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Quaderni Internazionali di RION 4 RION International Series 4 [LESSICO E ONOMASTICA 4] Lessicografia e onomastica nei 150 anni dell’Italia unita Atti delle Giornate internazionali di Studio Università degli Studi Roma Tre 28-29 ottobre 2011 a cura di Editors PAOLO D’ACHILLE – ENZO CAFFARELLI SOCIETÀ EDITRICE ROMANA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI ROMA TRE DIPARTIMENTO DI ITALIANISTICA QUADRION 4 (2012) Quaderni Internazionali di RION 4 RION International Series 4 [Lessico e onomastica 4] Lessicografia e onomastica nei 150 anni dell’Italia unita Atti delle Giornate internazionali di Studio Università degli Studi Roma Tre 28-29 ottobre 2011 Lexicography and Onomastics in the 150 years of the Unified Italy Proceedings from the International Study Days University of Roma Tre October, 28th-29th 2011 a cura di Paolo D’Achille – Enzo Caffarelli editors SOCIETÀ EDITRICE ROMANA Supplemento al nº XVIII (primo semestre 2012), 1 di RION «Rivista Italiana di Onomastica» Lessicografia e onomastica nei 150 anni dell’Italia unita Atti delle Giornate internazionali di Studio Università degli Studi Roma Tre 28-29 ottobre 2011 Lexicography and Onomastics in the 150 years of the Unified Italy Proceedings from the International Study Days University of Roma Tre October, 28th-29th 2011 Parole chiave: antonomasia, antroponimo, crematonimo, deonimico, deonomastica, dizionario, eponimo, etnonimo, fraseologia, lessicalizzazione, lessicografia, nome proprio, odonimo, Risorgimento, soprannome, titolo, toponimo, Unità d’Italia. Key words: anthroponym, antonomasia, chrematonym, deonomastics, deonymic, dictionary, eponym, ethnonym, lexicalization, lexicography, phraseology, proper name, Risorgimento, street name, title, toponym, Unità d’Italia. Curatori/Editors: Paolo D’Achille / Enzo Caffarelli Organizzatori delle Giornate di Studio: Dipartimento di Italianistica, Università degli Studi Roma Tre in collaborazione con RION «Rivista Italiana di Onomastica» Organisers of the Study Days: The Department of Italian Studies, University of Roma Tre in collaboration with RION «Rivista Italiana di Onomastica» Il volume è stato co-finanziato dal Dipartimento di Italianistica, Università degli Studi Roma Tre. This volume was co-financed by the Department of Italian Studies, University of Roma Tre. © Società Editrice Romana (SER) 2012 piazza Cola di Rienzo 85, I-00192 Roma +39.06.36004654 – Fax +39.06.36790123 – E-mail: ordini@editriceromana.it – Web: www.editriceromana.com Stampato in Roma nel giugno 2012 dalla STR Press, via Carpi 19, I-00040 Pomezia. ISSN 1124-8890 Acquisto del volume: € 45,00 sul conto corrente postale nº 16423006 intestato a Società Editrice Romana srl, piazza Cola di Rienzo 85, I-00192 Roma o tramite bonifico bancario: Poste Italiane Spa, IBAN: IT 93 O 07061 03200 000016423006, indicando la causale del versamento “QuadRIOn 4”. Purchase of the book (foreign countries): € 50,00 – Bank transfer to: Poste Italiane Spa, IBAN: IT 93 O 07061 03200 000016423006 – BIC BPPIITRRXXX. Indice / Contents Introduzione / Introduction PAOLO D’ACHILLE / ENZO CAFFARELLI (Roma) VII-XXI 1. Chiamare gli italiani per nome ALDA ROSSEBASTIANO (Torino), Sostantivi astratti nell’onomastica personale: prospettiva diacronica LORENZO COVERI (Genova), Maria, Anna, Giulia e le altre. Onomastica femminile nella canzone italiana LAURA RICCI (Siena), Onomastica (para)letteraria: stereotipia e ipercaratterizzazione nelle scritture di genere MARINA CASTIGLIONE / MICHELE BURGIO (Palermo), Dinamiche della percezione comunitaria attraverso i soprannomi etnici. Da Pitrè a oggi, in Sicilia PAOLO D’ACHILLE (Roma), Fatta l’Italia, bisogna(va) nominare gli italiani: gli etnici “nazionali” dall’Unità a oggi 3-40 41-58 59-78 79-99 101-120 2. Il nome proprio nel dizionario, in tavola e in testa ILDE CONSALES (Roma), Lessicografia ed enciclopedismo: il ruolo dell’onomastica nelle edizioni del Nuovo dizionario della lingua italiana in servigio della gioventù di Francesco Cerruti ROBERTO RANDACCIO (Cagliari), Garibaldi aveva la zazzera. Mitografie risorgimentali nei lessici postunitari e moderni SERGIO LUBELLO (Salerno), Gastronimi e deonomastica: 150 anni d’Italia in cucina ELENA PAPA (Torino), Da Cavour a Menelik: in tavola tra storia e cronaca DANIELA CACIA (Torino), L’italiano in testa: vagabondaggio onomastico tra le acconciature postunitarie ILARIA MINGIONI (Roma), I deantroponimici nella lessicografia dall’Unità ad oggi RICCARDO CIMAGLIA (Roma), Titoli fortunati, ovvero “fari brillanti e seducenti sirene” nella