LORENZOTSTANGHELLINIT-TANDREATZORZI
III.TILTPIANOTDITRISANAMENTO
giuffrè editore - 2017
IsbnT9788814201882
Estratto dal volume:
TRATTATO DELLE PROCEDURE CONCORSUALI
AlbertoTJorioT-TBrunoTSassani
V
CONCORDATO FALLIMENTARE
ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE
PIANI DI RISANAMENTO
AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA
PROFILI FISCALI. CRISI BANCARIE
III.
IL PIANO DI RISANAMENTO
di
Lorenzo Stanghellini e Andrea Zorzi
Capitolo I
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO (*)
1. Il piano di risanamento attestato nel quadro degli strumenti concorsuali. — 1.1. Le
soluzioni stragiudiziali e il ruolo del “piano” di soluzione della crisi. — 1.2. Il ruolo dei
“contratti sulla crisi”. — 1.3. I tentativi di soluzione stragiudiziale: le conseguenze del loro
eventuale insuccesso. Implicazioni in termini di politica del diritto. — 1.4. Il diritto delle
soluzioni stragiudiziali: i “percorsi stragiudiziali protetti”. — 1.5. Il depotenziamento dell’azione revocatoria. I successivi arricchimenti degli strumenti stragiudiziali. — 2. Il piano
di risanamento attestato nel quadro degli strumenti concorsuali. — 2.1. Il piano ex art. 67,
co. 3, lett. d) e la sua rilevanza. — 2.2. Natura giuridica del piano. Il piano e l’accordo con
i creditori. — 2.3. Il contenuto del piano. — 2.4. I presupposti del piano attestato, oggettivo
e soggettivo. — 2.5. Il problema del piano “liquidatorio” e il piano in caso di società di
capitali con perdite di patrimonio rilevanti. — 2.6. La deliberazione del piano nelle società.
— 2.7. La pubblicità del piano. — 2.8. Distinzione fra piano di risanamento ex art. 67, co.
3, lett. d) e altre fattispecie di “piano di risanamento”. — 3. L’attestazione. — 3.1. L’attestazione. Idoneità e fattibilità. — 3.2. L’attestazione di veridicità dei dati aziendali. — 3.3. Il
professionista attestatore: nomina e indipendenza. Il caso della nuova attestazione. —
4. Perfezionamento ed esecuzione del piano. — 4.1. La gestione interinale e gli accordi di
moratoria. — 4.2. L’individuazione dell’atto esecutivo. — 4.3. La verifica sull’andamento
del piano, gli scostamenti dalle previsioni e la modificazione del piano. — 4.4. L’« uscita »
dal piano attestato. La difficile ripresa, per il debitore, della normalità finanziaria. — 5. Gli
effetti del piano. — 5.1. L’ambito del sindacato ex post. — 5.2. L’esenzione da revocatoria. —
5.3. L’esenzione da responsabilità civile; l’esenzione da responsabilità penale: rinvio. —
5.4. La responsabilità del professionista attestatore.
1.
Il piano di risanamento attestato nel quadro degli strumenti concorsuali.
1.1.
Le soluzioni stragiudiziali e il ruolo del “piano” di soluzione
della crisi.
È noto che le procedure di insolvenza, che costituiscono un tassello
ineliminabile di un efficiente sistema economico e giuridico, hanno costi
alquanto elevati e non sempre danno i migliori risultati in termini di
(*) Il contributo è il frutto di una riflessione comune. Sono, tuttavia, da attribuirsi a
Lorenzo Stanghellini il par. 1; ad Andrea Zorzi i par. 2, 3, 4 e 5. Gli autori ringraziano
Diletta Lenzi e Iacopo Donati per la loro preziosa collaborazione.
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soddisfazione dei creditori. Ciò in quanto, in caso di apertura di una
procedura di insolvenza, il patrimonio del debitore subisce di solito una
perdita di valore, a causa del noto e generale effetto di deprezzamento dei
beni allorché si debba forzatamente venderli mediante procedure giudiziarie. Tale effetto è particolarmente forte quando il valore del patrimonio
dipende dalla continuità dell’impresa e dal connesso valore di avviamento,
che è destinato a diminuire drasticamente, se non a perdersi del tutto,
allorché la crisi del debitore venga resa pubblica (1).
