“I contratti processuali”
Prof. Dr. Marco de Benito Llopis-Llombart
Reale Collegio di Spagna a Bologna, 11 marzo 2013.
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Magnifico Rettore,
Chiarissimi professori,
Cari collegiali,
Signore e signori:
Nel 1903, appena un secolo fa, nell’Aula Magna dell’allora Facoltà di
Giurisprudenza di questa Università, il gran maestro Giuseppe Chiovenda
pronunciava la sua celebre prolusione su “L’azione nel sistema dei diritti”.
Questa prolusione ha segnato l’inizio in Italia del diritto processuale moderno, a cui
ha conferito un influsso rigorosamente scientifico, superandone la subordinazione
rispetto al diritto sostanziale e così raccogliendo una delle scoperte più importanti del
pensiero giuridico tedesco della seconda metà dell’Ottocento.
Per l’ennesima volta durante gli ultimi più di novecento anni, l’Università di Bologna
ha avuto un ruolo fondamentale nel rinnovamento degli studi della giurisprudenza.
D’allora in poi, ogni studioso del diritto processuale non solo in Italia, ma subito
dopo anche in Spagna e Ispanoamerica, ha dovuto adottare i nuovi metodi, le nuove
prospettive.
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E non a caso dico Italia ed, immediatamente dopo, Spagna. L’influenza della dottrina
italiana su quella spagnola è ampiamente riconosciuta. E il nesso più importante, la
chiave di questa fluidità e connessione della giurisprudenza italo-spagnola ― voi lo
sapete bene ―, è in mano a voi collegiali che, lavorando qui un anno dopo l’altro per
più di seicento anni, fai sì che il Cardinale Gil de Albornoz sia probabilmente uno dei
santi più contenti di ammirare tutti i giorni l’opera lasciata in eredità durante il suo
passaggio per il mondo.
Dato che chi vi sta parlando in questo momento è spagnolo, studioso del diritto
processuale e per di più, occasionalmente, docente di storia del diritto, immagino
potrete capire la profonda emozione che mi invade oggi al parlare in questa
prestigiosissima sede.
A questo riguardo vorrei ringraziare in particolare la professoressa Paola Manes, da
cui è partita l’iniziativa di questo seminario, e anche i professori Luigi Balestra,
Michele Angelo Lupoi, e Maria Giulia Canella, con cui ho l’onore di condividere
questa tribuna.
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Cos’è un contratto processuale? Non è sicuramente la categoria che viene studiata in
maniera più approfondita nelle aule scolastiche né spagnole né ― e su questo mi
dovete correggere ― italiane.
Tuttavia, presenta molti aspetti d’ interesse, in particolare considerato l’eccezionale
incremento negli ultimi decenni delle controvérsie internazionali, in cui l’autonomia
privata ha un ruolo particolarmente importante.
La riflessione sui rapporti tra contratto e processo è antica come la scienza giuridicoprocessuale moderna.
In 1868, Oscar von Bülow proponeva l’idea del rapporto giuridico processuale. Era
questa un’idea ispirata al rapporto giuridico sostanziale, e in un certo modo parallela
a quella; ma si trattava di un rapporto di natura autonoma, radicalmente diversa: di
natura pubblicistica.
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Così l’azione è stata concepita come un diritto soggettivo pubblico ad ottenere la
tutela dello Stato nei diritti soggettivi privati; quest’idea è quella che troviamo nella
prolusione del Sommo Chiovenda nel 1903.
In questo contesto, subito ci si è posti il problema delle diverse manifestazioni
dell’autonomia privata nei confronti di quella nuova realtà di diritto pubblico.
Perché in realtà tutto il processo fino ad allora veniva concepito ed era permeato da
concezioni privatistiche. Il processo allora vigente in tutta l’Europa trovava la sua
fonte d’ispirazione nel francese code de procédure civile del 1806.
Ed è noto che questo è il codice meno innovativo tra tutti quelli elaborati in epoca
napoleonica. Potrebbe infatti dirsi che non è che una versione rinnovata, riordinata e
codificata dell’Ordonnance civile formulata sotto Luigi quattordicésimo.
In definitiva, e spero mi permettiate l’eccessiva semplificazione: quello che è
presente in Europa alla fine dell’Ottocento è il processo romano-canonico codificato.
