne, per esempio, negli anni trenta in Alto Adige, quando i
contadini si insediarono a macchia di leopardo nei territori espropriati dall’ENTV e finirono
con l’uniformarsi alla componente sudtirolese.
Nel nostro caso, però, furono i friulani, ritrovatisi in un tempo assai breve ad essere in
maggioranza numerica rispetto agli allogeni – salvo che nei paesi a maggioranza slovena
come Ugovizza – riuscirono ad imporre il loro modo di operare e di vivere.
Vero è che alcune famiglie allogene rimaste si arroccarono in un mondo “pre-opzioni” che
non c’era più e per anni soprattutto nei paesi minori come Ugovizza o Bagni di Lusnizza,
evitarono i contatti con l’elemento friulano ed italiano.
Tuttavia, anche in uno spirito di collaborazione comune, alla maggior parte degli “exallogeni” convenne adattarsi alla nuova situazione etnica della valle e abituarsi ai “nuovi
vicini”. La testimonianza di Bruno Deotto, figlio dell’unico italiano trasferitosi a Valbruna
alla fine della Prima Guerra Mondiale e quindi osservatore privilegiato della vicenda in
138
Intervista raccolta da Alessandro Ambrosino a ORESTE PEZZANO di Samedons, frazione di Chiusaforte,
classe 1922, 07 ottobre 2014.
139
GARIUP M, op, cit, p. 207.
62
quanto né optante, né di famiglia immigrata negli anni del dopoguerra, è particolarmente
significativa:
Int.) Ma i valbrunesi, o meglio, i valcanalesi rimasti, come hanno visto questi
friulani “immigrati”?
BD) Bisogna dire la verità. Quei pochi che sono rimasti, oriundi del paese, forse
in un primo momento non li avranno visti tanto di buon occhio, qualche famiglia
non si è espressa tanto. Ma poi si sono subito associati, hanno subito collaborato
fra di loro, d’altra parte la terra è sempre terra. Erano tutti contadini e per
superare le difficoltà è stato più utile mettere da parte le divergenze “di razza”,
come si diceva. Poi, col tempo, gli oriundi sono stati sempre meno…
Int) Be’ bisogna dire che la componente tedesca è andata perdendosi…
BD) Esatto. Si sono resi conto che bisognava collaborare, dovevano collaborare,
nell’interesse di tutti. Inoltre al tempo della guerra erano andati via più della
metà, e quei pochi che non sono andati, che sono rimasti proprietari delle loro
case e non hanno venduto all’Ente, hanno capito che era meglio relazionare con i
nuovi abitanti… tranne qualcuno che aveva qualche “ruggine” hitleriana. Ma poi
la cosa è andata come doveva andare…140
In altri paesi, come Tarvisio o Malborghetto, dove i rimescolamenti culturali ed etnici sono
una costante nella storia, il ripopolamento comportò, effettivamente, la progressiva perdita
dell’identità tedesca in favore di una nuova cultura dominante “italo-friulana”.
Questo tipo di cambiamento nelle tradizioni e nel tessuto sociale della valle è evidente
soprattutto nel modo in cui i friulani modificarono gli aspetti urbani e alimentari della valle.
Il già citato Oreste Pezzano, riporta una divertente descrizione riguardante le abitudini
urbanistiche e culinarie dei tedeschi e delle modifiche apportate dagli italiani, facendo
emergere un malcelato orgoglio per quelle che, a suo dire sono state le migliorie dei nuovi
“inquilini”:
Int) […] sono venuti in tanti ad abitare in Valcanale?
OP) Sono venuti da ogni parte, anche dal Bellunese e dalla Carnia.
Int) Be’ la valle era quasi vuota…
OP) Già, e poi… bisogna dire che a Tarvisio, quella volta non è che ci fosse
chissà cosa!
Int) Sicuramente, bisogna ricordare che eravamo in tempo di guerra…
OP) Sì, certo, ma io parlo proprio a livello di case… erano catapecchie, tutte
vecchie. Questa qui era una signora casa, in quei tempi, ma le loro… erano come
le case che ci sono in campagna: di legno, col tetto in travi e due metri di muro,
neanche in sasso […]
Int.) Ma i tedeschi? Vi hanno accettato? Cosa facevano in valle se erano rimasti
così pochi?
OP) Ma quelli! Cosa vuoi? Mangiavano patate tre volte al giorno, mattino,
pranzo e a cena! Non sapevano neanche… neanche lavorare il maiale! Non
sapevano fare il salame o il musét [fr: cotechino n.d.a]. Sai cosa facevano al
140
Intervista raccolta da Alessandro Ambrosino a BRUNO DEOTTO, classe 1934, di Valbruna, 09 ottobre 2014.
