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Le mutilazioni e l'assenza di parti anatomiche dalla sepoltura: alcune interpretazioni CAMILLA MARGHERITA FERRARI Negli ultimi anni, anche in Italia ha finalmente iniziato ad emergere l'interesse per lo studio e l'interpretazione delle sepolture anomale; l'argomento è ampiamente conosciuto e trattato in altri paesi, primo tra tutti l'Inghilterra che garantisce un confronto con numerosi casi particolari, tendenze, statistiche. Tuttavia non è facile interpretare queste realtà e risalire ai processi e alle volontà che hanno portato alla determinazione delle situazioni inusuali, oltretutto lo stato di conservazione spesso non consente neppure di poter affermare con certezza la collocazione peri o post mortem delle azioni effettuate sul cadavere o sulla tomba. Le motivazioni che possono giustificare le anomalie nelle sepolture sono potenzialmente infinite, a partire da cause naturali (come l'azione degli animali, spostamenti del terreno), fortuite (furto di corredo o vestiario, manomissione involontaria per ragioni spaziali, sepoltura frettolosa, epidemie e morti contagiosi) o volontarie (pratiche apotropaiche, neutralizzazione di revenants, punizione post mortem, vandalismo, accanimento contro un nemico, omicidio, pratiche magico-religiose, recupero di parti ossee). Con il termine sepolture anomale, si fa riferimento infatti ad una serie di tipologie anche molto differenti tra loro, comprendendo sotto la stessa definizione casi di legamento, mutilazione, asportazione delle parti anatomiche, posizionamento insolito del corpo all'interno della sepoltura o nel cimitero, chiodature, inserimento di oggetti particolari e simbolici nella tomba, trattamento anomalo del cadavere, recisione e spostamento di parti corporee all'interno della tomba stessa. Vi è riflessa nella varietà di queste pratiche tutta l'ambiguità del rapporto col morente e con il morto, soggetto della trasformazione da vivo in cadavere, vissuta come un passaggio anziché un evento e divenuto per i vivi oggetto di venerazione e avversione1. Prendiamo ad esempio i casi di mutilazione e asportazione di membra dalla tomba; è possibile che ci si trovi davanti a tentativi di neutralizzazione di defunti inquieti, per “ucciderli” definitivamente o renderli innocui, ipotesi cui si è fatto spesso ricorso, ma anche altre motivazioni, più o meno soprannaturali, potrebbero celarsi dietro queste manifestazioni. La necromanzia e l'uso dei cadaveri, o parti di tali, in ambito magico La sepoltura 13 della necropoli tardo antica di Baggiovara (MO) presenta un caso di individuo femminile con piedi, avambraccio destro e testa recise e non presenti nella tomba2. La particolarità della sepoltura è che, sebbene non vi siano apparentemente segni di riapertura e manipolazione della tomba3, sono stati ritrovati in situ alcuni frammenti delle dita di un piede, una falange distale e l'astragalo sinistro. Queste rimanenze potrebbero spiegarsi con l'asportazione delle parti corporee già in avanzato stato di decomposizione, tuttavia i segni di amputazione non possono aiutare molto nella comprensione degli eventi a causa del cattivo stato di conservazione, motivo per cui non è possibile stabilire se la decapitazione sia stata la causa del decesso o sia stata operata post mortem4. Interpretare le motivazioni che stanno dietro questo trattamento non è semplice. Potrebbe trattarsi di esecuzione pubblica e di successivi rituali apotropaici oppure di interventi post mortem atti a defunzionalizzare il defunto e privarlo della forza necessaria a nuocere. In effetti le amputazioni riguardano parti anatomiche fortemente simboliche: i piedi, che permettono la deambulazione e lo 1 2 3 4 WILLIAMS 2010, p. 83. LABATE-PALAZZINI 2010, p. 123. BERTOLDI 2010, p. 124. Ibidem. spostamento, l'avambraccio e la mano destra, arti con cui si agisce e si indica, infine la testa. Può anche essere, naturalmente, che il caso abbia voluto che la testa sia andata persa