Luce&Vita
DOCUMENTAZIONE 2010/2
Semestrale - Uficiale per gli atti di Curia per la Diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi
Supplemento Redazionale - Spedizione in abb. post. Legge 662/96, art. 2, comma 20/c - Fil. di Bari
Abbonamento annuale: Euro 25,00 Settimanale – Euro 40,00 Settimanale + Documentazione
Vescovo: LUIGI MARTELLA
Responsabile della documentazione: LUIGI MICHELE dE PALMA – Redattori: TOMMASO AMATO - FABIO TANGARI
Responsabile del settimanale: dOMENICO AMATO
Stampa: LA NUOVA MEZZINA - MOLFETTA
Direzione e amministrazione: Piazza Giovene, 4 - 70056 Molfetta - C.C.P. 14794705 - Tel e Fax 0803355088 - www.diocesimolfetta.it
SOMMARIO
ATTI DEL VESCOVO
* Scritti
Tra sogni e speranze, per un progetto di vita insieme a Cristo.
Orientamenti per l’anno pastorale 2010-2011 (8-9-2010) .
Un corale colpo d’ala verso orizzonti luminosi (5-9-2010)
Il sacerdote: amore di Dio per l’uomo (21-11-2010) . .
Il Natale, una lezione ancora da imparare (25-12-2010). .
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* Discorsi
Omelia per il 50° di sacerdozio di don Ignazio De Gioia, don Saverio Minervini, don Pasquale De Palma (3-7-2010) . . . . . . . . . .
Omelia per i funerali di di don Domenico Cipriani (9-8-2010) . . . . .
Omelia per la Festa della Madonna dei Martiri (12-9-2010) . . . . .
Omelia in occasione dell’inaugurazione del nuovo mercato dei iori in Terlizzi (10-10-2010) . . . . . . . . . . . . . . . .
Omelia per il Diaconato di Gianluca D’Amato (1°-11-2010) . . . . .
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ATTI DIOCESANI
* Dalla Curia Diocesana . . . . . . . . . . . . . . .
* Ricordando il 150° di fondazione del Terz’Ordine Francescano Secolare della
chiesa del SS. Crociisso di Molfetta (16-11-2010) . . . . . . . .
* Donazione Istituto Suore Missionarie dell’Oratorio, Giovinazzo (15-12-2010)
* Seminario Vescovile
La comunità del Seminario Vescovile nell’anno scolastico 2010-2011 . . .
2
Sommario
DOCUMENTAZIONE VARIA
* Luigi MicheLe de PaLMa, Figure sacerdotali del Novecento .
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. pag. 45
* Francesco antonio Bernardi, Una strage evitata: Ruvo e la pestilenza
del 1656 . . . . . . . . . . . . . . . . .
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* Annuario diocesano 2010-2011
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DOCUMENTAZIONE VARIA
Luigi MicheLe de PaLMa
FIGURE SACERDOTALI DEL NOVECENTO
Nella ricorrenza del 150° anniversario della morte di s. Giovanni Maria Vianney, il curato d’Ars, Benedetto XVI ha voluto indire un “Anno Sacerdotale” con
lo scopo precipuo di «promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tutti i
sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di
oggi»1. Di conseguenza sono state numerose le iniziative programmate dalle Chiese
locali per rilettere sul dono del sacerdozio ministeriale, sulla vocazione al ministero
pastorale, nonché sulle prospettive della vita e della testimonianza dei sacerdoti in
seno alla comunità cristiana e nel mondo contemporaneo.
Fra i molteplici contributi offerti per l’occasione non è mancato l’apporto degli
studi storici. Anzi, da oltre quarant’anni la ricerca storiograica sul clero secolare
in età contemporanea ha prodotto una serie di studi caratterizzati dalla molteplicità
degli approcci e delle analisi, da cui è afiorata la realtà variegata di igure sacerdotali
e un modello multiforme della formazione ecclesiastica. Se si volesse sempliicare
– pur rischiando la banalizzazione – si potrebbe affermare che non è mai esistita
un’unica “faccia da prete”. In altre parole, la storia del clero secolare non conosce
un volto uniforme del sacerdote e neppure attesta che la formazione dei futuri preti
sia stata programmata e realizzata sotto una forma univoca.
Non a caso gli studi condotti negli ultimi decenni sul clero italiano fra Ottocento
e Novecento hanno individuato tre tipologie di ecclesiastici. Nella prima, detta dei
preti “in cura d’anime”, si collocano i sacerdoti dediti al ministero pastorale tramite
la celebrazione del culto divino, l’amministrazione dei sacramenti, la predicazione e
la catechesi. Soprattutto nel Meridione d’Italia la percentuale dei preti appartenenti
a questa categoria non era molto alta, anche perché il numero delle parrocchie del
Sud è rimasto alquanto esiguo almeno ino al primo trentennio del secolo scorso.
Tuttavia la cura pastorale non si limitava all’ambito della parrocchia, ma si estendeva
alle confraternite, alle pie associazioni, agli ospedali, alle carceri, agli orfanotroi, ai
monasteri femminili e ai conventi di suore. Fra l’altro, si deve ricordare che questo
tipo di prete possedeva un’istruzione ed una preparazione superiori alla media e
comunque suficiente per essere abilitato all’esercizio della cura pastorale.
La seconda tipologia, denominata “preti di casa”, raccoglieva i sacerdoti dediti
1
Benedetto XVi, Lettera per l’indizione dell’Anno Sacerdotale in occasione del 150°
anniversario del “dies natalis” di Giovanni Maria Vianney, 16.6.2009.
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Luigi MicheLe de PaLMa
all’attività educativa, col ruolo di istitutori presso famiglie aristocratiche e borghesi,
oppure impegnati in ufici civili ed ecclesiastici non direttamente correlati con la
cura delle anime. Questi preti erano spesso titolari di beneici ecclesiastici senza
cura animarum, oppure si sostentavano con i proventi della loro professione o tramite le rendite del patrimonio famigliare. In genere possedevano una preparazione
culturale molto più alta rispetto alla media e tanto consentiva loro di svolgere, appunto, attività particolari di livello medio-alto.
Della terza tipologia facevano parte i cosiddetti “preti da messa”, un pletora di
ecclesiastici dal basso proilo culturale, di inima estrazione sociale e di condizione
economica precaria, ordinati per assolvere quotidianamente all’ingente numero di
obblighi di messe accumulati nel corso dei secoli. Costoro non erano impegnati in
nessun tipo di uficio ecclesiastico e il più delle volte continuavano a vivere nell’ambito delle proprie famiglie, godendo delle esenzioni iscali e di altri privilegi e
vantaggi connessi allo stato clericale. Erano contadini, massari, mediatori e talvolta
non si distinguevano dai laici né per l’abito, né per lo stile di vita e neppure per la
condotta morale.
Accanto a queste tipologie “generali” del clero italiano se ne afiancarono altre, che possono essere considerate varianti determinate dall’inlusso esercitato da
modelli di diversa nazionalità e originate dall’esperienza delle Chiese locali, nonché
dalle trasformazioni dei modelli pregressi in risposta alle esigenze e alle condizioni
mutate condizioni storiche.
È il caso di una parte del clero settentrionale, su cui ha esercitato una certa
inluenza il modello austro-ungarico, secondo cui il prete era concepito alla stregua
di un funzionario dello Stato (rilesso del Giuseppinismo) e per il quale si pretendeva
un’istruzione adeguata ad assolvere il servizio pubblico che il clero veniva chiamato
a svolgere. Il clero piemontese, invece, comprendeva numerosi tratti caratteristici
segnati dal Giansenismo francese, e poi sviluppò una speciale sensibilità nei riguardi
dell’esercizio della carità e del servizio sociale. Complesso e variegato è il proilo
del “prete romano”, fortemente legato alla tradizione sia sotto l’aspetto dell’istruzione sia in riferimento alla formazione spirituale. Talvolta questo prete condivideva
l’esperienza pastorale con il servizio reso ai vertici della Chiesa Cattolica, secondo
un’ottica capace di coniugare la cura delle anime con la responsabilità nell’impegno
per un ministero universale. Figura non poco differente è quella del clero ricettizio,
largamente diffuso nel Meridione, dove prevalevano i rapporti – ed anche i vincoli
– con le comunità locali e con le proprie famiglie.
La compresenza di vari modelli e delle loro varianti fra il clero italiano – al di
là delle valutazioni su ciascuno di essi e del loro confronto – mostra i segni di una
trasformazione, fra Ottocento e Novecento, condizionata dalla metamorfosi sociale,
civile, economica e politica di una nazione prevalentemente e tradizionalmente
agricola in una nuova società industrializzata, il cui passaggio, però, non fu simul-
Figure sacerdotali del Novecento
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taneo per tutte le regioni della penisola e neppure le raggiunse con la medesima
intensità e penetrazione. Tuttavia, il mutamento sociale in atto comportò l’affacciarsi di nuovi modelli di preti sull’orizzonte del clero italiano: il prete “sociale” e
il prete “politico”. Non si deve pensare ad un fenomeno coinvolgente la totalità e
neanche la maggioranza del clero, ma ad un ulteriore arricchimento del panorama
ecclesiastico tramite il moltiplicarsi di esperienze personali, simili, ma radicate in
contesti locali spesso lontani e distinti.
Dal primo decennio del Novecento, un ruolo rilevante per la formazione
del clero, soprattutto del Centro e del Meridione d’Italia, fu svolto dai seminari
regionali, concepiti e istituiti secondo un piano di riforma voluta da s. Pio X. A
fronte delle precarie condizioni in cui versava la maggior parte dei numerosi
seminari diocesani, lo scopo principale del progetto di concentrazione regionale
dell’istruzione dei candidati al sacerdozio mirava ad elevarne il livello e a garantire
una solida formazione in vista del loro ministero. D’altro canto, i nuovi seminari
regionali non erano esposti al pericolo delle ingerenze dello Stato post-unitario
sul campo dell’istruzione ecclesiastica, essi, infatti, erano riservati ai seminaristi
e ne era proprietaria la Santa Sede, e non le diocesi italiane. Dal 1909 – anno di
nascita del Pontiicio Seminario Regionale Pugliese – al 1953 vennero fondati
dodici seminari regionali, la cui esperienza, circoscritta all’Italia, è rimasta unica
nella Chiesa Cattolica.
Le pagine che seguono non intendono approfondire la storia di questi seminari,
né discutere sul loro sviluppo e sulla loro funzione, ma vogliono soltanto ricordare
alcune igure di preti di Molfetta e di Terlizzi, ex alunni del Pontiicio Seminario
Regionale Pugliese, per i quali è stato possibile rintracciare la memoria che la comunità locale ha tramandato2. Si tratta di un primo “ricordo” – concomitante con
l’Anno Sacerdotale – che non ha pretese esaustive, ma vuole essere un incentivo
2
Per le epoche precedenti si rinvia quanto è stato approfondito dagli studi di A. d’aMBro-
sio, Le ordinazioni sacerdotali a Terlizzi nel ’700, «Studi Storici Meridionali», VII (1987), n. 2,
p. 179-1986; id., Per la storia del clero nel Mezzogiorno. I concorsi prebendali nella diocesi
di Terlizzi (sec. XIX), «Rivista di Scienze Religiose», IV (1990), p. 457-492; D. aMato, Primi
dati sul clero molfettese fra ’800 e ’900, «Luce e Vita Documentazione» (LVD), 1987, n. 2, p.
127-165; id., La formazione del clero a Terlizzi nell’Ottocento, ibidem, 1989, n. 2, p. 101-146;
id., Le regole del Seminario di Molfetta agli inizi del Settecento, ibidem, 1991, n. 1, p. 171-222;
id., La formazione del clero e l’opera del Seminario a Molfetta agli inizi del Settecento, «Studi
in onore di Mons. Antonio Bello», a cura di L.M. de PaLMa, Molfetta 1992, p. 255-282; id.,
Un prete erudito nel Seminario di Molfetta: don Giuseppe de Luca, «Studi Molfettesi», 1997,
n. 4, p. 85-94; A. Ficco, Per la storia del clero in Terra di Bari in età moderna. Le ordinazioni
sacerdotali a Molfetta dal 1700 al 1819, «Studi in onore di Mons. Antonio Bello», p. 201-226;
G. de gennaro, La città di Salvemini. La classe dirigente di Molfetta dall’unità al primo Novecento, Molfetta 2000, p. 121-151.
