GOVERNO ANDREOTTI II: IL RITORNO AL CENTRISMO*
di
Marco Cecili
(Laureando in Giurisprudenza
LUISS – Guido Carli)
7 agosto 2013
“Quando ebbi per la prima volta l'incarico, fui bruciato prima ancora di mettere piede in Parlamento.
A febbraio mi hanno impallinato appena sono entrato in Senato. Ora spero di presentarmi in tutte e
due le aule”. (G. Andreotti, 1972)
Sommario: 1. Elezioni politiche del 1972: la paura dei “fascisti”. 2. Inizia la VI legislatura.
Le consultazioni di Leone. 3. I colloqui di Andreotti: il via libera al ritorno del centrismo. 4.
Crisi del Governo Andreotti II. Conclusioni.
1)
Elezioni politiche del 1972: la paura dei “fascisti”
Dopo il primo scioglimento anticipato del Parlamento nell’era repubblicana1 e l’instaurazione
del primo governo Andreotti (monocolore DC, minoritario, che restò in carica, di fatto, solo
per le elezioni), la tornata elettorale del 1972 era considerata decisiva. Nei giornali dell’epoca
si poteva leggere che era “la prova elettorale più criticata dal 1948”2 e il New York Times
definì quelle elezioni “l’esame più critico di questi 25 anni”. Alcuni ritenevano che le
*
Il presente articolo rientra tra i lavori inviati in risposta alla Call for papers di federalismi sulla formazione dei
governi ed è stato sottoposto ad una previa valutazione del Direttore della Rivista e al referaggio dei Professori
Vincenzo Lippolis e Giulio M. Salerno. Si ringrazia Silvia Perugi per la fondamentale collaborazione. Eventuali
errori o refusi sono imputabili unicamente all’autore.
1
A. Baldassarre, C. Mezzanotte, Gli uomini del Quirinale: da De Nicola a Pertini, Laterza, Roma-Bari 1985, p.
177 lo definiscono “un’ipotesi classica di scioglimento anticipato” e lo considerano “consensuale, perché non
imputabile ad alcuna parte politica od organo specifico”.
2
A. Ronchey, Peggio per chi?, in <<La Stampa>>, 7 maggio 1972, p. 1.
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elezioni anticipate fossero utilissime a tutti i maggiori partiti, per far slittare il referendum sul
divorzio: sia la DC sia il PCI non erano pronti3.
La DC doveva bloccare l’emorragia a destra dei suoi voti e la campagna elettorale fu in
questo senso4. La strategia missina dell’epoca stava avendo effetto, e stava attraendo pezzi
importanti di elettorato democristiano: a sostegno del Movimento Sociale Italiano si erano
schierati Giovanni De Lorenzo, deputato monarchico ed ex comandante dei Carabinieri, Gino
Birindelli, comandante delle forze navali Nato nel sud Europa, Mario Nastri, comandante di
fregata e molti altri personaggi di spicco5. Tanto è vero che era molto nota all’epoca la frase
“gli unici a sventolare il tricolore sono i missini”, visto che ormai la DC sembrava essere
venuta meno alla sua funzione di diga contro i comunisti6. Secondo la DC bastava far
“squillare le trombe per far tornare gli elettori democristiani delusi alla loro casa naturale”. E
Andreotti era il personaggio perfetto per cercare di calamitare questi voti.
Le elezioni si svolsero il 7 maggio 1972 e la società e la politica erano preoccupate. “Vi
sarebbe stato pericolo grave, se l’elettorato si fosse spostato a destra o a sinistra”, e alcuni
consideravano la tornata elettorale “decisiva per il destino di una generazione”7.
Le elezioni videro tenere, di fatto, quasi tutti i partiti tradizionali8: la DC prese il 38,7% ( 266
seggi alla Camera, 135 al Senato), il PCI al 27,1% (179 deputati e 91 senatori), i socialisti al
9,6% ( 61 deputati e 33 senatori) e i social-democratici al 5, 1% (29 deputati e 11 senatori) .
Il PRI aumentò considerevolmente la propria forza (2,9%) e guadagnò 15 deputati e 5
senatori; sparirono di fatto i social-proletari e i Liberali, guidati da Malagodi9, persero un
terzo dei loro seggi (3,9% e ricevettero 20 deputati e 8 senatori). Fu notevole il temuto balzo
in avanti della nuova forza politica, Destra Nazionale10 (8,7%), che univa il MSI e i
monarchici, che arrivò a 56 deputati e 26 senatori . Fu una vera Caporetto invece, per tutti gli
altri partiti dell’estrema sinistra, che preoccupavano molto, però, tutti i protagonisti delle
elezioni. Gli altoatesini guadagnarono 3 deputati e due senatori. Andreotti ottenne 367.235
3
G. Mammarella, P. Cacace, Il Quirinale. Storia politica e istituzionale da De Nicola a Napolitano, Laterza,
Roma-Bari 2011, p. 158.
4
M. Franco, Andreotti. La vita di un politico, la storia di un’epoca, Mondadori, Milano 2010 pp. 92 e ss.
5
Ibid.