Il differenziale di valori fra ciò che i creditori possono ottenere mediante le procedure di insolvenza e quanto possono ottenere evitando tali
procedure crea lo spazio perché la crisi possa essere risolta mediante atti a
contenuto puramente o prevalentemente negoziale: le parti, infatti, possono accordarsi su una soluzione che, prevedendo azioni e impegni del
debitore e concessioni dei creditori, porti al superamento della crisi ed eviti
la perdita dei valori del patrimonio del debitore. Quando ciò effettivamente accade, la conservazione del valore non va solo a vantaggio delle
parti, ma di tutto il sistema economico. Utilizzando una terminologia
diffusissima, definiremo i tentativi di risolvere la crisi senza l’intervento di
un giudice come “soluzioni stragiudiziali”.
Le soluzioni stragiudiziali consistono in atti giuridici e negozi (vendite
di cespiti, pagamenti, accordi con i creditori per modificare i termini del
debito) posti in essere dal debitore con creditori e/o con terzi, miranti nel
loro complesso all’obiettivo di superare la crisi senza il ricorso a procedure
di insolvenza. Di solito, la natura della crisi richiede, per il suo superamento, non una singola operazione, ma una pluralità di operazioni e di atti
che, fra loro coordinati, possono portare al risultato voluto.
Quando, come di regola, la crisi può essere superata solo grazie a una
pluralità di atti e operazioni che si distendono su un arco temporale futuro,
la sequenza di atti e operazioni da compiere viene inquadrata in un
“piano”, cioè in un programma che, sulla base delle analisi effettuate
dall’imprenditore (di solito con l’aiuto di consulenti), coordina e unifica fra
loro i vari atti in vista del risultato finale. In sostanza, l’imprenditore in crisi
programma una serie di atti che, nel loro insieme, mirano a consentirgli di
recuperare l’equilibrio economico, patrimoniale e finanziario che sono
necessari al corretto svolgimento dell’attività d’impresa e che siano stati
eventualmente compromessi dalla crisi.
Così, ad esempio, l’imprenditore in crisi può predisporre un “piano”,
che preveda (oltre ad azioni a contenuto meramente interno all’impresa,
quali la riduzione dei costi e il miglioramento dell’efficienza produttiva) la
dismissione di immobili non strategici al fine di reperire risorse liquide, la
(1) Per tutti, JORIO, Introduzione, in questo Trattato, I, 84.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
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soddisfazione solo parziale dei maggiori creditori e l’accesso a nuovi finanziamenti (che i creditori/finanziatori accetteranno di concedere solo, appunto, perché ragionevolmente rassicurati dall’imprenditore circa l’idoneità del complessivo piano a valorizzare il suo patrimonio, con vantaggio
degli stessi creditori rispetto all’alternativa dell’apertura di una procedura). Il tutto, appunto, può svolgersi senza che nessun giudice venga
direttamente coinvolto.
Il concetto di piano di soluzione della crisi nasce dalla scienza aziendale, che da tempo ha studiato le soluzioni stragiudiziali (2). Tale concetto,
tuttavia, era privo in passato di valenza normativa. Nel quadro della disciplina delle soluzioni stragiudiziali, introdotta a partire dal 2005 e di cui
diremo più avanti, il “piano” ha invece assunto rilevanza giuridica (3): sono
la sua redazione e la sua rispondenza ai canoni di legge che contribuiscono
a dare meritevolezza ai tentativi di soluzione stragiudiziale.
1.2.
Il ruolo dei “contratti sulla crisi”.
Particolare rilevanza come strumento di soluzione della crisi hanno i
contratti fra il debitore e i creditori che dalla stessa crisi traggono occasione. Si tratta di quei contratti con cui il debitore e i creditori concordano
modalità di soddisfazione del credito diverse da quelle previste dall’originario titolo: ad esempio, scadenze più lunghe, tassi di interesse differenti
(normalmente, ma non necessariamente, inferiori), importi ridotti. Tali
contratti, la cui origine è rintracciabile nel pactum de non petendo e che oggi
si definiscono normalmente “di ristrutturazione del debito”, sono manifestazione dell’autonomia negoziale, che ben consente alle parti di regolare
le modalità di adempimento di preesistenti obbligazioni anche in presenza
di uno stato di crisi o addirittura di insolvenza (4). L’astratta liceità di patti
diretti a rimuovere lo stato di crisi, o anche il più grave stato di insolvenza,
(2) BELCREDI, Le ristrutturazioni stragiudiziali delle aziende in crisi in Italia nei primi anni
’90, in Gli strumenti per la gestione delle crisi finanziarie in Italia: un’analisi economica, a cura di
Caprio, Milano, 1997, 211.