Era questo un modello molto adatto all’ideale liberale: due parti uguali che, con piena
libertà e parità di armi, lottano tra loro senza l’intromissione dello Stato, essendo la
loro volontà privata quella che produce l’effetto giuridico di far progredire il
processo.
Ma alla fine del secolo, la situazione cambia. Nel 1895, nel Impero Austriaco, Franz
Klein redige la sua Zivilprozessordnung, e si inizia a concepire il processo come un
modo di attuare un interesse pubblico, “sociale”, di cui lo Stato, e il giudice in suo
nome, è il supremo interprete.
In questo contesto di affermazione dei caratteri pubblicistici del processo sorge
inevitabilmente la domanda sulla natura giuridica, la funzione, e addirittura
l’accettabilità, di quelle manifestazioni dell’autonomia privata all’interno del
processo.
È Josef Kohler colui che formula il moderno concetto di contratto processuale, e
unifica così in una sola categoria, piena di elegantia iuris, le molteplici espressioni
della concorde volontà delle parti a produrre determinati effetti su un processo civile.
Quali esempi, si possono elencare i seguenti:
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-
La prorogatio fori, cioè il patto sulla giurisdizione internazionale oppure sulla
competenza territoriale;
-
Il compromesso e il pactum de compromittendo, anche chiamati accordi o
convenzioni arbitrali;
-
Il pactum de non petendo, cioè il contratto con cui il creditore si obbliga a non
richiedere l’adempimento del debitore ad tempus, per un certo periodo di tempo;
-
Il pactum de non exsequendo; lo stesso, il patto di non iniziare, per un certo tempo,
l’esecuzione forzata di una sentenza;
-
I patti sul valore o la distribuzione dell’onere della prova;
-
Il patto per alterare l’ordine dei sequestri all’interno di un’esecuzione forzata;
-
Il patto di sospensione del processo;
-
Il patto di esclusione d’appello o la cassazione per saltum;
-
Il patto di divisione di una cosa comune all’interno del rilevante processo;
-
La medesima transazione giudiziale;
-
E tanti altri innominati in virtù della Typenfreiheit.
Nonostante il suo interesse, come accenna la professoressa Canella, il tema appare
“un ramo piuttosto secco nella riflessione italiana contemporanea”.
Simile è la situazione all’interno della dottrina spagnola.
Tuttavia, di recente si percepisce forse un interesse rinnovato per il nostro tema.
In Germania, Gerhard Wagner ha pubblicato nel ’98 l’opera di riferimento attuale,
Prozessverträge, di un’ambizione ed esaustività mai viste prima in questo tema.
In Francia sono in piena sperimentazione i contrats de procédure, contratti studiati di
recente da Loïc Cadiet.
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Anche in Italia possiamo notare nuove approssimazioni alla figura, come ad esempio
gli studi di Federico Carpi, Michele Taruffo, Giorgio De Nova e la professoressa
Canella, che successivamente avrà l’opportunità di correggermi in questa mia
descrizione generale dello status quaestionis.
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Vediamo ora una possibile tipologia dei contratti processuali.
In base alla classificazione di Vittorio Denti, bisogna distinguere tra:
A)
Da un lato, i negozi che si formano fuori dal processo ed influiscono sul
processo stesso; ad esempio, l’accordo sulla competenza;
B)
Dall’altro lato, gli atti processuali che contengono accordi destinati ad avere
effetti sul piano sostanziale; ad esempio la transazione giudiziale. Questo
secondo tipo non è che un sottotipo di atto processuale qualificato dal suo
carattere bilaterale o convenzionale.
La differenza è chiara: il primo va “da fuori a dentro”, e il secondo “da dentro a
fuori”; un’altra volta ancora, chiedo scusa per la semplificazione.
A causa della sua chiarezza espositiva, questa proposta appare molto attraente.
Nonostante, accanto agli accordi “da fuori a dentro” e “da dentro a fuori”, bisogna
includere anche, come fa Salvatore Satta, quelli “da dentro a dentro”, come accade
con la sospensione convenzionale del processo, che non ha un’esistenza autonoma
come contratto, ma esiste soltanto come atto processuale bilaterale o plurilaterale.
Penso, tuttavia, che sia possibile effettuare un’ulteriore suddivisione.
