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Luce&Vita DOCUMENTAZIONE 2010/2 Semestrale - Uficiale per gli atti di Curia per la Diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi Supplemento Redazionale - Spedizione in abb. post. Legge 662/96, art. 2, comma 20/c - Fil. di Bari Abbonamento annuale: Euro 25,00 Settimanale – Euro 40,00 Settimanale + Documentazione Vescovo: LUIGI MARTELLA Responsabile della documentazione: LUIGI MICHELE dE PALMA – Redattori: TOMMASO AMATO - FABIO TANGARI Responsabile del settimanale: dOMENICO AMATO Stampa: LA NUOVA MEZZINA - MOLFETTA Direzione e amministrazione: Piazza Giovene, 4 - 70056 Molfetta - C.C.P. 14794705 - Tel e Fax 0803355088 - www.diocesimolfetta.it SOMMARIO ATTI DEL VESCOVO * Scritti Tra sogni e speranze, per un progetto di vita insieme a Cristo. Orientamenti per l’anno pastorale 2010-2011 (8-9-2010) . Un corale colpo d’ala verso orizzonti luminosi (5-9-2010) Il sacerdote: amore di Dio per l’uomo (21-11-2010) . . Il Natale, una lezione ancora da imparare (25-12-2010). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . * Discorsi Omelia per il 50° di sacerdozio di don Ignazio De Gioia, don Saverio Minervini, don Pasquale De Palma (3-7-2010) . . . . . . . . . . Omelia per i funerali di di don Domenico Cipriani (9-8-2010) . . . . . Omelia per la Festa della Madonna dei Martiri (12-9-2010) . . . . . Omelia in occasione dell’inaugurazione del nuovo mercato dei iori in Terlizzi (10-10-2010) . . . . . . . . . . . . . . . . Omelia per il Diaconato di Gianluca D’Amato (1°-11-2010) . . . . . Pag. 3 » 10 » 11 » 13 » » » 15 18 20 » » 23 25 » 29 » » 36 38 » 40 ATTI DIOCESANI * Dalla Curia Diocesana . . . . . . . . . . . . . . . * Ricordando il 150° di fondazione del Terz’Ordine Francescano Secolare della chiesa del SS. Crociisso di Molfetta (16-11-2010) . . . . . . . . * Donazione Istituto Suore Missionarie dell’Oratorio, Giovinazzo (15-12-2010) * Seminario Vescovile La comunità del Seminario Vescovile nell’anno scolastico 2010-2011 . . . 2 Sommario DOCUMENTAZIONE VARIA * Luigi MicheLe de PaLMa, Figure sacerdotali del Novecento . . . . . pag. 45 * Francesco antonio Bernardi, Una strage evitata: Ruvo e la pestilenza del 1656 . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 75 * Annuario diocesano 2010-2011 . » 97 . . . . . . . . . . . DOCUMENTAZIONE VARIA Luigi MicheLe de PaLMa FIGURE SACERDOTALI DEL NOVECENTO Nella ricorrenza del 150° anniversario della morte di s. Giovanni Maria Vianney, il curato d’Ars, Benedetto XVI ha voluto indire un “Anno Sacerdotale” con lo scopo precipuo di «promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi»1. Di conseguenza sono state numerose le iniziative programmate dalle Chiese locali per rilettere sul dono del sacerdozio ministeriale, sulla vocazione al ministero pastorale, nonché sulle prospettive della vita e della testimonianza dei sacerdoti in seno alla comunità cristiana e nel mondo contemporaneo. Fra i molteplici contributi offerti per l’occasione non è mancato l’apporto degli studi storici. Anzi, da oltre quarant’anni la ricerca storiograica sul clero secolare in età contemporanea ha prodotto una serie di studi caratterizzati dalla molteplicità degli approcci e delle analisi, da cui è afiorata la realtà variegata di igure sacerdotali e un modello multiforme della formazione ecclesiastica. Se si volesse sempliicare – pur rischiando la banalizzazione – si potrebbe affermare che non è mai esistita un’unica “faccia da prete”. In altre parole, la storia del clero secolare non conosce un volto uniforme del sacerdote e neppure attesta che la formazione dei futuri preti sia stata programmata e realizzata sotto una forma univoca. Non a caso gli studi condotti negli ultimi decenni sul clero italiano fra Ottocento e Novecento hanno individuato tre tipologie di ecclesiastici. Nella prima, detta dei preti “in cura d’anime”, si collocano i sacerdoti dediti al ministero pastorale tramite la celebrazione del culto divino, l’amministrazione dei sacramenti, la predicazione e la catechesi. Soprattutto nel Meridione d’Italia la percentuale dei preti appartenenti a questa categoria non era molto alta, anche perché il numero delle parrocchie del Sud è rimasto alquanto esiguo almeno ino al primo trentennio del secolo scorso. Tuttavia la cura pastorale non si limitava all’ambito della parrocchia, ma si estendeva alle confraternite, alle pie associazioni, agli ospedali, alle carceri, agli orfanotroi, ai monasteri femminili e ai conventi di suore. Fra l’altro, si deve ricordare che questo tipo di prete possedeva un’istruzione ed una preparazione superiori alla media e comunque suficiente per essere abilitato all’esercizio della cura pastorale. La seconda tipologia, denominata “preti di casa”, raccoglieva i sacerdoti dediti 1 Benedetto XVi, Lettera per l’indizione dell’Anno Sacerdotale in occasione del 150° anniversario del “dies natalis” di Giovanni Maria Vianney, 16.6.2009. 46 Luigi MicheLe de PaLMa all’attività educativa, col ruolo di istitutori presso famiglie aristocratiche e borghesi, oppure impegnati in ufici civili ed ecclesiastici non direttamente correlati con la cura delle anime. Questi preti erano spesso titolari di beneici ecclesiastici senza cura animarum, oppure si sostentavano con i proventi della loro professione o tramite le rendite del patrimonio famigliare. In genere possedevano una preparazione culturale molto più alta rispetto alla media e tanto consentiva loro di svolgere, appunto, attività particolari di livello medio-alto. Della terza tipologia facevano parte i cosiddetti “preti da messa”, un pletora di ecclesiastici dal basso proilo culturale, di inima estrazione sociale e di condizione economica precaria, ordinati per assolvere quotidianamente all’ingente numero di obblighi di messe accumulati nel corso dei secoli. Costoro non erano impegnati in nessun tipo di uficio ecclesiastico e il più delle volte continuavano a vivere nell’ambito delle proprie famiglie, godendo delle esenzioni iscali e di altri privilegi e vantaggi connessi allo stato clericale. Erano contadini, massari, mediatori e talvolta non si distinguevano dai laici né per l’abito, né per lo stile di vita e neppure per la condotta morale. Accanto a queste tipologie “generali” del clero italiano se ne afiancarono altre, che possono essere considerate varianti determinate dall’inlusso esercitato da modelli di diversa nazionalità e originate dall’esperienza delle Chiese locali, nonché dalle trasformazioni dei modelli pregressi in risposta alle esigenze e alle condizioni mutate condizioni storiche. È il caso di una parte del clero settentrionale, su cui ha esercitato una certa inluenza il modello austro-ungarico, secondo cui il prete era concepito alla stregua di un funzionario dello Stato (rilesso del Giuseppinismo) e per il quale si pretendeva un’istruzione adeguata ad assolvere il servizio pubblico che il clero veniva chiamato a svolgere. Il clero piemontese, invece, comprendeva numerosi tratti caratteristici segnati dal Giansenismo francese, e poi sviluppò una speciale sensibilità nei riguardi dell’esercizio della carità e del servizio sociale. Complesso e variegato è il proilo del “prete romano”, fortemente legato alla tradizione sia sotto l’aspetto dell’istruzione sia in riferimento alla formazione spirituale. Talvolta questo prete condivideva l’esperienza pastorale con il servizio reso ai vertici della Chiesa Cattolica, secondo un’ottica capace di coniugare la cura delle anime con la responsabilità nell’impegno per un ministero universale. Figura non poco differente è quella del clero ricettizio, largamente diffuso nel Meridione, dove prevalevano i rapporti – ed anche i vincoli – con le comunità locali e con le proprie famiglie. La compresenza di vari modelli e delle loro varianti fra il clero italiano – al di là delle valutazioni su ciascuno di essi e del loro confronto – mostra i segni di una trasformazione, fra Ottocento e Novecento, condizionata dalla metamorfosi sociale, civile, economica e politica di una nazione prevalentemente e tradizionalmente agricola in una nuova società industrializzata, il cui passaggio, però, non fu simul- Figure sacerdotali del Novecento 47 taneo per tutte le regioni della penisola e neppure le raggiunse con la medesima intensità e penetrazione. Tuttavia, il mutamento sociale in atto comportò l’affacciarsi di nuovi modelli di preti sull’orizzonte del clero italiano: il prete “sociale” e il prete “politico”. Non si deve pensare ad un fenomeno coinvolgente la totalità e neanche la maggioranza del clero, ma ad un ulteriore arricchimento del panorama ecclesiastico tramite il moltiplicarsi di esperienze personali, simili, ma radicate in contesti locali spesso lontani e distinti. Dal primo decennio del Novecento, un ruolo rilevante per la formazione del clero, soprattutto del Centro e del Meridione d’Italia, fu svolto dai seminari regionali, concepiti e istituiti secondo un piano di riforma voluta da s. Pio X. A fronte delle precarie condizioni in cui versava la maggior parte dei numerosi seminari diocesani, lo scopo principale del progetto di concentrazione regionale dell’istruzione dei candidati al sacerdozio mirava ad elevarne il livello e a garantire una solida formazione in vista del loro ministero. D’altro canto, i nuovi seminari regionali non erano esposti al pericolo delle ingerenze dello Stato post-unitario sul campo dell’istruzione ecclesiastica, essi, infatti, erano riservati ai seminaristi e ne era proprietaria la Santa Sede, e non le diocesi italiane. Dal 1909 – anno di nascita del Pontiicio Seminario Regionale Pugliese – al 1953 vennero fondati dodici seminari regionali, la cui esperienza, circoscritta all’Italia, è rimasta unica nella Chiesa Cattolica. Le pagine che seguono non intendono approfondire la storia di questi seminari, né discutere sul loro sviluppo e sulla loro funzione, ma vogliono soltanto ricordare alcune igure di preti di Molfetta e di Terlizzi, ex alunni del Pontiicio Seminario Regionale Pugliese, per i quali è stato possibile rintracciare la memoria che la comunità locale ha tramandato2. Si tratta di un primo “ricordo” – concomitante con l’Anno Sacerdotale – che non ha pretese esaustive, ma vuole essere un incentivo 2 Per le epoche precedenti si rinvia quanto è stato approfondito dagli studi di A. d’aMBro- sio, Le ordinazioni sacerdotali a Terlizzi nel ’700, «Studi Storici Meridionali», VII (1987), n. 2, p. 179-1986; id., Per la storia del clero nel Mezzogiorno. I concorsi prebendali nella diocesi di Terlizzi (sec. XIX), «Rivista di Scienze Religiose», IV (1990), p. 457-492; D. aMato, Primi dati sul clero molfettese fra ’800 e ’900, «Luce e Vita Documentazione» (LVD), 1987, n. 2, p. 127-165; id., La formazione del clero a Terlizzi nell’Ottocento, ibidem, 1989, n. 2, p. 101-146; id., Le regole del Seminario di Molfetta agli inizi del Settecento, ibidem, 1991, n. 1, p. 171-222; id., La formazione del clero e l’opera del Seminario a Molfetta agli inizi del Settecento, «Studi in onore di Mons. Antonio Bello», a cura di L.M. de PaLMa, Molfetta 1992, p. 255-282; id., Un prete erudito nel Seminario di Molfetta: don Giuseppe de Luca, «Studi Molfettesi», 1997, n. 4, p. 85-94; A. Ficco, Per la storia del clero in Terra di Bari in età moderna. Le ordinazioni sacerdotali a Molfetta dal 1700 al 1819, «Studi in onore di Mons. Antonio Bello», p. 201-226; G. de gennaro, La città di Salvemini. La classe dirigente di Molfetta dall’unità al primo Novecento, Molfetta 2000, p. 121-151. 