6
Ibid.
7
G. Trovati, Primo Bilancio,in <<La Stampa>>, 9 maggio 1972, p. 1.
8
Dati tratti dal sito del Ministero dell’Interno, sezione Archivio storico delle elezioni.
9
La figura di Giovanni Malagodi è descritta egregiamente nel breve Giovanni Malagodi e la questione liberale
nell’Italia repubblicana, Rubettino, Soveria Mannelli (CZ) 2002.
10
Nel testo che segue questa forza politica, per chiarezza e immediatezza sarà chiamata con il nome storico, cioè
quello di MSI.
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2
voti11 (più quelli a Napoli dove era capolista) di preferenza e divenne chiaro a chi affidare il
tentativo per formare il governo.
Le elezioni prefigurarono subito due scelte: o il ritorno al centro-sinistra12 o un’inversione a
destra, con PLI, PSDI, PRI e DC (che in realtà parlò sempre di centrismo o centralità 13).
Molti commentatori politici ritennero tutte le scelte di non facile attuazione, nessun partito
infatti, tranne i repubblicani, presentava un volto unitario e vi poteva essere pericolo di
dissensi interni per le numerose correnti (il PCI ufficialmente non ne aveva). Addirittura
Almirante si propose come alleato della DC, chiedendosi “con quali voti la DC avrebbe
mantenuto le sue promesse” se non con quelli della destra14.
Fu subito esclusa la possibilità di un governo monocolore15, anche alleanze estreme (per la
verità molto improbabili) furono mal viste16, ma anche la strada centrista appariva molto
impervia, per via della ristrettezza dei numeri. Famosa restò la frase di Tanassi (PSDI): “Se
qualche senatore si ammala, il governo è in minoranza”. Fausto De Luca, dopo un incontro tra
i leader dei socialdemocratici, del PRI e del PLI, fu uno dei primi a prevedere, un governo
DC, PRI, PSDI con appoggio esterno del PLI e PSI, una previsione che sarebbe andata vicino
alla realtà. Forlani provò a convincere De Martino e Mancini (presidente e segretario del PSI)
a sostenere un monocolore DC fino all’autunno, tempo di congressi, ma si evinse che c’era
questa possibilità, solo se i liberali si fossero tirati fuori17. La Malfa (PRI), intanto, disse di
volere solo un governo a 5.
Intanto nella DC ci furono malumori per la designazione dei capi-gruppo in Senato e alla
Camera: furono eletti, infatti, Piccoli e Spagnolli, appartenenti alla stessa corrente (dorotea di
Rumor-Piccoli).
Prima dell’inizio ufficiale della VI legislatura, il 17 maggio, fu ucciso il commissario
Calabresi, evento che sdegnò tutta la società e fece dimenticare per qualche giorno i problemi
politici e forse, nel silenzio generale, aiutò la composizione di una maggioranza per
11
M. Franco, op. cit, p. 97.
Cfr. C. Casalegno, Che cosa fare con questi voti?, in <<La Stampa>>, 11 maggio 1972, p. 1 ma Mancini
riteneva non praticabile la scelta con un PSI “umiliato”, anche se Luigi Granelli (DC) sostenne che “l’esperienza
(del centro-sinistra) di questi anni non può essere passata invano” e auspicava “un centro-sinistra più
omogeneo, efficace nell’azione, dotato di respiro strategico e di fiducia in sé stesso, che non cada
nell’assemblearismo”.
13
G. Mammarella, P. Cacace, op. cit., p. 159.
14
F. De Luca, Schermaglie tra DC e PSI per il possibile governo, in << La Stampa>>, 13 maggio 1972, p. 1.
15
G. Trovati, PSDI e PRI non vogliono un governo monocolore, in <<La Stampa>>, 14 maggio 1972, p. 1.
16
A. Levi, L’osservatorio, in <<Stampa Sera>>, 16 maggio 197, p. 2.
17
G. Trovati, Andreotti sarà il primo candidato al governo? , in <<La Stampa>>, 27 maggio 1972, p. 2.
12
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3
contrastare la pericolosa situazione di crisi dell’ordine sociale18, che era stata decisiva per la
crescita missina.
2)
Inizia la VI legislatura. Le consultazioni di Leone
Il 25 maggio, primo giorno di legislatura, furono rieletti, con ampia maggioranza, i presidenti
uscenti di Camera e Senato: Pertini e Fanfani19.
Il 30 maggio il Presidente Leone iniziò le Consultazioni, decisive per “smussare le asprezze
della troppo lunga campagna elettorale”20. Apparve subito chiaro, come già accennato, che il
primo a ricevere l’ incarico sarebbe stato Andreotti21. Secondo le voci dell’epoca ci fu un
tacito accordo secondo il quale se Andreotti avesse accettato di guidare l’esecutivo di
minoranza a febbraio, che di fatto non poteva governare, la DC e Leone gli avrebbero
conferito l’incarico per provare a governare dopo le elezioni.