(3) Il “piano” è un importante elemento anche della procedura di concordato preventivo, costituendo la “base” economica sulla quale poggia la proposta del debitore ai
creditori: si veda FABIANI, Per la chiarezza delle idee su proposta, piano e domanda di concordato
preventivo e riflessi sulla fattibilità, in Fallimento, 2011, 172. La sua elaborazione è prescritta
dall’art. 161 co. 2 lett. e).
(4) Il contratto sulla crisi, frutto della volontà di tutti gli aderenti, è uno dei due modi
con cui l’autonomia negoziale si esplica nella materia della crisi d’impresa, l’altro essendo
quello della “deliberazione” che vincola i creditori sulla base di un voto espresso dalla
maggioranza di costoro (come nel concordato): si veda DI MARZIO, ‘Contratto’ e ‘deliberazione’
nella gestione della crisi d’impresa, in Autonomia negoziale e crisi d’impresa, a cura di Di Marzio e
Macario, Milano, 2010, 73 ss. Questa distinzione appare offuscata dopo l’introduzione
dell’art. 182-septies, che vincola gli intermediari finanziari senza una vera “deliberazione”.
530
IL PIANO DI RISANAMENTO
è stata infatti affermata da tempo, dovendo solo essere accertata, in concreto
e nello specifico caso, la loro attitudine a raggiungere lo scopo, che si ha
solo quando, per effetto della ristrutturazione del debito stipulata fra il
debitore e uno o più creditori (non necessariamente tutti), il debitore torna
(o resta) in grado di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni (5).
L’interesse dei creditori a stipulare accordi che ristrutturano il debito
nasce, in sostanza, dal loro interesse a ricevere una soddisfazione maggiore
di quella che otterrebbero attivando i rimedi legali: espropriazione forzata
e, sussistendone i presupposti di legge, istanza di fallimento. Da tale interesse, dal fatto cioè che ogni creditore, prestando un consenso individuale,
modifica i termini del debito a favore del debitore ma al fine egoistico di
avere una soddisfazione maggiore, derivano varie conseguenze: ogni creditore è libero di consentire o meno a una ristrutturazione del debito, e
ogni creditore è libero di concordare termini diversi da quelli degli altri
creditori, non essendovi al di fuori delle procedure giudiziali alcun divieto
di accordare ai creditori, anche se in situazioni simili, trattamenti diversi. Il
fatto che normalmente i principali creditori si coordinino nella trattativa
con il debitore e stabiliscano fra loro una regola di parità di trattamento
non modifica la conclusione: il coordinamento e la par condicio sono infatti
attuati, in questo caso, in via spontanea e non sono il frutto di un obbligo di
legge.
Un creditore è dunque pienamente libero di rifiutarsi di aderire a
pattuizioni identiche a quelle accettate dagli altri, ed è libero di non aderire
affatto alle proposte del debitore, anche qualora esse siano perfettamente
razionali. Ed è per questo che, non potendo contare sul consenso di tutti i
creditori al fine di adottare soluzioni collettivamente efficienti (6), l’ordinamento prevede forme e procedure di limitazione delle facoltà di singoli
creditori, sia vincolandoli alle scelte degli altri (con il concordato preventivo e, se intermediario finanziario, con l’accordo di ristrutturazione speciale di cui all’art. 182-septies l. fall.), sia assoggettando la loro individuale
soddisfazione all’operato degli organi di una procedura collettiva, come
nel fallimento (o nelle procedure amministrative quali l’amministrazione
straordinaria e la liquidazione coatta), che non sono tenuti a rispettare le
volontà di singoli creditori, dovendo solo soddisfarli seguendo le modalità
e le regole della procedura.
Anche in quest’ultimo caso, però, si tratta pur sempre di un procedimento di cui i dissenzienti vincolati vengono informati e al quale sono posti in condizione di partecipare.
(5) Cass. 26 febbraio 1990, n. 1439, in Foro it., 1990, I, 1174; in Giust. civ., 1990, I,
622; in Giur. it., 1990, I, 1, 713, con nota di WEIGMANN.
(6) JACKSON, The Logic and Limits of Bankruptcy Law, Cambridge, MA, 1986.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
1.3.
531
I tentativi di soluzione stragiudiziale: le conseguenze del loro
eventuale insuccesso. Implicazioni in termini di politica del
diritto.
Vari sono i problemi e le questioni posti dai tentativi stragiudiziali di
risolvere la crisi. Il principale fra essi è quello dei danni che possono essere
cagionati dal ritardo nell’attivazione di strumenti giudiziali.