48 Luigi MicheLe de PaLMa allo studio e alla ricerca di quelle igure sacerdotali che hanno animato in vario modo la vitalità del clero diocesano e lasciato una traccia signiicativa nella storia della Chiesa locale. PIETRO PAPPAGALLO (1888, Terlizzi - 1944, Roma) Nacque a Terlizzi il 28 giugno 1888 da Michele e Maria Tommasa Guastamacchia, quinto di otto igli. Suo padre era funaio e la madre casalinga3. Da ragazzo, Pietro fu ammesso nel convitto “Matteo Spinelli” di Giovinazzo e successivamente proseguì gli studi liceali come alunno del Seminario Vescovile di Molfetta. Negli anni 1910-1915 intraprese gli studi teologici, trasferendosi a Lecce presso il Seminario Regionale Pugliese. Venne ordinato presbitero a Terlizzi il 3 aprile 1915 da mons. Pasquale Picone, vescovo di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi. Durante i primi anni di sacerdozio, don Pietro svolse il suo ministero nell’ambito della cittadina terlizzese, dove, però, gli spazi gli apparvero alquanto angusti sia per l’esiguo numero delle parrocchie (appena tre) sia per l’alto numero degli ecclesiastici residenti. La sua inclinazione all’impegno pastorale nell’ambito della formazione della gioventù gli consentì di stringere rapporti con don Giulio Binetti, fondatore del convitto “Vito Fornari” di Molfetta (eretto nel 1915 ed inaugurato nel 1919). Nel convitto venivano accolti numerosi studenti – anche forestieri – che frequentavano le scuole della città. Fra il 1922 il 1923, don Pietro collaborò con don Giulio dapprima come economo, poi come animatore ed inine con l’incarico di vicerettore del convitto. L’esperienza nel frattempo acquisita e soprattutto la stima e l’amicizia coltivate Sulla igura di Pappagallo si vedano: Martirologio del Clero italiano nella 2a Guerra Mondiale e nel periodo della Resistenza, Roma 1963, p. 168; L. Musci, Pappagallo Pietro, «Dizionario Storico del Movimento Cattolico in Italia 1860-1984», vol. III/2, Casale Monferrato 1984, p. 626-627; A. Lisi, Don Pietro Pappagallo. “Un eroe, un santo”. Raccolta di documenti e testimonianze, Rieti 19952; id., Don Pietro Pappagallo, martire alle Fosse Ardeatine, Todi 2006; F.M. Lorusso, Don Pietro Pappagallo: un eroe, un santo, «Luce e Vita» (LV), 75 (1999), n. 35, p. 7; L. accattoLi, Nuovi Martiri. 393 storie cristiane dell’Italia di oggi, Cinisello Balsamo 2000, p. 102-103; M. ruBini, I testimoni della fede del XX secolo, «Luce e Vita», 76 (2000), n. 22, p. 6; G. VaLente, Don Pietro Pappagallo tra “i nuovi martiri del XX secolo”, LVD, 2000, n. 1, p. 121-126; id., Terlizzi. La Chiesa – Le chiese, Terlizzi 2009, p. 308-313; A. PorteLLi, L’ordine è stato già eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Roma 2001, p. 30-31; R. BrucoLi, Pane e cipolla e santa libertà. Don Pietro Pappagallo, martire alle Ardeatine, 2 vol., Terlizzi 2007-2009; P. Vanzan, Don Pietro Pappagallo ucciso alle Fosse Ardeatine, «La Civiltà Cattolica», 161 (2010), I, p. 37-48. 3 Figure sacerdotali del Novecento 49 nei suoi riguardi dal gesuita p. Raffaele Tramontano – professore di S. Scrittura nel Seminario Regionale Pugliese – furono all’origine del trasferimento di don Pietro a Catanzaro, presso il Seminario Regionale Calabro, in cui svolse l’uficio di vicerettore economo (1924-1925). Ritornato a Terlizzi, don Pietro ottenne dal vescovo Pasquale Gioia il permesso di recarsi a Roma per specializzarsi nello studio del diritto canonico. Il sacerdote terlizzese giunse nella capitale alla ine di novembre del 1925 e dopo alcuni mesi gli fu proposto di dirigere e organizzare il nuovo convitto per gli operai della fabbrica di ilati Cisa Viscosa. Il nome di Pappagallo venne segnalato al dirigente dell’azienda, Alberto Fassini, perché la sua persona sembrava essere la più adatta ad assumere la conduzione del convitto: era giovane, di estrazione popolare, meridionale come la maggioranza degli operai ospitati nel convitto, e soprattutto era un prete. La sua autorevolezza spirituale gli avrebbe consentito di alleviare i numerosi disagi di quanti, per motivi di lavoro, avevano dovuto abbandonare le proprie famiglie e trasferirsi nell’Urbe. Don Pietro accettò l’incarico (1926-1927) anche per garantirsi il necessario per la propria residenza in Roma. Tuttavia, dopo breve tempo, il diretto contatto con le dificili condizioni di vita degli operai gli fece assumere un atteggiamento critico nei confronti della dirigenza dell’azienda, la quale, per altro, operava in stretta consonanza col sistema autarchico imposto dal regime fascista. Mons. Ferdinando Baldelli, responsabile dell’opera di assistenza spirituale dei lavoratori (nel 1930 fondatore dell’Opera Nazionale di Assistenza Religiosa degli Operai), pose a don Pietro l’alternativa di entrare nel collegio dei sacerdoti dediti all’assistenza degli emigrati italiani all’estero, altrimenti sarebbe stato rimosso dall’incarico. Il sacerdote terlizzese accettò la proposta (1927), ma restò persuaso della necessità di provvedere anche ai lavoratori residenti in patria. Nel frattempo ottenne da mons. Gioia di prorogare il proprio soggiorno romano e dal 1928 al 1929 svolse l’uficio di viceparroco nella parrocchia di San Giovanni in Laterano. Seguirono l’incarico di cappellano delle suore del Bambin Gesù e di rettore dell’omonima chiesa, nei pressi di Santa Maria Maggiore, la deinitiva incardinazione nella diocesi di Roma e la nomina di chierico beneiciato del Capitolo Liberiano (1931). La nuova casa di don Pietro, attigua alla rettoria e nelle vicinanze della stazione Termini, si trasformò subito in un punto di riferimento dei Terlizzesi di passaggio, come pure per i compaesani residenti in Roma. Fra questi, l’antifascista Gioacchino Gesmundo, dal 1934 docente nel liceo scientiico “Cavour” e poi assistente nella facoltà di Magistero. Don Pietro strinse rapporti di collaborazione con il card. Bonaventura Cerretti, arciprete della basilica liberiana, e talvolta svolse per suo conto incarichi riservati, anche all’estero, indossando abiti civili. Nel 1933 venne chiamato a far parte della Commissione per l’Anno Santo Straordinario della Redenzione. Sebbene non si fosse mai occupato di politica, don Pappagallo maturò la consapevolezza di vivere in una società condizionata da un regime dittatoriale, che 50 Luigi MicheLe de PaLMa pregiudicava le libertà individuali e violava la giustizia. L’ingresso in guerra dell’Italia aggravò il suo giudizio negativo sul fascismo, mentre il suo spirito sacerdotale lo spingeva a rendersi disponibile per sovvenire, per quanto gli era possibile, alle necessità di coloro i quali, per motivi politici, razziali o per le conseguenze del conlitto, vivevano in condizioni d’indigenza o di clandestinità. La situazione precipitò all’indomani dell’armistizio (9 settembre 1943), quando le truppe tedesche occuparono Roma e dettero inizio alla deportazione degli ebrei e all’arresto degli antifascisti. Don Pietro contribuì in prima persona all’attività clandestina di protezione dei perseguitati e degli oppositori, spesso falsiicando i documenti di ebrei e di antifascisti per lasciarli sfuggire dalla morsa nazista. Il 29 gennaio 1944, in conseguenza di una spiata, egli venne arrestato dalla Gestapo con l’accusa di complicità nel favoreggiamento dei ricercati e fu tradotto nella prigione di via Tasso. Qui venne recluso in una cella insieme a Gaetano Bufera, Giovanni Rampulla, Gaetano Forte, Alberto Fontacone, Vincenzo Palermo, Oscar Caggegi, Angelo Ioppi e il disertore altoatesino Josef Reider. Fu sottoposto a duri interrogatori per estorcergli nomi e informazioni. La sua detenzione si protrasse ino al 24 marzo, quando, insieme ai suoi compagni, don Pietro fu coinvolto nella rappresaglia tedesca seguita all’attentato di via Rasella, perpetrato dai Gruppi d’Azione Patriottica facenti capo al Comitato di Liberazione Nazionale. Dalle carceri di via Tasso e di Regina coeli furono prelevati dai Tedeschi 335 detenuti – fra cui 70 ebrei – e condotti nelle cave sulla via Ardeatina, dove vennero trucidati. Pappagallo fu tradotto alle Fosse insieme a Reider e – secondo la testimonianza di quest’ultimo – quando apparve chiara la sorte che attendeva i prigionieri, don Pietro riuscì a liberarsi dai vincoli che lo stringevano al polso di Reider e impartì ai condannati l’assoluzione. Reider riuscì a fuggire, mentre il sacerdote restò coinvolto nella carneicina. Alcuni mesi dopo l’eccidio, la salma di don Pietro venne riconosciuta da due fratelli insieme al cognato e agli inizi di novembre del 1948 fu solennemente traslata nella cappella di famiglia nel cimitero di Terlizzi, alla presenza del vescovo Achille Salvucci, Il 13 luglio 1998, Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica, conferì la medaglia d’oro al valor civile alla memoria di don Pietro Pappagallo, il cui ricordo si è mantenuto sempre vivo nella città di Terlizzi. Finora il sacerdote terlizzese è rimasto l’unico ex alunno del Seminario Vescovile di Molfetta e del Seminario Regionale Pugliese insignito di così alta decorazione. Durante il Grande Giubileo del 2000 il nome del sacerdote terlizzese fu inserito fra i 12.691 nuovi martiri cristiani del XX secolo, commemorati al Colosseo per volontà di Giovanni Paolo II. Alla igura sacerdotale di don Pietro e alla sua eroica testimonianza di fede si ispirò il regista Roberto Rossellini per il ilm Roma città aperta (1948), mentre Francesco Albano diresse la iction televisiva La buona battaglia. Vita di don Pietro Pappagallo (2006). Figure sacerdotali del Novecento 51 FRANCESCO GAUDIO (1907 - 1979, Molfetta) Nacque a Molfetta il 27 settembre 1907 (dichiarato il 4 ottobre) da Nicola, capitano di piccolo cabotaggio, e Gaetana Mancini; era l’ultimo di sei igli, nato dopo il ritorno in patria della famiglia, trasferitasi per alcuni anni in Tunisia4. Ciccio – così com’era chiamato dai suoi parenti – entrò nel Seminario Vescovile di Molfetta e poi diventò alunno del Seminario Regionale Pugliese (1924-1933), in cui fu compagno di Corrado Ursi, futuro rettore e cardinale arcivescovo di Napoli. Problemi di salute ritardarono il compimento degli studi, ciò nonostante egli ricevette l’ordinazione sacerdotale il 28 ottobre 1933. Don Ciccio non dimenticò le angustie della sua infanzia, né le sofferenze isiche patite durante gli anni del seminario. Ricordava con commozione il gesto del vescovo Pasquale Gioia, il quale, prima di iniziare il sacro rito, gli donò il camice dell’ordinazione, che altrimenti il novello sacerdote non avrebbe mai avuto. Per i primi anni di ministero don Ciccio rimase nel Seminario Vescovile svolgendo l’uficio di economo e di cerimoniere vescovile. Egli faceva parte del gruppo di giovani sacerdoti – fra cui Giovanni Capursi, Michele Cagnetta, Michele Carabellese e Leonardo Minervini – che attorniarono i vescovi Gioia e Salvucci nei decenni precedenti e successivi alla seconda guerra mondiale e contribuirono al rinnovamento del clero diocesano e allo sviluppo dell’azione pastorale. Mons. Salvucci nominò don Ciccio assistente dell’associazione “S. Giuseppe” (GIAC) della parrocchia Immacolata di Molfetta e poi di altri rami dell’Azione Cattolica. Questi poi entrò a far parte del Capitolo Cattedrale e fu insegnante di religione nella Scuola Marina e nella Scuola Media 1° Gruppo di Molfetta (1938-1949). Tuttavia, gli anni di ministero che segnarono indelebilmente l’animo di don Ciccio furono quelli trascorsi, come cappellano militare, ad assistere i soldati ammalati e feriti durante la seconda guerra mondiale, ricoverati presso il Seminario Vescovile di Molfetta, requisito e trasformato in ospedale militare. Fu un’esperienza intensa che accostò il giovane sacerdote a tanti uomini di tutte le parti d’Italia, vulnerati nel isico ed anche nello spirito da un dramma più grande di loro. Essa contribuì a far maturare in don Ciccio una maggiore autocomprensione del suo servizio sacerdotale. Come cappellano militare, infatti, egli era tenuto non soltanto a confessare i soldati, ma anche a predicare: un ministero raramente praticato dal clero diocesano e riservato ordinariamente ai pochi parroci, nonché ad alcuni religiosi per circostanze partiRicordi e testimonianze in Nel giubileo sacerdotale del canonico don Francesco Gaudio parroco della Cattedrale 1933-1958, Molfetta 1958; L. MinerVini, Ricordo di Mons. Francesco Gaudio Arciprete di Molfetta, LVD, 1979, n. 1, p. 85-86; L.M. de PaLMa, A 25 anni dalla morte di don Francesco Gaudio, LV, 80 (2004), n. 3, p. 8. 