accidentalmente assieme alle altre parti anatomiche oppure potrebbe invece essere stata un'azione volontaria, dettata da uno scopo preciso. Alla luce di questi indizi, ma non in riferimento esclusivo a questo caso specifico, un'idea controversa si fa strada. Possediamo testimonianze nelle fonti, fin dall'antichità, di un'arte magica di divinazione operata attraverso la rianimazione dei cadaveri, la necromanzia, pratica tipica di ambito greco – romano5 e che pare conosciuta da epoche assai remote6. Ai cadaveri è sempre stata attribuita infatti una particolare sensibilità, che si tentava di sfruttare a proprio vantaggio in ambito magico prima e successivamente anche in campo medico, utilizzandone le ossa sbriciolate, il cranio scarnificato, i vestiti e il “sudore”, o così interpretato7. Lucano ad esempio (in Farsaglia, VI) racconta delle streghe tessali e si sofferma in particolare su Erittone, descrivendola come una strega malvagia che vive nei cimiteri, infestando le tombe altrui e distruggendo e mutilando cadaveri. Inoltre ella era in grado di predire il futuro attraverso i morti richiamati in vita: «Finalmente sceglie un corpo dalla gola trafitta e lo porta via e, insertogli un uncino con funerei lacci trascina per rocce e per sassi il misero cadavere, destinato a rivivere, e lo colloca sotto un'alta rupe dove s'incurva il monte, che la triste Erittone ha consacrato ai sui sortilegi». Anche Orazio testimonia l'esistenza delle streghe e le loro pratiche necromantiche ai suoi tempi: «Oggi sull'Esquilino risanato si può abitare, passeggiar sul ciglio aprico, dove si guardava tristi fino a ieri campagna deformate da bianche ossa. Mi sono di molestia non tanto i ladri e gli animali soliti infestar questo luogo quanto quelle strane femmine turpi che sconvolgono con sortilegi e filtri anime umane. Né posso in alcun modo sterminarle né vietare che appena la vagante luna rivela il suo bel volto colgano erbe nocive e ossa. […] E prendono a scavare con le unghie la terra, coi denti a sbranare un'agnella scura e il sangue versano nella buca per trar fuori i Mani» (Orazio, Satire, I, 8) Non solo le fonti letterarie ci testimoniano l'esistenza di tali pratiche, ma anche quelle giuridiche. Già Augusto proibì l'uso della magia e la divinazione operata per predire la morte dell'imperatore, tendenza che si rafforzò nei secoli successivi tant'è che alla fine dell'impero la necromanzia era fuorilegge in tutti i suoi aspetti e considerata un reato grave. I divieti espressi nella De maleficiis et mathematicis et ceteris similis, redatta da Costanzo II nel 357 d.C., si mantennero anche nel codice 5 OGDEN 2001, p. 202. 6 DE FILIPPIS CAPPAI 1997, pp. 107-108. 7 ARIÈS 1989, pp. 411 e seg.. teodosiano8 e in quello giustinianeo9, i quali ci rivelano che erano bandite tutte le forme di divinazione, i sacrifici notturni, l'incantamento di demoni e l'evocazione degli spiriti dei defunti10. In entrambi i codici la legge citata è seguita dalla De sepulchro violato, la quale prescrive pene severe per chi fosse stato sorpreso a manomettere i sepolcri. Di particolare interesse per il nostro caso sono i riti necromantici greci e romani che prevedevano l'uso della testa del defunto. Nei papiri magici greci è possibile individuare diverse ricette della tarda antichità, ma sappiamo che il tema delle teste profetiche è ben noto fin dall'epoca arcaica e classica e sconfina nel mito, come quello della testa di Orfeo. Una versione del mito narra che Orfeo venne ucciso e fatto a pezzi per volere di Dioniso, ma la sua testa cadde in mare e trasportata dalle acque giunse fin sulle rive dell'Isola di Lesbo, dove divenne un potente oracolo situato in una cavità sotterranea. Anche la storia di Trofonio è simile: lui e il fratello Agamede commisero una serie di furti, finché Agamede rimase vittima di una trappola. Non potendo liberarlo, Trofonio gli tagliò la testa e scappò con quella, per evitare che risalissero anche a lui e alle sue colpe; si rifugiò nella grotta