lessicografia italiana 123-137 139-155 157-168 169-186 187-208 209-224 225-245 3. Luoghi, oggetti, celebrazioni del Belpaese NUNZIO LA FAUCI (Zürich), Nel Bel paese delle antonomasie 249-256 MARIA TERESA VIGOLO / PAOLA BARBIERATO (Padova), Da Padus a Padania: il mito delle origini in funzione antiunitaria? FRANCESCO SESTITO (Roma), Dalle affusolate montigiane agli Arredamenti Afforesi: sondaggi sui deonimici tratti da nomi di quartieri ENZO CAFFARELLI (Roma), Da viale dello Scorfano a piazza delle Giunchiglie, angolo via della Centralinista. L’enciclopedismo a cielo aperto dei nuovi odonimi delessicali come alternativa all’endogenesi preunitaria e all’ipertrofia dedicatoria postunitaria PAOLA COTTICELLI-KURRAS (Verona), I nomi commerciali a cavallo di due secoli: continuità e innovazione ANDREA VIVIANI (Roma), Vicende di prodotti e di parole: un micro-corpus dal corpo ARTUR GAŁKOWSKI (Łódź), I nomi degli eventi organizzati sul territorio italiano e all’estero in occasione del 150º anniversario dell’Unità d’Italia: un’analisi linguistico-culturale Autori / Authors 257-272 273-287 289-320 321-347 349-357 359-371 373-374 Gastronimi e deonomastica: 150 anni d’Italia in cucina Sergio Lubello (Salerno) SINTESI. La peculiarità delle tradizioni gastronomiche in Italia invita a percorrere una sorta di storia “sociale” della cucina degli ultimi 150 anni. Nella relazione si presenta una periodizzazione a grandi linee in quattro fasi caratterizzate da tendenze prevalenti nella denominazione di termini di cucina: la fase postunitaria francesizzante, la fase dell’italianizzazione (con Artusi), il periodo fascista, il periodo dal dopoguerra fino alle tendenze attuali. 0. Premessa In occasione di questo convegno che celebra i 150 anni dell’Italia unita, mi permetto un’escursione fuori dal mio campo (i ricettari tardo-medievali italiani dei secc. XIV-XVI), per analizzare i gastronimi da un’altra prospettiva, che non è quella strettamente storico-etimologica che mi è più familiare,1 ma quella, per così dire, di storia sociolinguistica dell’alimentazione. Propongo pertanto una periodizzazione dei 150 anni a maglie larghe, che consente di riunire alcune tendenze prevalenti nella denominazione dei nomi delle ricette. A questo tipo di approccio sono stato sollecitato dai lavori stimolanti di CAPATTI 1998 negli Annali einaudiani della Storia d’Italia e di CAPATTI / MONTANARI 1999 (in particolare il sesto capitolo, Le parole del cibo, ivi: 221-48). Il carattere identitario delle tradizioni gastronomiche – il plurale è d’obbligo dato il policentrismo anche della nostra storia gastronomica a dispetto di una presunta antica “italianità” della cucina – è stato più volte sottolineato e chiarito negli ultimi anni: segnalo per tutti FROSINI 2009, nel volume curato da Pietro Trifone, dal titolo emblematico Lingua e identità, e inoltre MONTANARI 2010, in cui si precisano i concetti di identità e di radici:2 [...] l’Italia della cultura – che ben più dell’unità politica definisce l’identità di un paese. Parte integrante di questa cultura erano i modelli alimentari e gastronomici, elemento decisivo, sempre, delle identità collettive (MONTANARI 2010: VII-VIII). 1 2 E per la quale mi permetto di rinviare a LUBELLO i.c.s., mentre per l’analisi dei nomi propri nelle ricette segnalo almeno CAFFARELLI 2002 e STEFINLONGO 2006. Ma si vedano le perplessità espresse da DARDANO 2011: 177-78. 157 QUADRION 4 (2012), 157-168 Sergio Lubello 1. La fase postunitaria Un paese disunito: così si presenta l’Italia al compimento dell’Unità anche nelle tradizioni gastronomiche, senza una cucina nazionale di riferimento. La tradizione gastronomica alta, quella praticata nei ristoranti alla moda e dell’alta società, nei banchetti ufficiali, nei festeggiamenti per ricorrenze e nozze, nelle città capoluogo e nei centri più importanti degli stati preunitari, trova un modello indiscusso nella cucina francese, di Parigi in particolare. Il mito di Parigi è ben consolidato fin dal Settecento, divulgato anche grazie a due testi di grande fortuna che diffondono molti termini e ricette d’oltralpe: Il cuoco piemontese perfezionato a Parigi del 1766 e L’Apicio Moderno di Francesco Leonardi del 1790.3 E del resto la francesizzazione della gastronomia è perfettamente in linea con quella che investe molti settori nell’Europa tra Sei- e Settecento, come DARDI 1992 ha magistralmente illustrato. I ricettari più altolocati, ricchi di piatti e nomi francesi ancora oggi noti (dalla crema Chantilly alla salsa Colbert alla salsa Béchamel) concedono generalmente molto spazio alla deonomastica internazionale (piatti alla tedesca, all’inglese, alla francese), anche se talvolta si tratta di mere traduzioni di termini generici, impreziositi dalla veste straniera, come nel caso della sause italienne, che è solo traduzione in francese di una salsa generica non ben definita (è presente nel Nuovo cuoco milanese di Gian Felice Luraschi pubblicato a Milano nel 1853). A questa tradizione ufficiale francesizzante fa da contraltare una linea, ancorché sotterranea, presente già nella prima metà dell’Ottocento, testimoniata da non pochi libretti di cucina piccolo-borghese per le famiglie, dalla circolazione più locale e ristretta (La cucina casereccia napoletana del 1821, Il cuoco senza pretese pubblicato a Como nel 1834) e che, come indicano i gastrotoponimi nei titoli, rispecchia preparazioni non all’italiana – che sono molto rare – ma tradizioni perlopiù cittadine (alla milanese, alla napoletana, ecc.). Il mito di Parigi permane fortemente radicato nella capitale e nelle città del Nord anche nel secondo Ottocento. Tra i molti episodi che documentano questa moda CAPATTI 1998: 762 ricorda che nel gennaio 1893 all’inaugurazione del Grand Hôtel di Roma di César Ritz le cucine sono istruite dallo chef europeo più prestigioso dell’epoca, il francese Auguste Escoffier, che ne affida la direzione all’allievo Louis Jaspard: nei menu non ci sono concessioni alle tradizioni locali, come si evince, per es., dal menu di Pasqua, in cui com3 In calce al sesto tomo si trova un glossario delle voci francesi curato dall’autore. La prima edizione de L’Apicio Moderno non contiene indicazione del luogo di stampa e dello stampatore; la seconda del 1797 è pubblicata a Roma, Stamperia del Gionchi. QUADRION 4 (2012) 158 Gastronimi e deonomastica: 150 anni d’Italia in cucina paiono solo le ostriche del lago di Fusaro,4 mentre spiccano il salmì à la St. Hubert, il filetto à la Marie Stuart, il foie gras di Strasburgo. All’infranciosamento spinto si sottrae Il gastronomo moderno di Emilio Borgarello (redatto a fine Ottocento e stampato a Milano nel 1904, nella serie dei Manuali Hoepli), che è, come recita il sottotitolo, un Vademecum ad uso degli albergatori, cuochi, segretari e personale d’albergo, corredato da 250 menu originali e da un Dizionario di cucina in cui l’autore, denunciando la storpiatura e le scorrettezze ortografiche nella trascrizione dei nomi francesi, non nasconde una certa insofferenza per le ibridazioni gustative ed espressive, rivelando così uno sforzo patriottico di emancipazione dalla moda allora in voga (CAPATTI 1998: 764). Anche nel secondo Ottocento i testi di gastronomia più in voga sono scritti oltralpe o sono traduzioni da testi francesi: La cuisine classique di Urbain Dubois ed Émile Bernard (1864) e Le Livre de cuisine del cuoco e pasticciere parigino Jules Gouffé (1867). Si trattava di una moda dominante, che dai menu sconfinava facilmente nei servizi e nelle apparecchiature da tavola, e riguardava persino la provenienza francese del personale e degli addetti ai lavori: in molte case meridionali, a Napoli come in Sicilia, erano presenti cuochi francesi (al Sud il cuoco è detto Monsù da Monsieur; di celebre memoria Monsù Gaston, chef dei Salina ricordato nel Gattopardo, le cui vicende narrate si svolgono nel 1860). Alla tradizione francesizzante, dopo il 1861, si contrappongono e si affiancano nuove abitudini che tentano di dare un’impronta italiana alla cucina del nuovo regno diffondendo denominazioni celebrative nostrane: è il caso della pizza Margherita, che nel giugno 1889 il cuoco napoletano Raffaele Esposito battezza per la regina Margherita di Savoia (si trattava di una pizza con pomodoro, mozzarella e basilico, con evidente richiamo ai tre colori della bandiera). È ancora la regina, in occasione di una visita a Siena, ad essere omaggiata di una versione bianca del tradizione dolce senese, il panforte, che fu chiamato panforte Margherita e distinto da quello classico, più scuro, per il tipo di lavorazione dei canditi. E ancora va ricordato un tipo di lasagnette dall’orlo ondulato dette mafalde o, nella forma più stretta, mafaldine, che furono così chiamate in omaggio a Mafalda di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele III e della regina Elena, da un cuoco fedele alla corona in occasione della nascita della secondogenita, la principessina, nata il 19 novembre 1902 (BECCARIA 2009: 219).5 Dilagano, inoltre, molte denominazioni alla Cavour:6 nel Manuale di 4 5 6 Fusaro è un paesino in provincia di Napoli, tra Pozzuoli e Gaeta. Beccaria ricorda che le schede dell’ALI testimoniano la presenza del lessotipo <mafalda> in alcuni punti della Sicilia e della Calabria. Cfr. il contributo di Elena Papa in questi Atti. 159 QUADRION 4 (2012) Sergio Lubello Borgarello, del 1904, ci sono ben cinque piatti alla Cavour (gli agnolotti, la finanziera piemontese, il diplomatico, la polentina con gli uccelletti, le lasagne). Di pari passo con il processo di unificazione politica del paese, nelle tradizioni più radicate localmente si comincia lentamente a passare dall’identità quasi esclusivamente cittadina (Il cuoco cremonese del 1794, La cuciniera genovese di Giovanni Battista Ratto del 1863, Il cuoco bolognese del 1857) alle identità regionali. Tale regionalizzazione si fa strada negli stessi anni del processo di nazionalizzazione di Artusi, quasi come una doppia faccia della medaglia: il primo ricettario che classificherà le ricette secondo una prospettiva regionale sarà agli inizi del nuovo secolo La nuova cucina delle specialità regionali di Vittorio Agnetti pubblicato a Milano nel 1909.7 2. La fase dell’italianizzazione Al periodo di infranciosamento che caratterizza molti dei ricettari ottocenteschi,8 segue un progetto chiaro e preciso di cucina nazionale grazie all’opera di Pellegrino Artusi, autore di un testo destinato a diventare un classico nel suo genere, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie, la cui prima edizione del 1891 comprende 475 ricette, mentre l’ultima curata dall’autore, la quattordicesima (del 1910), arriva a comprendere ben 790 ricette, quasi il doppio.9 Artusi crea, in un linguaggio nuovo e moderno, una linea fondamentale che definisce una prima identità, «realizza l’ardua operazione di costituire un 7 8 9 MONTANARI 2010: 77-78; in realtà la stagione dei ricettari nazionali sembra terminata nel Seicento e già dal Settecento si va verso il ricettario regionale e soprattutto municipale (CAPATTI / MONTANARI 1999: 25). Per i francesismi nel lessico culinario italiano è fondamentale THOMASSEN 1997. A proposito dei francesismi culinari dei primi secoli MARTELLOTTI 2005: 140 n. scrive: «[...] restano finora catalogati nella manualistica e nei prontuari etimologici sotto l’etichetta generica di ‘francesismi’, accreditando il mito di una cucina italiana influenzata da quella di Francia, mentre al contrario è la cucina francese che si arricchisce e si amplia sotto l’influsso italiano, come dimostra la già ricordata povertà degli Enseingnemenz, e la chiara derivazione italiana delle aggiunte al Viandier». Nel 2011 è stata pubblicata la meritoria edizione critica a cura di Alberto Capatti (ARTUSI 2011), che prende in considerazione le edizioni della Scienza in cucina fino alla prima edizione postuma, quella del 1911. Sulla precedente edizione einaudiana curata nel 1970 da Camporesi, con normalizzazioni, omissioni e qualche refuso, cfr. CAPATTI 2009: 19-20. Ad Artusi è stato dedicato, tra gli altri, un convegno importante nel 2011, promosso anche dall’Accademia della Crusca, ma i cui atti non sono ancora pubblicati. Per le varie iniziative, mostre e convegni promossi durante l’anno artusiano, il 2011, si può consultare il sito <www.pellegrinoartusi.it>. QUADRION 4 (2012) 160 Gastronimi e deonomastica: 150 anni d’Italia in cucina codice alimentare e culinario che potesse essere adottato dalla nascente classe borghese d’Italia da poco unita» (FROSINI 2009b: 86). Per quanto possa sembrare un po’ esagerata l’opinione di Camporesi secondo cui La scienza in cucina ha fatto per l’unificazione nazionale più di quanto non siano riusciti a fare i Promessi Sposi,10 è pur vero che con Artusi si stabilizza nell’italiano di cucina (e non solo) una koinè fiorentineggiante di tono medio che tende all’adattamento dei forestierismi a una forma toscana: bordò, ciarlotta ‘charlotte’, balsamella ‘béchamel’ – il Dizionario Moderno di Alfredo Panzini nella prima edizione (PANZINI 1905) registra solo béchamel, ma nella seconda (PANZINI 1908) affianca balsamella –; l’attuale besciamella è un recupero dall’Apicio moderno di Leonardi),11 salsa verde per Sauce Ravigote, accanto a vari prestiti non adattati (cognac, champagne, ecc.) la cui presenza consente di caratterizzare la posizione dell’autore come moderata, non di rigoroso antistranierismo. Accanto ai deonomastici tradizionali derivanti da nomi di città (pizza alla napoletana che è per Artusi «un dolce con base di pasta frolla e ripieno di crema, ricotta e mandorle»), compaiono anche alcuni nomi di cuochi: la ricetta 604, il Panettone Marietta, è una preparazione della cameriera e fedele collaboratrice di Artusi, Marietta Sabatini. La ricostruzione della biblioteca linguistica fornita