4 52 Luigi MicheLe de PaLMa colari. In altre parole, la cura d’anime dei militari avviò don Ciccio verso la più ampia prospettiva della pastorale parrocchiale. L’altra esperienza – diventata cerniera del suo ministero – fu l’impegno anticomunista all’interno del locale Comitato Civico nel secondo dopoguerra. Egli la ricordava spesso insieme ad una conidenza fattagli dal maresciallo dei Carabinieri: il suo nome era compreso nelle liste sequestrate presso la sezione molfettese del Partito Comunista nel 1948. Esse comprendevano i nominativi degli oppositori che sarebbero stati eliminati una volta conquistato il potere. Dal 1947 don Ciccio fu direttore diocesano dell’Apostolato della Preghiera e continuò a far parte della Deputazione del Seminario Vescovile. Seguirono i ventisette anni di parrocato nella Cattedrale di Molfetta (1949-1976), caratterizzati dall’impegno non facile, afidatogli da mons. Salvucci, di creare maggiore coesione all’interno della parrocchia, la cui isionomia appariva alquanto differente dalle altre parrocchie e, soprattutto, soffriva di una carenza cronica di strutture. Per altro, la popolazione parrocchiale era composta prevalentemente da famiglie di umile condizione, spesso bisognose di sostegni materiali, oltre che spirituali. Il canonico curato – cioè il parroco della cattedrale – doveva saper regolare bene spazi e tempi dell’attività pastorale (compreso il culto) per i naturali limiti imposti da un ediicio sacro che, nello stesso tempo, era chiesa vescovile, chiesa capitolare, chiesa parrocchiale e chiesa confraternale. In particolare bisognava rispettare i delicati equilibri nei rapporti con il Capitolo. Don Ciccio ebbe, comunque, la soddisfazione di vedere un suo nipote – Nicola – diventare sacerdote e poi parroco, mentre tre seminaristi della parrocchia ricevettero gli ordini sacri. Nel 1963 Paolo VI lo nominò cappellano d’onore, e successivamente il Capo dello Stato gli conferì l’onoriicenza di cavaliere della Repubblica. Don Ciccio, inoltre, si trovò a dover guidare la parrocchia nel dificoltoso passaggio del post-concilio. Giudicava positivamente molte trasformazioni pastorali e liturgiche, ma non temeva di dichiararsi poco convinto di alcune mete, di taluni esperimenti e talaltri metodi imposti con la pretesa di rifarsi al dettato conciliare. Egli, però, seppe tirarsi indietro al momento giusto e per il bene della sua parrocchia accettò l’invito del vescovo Aldo Garzia a rinunziare all’uficio parrocchiale (1976). Fu una decisione molto dolorosa a cui non volle sottrarsi, nonostante gli strascichi di sofferenza vissuti con esemplare dignità. Continuò a vivere in assoluta sobrietà insieme a sua sorella maggiore, Cecilia, rimasta vedova e senza prole. Promosso arciprete del Capitolo (1976), don Ciccio fu assiduo e solerte nell’adempiere a questo suo nuovo uficio e assunse anche l’incarico di rettore della chiesa di San Pietro, cappellano delle suore Ancelle del Santuario e padre spirituale della confraternita della Madonna del Carmine. Rinnovò pure un’esperienza già fatta nel 1962, quando si recò negli Stati Uniti presso gli emigrati molfettesi di Hoboken, e lì raccolse una prima somma di denaro per la costruzione di una nuova Figure sacerdotali del Novecento 53 parrocchia in Molfetta (San Pio X). Egli, infatti, fu il primo sacerdote molfettese a recarsi in Australia, nel 1976, per la festa della Madonna dei Martiri, organizzata in varie città dalle famiglie originarie di Molfetta e lì residenti. Ciò che don Ciccio rammentava volentieri di quel lungo viaggio fu che molti emigrati – specialmente i più anziani – accorsero da lui per confessarsi, vista la possibilità di farsi capire anche in dialetto. Pochi giorni prima del Natale 1978, don Ciccio fu ricoverato al Policlinico di Bari a causa di una malattia già sofferta durante l’infanzia (pleurite). Ricevette la visita di mons. Garzia e di altri confratelli per gli auguri natalizi, e nulla faceva sospettare il sopraggiungere di una grave e inarrestabile emorragia interna. Nonostante le cure, spirò nel Policlinico l’8 gennaio 1979 e al suo funerale furono in molti a piangere un prete dalla personalità semplice ed essenziale, il quale aveva saputo condividere con dedizione lo stile di vita umile e discreto di tanti suoi parrocchiani. AMbROGIO GRITTANI (1907, Ceglie del Campo - 1951, Molfetta) Sesto iglio, nato a Ceglie del Campo l’11 ottobre 1907, dal secondo matrimonio di Michele Grittani (rimasto vedovo con altri tre igli) e Chiara Carone. Suo padre era un facoltoso commerciante che diventò anche sindaco del paese, mentre la madre apparteneva ad una famiglia di proprietari terrieri di Bitritto5. Il piccolo Ninì restò 5 I manoscritti del Servo di Dio sono custoditi presso la Postulazione per la causa di canonizzazione. Gli scritti pubblicati sui periodici «Luce e Vita» e «Amare» sono stati raccolti nei vol.: Dal vangelo all’amore. Rilessioni domenicali 1944-45, a cura di S. PaLese, Roma-Trani 1983; Evangelizzare il Regno. Scritti pastorali 1939-1943, a cura di S. PaLese, Roma-Trani 1985; I poveri, a cura di R. Piccinno, Roma-Monopoli 1996; L’Eucarestia, a cura di S. PaLese – r. Piccinno, Roma-Monopoli 1999 (comprendente alcuni inediti). Per gli altri opuscoli editati: Piccolo regolamento di vita spirituale, Torino 1940 (Roma-Monopoli 19902); Preghiere dell’Opera Pia S. Benedetto G. Labre per la quotidiana assistenza spirituale e materiale dei poveri di Puglia, Molfetta 1944 (Roma-Monopoli 19912); Accattoni. Fatti, idee, documenti dell’Opera Pia S. Benedetto Giuseppe Labre per la quotidiana assistenza morale e materiale ai poveri di Puglia, Molfetta 1949 (Roma-Monopoli 19922). Per la bibliograia che lo riguarda si vedano: In ricordo perenne della benedizione della Chiesa S. Benedetto Giuseppe Labre, Molfetta 1943; L’Opera Pia S. Benedetto Giuseppe Labre, Molfetta 1946; G. rocca, Oblate di San Benedetto Giuseppe Labre, «Dizionario degli Istituti di Perfezione», vol. 6, Roma 1980, col. 603-604; R. tarantini grittani, Accordo in Si. Don Ambrogio Grittani e la sua opera, Galatina 1986; ead., Don Ambrogio Grittani: «… ho scelto i poveri», Bari 1990; ead., Grittani Ambrogio, «Bibliotheca Sanctorum», app. 2, Roma 2000, col. 620-622; ead., Don Ambrogio Grittani. Quel prete ci vuole bene, Bologna 2007; D. d’eLia, Don Ambrogio Grittani tra profezia e storia. Genesi e formazione di un apostolo del Sud, Molfetta 1990; Il Servo di Dio Don Ambrogio Grit- 54 Luigi MicheLe de PaLMa orfano del padre quando non aveva compiuto neppure un anno, e perse la mamma all’età di quattro anni. La sorella maggiore Addolorata assunse l’onere di allevare gli altri fratelli e con loro si trasferì a Bitritto nella casa degli zii materni, entrambi scapoli. Sotto l’egida dell’arciprete don Antonio Masellis, Addolorata assecondò i desideri del piccolo Ambrogio, il quale entrò nel Seminario Arcivescovile di Bari (1919-1924) nonostante l’opposizione degli zii. Fu alunno del Seminario Regionale Pugliese dal 1914 al 1931, tranne che per la parentesi di un anno (1927-1928), quando si trasferì a Roma presso il Collegio Leoniano e conseguì il baccellierato in Teologia nell’Università Gregoriana. Per la sua formazione seminaristica restarono fondamentali le igure del rettore Giovanni Nogara e del direttore spirituale Luigi Ercoli. Il 25 luglio 1931 venne ordinato sacerdote nella parrocchia San Giuseppe di Bari dall’arcivescovo mons. Augusto Curi. Durante i primi due anni di sacerdozio, don Ambrogio fu viceparroco della chiesa matrice di Bitritto, rettore della chiesa di San Luigi e cappellano dell’omonima confraternita. Chiese e ottenne di trasferirsi a Milano per frequentare il corso di laurea in lettere classiche presso l’Università Cattolica (1933-1936), ma per un anno (1936-1937) fu chiamato a Molfetta per insegnare latino nel Regionale. Ritornato a Milano, conseguì la laurea il 30 giugno 1938 e nel settembre successivo, insieme alla sorella Maria, si trasferì deinitivamente a Molfetta, dove riprese l’insegnamento di latino. Molti suoi studenti continuano a ricordare la stima per la sua competenza e le capacità didattiche, insieme al rigore nelle valutazioni (talvolta i compiti in classe ottenevano valutazioni inferiori allo zero). La formazione spirituale ricevuta nel Regionale, lo studio delle discipline teologiche a Roma e a Molfetta, nonché l’esperienza accademica milanese, con- tani. Modello dei sacerdoti. Padre dei poveri (1907-1951), Maglie 1994; V. angiuLi – a. coLucci, L’Eucaristia dei poveri. Spiritualità e carisma di don Ambrogio Grittani (19071951), Roma-Monopoli 1997; O. conFessore, Don Ambrogio Grittani. Spiritualità e azione sociale di un prete pugliese, Soveria Mannelli 1997; ead., Società, Chiesa molfettese e don Ambrogio Grittani, LVD, 1999, n. 1, p. 211-220; Ambrogio Grittani e la sua opera nella società e nella Chiesa del suo tempo, a cura di s. PaLese, Roma-Monopoli 1999; Atlante degli Ordini, delle Congregazioni religiose e degli Istituti secolari in Puglia, a cura di A. ciauLa – F. sPorteLLi, Modugno 1999, p. 350-351; Le Oblate di don Grittani, a cura di R. Piccinno, Roma-Monopoli 2000; G. Picaro, Storia della Congregazione delle Oblate di S. Benedetto Giuseppe Labre, Roma-Monopoli 2001; La profezia di Don Grittani e la sua attualità, a cura di S. PaLese, Roma-Monopoli 2003; E. Preziosi, Un prete per gli accattoni. Don Ambrogio Grittani dall’Università Cattolica al servizio degli ultimi (1907-1951), «Palestra del Clero», 2003, n. 7-8, p. 413-429; P. Pesare, La Casa di Riposo delle Suore Oblate nella Masseria Ranca delle Sorelle Massafra in Maruggio (40° di fondazione: 1965-2005), Manduria 2007; Don Ambrogio Grittani tra storia e profezia. Nel primo centenario della nascita 1907-2007. Atti del Convegno, Terlizzi 2009. Figure sacerdotali del Novecento 55 giuntamente alle differenti pratiche pastorali, contribuirono a far maturare nella personalità di don Ambrogio uno stile di vita sacerdotale improntato sull’ascesi e sul connubio fra l’impegno culturale e la