I primi ad essere consultati furono i presidenti della Repubblica emeriti (Saragat 22 e Gronchi),
con i presidenti delle camere in carica (Pertini e Fanfani) e passati, e anche gli ex-presidenti
del Consiglio dei Ministri. Dopo una pausa (per il Corpus Domini e la Festa della Repubblica,
giovedì 1 e venerdì 2 giugno), sabato 3 ci furono le consultazioni politiche con i
rappresentanti delle forze parlamentari. La Democrazia Cristiana, per bocca del segretario
Forlani, affermò “di essere alla ricerca della collaborazione degli altri partiti democratici,
non ponendo preclusioni pregiudiziali”, aprendo di fatto a un governo nel quale
partecipassero anche i liberali. Nella DC però molte erano le anime: chi puntava al
monocolore, chi spingeva per il centro-sinistra (Donat-Cattin) e chi invece voleva tenere
aperte tutte le porte, dal PLI al PSI.
I social-democratici, come già detto da Saragat, e come confermato da Tanassi, ritenevano
che “andasse fatto un tentativo per ridare vita alla politica di centro-sinistra fondata su una
maggioranza autonoma e autosufficiente”.
Malagodi, leader dei liberali23, affermò “è necessaria e urgente una soluzione della crisi”
tramite il rilancio dell’economia e del sistema democratico “e tali obiettivi non sono
18
Il 31 maggio successivo vi fu, inoltre, la strage di Peteano, frazione di Sagrado (GO) dove persero la vita tre
carabinieri per una auto-bomba.
19
Pertini fu eletto con 519 voti, contro 93 bianche e tre nulle, mentre Fanfani ebbe 212 voti, contro 103 bianche
e 3 nulle.
20
G. Trovati, Andreotti sarà il primo candidato al governo?, cit.
21
Secondo i cronisti dell’epoca se Andreotti non fosse riuscito a formare il governo, l’incarico sarebbe stato
assegnato a Mariano Rumor.
22
Saragat a nome del PSDI confermò l’ostilità a un monocolore DC, ma non consigliò neppure la formula
“centrista”.
23
Per approfondire la storia del Partito Liberale Italiano, G. Orsina, il Partito Liberale nell’Italia Repubblicana,
Rubettino, Soveria Mannelli (CZ) 2004.
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compatibili con situazioni ambigue o provvisorie, richiedono un governo organico di
centralità”.
Mancini (PSI), ribadì che il voto aveva respinto ipotesi centriste. Berlinguer (PCI) dichiarò
che “ la situazione del Paese non consente soluzioni provvisorie o comunque precarie”
(monocolore DC o centrismo). Almirante (MSI) è stato l’unico a mostrare qualche apertura al
monocolore DC.
La Malfa (PRI) riscoprì il c.d. governo “del direttorio”: un esecutivo di cui facessero parte i
segretari di tutti i partiti, dal PRI al PSDI e dal PLI al PSI, per la salvaguardia degli
ordinamenti democratici.
Per ultimi, Leone risentì i presidenti Emeriti Saragat e Gronchi e si recò da Segni24.
La sera del 4 giugno Leone diede l’incarico, senza nessuna specificazione per la
composizione del governo25, ad Andreotti, che si riservò di accettare26. Il Presidente
incaricato dichiarò appena uscito dal colloquio: “Accanto alle esigenze di una buona
amministrazione e di una politica di riforme sagge, il governo deve far fronte a tre compiti
molto impegnativi: 1)una forte ripresa economica, anche a garanzia dei miglioramenti
contrattuali dell'autunno e come condizione di maggior vigore della politica meridionalistica;
2)una più efficace prevenzione della criminalità e di ogni tipo di violenza; 3) una
partecipazione sempre più viva dell'Italia alle iniziative di solidarietà e dì pace
internazionale come il vertice europeo e la preparazione della conferenza per la sicurezza. In
un momento difficile, dopo lo scioglimento anticipato delle Camere, abbiamo fatto agli
elettori un discorso piuttosto chiaro e preciso. Si tratta ora di rimanere fedeli alle promesse
di chiarezza democratica e di efficienza governativa. Su queste linee cercherò dì condurre in
porto l'incarico che il Presidente della Repubblica ha voluto affidarmi”27. Subito dopo,
Andreotti si è recò prima al Senato e poi alla Camera per informare Fanfani e Pertini
dell'incarico ricevuto.
Il richiamo all’ordinamento democratico diventò veramente un collante quando Almirante
invitò i suoi elettori a “surrogare lo Stato, se il governo continuerà a venir meno alla sua
24
Il Presidente emerito Segni era, come noto, malato e Gronchi lo visitò nella sua casa romana.
Leone evitò sempre di condizionare le scelte del presidente incaricato al tipo e alla formula del governo (come
faceva invece Saragat) e lasciava alla responsabilità dell’incaricato e al negoziato tra i partiti la decisione sulla
formula di governo. Cfr. G. Mammarella, P. Cacace, op. cit., p. 158.