da FROSINI 2009a: 31320 accerta la presenza in casa Artusi di vari dizionari e strumenti linguistici (le Voci e maniere del parlar fiorentino di Fanfani, i Neologismi di Rigutini, i Sinonimi di Tommaseo, il Vocabolario universale del Tramater, il Dizionario romagnolo italiano di Morri, il Dizionario domestico di Carena, la Grammatica italiana del Corticelli, ecc.), un «numero non indifferente di testi, che delineano limpidamente il profilo di un autore sensibile a un uso rigoroso e corretto della lingua [...], attento al suo patrimonio letterario e tradizionale (evidente la preminenza del Vocabolario del Fanfani [...]), ma pronto anche all’apertura verso le parole nuove» (FROSINI 2009a: 319-20). Qualche sondaggio dall’edizione critica fornita da Alberto Capatti (ARTUSI 2011) consente di evidenziare le aggiunte che via via dalla prima edizione in poi si sono depositate durante un ventennio di riscrittura, ampliamento e sistemazione dell’opera: nella tredicesima edizione del 1909, per esempio, si registra l’inserimento di alcune ricette emiliane (anolini alla parmigiana, pane 10 11 Cfr. su questo aspetto CAPATTI 2009: 19 e poi DARDANO 2011: 178. Che deriva dal patronimico secentesco del suo presunto creatore, il marchese Louis de Béchameil; balsamella è un dialettismo già impiegato da Alberto Alvisi, cuoco del vescovo di Imola (1785-1800), cfr. CAPATTI / MONTANARI 1999: 239. 161 QUADRION 4 (2012) Sergio Lubello bolognese) e di trattoria (filetto alla parigina), allargandosi così, moderatamente, il quadro delle diverse provenienze geografiche (cfr. CAPATTI 2009: 27). Anche se di solito la prospettiva regionalizzante viene considera estranea all’impostazione artusiana, tuttavia tale prospettiva, sia pure sfocata, è per certi versi ravvisabile nella scrittura finale e definitiva della Scienza in cucina, pur restando ovviamente le cucine più rappresentative e presenti nell’opera quelle che l’autore conosceva meglio (della Romagna, dell’Emilia e della Toscana, mentre alcune regioni restano del tutto non rappresentate). Nel 1923, finalmente, il Manuale dell’industria alberghiera, pubblicato dal Touring Club, contiene come modello un menu spiccatamente italiano, come risulta dalla prevalenza di deonomastici italiani (il tipo alla milanese, per intendersi, è più frequente del tipo alla parigina nel rapporto di 3 a 1) e dall’italianizzazione di francesismi che «segnano un timido affrancamento dalla retorica di Escoffier» (CAPATTI 1998: 765), talvolta, però, con proposte poco persuasive: il consumato (consommé), le supreme di sogliola (suprêmes de sole) e il dindetto (dindonneau). Al di fuori dei ricettari, quindi dal circuito testuale più tecnico della gastronomia, è utile uno sguardo alla lessicografia dell’epoca, per verificare come sono recepiti i termini stranieri. In particolare, il Dizionario Moderno di Alfredo Panzini, pur non lesinando lodi all’Artusi,12 accetta molti forestierismi gastronomici non adattati fin dalla prima edizione del 1905 (charlotte, praline, potage à la julienne, bistecca alla Bismarck) e non si piega neppure in seguito alle tendenze linguistico-autarchiche del regime: in tutte le edizioni Panzini registra, infatti, molti nomi stranieri (e dialettali) di preparazioni alimentari, solo saltuariamente indicandone le possibili italianizzazioni. Sarà Bruno Migliorini, nell’edizione del 1942, ad aggiungere diverse italianizzazioni, pur conservando le parole-lemma originarie. Rispetto ad Artusi, il lessicografo Panzini risulta molto più aperto a dialettismi e forestierismi gastronomici, mentre Artusi si allinea a un toscano ingentilito, tollerando solo occasionalmente i nomi francesi e italianizzando molti dialettismi. Tra i forestierismi gastronomici contenenti deonomastici registrati nel Dizionario moderno13 i francesismi occupano il primo posto (da toponimi: Ar12 13 Alla voce Entremets Panzini scrive: «Il signor P. Artusi, romagnolo e toscano, il quale per suo diletto pubblicò un pregevolissimo ed accurato manuale di scienza culinaria [...] traduce la voce francese con tramesso, cioè posto in mezzo alle vivande del pranzo» (FROSINI 2009b: 93 n.). Sui forestierismi nel Panzini cfr. FRANCHI 2009, in cui si annuncia l’edizione critica del Dizionario Moderno, anche su supporto elettronico, e che sarà molto utile per un esame stratigrafico delle entrate dei lemmi nelle diverse edizioni. QUADRION 4 (2012) 162 Gastronimi e deonomastica: 150 anni d’Italia in cucina genteuil, Cognac, Chantilly, il formaggio Grivièra e grovièra, Gruèra, il vino Lunel; da antroponimi: béchamel, charlotte, potage à la julienne, praline); di