dedizione alla cura delle anime. Ne trasse una spiritualità propria, che si tradusse con la frequentazione della parrocchia S. Cuore di Gesù – dov’era parroco un suo compagno di seminario, Giovani Capursi – e tramite la collaborazione al periodico diocesano «Luce e Vita». Su queste pagine comparvero molti suoi articoli di carattere culturale e spirituale, irmati con lo pseudonimo “don Curioso” (1939-1943). Don Ambrogio fu assistente delle giovanissime e delle donne di Azione Cattolica, per le quali diventò “maestro” nella Scuola diocesana di propaganda. Nell’ambito di questa attività pastorale egli dette alle stampe il Piccolo Regolamento di vita spirituale (1940), un sussidio destinato a fare da supporto alla vita religiosa delle aderenti. Le vicende della seconda guerra mondiale e le tragiche conseguenze sociali segnarono l’animo di don Ambrogio e determinarono un ulteriore sviluppo del suo ministero, che incominciò a concentrarsi prevalentemente sul piano caritativoassistenziale. Nella città di Molfetta il fenomeno dell’accattonaggio era abbastanza diffuso e a don Ambrogio parve necessario un intervento della Chiesa nei confronti di una piaga sociale che andava vieppiù ad accrescere fasce di emarginazione. Egli ritenne doveroso restituire dignità agli accattoni provvedendo alla loro assistenza materiale e religiosa. Dal 1941, in collaborazione con Capursi, Grittani attivò nella parrocchia del S. Cuore un punto d’incontro per gli accattoni della città, fra i quali si contavano numerosi profughi. Agli inizi essi si raccoglievano in chiesa per assistere alla messa e ricevere l’elemosina. L’occasione serviva anche ad instaurare rapporti interpersonali con quanti rimanevano normalmente estromessi dalla vita sociale. L’iniziativa crebbe e si diffuse anche all’esterno della parrocchia, tanto che si rese necessario usufruire di ambienti indipendenti e più spaziosi, destinati ad accogliere la crescente attività dei volontari che attorniavano don Ambrogio e il gran numero dei poveri che accorrevano per usufruire della mensa. Queste furono le premesse della costituzione dell’Opera Pia S. Benedetto Giuseppe Labre per la riabilitazione degli accattoni d’Italia, voluta da don Ambrogio e approvata dal vescovo Achille Salvucci il 1° marzo 1943. L’iniziativa ottenne il plauso dei vescovi pugliesi e delle autorità civili, ma le dificoltà non mancarono e spesso don Ambrogio vendette parte del patrimonio personale – ino ad esaurirlo – per assicurare la sopravvivenza e lo sviluppo dell’Opera. La sua attività intraprese una prospettiva più ampia: non si limitava a sfamare e a vestire i poveri, ma si preoccupò di fornire un ambiente sano e accogliente in cui potessero vivere dignitosamente. Le esigenze si moltiplicarono e le suore Alcantarine, presenti a Molfetta, intrapresero una forma di collaborazione (1944-1945). Nel frattempo don Ambrogio aveva accolto il primo seminarista destinato a succedergli nella direzione dell’Opera (1943), mentre nel 1945 la prima Oblata vestì l’abito religioso. Grittani 56 Luigi MicheLe de PaLMa utilizzò la stampa per informare i benefattori e i volontari sulla vita dell’Opera e dal 1944 al 1951 pubblicò un foglio periodico dalla testata signiicativa: «Amare». Coinvolse nell’Opera anche i seminaristi del Regionale e nel 1948, grazie alla generosità della sorella Maria, poté acquistare un suolo attiguo al Seminario, su cui l’anno successivo venne posta la prima pietra del pensionato. Nel frattempo don Ambrogio redasse e diffuse l’opuscolo Accattoni (1949), con cui illustrava il progetto dell’Opera e ritornava a tratteggiare lo spirito evangelico che l’animava: “Charitas Christi urget nos”, “Gesù nel povero”. Le risorse economiche non erano mai suficienti per le esigenze dell’Opera, tuttavia l’entusiasmo di don Ambrogio alimentava costantemente la sua fantasia. Si prodigò nell’escogitare molteplici forme di sostegno da parte degli amici dell’Opera e, nello stesso tempo, nel ricercare ulteriori soluzioni per rendere più eficace l’accoglienza e l’assistenza dei poveri. La nuova casa dell’Opera venne inaugurata nel 1950 e il pensionato accolse i primi ospiti senza distinzioni sociali, poveri e abbienti. Dopo breve tempo, però, don Ambrogio incominciò ad accusare i primi sintomi di una patologia cardiaca che, trascorsi alcuni mesi di gravi sofferenze, lo condusse alla morte. Egli spirò in una stanza del pensionato il 30 aprile 1951, all’età di quarantatré anni. Erano attorno al sua capezzale alcune volontarie che avevano risposto al progetto di costituire una nuova congregazione religiosa e indossavano l’abito delle Oblate. Don Ambrogio aveva posto le premesse afinché iorisse una nuova famiglia religiosa, completa nelle sue componenti maschile e femminile. Il suo carisma non si esaurì, ma restò vivo e si è diffuso ino ad oggi oltre i conini della Chiesa locale. Inoltre, il carattere ascetico della spiritualità di don Ambrogio e la sua totale dedizione al ministero sacerdotale restarono impressi nella memoria collettiva e contribuirono ad alimentare la fama di santità in quanti lo conobbero. La sua igura di apostolo della carità fu accostata ad altre personalità di sacerdoti meridionali vissuti nella stessa epoca, specialmente in Puglia: Giuseppe Di Donna, vescovo di Andria, Pasquale Uva, Cosmo Azzollini e Angelo Raffaele Dimiccoli. Nello stesso tempo il suo nome venne inserito fra quelli dei superiori, dei docenti e degli ex alunni del Seminario Regionale Pugliese ritenuti esemplari e degni di venerazione. Il 24 novembre 1990 Antonio Bello, vescovo di Molfetta-Ruvo-GiovinazzoTerlizzi, insediò il tribunale ecclesiastico e dette inizio alla causa di canonizzazione di don Ambrogio. I lavori del tribunale furono conclusi il 3 maggio 1998 dal vescovo Donato Negro. Il 27 marzo 2003, il successore Luigi Martella procedette al riconoscimento delle spoglie mortali del servo di Dio e alla loro traslazione dal cimitero di Molfetta nella cappella dell’Opera. Figure sacerdotali del Novecento 57 MICHELE CAGNETTA (1908 - 2009, Terlizzi) Nacque a Terlizzi il 26 aprile 1908 da Damiano, agricoltore diretto, e Maria Cipriani. Frequentò le scuole del Seminario Vescovile di Molfetta e poi del Pontiicio Seminario Regionale Pugliese (1923-1932), dove conseguì la laurea in Teologia (1932)6. Venne ordinato sacerdote il 25 luglio 1932 dal vescovo Pasquale Gioia nella cappella del Regionale e fu subito chiamato a svolgere l’uficio di economo del Seminario Vescovile (1932-1933). Egli faceva parte di quella rosa di seminaristi, poi novelli sacerdoti (F. Gaudio, G. Capursi, M. Carabellese e L. Minervini), su cui Gioia sperava per operare un eficace rinnovamento del clero diocesano e della cura d’anime. Il successore Achille Salvucci (1935-1978) si attorniò dei giovani preti cresciuti alla scuola del predecessore e li scelse come principali collaboratori della sua attività pastorale. Michele Cagnetta, in particolare, può essere considerato “l’uomo di punta” di Salvucci nella comunità ecclesiale terlizzese. La permanenza di Cagnetta a Molfetta, infatti, si protrasse ino all’inizio dell’episcopato di Salvucci. Gioia aveva impegnato Cagnetta come assistente dei gruppi giovanili maschili di Azione Cattolica nel periodo successivo alla crisi del ’31 con il governo fascista. Inoltre, volle don Michele come successore di Giovanni Capursi alla direzione del Seminario Vescovile di Molfetta (1933-1936), docente di lettere, matematica e francese, nonché amministratore del Seminario di Terlizzi (1934). Salvucci, invece, lanciò don Michele nella città natale, afidandogli il delicato uficio di canonico penitenziere della Cattedrale (23 novembre 1936) quand’egli era poco più che ventottenne, e poi di confessore delle religiose (1939). Nel frattempo il giovane sacerdote, senza dimorare in Roma, si era iscritto (1936) alla facoltà di diritto canonico nell’Ateneo Lateranense, ma non riuscì a concludere gli studi a causa delle vicende belliche. La successione degli incarichi di ministero è oltremodo eloquente a riguardo 6 Un registro manoscritto, compilato da Cagnetta, è custodito presso la Curia di Terlizzi e contiene dati biograici e i curricula dei sacerdoti terlizzesi. Le informazioni su Cagnetta sono tratte da questo registro e dai fascicoli personali dell’archivio del Pontiicio Seminario Regionale Pugliese e della Curia di Molfetta. Testimonianze sulla sua vita e sul suo ministero si traggono da: R. BrucoLi, 50° di Ordinazione di Mons. Cagnetta, LV, 58 (1982), n. 35, p. 2; E. di Venezia, Una casa di preghiera, punta di diamante, ibidem, 65 (1998), n. 3, p. 1-2; A. BeLLo, Diari e Scritti pastorali, Molfetta 1993, p. 327-328; id., Articoli, corrispondenze, lettere, notiicazioni, Molfetta 2003, p. 302-203; M. ciPriani, Una rarità unica nella nostra diocesi, LV, 83 (2007), n. 30, p. 7; L. MarteLLa, Omelia per i cento anni di Mons. Michele Cagnetta, LVD, 2008, n. 1, p. 35-38; id., Omelia per le esequie di Mons. Michele Cagnetta, ibidem, 2009, n. 2, p. 64-67; M. ciPriani, Si è spenta una luce, LV, 86 (2010), n. 2, p. 5. 58 Luigi MicheLe de PaLMa della stima e della iducia più volte dimostrate dal vescovo e costantemente onorate da don Michele, e rappresenta pure il crescendo di oneri pastorali e amministrativi di cui si fece carico il sacerdote terlizzese: rettore della chiesa di S. Ignazio (1937), della chiesa del Rosario e assistente dell’omonima confraternita (1939-2009), delegato vescovile dell’AC (1947-1970), assistente diocesano della GIAC (1937-1960), della Gioventù femminile (1951-1970), delle Donne (1968-1970), degli Scout (1950-1953) del Comitato Civico Zonale (1948-1959), amministratore della Mensa Vescovile (1942), vice cancelliere (1937-1945), cancelliere (1945), delegato vescovile ad omnia (1959-1975), vicario economo della parrocchia S.ti Medici (1956-1958), arcipreteparroco della Cattedrale (1959-1965, vicario economo ino al 1969) arcidiacono (1965-2009). Un riconoscimento dei suoi meriti furono le onoriicenze di Cameriere Segreto soprannumerario (23 febbraio 1952), Prelato Domestico (4 maggio 1961) e Protonotario Apostolico soprannumerario (18 agosto 1982). La collaborazione di Cagnetta proseguì anche oltre l’episcopato di Salvucci. L’amministratore apostolico Settimio Todisco lo nominò vicario generale di Terlizzi (1975) e tale uficio fu confermato da mons. Aldo Garzia e poi da mons. Antonio Bello (si tenga conto, fra l’altro, che Salvucci non aveva mai nominato un vicario generale). È signiicativo, comunque, che all’indomani della piena uniicazione delle diocesi di Molfetta, Giovinazzo, Terlizzi e Ruvo (1985), don Michele – insieme agli altri vicari generali Giuseppe Lisena (Molfetta), Nicola Melone (Giovinazzo) e Vincenzo Pellicani (Ruvo) – rassegnò le dimissioni per favorire la nomina di un unico vicario generale. Un gesto siffatto resta soltanto un tratto della personalità di don Michele, schivo da qualunque onore e ambizione, e della sua spiritualità sacerdotale. Ad esso devono aggiungersi altri gesti ugualmente signiicativi. Cagnetta pose a disposizione la propria villa di campagna afinché fosse istituita la prima scuola materna statale di Terlizzi. Successivamente volle donare alla diocesi lo stesso ediicio per trasformarlo in casa di preghiera per la formazione della gioventù (1989). Egli, che aveva conosciuto la igura e