26
Riporto la dichiarazione dell’avv. Picella, segretario generale del Quirinale: “II Presidente della Repubblica
ha ricevuto, questa sera alle 20, al palazzo del Quirinale, l'on. Giulio Andreotti. al quale ha affidato l'incarico di
formare il nuovo governo. L'on. Andreotti si è riservato di accettare”.
27
Dichiarazione di Andreotti del 4 giugno 1972 alla Sala stampa presso il Quirinale.
25
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5
funzione di Stato” e “a prepararsi allo scontro fisico con i Comunisti”28. Il discorso, tenuto a
Firenze29, ebbe una funzione unificante30, visto che tutti i partiti risposero alle parole di
Almirante con fermezza e richiamando il pericolo di un nuovo 192231.
Martedì 6 giugno ci fu la direzione DC, che si concluse a notte fonda. Fu una riunione che
fece notare una certa divisione interna: Forlani indicò l’apertura alla maggioranza a cinque e
questa fu l’ipotesi più votata. La corrente di Donat-Cattin ( “Forze nuove”) si astenne,
votarono favorevolmente i morotei e la « Base », seppur con riserve, in attesa d'una nuova
seduta della direzione democristiana. I morotei e le correnti di sinistra riproposero il Centro
Sinistra, osservando che la DC aveva fatto la campagna elettorale chiedendo che le fosse data
l'opportunità di scegliere tra governo di Centro e governo di Centro Sinistra, mentre la
maggioranza a cinque era il rifiuto di ogni scelta. Dalla riunione della direzione emerse anche
l’ipotesi del governo monocolore che consentisse di attendere i congressi DC e PSI
dell'autunno, per giungere alla fine dell’ anno ad una vera scelta fra Centro Sinistra e Centro.
Andreotti, d'accordo sulla trattativa a cinque, non si impegnò su nessuna formula. Le persone
a lui vicine fecero sapere che ovviamente il presidente incaricato si sarebbe ridotto al
monocolore solo se ogni altra via fosse risultata preclusa. Andreotti voleva un governo di
coalizione, anche perché con il monocolore si sarebbe cambiato, quasi certamente, anche il
presidente del Consiglio incaricato.
In quei giorni si tenne anche il comitato centrale socialista, da cui emerse la sostanziale
unanimità del partito nel rinnovare l'indicazione della politica del governo di Centro Sinistra e
nel confermare l'opposizione al monocolore DC, al governo di emergenza a cinque (con
socialisti e liberali insieme) e a ogni versione di governi centristi.
3)
I Colloqui di Andreotti: il via libera al ritorno del “centrismo”.
L’8 giugno Andreotti iniziò i colloqui con i partiti. I primi furono i socialdemocratici e
Tanassi disse che “non s'è discusso di governi di Centro, ma la nostra direzione non ha
escluso la costituzione di un governo di solidarietà democratica se non si verificano le
28
L. Furno, Una decisa reazione di tutti i gruppi al minaccioso discorso di Almirante, in <<La Stampa>>, 6
giugno 1972, p. 1.
29
Nel capoluogo toscano si tenne, in risposta delle parole del leader missino, una manifestazione antifascista
pacifica, mentre a Roma alcune molotov vennero lanciate contro la sede del MSI di via Gela.
30
Per comprendere il legame tra i movimenti di questi anni, la piazza e gli scontri, P. Zavaroni, Caduti e
Memoria nella lotta politica, Le morti violente nella stagione dei movimenti, Franco Angeli Editore, Milano
2010.
31
Durissimo fu l’articolo di C. Casalegno, Le minacce al nostro Stato, in <<La Stampa>>, 6 giugno 1972, p. 1
dove si affermava che “Almirante ha deposto la maschera di perbenismo indossata durante le elezioni […] e ora
lo vediamo con il suo volto autentico di fascista repubblichino, complice dei nazismi, manganellatore e
antisemita”.
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condizioni per il Centro Sinistra”, e il PSDI poneva come base per il centro-sinistra,
un’alleanza identica anche negli enti locali.
La Malfa (PRI) apprezzò l'esposizione programmatica di Andreotti, trovando che “in linea di
massima esprime la preoccupazione sui problemi che noi abbiamo dibattuto”. La Malfa disse
d'aver esposto la convinzione del PRI che la situazione d'emergenza del Paese richiedeva un
governo di cui facessero parte “tutti i partiti dell'arco democratico” (governo a cinque).
Quanto al monocolore, “noi lo escluderemmo in quanto non lo riteniamo idoneo a risolvere i
problemi che ci sono dinanzi”. Secondo l’esponente repubblicano per il governo serviva una
DC unita, anche se le forze di sinistra della Democrazia-Cristiana sottolinearono che non
avrebbero partecipato a un governo con il PLI senza il PSI.
La delegazione del PSI pose una condizione importante prima di intavolare qualsiasi discorso:
decidere tra centrismo e centro-sinistra, si poneva una pregiudiziale politica prima di parlare
di programmi.
Malagodi (PLI) affermò subito che con la DC “c’era un’ampia area di concordanza” e
puntava al “centrismo e alla solidarietà democratica”, anche se il PSI, di fatto, aveva posto
un veto contro i liberali. Malagodi escluse anche un’ipotesi molto importante (che poi si
sarebbe realizzata), il tripartito con appoggio esterno del PRI.