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Luigi MicheLe de PaLMa
allo studio e alla ricerca di quelle igure sacerdotali che hanno animato in vario
modo la vitalità del clero diocesano e lasciato una traccia signiicativa nella storia
della Chiesa locale.
PIETRO PAPPAGALLO
(1888, Terlizzi - 1944, Roma)
Nacque a Terlizzi il 28 giugno 1888 da Michele e Maria Tommasa Guastamacchia, quinto di otto igli. Suo padre era funaio e la madre casalinga3. Da ragazzo,
Pietro fu ammesso nel convitto “Matteo Spinelli” di Giovinazzo e successivamente
proseguì gli studi liceali come alunno del Seminario Vescovile di Molfetta. Negli
anni 1910-1915 intraprese gli studi teologici, trasferendosi a Lecce presso il Seminario Regionale Pugliese. Venne ordinato presbitero a Terlizzi il 3 aprile 1915 da
mons. Pasquale Picone, vescovo di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi.
Durante i primi anni di sacerdozio, don Pietro svolse il suo ministero nell’ambito della cittadina terlizzese, dove, però, gli spazi gli apparvero alquanto angusti
sia per l’esiguo numero delle parrocchie (appena tre) sia per l’alto numero degli
ecclesiastici residenti. La sua inclinazione all’impegno pastorale nell’ambito della
formazione della gioventù gli consentì di stringere rapporti con don Giulio Binetti,
fondatore del convitto “Vito Fornari” di Molfetta (eretto nel 1915 ed inaugurato
nel 1919). Nel convitto venivano accolti numerosi studenti – anche forestieri – che
frequentavano le scuole della città. Fra il 1922 il 1923, don Pietro collaborò con
don Giulio dapprima come economo, poi come animatore ed inine con l’incarico
di vicerettore del convitto.
L’esperienza nel frattempo acquisita e soprattutto la stima e l’amicizia coltivate
Sulla igura di Pappagallo si vedano: Martirologio del Clero italiano nella 2a Guerra
Mondiale e nel periodo della Resistenza, Roma 1963, p. 168; L. Musci, Pappagallo Pietro,
«Dizionario Storico del Movimento Cattolico in Italia 1860-1984», vol. III/2, Casale Monferrato
1984, p. 626-627; A. Lisi, Don Pietro Pappagallo. “Un eroe, un santo”. Raccolta di documenti e
testimonianze, Rieti 19952; id., Don Pietro Pappagallo, martire alle Fosse Ardeatine, Todi 2006;
F.M. Lorusso, Don Pietro Pappagallo: un eroe, un santo, «Luce e Vita» (LV), 75 (1999), n. 35,
p. 7; L. accattoLi, Nuovi Martiri. 393 storie cristiane dell’Italia di oggi, Cinisello Balsamo
2000, p. 102-103; M. ruBini, I testimoni della fede del XX secolo, «Luce e Vita», 76 (2000), n.
22, p. 6; G. VaLente, Don Pietro Pappagallo tra “i nuovi martiri del XX secolo”, LVD, 2000,
n. 1, p. 121-126; id., Terlizzi. La Chiesa – Le chiese, Terlizzi 2009, p. 308-313; A. PorteLLi,
L’ordine è stato già eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Roma 2001, p. 30-31;
R. BrucoLi, Pane e cipolla e santa libertà. Don Pietro Pappagallo, martire alle Ardeatine, 2
vol., Terlizzi 2007-2009; P. Vanzan, Don Pietro Pappagallo ucciso alle Fosse Ardeatine, «La
Civiltà Cattolica», 161 (2010), I, p. 37-48.
3
Figure sacerdotali del Novecento
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nei suoi riguardi dal gesuita p. Raffaele Tramontano – professore di S. Scrittura nel
Seminario Regionale Pugliese – furono all’origine del trasferimento di don Pietro
a Catanzaro, presso il Seminario Regionale Calabro, in cui svolse l’uficio di vicerettore economo (1924-1925). Ritornato a Terlizzi, don Pietro ottenne dal vescovo
Pasquale Gioia il permesso di recarsi a Roma per specializzarsi nello studio del
diritto canonico. Il sacerdote terlizzese giunse nella capitale alla ine di novembre
del 1925 e dopo alcuni mesi gli fu proposto di dirigere e organizzare il nuovo
convitto per gli operai della fabbrica di ilati Cisa Viscosa. Il nome di Pappagallo
venne segnalato al dirigente dell’azienda, Alberto Fassini, perché la sua persona
sembrava essere la più adatta ad assumere la conduzione del convitto: era giovane,
di estrazione popolare, meridionale come la maggioranza degli operai ospitati nel
convitto, e soprattutto era un prete. La sua autorevolezza spirituale gli avrebbe
consentito di alleviare i numerosi disagi di quanti, per motivi di lavoro, avevano
dovuto abbandonare le proprie famiglie e trasferirsi nell’Urbe. Don Pietro accettò
l’incarico (1926-1927) anche per garantirsi il necessario per la propria residenza
in Roma. Tuttavia, dopo breve tempo, il diretto contatto con le dificili condizioni
di vita degli operai gli fece assumere un atteggiamento critico nei confronti della
dirigenza dell’azienda, la quale, per altro, operava in stretta consonanza col sistema
autarchico imposto dal regime fascista. Mons. Ferdinando Baldelli, responsabile
dell’opera di assistenza spirituale dei lavoratori (nel 1930 fondatore dell’Opera
Nazionale di Assistenza Religiosa degli Operai), pose a don Pietro l’alternativa
di entrare nel collegio dei sacerdoti dediti all’assistenza degli emigrati italiani
all’estero, altrimenti sarebbe stato rimosso dall’incarico. Il sacerdote terlizzese accettò la proposta (1927), ma restò persuaso della necessità di provvedere anche ai
lavoratori residenti in patria. Nel frattempo ottenne da mons. Gioia di prorogare il
proprio soggiorno romano e dal 1928 al 1929 svolse l’uficio di viceparroco nella
parrocchia di San Giovanni in Laterano. Seguirono l’incarico di cappellano delle
suore del Bambin Gesù e di rettore dell’omonima chiesa, nei pressi di Santa Maria
Maggiore, la deinitiva incardinazione nella diocesi di Roma e la nomina di chierico
beneiciato del Capitolo Liberiano (1931). La nuova casa di don Pietro, attigua alla
rettoria e nelle vicinanze della stazione Termini, si trasformò subito in un punto
di riferimento dei Terlizzesi di passaggio, come pure per i compaesani residenti in
Roma. Fra questi, l’antifascista Gioacchino Gesmundo, dal 1934 docente nel liceo
scientiico “Cavour” e poi assistente nella facoltà di Magistero. Don Pietro strinse
rapporti di collaborazione con il card. Bonaventura Cerretti, arciprete della basilica liberiana, e talvolta svolse per suo conto incarichi riservati, anche all’estero,
indossando abiti civili. Nel 1933 venne chiamato a far parte della Commissione
per l’Anno Santo Straordinario della Redenzione.
Sebbene non si fosse mai occupato di politica, don Pappagallo maturò la
consapevolezza di vivere in una società condizionata da un regime dittatoriale, che
50
Luigi MicheLe de PaLMa
pregiudicava le libertà individuali e violava la giustizia. L’ingresso in guerra
dell’Italia aggravò il suo giudizio negativo sul fascismo, mentre il suo spirito
sacerdotale lo spingeva a rendersi disponibile per sovvenire, per quanto gli era
possibile, alle necessità di coloro i quali, per motivi politici, razziali o per le
conseguenze del conlitto, vivevano in condizioni d’indigenza o di clandestinità.
La situazione precipitò all’indomani dell’armistizio (9 settembre 1943), quando
le truppe tedesche occuparono Roma e dettero inizio alla deportazione degli ebrei
e all’arresto degli antifascisti. Don Pietro contribuì in prima persona all’attività
clandestina di protezione dei perseguitati e degli oppositori, spesso falsiicando
i documenti di ebrei e di antifascisti per lasciarli sfuggire dalla morsa nazista. Il
29 gennaio 1944, in conseguenza di una spiata, egli venne arrestato dalla Gestapo
con l’accusa di complicità nel favoreggiamento dei ricercati e fu tradotto nella
prigione di via Tasso. Qui venne recluso in una cella insieme a Gaetano Bufera,
Giovanni Rampulla, Gaetano Forte, Alberto Fontacone, Vincenzo Palermo, Oscar
Caggegi, Angelo Ioppi e il disertore altoatesino Josef Reider. Fu sottoposto a duri
interrogatori per estorcergli nomi e informazioni. La sua detenzione si protrasse
ino al 24 marzo, quando, insieme ai suoi compagni, don Pietro fu coinvolto nella
rappresaglia tedesca seguita all’attentato di via Rasella, perpetrato dai Gruppi
d’Azione Patriottica facenti capo al Comitato di Liberazione Nazionale. Dalle
carceri di via Tasso e di Regina coeli furono prelevati dai Tedeschi 335 detenuti –
fra cui 70 ebrei – e condotti nelle cave sulla via Ardeatina, dove vennero trucidati.
Pappagallo fu tradotto alle Fosse insieme a Reider e – secondo la testimonianza
di quest’ultimo – quando apparve chiara la sorte che attendeva i prigionieri, don
Pietro riuscì a liberarsi dai vincoli che lo stringevano al polso di Reider e impartì
ai condannati l’assoluzione. Reider riuscì a fuggire, mentre il sacerdote restò
coinvolto nella carneicina. Alcuni mesi dopo l’eccidio, la salma di don Pietro
venne riconosciuta da due fratelli insieme al cognato e agli inizi di novembre del
1948 fu solennemente traslata nella cappella di famiglia nel cimitero di Terlizzi,
alla presenza del vescovo Achille Salvucci,
Il 13 luglio 1998, Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica, conferì la
medaglia d’oro al valor civile alla memoria di don Pietro Pappagallo, il cui ricordo
si è mantenuto sempre vivo nella città di Terlizzi. Finora il sacerdote terlizzese è
rimasto l’unico ex alunno del Seminario Vescovile di Molfetta e del Seminario
Regionale Pugliese insignito di così alta decorazione. Durante il Grande Giubileo
del 2000 il nome del sacerdote terlizzese fu inserito fra i 12.691 nuovi martiri cristiani del XX secolo, commemorati al Colosseo per volontà di Giovanni Paolo II.
Alla igura sacerdotale di don Pietro e alla sua eroica testimonianza di fede
si ispirò il regista Roberto Rossellini per il ilm Roma città aperta (1948), mentre
Francesco Albano diresse la iction televisiva La buona battaglia. Vita di don Pietro
Pappagallo (2006).
Figure sacerdotali del Novecento
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FRANCESCO GAUDIO
(1907 - 1979, Molfetta)
Nacque a Molfetta il 27 settembre 1907 (dichiarato il 4 ottobre) da Nicola,
capitano di piccolo cabotaggio, e Gaetana Mancini; era l’ultimo di sei igli, nato
dopo il ritorno in patria della famiglia, trasferitasi per alcuni anni in Tunisia4. Ciccio – così com’era chiamato dai suoi parenti – entrò nel Seminario Vescovile di
Molfetta e poi diventò alunno del Seminario Regionale Pugliese (1924-1933), in
cui fu compagno di Corrado Ursi, futuro rettore e cardinale arcivescovo di Napoli.
Problemi di salute ritardarono il compimento degli studi, ciò nonostante egli ricevette
l’ordinazione sacerdotale il 28 ottobre 1933. Don Ciccio non dimenticò le angustie
della sua infanzia, né le sofferenze isiche patite durante gli anni del seminario.
Ricordava con commozione il gesto del vescovo Pasquale Gioia, il quale, prima di
iniziare il sacro rito, gli donò il camice dell’ordinazione, che altrimenti il novello
sacerdote non avrebbe mai avuto.
Per i primi anni di ministero don Ciccio rimase nel Seminario Vescovile
svolgendo l’uficio di economo e di cerimoniere vescovile. Egli faceva parte del
gruppo di giovani sacerdoti – fra cui Giovanni Capursi, Michele Cagnetta, Michele
Carabellese e Leonardo Minervini – che attorniarono i vescovi Gioia e Salvucci
nei decenni precedenti e successivi alla seconda guerra mondiale e contribuirono
al rinnovamento del clero diocesano e allo sviluppo dell’azione pastorale. Mons.
Salvucci nominò don Ciccio assistente dell’associazione “S. Giuseppe” (GIAC)
della parrocchia Immacolata di Molfetta e poi di altri rami dell’Azione Cattolica.