l’opera del servo di Dio Ambrogio Grittani, auspicava che le suore di S. Benedetto Giuseppe Labre fossero presenti anche a Terlizzi. A tale scopo donò il suolo per la costruzione di una casa di riposo e inanziò l’ediicazione di un’ala destinata ad accogliere i sacerdoti. Fra le iniziative legate al suo ministero in Terlizzi vanno ricordate: le missioni popolari (1954), il congresso eucaristico e quello mariano, il restauro della Cattedrale, della chiesa del Rosario e del santuario di Sovereto, l’incremento dei catechisti e la cura dei ministranti, l’organizzazione delle associazioni di S. Vincenzo de Paoli, del S. Cuore, del Rosario e di S. Michele. Specialmente per Terlizzi egli era considerato il “padre” dell’Azione Cattolica e fu molto di più di un parroco esemplare. Per il clero e per il laicato mons. Cagnetta rappresentò un punto di riferimento anche durante il periodo critico successivo al concilio Vaticano II, mentre la sua personalità andò sempre più affermandosi con autorevolezza nella compagine sociale e cittadina. Figure sacerdotali del Novecento 59 Il card. Corrado Ursi, arcivescovo di Napoli e antico compagno di seminario, presiedette la celebrazione del 50° di sacerdozio di Cagnetta e durante l’omelia accennò alla sua passione pastorale, allo spirito preghiera e alla silenziosa operosità che avevano caratterizzato il ministero sacerdotale dell’arcidiacono terlizzese. Nella ricorrenza del 100° genetliaco di don Michele, il vescovo Luigi Martella equiparò la igura di Cagnetta a quella di un patriarca della Chiesa locale. Il suo ministero sacerdotale si è esteso per un arco di tempo ineguagliabile e denso di avvenimenti, tragedie, ricostruzioni e trasformazioni che hanno interessato la Chiesa e la società. Lo stesso presule – durante le esequie celebrate nella Concattedrale di Terlizzi il 21 dicembre 2009 – riconobbe in mons. Cagnetta uno spirito semplice, ossequiente, rispettoso, delicatamente premuroso, generoso, scrupoloso, sempre attivo e operoso, nonché d’essere stato un modello di vita sacerdotale per la sua coerenza, per la sua fedeltà al magistero, per la sua moralità, per la sua amabilità e per la sua spiritualità. GIOVANNI CAPURSI (1909 - 1976, Molfetta) Primogenito di sette igli, nacque a Molfetta il 28 febbraio 1909 da Pietro, ciabattino, e Raffaella Nappi, casalinga. Fu alunno del Seminario Vescovile di Molfetta e proseguì gli studi nel Seminario Regionale Pugliese (1922-1930)7. Era 7 I manoscritti di Giovanni Capursi sono custoditi nell’Archivio Diocesano di Molfetta. Un faldone contiene documentazione inerente la postulazione per le cause di canonizzazione dei servi di Dio Emanuele Ribera e Filippo Smaldone (fondo Curia Vescovile, s.s.); altri nove faldoni contengono il materiale del suo archivio privato, rinvenuto dai partenti dopo la morte e donato alla parrocchia S. Gennaro (fondo S. Gennaro, Capursi, n. 1-53). Per i testi pubblicati, oltre ai numerosi articoli apparsi su «Luce e Vita», «Vita Parrocchiale» e «Molfetta Nostra», si veda: La chiesa del S. Cuore. Nota storica, Molfetta 1937; Elogio funebre, «Mons. D. Francesco Samarelli. Testimonianze», Molfetta 1952, p. 8-15; Le Parrocchie di Molfetta nei secoli, Molfetta 1952; La novena alla Madonna della Grazia, Molfetta 1954; Virtù Mariane, Molfetta 1956; Le statue del Sabato Santo nel racconto di Giulio Cozzoli, Molfetta 1957; La chiesa e il convento di S. Domenico da Soriano in Molfetta, Molfetta 1959; Giubileo sacerdotale di Mons. Ilarione Giovene 1909-1959, Molfetta 1959 (in collaborazione con A. Fontana); Studio sulla S. Allegrezza ed una nostra lauda latina del sec. XII, Molfetta 1959; La parrocchia di S. Gennaro (note storiche), Molfetta 1960; Un secolo contro il silenzio. L’Istituto provinciale Apicella dal 1864 al 1960, Molfetta 1960; Una ingegnosa operazione bancaria di Mons. Giacinto Petronio o.p. a favore del Convento e dello studio dei domenicani in Molfetta, estr. «Memorie Domenicane», Firenze 1961; Spiritualità del can. Filippo Smaldone, Molfetta 1961; La devozione alla Madonna della Grazia attraverso i secoli a Molfetta, Molfetta 1962; La lauda della Natività, del secolo XII, d’ignoti, Molfetta 1962; La chiesa di S. Bernardino in Molfetta, Molfetta 1964; Miscellanea, Molfetta 1964; Verso il testo originario di Sant’Allegrezza. Studio critico, Molfetta 60 Luigi MicheLe de PaLMa ancora seminarista del quarto anno teologico, quando il vescovo Pasquale Gioia lo chiamò come educatore nel Seminario Vescovile. Dal 1915 al 1926 il Regionale venne ospitato nell’ediicio del Seminario di Molfetta e i suoi superiori svolgevano anche la funzione di educatori degli alunni del minore. Con il trasferimento del Regionale nella sua nuova sede molfettese (1926), la direzione del Vescovile tornò ad essere afidata al clero diocesano. Mons. Gioia si riservò l’uficio di rettore, mentre veniva coadiuvato da un vicegerente, un direttore spirituale e un prefetto d’ordine. Giovanni Capursi fu il primo sacerdote ordinato da Gioia (25 ottobre 1931), il quale lo nominò subito vicegerente in sostituzione del sacerdote giovinazzese Nicola Palmiotto (1926-1931), promosso parroco di San Corrado in Molfetta. Don Giovanni fu il capostipite di quei sacerdoti novelli, formatisi nel Regionale, di cui si attorniò mons. Gioia per restituire autonomia al Vescovile e rinnovare la cura pastorale. Nei primi anni di sacerdozio, Capursi fu anche economo e docente nel Vescovile e, fra l’altro, si dedicò alla preparazione dei cori parrocchiali formati da fanciulli di Azione Cattolica. Diventò assistente dell’associazione di A.C. “San Giovanni Bosco” e dal 1932 al 1934 fu assistente diocesano della Gioventù Cattolica Maschile. Mons. Gioia continuò a nutrire iducia e stima nei riguardi di don Giovanni, al quale – neppure venticinquenne – volle afidare la cura della parrocchia S. Cuore di Gesù in Molfetta. Il vescovo aveva speso molte energie per la nuova parrocchia. Sebbene il predecessore Pasquale Picone avesse istituito la parrocchia nel 1916, si dovette attendere dieci anni per iniziare la costruzione del tempio, mentre due sacerdoti si avvicendarono nell’uficio di economo spirituale. Capursi subentrò in quest’uficio nel dicembre del 1933 e dovette attendere per un decennio la nomina di primo parroco, dopo aver ottenuto il riconoscimento civile dell’ente parrocchiale. La parrocchia comprendeva il territorio a sud della città, zona di nuova espansione edilizia, mentre la chiesa era situata a metà del boulevard cittadino, corso Umberto I, verso la stazione ferroviaria. La popolazione parrocchiale era passata da 4.620 residenti del 1918 ai 9.600 del 1931. Durante il parrocato di Capursi – grazie anche al favore degli accordi concordatari – nel tessuto diocesano si intensiicò la rete par- 1968; Come e quando nacque la Santa Allegrezza, Molfetta 1969; L’operosità dei preti della missione nel Seminario di Molfetta, estr. «Annali della Missione», Roma 1969; Culto tributato a S. Corrado Bavaro, Molfetta 1970; Molfetta ieri e oggi, 2 vol., Molfetta 1971-1972; La chiesa di S. Andrea e la confraternita di S. Antonio. Contributo storico, Molfetta 1974; Ricordo di Mons. Pasquale Gioia vescovo somasco, «Vita Somasca», 17, 1975, n. 6, p. 52-53; Un prestito del ven. Convento di S. Domenico a pro del Seminario Vescovile (1760), Molfetta 1978 (postumo). La igura di Capursi viene ricordata in: Parrocchia del S. Cuore di Gesù. Nel Venticinquesimo di sua vita e nel possesso canonico del suo primo Parroco, Molfetta 1943; Nel Trentesimo di Parrocato di Mons. Giovanni Capursi. Molfetta, Dicembre 1933-1963, Molfetta 1963; L. MinerVini, La morte dell’Arciprete di Molfetta: Mons. Giovanni Capursi, LVD, 1976, n. 6, p. 50-51. Figure sacerdotali del Novecento 61 rocchiale e, dal dopoguerra ino agli anni Sessanta del Novecento, l’incremento del numero delle parrocchie segnò sensibilmente la vita religiosa della popolazione. Le parrocchie diventarono i centri principali intorno a cui si svolgeva prevalentemente la vita dei fedeli e verso cui si concentrava l’attività del clero. Nel 1972, quando don Giovanni cessò l’uficio di parroco, la popolazione aveva superato le 11.000 anime, ma nel frattempo altre parrocchie erano state erette, smembrando parte del territorio del S. Cuore. Durante il ministero parrocchiale di don Giovanni – durato quasi quarant’anni – la parrocchia del S. Cuore si trasformò in un polo radiante di attività pastorale che attirò intorno a sé gran parte della popolazione parrocchiale. La chiesa – secondo la testimonianza del vescovo Achille Salvucci, successore di Gioia – trovata da Capursi «nuda e squallida e con locali insuficienti per le opere pastorali», non soltanto venne decorata e arricchita della suppellettile liturgica, ma si trasformò in un centro propulsore soprattutto della pietà eucaristica. Nei locali di ministero, successivamente ediicati attigui al tempio, trovarono spazio l’attività catechistica, le pie associazioni e i vari rami dell’Azione Cattolica. Intorno alla parrocchia orbitavano e interagivano il convento dei Cappuccini e cinque comunità religiose femminili preposte alla direzione di istituti di beneicenza. Furono numerosi i superiori e i docenti del Regionale che frequentarono assiduamente la parrocchia e dal suo seno sbocciarono vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa. Diventò molto attiva la presenza dei gruppi dediti all’esercizio della carità e fu signiicativo che nei locali parrocchiali sorse, nell’immediato secondo dopoguerra, l’Opera Pia San Benedetto Giuseppe Labre – di cui don Giovanni fu consulente – fondata dal servo di Dio Ambrogio Grittani per l’assistenza religiosa e materiale degli accattoni. Il parroco si preoccupò di arricchire la dote parrocchiale, procurandosi beni immobili e legati pii. Tuttavia un altro aspetto della personalità di don Giovanni si sviluppò durante il suo ministero, cioè l’impegno ad incrementare l’informazione fra i membri della parrocchia e la cura della memoria della vita comunitaria. Nel 1943 egli dette vita al bollettino «Vita Parrocchiale», con cui venivano fornite notizie aggiornate sulle iniziative progettate o realizzate e si offrivano spunti di rilessione religiosa. Inoltre, in occasione di particolari ricorrenze, don Giovanni pubblicò alcuni opuscoli contenenti note storiche riguardanti la parrocchia e non trascurò di dare alle stampe anche libretti di preghiera e di meditazione in uso presso il S. Cuore. Durante il lungo parrocato, con costanza certosina, Capursi compilò il diario parrocchiale, di cui si conservano tuttora tre registri manoscritti. Il suo gusto dilettantistico per la storia lo spinse a condurre numerose ricerche sulle chiese di Molfetta e sulle igure di alcuni ecclesiastici, nonché sugli usi e sui costumi religiosi e profani del popolo molfettese. Alcune sue note furono pubblicate, altre sono rimaste inedite o in forma di semplici appunti. Il loro valore, tuttavia, consiste soprattutto nell’aver raccolto dati e notizie – specialmente di epoca contemporanea – che altrimenti 62 Luigi MicheLe de PaLMa non sarebbero stati tramandati. Don Giovanni continuò a coltivare la sua passione per lo studio e nel 1959 conseguì il diploma di dirigente per biblioteche popolari e scolastiche. Giovanni XXIII lo onorò del titolo di Cameriere Segreto di Sua Santità (1960) e fu nominato