di Lebaidea dove la terra lo inghiottì e divenne successivamente un oracolo. Ci sono molte altre teste profetiche ben conosciute nell'antichità greca, ad esempio quella di Cleomene I di Sparta: prima di salire sul trono, giurò che avrebbe incluso l'amico Arconide in tutti i suoi affari, se fosse salito al potere. Quando divenne re, decapitò l'amico e conservò la sua testa in una giara di miele; prima di intraprendere qualsiasi impresa si recava dalla giara e interrogava la testa11. Anche nell'ambiente romano si incontrano simili episodi; ad esempio, leggenda vuole che durante i lavori di costruzione del tempio dedicato a Giove, voluto da Tarquinio Prisco, fu ritrovata la testa del condottiero Aulo Vibenna, che profetizzò la futura grandezza di Roma. Da questo episodio, il colle prese il nome di Capitolium, da caput, testa12. Augustin Calmet, storico benedettino francese (1672 – 1757), riporta l'episodio della morte di Gabieno (in origine narrato da Plinio nelle Naturalis Historiae) e della sua testa parlante13: «Nella guerra di Sicilia, tra Cesare e Pompeo, Gabieno Generale della flotta di Cesare fu fatto prigione, e per comando di Pompeo decapitato. Tutto il giorno restò il cadavere sul lido, e aveva la testa attaccata al corpo ancora per un filo solamente quando verso sera pregò gli astanti, che facessero a lui venire Pompeo, a cui doveva comunicare cose di somma importanza, mentre egli Gabieno tornava allor dall'Inferno. Pompeo vi mandò allora alcuni dei suoi, ai quali Gabieno espose, che la causa e 'l partito di Pompeo era protetta dagli Dii dell'Inferno, ch'egli riuscirebbe nel suo disegno; che aveva ordine di dargliene avviso, e in prova della verità del suo detto, che in quel momento doveva morire, come in fatti avvenne. Ma non si vede, che sia riuscito il partito di Pompeo, anzi all'opposto è noto, ch'esso restò soccombente, e vittorioso l'altro di Cesare. Ma 'l Dio dell'Inferno, vale a dire il Demonio, lo trovava molto profittevole a sé, perché a lui mandava tante vittime miserabili della vendetta, e dell'ambizione». Pratiche riguardanti l'uso di un teschio per la divinazione, sono note anche in ambiente bizantino; lo studioso Daniel Ogden descrive14, ad esempio, il rituale di pulire la testa del defunto nell'acqua corrente per tre giorni e tre notti, avvolgerlo in bende di lino nuove, portarlo presso un incrocio e scrivergli la domanda in fronte per ottenerne la risposta. È difficile pensare di poter stabilire la reale frequenza e diffusione di questi episodi, ma l'ampio spazio dedicato all'argomento dalla letteratura, dalla cronaca dell'epoca e, soprattutto, dalla regolamentazione giuridica, lascia presupporre che tali pratiche non fossero nemmeno inesistenti. 8 9 10 11 12 13 14 Codice Teodosiano, IX, 16. Codice Giustinianeo, IX, 18. OGDEN 2001, pp. 156-157. PRANDI 2005, p. 130. OGDEN 2001, p. 110. CALMET 1756, pp. 238-239. OGDEN 2001, p. 214. L'assenza del cranio dalla tomba e la sua conservazione in separata sede come testimonianza di persistenza dell'antico culto di venerazione del cranio La mancanza della testa nella sepoltura non è un fatto così raro. Pur ribadendo l'estrema difficoltà di associare con sicurezza un'ipotesi precisa ad una determinata situazione anomala, prendiamo in considerazione un'altra ipotesi interpretativa, diametralmente opposta a quella avanzata precedentemente. Lo studioso Alain Simmer, riferendosi all'area territoriale francese della Lorena, testimonia che nell'ambito delle sepolture di epoca merovingia in diversi casi il cranio non è stato ritrovato in connessione anatomica con il resto del corpo (ma posto invece ad esempio sul petto, tra i piedi o in un'inumazione separata) e che nella maggior parte dei casi non è stato ritrovato affatto15. Particolare interessante è che in tali sepolture, caratterizzate dall'assenza della testa, il corredo, a volte anche molto ricco, con gioielli, armi e oggetti preziosi, non è stato violato; è da escludere così l'ipotesi di perdita più