minor peso sono gli anglicismi, anche non assimilati (tre soli da antroponimi: Bùrbank, nome di una susina molto pregiata; Carman, nome di una pesca precoce della California; e Hale, nome di una pesca americana); seguono poi qualche tedeschismo (da toponimi: Èmental, Sbrinze, Acqua di Seltz; da antroponimi: bistecca con uova alla Bismarck, presente solo dalla settima edizione del Dizionario Moderno; Liebig, un marchionimo, nome dato a un noto estratto di carne; Kunerol, voce di conio commerciale con cui è indicato un burro di origine vegetale, ricavato dalle noci di cocco), qualche ispanismo (Alicante, Angostura, Maracàibo, San Domingo, caffè dall’isola omonima, ecc.), alcuni arabismi (Hodèida, Moca, Moka, ecc.) e sparuti prestiti da altre lingue. Per completare il quadro resterebbero ancora da indagare due generi testuali, quello delle guide turistiche alle osterie, ristoranti e trattorie locali, e quello, variamente studiato, dei benemeriti Manuali Hoepli, un centinaio dei quali consacrati direttamente o indirettamente a problemi nutritivi, anche se – ad eccezione del Gastronomo moderno di Borgarello – nessun manuale affrontava la didattica culinaria professionale (CAPATTI 1998: 765-72). 3. L’ondata autarchica del ventennio fascista Ai due filoni, quello “toscanizzante” di Artusi e quello “regionalizzante” che inizia nel 1909 con Agnetti ne La nuova cucina delle specialità regionali e che sfocia nella Guida gastronomica d’Italia realizzata e pubblicata dal Touring Club del 1931, subentra la politica autarchica e nazionalista del fascismo, che impose precise direttive in favore delle radici italiane a scapito non solo della francofonia e dei forestierismi in genere, ma anche di alcune culture locali, senza risparmiare il settore gastronomico: la cultura del ventennio privilegia di fatto l’osservatorio romano alle realtà periferiche (CAPATTI 1998: 792), pur manifestando rispetto verso le identità regionali e verso lo stesso ricettario di Artusi, come si legge nella dichiarazione di Paolo Monelli in Barbaro dominio (MONELLI 1933: 203): Preghiamo i cuochi e i trattori di consultare ogni tanto il vocabolario, e i vecchi libri di cucina, e il classico Artusi. Tra le proposte provenienti dalla Cucina futurista di Marinetti (Milano, 1932) spiccano l’inventiva di alcune sostituzioni (cocktail > polibibita, picnic 163 QUADRION 4 (2012) Sergio Lubello > pranzoalsole; cfr. CAPATTI / MONTANARI 1999: 242) e la scarsa efficacia di altre, come le castagne candite al posto di marrons glacés, il consumato per consommé, i fondenti per fondants, addirittura la lista al posto dell’ormai ben consolidato menù. L’Accademia d’Italia concentra fin dalla sua inaugurazione, nel 1929, la sua attenzione sul gergo alberghiero (C APATTI 1998: 798): forestierismi e neologia italiana culinaria vengono affrontati nell’adunanza della classe di lettere sin dal 1929, presenti, oltre Panzini e Marinetti, il grecista Ettore Romagnoli, Angelo Silvio Novaro, il prof. Farinelli. Tra i trecento sostituti italiani dei forestierismi di ambito gastronomico (un quarto dei quali polirematici, di cui la metà ha un termine italiano), proposti dalla Commissione per l’italianità della lingua (in seno alla Reale Accademia d’Italia) negli anni 1940-1943, compaiono (secondo la griglia proposta da RAFFAELLI 2009):14 – adattamenti grafici alle consuetudini italiane: biscotto Oswego > biscotto Osvego, wodka > vodka; – adattamenti grafici basati sulla pronuncia italiana (come ragout > ragù): baba > babà; – adattamenti morfofonetici: biscotto Albert > biscotto Alberto, biscotto Marie > biscotto Maria, saint’Honoré > Sant’Onorato, champagne > sciampagna, charlotte > carlotta; – riproduzioni semantiche o calchi, in cui si hanno talvolta sostituti più analitici dei prestiti: gruyère > groviera o formaggio svizzero; – perifrasi descrittive che non hanno un legame semanticamente motivato con l’unità lessicale del prestito o nelle quali esso è subordinato ai tratti distintivi della specialità: béchamel > salsa bianca, besciamella; chateaubriand > gran filetto; bistecca à la bretonne > bistecca con fagioli; brodo julienne > brodo alla giardiniera; crema alla chantilly > crema alla panna montata, lattemiele; goulasch > spezzatino all’ungherese; Würstel > salsiccia viennese; yoghurt > latte bulgaro;15 – sostituti estrosi ancora più lontani dall’unità lessicale d’origine e che sono anche quelli a maggior rischio di esistenza effimera: cocktail > arlecchino, caramella mou > tenerella, filet mignon > filetto gentile. 