I contratti processuali paradigmatici, e quelli che hanno una rilevanza pratica più
notevole, sono, a mio avviso, gli accordi sulla competenza ed il patto
compromissorio.
Oltre alla loro importanza pratica, questi due contratti condividono un aspetto che
ritengo chiave al fine dell’attribuzione di un trattamento differenziato rispetto a tutti
gli altri accordi processuali.
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Quest’aspetto chiave consiste nel suo carattere giurisdizionale, più che processuale
in senso stretto.
Cercherò di spiegarmi, perché la distinzione è sottile, ma la ritengo importante.
L’accordo arbitrale e gli accordi sulla competenza riguardano l’organo decisorio,
non la specifica pretesa. Dunque operano più come presupposti processuali che
come condizioni dell’azione, anche se il giudice non li può stimare d’ufficio, ma
tramite il rilievo da parte dell’opportuna eccezione.
C’è anzi una differenza non trascurabile fra un patto compromissorio, che esclude a
monte ― rilevata l’eccezione ― la giurisdizione del tribunale, e per esempio un
pactum de non petendo, che non ha alcuna relazione con la determinazione
dell’organo giurisdizionale, ma con la pretesa oggetto della lite.
Il compromesso darà origine ad una declinatoria di giurisdizione, che è solitamente
un incidente preliminare, anteriore alla comparsa di risposta.
Il patto de non petendo, contrariamente, attraverserà la citazione e la comparsa di
risposta e soltanto in un momento successivo darà origine ad una sentenza
meramente processuale, che non intrerà nel merito.
In terminologia classica, i patti come quello sulla competenza originano un’eccezione
dilatoria, e quelli come il patto de non petendo, un’eccezione perentoria.
In altri termini, un compromesso o un accordo sulla competenza territoriale, una volta
rilevata l’eccezione, hanno molto in comune con la mancanza di competenza
competenza oggettiva, funzionale o territoriale per la concorrenza di un foro
esclusivo.
L’unica vera differenza con questi tradizionali presupposti processuali ― le originali
Prozessvoraussetzungen di Von Bülow ― consiste nel fatto che sono sollevati a
richiesta di parte. Ma questo è dovuto non tanto ad una differenza strutturale, quanto
alla sua origine convenzionale.
Nella contrattazione internazionale odierna, la clausola arbitrale o giurisdizionale è
un punto particolarmente importante del negozio. La cosiddetta in inglese litigation
on where to litigate è cresciuta sponenzialmente negli ultimi decenni. E quella
piccola clausola alla fine di un contratto di ottanta pagine può avere in sé stessa un
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valore patrimoniale straordinario, così come ha accennato in Francia Emmanuel
Gaillard.
Oggi, molte di queste clausole arbitrali sono oggetto di intensa negoziazione insieme
agli altri accordi presenti nel contratto, e talvolta si raggiunge un accordo su queste al
costo di cedere su altre molto importanti, quali lo stesso prezzo del contratto. Non è
lo stesso infatti, per, diciamo, una società tedesca d’ingegneria che stipula un
contratto di appalto di una centrale elettrica in Pakistan, sottoporre le controversie
che possano sorgere ad un tribunale del Pakistan, ad uno a Francoforte o alla Corte
Arbitrale Internazionale dell’ICC.
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Ma riprendiamo l’argomento relativo alla classificazione dei contratti processuali.
Sulla base delle riflessioni precedenti, ritengo che si debbano distinguere quelli che
possiamo chiamare “patti giurisdizionali” dagli altri accordi celebrati “da fuori a
dentro” del processo, come ad esempio le clausole limitative della proponibilità delle
eccezioni.
Inoltre ritengo che gli atti processuali convenzionali si possano anche dividere fra
quelli che hanno efficacia sul processo stesso ― per esempio la sospensione
convenzionale del processo ―, e quelli che incidono sul diritto sostanziale
attraverso il processo, come nel caso della transazione giudiziale.
Riassumendo, le diverse manifestazioni della figura in esame si potrebbero riunire in
due grandi gruppi:
A)
Da un lato, i contratti processuali in senso stretto, cioè i contratti di diritto
sostanziale che hanno un determinato effetto nell’ambito processuale;
B)
Dall’altro lato, gli atti processuali convenzionali, che non esistono nè possono
esistere al di fuori del processo.