o meno casuale in seguito a manomissioni per furto. Casi del genere sono in realtà ben noti in ambito inglese e se ne conoscono diversi anche in Italia, ma la particolarità di queste sepolture francesi è che spesso le vertebre dello scheletro, perfettamente in ordine e con corredo intatto, arrivano a toccare il bordo della tomba, come accade ad esempio a Audun-le-Tiche, dimostrando che lo spazio sepolcrale non venne concepito già in origine per contenere la testa in connessione anatomica col corpo; si può quindi dedurre che il suo prelevamento venne effettuato al momento della deposizione. In diversi casi è anche possibile escludere con certezza la decapitazione dell'individuo in vita, mostrandosi le vertebre intatte, senza segni di colpi inflitti; in altri casi ancora il cranio è assente ma la mandibola o i denti sono sparsi nella tomba, come accade sempre ad Audun-le-Tiche o a Chaouilley. Per spiegare queste frequenti e apparenti anomalie, Simmer ipotizza l'esistenza di rituali magici di derivazione antica, oggi sconosciuti ma molto diffusi all'epoca; il cranio non sarebbe stato prelevato per paura ma per venerazione, come sede della forza vitale e simbolo degli antenati. L'esaltazione della testa è ben conosciuta in ambito celtico, è una venerazione antica che perdura a suo modo anche nel cristianesimo attraverso gli ossari e il culto delle reliquie, tra le quali il cranio occupava e occupa un posto d'onore. Le testimonianze di epoca merovingia potrebbero quindi, secondo lo studioso, consistere nel “anello mancante” di una catena che parte dai culti preistorici e arriva agli ossari medievali. A sostegno di quest'ipotesi è citato lo storico loreno nonché canonico di inizio secolo Bour16, il quale recensì più di trecentosessanta ossari per il solo dipartimento della Mosella. Tali edifici parevano essere veri e propri luoghi di culto, più che semplici contenitori di ossa atti a raccogliere le spoglie dei defunti più antichi per fare posto ai nuovi arrivati; ora ne rimangono pochissimi, ma all'epoca di Bour se ne potevano osservare diversi e quasi tutti possedevano un altare, un'acquasantiera, candele e lampade sempre accese. Potremmo quindi trovarci di fronte ad un luogo di culto cristianizzato, come molti altri, dove i celebrati sono gli scheletri dei defunti, con particolare venerazione per i loro crani, disposti spesso in posizioni prominenti o in reliquiari lignei, separati dalle altre ossa. Anche in ambito italiano è possibile confrontarsi con la persistenza di antichi rituali funerari relativi all'adorazione delle ossa, non ancora del tutto cancellati dall'avvento del cristianesimo e della cultura moderna. Nell'area meridionale sopravvive tutt'oggi, in alcune zone, il concetto molto antico17 di lungo percorso, e non di passaggio immediato, dalla morte fisica dell'individuo al suo approdo definitivo nell'aldilà con conseguente trasformazione dei suoi resti ossei in oggetti sacri, giustificando così la necessità di una “doppia sepoltura”18. Nell'area napoletana, possiamo ancora ritrovare pratiche funerarie derivate direttamente da queste ritualità antiche. Il percorso19, inizia con la morte dell'individuo e la sua prima sepoltura; dopo diverso tempo, si procede con la riesumazione del cadavere per controllare 15 16 17 18 19 SIMMER 1982, pp. 36-49. SIMMER 1982 p. 45. WILLIAMS 2010, pp. 83-84. FORNACIARI-GIUFFRA-PEZZINI 2007, pp. 14-16. FORNACIARI-GIUFFRA-PEZZINI 2007, p. 15. che le ossa siano completamente disseccate e non sia più presente alcun segno di putrefazione. Nel caso siano pulite si spolverano, si lavano e si disinfettano con alcool, infine si avvolgono in un lenzuolo pulito. Lo scheletro così purificato viene trasportato nella sua nuova sede in un luogo lontano dal precedente, la sua seconda sepoltura, e passa da pericoloso cadavere a caro estinto da pregare e oggetto sacro da venerare, con immagini del defunto sugli altarini domestici e continuando periodicamente il lavaggio e la purificazione delle