Gli altoatesini (3 voti alla Camera e 2 al Senato) manifestarono apprezzamenti al programma
andreottiano.
L’ultima consultazione fu con la DC, con la quale si doveva decidere la linea del negoziato,
anche se, di fatto, la decisione fu rimandata al congresso DC, che avrebbe dovuto scegliere tra
il centro-sinistra e il centro. Il 14 giugno il Congresso invitò Andreotti a tentare un governo a
quattro (con PSDI, PLI e PRI). Moro (più duramente), Colombo e Rumor espressero i loro
dubbi per la svolta centrista32. Secondo qualche autore la soluzione “centrista” era supportata
da Fanfani, tanto da parlare di “fanfascismo” incarnato nel successivo governo AndreottiMalagodi33.
Andreotti incontrò Tanassi, Beroldi (PSDI), Malagodi e La Malfa, ma decisivo fu il Consiglio
nazionale repubblicano del 17 giugno: ci fu il via libera a un governo DC, PSDI, PLI con
l’appoggio esterno del PRI34, ipotesi che veniva considerata come la più debole per la tenuta
Inizialmente la spaccatura della DC poteva far crollare l’ipotesi tripartita, visto che La Malfa poneva come
condizione per l’appoggio al governo una DC totalmente unita, anche per evitare problemi per la già risicata
maggioranza. Andreotti rispose che “è inimmaginabile pretendere l’unanimità in sede interna”.
33
G. De Luna, Le ragioni di un decennio: 1969-1979 Militanza, violenza, sconfitta, memoria, Feltrinelli, Milano
2009.
34
I voti furono 59 voti favorevoli, 4 contrari e 11 astenuti.
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del futuro governo (i socialisti subito affermarono che l’esecutivo si sarebbe retto sugli umori
di La Malfa).
Il 19 giugno Andreotti incontrò i vertici del PSDI (Tanassi), del PRI (La Malfa), del PLI
(Malagodi) e della DC (Forlani), per l’esame del programma di governo, ma i
socialdemocratici erano a un bivio: appoggiare il governo o tentare l’avvicinamento ai
socialisti35 (linea che doveva seguire alla sostituzione del precedente segretario Ferri con
Tanassi)? La risposta sarebbe arrivata solo con il congresso. Anche nella DC, l’area di sinistra
era in disaccordo con Andreotti36 (non avrebbe partecipato al governo e De Mita si dimise dal
direttivo DC) e già si pensava all’eventuale fallimento con la successiva remissione del
mandato a Leone.
Il congresso PSDI del 21 giugno all’unanimità approvò il governo DC-PSDI-PLI con
l’appoggio esterno del PRI, ma il dibattito fu teso: Saragat affermò che questa è “la peggior
soluzione prospettata non la migliore, anzi è la peggiore di tutte quelle possibili. Ad essa è
preferibile anche il monocolore”, Ferri dichiarò che questa è una “soluzione contingente di
necessità”37 non una scelta politica e Tanassi era certo che “con il PSDI al governo si lascia
una porta aperta al PSI per tutelare gli interessi dei lavoratori e per condurre una lotta
aperta al neo-fascismo”.
Con il via libera del PSDI il “triciclo con mezza ruota di scorta”, come definito dall’Espresso,
poteva partire con l’obiettivo principale di arrestare il distacco dell’Italia dall’Europa politica
ed economica.
Il 25 giugno Andreotti sciolse ufficialmente la riserva e consegnò a Leone la lista dei
ministri. Il giorno dopo alle 11.30 il governò giurò ed entrò ufficialmente in carica. I membri
dell’esecutivo erano 26 di cui 17 DC, 5 PSDI, 4 PLI. I ministeri più importanti furono affidati
a Malagodi, leader liberale, a cui andò il Tesoro, Tanassi, (PSDI) che ottenne la Difesa e la
vice-presidenza del Consiglio, Rumor (Interno), Gonnella (Giustizia), Scalfaro (istruzione) e
Taviani (Bilancio), tutti DC. Fu anche costituito, per la prima volta, il Ministero della
Linea sostenuta per esempio da Romita che si rammaricava che “le possibilità di ripresa del Centro-Sinistra
siano cadute, almeno per ora” e criticava la sinistra DC “per aver avallato una campagna elettorale totalmente
spostata a destra”. Anche Nenni invitò il PSDI a non a partecipare a un governo centrista di svolta a destra.
36
Moro scrisse successivamente queste parole ad Andreotti: “Ho voluto riflettere e consultare gli amici. Ed ora
debbo sciogliere, la riserva in senso negativo, anche per il piccolo gruppo dei miei amici. A parte il mio
desiderio, dopo lunga azione di governo, di svolgere attività politica e parlamentare, c'è una ragione di
coerenza che ci impone di testimoniare in questo modo che la prospettiva di Centro Sinistra è aperta. Mi
dispiace di dare proprio a te questa risposta. Mi dispiace di lasciare il ministero degli Esteri, nel quale ho avuto
l'onore di lavorare con grande passione e soddisfazione. La situazione è quella che è. Spero che tu voglia
comprendermi. E' superfluo assicurarti la nostra assoluta lealtà.”.