Questi poi entrò a far parte del Capitolo Cattedrale e fu insegnante di religione nella
Scuola Marina e nella Scuola Media 1° Gruppo di Molfetta (1938-1949). Tuttavia, gli
anni di ministero che segnarono indelebilmente l’animo di don Ciccio furono quelli
trascorsi, come cappellano militare, ad assistere i soldati ammalati e feriti durante
la seconda guerra mondiale, ricoverati presso il Seminario Vescovile di Molfetta,
requisito e trasformato in ospedale militare. Fu un’esperienza intensa che accostò
il giovane sacerdote a tanti uomini di tutte le parti d’Italia, vulnerati nel isico ed
anche nello spirito da un dramma più grande di loro. Essa contribuì a far maturare
in don Ciccio una maggiore autocomprensione del suo servizio sacerdotale. Come
cappellano militare, infatti, egli era tenuto non soltanto a confessare i soldati, ma
anche a predicare: un ministero raramente praticato dal clero diocesano e riservato
ordinariamente ai pochi parroci, nonché ad alcuni religiosi per circostanze partiRicordi e testimonianze in Nel giubileo sacerdotale del canonico don Francesco Gaudio
parroco della Cattedrale 1933-1958, Molfetta 1958; L. MinerVini, Ricordo di Mons. Francesco
Gaudio Arciprete di Molfetta, LVD, 1979, n. 1, p. 85-86; L.M. de PaLMa, A 25 anni dalla morte
di don Francesco Gaudio, LV, 80 (2004), n. 3, p. 8.
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52
Luigi MicheLe de PaLMa
colari. In altre parole, la cura d’anime dei militari avviò don Ciccio verso la più
ampia prospettiva della pastorale parrocchiale.
L’altra esperienza – diventata cerniera del suo ministero – fu l’impegno anticomunista all’interno del locale Comitato Civico nel secondo dopoguerra. Egli la
ricordava spesso insieme ad una conidenza fattagli dal maresciallo dei Carabinieri:
il suo nome era compreso nelle liste sequestrate presso la sezione molfettese del
Partito Comunista nel 1948. Esse comprendevano i nominativi degli oppositori che
sarebbero stati eliminati una volta conquistato il potere.
Dal 1947 don Ciccio fu direttore diocesano dell’Apostolato della Preghiera
e continuò a far parte della Deputazione del Seminario Vescovile. Seguirono i
ventisette anni di parrocato nella Cattedrale di Molfetta (1949-1976), caratterizzati
dall’impegno non facile, afidatogli da mons. Salvucci, di creare maggiore coesione all’interno della parrocchia, la cui isionomia appariva alquanto differente
dalle altre parrocchie e, soprattutto, soffriva di una carenza cronica di strutture.
Per altro, la popolazione parrocchiale era composta prevalentemente da famiglie
di umile condizione, spesso bisognose di sostegni materiali, oltre che spirituali.
Il canonico curato – cioè il parroco della cattedrale – doveva saper regolare bene
spazi e tempi dell’attività pastorale (compreso il culto) per i naturali limiti imposti
da un ediicio sacro che, nello stesso tempo, era chiesa vescovile, chiesa capitolare, chiesa parrocchiale e chiesa confraternale. In particolare bisognava rispettare
i delicati equilibri nei rapporti con il Capitolo. Don Ciccio ebbe, comunque, la
soddisfazione di vedere un suo nipote – Nicola – diventare sacerdote e poi parroco,
mentre tre seminaristi della parrocchia ricevettero gli ordini sacri. Nel 1963 Paolo
VI lo nominò cappellano d’onore, e successivamente il Capo dello Stato gli conferì
l’onoriicenza di cavaliere della Repubblica. Don Ciccio, inoltre, si trovò a dover
guidare la parrocchia nel dificoltoso passaggio del post-concilio. Giudicava positivamente molte trasformazioni pastorali e liturgiche, ma non temeva di dichiararsi
poco convinto di alcune mete, di taluni esperimenti e talaltri metodi imposti con la
pretesa di rifarsi al dettato conciliare. Egli, però, seppe tirarsi indietro al momento
giusto e per il bene della sua parrocchia accettò l’invito del vescovo Aldo Garzia
a rinunziare all’uficio parrocchiale (1976). Fu una decisione molto dolorosa a cui
non volle sottrarsi, nonostante gli strascichi di sofferenza vissuti con esemplare
dignità. Continuò a vivere in assoluta sobrietà insieme a sua sorella maggiore,
Cecilia, rimasta vedova e senza prole.
Promosso arciprete del Capitolo (1976), don Ciccio fu assiduo e solerte nell’adempiere a questo suo nuovo uficio e assunse anche l’incarico di rettore della
chiesa di San Pietro, cappellano delle suore Ancelle del Santuario e padre spirituale
della confraternita della Madonna del Carmine. Rinnovò pure un’esperienza già
fatta nel 1962, quando si recò negli Stati Uniti presso gli emigrati molfettesi di
Hoboken, e lì raccolse una prima somma di denaro per la costruzione di una nuova
Figure sacerdotali del Novecento
53
parrocchia in Molfetta (San Pio X). Egli, infatti, fu il primo sacerdote molfettese a
recarsi in Australia, nel 1976, per la festa della Madonna dei Martiri, organizzata
in varie città dalle famiglie originarie di Molfetta e lì residenti. Ciò che don Ciccio
rammentava volentieri di quel lungo viaggio fu che molti emigrati – specialmente
i più anziani – accorsero da lui per confessarsi, vista la possibilità di farsi capire
anche in dialetto.
Pochi giorni prima del Natale 1978, don Ciccio fu ricoverato al Policlinico di
Bari a causa di una malattia già sofferta durante l’infanzia (pleurite). Ricevette la
visita di mons. Garzia e di altri confratelli per gli auguri natalizi, e nulla faceva sospettare il sopraggiungere di una grave e inarrestabile emorragia interna. Nonostante
le cure, spirò nel Policlinico l’8 gennaio 1979 e al suo funerale furono in molti a
piangere un prete dalla personalità semplice ed essenziale, il quale aveva saputo
condividere con dedizione lo stile di vita umile e discreto di tanti suoi parrocchiani.
AMbROGIO GRITTANI
(1907, Ceglie del Campo - 1951, Molfetta)
Sesto iglio, nato a Ceglie del Campo l’11 ottobre 1907, dal secondo matrimonio
di Michele Grittani (rimasto vedovo con altri tre igli) e Chiara Carone. Suo padre
era un facoltoso commerciante che diventò anche sindaco del paese, mentre la madre
apparteneva ad una famiglia di proprietari terrieri di Bitritto5. Il piccolo Ninì restò
5
I manoscritti del Servo di Dio sono custoditi presso la Postulazione per la causa di canonizzazione. Gli scritti pubblicati sui periodici «Luce e Vita» e «Amare» sono stati raccolti nei
vol.: Dal vangelo all’amore. Rilessioni domenicali 1944-45, a cura di S. PaLese, Roma-Trani
1983; Evangelizzare il Regno. Scritti pastorali 1939-1943, a cura di S. PaLese, Roma-Trani
1985; I poveri, a cura di R. Piccinno, Roma-Monopoli 1996; L’Eucarestia, a cura di S. PaLese – r. Piccinno, Roma-Monopoli 1999 (comprendente alcuni inediti). Per gli altri opuscoli
editati: Piccolo regolamento di vita spirituale, Torino 1940 (Roma-Monopoli 19902); Preghiere
dell’Opera Pia S. Benedetto G. Labre per la quotidiana assistenza spirituale e materiale dei
poveri di Puglia, Molfetta 1944 (Roma-Monopoli 19912); Accattoni. Fatti, idee, documenti
dell’Opera Pia S. Benedetto Giuseppe Labre per la quotidiana assistenza morale e materiale
ai poveri di Puglia, Molfetta 1949 (Roma-Monopoli 19922). Per la bibliograia che lo riguarda
si vedano: In ricordo perenne della benedizione della Chiesa S. Benedetto Giuseppe Labre,
Molfetta 1943; L’Opera Pia S. Benedetto Giuseppe Labre, Molfetta 1946; G. rocca, Oblate di
San Benedetto Giuseppe Labre, «Dizionario degli Istituti di Perfezione», vol. 6, Roma 1980, col.
603-604; R. tarantini grittani, Accordo in Si. Don Ambrogio Grittani e la sua opera, Galatina
1986; ead., Don Ambrogio Grittani: «… ho scelto i poveri», Bari 1990; ead., Grittani Ambrogio,
«Bibliotheca Sanctorum», app. 2, Roma 2000, col. 620-622; ead., Don Ambrogio Grittani. Quel
prete ci vuole bene, Bologna 2007; D. d’eLia, Don Ambrogio Grittani tra profezia e storia.
Genesi e formazione di un apostolo del Sud, Molfetta 1990; Il Servo di Dio Don Ambrogio Grit-
54
Luigi MicheLe de PaLMa
orfano del padre quando non aveva compiuto neppure un anno, e perse la mamma
all’età di quattro anni. La sorella maggiore Addolorata assunse l’onere di allevare
gli altri fratelli e con loro si trasferì a Bitritto nella casa degli zii materni, entrambi
scapoli. Sotto l’egida dell’arciprete don Antonio Masellis, Addolorata assecondò i
desideri del piccolo Ambrogio, il quale entrò nel Seminario Arcivescovile di Bari
(1919-1924) nonostante l’opposizione degli zii. Fu alunno del Seminario Regionale Pugliese dal 1914 al 1931, tranne che per la parentesi di un anno (1927-1928),
quando si trasferì a Roma presso il Collegio Leoniano e conseguì il baccellierato in
Teologia nell’Università Gregoriana. Per la sua formazione seminaristica restarono
fondamentali le igure del rettore Giovanni Nogara e del direttore spirituale Luigi
Ercoli. Il 25 luglio 1931 venne ordinato sacerdote nella parrocchia San Giuseppe
di Bari dall’arcivescovo mons. Augusto Curi.
Durante i primi due anni di sacerdozio, don Ambrogio fu viceparroco della
chiesa matrice di Bitritto, rettore della chiesa di San Luigi e cappellano dell’omonima confraternita. Chiese e ottenne di trasferirsi a Milano per frequentare il corso di
laurea in lettere classiche presso l’Università Cattolica (1933-1936), ma per un anno
(1936-1937) fu chiamato a Molfetta per insegnare latino nel Regionale. Ritornato a
Milano, conseguì la laurea il 30 giugno 1938 e nel settembre successivo, insieme alla
sorella Maria, si trasferì deinitivamente a Molfetta, dove riprese l’insegnamento di
latino. Molti suoi studenti continuano a ricordare la stima per la sua competenza e
le capacità didattiche, insieme al rigore nelle valutazioni (talvolta i compiti in classe
ottenevano valutazioni inferiori allo zero).
La formazione spirituale ricevuta nel Regionale, lo studio delle discipline
teologiche a Roma e a Molfetta, nonché l’esperienza accademica milanese, con-
tani. Modello dei sacerdoti. Padre dei poveri (1907-1951), Maglie 1994; V. angiuLi – a.
coLucci, L’Eucaristia dei poveri. Spiritualità e carisma di don Ambrogio Grittani (19071951), Roma-Monopoli 1997; O. conFessore, Don Ambrogio Grittani. Spiritualità e azione
sociale di un prete pugliese, Soveria Mannelli 1997; ead., Società, Chiesa molfettese e don
Ambrogio Grittani, LVD, 1999, n. 1, p. 211-220; Ambrogio Grittani e la sua opera nella società e nella Chiesa del suo tempo, a cura di s. PaLese, Roma-Monopoli 1999; Atlante degli
Ordini, delle Congregazioni religiose e degli Istituti secolari in Puglia, a cura di A. ciauLa
– F. sPorteLLi, Modugno 1999, p. 350-351; Le Oblate di don Grittani, a cura di R. Piccinno,
Roma-Monopoli 2000; G. Picaro, Storia della Congregazione delle Oblate di S. Benedetto
Giuseppe Labre, Roma-Monopoli 2001; La profezia di Don Grittani e la sua attualità, a cura
di S. PaLese, Roma-Monopoli 2003; E. Preziosi, Un prete per gli accattoni. Don Ambrogio
Grittani dall’Università Cattolica al servizio degli ultimi (1907-1951), «Palestra del Clero»,
2003, n. 7-8, p. 413-429; P. Pesare, La Casa di Riposo delle Suore Oblate nella Masseria
Ranca delle Sorelle Massafra in Maruggio (40° di fondazione: 1965-2005), Manduria 2007;
Don Ambrogio Grittani tra storia e profezia. Nel primo centenario della nascita 1907-2007.