sue ossa ad opera dei terrasantieri. L'adorazione e la cura per le ossa da parte dei vivi lo aiuterà a sopportare le pene del purgatorio a cui è approdato, e lui, in cambio, intercederà ascoltando le preghiere dei parenti rimasti in vita. L'interesse cristiano per le reliquie anatomiche Sono state riportate finora alcune testimonianze di interesse per i resti dei defunti da parte di culti pagani, antichi o più recenti, sopravvissuti anche in epoca cristiana che possano giustificare la manomissione delle spoglie mortali e delle relative sepolture; ma così come si è citato in precedenza, anche la religione cristiana stessa si rivelò interessata alle membra dei morti, dando vita a un culto di adorazione tutt'ora decisamente vivo e diffuso. Che derivi e prosegua un culto assai antico o meno, è però certo che le reliquie dei martiri divennero ben presto potenti oggetti di adorazione e spesso consistono in corpi interi o parti di essi. Il loro valore era tale già all'epoca che ben presto si cominciò a ricorrere non solo allo spostamento di corpi o al loro smembramento ma anche alla inventio, pratica inaugurata da Sant'Ambrogio, vescovo di Milano dal 374 al 397; nel 386 un sogno gli permise di individuare le sepolture di Gervasio e Protasio, vittime delle persecuzioni di Diocleziano e nel 393 di Vitale e Agricola20. Tra VIII, IX e X secolo la richiesta di reliquie crebbe esponenzialmente, anche se l'acquisizione interessava ancora principalmente solo una clientela d'élite quali vescovi, abati, re, imperatori; solo nel tardo medioevo il mercato cominciò ad allargarsi anche alle classi aristocratiche per le loro collezioni private. Come prevedibile, emersero di conseguenza i ladri professionisti di reliquie, a volte veri e propri tombaroli, che compaiono nell'agiografia e nella letteratura durante tutto il medioevo. Nell'ambito del commercio italiano sono note addirittura delle “celebrità”: è il caso di Deusdona, diacono della Chiesa di Roma e capo di un ampio e organizzato gruppo di trafficanti di reliquie che agì a metà del IX secolo21. Questa frenesia, la fretta e la competizione furono la causa non solo di traslazioni illecite ma anche di falsificazioni e duplicati. Sono parecchi i santi a cui sono attribuiti diversi corpi, teste, braccia, denti in numerose parti d'Italia o d'Europa; si conoscono ad esempio un centinaio di braccia attribuite a San Biagio localizzate nei luoghi più disparati, come Utrecht, Colonia, Marsiglia, Compostela, Milano. Uno dei santi più diffusi è senza dubbio Sant'Antonio: morto nel 356, la sua venerazione è attestata già in antichità così come l'esistenza di numerose sue reliquie, tra cui anche diversi corpi interi. Anche di San Sebastiano sono note diverse reliquie doppie, tra cui le numerosissime braccia22. Naturalmente non tutte i doppioni sono il frutto di una trafugazione a discapito delle tombe di sconosciuti, soprattutto quelle più facilmente duplicabili o non facilmente riconoscibili, come ad esempio le singole ossa; a volte poteva risultare più semplice spacciare per parti umane ossa di animali, legni scolpiti o qualunque altra cosa potesse assomigliarvi, come è stato appurato in diversi casi. Molte sono però le reliquie che non lasciano dubbi sulla loro origine umana, a volte perché confermata dalle analisi o perché perfettamente riconoscibili, come ad esempio accade per i crani o le mani. La provenienza del materiale osseo, può provenire effettivamente dal santo martire di cui rivendicano l'appartenenza, ma nel caso dei numerosi doppioni, devono avere per forza una provenienza diversa, a testimonianza che qualche malcapitato defunto abbia dovuto subire la parziale o totale manomissione della propria sepoltura. 20 ARNAU 2009. 