14 15 La Commissione pubblica sul «Bollettino di informazione della Reale Accademia d’Italia» tra il maggio 1941 e il maggio 1943 ben quindici elenchi di circa 2.000 prestiti linguistici con i rispettivi sostituti italiani; sulle sostituzioni dell’Accademia si veda RAFFAELLI 2010. RAFFAELLI 2009: 361 n. precisa che in questo caso il toponimo non è indicativo della provenienza né del prodotto né del prestito: sulla coniazione del sostituto può aver influito il biologo russo Mechnikov, scopritore del loctobacillus bulgaricus e ispiratore della commercializzazione dello yogurt nel 1919. QUADRION 4 (2012) 164 Gastronimi e deonomastica: 150 anni d’Italia in cucina Le rubriche tuttavia, nonostante le direttive di regime, non di rado sostengono, contro il forestierismo, voci popolari e dialettali: per chantilly il lombardo lattemiele e l’emiliano fiocca. Mette conto, però, ricordare che in piena politica del regime e prima delle sostituzioni dell’Accademia, la Guida gastronomica d’Italia del 1931 propone una visione de-centralizzata, con una divisione di prodotti e ricette in base alla loro appartenenza regionale, in cui «la cultura gastronomica italiana vi appare topograficamente polverizzata, irriducibile a spazi ‘politicamente’ determinati come quelli delle province o delle regioni» (MONTANARI 2010: 80). 4. Dal dopoguerra al mercato globale Dopo il secondo dopoguerra esplode un grande rigoglio di cucine e nomi regionali e locali parallelamente all’apporto di molti dialettalismi / regionalismi al lessico italiano. Il Viaggio in Italia di Guido Piovene (edito a Milano nel 1959), effettuato fra il 1953 e il 1956 per conto della Rai, rappresenta secondo CAPATTI 2008: 800 un ritorno indietro: nel Viaggio sono presenti tutti i centri, grandi e piccoli, rifioriti nel dopoguerra, dalle osterie di Verona, ad Alba capitale del tartufo bianco, alla Cesarina di Bologna, alla cucina saporita di Roma, alla pizza napoletana, alla fiera di Taverna, in Calabria, dove si vendono pani spruzzati all’interno con salsa di pomodoro, insomma una penisola ricca di vivande, anche dai nomi strani, priva di una scuola e di un idioma nazionale per farle conoscere. La repubblica nasceva senza un centro gastronomico e sembrava allontanarsi dal progetto unificante della Scienza in cucina dell’Artusi, (ri)componendosi quel bel mosaico Italia che BECCARIA 2009: 188-221 ha ben descritto in un capitolo densissimo sulla geosinonimia dei nomi dei piatti nella penisola. Mi soffermo almeno su qualche tendenza recente: a) le parole straniere sono componente rilevante del linguaggio gastronomico attuale: quanto ai forestierismi non acclimatati, si registra un’inversione di tendenza, stando a un sondaggio compiuto da FROSINI 2009b: 94 nel Dizionario della lingua italiana di Sabatini e Coletti del 2006: mentre i francesismi sono entrati come termini settoriali (pochi quelli del secondo Novecento: quiche, profiterole), quelli inglesi e anglo-americani hanno un uso più largo e indifferenziato e sono più recenti, legati all’ondata di consumismo filo-americano (chips, hamburger) e della cultura del fast-food. All’internazionalizzazione della cucina in Italia fa da contrappunto un radicamento delle tradizioni locali sentite come identitarie, visto che «l’indole dialettale di questa cultura non 165 QUADRION 4 (2012) Sergio Lubello è mai venuta meno» (MONTANARI 2010: 82), anche se tra le giovani generazioni sono sempre più in disuso nomi e ricette delle tradizioni, mentre sono sempre più diffusi nomi esotici (soprattutto orientali, dalla Thailandia al Giappone, Cina e India); b) un contingente non piccolo di parole italiane ha acquistato una circolazione internazionale: è ciò che viene chiamato l’effetto Pizza (C APATTI / MONTANARI 1999: 246), la cultura degli emigranti e dei post-emigranti in cui si incrociano tre variabili: la cucina del territorio d’origine, quella del paese di nascita e quella del paese ospite. Tale miscela determina però una serie di storpiature e modifiche dei nomi (il tipo rucola che negli Usa diventa arugola/ arugula) fino a formazioni ibride divertenti, ma poco rassicuranti, come la veal parmigiana, una cotoletta di vitello impanata e fritta cosparsa di pomodoro e ricoperta da finta mozzarella che è, ricorda FROSINI 2009b: 99-100, «degna rappresentante della più degradata e contraffatta cucina “italiese” che dilaga alla moda in tanta parte del mondo». Molti ristoranti italiani all’estero si muovono in direzione di un menù che è un pidgin, una lingua franca della ristorazione, un esperanto volatile continuamente messo in questione, insofferente alla norma (CAPATTI / MONTANARI 1999: 248). Alcune di queste nuove traiettorie