Atti del Convegno, Terlizzi 2009.
Figure sacerdotali del Novecento
55
giuntamente alle differenti pratiche pastorali, contribuirono a far maturare nella
personalità di don Ambrogio uno stile di vita sacerdotale improntato sull’ascesi e sul
connubio fra l’impegno culturale e la dedizione alla cura delle anime. Ne trasse una
spiritualità propria, che si tradusse con la frequentazione della parrocchia S. Cuore di
Gesù – dov’era parroco un suo compagno di seminario, Giovani Capursi – e tramite
la collaborazione al periodico diocesano «Luce e Vita». Su queste pagine comparvero molti suoi articoli di carattere culturale e spirituale, irmati con lo pseudonimo
“don Curioso” (1939-1943). Don Ambrogio fu assistente delle giovanissime e delle
donne di Azione Cattolica, per le quali diventò “maestro” nella Scuola diocesana di
propaganda. Nell’ambito di questa attività pastorale egli dette alle stampe il Piccolo
Regolamento di vita spirituale (1940), un sussidio destinato a fare da supporto alla
vita religiosa delle aderenti.
Le vicende della seconda guerra mondiale e le tragiche conseguenze sociali
segnarono l’animo di don Ambrogio e determinarono un ulteriore sviluppo del suo
ministero, che incominciò a concentrarsi prevalentemente sul piano caritativoassistenziale. Nella città di Molfetta il fenomeno dell’accattonaggio era abbastanza
diffuso e a don Ambrogio parve necessario un intervento della Chiesa nei confronti
di una piaga sociale che andava vieppiù ad accrescere fasce di emarginazione. Egli
ritenne doveroso restituire dignità agli accattoni provvedendo alla loro assistenza
materiale e religiosa. Dal 1941, in collaborazione con Capursi, Grittani attivò nella
parrocchia del S. Cuore un punto d’incontro per gli accattoni della città, fra i quali si
contavano numerosi profughi. Agli inizi essi si raccoglievano in chiesa per assistere
alla messa e ricevere l’elemosina. L’occasione serviva anche ad instaurare rapporti
interpersonali con quanti rimanevano normalmente estromessi dalla vita sociale.
L’iniziativa crebbe e si diffuse anche all’esterno della parrocchia, tanto che si rese
necessario usufruire di ambienti indipendenti e più spaziosi, destinati ad accogliere
la crescente attività dei volontari che attorniavano don Ambrogio e il gran numero
dei poveri che accorrevano per usufruire della mensa.
Queste furono le premesse della costituzione dell’Opera Pia S. Benedetto Giuseppe Labre per la riabilitazione degli accattoni d’Italia, voluta da don Ambrogio
e approvata dal vescovo Achille Salvucci il 1° marzo 1943. L’iniziativa ottenne il
plauso dei vescovi pugliesi e delle autorità civili, ma le dificoltà non mancarono
e spesso don Ambrogio vendette parte del patrimonio personale – ino ad esaurirlo – per assicurare la sopravvivenza e lo sviluppo dell’Opera. La sua attività
intraprese una prospettiva più ampia: non si limitava a sfamare e a vestire i poveri,
ma si preoccupò di fornire un ambiente sano e accogliente in cui potessero vivere
dignitosamente. Le esigenze si moltiplicarono e le suore Alcantarine, presenti a
Molfetta, intrapresero una forma di collaborazione (1944-1945). Nel frattempo don
Ambrogio aveva accolto il primo seminarista destinato a succedergli nella direzione
dell’Opera (1943), mentre nel 1945 la prima Oblata vestì l’abito religioso. Grittani
56
Luigi MicheLe de PaLMa
utilizzò la stampa per informare i benefattori e i volontari sulla vita dell’Opera e
dal 1944 al 1951 pubblicò un foglio periodico dalla testata signiicativa: «Amare».
Coinvolse nell’Opera anche i seminaristi del Regionale e nel 1948, grazie alla generosità della sorella Maria, poté acquistare un suolo attiguo al Seminario, su cui
l’anno successivo venne posta la prima pietra del pensionato. Nel frattempo don
Ambrogio redasse e diffuse l’opuscolo Accattoni (1949), con cui illustrava il progetto
dell’Opera e ritornava a tratteggiare lo spirito evangelico che l’animava: “Charitas
Christi urget nos”, “Gesù nel povero”.
Le risorse economiche non erano mai suficienti per le esigenze dell’Opera,
tuttavia l’entusiasmo di don Ambrogio alimentava costantemente la sua fantasia. Si
prodigò nell’escogitare molteplici forme di sostegno da parte degli amici dell’Opera e, nello stesso tempo, nel ricercare ulteriori soluzioni per rendere più eficace
l’accoglienza e l’assistenza dei poveri. La nuova casa dell’Opera venne inaugurata
nel 1950 e il pensionato accolse i primi ospiti senza distinzioni sociali, poveri e
abbienti. Dopo breve tempo, però, don Ambrogio incominciò ad accusare i primi
sintomi di una patologia cardiaca che, trascorsi alcuni mesi di gravi sofferenze, lo
condusse alla morte. Egli spirò in una stanza del pensionato il 30 aprile 1951, all’età
di quarantatré anni. Erano attorno al sua capezzale alcune volontarie che avevano
risposto al progetto di costituire una nuova congregazione religiosa e indossavano
l’abito delle Oblate. Don Ambrogio aveva posto le premesse afinché iorisse una
nuova famiglia religiosa, completa nelle sue componenti maschile e femminile. Il
suo carisma non si esaurì, ma restò vivo e si è diffuso ino ad oggi oltre i conini
della Chiesa locale. Inoltre, il carattere ascetico della spiritualità di don Ambrogio
e la sua totale dedizione al ministero sacerdotale restarono impressi nella memoria
collettiva e contribuirono ad alimentare la fama di santità in quanti lo conobbero.
La sua igura di apostolo della carità fu accostata ad altre personalità di sacerdoti
meridionali vissuti nella stessa epoca, specialmente in Puglia: Giuseppe Di Donna,
vescovo di Andria, Pasquale Uva, Cosmo Azzollini e Angelo Raffaele Dimiccoli.
Nello stesso tempo il suo nome venne inserito fra quelli dei superiori, dei docenti
e degli ex alunni del Seminario Regionale Pugliese ritenuti esemplari e degni di
venerazione.
Il 24 novembre 1990 Antonio Bello, vescovo di Molfetta-Ruvo-GiovinazzoTerlizzi, insediò il tribunale ecclesiastico e dette inizio alla causa di canonizzazione di don Ambrogio. I lavori del tribunale furono conclusi il 3 maggio 1998 dal
vescovo Donato Negro. Il 27 marzo 2003, il successore Luigi Martella procedette
al riconoscimento delle spoglie mortali del servo di Dio e alla loro traslazione dal
cimitero di Molfetta nella cappella dell’Opera.
Figure sacerdotali del Novecento
57
MICHELE CAGNETTA
(1908 - 2009, Terlizzi)
Nacque a Terlizzi il 26 aprile 1908 da Damiano, agricoltore diretto, e Maria
Cipriani. Frequentò le scuole del Seminario Vescovile di Molfetta e poi del Pontiicio
Seminario Regionale Pugliese (1923-1932), dove conseguì la laurea in Teologia
(1932)6. Venne ordinato sacerdote il 25 luglio 1932 dal vescovo Pasquale Gioia
nella cappella del Regionale e fu subito chiamato a svolgere l’uficio di economo
del Seminario Vescovile (1932-1933). Egli faceva parte di quella rosa di seminaristi,
poi novelli sacerdoti (F. Gaudio, G. Capursi, M. Carabellese e L. Minervini), su
cui Gioia sperava per operare un eficace rinnovamento del clero diocesano e della
cura d’anime. Il successore Achille Salvucci (1935-1978) si attorniò dei giovani
preti cresciuti alla scuola del predecessore e li scelse come principali collaboratori
della sua attività pastorale. Michele Cagnetta, in particolare, può essere considerato
“l’uomo di punta” di Salvucci nella comunità ecclesiale terlizzese.
La permanenza di Cagnetta a Molfetta, infatti, si protrasse ino all’inizio
dell’episcopato di Salvucci. Gioia aveva impegnato Cagnetta come assistente dei
gruppi giovanili maschili di Azione Cattolica nel periodo successivo alla crisi del
’31 con il governo fascista. Inoltre, volle don Michele come successore di Giovanni
Capursi alla direzione del Seminario Vescovile di Molfetta (1933-1936), docente
di lettere, matematica e francese, nonché amministratore del Seminario di Terlizzi (1934). Salvucci, invece, lanciò don Michele nella città natale, afidandogli
il delicato uficio di canonico penitenziere della Cattedrale (23 novembre 1936)
quand’egli era poco più che ventottenne, e poi di confessore delle religiose (1939).
Nel frattempo il giovane sacerdote, senza dimorare in Roma, si era iscritto (1936)
alla facoltà di diritto canonico nell’Ateneo Lateranense, ma non riuscì a concludere
gli studi a causa delle vicende belliche.
La successione degli incarichi di ministero è oltremodo eloquente a riguardo
6
Un registro manoscritto, compilato da Cagnetta, è custodito presso la Curia di Terlizzi e
contiene dati biograici e i curricula dei sacerdoti terlizzesi. Le informazioni su Cagnetta sono
tratte da questo registro e dai fascicoli personali dell’archivio del Pontiicio Seminario Regionale
Pugliese e della Curia di Molfetta. Testimonianze sulla sua vita e sul suo ministero si traggono
da: R. BrucoLi, 50° di Ordinazione di Mons. Cagnetta, LV, 58 (1982), n. 35, p. 2; E. di Venezia,
Una casa di preghiera, punta di diamante, ibidem, 65 (1998), n. 3, p. 1-2; A. BeLLo, Diari e
Scritti pastorali, Molfetta 1993, p. 327-328; id., Articoli, corrispondenze, lettere, notiicazioni,
Molfetta 2003, p. 302-203; M. ciPriani, Una rarità unica nella nostra diocesi, LV, 83 (2007),
n. 30, p. 7; L. MarteLLa, Omelia per i cento anni di Mons. Michele Cagnetta, LVD, 2008, n. 1,
p. 35-38; id., Omelia per le esequie di Mons. Michele Cagnetta, ibidem, 2009, n. 2, p. 64-67;
M. ciPriani, Si è spenta una luce, LV, 86 (2010), n. 2, p. 5.
58
Luigi MicheLe de PaLMa
della stima e della iducia più volte dimostrate dal vescovo e costantemente onorate
da don Michele, e rappresenta pure il crescendo di oneri pastorali e amministrativi di
cui si fece carico il sacerdote terlizzese: rettore della chiesa di S. Ignazio (1937), della
chiesa del Rosario e assistente dell’omonima confraternita (1939-2009), delegato
vescovile dell’AC (1947-1970), assistente diocesano della GIAC (1937-1960), della
Gioventù femminile (1951-1970), delle Donne (1968-1970), degli Scout (1950-1953)
del Comitato Civico Zonale (1948-1959), amministratore della Mensa Vescovile
(1942), vice cancelliere (1937-1945), cancelliere (1945), delegato vescovile ad omnia
(1959-1975), vicario economo della parrocchia S.ti Medici (1956-1958), arcipreteparroco della Cattedrale (1959-1965, vicario economo ino al 1969) arcidiacono
(1965-2009). Un riconoscimento dei suoi meriti furono le onoriicenze di Cameriere
Segreto soprannumerario (23 febbraio 1952), Prelato Domestico (4 maggio 1961) e
Protonotario Apostolico soprannumerario (18 agosto 1982).
La collaborazione di Cagnetta proseguì anche oltre l’episcopato di Salvucci.