A)
Il primo gruppo, i contratti processuali in senso stretto, si potrebbe
ulteriormente suddividere in due sotto-gruppi:
AA) Un
primo sotto-gruppo in cui potremmo includere i patti
giurisdizionali, che concedono ad ogni parte il potere di vietare
qualsiasi organo che non sia quello accennato nell’accordo. A questa
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categoria apparterrebbero il compromesso e tutte le forme di
prorogazione della competenza.
BB)
B)
A un secondo sotto-gruppo apparterrebbero quelle che possiamo
chiamare eccezioni convenzionali, che concedono ad ogni parte il
potere o facoltà non di vietare il processo, ma di neutralizzare la
specifica pretesa formulata dall’attore. A questo sotto-gruppo
aparterrebbero i pacta de non petendo, de non exsequendo, e qualsiasi
altro limitativo della proponibilità delle eccezioni, o limitativo delle
possibilità processuali date alle parti dalla legge.
Invece nel secondo gruppo, relativo agli atti processuali convenzionali, è
possibile distinguere tra:
AA) Quelli che risolvono la loro efficacia nel processo stesso, ad esempio
l’accordo sulla sospensione del processo e sul giudizio di equità,
esistente in Italia ma non in Spagna.
BB)
E quelli che incidono sul diritto sostanziale attraverso il processo,
come tutte le forme di transazione giudiziale.
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Ma la rilevanza dell’anteriore classificazione rimarrebbe nei confini della didattica se
l’appartenenza a uno o l’altro gruppo non portasse effetti o conseguenze giuridiche
diverse.
In relazione a ciò, due aspetti dovrebbero richiamare la nostra attenzione. Il primo
concerne la sua efficacia processuale; il secondo, la sua efficacia sostanziale,
obbligatoria, che viene negata da alcuni autori.
Per quanto riguarda il primo punto, ossia gli effetti processuali, è luogo comune
affermare che i contratti processuali producono effetti processuali in modo diretto.
A mio avviso, tuttavia, è chiaro che il primo gruppo di patti ― i contratti processuali
in senso stretto, che si origínano al di fuori del processo ― hanno sempre solo
un’efficacia processuale indiretta, ossia mediata o eventuale.
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Lo stesso ragionamento, applicato al secondo gruppo ― gli atti processuali
convenzionali, che si originano e risolvono all’interno del processo ―, ci porta alla
conclusione che la loro efficacia processuale è diretta, immediata e necessaria.
Infatti, un atto processuale si crea e si consuma in sé stesso, con la creazione
immediata di una determinata situazione giuridica precedentemente inesistente. Non
ha alcuna esistenza fuori del processo.
Ad esempio, un accordo congiunto di sospensione del processo non è nemmeno
pensabile nell’universo extra-processuale. Si può certo immaginare che le due parti in
causa accordino di sospendere la controversia, magari con lo scopo di poter negoziare
con più tranquillità, e che una di esse si obblighi a presentare materialmente al
tribunale la richiesta già firmata in calce dalle due parti. Se questa parte non esegue
tale azione, avrà inadempiuto all’accordo; questo è chiaro.
Ma quest’obbligazione ha natura sostanziale, non processuale. Lo dimostra il fatto
che l’istruzione della causa sarà progredita normalmente, del tutto indipendente a
quell’accordo extra-processuale non adempiuto.
Sono come due universi paralleli, che non si toccano mai.
In quell’esempio, l’atto processuale nascerà solo con l’effettiva presentazione dello
scritto, con la sua verifica intra-processuale; e non avrà, in sé stesso, alcuna
conseguenza nei rapporti giuridici sostanziali che possano esistere tra le parti.
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Ciò per quanto riguarda gli atti processuali convenzionali: la loro efficacia è, in
conseguenza, diretta ed immediata. Ma abbiamo accennato prima che i contratti
processuali in senso stretto, quelli al di fuori del processo, come il compromesso,
hanno solo un’efficacia processuale indiretta, anzi mediata o eventuale.
Mi spiego meglio. Questi patti generano dall’inizio tra le parti un vincolo
obbligatorio. Ogni parte s’impegna nei confronti dell’altra a non iniziare una causa
presso i tribunali statali, o presso i tribunali di un paese, o presso qualsiasi tribunale
che non sia quello che è stato accordato.