linguistiche, migrazioni d’oltreoceano di cose e parole, si possono ripercorrere nel bel lavoro di MARCATO 2010: un esempio per tutti la veal bolognese diffusa nel Nord-America, in cui la locuzione alla bolognese è passata a indicare anche un modo di preparare la carne (ivi: 80); c) in Italia si allarga il tipo di denominazione con deonomastici da marchionimi spesso variamente alterati. Enzo Caffarelli,16 descrivendo il fenomeno globale della transonimizzazione dal nome proprio al nome proprio, segnala tra i marchionimi nel settore alimentare quelli coincidenti con i cognomi dei fondatori delle aziende e che si trovano, in nomi alterati e composti, come nomi di prodotti: Invernizzina, Galbanino, Peroncino, Negronetto, il torrone Toblerone, i biscotti Pavesini, i crackers Gran Pavesi, i Saporelli; il cognome Danone si ritrova nei prodotti Danacol, Danette, Danito; Nescafè riporta la prima sillaba del cognome svizzero Nestlè; inoltre i nomi delle pizze (marchi non registrati) sempre più numerosi e coincidenti con toponimi, etnici e antroponimi sulla scia delle più note (pizza) napoletana (o pizza Napoli) e margherita. Come si può osservare anche solo scorrendo 150 anni di denominazioni dei piatti, affiora una storia millenaria depositata nei molti nomi, una storia di co16 Cfr. CAFFARELLI 2006; 2011: 80. QUADRION 4 (2012) 166 Gastronimi e deonomastica: 150 anni d’Italia in cucina stumi, usi, di scambi e rapporti interregionali e internazionali, una storia di molte tradizioni locali che restituiscono l’immagine di un paese così come esso è stato, fortemente policentrico, che di questa varietà ha saputo fare la sua ricchezza e che in questa frantumata polifonia ha saputo trovare la sua peculiare identità. Bibliografia ARTUSI 1970 = Pellegrino Artusi, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, introduzione e note di Piero Camporesi, Torino, Einaudi. ARTUSI 2011 = Pellegrino Artusi, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, a cura di ALBERTO CAPATTI, Milano, Rizzoli. BECCARIA 2009 = Gian Luigi Beccaria, Misticanze. Parole del gusto, linguaggi del cibo, Milano, Garzanti. CAFFARELLI 2002 = Enzo Caffarelli, L’alimentazione nell’onomastica. L’onomastica nell’alimentazione, in DOMENICO SILVESTRI / ANTONIETTA MARRA / IMMACOLATA PINTO (a cura di), Saperi e sapori mediterranei. 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SERGIO LUBELLO, Gastronyms and deonomastics: 150 years of cooking in Italy The peculiarity of gastronomic traditions in Italy encourages a sort of “social” history of cooking over the past 150 years. The report presents a broad periodization into four periods characterized by specific trends in the use of cooking terms: the post-unification phase, the ‘Italianisation’ phase (Artusi), the fascist period, and the period from the post-war until today. QUADRION 4 (2012) 168 ISSN 1124-8890 Quaderni Internazionali di RION 4 RION International Series 4 Comitato d’onore / Honour Committee ANTONI M. BADIA i MARGARIT (Barcelona), PIERRE-HENRI BILLY (Paris), MONIQUE BOURIN (Paris), DUNJA BROZOVIĆ -RONČEVIĆ (Zagreb), RITA CAPRINI (Genova), LAURA CASSI (Firenze), LUIGI LUCA CAVALLI-SFORZA (Stanford), JEAN-PIERRE CHAMBON (Paris), ALEKSANDRA CIEŚLIKOWA (Kraków), PAOLO D’ACHILLE (Roma), TULLIO DE MAURO (Roma), ERNST EICHLER (Leipzig), SHEILA M. EMBLETON (Toronto), JEAN GERMAIN (Louvain-la-Neuve), MIHÁLY HAIDÚ (Budapest), WOLFGANG HAUBRICHS (Saarbrücken), MILOSLAVA KNAPPOVÁ (Praha), DIETER KREMER (Leipzig), ANDRÉ LAPIERRE (Ottawa), EDWIN D. LAWSON (Fredonia, NY), RAMÓN LORENZO (Santiago de Compostela), OTTAVIO LURATI (Basel), WILHELM F. H. NICOLAISEN (Aberdeen), MAX PFISTER (Saarbrücken), PAOLO POCCETTI (Roma), WOLFGANG SCHWEICKARD (Saarbrücken), LUCA SERIANNI (Roma), HEIKKI SOLIN (Helsinki), ALEKSANDRA V. SUPERANSKAYA (Moscva), JÜRGEN UNTERMANN (Köln), WILLY VAN LANGENDONCK (Leuven), MATS WAHLBERG (Uppsala) Direttore / Editor-in-chief ENZO CAFFARELLI (Roma) Comitato scientifico di questo volume / Scientific Committee of this volume PAOLO D’ACHILLE (Roma), CLAUDIO GIOVANARDI (Roma), NUNZIO LA FAUCI (Zürich), ALDA ROSSEBASTIANO (Torino), FRANCESCO SABATINI (Roma) Redazione / Redaction c/o Enzo Caffarelli, Via Tigrè 37, 00199 Roma – T. 06.86219883 – Fax 06.8600736 E-mail: ecafrion@tin.it – Web: http://onomalab.uniroma2.it Casa editrice / Publisher Società Editrice Romana (SER), piazza Cola di Rienzo 85, I-00192 Roma T. +39.06.36004654 – Fax +39.06.36790123 – E-mail: ordini@editriceromana.it Web: www.editriceromana.com Supplemento al nº XVIII (primo semestre 2012), 1 di RION («Rivista Italiana di Onomastica»)