L’amministratore apostolico Settimio Todisco lo nominò vicario generale di Terlizzi
(1975) e tale uficio fu confermato da mons. Aldo Garzia e poi da mons. Antonio
Bello (si tenga conto, fra l’altro, che Salvucci non aveva mai nominato un vicario
generale). È signiicativo, comunque, che all’indomani della piena uniicazione delle
diocesi di Molfetta, Giovinazzo, Terlizzi e Ruvo (1985), don Michele – insieme
agli altri vicari generali Giuseppe Lisena (Molfetta), Nicola Melone (Giovinazzo)
e Vincenzo Pellicani (Ruvo) – rassegnò le dimissioni per favorire la nomina di un
unico vicario generale. Un gesto siffatto resta soltanto un tratto della personalità
di don Michele, schivo da qualunque onore e ambizione, e della sua spiritualità
sacerdotale. Ad esso devono aggiungersi altri gesti ugualmente signiicativi. Cagnetta pose a disposizione la propria villa di campagna afinché fosse istituita la
prima scuola materna statale di Terlizzi. Successivamente volle donare alla diocesi lo stesso ediicio per trasformarlo in casa di preghiera per la formazione della
gioventù (1989). Egli, che aveva conosciuto la igura e l’opera del servo di Dio
Ambrogio Grittani, auspicava che le suore di S. Benedetto Giuseppe Labre fossero
presenti anche a Terlizzi. A tale scopo donò il suolo per la costruzione di una casa
di riposo e inanziò l’ediicazione di un’ala destinata ad accogliere i sacerdoti. Fra
le iniziative legate al suo ministero in Terlizzi vanno ricordate: le missioni popolari
(1954), il congresso eucaristico e quello mariano, il restauro della Cattedrale, della
chiesa del Rosario e del santuario di Sovereto, l’incremento dei catechisti e la cura
dei ministranti, l’organizzazione delle associazioni di S. Vincenzo de Paoli, del S.
Cuore, del Rosario e di S. Michele. Specialmente per Terlizzi egli era considerato il
“padre” dell’Azione Cattolica e fu molto di più di un parroco esemplare. Per il clero
e per il laicato mons. Cagnetta rappresentò un punto di riferimento anche durante
il periodo critico successivo al concilio Vaticano II, mentre la sua personalità andò
sempre più affermandosi con autorevolezza nella compagine sociale e cittadina.
Figure sacerdotali del Novecento
59
Il card. Corrado Ursi, arcivescovo di Napoli e antico compagno di seminario,
presiedette la celebrazione del 50° di sacerdozio di Cagnetta e durante l’omelia
accennò alla sua passione pastorale, allo spirito preghiera e alla silenziosa operosità
che avevano caratterizzato il ministero sacerdotale dell’arcidiacono terlizzese. Nella
ricorrenza del 100° genetliaco di don Michele, il vescovo Luigi Martella equiparò
la igura di Cagnetta a quella di un patriarca della Chiesa locale. Il suo ministero
sacerdotale si è esteso per un arco di tempo ineguagliabile e denso di avvenimenti,
tragedie, ricostruzioni e trasformazioni che hanno interessato la Chiesa e la società.
Lo stesso presule – durante le esequie celebrate nella Concattedrale di Terlizzi il 21
dicembre 2009 – riconobbe in mons. Cagnetta uno spirito semplice, ossequiente,
rispettoso, delicatamente premuroso, generoso, scrupoloso, sempre attivo e operoso,
nonché d’essere stato un modello di vita sacerdotale per la sua coerenza, per la sua
fedeltà al magistero, per la sua moralità, per la sua amabilità e per la sua spiritualità.
GIOVANNI CAPURSI
(1909 - 1976, Molfetta)
Primogenito di sette igli, nacque a Molfetta il 28 febbraio 1909 da Pietro,
ciabattino, e Raffaella Nappi, casalinga. Fu alunno del Seminario Vescovile di
Molfetta e proseguì gli studi nel Seminario Regionale Pugliese (1922-1930)7. Era
7
I manoscritti di Giovanni Capursi sono custoditi nell’Archivio Diocesano di Molfetta.
Un faldone contiene documentazione inerente la postulazione per le cause di canonizzazione
dei servi di Dio Emanuele Ribera e Filippo Smaldone (fondo Curia Vescovile, s.s.); altri nove
faldoni contengono il materiale del suo archivio privato, rinvenuto dai partenti dopo la morte e
donato alla parrocchia S. Gennaro (fondo S. Gennaro, Capursi, n. 1-53). Per i testi pubblicati,
oltre ai numerosi articoli apparsi su «Luce e Vita», «Vita Parrocchiale» e «Molfetta Nostra», si
veda: La chiesa del S. Cuore. Nota storica, Molfetta 1937; Elogio funebre, «Mons. D. Francesco Samarelli. Testimonianze», Molfetta 1952, p. 8-15; Le Parrocchie di Molfetta nei secoli,
Molfetta 1952; La novena alla Madonna della Grazia, Molfetta 1954; Virtù Mariane, Molfetta
1956; Le statue del Sabato Santo nel racconto di Giulio Cozzoli, Molfetta 1957; La chiesa e il
convento di S. Domenico da Soriano in Molfetta, Molfetta 1959; Giubileo sacerdotale di Mons.
Ilarione Giovene 1909-1959, Molfetta 1959 (in collaborazione con A. Fontana); Studio sulla S.
Allegrezza ed una nostra lauda latina del sec. XII, Molfetta 1959; La parrocchia di S. Gennaro
(note storiche), Molfetta 1960; Un secolo contro il silenzio. L’Istituto provinciale Apicella dal
1864 al 1960, Molfetta 1960; Una ingegnosa operazione bancaria di Mons. Giacinto Petronio
o.p. a favore del Convento e dello studio dei domenicani in Molfetta, estr. «Memorie Domenicane», Firenze 1961; Spiritualità del can. Filippo Smaldone, Molfetta 1961; La devozione alla
Madonna della Grazia attraverso i secoli a Molfetta, Molfetta 1962; La lauda della Natività,
del secolo XII, d’ignoti, Molfetta 1962; La chiesa di S. Bernardino in Molfetta, Molfetta 1964;
Miscellanea, Molfetta 1964; Verso il testo originario di Sant’Allegrezza. Studio critico, Molfetta
60
Luigi MicheLe de PaLMa
ancora seminarista del quarto anno teologico, quando il vescovo Pasquale Gioia lo
chiamò come educatore nel Seminario Vescovile. Dal 1915 al 1926 il Regionale
venne ospitato nell’ediicio del Seminario di Molfetta e i suoi superiori svolgevano
anche la funzione di educatori degli alunni del minore. Con il trasferimento del Regionale nella sua nuova sede molfettese (1926), la direzione del Vescovile tornò ad
essere afidata al clero diocesano. Mons. Gioia si riservò l’uficio di rettore, mentre
veniva coadiuvato da un vicegerente, un direttore spirituale e un prefetto d’ordine.
Giovanni Capursi fu il primo sacerdote ordinato da Gioia (25 ottobre 1931), il quale
lo nominò subito vicegerente in sostituzione del sacerdote giovinazzese Nicola Palmiotto (1926-1931), promosso parroco di San Corrado in Molfetta. Don Giovanni
fu il capostipite di quei sacerdoti novelli, formatisi nel Regionale, di cui si attorniò
mons. Gioia per restituire autonomia al Vescovile e rinnovare la cura pastorale. Nei
primi anni di sacerdozio, Capursi fu anche economo e docente nel Vescovile e, fra
l’altro, si dedicò alla preparazione dei cori parrocchiali formati da fanciulli di Azione
Cattolica. Diventò assistente dell’associazione di A.C. “San Giovanni Bosco” e dal
1932 al 1934 fu assistente diocesano della Gioventù Cattolica Maschile.
Mons. Gioia continuò a nutrire iducia e stima nei riguardi di don Giovanni, al
quale – neppure venticinquenne – volle afidare la cura della parrocchia S. Cuore
di Gesù in Molfetta. Il vescovo aveva speso molte energie per la nuova parrocchia.
Sebbene il predecessore Pasquale Picone avesse istituito la parrocchia nel 1916,
si dovette attendere dieci anni per iniziare la costruzione del tempio, mentre due
sacerdoti si avvicendarono nell’uficio di economo spirituale. Capursi subentrò in
quest’uficio nel dicembre del 1933 e dovette attendere per un decennio la nomina
di primo parroco, dopo aver ottenuto il riconoscimento civile dell’ente parrocchiale.
La parrocchia comprendeva il territorio a sud della città, zona di nuova espansione
edilizia, mentre la chiesa era situata a metà del boulevard cittadino, corso Umberto
I, verso la stazione ferroviaria. La popolazione parrocchiale era passata da 4.620
residenti del 1918 ai 9.600 del 1931. Durante il parrocato di Capursi – grazie anche
al favore degli accordi concordatari – nel tessuto diocesano si intensiicò la rete par-
1968; Come e quando nacque la Santa Allegrezza, Molfetta 1969; L’operosità dei preti della
missione nel Seminario di Molfetta, estr. «Annali della Missione», Roma 1969; Culto tributato a
S. Corrado Bavaro, Molfetta 1970; Molfetta ieri e oggi, 2 vol., Molfetta 1971-1972; La chiesa di
S. Andrea e la confraternita di S. Antonio. Contributo storico, Molfetta 1974; Ricordo di Mons.
Pasquale Gioia vescovo somasco, «Vita Somasca», 17, 1975, n. 6, p. 52-53; Un prestito del
ven. Convento di S. Domenico a pro del Seminario Vescovile (1760), Molfetta 1978 (postumo).
La igura di Capursi viene ricordata in: Parrocchia del S. Cuore di Gesù. Nel Venticinquesimo
di sua vita e nel possesso canonico del suo primo Parroco, Molfetta 1943; Nel Trentesimo di
Parrocato di Mons. Giovanni Capursi. Molfetta, Dicembre 1933-1963, Molfetta 1963; L. MinerVini, La morte dell’Arciprete di Molfetta: Mons. Giovanni Capursi, LVD, 1976, n. 6, p. 50-51.
Figure sacerdotali del Novecento
61
rocchiale e, dal dopoguerra ino agli anni Sessanta del Novecento, l’incremento del
numero delle parrocchie segnò sensibilmente la vita religiosa della popolazione. Le
parrocchie diventarono i centri principali intorno a cui si svolgeva prevalentemente
la vita dei fedeli e verso cui si concentrava l’attività del clero. Nel 1972, quando
don Giovanni cessò l’uficio di parroco, la popolazione aveva superato le 11.000
anime, ma nel frattempo altre parrocchie erano state erette, smembrando parte del
territorio del S. Cuore.
Durante il ministero parrocchiale di don Giovanni – durato quasi quarant’anni
– la parrocchia del S. Cuore si trasformò in un polo radiante di attività pastorale che
attirò intorno a sé gran parte della popolazione parrocchiale. La chiesa – secondo
la testimonianza del vescovo Achille Salvucci, successore di Gioia – trovata da
Capursi «nuda e squallida e con locali insuficienti per le opere pastorali», non
soltanto venne decorata e arricchita della suppellettile liturgica, ma si trasformò
in un centro propulsore soprattutto della pietà eucaristica. Nei locali di ministero,
successivamente ediicati attigui al tempio, trovarono spazio l’attività catechistica, le pie associazioni e i vari rami dell’Azione Cattolica. Intorno alla parrocchia
orbitavano e interagivano il convento dei Cappuccini e cinque comunità religiose
femminili preposte alla direzione di istituti di beneicenza. Furono numerosi i
superiori e i docenti del Regionale che frequentarono assiduamente la parrocchia
e dal suo seno sbocciarono vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa. Diventò
molto attiva la presenza dei gruppi dediti all’esercizio della carità e fu signiicativo
che nei locali parrocchiali sorse, nell’immediato secondo dopoguerra, l’Opera Pia
San Benedetto Giuseppe Labre – di cui don Giovanni fu consulente – fondata dal
servo di Dio Ambrogio Grittani per l’assistenza religiosa e materiale degli accattoni.
Il parroco si preoccupò di arricchire la dote parrocchiale, procurandosi beni
immobili e legati pii. Tuttavia un altro aspetto della personalità di don Giovanni si
sviluppò durante il suo ministero, cioè l’impegno ad incrementare l’informazione
fra i membri della parrocchia e la cura della memoria della vita comunitaria. Nel
1943 egli dette vita al bollettino «Vita Parrocchiale», con cui venivano fornite notizie
aggiornate sulle iniziative progettate o realizzate e si offrivano spunti di rilessione
religiosa. Inoltre, in occasione di particolari ricorrenze, don Giovanni pubblicò alcuni opuscoli contenenti note storiche riguardanti la parrocchia e non trascurò di dare
alle stampe anche libretti di preghiera e di meditazione in uso presso il S. Cuore.