Tuttavia, il rapporto giuridico principale, il contratto di appalto, o di fornitura, può
procédere normalmente senza controversie; tale è, in principio, l’intenzione delle
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parti. In questo caso, i poteri nati dalla clausola compromissoria forse non saranno
mai esercitati.
È per questo che non si può parlare di efficacia processuale diretta. Non sono
concepibili effetti processuali al di fuori di un processo specifico.
Quindi, l’efficacia processuale di questo tipo di patti è sempre indiretta.
Ciò che è diretto in questi patti è invece la loro efficacia sostanziale. Il vincolo
obbligatorio rimane in vigore, indipendentemente dal fatto contingente che sorga o
non sorga la lite, fino alla loro estinzione, per le cause generali di estinzione delle
obbligazioni.
Riassumendo, i contratti processuali in senso stretto producono un’efficacia
processuale indiretta e mediata, mentre quella degli atti processuali convenzionali è
diretta ed immediata.
Contrariamente, l’efficacia obbligatoria dei contratti processuali in senso stretto è
diretta ed immediata, mentre gli atti processuali convenzionali semplicemente non
generano alcuna efficacia sostanziale, se non attraverso il processo in cui operano.
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Se i contratti processuali, e in particolare i patti giurisdizionali, generano un vero
vincolo obbligatorio, e si devono applicare ad essi dunque le norme generali
civilistiche sui contratti, allora la loro inosservanza, oltre che fondare la relativa
eccezione, dovrà essere capace di fondare anche un’azione civile di danni.
Siamo di fronte all’esigenza di applicare il principio di riparazione integrale del
danno. Chi non adempie, risponde; è un principio elementare non solo del diritto dei
contratti, ma direi più in generale della nostra cultura giuridica.
Questa costatazione non è, comunque, unanime.
Primo, il fatto che l’inosservanza si risolva su richiesta di parte è stato usato come
argomento per negare la possibilità di risarcimento.
Secondo, forse questa negazione risponde anche ad una concezione piuttosto
pubblicistica del processo come espressione della sovranità dello Stato.
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Terzo, esiste una distinzione, di origine tedesca, tra efficacia regolatoria ed efficacia
obbligatoria, tra Verfügungswirkung e Verpflichtungswirkung. Secondo questa teoria,
i contratti che incidono sul processo hanno efficacia regolatoria, poiché derogano le
norme di legge altrimenti applicabili, ma mancano di efficacia obbligatoria, non
potendo perciò fondare una pretesa risarcitoria.
Una considerazione, però, più attenta di queste tre obiezioni, deve, a mio avviso,
portare alla conclusione contraria.
A questo riguardo ho pensato che sarebbe interessante esaminare, seppure in modo
non approfondito, la causa che vi ho distribuito, in cui il Tribunal Supremo spagnolo,
l’equivalente della Corte di Cassazione italiana, si è potuto pronunciare su questo
tema a titolo principale e con piena consapevolezza.
I fatti essenziali del caso sono i seguenti:
- Una persona fisica, Ray Velázquez, stipula con USA Sogo, Inc., la filiale
americana di Sogo, una multinazionale giapponese di elettrodomestici, un
contratto in materia societaria. Le parti sottopongono le eventuali controversie ai
tribunali di Barcellona. Potete trovare questa clausola nell’ultima pagina:
Clausola 2, “Ley aplicable”.
- Il Sig. Velázquez non rispetta il patto e agisce in giudizio contro Sogo in Flórida,
per la semplice ragione che in Flórida si possono chiedere i danni punitivi e non
solo i risarcitori, come accade in Spagna. In tal modo il Sig. Velázquez si trova
nella posizione di poter pretendere la modesta somma di 455 milioni di dollari.
- Sogo impugna la giurisdizione del tribunale e vince; ma l’attore non viene
condannato al pagamento delle spese processuali ― quasi un milione di dollari
―, perché in Florida non vige, contrariamente a quanto accade nei nostri
ordinamenti, il principio della soccombenza.
- Sogo inizia allora una causa contro il Sig. Velázquez davanti al tribunale di
Barcellona, la giurisdizione originariamente stabilita, richiamando il risarcimento
dei danni subiti per essersi trovata costretta a difendersi in un foro diverso da
quello stabilito. Troverete questo lungo atto di citazione subito dopo il contratto.