Se il tentativo di soluzione stragiudiziale della crisi ha successo, infatti,
i creditori verranno soddisfatti nella misura originariamente prevista dal
rispettivo titolo o nella misura diversa che eventualmente ciascuno di loro
abbia individualmente concordato con il debitore. Se tuttavia il tentativo di
soluzione stragiudiziale della crisi non ha successo, può accadere che la
procedura di insolvenza (concordato preventivo o fallimento) si apra
avendo ad oggetto un patrimonio che nel frattempo si è depauperato, per
valore e/o consistenza, e comunque risulta modificato.
Se ad esempio, contrariamente alle previsioni, l’impresa ha continuato
a produrre perdite, e il debitore ha concesso garanzie sui suoi beni e ha
usato le risorse che aveva per soddisfare alcuni creditori, i creditori della
procedura che si apre risentiranno del pregiudizio prodotto dall’insuccesso del tentativo di risolvere la crisi in via stragiudiziale. In tale procedura potranno dunque attivarsi i rimedi ordinariamente conseguenti al
compimento di atti che hanno prodotto un danno ai creditori: azioni
revocatorie, azioni di responsabilità contro gli organi del debitore (se
società o altro ente dotato di organi con patrimonio distinto da quello del
debitore) e contro terzi che abbiano cooperato con questi nel cagionare
danno; potranno altresì scattare imputazioni penali per bancarotta semplice o, nei casi più gravi, fraudolenta. A stretto rigore, inoltre, dato che la
revocatoria fallimentare (per effetto di un orientamento non condivisibile
ma che nondimeno appare consolidato) non presuppone il pregiudizio (7),
i terzi possono subire azioni revocatorie anche se l’atto impugnato non ha
cagionato danno al patrimonio del debitore, e addirittura se il ritardo
nell’apertura della procedura non ha aggravato il dissesto.
Ciò comporta che i tentativi di soluzione puramente stragiudiziale
della crisi si svolgono naturalmente all’ombra del pericolo: se hanno successo, i creditori verranno soddisfatti (come detto, nei termini originari o
in quelli eventualmente diversi da ciascuno di essi concordati con il debitore), ma se non hanno successo si aprono scenari particolarmente gravi e
pericolosi per coloro che hanno operato nel tentativo di soluzione non
(7) Cass., S.U., 28 marzo 2006, n. 7028, in Foro it., 2006, I, 1718; Giur. it., 2006, 1627,
Fallimento, 2006, 133. Per una critica, si permette di rinviare a STANGHELLINI, La nuova
revocatoria nel sistema di protezione dei diritti dei creditori, in Riv. dir. comm., 2009, 69 ss.
532
IL PIANO DI RISANAMENTO
andato a buon fine, sia a livello patrimoniale, sia a livello personale (in caso
di imputazioni penali).
Ciò ha l’effetto di rendere complessivamente poco attraenti tali tentativi. Il vantaggio può infatti essere ridotto, e il rischio elevato. In più,
l’eventuale vantaggio può andare ad un soggetto diverso da quello che
subisce il rischio (si pensi al funzionario di una banca che partecipa, per la
stessa, a un tentativo di soluzione stragiudiziale, con il rischio di subire a
titolo personale un’imputazione penale per bancarotta) (8).
La logica conseguenza è che, per evitare di correre il rischio connesso
all’insuccesso di un salvataggio stragiudiziale, anche tentativi suscettibili di
un esito positivo potrebbero non essere intrapresi. Proprio per questo, a
partire dal 2005 il legislatore ha regolato alcune ipotesi di soluzione stragiudiziale della crisi, neutralizzandone, quantomeno in parte, i problemi
evidenziati.
La soluzione della crisi d’impresa, prima di tale intervento, era dunque
stretta in un’alternativa poco attraente infatti:
a) da un lato, le procedure di insolvenza, pur essendo una componente necessaria dell’ordinamento, presentano grandissime difficoltà nella
conservazione dei valori del patrimonio aziendale;
b) dall’altro lato, le soluzioni puramente contrattuali, presentano
gravi rischi nel caso, tutt’altro che remoto, in cui non abbiano successo,
potendo dar luogo ad azioni revocatorie degli atti e dei pagamenti posti in
essere in esecuzione delle stesse e ad azioni di responsabilità e rischi penali
per l’eventuale aggravamento del dissesto prodottosi.