21 GEARY 2000, pp. 49 e seg.. 22 LOMBATTI 2007. La poena post mortem come punizione e penitenza In epoca romana e anche nei primi tempi del cristianesimo, i corpi degli individui defunti erano oggetto di cura ed era importante preservare l'integrità delle spoglie dei propri cari23; il timore di morire senza sepoltura è un'angoscia ancestrale, che viene inizialmente assorbita e codificata anche dalla nuova religione attraverso la paura della negata resurrezione. La mutilazione volontaria post mortem era quindi una punizione extra, inflitta ai giustiziati o anche ai morti di morte naturale in caso di scoperte spiacevoli per punire l'anima del deceduto e sottolineare nella morte lo status infimo del vivente; nei casi più gravi e per i personaggi più popolari si poteva anche arrivare alla damnatio memoriae. Il corpo del criminale o del traditore ucciso poteva anche non essere sepolto subito dopo l'esecuzione, ma lasciato esposto al disprezzo pubblico, lasciato marcire e a volte gettato in una discarica senza alcun onore funebre24. Celebre il caso di Vitellio, torturato, ucciso e gettato nel Tevere, ma pensiamo anche agli imblocati25, scomunicati o condannati il cui corpo non veniva sepolto ma semplicemente coperto di pietre. Caso noto anche se tardo, quello di Manfredi, la cui vicenda è narrata nel terzo canto del Purgatorio di Dante Alighieri (103-145). L'élite e i personaggi di potere non furono esenti da questi trattamenti: i traditori o i perdenti in battaglia, guerre civili e lotte di potere potevano aspettarsi ben poco rispetto per il proprio cadavere. I loro corpi venivano esposti nel cuore della città o potevano essere portati in processione lungo le vie sospesi ad un gancio, come accadde ad Elagabalo26. Questa pratica post mortem persistette anche nelle epoche successive e medievali; portiamo ad esempio l'esecuzione del traditore Colinet de Puiseux, nel 1411. Egli venne svestito, decapitato, fatto a pezzi e le sue membra vennero lasciate esposte appese alle porte principali di Parigi per due anni, prima di essere riunite e deposte in sepoltura27. Anche Strabone ci riporta a testimonianza l'usanza di esporre la testa del nemico: «Al ritorno della battaglia i Celti appendono le teste dei nemici al collo dei cavalli, per poi attaccarle come ornamento ai portici delle case. Dice Posidonio di aver visto spesso coi propri occhi tale spettacolo e di essersi in principio disgustato, finendo però dopo col sopportarlo per abitudine. Le teste degli uomini illustri poi, conservate con olio di cedro, le mostravano agli ospiti e non acconsentivano al riscatto, nemmeno a peso d'oro»28. Dalle fonti possiamo apprendere di altri episodi di teste esposte, ad esempio la processione della testa infilzata su una picca di L. Calpurnio Pisone Liciniano nel 69 a.C. e la punizione di Cesare per l'ammutinamento di alcuni soldati29, ma naturalmente sempre in riferimento a personaggi celebri. Non abbiamo fonti giuridiche che attestino l'istituzionalizzazione del fenomeno, il quale sembra essere un'usanza bellica e sociale, tuttavia possiamo aspettarci che così come accadeva per i comandanti o i soldati, la stessa sorte potesse toccare a criminali particolarmente odiati anche a livello locale e nei centri rurali più piccoli. L'accanimento contro la testa o il corpo di un nemico potrebbe non averne lasciato traccia, nella sua interezza o parzialmente. I cimiteri di esecuzione Un caso italiano di grande interesse per lo studio delle sepolture anomale è l'ormai nota necropoli tardo-antica (VI sec.) di Casalecchio di Reno30; la struttura della necropoli è molto caotica, 23 24 25 26 27 28 29 30 TAYLOR 2008, p. 96. HOPE 2000, pp. 111-112. DU CANGE 1678, Glossarium mediae et infimae latinitatis, voce Imblocatus. HOPE 2000, pp. 112-113. MILLS 2005, p. 15-16, vicenda narrata anche in ARIÉS 1989. Strabone, Geografia, IV, 4, 5. Per la descrizione dell'episodio vedi CANTARELLA 1996, pp. 160-162. Per lo studio delle sepolture della necropoli vedi BELCASTRO-ORTALLI 2010. caratterizzata da un'altissima incidenza di casi particolari, mutilazioni, sepolture multiple, trascuratezza, posizioni insolite. Tale situazione potrebbe essere giustificata come risultato di una violenta azione bellica31, ma potrebbe anche indicare