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- L’atto seguente è la comparsa di risposta, ove si afferma che la clausola non può
essere inadempiuta, trattandosi appunto di una “cláusula de carácter procesal”.
- Il tribunale e la Corte d’Appello respingono la domanda, fondandosi
consapevolmente sulla medesima teoria: i contratti processuali, proprio perché
processuali e non sostanziali, non danno origine ad un’azione di risarcimento.
- La sentenza di primo grado è splendida nell’esprimere questa tesi nel
“Fundamento de Derecho Segundo” (la pagina è la quarta della sentenza).
“Conviene en primer lugar”, bisogna innanzitutto, “examinar la naturaleza de la
citada cláusula”, esaminare la sua natura, “para determinar si su inobservancia
puede considerarse un auténtico incumplimiento contractual que dé lugar a
responsabilidad”, al fine di determinare se si può originare inadempimento e
responsabilità. Secondo il tribunale ― tutto ciò in fondo alla stessa pagina ―, la
clausola non può essere “fuente de obligaciones”, fonte di obbligazioni, e non fa
parte “del contenido obligacional del contrato”, del contenuto vincolante del
contratto.
- La Corte di Appello non è stata meno consapevole dell’importanza teorica della
questione. L’ottava pagina è quella interessante. Leggiamo: “dos tesis están
enfrentadas en el presente recurso”, due tesi si confrontano in questo appello: una
in base alla quale il patto giurisdizionale è un contratto sostanziale a tutti gli
effetti, e l’altra in base alla quale patti come quelli non sono contratti ordinari e
hanno quindi una efficacia diversa. Tutto ciò che segue sino alla fine della
sentenza è molto, molto interessante.
- Tutto questo apparato argomentativo crolla in sede di giudizio di cassazione. Il
Tribunal Supremo cassa la sentenza e si esprime in favore di Sogo. La parte
rilevante è contenuta nel terzo fondamento giuridico, e in particolare in tutta la
pagina 41. La corte suprema afferma energicamente che il patto sulla competenza
óbbliga le parti ad adeguare la propria condotta a ciò che è stato prescritto.
Leggiamo che l’inadempimento “genera la responsabilidad del deudor”, origina
la responsabilità del debitore, “que se traduce en la indemnización de los daños y
perjuicios”, che si risolve nel risarcimento dei danni. Nell’ultimo paragrafo della
stessa pagina 41 si legge: “la elección (…) del fuero competente puede haber sido
decisiva (…) para la voluntad de establecer la relación, con clara trascendencia
en la economía contractual”; la scelta del foro ha potuto essere decisiva nei
confronti del consenso contrattuale.
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È sorprendente anche l’ identità e contemporaneità di questo caso con il caso risolto
dalla Court of Appeal inglese nel 2002 nel caso Union Discount contro Zoller ed altri.
I fatti rilevanti sono quasi identici:
- Union
Discount e Zoller stipúlano un contratto e sottomettono la controversia ai
tribunali inglesi.
- Zoller inizia una causa contro la Union Discount a New York.
- Union Discount impugna con successo la giurisdizione newyorkese.
- Non c’è condanna alle spese processuali.
- Union
Discount cita successivamente a giudizio Zoller in Inghilterra, come
prescritto, per il risarcimento dei danni subiti.
- La domanda viene respinta in primo grado, ma vinta in appello; la Court of Appeal
afferma la possibilità di fondare un’azione civile sull’inadempimento del patto
giurisdizionale, “as an independent and free-standing cause of action”.
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Gentili Signori: vorrei chiudere il mio intervento con una citazione, e una parafrasi.
Usando le parole di Salvatore Satta, il tema dei contratti processuali “trascende la
loro singolare manifestazione per toccare le radici più intime di tutto il diritto
processuale”. E perciò che trovo questo tema affascinante, e vi incoraggio vivamente
ad approfondirlo.
Parafrasando poi Maurizio Lupoi: i contratti processuali “sono un cúneo che sforza le
nostre certezze, riapre discussioni che sembravano definitivamente risolte e alla fine
condurrà a riappropriarci, con maggiore consapevolezza, di quei concetti, categorie e
regole”.
Sarei felice se queste modeste riflessioni che ho avuto l’onore di condividere con voi
oggi contribuissero, anche se minimamente, a questo alto proposito.
Grazie.
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