63
maiale? Lo spellavano, che rimaneva mezzo pelo su, come veniva veniva,
tagliavano la testa, finivano di spellarlo un po’, lo aprivano fuori, pulivano tutto
il resto e poi, su un tavolo, avevano un çoc [fr: rozzo pestello di legno] di legno e
lo pestavano tutto, a pezzi… ma pezzi grossi così! E sulle coste veniva così di
lardo. Poi mettevano tutto sotto sale… dopo siamo arrivati noi! Non so quanti
maiali ho ammazzato!
Int) per spiegare ai tedeschi come si faceva?
OP) Eh Sì! Gli italiani si arrangiavano! E gli ho fatto vedere anche come si
facevano le luanis [fr: salsicce], il salame e il musét…mi andavano giornate intere
per spiegare!141
Anche a prescindere delle testimonianze dei singoli, è evidente che gli effetti demografici
delle opzioni produssero nella valle il più importante mutamento etnico-sociale dei tempi
moderni e che lo stravolgimento linguistico e culturale che ne seguì ebbe conseguenze ancora
oggi rintracciabili nelle comunità locali.
Ciò accadde prima che sopravvenisse nel tessuto sociale ed economico della valle, con
l’istituzione dei nuovi uffici doganali e soprattutto con l'incremento del commercio verso i
paesi del nord e dell’est Europa, l'immigrazione dal Meridione, che fu etichettata come
“diversa” e fu effettivamente protagonista di episodi di intolleranza, ma solo perché
appartenente ad un altro tipo di tradizioni e ambienti, mentre i friulani e i veneti che si
trasferirono in valle nell’immediato dopoguerra erano avvezzi alla vita contadina delle Alpi
tanto quanto i vecchi abitanti. In quel periodo, sostanzialmente dagli anni ’60 in poi, si
verificò un repentino sviluppo turistico e, conseguentemente, a Tarvisio venne istituito il
mercato.
Le comunità della valle seppero adattarsi alla nuova situazione e, com’è noto, continuarono a
identificarsi, nel bene e nel male, con quella caratteristica di “gente di confine” che li
contraddistingue. Negli ultimi decenni la Valcanale, inserita in progetti di sviluppo economico
e turistico insieme al Canal del Ferro, sta riscoprendo, soprattutto grazie alle associazioni
culturali e al cambiamento generale della mentalità, il suo antico patrimonio carinziano,
friulano e sloveno, riutilizzandolo in progetti turistici transfrontalieri che sembrano dare i
primi frutti.
141
Intervista raccolta da me a ORESTE PEZZANO, classe 1922 di Samedons, 07.10.2014.
64
CONCLUSIONE
Nonostante le opzioni in Valcanale riguardino un territorio regionale molto ristretto, esse
presentano, tuttavia, un notevole interesse storico, poiché, insieme con il progetto di
trasferimento dei sudtirolesi, questione molto più dibattuta e conosciuta sia a livello
accademico che pubblico, esse vanno inserite e spiegate nel quadro politico e ideologico
particolarmente interessante dei due totalitarismi nazista e fascista.
Un aspetto forte e portante dell’ideologia delle dittature affermatesi in Europa fra gli anni ’20
e ’30 persegue infatti l’obiettivo di trasformare la massa in un corpo unico e compatto, in
perenne movimento, piegata alla volontà del capo e destinata a seguirlo senza possibilità di
differenziarsi né mediante le singole individualità né per le peculiarità regionali 142.
Una politica, questa delle dittature, che venne resa possibile dalla mancata soluzione dei
problemi nazionali antecedenti la Prima Guerra Mondiale: basti pensare alla questione
balcanica o alle turbolente nazionalità del centro Europa in perenne conflitto con l’autorità
asburgica. Problemi a risolvere i quali non bastò certo, nel primo dopoguerra, il principio di
autodeterminazione dei popoli di Wilson, che trovò solo parziale applicazione, di modo che
ogni stato europeo si ritrovò di nuovo a dover a fare i conti con le sue minoranze linguistiche
interne.
In particolare, a causa della disgregazione dell’impero austro-ungarico, gruppi minoritari
tedeschi si formarono nell’est Europa, nei Balcani e in Italia. Una realtà davvero scoraggiante
per tutti quegli stati che avevano fatto della nazionalità il principio base della loro esistenza.
In questo contesto, lo sviluppo dell’ideologia nazista, aiutata da una propaganda martellante
che si richiamava all’unità di tutto il popolo tedesco nella Grande Germania, trovò terreno
fertile in queste comunità e così Hitler decise di risolvere il problema in maniera quasi
scientifica, dapprima ricorrendo alla diplomazia, successivamente con la forza, trascinando il
mondo nell’apocalisse della Seconda Guerra Mondiale.