la designazione dell'area come luogo di sepoltura speciale, dalla valenza negativa. In Inghilterra ci sono diverse testimonianze dei cosiddetti “cimiteri di esecuzione”, luoghi in cui venivano sepolti i condannati o i criminali non accettati negli spazi funerari comuni. La nascita di queste aree, ubicate lontano dai cimiteri normali, pare risalire al VII-VIII secolo e sembra essere legata alla conversione al cristianesimo e allo sviluppo di cimiteri presso le chiese, in terra consacrata32. Prima dell'VIII secolo i criminali venivano sepolti nei cimiteri di comunità, come provato dall'incidenza di decapitazioni, amputazioni, posizioni prone, in relazione al primo periodo medievale inglese. Dalla fine del secolo è invece attestato un marcato cambiamento nel trattamento dei corpi dei criminali; inizialmente poteva trattarsi di una questione di comodità, seppellire i condannati vicino alla forca per evitarne il trasporto in altro luogo, ma successivamente si delineò una volontà precisa di escluderli in quanto fuorilegge e peccatori. I cimiteri di esecuzione sono quindi caratterizzati da un'alta incidenza di anomalie, posizioni prone, interramenti multipli, decapitazioni, legamenti, restrizioni fisiche, mutilazioni, asportazioni di parti anatomiche e incuria generalizzata. Un cimitero di esecuzione inglese piuttosto conosciuto si trova a Sutton Hoo, presso Woodbridge, nella contea di Suffolk nell'East Anglia. Il sito, già famoso per il ritrovamento di una nave funeraria di origine scandinava risalente al VII secolo, ospita una seconda area sepolcrale datata tra VIII e XI secolo, destinata ai corpi dei giustiziati. Lo stato di conservazione è pessimo e le parti ossee non si sono conservate, tuttavia l'impronta lasciata dai corpi sul terreno ha molto aiutato nell'interpretazione. Si tratta di un insieme di casi di decapitazione, impiccagione, legamenti ai piedi e ai polsi ma vi si trovano anche sepolture più normali e rispettose, in posizione supina o dentro a casse funerarie lignee33. Poteva forse trattarsi in questo caso di un'area sepolcrale ubicata vicino al luogo delle esecuzioni, con conseguente seppellimento in loco dei corpi. Potrebbe trattarsi di un cimitero di esecuzione anche King's Dyke, Whittlesey in Cambridgeshire, dove su otto maschi deposti quattro erano decapitati di cui tre senza piedi e l'altro prono senza un piede, e quasi sicuramente lo è anche il cimitero di Walkington Wold, nell'East Yorkshire, attivo dal VII/VIII secolo al X, dove su undici individui pare che tutti siano stati decapitati e deposti in posizione e orientamenti casuali, anche flessi, piegati, contorti34. Molte sono le caratteristiche in comune con la necropoli di Casalecchio di Reno, la quale è attiva in un epoca leggermente anticipata rispetto alla propagazione del fenomeno in Inghilterra; il collegamento con la diffusione del cristianesimo e del nuovo senso di comunità, sottolineato anche nell'organizzazione cimiteriale, potrebbe spiegare la sua precocità. Già a partire dal III secolo la comunità cristiana era sufficientemente ricca e organizzata per affermare la propria presenza, la conversione dell'élite e il mutato atteggiamento imperiale aprì la strada ad un fenomeno di conversione generalizzato e rapido, che arrivò ad intaccare e riorganizzare anche le campagne, convertite in gran parte durante il V secolo35. BIBLIOGRAFIA ARIÈS 1989 P. ARIÈS, L'uomo e la morte dal medioevo ad oggi, Roma-Bari, 1989. ARNAU 2009 A.C. ARNAU, Archeologia delle chiese. Dalle Origini all'anno mille, Roma, 2009. 31 32 33 34 35 PANCALDI 2002, p. 30. BUCKBERRY 2008, p.149. TAYLOR 2008, p. 99. BUCKBERRY 2008, pp. 148-168. FIOCCHI NICOLAI 2003, pp. 921-969. BERTOLDI 2010 F. BERTOLDI, Le tombe 6 e 13 della necropoli tardo-antica (VI sec. d.C.) di Baggiovara (MO). Analisi antropologiche, in BELCASTRO-ORTALLI 2010, pp. 13-22. BELCASTRO-ORTALLI 2010 M.G. BELCASTRO, J. ORTALLI (a cura di), Sepolture anomale. 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