A causa di tali rischi, ben conoscibili ex ante dagli operatori, le stesse
soluzioni contrattuali e di mercato avevano meno possibilità di realizzarsi,
in quanto nessun piano di salvataggio può garantire il successo, e il fantasma del possibile insuccesso scoraggia chi vuole impegnarvisi, anche
quando vi sarebbero le condizioni di fatto per farlo.
Ciò apre la strada a importanti considerazioni di politica del diritto:
benché non sia pensabile che in tutti i casi in cui l’impresa sia in crisi si debba
effettuare un tentativo di salvataggio, è importante che laddove il tentativo
abbia serie, ancorché non certe, possibilità di successo, le parti siano incoraggiate a perseguirlo. Ciò non solo nel loro privato interesse, ma anche
nell’interesse collettivo, dato che la distruzione di ricchezza e di imprese
costituisce una perdita anche per la società civile.
(8) Non si tratta di mera ipotesi, in quanto si sono avuti casi di imputazione e persino
di condanna (spesso riformata nei gradi successivi, ma nondimeno afflittiva medio tempore) di
vari amministratori e funzionari di banche che avevano acconsentito a tentativi stragiudiziali di debitori in crisi poi sfociati in fallimenti.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
1.4.
533
Il diritto delle soluzioni stragiudiziali: i “percorsi stragiudiziali protetti”.
È in questo contesto di progressiva presa di coscienza dell’inattitudine
delle procedure d’insolvenza a disciplinare in modo efficiente, da sole, le
crisi d’impresa, e della necessità di limitare la loro componente sanzionatoria e ripristinatoria, che a partire dal 2005 il nostro diritto fallimentare si
è arricchito di due strumenti del tutto nuovi, costituiti dal piano attestato di
risanamento (art. 67, co. 3, lett. d), l. fall.) e dall’accordo di ristrutturazione
(artt. 182-bis e 67 co. 3, lett. e), l. fall.). Tali strumenti, introdotti con il d.l.
14 marzo 2005, n. 35, sono stati poi perfezionati con vari successivi interventi.
Partendo dalla premessa che, nella materia della crisi d’impresa, l’intervento del giudice dovrebbe essere considerato una sorta di extrema ratio,
si sono così creati dei “percorsi”, che — in presenza di determinati presupposti — mirano a dare certezza e protezione a chi interviene nella soluzione stragiudiziale della crisi d’impresa. Con ciò si è dato vita a tutti gli
effetti a un nuovo settore del diritto fallimentare: è infatti essenziale che,
accanto alle procedure concorsuali che si svolgono dinanzi al giudice,
l’ordinamento preveda anche strumenti che in varie forme consentono alle
parti di risolvere la crisi mediante soluzioni fra di loro concordate (9). Ciò
in quanto, se si seguono forme di mercato, è possibile gestire l’impresa e
conservarne l’avviamento, liquidare i beni con mezzi privatistici che consentano di ottenere prezzi più aderenti all’effettivo valore, trovare forme e
tempi di soddisfazione in grado di rispondere meglio agli interessi di
ciascun creditore, e dunque raggiungere risultati complessivamente migliori.
In quest’ottica, accanto ad un potenziamento della procedura di concordato preventivo, il legislatore del 2005 ha previsto anche strumenti che
incoraggiano la soluzione puramente stragiudiziale della crisi. Li si definiranno qui “percorsi stragiudiziali protetti” di uscita dalla crisi d’impresa.
(9) Si noti che con ciò non si intende affermare che il fallimento è procedura inutile
o dannosa. È infatti necessario che nell’ordinamento sia presente una procedura liquidatoria, come il fallimento, atta a fungere come soluzione di default, volta ad attribuire ai
creditori una soddisfazione in denaro, per tutti i casi in cui non sia possibile risolvere
diversamente la crisi. A ciò si aggiunga che è importante che le procedure di liquidazione
siano efficienti, al fine di garantire ai creditori, in concreto, risultati accettabili. Esse costituiscono infine l’alternativa con cui si confrontano eventuali tentativi del debitore di risolvere
la crisi: qualora non vi fosse alcuno strumento coercitivo (o fosse del tutto inefficiente, come
è l’espropriazione forzata individuale, che colpisce beni singoli e non soddisfa tutti i
creditori), il debitore potrebbe estorcere ai suoi creditori concessioni sostanzialmente illimitate.
534
IL PIANO DI RISANAMENTO
1.5.
Il depotenziamento dell’azione revocatoria. I successivi arricchimenti degli strumenti stragiudiziali.