37
Da queste parole prese spunto C. Casalegno, Nello stato di necessità, <<La Stampa>>, 22 giugno 1972, p. 1.
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Gioventù38 (che Andreotti aveva sempre fortemente voluto) e fu affidato a Giulio Caiati (DC).
Questo ministero, piccolo e settoriale, era gradito alle organizzazioni cattoliche e utile al
CONI.
Il 4 luglio finalmente Andreotti si presentò alla Camera e al Senato con un discorso39 nel
quale difese la coalizione di governo, ammettendo anche un’eventuale e futura apertura ai
socialisti che “hanno ritenuto di escludersi, per pregiudizi, da questo sforzo comune”. Il
presidente del Consiglio sosteneva poi di guidare un esecutivo “non limitato nel tempo, né
balneare, né in attesa dei congressi di autunno”.
La situazione, disse, “è di
grande
straordinarietà, tale da giustificare la cooperazione di forze diverse, con il sacrificio di ciò
che e particolare, anche se legittimo: si tratta di far uscire l'economia da uno stato critico,
alimentato forse più da elementi psicologici e politici che non da condizioni tecniche
insuperabili per difficoltà”. Il presidente poi disse “ no al comunismo, anche se permane il
rispetto individuale verso uomini che nel momento della prova anteposero alla propria
esistenza e ad ogni altra considerazione la testimonianza verso le idee in cui credevano”, e
sottolineò la distanza dal fascismo, “perché su questo ripudio si basa la nuova convivenza
civile degli italiani”40.
Nel programma Andreotti inserì la scuola41, la giustizia, il lavoro42, l’ ordine pubblico43 e
soprattutto l’economia44 e la finanza45. Andreotti concluse affermando che “tutto cospira a
M. Franco, op. cit., p. 99 e ss, affronta l’importanza strategica di questo ministero.
Atti parlamentari della Camera dei Deputati, 3° seduta della VI legislatura, 4 luglio 1972, pp. 82 e ss.; Atti
parlamentari del Senato della Repubblica, 3° seduta della VI Legislatura, 4 luglio 1972.
40
Andreotti ha respinto, inoltre, l'affermazione che sia impossibile la lotta politica su due fronti (fu una risposta
implicita a chi lo accusò che sarebbe stato costretto necessariamente a ricorrere o prima o poi all'aiuto
condizionante della destra): “Non accettiamo questa limitazione, possiamo rimanere al nostro posto, per poco o
per lungo tempo, ma quel che conta è il non dimenticare mai quest'esigenza assolutamente preliminare di difesa
attiva della nostra democrazia”.
41
“Dobbiamo considerarla prima ancora che come scelta politica, come un problema di cui ciascuno di noi ha
modo di verificare in famiglia le luci e le ombre. La preoccupazione dominante è di restituire alla scuola il
clima di serietà e di serenità ed evitare che gl'interventi immediati si traducano in misure episodiche e
occasionali, di pregiudizio ad un disegno unitario di riforma”.
42
A. Didone, Processo civile competitivo, UTET Giuridica, Assago (MI) 2010 a p. 1 afferma che “il Governo
Andreotti-Malagodi ha introdotto una delle riforme processuali del lavoro maggiormente ispirate alla tutela del
soggetto più debole del rapporto di lavoro: il lavoratore”.
43
“La crudele freddezza con la quale sono state concepite e attuale alcune azioni criminose denuncia l’
intensificarsi e radicalizzarsi dell'attività delittuosa e una crescente azione eversiva di gruppi estremisti, sui
quali occorre far luce in tutte le implicazioni interne e internazionali”.
44
Per quanto riguarda la politica economica interna, “la linea maestra è rappresentata da una vigorosa azione
pubblica che rilanci l'economia, orientandola verso i tre obiettivi fondamentali della programmazione [ in realtà
secondo M. Caronna, L’economia italiana oggi, Jaka Book, Milano 1980, p. 42 il governo Andreotti-Malagodi
effettuò scelte opposte al modello keynesiano: “si è premuto l’acceleratore della spesa pubblica in momenti di
netta crescita degli investimenti, si son chiuse le borse nei momenti della recessione” e questo aumentò
l’inflazione, Cfr. anche E. Macaluso, 50 anni di PCI, Rubettino, Soveria Mannelli 2003, pp. 218-219] : 1) piena
occupazione, 2) attenuazione del divario tra Mezzogiorno e restanti regioni d'Italia, 3) miglioramento del
quadro di vita sociale. L'industria italiana lamenta una crisi di produttività e una scarsa utilizzazione
degl'impianti in continuo aggravamento, di conseguenza l'aumento dei costi di produzione riduce il margine di
38
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suscitare preoccupazioni, ma volgendo indietro lo sguardo nelle ormai quasi trentennali
vicende dell'Italia repubblicana, constatiamo che i momenti non difficili sono stati ben pochi:
eppure ogni volta si sono trovate le soluzioni adatte, attraverso una dialettica politica della
quale il Parlamento è sempre stato la più feconda e costruttiva espressione”.