vicepostulatore (1963) per le cause di canonizzazione dei servi di Dio Emanuele Ribera, redentorista molfettese, e Filippo Smaldone, apostolo dei sordomuti e fondatore delle Suore Salesiane dei Sacri Cuori. Paolo VI lo annoverò fra i prelati domestici (1964). Per un verso, la igura sacerdotale di Capursi interpretò il modello moderno di clero dedito principalmente alla cura pastorale – su cui era impostata la formazione impartita nel Regionale – e, per altro verso, continuò la tradizione locale del clero appassionato per le memorie patrie. Inoltre, il suo lungo parrocato si concluse con il superamento dell’inamovibilità del parroco, che talvolta condizionava negativamente la vitalità delle comunità parrocchiali. Nel clima di rinnovamento della vita ecclesiale, sollecitato dal concilio Vaticano II, don Giovanni accolse la proposta di mons. Settimio Todisco, amministratore apostolico di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi, e all’età di sessantaquattro anni rinunciò al suo uficio di parroco. Fu nominato arciprete del Capitolo Cattedrale (1972). Capursi proseguì il suo hobby preferito: lo studio delle memorie patrie e continuò a pubblicare articoli su «Luce e Vita», settimanale diocesano e su «Molfetta Nostra», periodico della Pro loco. Il 28 maggio 1976, mentre tornava a Molfetta dalla Biblioteca Nazionale di Bari, dove stava approfondendo le ricerche su s. Corrado, patrono della città e della diocesi, don Giovanni fu colto da malore e morì. La sua morte repentina suscitò viva commozione fra la popolazione cittadina e soprattutto nell’animo dei fedeli della parrocchia del S. Cuore. MICHELE CARAbELLESE (1911 - 2009, Molfetta) Nacque a Molfetta l’11 gennaio 1911 da Saverio, agricoltore diretto, il quale – rimasto vedovo – sposò in seconde nozze Francesca De Cesare e mantenne una prole numerosa8. Durante l’Ottocento, la famiglia Carabellese aveva offerto alla 8 Alcuni articoli di Michele Carabellese sono sparsi sulle pagine del periodico diocesano «Luce e Vita», mentre il saluto pronunciato per l’ingresso del nuovo vescovo Luigi Martella il 17 marzo 2001 è pubblicato in LVD, 2001, n. 1, p. 23-24. Dopo la sua morte un certo numero di quaderni di appunti sono stati versati all’Archivio Diocesano di Molfetta. La sua igura sacerdotale viene ricordata da L. MarteLLa, Omelia per i 75 anni di sacerdozio di Mons. Michele Carabellese, ibidem, 2009, n. 2, p. 53-55; id., Omelia per le esequie di Mons. Michele Carabellese, ibidem, p. 57-61; T. tridente, Il nostro “padre” spirituale, LV, 85 (2009), n. 34, p. 2. Figure sacerdotali del Novecento 63 Chiesa locale numerosi sacerdoti, canonici e dignità capitolari, e nel frattempo aveva intrecciato legami di parentela con altre famiglie di ecclesiastici: Gadaleta, Minervini, Palmiotti. Immacolata Carabellese, una delle sorelle maggiori, diventò suora (assunse il nome di Maria Grazia presso le Ancelle del S. Cuore di Gesù), mentre Michele, insieme al fratello Sergio, entrò nel Seminario Vescovile di Molfetta e successivamente nel Pontiicio Seminario Regionale Pugliese (1927-1934). Ricevette l’ordinazione sacerdotale il 28 ottobre 1934 per le mani di Pasquale Gioia, vescovo di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi, e dal 1934 al 1936 svolse la mansione di prefetto d’ordine nel Regionale. La nutrita successione di incarichi è la testimonianza più eloquente della iducia, della considerazione e della stima che don Michele seppe guadagnarsi – non soltanto da parte del nuovo vescovo Achille Salvucci – durante i settantacinque anni del suo ministero sacerdotale. Salvucci lo volle vicegerente, rettore e insegnante di lettere del Seminario Vescovile (1936-1945) e poi direttore spirituale (1945-1976); lo nominò rettore della chiesa di Santa Maria Consolatrice degli aflitti e assistente del sodalizio confraternale più numeroso della diocesi, l’Arciconfraternita della Morte (1938-1945, 1961-1974), nonché delle Dame di Carità. In seguito don Michele fu confessore delle suore e delegato per le religiose delle tre diocesi unite, direttore delle Missionarie dell’Oratorio di Giovinazzo, direttore dell’uficio catechistico e difensore del vincolo nel tribunale diocesano, nonché assistente dei vari rami, maschile e femminile, dei giovani e degli adulti dell’Azione Cattolica e della FUCI. Nel 1940 entrò a far parte del Capitolo Cattedrale e nel 1945 conseguì la licenza in diritto canonico presso l’Ateneo Lateranense. Fu insegnante di religione cattolica nel Liceo Classico e nell’Istituto Magistrale di Molfetta. Assunse l’uficio e la dignità di penitenziere (1945), fu promosso arciprete (1962) e poi arcidiacono (1972). Dal 1970 al 1981 svolse l’incarico di direttore spirituale nel Regionale, e nei due decenni successivi vi rimase come confessore. I papi lo onorarono con i titoli di Prelato Domestico (4 maggio 1961) e di Protonotario Apostolico soprannumerario (18 agosto 1982). Don Michele si preparò al ministero sacerdotale nel Seminario Regionale Pugliese, durante i rettorati di Giovanni Nogara (1920-1931) e di Pietro Ossola (19311942), mentre erano direttori spirituali Luigi Ercoli, Giuseppe Donna Aloia e Luigi Doria. I giudizi dei superiori e il proitto scolastico furono sempre positivi, tanto da far prolungare la sua presenza nel Regionale anche dopo l’ordinazione sacerdotale. Egli, poi, entrò a far parte del gruppo dei giovani sacerdoti che collaborarono con il vescovo Salvucci (1935-1978) per il rinnovamento del clero diocesano e in favore dello sviluppo dell’azione pastorale. Nel 1936 Salvucci scelse Carabellese come successore di Michele Cagnetta nella direzione del Seminario Vescovile. Furono anni dificili, anche perché durante il suo rettorato (protrattosi ino al 1945), con lo scoppio della guerra, i locali del Seminario vennero requisiti per accogliere l’ospe- 64 Luigi MicheLe de PaLMa dale militare. E comunque la presenza di don Michele nel Vescovile si protrasse ino al 1976 (nel frattempo si succedettero tre rettori) con l’incarico di direttore spirituale. Questa veste apparve come la più confacente al suo animo sacerdotale. Egli, infatti, veniva continuamente impegnato nella predicazione di ritiri e di esercizi spirituali e si dedicava assiduamente all’ascolto delle confessioni in numerose chiese della diocesi. Sebbene non abbia mai ricevuto incarichi parrocchiali, la sua igura di pastore d’anime e direttore delle coscienze riletteva l’intima dimensione della sua sanctitas sacerdotalis. Con il suo carattere «riusciva ad essere piccolo, semplice come un bambino e grande, rigoroso, amabile, nello stesso tempo, nei gesti e nelle parole; puntuale ed eficace nelle rilessioni; energico e convincente, attento e rilessivo; cordiale e scrupoloso». Si mostrava sempre obbediente, umile e distaccato da qualunque onore o interesse mondano. Prediligeva l’esempio sacerdotale e il modello pastorale di s. Francesco di Sales, tanto che entrò come cooperatore nella famiglia salesiana di s. Giovanni Bosco. Don Michele, fra l’altro, trascorreva le vacanze estive presso il monastero di Montevergine, dedicandosi quotidianamente all’ascolto delle confessioni. La stima per la sua persona e per la sua testimonianza sacerdotale, insieme alla veneranda età raggiunta, lo trasformò in un patriarca della Chiesa locale. Tuttavia, la fama delle sue qualità, del suo equilibrio e della sua saggezza si estese anche oltre in conini diocesani. Nel 1970, infatti, don Michele venne nominato direttore spirituale del Regionale e succedette ad un altro sacerdote pugliese, Francesco Marinò. In quegli anni del rettorato di Mario Miglietta (1965-1979) la vita del Regionale viveva momenti alquanto dificoltosi. Il clima di contestazione generale, le trasformazioni sociali in atto e il rinnovamento della vita ecclesiale ispirato dal concilio Vaticano II avevano pervaso – non senza contrasti – l’ambiente del Seminario. Fra i seminaristi si contarono numerose defezioni; calò il numero degli alunni del Seminario e, fra l’altro, i vescovi pugliesi decisero di trasferire le classi liceali nella nuova sede di Taranto, rivedendo la tradizionale impostazione pedagogica e scolastica. In una condizione di instabilità e di crisi interna del Regionale, don Michele – il quale da tempo esercitava il ministero di confessore fra i seminaristi – fu ritenuto una guida sicura per il discernimento vocazionale e un maestro autorevole per la formazione dei futuri preti. Dopo il 1981, la sua presenza in Seminario si protrasse ino a poco tempo prima del suo decesso. Egli continuò a svolgere il ministero di confessore dei seminaristi e molti ex alunni, diventati preti, prolungarono il loro rapporto con don Michele, confessore e direttore spirituale. Sotto certi aspetti la igura sacerdotale di Carabellese sollecita la rilessione e l’approfondimento della storia del Regionale e almeno di una generazione del clero pugliese formatasi in seno ad esso. Don Michele aveva ricevuto la propria formazione seminaristica in un’epoca in cui i modelli educativi dettati dalla Figure sacerdotali del Novecento 65 Santa Sede si coniugavano all’interno del Regionale con le personalità degli educatori, di formazione e di provenienza settentrionale, designati dalla Santa Sede. Invece, la scelta di Carabellese come direttore spirituale del Seminario fu concordata dai vescovi con i superiori del Regionale e consolidava la tradizione “pugliese” dei direttori spirituali, già avviata con Luigi Doria (Corato), Michele Jurilli (Bari) e Francesco Marinò (Taranto). Quale fu, dunque, e come si caratterizzò il contributo di questi sacerdoti alla formazione di un clero regionale, meno legato alle realtà dei numerosi seminari diocesani, sebbene in gran parte proveniente da esse? Il ruolo svolto da Carabellese copre un arco di tempo durante il quale le indicazioni del Vaticano II incominciavano ad essere recepite all’interno del Regionale e veniva avviata una rilessione sul modello sacerdotale, sui modelli e sui parametri educativi e culturali da adottare per il rinnovamento della formazione seminaristica. Don Michele si mostrò sempre bendisposto nei riguardi delle novità, tuttavia restò prudente dinanzi a certe sperimentazioni che gli apparivano alquanto esagerate. Superati i settant’anni, lasciò l’incarico di direttore spirituale, ma continuò a rendersi disponibile per le confessioni dei seminaristi. Fece altrettanto con gli altri incarichi diocesani, mantenendosi sempre attivo come confessore, laddove veniva invitato e nelle chiese abitualmente frequentate (Cattedrale, Sacro Cuore, San Giuseppe). Finché le condizioni isiche glielo permisero, adempì fedelmente agli ufici capitolari ed era sempre presente all’uficiatura corale. Negli ultimi tempi, l’età avanzata lo costrinse a condurre una vita più ritirata, che però non gli impedì di ricevere i suoi igli spirituali. Fra gli ultimi atti compiuti si devono ricordare il dono dei suoi libri alla biblioteca del Vescovile e la donazione alla diocesi della casa paterna. Il 30 ottobre 2009, insieme al vescovo Luigi Martella, ai confratelli sacerdoti, ai parenti e a numerosi fedeli (in gran parte suoi penitenti), poté celebrare il 75° anniversario di sacerdozio nella chiesa del Sacro Cuore a Molfetta. Al termine della messa, con la solita voce chiara e squillante, ringraziò i presenti e invitò ciascuno a vivere sempre nella gioia del Signore. Alcuni giorni dopo le sue condizioni di salute si aggravarono improvvisamente. Ricoverato all’Ospedale della città, don Michele spirò nella notte del 9 novembre. Durante l’omelia della messa esequiale, celebrata in Cattedrale, gremita da sacerdoti e fedeli, il vescovo Martella, riferendosi all’esemplarità sacerdotale della vita di don Michele, affermò: «Se si volesse scrivere la storia ecclesiale di questa Chiesa diocesana, degli ultimi tempi, non si potrebbe prescindere dalla sua igura». 