La tecnica inizialmente prescelta per creare i percorsi stragiudiziali
protetti è stata quella di un ragionato depotenziamento dell’azione revocatoria, alla quale sono stati sottratti “gli atti, i pagamenti e le garanzie” in
esecuzione di un “piano di risanamento” e quelli in esecuzione di un
“accordo di ristrutturazione” (art. 67, co. 3, l. fall., rispettivamente lett. d)
ed e)) (10). In sostanza, anche qualora il tentativo di soluzione stragiudiziale non abbia successo, nel fallimento non saranno esperibili azioni revocatorie nei confronti di ciò che sia stato compiuto nel quadro di tale
tentativo. I due strumenti avevano inizialmente una scarna disciplina, che
per il primo era contenuta nella stessa norma esonerativa (art. 67 co. 3, lett.
d), l. fall.), e per il secondo era contenuta in un apposito e sintetico articolo,
che prevedeva che l’accordo stipulato fra il debitore e un’aliquota qualificata di creditori fosse sottoposto all’omologazione del tribunale (art. 182bis l. fall.).
Sin dalla loro introduzione nel 2005, seppur con modalità lievemente
diverse fra loro, sia il piano di risanamento, sia l’accordo di ristrutturazione contemplano idonei presidi miranti ad assicurare che il tentativo di
soluzione stragiudiziale, lungi dall’essere velleitario, abbia ragionevoli
possibilità di successo. Il principale di tali presidi è la relazione redatta da
un esperto professionalmente qualificato e indipendente dalle parti, nella
quale venga evidenziata una precisa strumentalità fra gli atti da compiere
(nel quadro del piano di risanamento o dell’accordo di ristrutturazione) e
il punto di arrivo: fra gli atti, cioè, e l’uscita dalla crisi, conseguita attraverso il ripristino della solvibilità o comunque attraverso il pagamento di
tutti i creditori nei termini originari o in quelli diversi eventualmente
concordati con alcuni di loro. È solo sulla base del nesso funzionale fra atti
da compiere e uscita/definizione della crisi, debitamente accertato ex ante,
che il sistema accorda il depotenziamento dell’azione revocatoria ex post,
quando cioè — per definizione — lo scenario si è rivelato peggiore di
quanto preventivato: è dunque il lavoro dell’esperto che rende meritevoli
atti che invece, secondo le regole ordinarie, potrebbero non esserlo.
La legge ha così riconosciuto la meritevolezza dei tentativi di ristrutturazione stragiudiziale, purché essi vengano compiuti in buona fede e con
mezzi idonei: a condizione perciò che avvengano in un quadro in cui, da un
lato, il debitore e (quando intervengono) i creditori mirano genuinamente
a consentire che tutti i creditori siano pagati (nei termini da essi individualmente concordati o, per coloro che non partecipano alla ristrutturazione,
(10) Per tutti, BONFATTI, La disciplina delle esenzioni dall’azione revocatoria fallimentare, in
questo Trattato, II, 308.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
535
per intero), e dall’altro interviene un professionista esterno che sotto la
propria responsabilità attesta l’idoneità del tentativo di ristrutturazione sia
in astratto (certificando la coerenza logica fra le premesse del piano e il suo
prospettato punto di arrivo), sia in concreto (verificando l’effettiva attuabilità
del piano, alla luce dei dati aziendali) (11).
Se questa era, in sostanza, la struttura logico-normativa dello strumento del piano di risanamento attestato (art. 67, co. 3, lett. d), l. fall.) e,
previa omologazione da parte del tribunale, dell’accordo di ristrutturazione (art. 182-bis l. fall.), vi è da dire che nel tempo i due strumenti si sono
evoluti, affinandosi e distaccandosi progressivamente fra loro. Infatti:
— fra il 2007 e il 2012, con tre successivi interventi, la disciplina del
piano di risanamento è stata modificata per: chiarire le modalità di nomina
del professionista che redige la relazione sul piano e la sua indipendenza;
meglio individuare l’oggetto della sua relazione; e, aspetto di particolare
importanza, prevedere per gli atti compiuti in esecuzione di un piano di
risanamento un’esenzione da reati di bancarotta semplice e fraudolenta
(per la sola fattispecie della bancarotta c.d. “preferenziale”), di cui agli artt.