Durante il lungo parrocato, con costanza certosina, Capursi compilò il diario parrocchiale, di cui si conservano tuttora tre registri manoscritti. Il suo gusto dilettantistico
per la storia lo spinse a condurre numerose ricerche sulle chiese di Molfetta e sulle
igure di alcuni ecclesiastici, nonché sugli usi e sui costumi religiosi e profani del
popolo molfettese. Alcune sue note furono pubblicate, altre sono rimaste inedite o
in forma di semplici appunti. Il loro valore, tuttavia, consiste soprattutto nell’aver
raccolto dati e notizie – specialmente di epoca contemporanea – che altrimenti
62
Luigi MicheLe de PaLMa
non sarebbero stati tramandati. Don Giovanni continuò a coltivare la sua passione
per lo studio e nel 1959 conseguì il diploma di dirigente per biblioteche popolari e
scolastiche. Giovanni XXIII lo onorò del titolo di Cameriere Segreto di Sua Santità
(1960) e fu nominato vicepostulatore (1963) per le cause di canonizzazione dei servi
di Dio Emanuele Ribera, redentorista molfettese, e Filippo Smaldone, apostolo dei
sordomuti e fondatore delle Suore Salesiane dei Sacri Cuori. Paolo VI lo annoverò
fra i prelati domestici (1964).
Per un verso, la igura sacerdotale di Capursi interpretò il modello moderno di
clero dedito principalmente alla cura pastorale – su cui era impostata la formazione
impartita nel Regionale – e, per altro verso, continuò la tradizione locale del clero
appassionato per le memorie patrie. Inoltre, il suo lungo parrocato si concluse con
il superamento dell’inamovibilità del parroco, che talvolta condizionava negativamente la vitalità delle comunità parrocchiali. Nel clima di rinnovamento della vita
ecclesiale, sollecitato dal concilio Vaticano II, don Giovanni accolse la proposta
di mons. Settimio Todisco, amministratore apostolico di Molfetta, Giovinazzo
e Terlizzi, e all’età di sessantaquattro anni rinunciò al suo uficio di parroco. Fu
nominato arciprete del Capitolo Cattedrale (1972). Capursi proseguì il suo hobby
preferito: lo studio delle memorie patrie e continuò a pubblicare articoli su «Luce
e Vita», settimanale diocesano e su «Molfetta Nostra», periodico della Pro loco.
Il 28 maggio 1976, mentre tornava a Molfetta dalla Biblioteca Nazionale di
Bari, dove stava approfondendo le ricerche su s. Corrado, patrono della città e della
diocesi, don Giovanni fu colto da malore e morì. La sua morte repentina suscitò
viva commozione fra la popolazione cittadina e soprattutto nell’animo dei fedeli
della parrocchia del S. Cuore.
MICHELE CARAbELLESE
(1911 - 2009, Molfetta)
Nacque a Molfetta l’11 gennaio 1911 da Saverio, agricoltore diretto, il quale
– rimasto vedovo – sposò in seconde nozze Francesca De Cesare e mantenne una
prole numerosa8. Durante l’Ottocento, la famiglia Carabellese aveva offerto alla
8
Alcuni articoli di Michele Carabellese sono sparsi sulle pagine del periodico diocesano
«Luce e Vita», mentre il saluto pronunciato per l’ingresso del nuovo vescovo Luigi Martella il
17 marzo 2001 è pubblicato in LVD, 2001, n. 1, p. 23-24. Dopo la sua morte un certo numero
di quaderni di appunti sono stati versati all’Archivio Diocesano di Molfetta. La sua igura sacerdotale viene ricordata da L. MarteLLa, Omelia per i 75 anni di sacerdozio di Mons. Michele
Carabellese, ibidem, 2009, n. 2, p. 53-55; id., Omelia per le esequie di Mons. Michele Carabellese, ibidem, p. 57-61; T. tridente, Il nostro “padre” spirituale, LV, 85 (2009), n. 34, p. 2.
Figure sacerdotali del Novecento
63
Chiesa locale numerosi sacerdoti, canonici e dignità capitolari, e nel frattempo
aveva intrecciato legami di parentela con altre famiglie di ecclesiastici: Gadaleta,
Minervini, Palmiotti. Immacolata Carabellese, una delle sorelle maggiori, diventò
suora (assunse il nome di Maria Grazia presso le Ancelle del S. Cuore di Gesù),
mentre Michele, insieme al fratello Sergio, entrò nel Seminario Vescovile di Molfetta e successivamente nel Pontiicio Seminario Regionale Pugliese (1927-1934).
Ricevette l’ordinazione sacerdotale il 28 ottobre 1934 per le mani di Pasquale Gioia,
vescovo di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi, e dal 1934 al 1936 svolse la mansione
di prefetto d’ordine nel Regionale.
La nutrita successione di incarichi è la testimonianza più eloquente della iducia, della considerazione e della stima che don Michele seppe guadagnarsi – non
soltanto da parte del nuovo vescovo Achille Salvucci – durante i settantacinque anni
del suo ministero sacerdotale. Salvucci lo volle vicegerente, rettore e insegnante di
lettere del Seminario Vescovile (1936-1945) e poi direttore spirituale (1945-1976); lo
nominò rettore della chiesa di Santa Maria Consolatrice degli aflitti e assistente del
sodalizio confraternale più numeroso della diocesi, l’Arciconfraternita della Morte
(1938-1945, 1961-1974), nonché delle Dame di Carità. In seguito don Michele fu
confessore delle suore e delegato per le religiose delle tre diocesi unite, direttore
delle Missionarie dell’Oratorio di Giovinazzo, direttore dell’uficio catechistico e
difensore del vincolo nel tribunale diocesano, nonché assistente dei vari rami, maschile e femminile, dei giovani e degli adulti dell’Azione Cattolica e della FUCI.
Nel 1940 entrò a far parte del Capitolo Cattedrale e nel 1945 conseguì la licenza
in diritto canonico presso l’Ateneo Lateranense. Fu insegnante di religione cattolica nel Liceo Classico e nell’Istituto Magistrale di Molfetta. Assunse l’uficio e
la dignità di penitenziere (1945), fu promosso arciprete (1962) e poi arcidiacono
(1972). Dal 1970 al 1981 svolse l’incarico di direttore spirituale nel Regionale, e
nei due decenni successivi vi rimase come confessore. I papi lo onorarono con i
titoli di Prelato Domestico (4 maggio 1961) e di Protonotario Apostolico soprannumerario (18 agosto 1982).
Don Michele si preparò al ministero sacerdotale nel Seminario Regionale Pugliese, durante i rettorati di Giovanni Nogara (1920-1931) e di Pietro Ossola (19311942), mentre erano direttori spirituali Luigi Ercoli, Giuseppe Donna Aloia e Luigi
Doria. I giudizi dei superiori e il proitto scolastico furono sempre positivi, tanto da
far prolungare la sua presenza nel Regionale anche dopo l’ordinazione sacerdotale.
Egli, poi, entrò a far parte del gruppo dei giovani sacerdoti che collaborarono con il
vescovo Salvucci (1935-1978) per il rinnovamento del clero diocesano e in favore
dello sviluppo dell’azione pastorale. Nel 1936 Salvucci scelse Carabellese come
successore di Michele Cagnetta nella direzione del Seminario Vescovile. Furono
anni dificili, anche perché durante il suo rettorato (protrattosi ino al 1945), con lo
scoppio della guerra, i locali del Seminario vennero requisiti per accogliere l’ospe-
64
Luigi MicheLe de PaLMa
dale militare. E comunque la presenza di don Michele nel Vescovile si protrasse
ino al 1976 (nel frattempo si succedettero tre rettori) con l’incarico di direttore
spirituale. Questa veste apparve come la più confacente al suo animo sacerdotale.
Egli, infatti, veniva continuamente impegnato nella predicazione di ritiri e di esercizi spirituali e si dedicava assiduamente all’ascolto delle confessioni in numerose
chiese della diocesi. Sebbene non abbia mai ricevuto incarichi parrocchiali, la sua
igura di pastore d’anime e direttore delle coscienze riletteva l’intima dimensione
della sua sanctitas sacerdotalis. Con il suo carattere «riusciva ad essere piccolo,
semplice come un bambino e grande, rigoroso, amabile, nello stesso tempo, nei
gesti e nelle parole; puntuale ed eficace nelle rilessioni; energico e convincente,
attento e rilessivo; cordiale e scrupoloso». Si mostrava sempre obbediente, umile e distaccato da qualunque onore o interesse mondano. Prediligeva l’esempio
sacerdotale e il modello pastorale di s. Francesco di Sales, tanto che entrò come
cooperatore nella famiglia salesiana di s. Giovanni Bosco. Don Michele, fra l’altro,
trascorreva le vacanze estive presso il monastero di Montevergine, dedicandosi
quotidianamente all’ascolto delle confessioni. La stima per la sua persona e per la
sua testimonianza sacerdotale, insieme alla veneranda età raggiunta, lo trasformò
in un patriarca della Chiesa locale.
Tuttavia, la fama delle sue qualità, del suo equilibrio e della sua saggezza
si estese anche oltre in conini diocesani. Nel 1970, infatti, don Michele venne
nominato direttore spirituale del Regionale e succedette ad un altro sacerdote
pugliese, Francesco Marinò. In quegli anni del rettorato di Mario Miglietta
(1965-1979) la vita del Regionale viveva momenti alquanto dificoltosi. Il clima
di contestazione generale, le trasformazioni sociali in atto e il rinnovamento della
vita ecclesiale ispirato dal concilio Vaticano II avevano pervaso – non senza contrasti – l’ambiente del Seminario. Fra i seminaristi si contarono numerose defezioni;
calò il numero degli alunni del Seminario e, fra l’altro, i vescovi pugliesi decisero
di trasferire le classi liceali nella nuova sede di Taranto, rivedendo la tradizionale
impostazione pedagogica e scolastica. In una condizione di instabilità e di crisi
interna del Regionale, don Michele – il quale da tempo esercitava il ministero
di confessore fra i seminaristi – fu ritenuto una guida sicura per il discernimento
vocazionale e un maestro autorevole per la formazione dei futuri preti. Dopo il
1981, la sua presenza in Seminario si protrasse ino a poco tempo prima del suo
decesso. Egli continuò a svolgere il ministero di confessore dei seminaristi e
molti ex alunni, diventati preti, prolungarono il loro rapporto con don Michele,
confessore e direttore spirituale.
Sotto certi aspetti la igura sacerdotale di Carabellese sollecita la rilessione
e l’approfondimento della storia del Regionale e almeno di una generazione del
clero pugliese formatasi in seno ad esso. Don Michele aveva ricevuto la propria
formazione seminaristica in un’epoca in cui i modelli educativi dettati dalla
Figure sacerdotali del Novecento
65
Santa Sede si coniugavano all’interno del Regionale con le personalità degli
educatori, di formazione e di provenienza settentrionale, designati dalla Santa
Sede. Invece, la scelta di Carabellese come direttore spirituale del Seminario fu
concordata dai vescovi con i superiori del Regionale e consolidava la tradizione
“pugliese” dei direttori spirituali, già avviata con Luigi Doria (Corato), Michele
Jurilli (Bari) e Francesco Marinò (Taranto). Quale fu, dunque, e come si caratterizzò il contributo di questi sacerdoti alla formazione di un clero regionale,
meno legato alle realtà dei numerosi seminari diocesani, sebbene in gran parte
proveniente da esse? Il ruolo svolto da Carabellese copre un arco di tempo durante il quale le indicazioni del Vaticano II incominciavano ad essere recepite
all’interno del Regionale e veniva avviata una rilessione sul modello sacerdotale,
sui modelli e sui parametri educativi e culturali da adottare per il rinnovamento
della formazione seminaristica. Don Michele si mostrò sempre bendisposto nei
riguardi delle novità, tuttavia restò prudente dinanzi a certe sperimentazioni che
gli apparivano alquanto esagerate.