66 Luigi MicheLe de PaLMa LEONARDO MINERVINI (1912 - 1985, Molfetta) Nacque a Molfetta il 3 febbraio 1912 da Pietro Domenico, agricoltore diretto, e Rosa Gadaleta. Primogenito di sei igli, entrò da ragazzo nel Seminario Vescovile e proseguì gli studi e la formazione nel Seminario Regionale Pugliese (1927-1934)9. Fu ordinato presbitero il 1° maggio 1935 da mons. Marcello Mimmi, arcivescovo di Bari e amministratore apostolico sede vacante di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi. Durante i cinquant’anni del suo ministero sacerdotale svolse l’incarico di direttore spirituale nel Seminario Vescovile, economo spirituale nelle parrocchie di San Corrado e di San Gennaro, rettore delle chiese di Santo Stefano, della S.ma Trinità e di Santa Maria Consolatrice degli aflitti, nonché cappellano del Preventorio antitubercolare di Molfetta e per alcuni anni fu confessore nel Seminario Regionale. Entrato nel Capitolo Cattedrale come partecipante cantore, divenne canonico e cerimoniere vescovile e successivamente fu promosso alle dignità di sagrista, di primicerio e di arciprete. Nel 1956 Pio XII gli conferì il titolo di cameriere segreto soprannumerario e Giovanni XXIII, nel 1961, quello di prelato domestico. Il vescovo Achille Salvucci lo nominò cancelliere (1954) e in questa veste don Leonardo continuò ad essere stretto collaboratore dei vescovi Settimio Todisco e Aldo Garzia. Diventato amico di don Stefano Lamera, don Leonardo entrò a far parte dell’istituto secolare “Gesù Sacerdote” (fondato dal beato Giacomo Alberione) ed emise la professione il 10 settembre 1976. Altri sacerdoti della diocesi seguirono il suo esempio e condivisero con lui la spiritualità dell’istituto. L’assunzione dell’uficio di cancelliere fece nascere in don Leonardo l’interesse 9 Sono numerosi gli articoli di L. Minervini apparsi su «Luce e Vita», mentre per i suoi studi: L’attuale Cattedrale di Molfetta dalle origini ai giorni nostri, Molfetta 1958; Il messale manoscritto della Cattedrale di Molfetta. Codice miniato, Molfetta 1965; I documenti dei primi sessanta anni della Parrocchia di S. Domenico, «L’auditorium di S. Domenico a Molfetta», Molfetta 1974, p. 23-42; Il riordinamento degli archivi ecclesiastici di Molfetta, Molfetta 1975; Ricordo di Mons. Pasquale Gioia della Congregazione Somasca, vescovo di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi, Molfetta 1979; L’Archivio diocesano di Molfetta e il suo documento più antico, Molfetta 1983 (in collaborazione con L.M. de Palma); A. saLVucci, “Briciole” e scritti inediti, a cura di L. MinerVini, Molfetta 1984. Un proilo del suo ministero si coglie in: Studi in onore di Mons. Leonardo Minervini, a cura di L.M. de PaLMa, Molfetta 1983; S. PaLese, «“Briciole” e scritti inediti» di Mons. Achille Salvucci, LVD, 1985, n. 2, p. 97-116; F. sasso, Grazie, Don Leonardo, LV, 61 (1985), n. 25, p. 3; L.M. de PaLMa, Mons. Leonardo Minervini archivista e storico di Molfetta, LVD, 1986, n. 1, p. 145-168; A. BeLLo, Articoli, corrispondenze, lettere, notiicazioni, Molfetta 2003, p. 147-148. Figure sacerdotali del Novecento 67 per gli archivi e per l’archivistica. Diventò socio dell’Associazione Italiana Archivisti Ecclesiastici e partecipò ai suoi primi sette convegni (1957-1966). Nel 1967 don Leonardo si preoccupò di predisporre una più adeguata collocazione dell’archivio della Curia Vescovile e contemporaneamente, coadiuvato da don Ignazio de Gioia, dette inizio ad una nuova inventariazione del materiale documentario. Con il passare degli anni la situazione crebbe e maturò ino al punto di costituire, nel 1974, presso la Curia, l’archivio storico diocesano, in cui conluirono i fondi archivistici di numerosi enti ecclesiastici. Questi furono predisposti alla consultazione da parte degli studiosi e salvaguardati dalla dispersione e dal degrado. Don Leonardo assunse la direzione dell’archivio diocesano e lo trasformò in un polo attorno al quale si sviluppò l’interesse dei ricercatori italiani ed esteri. L’attività culturale e i meriti acquisiti sul campo dell’archivistica ecclesiastica giustiicarono l’invito e l’ingresso di don Leonardo nella locale sezione della Società di Storia Patria per la Puglia (1978). Un altro settore signiicativo che caratterizzò l’impegno ministeriale di don Leonardo fu l’attività pubblicistica. Egli, infatti, nel 1943 succedette a don Saverio Carabellese nella direzione del bollettino diocesano «Luce e Vita» – voluto nel 1925 dal vescovo Pasquale Gioia – e mantenne quest’incarico per quarant’anni, ino al 1983. Dal 1954 il bollettino assunse periodicità settimanale e sotto la direzione di don Leonardo svolse sempre di più la sua funzione di organo d’informazione pastorale e di collegamento fra le diocesi di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi. Don Leonardo irmò 1.444 numeri del settimanale, che tuttora resta una fra le più antiche testate cattoliche italiane e rappresenta una miniera di notizie e di testimonianze sulla vita ecclesiale della comunità diocesana. Al settimanale si aggiunse poi «Luce e Vita Documentazione», il bollettino uficiale della diocesi su cui apparivano i più importanti documenti della Santa Sede, della Conferenza Episcopale Italiana e Pugliese, nonché gli atti del vescovo e della diocesi, con una sezione – la “documentazione varia” – comprendente saggi, articoli, spunti e ricerche di vario genere inerenti alla storia, alla vita religiosa e civile e alla cultura delle comunità locali. Dal 1973 al 1982 don Leonardo dette alle stampe 29 volumi del bollettino per un totale di 2.366 pagine. L’attività editoriale segnò ulteriori progressi e la igura di don Leonardo acquisì la veste di custode e di cultore della memoria della comunità ecclesiale. Egli volle avviare una collana di pubblicazioni denominata Edizioni Curia Vescovile di Molfetta, che dal 1958 al 1975 raccolse undici opuscoli di carattere divulgativo, in cui storia, arte e cronaca venivano ad intrecciarsi in un connubio signiicativo e unico sul panorama pubblicistico locale. Se questa iniziativa editoriale non ebbe più seguito, una nuova collana di studi, progettata da don Leonardo e inaugurata nel 1975, trovò maggiore fortuna e fu legata dall’ideatore all’allora neonato Archivio Diocesano di Molfetta: i Quaderni dell’Archivio Diocesano, una collana di studi e 68 Luigi MicheLe de PaLMa di ricerche scientiiche, aperta al contributo di numerosi specialisti, che inora conta ventiquattro volumi e la cui notorietà ha superato i conini diocesani e nazionali. Essa è rimasta l’unica collana di studi storici inerente le comunità cittadine che compongono la diocesi. Se non è possibile offrire un resoconto dell’intensa opera di pubblicista svolta da don Leonardo – sono innumerevoli gli articoli, le cronache e le notizie che riportano la sua irma su «Luce e Vita» – si può tuttavia accennare ai temi e ai contenuti dei suoi saggi e degli articoli dati alle stampe, i quali si suddividono in tre iloni di interesse tematico: le chiese di Molfetta, gli archivi ecclesiastici, l’episcopato molfettese. Il primo ilone d’interesse comprende un fascicolo dedicato alla nuova cattedrale di Molfetta, apparso nel 1958 dopo i restauri del tempio e signiicativo perché non esistevano studi dedicati alla chiesa del collegio dei Gesuiti, diventata cattedrale nel 1785. Un altro studio condotto riguardava la trasformazione della chiesa conventuale di San Domenico in Molfetta in nuova parrocchia, istituita agli inizi del Novecento dal vescovo Pasquale Picone. La chiesa domenicana fu il primo ediicio cultuale conventuale ad essere stato recuperato dalla diocesi dopo le soppressioni ottocentesche. La sua trasformazione in chiesa parrocchiale inaugurò – durante un’epoca di diffuso anticlericalismo – la metamorfosi dell’attività pastorale cittadina che trovava un riferimento nuovo nelle numerose parrocchie erette sul territorio diocesano. L’altro ilone d’interesse riguarda l’archivistica. Nel 1965 don Leonardo fece conoscere ad un pubblico più vasto l’antico codice liturgico della cattedrale di Molfetta, chiamato “Messale di S. Corrado” (sec. XIV), decorato con le miniature (sec. XV) di Giovanni di Francia. Queste ultime furono pubblicate per la prima volta in appendice al fascicolo. Tuttavia il desiderio espresso in questa iniziativa mirava a sensibilizzare il pubblico nei riguardi della tutela e della conoscenza dei beni culturali, posseduti specialmente dagli enti ecclesiastici. Su questo argomento s’incentrava una raccolta di articoli con cui don Leonardo avviò la pubblicazione dei Quaderni (1975). Il primo volume della nuova collana presentava al pubblico il patrimonio documentario, l’organizzazione e la funzione del neonato archivio storico diocesano. La sua genesi veniva contestualizzata nell’ambito delle altre istituzioni culturali della diocesi: l’antica biblioteca del Seminario Vescovile e il Museo-Pinacoteca in fase di allestimento. Inine, Leonardo Minervini può essere ritenuto il primo biografo di due vescovi di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi: il somasco Pasquale Gioia (1872-1935) e il marchigiano Achille Salvucci (1872-1978). I due episcopati coprirono un arco di tempo di quasi sessant’anni (1922-1978), durante il quale don Leonardo fu testimone e coprotagonista della vita diocesana. Perciò egli scelse la forma della commemorazione per abbozzare un medaglione biograico di Gioia (nel quarantesimo anniversario Figure sacerdotali del Novecento 69 della sua dipartita) e lo strumento della cronistoria e dell’edizione documentaria per tracciare un proilo del lungo e ricco episcopato di Salvucci, nonché per farne conoscere aspetti e risvolti poco noti della sua personalità. La commemorazione di Gioia si trasformò nel secondo dei Quaderni, mentre una sintetica cronistoria dell’episcopato di Salvucci venne pubblicata in un numero speciale di «Luce e Vita Documentazione» dedicato alla igura del venerato presule ad un anno dalla morte. L’ultima iniziativa editoriale di don Leonardo fu l’edizione (1984) di Briciole, il diario personale del vescovo, e di altri scritti inediti risalenti anche al periodo precedente l’episcopato molfettese. Leonardo Minervini, dunque, è stato un sacerdote che ha saputo ottenere la iducia dei vescovi, i quali lo hanno annoverato nella cerchia dei loro più stretti collaboratori. È stato un archivista senza precedenti nell’ambito della città e della diocesi; un autodidatta sempre incline a perfezionare le proprie conoscenze nella continua ricerca di nuove acquisizioni; un cultore del valore del documento originale e delle strutture atte a salvaguardarlo e a trasmetterlo nel tempo. Uno storico dilettante rivestito di un abito singolare nella compagine degli scrittori locali: ha saputo unire la ricerca alla divulgazione, lo studio specialistico al confronto con il grande pubblico; ha intuito felicemente l’enorme apporto dell’editoria in favore del progresso culturale. Nel 1983, al compimento del suo 70° genetliaco, alcuni studiosi e amici vollero offrire in onore di don Leonardo un volume miscellaneo di studi, come segno di gratitudine e attestazione di stima per il suo impegno culturale. Pochi mesi dopo l’ingresso del nuovo vescovo Antonio Bello, nel 1982, don Leonardo fu colpito da un male che lo costrinse a ritirarsi dagli innumerevoli ufici. E quando il vescovo si vide costretto ad accettare le sue dimissioni dall’incarico di direttore di «Luce e Vita», asserì che fosse giunta a termine una stagione della Chiesa locale: «una lunga stagione, che […] ha visto [don Leonardo] “notaio” scrupoloso e discreto, attento e silenzioso accanto a protagonisti eccezionali e nel vortice di avvenimenti decisivi. I vescovi Gioia, Salvucci, Todisco, Garzia. I tempi profetici di Papa Giovanni. I fremiti del Concilio. Le dificoltà e le lentezze del postconcilio. Le speranze dei nostri giorni» (12.6.1983). Il 1° maggio 1985 don Leonardo celebrò il 50° anniversario di sacerdozio, ma il 13 giugno successivo morì nella sua casa di Molfetta. 