216, co. 3, e 217 l. fall. (nuovo art. 217-bis l. fall.) (12);
— fra il 2007 e il 2015, con quattro successivi interventi alcuni dei
quali alquanto profondi, la disciplina dell’accordo di ristrutturazione è
stata modificata al fine di: 1) prevedere una limitazione delle azioni esecutive individuali, sia dopo il deposito dell’accordo risultante dalle trattative
che (a richiesta del debitore) durante le stesse; 2) chiarire i requisiti del
professionista che redige la relazione sull’accordo e l’oggetto della sua
relazione; 3) accordare rango prededucibile ai finanziamenti concessi in
(11) Come si vedrà, il ruolo del professionista appare dunque, in questo contesto,
fondamentale. La stabilizzazione degli atti, infatti, è giustificata solo se essi vengono compiuti nel quadro di un programma che sia:
— astrattamente idoneo a consentire il risanamento dell’impresa (e dunque il ripristino di una condizione di normale esercizio, con il connesso pagamento di tutti i creditori,
salvo eventuali diversi accordi conclusi con loro su base individuale);
— concretamente realizzabile, secondo le circostanze in cui si trova l’impresa. Questo
implica anche una verifica della correttezza dei dati di partenza, oltre che della ragionevolezza delle ipotesi previsionali su cui si basa il piano di risanamento.
La valutazione circa la sussistenza di questi due presupposti da parte del professionista
esterno, e circa la coerenza degli atti indicati dal piano rispetto all’obiettivo del risanamento,
fa scattare il giudizio di meritevolezza degli atti compiuti in esecuzione del piano, giudizio
di meritevolezza che resiste anche nell’eventualità di insuccesso e di fallimento (nel quale gli
atti in questione resteranno dunque inattaccabili).
(12) D.lg. 12 settembre 2007, n. 169, e d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con
modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, nonché, per l’esenzione da bancarotta, d.l. 31
maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla l. 30 luglio 2010, n. 122.
536
IL PIANO DI RISANAMENTO
previsione, durante il procedimento o in esecuzione dell’accordo di ristrutturazione (artt. 182-quater e 182-quinquies l. fall.); 4) prevedere ulteriori
ipotesi di esenzione da revocatoria di specifici atti potenzialmente lesivi
della par condicio (art. 182-quinquies, ult. co., l. fall.); 5) prevedere un
limitato operare della regola di maggioranza per accordi di ristrutturazione cui partecipino intermediari finanziari, secondo il subprocedimento
di cui all’art. 182-septies l. fall.; 6) disporre, anche per gli atti compiuti in
esecuzione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, la medesima esenzione dai reati di bancarotta semplice e fraudolenta “preferenziale” (art.
217-bis l. fall.) (13).
Non è difficile vedere come le modifiche così operate, su cui più avanti
si tornerà in dettaglio, abbiano da un lato aumentato la precisione, l’attrattività e gli effetti esonerativi del piano di risanamento, che concede anche
una limitata ma importante esenzione da persecuzione penale, e dall’altro
abbiano arricchito grandemente la disciplina dell’accordo di ristrutturazione, che oggi, oltre a quanto previsto per il piano di risanamento, consente di creare percorsi complessi e strutturati, articolati su finanziamenti
da ottenere in varie fasi e con particolare protezione accordata al finanziatore, e finanche incentrati su una quasi-procedura concorsuale, quale è
l’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari di cui all’art. 182septies l. fall. A questi strumenti di soluzione della crisi si è infine affiancato,
ancora nel 2015, uno strumento che non costituisce soluzione della crisi ma
ne facilita il raggiungimento mediante altri strumenti, rendendo provvisoriamente vincolante una moratoria concordata con alcuni intermediari
finanziari anche per gli intermediari non aderenti, e consentendo quindi
che la gestione e le trattative si svolgano senza che il debitore sia oggetto di
azioni di recupero del credito da parte degli intermediari finanziari (14).
La disciplina dell’accordo di ristrutturazione e quella della moratoria
non verranno qui esaminate, essendo oggetto di altri contributi a ciò
specificamente dedicati. Nei paragrafi che seguono, pertanto, ci concentreremo sulla disciplina del piano di risanamento di cui all’art. 67, co. 3,
lett. d), l. fall.
(13) Si tratta degli interventi di cui alla nota precedente, cui si aggiunge il d.l. 27
giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2015, n. 132.
(14) Si tratta della moratoria prevista dall’art. 182-septies, co. 5 e 6, l. fall., sulla quale
si veda NOCERA, La convenzione di moratoria nella crisi d’impresa: estensione dell’efficacia e abuso
dell’opposizione, in Dir. fall., 2016, 1090, introdotto dal d.l. 83/2015, di cui alla nota precedente.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
2.
537
Il piano di risanamento attestato nel quadro degli strumenti concorsuali.
2.1.