Superati i settant’anni, lasciò l’incarico di direttore spirituale, ma continuò a
rendersi disponibile per le confessioni dei seminaristi. Fece altrettanto con gli altri
incarichi diocesani, mantenendosi sempre attivo come confessore, laddove veniva
invitato e nelle chiese abitualmente frequentate (Cattedrale, Sacro Cuore, San
Giuseppe). Finché le condizioni isiche glielo permisero, adempì fedelmente agli
ufici capitolari ed era sempre presente all’uficiatura corale. Negli ultimi tempi,
l’età avanzata lo costrinse a condurre una vita più ritirata, che però non gli impedì
di ricevere i suoi igli spirituali. Fra gli ultimi atti compiuti si devono ricordare il
dono dei suoi libri alla biblioteca del Vescovile e la donazione alla diocesi della
casa paterna. Il 30 ottobre 2009, insieme al vescovo Luigi Martella, ai confratelli
sacerdoti, ai parenti e a numerosi fedeli (in gran parte suoi penitenti), poté celebrare il 75° anniversario di sacerdozio nella chiesa del Sacro Cuore a Molfetta. Al
termine della messa, con la solita voce chiara e squillante, ringraziò i presenti e
invitò ciascuno a vivere sempre nella gioia del Signore. Alcuni giorni dopo le sue
condizioni di salute si aggravarono improvvisamente. Ricoverato all’Ospedale
della città, don Michele spirò nella notte del 9 novembre. Durante l’omelia della
messa esequiale, celebrata in Cattedrale, gremita da sacerdoti e fedeli, il vescovo
Martella, riferendosi all’esemplarità sacerdotale della vita di don Michele, affermò:
«Se si volesse scrivere la storia ecclesiale di questa Chiesa diocesana, degli ultimi
tempi, non si potrebbe prescindere dalla sua igura».
66
Luigi MicheLe de PaLMa
LEONARDO MINERVINI
(1912 - 1985, Molfetta)
Nacque a Molfetta il 3 febbraio 1912 da Pietro Domenico, agricoltore diretto, e Rosa Gadaleta. Primogenito di sei igli, entrò da ragazzo nel Seminario
Vescovile e proseguì gli studi e la formazione nel Seminario Regionale Pugliese
(1927-1934)9. Fu ordinato presbitero il 1° maggio 1935 da mons. Marcello Mimmi,
arcivescovo di Bari e amministratore apostolico sede vacante di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi. Durante i cinquant’anni del suo ministero sacerdotale svolse
l’incarico di direttore spirituale nel Seminario Vescovile, economo spirituale nelle
parrocchie di San Corrado e di San Gennaro, rettore delle chiese di Santo Stefano,
della S.ma Trinità e di Santa Maria Consolatrice degli aflitti, nonché cappellano
del Preventorio antitubercolare di Molfetta e per alcuni anni fu confessore nel
Seminario Regionale. Entrato nel Capitolo Cattedrale come partecipante cantore,
divenne canonico e cerimoniere vescovile e successivamente fu promosso alle
dignità di sagrista, di primicerio e di arciprete. Nel 1956 Pio XII gli conferì il
titolo di cameriere segreto soprannumerario e Giovanni XXIII, nel 1961, quello
di prelato domestico. Il vescovo Achille Salvucci lo nominò cancelliere (1954) e
in questa veste don Leonardo continuò ad essere stretto collaboratore dei vescovi
Settimio Todisco e Aldo Garzia. Diventato amico di don Stefano Lamera, don
Leonardo entrò a far parte dell’istituto secolare “Gesù Sacerdote” (fondato dal
beato Giacomo Alberione) ed emise la professione il 10 settembre 1976. Altri
sacerdoti della diocesi seguirono il suo esempio e condivisero con lui la spiritualità dell’istituto.
L’assunzione dell’uficio di cancelliere fece nascere in don Leonardo l’interesse
9
Sono numerosi gli articoli di L. Minervini apparsi su «Luce e Vita», mentre per i suoi
studi: L’attuale Cattedrale di Molfetta dalle origini ai giorni nostri, Molfetta 1958; Il messale
manoscritto della Cattedrale di Molfetta. Codice miniato, Molfetta 1965; I documenti dei primi
sessanta anni della Parrocchia di S. Domenico, «L’auditorium di S. Domenico a Molfetta»,
Molfetta 1974, p. 23-42; Il riordinamento degli archivi ecclesiastici di Molfetta, Molfetta 1975;
Ricordo di Mons. Pasquale Gioia della Congregazione Somasca, vescovo di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi, Molfetta 1979; L’Archivio diocesano di Molfetta e il suo documento più antico,
Molfetta 1983 (in collaborazione con L.M. de Palma); A. saLVucci, “Briciole” e scritti inediti,
a cura di L. MinerVini, Molfetta 1984. Un proilo del suo ministero si coglie in: Studi in onore
di Mons. Leonardo Minervini, a cura di L.M. de PaLMa, Molfetta 1983; S. PaLese, «“Briciole”
e scritti inediti» di Mons. Achille Salvucci, LVD, 1985, n. 2, p. 97-116; F. sasso, Grazie, Don
Leonardo, LV, 61 (1985), n. 25, p. 3; L.M. de PaLMa, Mons. Leonardo Minervini archivista e
storico di Molfetta, LVD, 1986, n. 1, p. 145-168; A. BeLLo, Articoli, corrispondenze, lettere,
notiicazioni, Molfetta 2003, p. 147-148.
Figure sacerdotali del Novecento
67
per gli archivi e per l’archivistica. Diventò socio dell’Associazione Italiana Archivisti Ecclesiastici e partecipò ai suoi primi sette convegni (1957-1966). Nel 1967
don Leonardo si preoccupò di predisporre una più adeguata collocazione dell’archivio della Curia Vescovile e contemporaneamente, coadiuvato da don Ignazio
de Gioia, dette inizio ad una nuova inventariazione del materiale documentario.
Con il passare degli anni la situazione crebbe e maturò ino al punto di costituire,
nel 1974, presso la Curia, l’archivio storico diocesano, in cui conluirono i fondi
archivistici di numerosi enti ecclesiastici. Questi furono predisposti alla consultazione da parte degli studiosi e salvaguardati dalla dispersione e dal degrado. Don
Leonardo assunse la direzione dell’archivio diocesano e lo trasformò in un polo
attorno al quale si sviluppò l’interesse dei ricercatori italiani ed esteri. L’attività
culturale e i meriti acquisiti sul campo dell’archivistica ecclesiastica giustiicarono
l’invito e l’ingresso di don Leonardo nella locale sezione della Società di Storia
Patria per la Puglia (1978).
Un altro settore signiicativo che caratterizzò l’impegno ministeriale di don
Leonardo fu l’attività pubblicistica. Egli, infatti, nel 1943 succedette a don Saverio
Carabellese nella direzione del bollettino diocesano «Luce e Vita» – voluto nel 1925
dal vescovo Pasquale Gioia – e mantenne quest’incarico per quarant’anni, ino al
1983. Dal 1954 il bollettino assunse periodicità settimanale e sotto la direzione
di don Leonardo svolse sempre di più la sua funzione di organo d’informazione
pastorale e di collegamento fra le diocesi di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi. Don
Leonardo irmò 1.444 numeri del settimanale, che tuttora resta una fra le più antiche
testate cattoliche italiane e rappresenta una miniera di notizie e di testimonianze
sulla vita ecclesiale della comunità diocesana. Al settimanale si aggiunse poi «Luce
e Vita Documentazione», il bollettino uficiale della diocesi su cui apparivano i
più importanti documenti della Santa Sede, della Conferenza Episcopale Italiana
e Pugliese, nonché gli atti del vescovo e della diocesi, con una sezione – la “documentazione varia” – comprendente saggi, articoli, spunti e ricerche di vario genere
inerenti alla storia, alla vita religiosa e civile e alla cultura delle comunità locali.
Dal 1973 al 1982 don Leonardo dette alle stampe 29 volumi del bollettino per un
totale di 2.366 pagine.
L’attività editoriale segnò ulteriori progressi e la igura di don Leonardo acquisì la veste di custode e di cultore della memoria della comunità ecclesiale. Egli
volle avviare una collana di pubblicazioni denominata Edizioni Curia Vescovile di
Molfetta, che dal 1958 al 1975 raccolse undici opuscoli di carattere divulgativo,
in cui storia, arte e cronaca venivano ad intrecciarsi in un connubio signiicativo e
unico sul panorama pubblicistico locale. Se questa iniziativa editoriale non ebbe
più seguito, una nuova collana di studi, progettata da don Leonardo e inaugurata nel
1975, trovò maggiore fortuna e fu legata dall’ideatore all’allora neonato Archivio
Diocesano di Molfetta: i Quaderni dell’Archivio Diocesano, una collana di studi e
68
Luigi MicheLe de PaLMa
di ricerche scientiiche, aperta al contributo di numerosi specialisti, che inora conta
ventiquattro volumi e la cui notorietà ha superato i conini diocesani e nazionali.
Essa è rimasta l’unica collana di studi storici inerente le comunità cittadine che
compongono la diocesi.
Se non è possibile offrire un resoconto dell’intensa opera di pubblicista svolta da
don Leonardo – sono innumerevoli gli articoli, le cronache e le notizie che riportano la sua irma su «Luce e Vita» – si può tuttavia accennare ai temi e ai contenuti
dei suoi saggi e degli articoli dati alle stampe, i quali si suddividono in tre iloni
di interesse tematico: le chiese di Molfetta, gli archivi ecclesiastici, l’episcopato
molfettese.
Il primo ilone d’interesse comprende un fascicolo dedicato alla nuova cattedrale di Molfetta, apparso nel 1958 dopo i restauri del tempio e signiicativo
perché non esistevano studi dedicati alla chiesa del collegio dei Gesuiti, diventata
cattedrale nel 1785. Un altro studio condotto riguardava la trasformazione della
chiesa conventuale di San Domenico in Molfetta in nuova parrocchia, istituita
agli inizi del Novecento dal vescovo Pasquale Picone. La chiesa domenicana fu il
primo ediicio cultuale conventuale ad essere stato recuperato dalla diocesi dopo
le soppressioni ottocentesche. La sua trasformazione in chiesa parrocchiale inaugurò – durante un’epoca di diffuso anticlericalismo – la metamorfosi dell’attività
pastorale cittadina che trovava un riferimento nuovo nelle numerose parrocchie
erette sul territorio diocesano.
L’altro ilone d’interesse riguarda l’archivistica. Nel 1965 don Leonardo fece
conoscere ad un pubblico più vasto l’antico codice liturgico della cattedrale di
Molfetta, chiamato “Messale di S. Corrado” (sec. XIV), decorato con le miniature
(sec. XV) di Giovanni di Francia. Queste ultime furono pubblicate per la prima
volta in appendice al fascicolo. Tuttavia il desiderio espresso in questa iniziativa
mirava a sensibilizzare il pubblico nei riguardi della tutela e della conoscenza dei
beni culturali, posseduti specialmente dagli enti ecclesiastici. Su questo argomento
s’incentrava una raccolta di articoli con cui don Leonardo avviò la pubblicazione
dei Quaderni (1975). Il primo volume della nuova collana presentava al pubblico
il patrimonio documentario, l’organizzazione e la funzione del neonato archivio
storico diocesano. La sua genesi veniva contestualizzata nell’ambito delle altre
istituzioni culturali della diocesi: l’antica biblioteca del Seminario Vescovile e il
Museo-Pinacoteca in fase di allestimento.
Inine, Leonardo Minervini può essere ritenuto il primo biografo di due vescovi
di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi: il somasco Pasquale Gioia (1872-1935) e il marchigiano Achille Salvucci (1872-1978). I due episcopati coprirono un arco di tempo
di quasi sessant’anni (1922-1978), durante il quale don Leonardo fu testimone e coprotagonista della vita diocesana. Perciò egli scelse la forma della commemorazione
per abbozzare un medaglione biograico di Gioia (nel quarantesimo anniversario
Figure sacerdotali del Novecento
69
della sua dipartita) e lo strumento della cronistoria e dell’edizione documentaria
per tracciare un proilo del lungo e ricco episcopato di Salvucci, nonché per farne
conoscere aspetti e risvolti poco noti della sua personalità. La commemorazione
di Gioia si trasformò nel secondo dei Quaderni, mentre una sintetica cronistoria
dell’episcopato di Salvucci venne pubblicata in un numero speciale di «Luce e Vita
Documentazione» dedicato alla igura del venerato presule ad un anno dalla morte.
L’ultima iniziativa editoriale di don Leonardo fu l’edizione (1984) di Briciole, il
diario personale del vescovo, e di altri scritti inediti risalenti anche al periodo precedente l’episcopato molfettese.
Leonardo Minervini, dunque, è stato un sacerdote che ha saputo ottenere la
iducia dei vescovi, i quali lo hanno annoverato nella cerchia dei loro più stretti
collaboratori. È stato un archivista senza precedenti nell’ambito della città e della
diocesi; un autodidatta sempre incline a perfezionare le proprie conoscenze nella
continua ricerca di nuove acquisizioni; un cultore del valore del documento originale e delle strutture atte a salvaguardarlo e a trasmetterlo nel tempo. Uno storico
dilettante rivestito di un abito singolare nella compagine degli scrittori locali:
ha saputo unire la ricerca alla divulgazione, lo studio specialistico al confronto
con il grande pubblico; ha intuito felicemente l’enorme apporto dell’editoria in
favore del progresso culturale. Nel 1983, al compimento del suo 70° genetliaco, alcuni studiosi e amici vollero offrire in onore di don Leonardo un volume
miscellaneo di studi, come segno di gratitudine e attestazione di stima per il suo
impegno culturale.