70 Luigi MicheLe de PaLMa COSMO AZZOLLINI (1913 - 1966, Molfetta) Quintogenito di dieci igli, nacque a Molfetta il 12 settembre 1913 da Nicolò, sarto, e Maddalena Salvemini10. Il padre di “Minuccio” (nomignolo del piccolo Cosmo) non nutriva la sensibilità per la vita di fede e talvolta manifestava un grossolano anticlericalismo, congiunto al consueto autoritarismo della propria igura paterna. Volle che i igli avessero la possibilità di studiare, ma il piccolo Cosmo non mostrò grande applicazione né ottenne risultati superiori alla suficienza. La madre, pertanto, pensò di avviare il iglio verso il sacerdozio. In tal modo la famiglia si sarebbe assicurata prestigio sociale e soprattutto vantaggi economici. Il condizionamento materno spinse Cosmo ad esprimere la volontà di diventare sacerdote e sebbene il padre avesse tentato di ostacolare la volontà del iglio, grazie alla mediazione del parroco della Cattedrale, Mauro Amato, il giovane Minuccio fece ingresso nel Seminario Vescovile di Molfetta (1927). Due zie materne assunsero l’onere di mantenere agli studi il nipote. Dal 1930 al 1937 Cosmo fu alunno del Seminario Regionale Pugliese e i suoi diari (redatti fra il 1934 e il 1964 ed editati postumi frammentariamente) restano una testimonianza signiicativa della vita all’interno dei due seminari. La igura del vescovo Pasquale Gioia fu considerata da don Cosmo di rilevante importanza per l’iniziale formazione seminaristica. Allo stesso modo esercitarono una forte inluenza sul suo animo le personalità dei rettori avvicendatisi nel Regionale, Giovanni Nogara e Pietro Ossola, nonché il direttore spirituale Luigi Ercoli. Fra gli altri, don Cosmo ebbe per compagni di classe Giuseppe Carata, futuro rettore, il barlettano Ruggero Caputo e il molfettese Corrado Minervini, con il quale egli ricevette l’ordinazione sacerdotale dal vescovo Achille Salvucci il 24 luglio 1937 nella Cappella del Regionale. 10 Presso l’archivio della parrocchia Cuore Immacolato di Maria sono conservati il diario (1934-1963) di don Cosmo e una sua biograia di Marta Poli (stilata fra il 1962 e il 1964); vi si ritrovano, inoltre, una biograia di don Cosmo Azzollini (1974), redatta dalla sorella Antonia, e una raccolta di testimonianze sulla sua vita, entrambe allegate alla pratica inoltrata per la sepoltura privilegiata. Numerosi articoli di don Cosmo sono apparsi sui periodici «Luce e Vita» e «Cento iori», mentre il diario del viaggio negli Stati Uniti e in Canada è stato pubblicato col titolo Ricordi di un viaggio, a cura di F. sasso, Molfetta 1967. Sulla igura di don Cosmo e sul suo ministero si vedano: L. MinerVini, Don Cosmo Azzollini, LV, 42 (1966), n. 3, p. 1-2; M. zanna, Un prete con gli sciuscià. Don Cosmo Azzollini, Molfetta 1986 (nel volume viene pubblicata anche parte della corrispondenza del sacerdote); id., Don Ambrogio Grittani e don Cosmo Azzollini due sacerdoti per Molfetta, «Don Ambrogio Grittani tra storia e profezia. Nel primo centenario della nascita 1907-2007. Atti del Convegno», Terlizzi 2009, p. 73-84. Figure sacerdotali del Novecento 71 Il presule riconobbe le capacità educative e le inclinazioni del novello sacerdote per la pastorale giovanile, perciò lo volle direttore spirituale nel Seminario Vescovile (1937-1945) e contemporaneamente assistente della “P.G. Frassati”, associazione giovanile di AC della parrocchia S. Cuore di Gesù di Molfetta. In entrambi gli ambienti don Cosmo diventò subito un solido riferimento per i giovani seminaristi e per i laici. Dal 1938 al 1942 fu viceparroco in San Corrado e assistente della “S. De Simone”, nonché assistente diocesano della GIAC (1942), responsabile del Segretariato per la moralità (stampa e cinema) e, inine, assistente dell’associazione giovanile di Azione Cattolica “San Giovanni Bosco” della parrocchia Cattedrale (1943). In seno a quest’associazione – che aveva sede nell’atrio dell’episcopio – don Cosmo raccolse i primi collaboratori per il progetto che desiderava realizzare: un oratorio giovanile. L’idea era nata nel contesto della guerra ancora in atto e delle conseguenze che avevano interessato negativamente molte realtà famigliari. L’assenza dei padri, la fame e il mercato nero, la povertà diffusa, le carenze scolastiche (alcune scuole erano state requisite per usi militari), la mancanza di un controllo sociale e la presenza di militari stranieri avevano provocato una condizione di abbandono di una parte della gioventù. Spesso essa non godeva neppure di un minimo d’istruzione né di qualunque forma di educazione. L’evasione scolastica era frequente e con grande facilità i ragazzi erano indotti alla delinquenza, al gioco proibito e all’alcolismo. Nel 1944 Salvucci accolse favorevolmente e sostenne il progetto di don Cosmo, il quale, nonostante le gravi dificoltà economiche, dette vita all’oratorio San Filippo Neri in alcuni locali nei pressi della villa comunale (via Ten. Fiorino). L’esperienza dell’oratorio giovanile era nuova per le Chiese del meridione, tuttavia, nel 1947, sul territorio pugliese se ne contavano almeno trentaquattro. A Molfetta era sorto un oratorio festivo nel Seminario Regionale, gestito dai seminaristi, mentre don Ambrogio Grittani aveva inserito nella sua Opera un altro oratorio infantile. Le iniziative intraprese, però, non riuscivano a sovvenire alle necessità del gran numero di sciuscià che popolavano la città. Don Cosmo incominciò ad accogliere nell’oratorio questi ragazzi, talvolta assicurò un tetto per alcuni di loro. Egli stesso abbandonò la casa paterna – dopo il secondo matrimonio del padre – e si trasferì in quei locali. Nel 1945 i ragazzi che frequentavano l’oratorio erano circa cinquecento, ma la struttura, povera ed essenziale, si dimostrava sempre più inadeguata per raggiungere gli scopi preissati: l’istruzione religiosa e l’apprendistato dei ragazzi (per evitare che continuassero a rimanere per la strada e fossero in grado di esercitare un mestiere). Avevano un’importanza rilevante anche il gioco e lo svago, considerati parti integranti della formazione oratoriana. Il metodo educativo adottato da don Cosmo e dai suoi collaboratori s’ispirava alle intuizioni di s. Filippo Neri e s. Giovanni Bosco: la letizia e la prevenzione. 72 Luigi MicheLe de PaLMa Con enormi sacriici e rinunce personali – e grazie alla generosità di alcuni benefattori – don Cosmo riuscì ad acquistare un terreno ad est della città, dove si stava estendendo un nuovo quartiere di case popolari. Su questo spazio fu costruito il nuovo oratorio (1951-1953), che subito diventò il polo d’aggregazione della popolazione circostante. Nella zona procedeva l’espansione edilizia ed erano numerose le attività artigianali e le piccole imprese, presso cui don Cosmo riuscì a collocare molti ragazzi per l’apprendistato. Nel 1954 Salvucci istituì preso l’oratorio la nuova parrocchia del Cuore Immacolato di Maria e afidò a don Cosmo l’uficio di economo spirituale. Lo nominò anche canonico della Cattedrale (1954) e confessore delle religiose. In seguito, nei locali dell’oratorio vennero inaugurate una scuola materna (1955) ed una scuola elementare (1957), ma l’onere più grave assunto da don Cosmo – che andava ad aggiungersi ai precedenti – fu il progetto e la costruzione della chiesa parrocchiale. Per questo scopo egli intraprese un viaggio oltre oceano (1958-1959), ospite delle famiglie molfettesi emigrate negli Stati Uniti e in Canada, fra cui raccolse le prime offerte da destinare alla costruzione del tempio. Al ritorno dette vita ad un foglio d’informazione e di collegamento parrocchiale, intitolato «Cento iori» (1959-1973). L’anno successivo la parrocchia ottenne il riconoscimento civile e don Cosmo venne nominato primo parroco (1960). Era la più piccola fra le otto parrocchie della città e contava circa 2.300 anime. In essa e nell’ambito oratoriano iorirono alcune vocazioni. Nel 1960 Giovanni XXIII annoverò don Cosmo fra i suoi camerieri segreti. L’impegno per la crescita della comunità parrocchiale procedeva congiuntamente all’attività dell’oratorio, ma la vita di quest’ultimo venne turbato dei mutamenti sociali che si accompagnavano alle trasformazioni dei costumi veriicatesi durante gli anni Sessanta del Novecento. L’oratorio appariva una realtà ripiegata su se stessa e incapace di instaurare un rapporto con il mondo circostante, caratterizzato da nuovi stili di vita e differenti mentalità. D’altra parte anche all’interno della Chiesa si soffriva il travaglio di una nuova era inaugurata dal concilio Vaticano II. Don Cosmo avvertiva le metamorfosi in atto ed era consapevole dei propri limiti. Per le numerose dificoltà – fra cui la chiusura della scuola parrocchiale e l’esodo di molti oratoriani – soffrì e temette il fallimento di tutti i suoi sforzi e del suo ministero sacerdotale. Vagheggiò l’idea di formare una congregazione di sacerdoti dediti alla cura dell’oratorio, ma si trattò soltanto di un’ipotesi di soluzione dei problemi. Invece, chi proseguì l’attività dell’oratorio e portò a termine l’ediicazione della chiesa fu don Franco Sasso, uno dei sacerdoti collaboratori di don Cosmo, succeduto a don Carlo de Gioia come coadiutore di don Cosmo e, dopo la morte di quest’ultimo, nuovo parroco. Improvvisamente, nel luglio del 1965, si manifestarono i sintomi del male che aveva colpito don Cosmo, un tumore al cervello. Il sacerdote venne trasportato a Figure sacerdotali del Novecento 73 Roma e operato d’urgenza. Trascorse la convalescenza in casa della sorella Nina, ma il suo isico – provato dal rigido stile di vita – era stato irrimediabilmente compromesso. Spirò il 12 gennaio 1966, all’età di cinquantatré anni, e ai suoi funerali partecipò una grande folla di fedeli, di oratoriani e di parrocchiani. Tuttora, anche fra i confratelli sacerdoti, viene ricordata la sua igura di sacerdote generoso, dedito esclusivamente al bene delle anime, severo con se stesso, austero e povero ino alla miseria, caparbio, intransigente e gioviale, dalla profonda spiritualità che si rilette dalle pagine del suo diario. Il 21 novembre 1974 la sua salma venne traslata nella chiesa parrocchiale del Cuore Immacolato di Maria.