Il discorso fu apprezzato da liberali, repubblicani46, social-democratici47 e gran parte della
DC. Il PSI48, il PCI e Donat-Cattin49 furono molto critici, mentre il MSI restò abbastanza
neutro50.
Il 7 luglio la Camera diede la fiducia al governo con 329 voti favorevoli e 288 contrari51. Il
13 luglio il Senato con 163 sì e 155 no, concesse la fiducia52. Il Governo AndreottiMalagodi53 poteva finalmente partire. I numeri erano risicati, “però – disse Andreotti- non
eravamo in grado concretamente di adottare una soluzione diversa. È quindi nell'unico modo
possibile che veniamo ad offrire la nostra forza, direi quanto basta, come si dice in alcune
ricette mediche, ma con piena lealtà”.
Gli ostacoli per il “party center cabinet coalition”54 furono subito evidenti. Alla Camera, per
esempio, Donat-Cattin fu eletto presidente della Commissione Bilancio con i voti di PSI, PCI
competitività sul mercato internazionale e crea uno squilibrio tra costi e ricavi, che si traduce in una riduzione
degli ammortamenti e delle possibilità concrete d'autofinanziamento. […]Tra gli elementi negativi vanno
ricordati il lungo tempo che normalmente intercorre tra la decisione d'un investimento e la sua realizzazione e
il fenomeno dell'assenteismo che incide sul calo o sulla stagnazione della produttività, nonché sulla
sottoutilizzazione degl'impianti”.
45
La linea era “finanziamento pubblico di piani di sviluppo e ricerca al miglioramento dei sistemi di credito,
specie alle medie e piccole imprese e in particolare per le esportazioni, agli aumenti del fondo di dotazione per
enti a partecipazioni statali”.
Andreotti accennò, inoltre, all'agricoltura, all'edilizia, alla sanità, ai trasporti. Anche per l'agricoltura il governo
prevedeva dieci punti, dal sostegno del mercato nell'ambito dei regolamenti comunitari alla revisione della legge
sui fitti rustici. Per l'edilizia il presidente del Consiglio ha ricordato che il nostro Paese dal 1966 si è collocato
all'ultimo posto nella graduatoria europea delle abitazioni ultimate, in rapporto alla popolazione, mentre era
salito al quinto posto nel '62.
46
La Malfa apprezzò soprattutto il fatto di aver marcato le distanze dal MSI.
47
Orlandi dichiarò che era un “programma né velleitario né elusivo”.
48
Da segnalare l’affermazione di Bettino Craxi “Questo è una gracile governo di serie B”. Cfr. M. Franco,
Andreotti, op. cit. p. 97.
49
Il democristiano affermò infatti che “manca un disegno politico complessivo, ma ogni punto del programma
ha la chiara tendenza a tornare indietro”.
50
Almirante intervenne auspicandosi “che Andreotti duri come la lunghezza del suo discorso”.
51
In quel momento il plenum della Camera dei Deputati era composto da 629 membri, non essendo stato eletto,
ancora, il rappresentante della Valle D’Aosta.
52
Mancavano Segni e Montale per motivi di salute e il democristiano Biaggi. Molto interessante l’articolo di A.
Ronchey, Tre di troppo?, in <<La Stampa>>, 14 luglio 1972, p. 1.
53
Nome con il quale passerà alla storia, a dimostrazione dell’importanza strategica dei Liberali e del carisma del
loro leader. P. Sansonetti, La Sinistra è di Destra, Rizzoli, Milano 2013 lo definisce “uno dei governi più a
destra della Repubblica”.
54
Così definito negli Stati Uniti d’America, in A. Giovagnoli, S. Pons (a cura di), L’Italia repubblicana nella
crisi degli anni 70:Tra guerra fredda e distensione, Rubettino, Soveria Mannelli (CZ) 2003, pag. 100.
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e sinistre DC, mentre il candidato della maggioranza era il social-democratico Preiti55. Ma
anche in altre commissioni si ebbero problemi, sia
per il mancato raggiungimento del
quorum, sia perché per l’elezione di molti candidati furono decisivi i voti del MSI
(determinanti, ad esempio, per l’elezione del sen. Togni nella Commissione Lavori Pubblici
del Senato).
4)
Crisi del governo Andreotti II. Conclusioni
Il governo si dimise il 12 giugno 1973, ma restò in carica per gli affari correnti fino al 7
luglio 1973, quando giurò il Rumor IV.
Andreotti dovette dimettersi perché
i repubblicani fecero mancare l’appoggio esterno
all’esecutivo. La scintilla che fece scoppiare l’incendio fu il caso di “TeleBiella”, una rete
televisiva che trasmetteva via cavo e stava diventando abbastanza seguita e imitata. La
reazione della Rai e del mondo politico non si fece attendere. Il governo emanò il "Testo
unico in materia di comunicazioni" (DPR n. 156/1973), che unificava tutti i mezzi di
comunicazione a distanza in una sola categoria, rendendo così illegali i canali privati via cavo.