Pochi mesi dopo l’ingresso del nuovo vescovo Antonio Bello, nel 1982, don
Leonardo fu colpito da un male che lo costrinse a ritirarsi dagli innumerevoli ufici.
E quando il vescovo si vide costretto ad accettare le sue dimissioni dall’incarico
di direttore di «Luce e Vita», asserì che fosse giunta a termine una stagione della
Chiesa locale: «una lunga stagione, che […] ha visto [don Leonardo] “notaio”
scrupoloso e discreto, attento e silenzioso accanto a protagonisti eccezionali e nel
vortice di avvenimenti decisivi. I vescovi Gioia, Salvucci, Todisco, Garzia. I tempi
profetici di Papa Giovanni. I fremiti del Concilio. Le dificoltà e le lentezze del
postconcilio. Le speranze dei nostri giorni» (12.6.1983). Il 1° maggio 1985 don
Leonardo celebrò il 50° anniversario di sacerdozio, ma il 13 giugno successivo
morì nella sua casa di Molfetta.
70
Luigi MicheLe de PaLMa
COSMO AZZOLLINI
(1913 - 1966, Molfetta)
Quintogenito di dieci igli, nacque a Molfetta il 12 settembre 1913 da Nicolò,
sarto, e Maddalena Salvemini10. Il padre di “Minuccio” (nomignolo del piccolo
Cosmo) non nutriva la sensibilità per la vita di fede e talvolta manifestava un grossolano anticlericalismo, congiunto al consueto autoritarismo della propria igura
paterna. Volle che i igli avessero la possibilità di studiare, ma il piccolo Cosmo
non mostrò grande applicazione né ottenne risultati superiori alla suficienza. La
madre, pertanto, pensò di avviare il iglio verso il sacerdozio. In tal modo la famiglia
si sarebbe assicurata prestigio sociale e soprattutto vantaggi economici. Il condizionamento materno spinse Cosmo ad esprimere la volontà di diventare sacerdote
e sebbene il padre avesse tentato di ostacolare la volontà del iglio, grazie alla
mediazione del parroco della Cattedrale, Mauro Amato, il giovane Minuccio fece
ingresso nel Seminario Vescovile di Molfetta (1927). Due zie materne assunsero
l’onere di mantenere agli studi il nipote.
Dal 1930 al 1937 Cosmo fu alunno del Seminario Regionale Pugliese e i suoi
diari (redatti fra il 1934 e il 1964 ed editati postumi frammentariamente) restano
una testimonianza signiicativa della vita all’interno dei due seminari. La igura
del vescovo Pasquale Gioia fu considerata da don Cosmo di rilevante importanza
per l’iniziale formazione seminaristica. Allo stesso modo esercitarono una forte
inluenza sul suo animo le personalità dei rettori avvicendatisi nel Regionale,
Giovanni Nogara e Pietro Ossola, nonché il direttore spirituale Luigi Ercoli. Fra
gli altri, don Cosmo ebbe per compagni di classe Giuseppe Carata, futuro rettore,
il barlettano Ruggero Caputo e il molfettese Corrado Minervini, con il quale egli
ricevette l’ordinazione sacerdotale dal vescovo Achille Salvucci il 24 luglio 1937
nella Cappella del Regionale.
10
Presso l’archivio della parrocchia Cuore Immacolato di Maria sono conservati il diario
(1934-1963) di don Cosmo e una sua biograia di Marta Poli (stilata fra il 1962 e il 1964); vi si
ritrovano, inoltre, una biograia di don Cosmo Azzollini (1974), redatta dalla sorella Antonia,
e una raccolta di testimonianze sulla sua vita, entrambe allegate alla pratica inoltrata per la sepoltura privilegiata. Numerosi articoli di don Cosmo sono apparsi sui periodici «Luce e Vita»
e «Cento iori», mentre il diario del viaggio negli Stati Uniti e in Canada è stato pubblicato
col titolo Ricordi di un viaggio, a cura di F. sasso, Molfetta 1967. Sulla igura di don Cosmo
e sul suo ministero si vedano: L. MinerVini, Don Cosmo Azzollini, LV, 42 (1966), n. 3, p. 1-2;
M. zanna, Un prete con gli sciuscià. Don Cosmo Azzollini, Molfetta 1986 (nel volume viene
pubblicata anche parte della corrispondenza del sacerdote); id., Don Ambrogio Grittani e don
Cosmo Azzollini due sacerdoti per Molfetta, «Don Ambrogio Grittani tra storia e profezia. Nel
primo centenario della nascita 1907-2007. Atti del Convegno», Terlizzi 2009, p. 73-84.
Figure sacerdotali del Novecento
71
Il presule riconobbe le capacità educative e le inclinazioni del novello sacerdote
per la pastorale giovanile, perciò lo volle direttore spirituale nel Seminario Vescovile
(1937-1945) e contemporaneamente assistente della “P.G. Frassati”, associazione
giovanile di AC della parrocchia S. Cuore di Gesù di Molfetta. In entrambi gli ambienti don Cosmo diventò subito un solido riferimento per i giovani seminaristi e
per i laici. Dal 1938 al 1942 fu viceparroco in San Corrado e assistente della “S.
De Simone”, nonché assistente diocesano della GIAC (1942), responsabile del
Segretariato per la moralità (stampa e cinema) e, inine, assistente dell’associazione
giovanile di Azione Cattolica “San Giovanni Bosco” della parrocchia Cattedrale
(1943). In seno a quest’associazione – che aveva sede nell’atrio dell’episcopio – don
Cosmo raccolse i primi collaboratori per il progetto che desiderava realizzare: un
oratorio giovanile. L’idea era nata nel contesto della guerra ancora in atto e delle
conseguenze che avevano interessato negativamente molte realtà famigliari. L’assenza dei padri, la fame e il mercato nero, la povertà diffusa, le carenze scolastiche
(alcune scuole erano state requisite per usi militari), la mancanza di un controllo
sociale e la presenza di militari stranieri avevano provocato una condizione di
abbandono di una parte della gioventù. Spesso essa non godeva neppure di un
minimo d’istruzione né di qualunque forma di educazione. L’evasione scolastica
era frequente e con grande facilità i ragazzi erano indotti alla delinquenza, al gioco
proibito e all’alcolismo.
Nel 1944 Salvucci accolse favorevolmente e sostenne il progetto di don
Cosmo, il quale, nonostante le gravi dificoltà economiche, dette vita all’oratorio
San Filippo Neri in alcuni locali nei pressi della villa comunale (via Ten. Fiorino). L’esperienza dell’oratorio giovanile era nuova per le Chiese del meridione,
tuttavia, nel 1947, sul territorio pugliese se ne contavano almeno trentaquattro.
A Molfetta era sorto un oratorio festivo nel Seminario Regionale, gestito dai seminaristi, mentre don Ambrogio Grittani aveva inserito nella sua Opera un altro
oratorio infantile.
Le iniziative intraprese, però, non riuscivano a sovvenire alle necessità del gran
numero di sciuscià che popolavano la città. Don Cosmo incominciò ad accogliere
nell’oratorio questi ragazzi, talvolta assicurò un tetto per alcuni di loro. Egli stesso
abbandonò la casa paterna – dopo il secondo matrimonio del padre – e si trasferì in
quei locali. Nel 1945 i ragazzi che frequentavano l’oratorio erano circa cinquecento,
ma la struttura, povera ed essenziale, si dimostrava sempre più inadeguata per raggiungere gli scopi preissati: l’istruzione religiosa e l’apprendistato dei ragazzi (per
evitare che continuassero a rimanere per la strada e fossero in grado di esercitare
un mestiere). Avevano un’importanza rilevante anche il gioco e lo svago, considerati parti integranti della formazione oratoriana. Il metodo educativo adottato da
don Cosmo e dai suoi collaboratori s’ispirava alle intuizioni di s. Filippo Neri e s.
Giovanni Bosco: la letizia e la prevenzione.
72
Luigi MicheLe de PaLMa
Con enormi sacriici e rinunce personali – e grazie alla generosità di alcuni
benefattori – don Cosmo riuscì ad acquistare un terreno ad est della città, dove
si stava estendendo un nuovo quartiere di case popolari. Su questo spazio fu costruito il nuovo oratorio (1951-1953), che subito diventò il polo d’aggregazione
della popolazione circostante. Nella zona procedeva l’espansione edilizia ed
erano numerose le attività artigianali e le piccole imprese, presso cui don Cosmo
riuscì a collocare molti ragazzi per l’apprendistato. Nel 1954 Salvucci istituì
preso l’oratorio la nuova parrocchia del Cuore Immacolato di Maria e afidò
a don Cosmo l’uficio di economo spirituale. Lo nominò anche canonico della
Cattedrale (1954) e confessore delle religiose. In seguito, nei locali dell’oratorio
vennero inaugurate una scuola materna (1955) ed una scuola elementare (1957),
ma l’onere più grave assunto da don Cosmo – che andava ad aggiungersi ai
precedenti – fu il progetto e la costruzione della chiesa parrocchiale. Per questo
scopo egli intraprese un viaggio oltre oceano (1958-1959), ospite delle famiglie
molfettesi emigrate negli Stati Uniti e in Canada, fra cui raccolse le prime offerte
da destinare alla costruzione del tempio. Al ritorno dette vita ad un foglio d’informazione e di collegamento parrocchiale, intitolato «Cento iori» (1959-1973).
L’anno successivo la parrocchia ottenne il riconoscimento civile e don Cosmo
venne nominato primo parroco (1960). Era la più piccola fra le otto parrocchie
della città e contava circa 2.300 anime. In essa e nell’ambito oratoriano iorirono alcune vocazioni. Nel 1960 Giovanni XXIII annoverò don Cosmo fra i suoi
camerieri segreti.
L’impegno per la crescita della comunità parrocchiale procedeva congiuntamente all’attività dell’oratorio, ma la vita di quest’ultimo venne turbato dei mutamenti sociali che si accompagnavano alle trasformazioni dei costumi veriicatesi
durante gli anni Sessanta del Novecento. L’oratorio appariva una realtà ripiegata su
se stessa e incapace di instaurare un rapporto con il mondo circostante, caratterizzato da nuovi stili di vita e differenti mentalità. D’altra parte anche all’interno della
Chiesa si soffriva il travaglio di una nuova era inaugurata dal concilio Vaticano II.
Don Cosmo avvertiva le metamorfosi in atto ed era consapevole dei propri limiti.
Per le numerose dificoltà – fra cui la chiusura della scuola parrocchiale e l’esodo
di molti oratoriani – soffrì e temette il fallimento di tutti i suoi sforzi e del suo
ministero sacerdotale. Vagheggiò l’idea di formare una congregazione di sacerdoti
dediti alla cura dell’oratorio, ma si trattò soltanto di un’ipotesi di soluzione dei problemi. Invece, chi proseguì l’attività dell’oratorio e portò a termine l’ediicazione
della chiesa fu don Franco Sasso, uno dei sacerdoti collaboratori di don Cosmo,
succeduto a don Carlo de Gioia come coadiutore di don Cosmo e, dopo la morte
di quest’ultimo, nuovo parroco.
Improvvisamente, nel luglio del 1965, si manifestarono i sintomi del male che
aveva colpito don Cosmo, un tumore al cervello. Il sacerdote venne trasportato a
Figure sacerdotali del Novecento
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Roma e operato d’urgenza. Trascorse la convalescenza in casa della sorella Nina,
ma il suo isico – provato dal rigido stile di vita – era stato irrimediabilmente compromesso. Spirò il 12 gennaio 1966, all’età di cinquantatré anni, e ai suoi funerali
partecipò una grande folla di fedeli, di oratoriani e di parrocchiani. Tuttora, anche
fra i confratelli sacerdoti, viene ricordata la sua igura di sacerdote generoso, dedito
esclusivamente al bene delle anime, severo con se stesso, austero e povero ino alla
miseria, caparbio, intransigente e gioviale, dalla profonda spiritualità che si rilette
dalle pagine del suo diario. Il 21 novembre 1974 la sua salma venne traslata nella
chiesa parrocchiale del Cuore Immacolato di Maria.