Sono ben quindici gli accordi firmati dalla Germania con gli Stati che presentavano
minoranze tedesche. Per fare degli esempi, il patto Molotov-von Ribbentrop, che prescriveva,
fra l’altro, il trasferimento nel Reich dei tedeschi residenti in Polonia; il trattato per lo
spostamento nel Reich dei 137.000 tedeschi della Bukovina e della Dobrugia, regioni nel nord
della Romania cedute all’URSS nel 1940; il protocollo per il trasferimento dei tedeschi
142
Manuale di storia del pensiero politico, a cura di Carlo Galli, il Mulino, Bologna, 2011, pp. 489.
65
abitanti in Lettonia per risolvere la questione baltica. Fra questi accordi rientrano anche le
“opzioni” del 23 ottobre, firmate dai due gerarchi Hitler e Mussolini.
Va sottolineato in ogni modo che la Germania nazista non fu l’unico Stato a stipulare accordi
per lo spostamento in blocco di intere comunità. Altri stati europei, come la Grecia e la
Turchia che si accordarono nel 1923 per il trasferimento dei turchi dalla Tracia, oppure la
Turchia e la Romania che decisero, nel 1936 di far traslocare più di 67.000 turchi dalla
Transilvania meridionale alle regioni sotto il controllo di Ankara, non si preoccuparono di
ridefinire le artificiali linee di frontiera tracciate dopo la Grande Guerra ma preferirono
firmarono trattati che, in ossequio ai principi di nazionalità e sulla base di “civili” accordi
internazionali, decisero a tavolino di trasferire un totale di quasi due milioni di persone nel
giro di vent’anni, costringendole ad abbandonare in fretta e furia il territorio sul quale
vivevano da generazioni, per emigrare in patrie lontane e molto spesso sconosciute.
Nel nostro caso, data la limitatezza del territorio e della popolazione residente, certi parametri
da “macrostoria” non sono utilizzabili, ma la tragicità dell’evento e le conseguenze
sociolinguistiche che seguirono, possono essere tranquillamente confrontate con altre
situazioni in scala maggiore.
La consapevolezza dei risultati deleteri che questo tipo di scelte politiche comportarono
spinsero gli Stati, nel secondo dopoguerra, a considerare in maniera diversa le minoranze
etniche, ritenendole un importante elemento tradizionale da salvaguardare, sia dal punto di
vista linguistico, che strettamente culturale. Allo stesso modo, nell’Europa Unita di oggi, un
cittadino su sette parla una lingua che non è quella ufficiale. Compito delle istituzioni statali è
quello di salvaguardare queste differenze evitando di ricadere nell’errore dell’omologazione
totale.
In questo lavoro ho cercato di analizzare la questione e le sue conseguenze, sia da un punto di
vista storico-diplomatico, che da uno strettamente “umano”, sperando di aver dato un
contributo alla conoscenza non solo del mio territorio e della sua storia, ma anche dei motivi
per cui la salvaguardia delle identità minoritarie è importante anche in un contesto più ampio
quale quello europeo attuale, senza che ciò debba per forza comportare il rischio di cadere nel
localismo e nella retorica del “piccolo è bello”.
66
ALLEGATI
In queste ultime pagine riporto alcune immagini significative riguardanti la questione presa in
esame.
La maggior parte delle fotografie provengono dall’”Archivio della memoria” del Palazzo
Veneziano di Malborghetto, ma altre sono state riprese dai documenti dell’Archivio Tavolare
di Pontebba. Significative sono le due immagini che riproducono le tessere ufficiali per
l’opzione sulla cittadinanza e quelle delle famiglie in procinto di partire.
I: frontespizio degli Accordi sulle opzioni, Roma, Tipografia dello Stato, 1940.
67
II: tessera arancione, valida per la richiesta di assumere la cittadinanza germanica, indirizzata
al comune di Tarvisio. Archivio della Memoria, Palazzo Veneziano di Malborghetto
(AdMPV).
III: tessera bianca, valida per la richiesta di mantenere la cittadinanza italiana, indirizzata al
comune di Malborghetto-Valbruna. (AdMPV).
68
IV: optanti valcanalesi in partenza, primavera 1940. Archivio della Memoria, Palazzo
Veneziano di Malborghetto.
V: Paul Früstuck, figlio di optanti di Tarvisio, indossa la divisa della Wermacht, estate 1940.
(AdMPV).
69
VI: foto di gruppo di camporossiani optanti (Abwanderungsjahr significa “anno della
partenza”) autunno 1941. (AdMPV).
VII: foto di gruppo dei dipendenti dell’ADEuRSt di Tarvisio. Il dottor Starzacher non è
presente. (AdMPV).
70
VIII: frontespizio dei documenti riguardanti le procedure di valutazione e stima degli
immobili degli optanti da parte della sottocommissione italo-germanica. Ufficio Tavolare di
Pontebba.
IX: cartello segnaletico della città di Villach che identifica il quartiere, tutt’ora esistente, in
cui vennero costruite le nuove abitazioni dei valcanalesi (AdMPV):
71
X: un’altra immagine del complesso residenziale costruito dal 3°Reich per dare una casa agli
optanti. (AdMPV).
72
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