Il ministro delle Poste, Giovanni Gioia, dispose la disattivazione dell'impianto di
“TeleBiella”,
diffidandola
a
procedere
entro
dieci
giorni
(“decreto
Gioia”56).
La questione divenne di rilevanza politica nazionale perché il segretario del Partito
repubblicano, Ugo La Malfa, protestò per essere stato tenuto all'oscuro dell’operato
governativo e chiese le dimissioni del ministro Gioia. Non le ottenne (“Quando uno firma
qualcosa non può non assumersene la responsabilità” fu la dichiarazione di Andreotti,
riguardante il D.P.R. 156/1973 e la richiesta del leader repubblicano) e il 28 maggio ritirò
l'appoggio esterno al governo presieduto da Giulio Andreotti, che dichiarò “Noi avevamo il
dovere d’impedire che, senza autorizzazione amministrativa, si potessero installare impianti
televisivi, anche modesti”57. Che il governo rischiasse su questo tema era già chiaro quando la
discussione su questo argomento venne anticipata a fine maggio anziché all’11 giugno, giorno
successivo al congresso DC, come voleva l’esecutivo.
Il governo non venne formalmente sfiduciato e Andreotti fece solo un “colloquio
informativo” con Leone58, ma, come logico, il congresso DC doveva decidere il
Donat-Cattin si dimise subito, ma fu subito evidente la fragilità della maggioranza. Anche per l’elezione del
successore, Luigi Preti (PSDI), si crearono problemi: Donat-Cattin non votò (entrò in ritardo) e il MSI fu
decisivo per l’elezione del social-democratico.
56
Il ministero delle Poste attese inutilmente il termine del 1° giugno; i titolari non ottemperarono l'ordine,
quindi fu eseguito il decreto: il cavo che collegava l'emittente alla rete cittadina venne tagliato.
57
<<La Stampa>>, 29 maggio 1973, p. 1.
58
C. Casalegno, Andreotti non vuole offrire le dimissioni, in <<La Stampa>>, 30 maggio 1973, p. 1.
55
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comportamento della “Balena Bianca”. Il Congresso approvò il documento di Fanfani che, di
fatto, faceva tornare al centro-sinistra con un governo guidato da Rumor aperto al PSI.
Solo Forlani, segretario dimissionario, non era convinto e difese il governo Andreotti e
propose un governo di transizione, appoggiato solo all’esterno dal PSI, ma poi si adeguò alla
maggioranza.
Il 12 giugno Andreotti convocò il Consiglio dei ministri per comunicare che “presi contatti
con tutti i partiti che hanno appoggiato l'attuale governo[...] è emersa la necessità di una
verifica politica di fondo per la quale si è ritenuta necessaria l’ apertura della crisi
ministeriale”59. Subito dopo si è recato dal Presidente della Repubblica per rassegnare “le
dimissioni sue e dei suoi colleghi ministri”, comunicate immediatamente alla Camera e al
Senato.
Il governo Andreotti II, dopo 10 anni di centro sinistra rappresentò una svolta, un ritorno al
centrismo, ma un ritorno che non teneva conto, come osservò Moro, che i tempi erano mutati
e che i liberali, che durante i governi di centro con De Gasperi avevano pur permesso un
continuo avanzamento, adesso potevano essere una zavorra.
Il governo era nato debole perché contestato dalle sinistre democristiane (le tre correnti di
“Forze nuove”, della “Base” e degli “Amici di Moro”), che non avevano voluto partecipare
con propri esponenti. La non partecipazione delle sinistre democristiane aveva indotto i
repubblicani a limitare il loro appoggio dall'esterno.
Andreotti si era proposto di fare una onesta amministrazione da “buon padre di famiglia: più
che mettere nuova carne al fuoco egli avrebbe voluto poter cuocere quella, ed era tanta, che
già avevano messo, confusamente, i passati governi”60. Tentò di seguire un criterio
pragmatistico, ma alla fine affermò “come si può lavorare se già le forze politiche cercano
un’ altra formula?”.
Andreotti aveva detto, all'inizio del suo mandato, che si sarebbe dimesso soltanto per una
mozione di sfiducia del Parlamento o se il suo partito gli avesse tolto l'appoggio. Forte di
questo impegno è rimasto, anche se per 13 volte si è visto mettere in minoranza dal
Parlamento. Andreotti ha voluto rendere il suo governo meno sensibile agli umori esterni e
soprattutto agli umori dei franchi tiratori.
Perché allora ha aperto la crisi senza dibattito in Parlamento? A questa domanda ha risposto
Malagodi nel corso del Consiglio dei ministri del 12 giugno: sarebbe stata una perdita di
tempo.
59
60
G. Trovati, Le dimissioni di Andreotti, in <<La Stampa>>, 13 giugno 1973, p. 1
Ibid.
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Infatti, velocemente, si passò al Rumor IV.
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