Il piano ex art. 67, co. 3, lett. d) e la sua rilevanza.
Tra gli strumenti a disposizione dell’imprenditore per godere di maggiore certezza nel tentativo di superare la crisi la legge prevede il “piano di
risanamento” ai sensi dell’art. 67, co. 3, lett. d). Trattandosi di strumento
puramente stragiudiziale e non coercitivo per i creditori, il superamento
della crisi non è la conseguenza di una ristrutturazione dei debiti imposta
ai creditori, ma è conseguenza dell’idoneità del piano, sul piano economico
concreto, a conseguire tale obiettivo.
Il piano di risanamento di cui si tratta, con i suoi importantissimi effetti
“protettivi” di cui si è fatto cenno in precedenza e che saranno esaminati
nel dettaglio (15) si distingue da un comune piano di risanamento di
un’impresa in crisi (spesso definito turnaround plan), per il fatto che esso
possiede determinate caratteristiche previste dalla legge e che alcune di tali
caratteristiche devono essere oggetto dell’attestazione di un professionista
in possesso di specifici requisiti di professionalità e indipendenza (16).
Quando fu originariamente introdotta nel 2005, la disciplina del piano
si esauriva nella previsione di un’esenzione da revocatoria per atti posti in
essere in esecuzione di questo piano di risanamento (17), e non erano
ancora stati assegnati dalla legge quei diversi e numerosi effetti giuridici,
alcuni dei quali di immediata verificazione, dei quali si dirà subito. Già
allora, peraltro, appariva angusta la prospettiva, piuttosto diffusa, volta a
valorizzarne le caratteristiche esclusivamente in relazione a tale sua capacità di esentare da revocatoria (18). Ma la prospettiva secondo cui il piano
di risanamento ex art. 67 l. fall. varrebbe solo ex post, nel caso di suo
insuccesso e di conseguente fallimento dell’imprenditore che l’ha adottato,
(15) V. supra, par. 1, e infra, in particolare il par. 5.
(16) V. infra, par. 3.3.
(17) Il comma 3 dell’art. 67 fu introdotto in sede di sostituzione dell’articolo in
questione con d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito in legge con l. 14 maggio 2005, n. 80; la
lettera d), relativa al piano attestato, fu poi oggetto di ulteriori interventi: il “decreto
correttivo” (d.lg. 12 settembre 2007, n. 169) specificò i requisiti soggettivi del professionista
attestatore; il d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge con modificazioni dalla legge 7
agosto 2012, n. 134, invece, stabilì requisiti di indipendenza del professionista.
(18) NARDECCHIA, Le esenzioni dall’azione revocatoria e il favor per la soluzione negoziale
della crisi d’impresa, in Commentario alla legge fallimentare. Artt. 64-123, diretto da Cavallini,
Milano, 2010, 237-238; MEO, I piani “di risanamento” previsti dall’art. 67, l. fall., in Giur. comm.,
2011, I, 33 ss.; meno nettamente DE MARCHI ALBENGO, GIACOMAZZI, I piani attestati ex art. 67 l.
fall., in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, diretto da Cagnasso, Panzani, Torino, 2016, III,
3180.
538
IL PIANO DI RISANAMENTO
ne sminuisce non solo la funzione (perché, come si è accennato e come
meglio si vedrà, il piano può avere effetti anche al di fuori del fallimento),
ma anche l’impatto sul sistema del diritto dell’insolvenza italiano.
Il primo, fondamentale profilo della disciplina in esame è, infatti, la
conseguenza sistematica e, a un livello metagiuridico, si potrebbe dire la
carica culturale della norma, rivoluzionaria per l’ordinamento italiano. In
dieci anni il diritto fallimentare si è evoluto in maniera rapidissima, al
punto che esso si può dire nel complesso molto avanzato, pur scontando,
ancorché forse meno gravemente di altri settori del diritto, i consueti
problemi italiani legati all’amministrazione della giustizia (19). La disciplina del “piano di risanamento” fu introdotta in un contesto nel quale i
tentativi di risanamento e ristrutturazione erano visti con sospetto ed
erano fatti ad esclusivo rischio e pericolo dei partecipanti (imprenditore,
creditori, terzi contraenti) (20) e in cui si riteneva, con orientamento che
ancora mostra una sua resistenza, che l’unico dovere dell’imprenditore in
crisi fosse quello di portare i libri in tribunale.
La norma che sancisce un’esenzione da revocatoria per gli atti compiuti in esecuzione del piano di risanamento, lungi dall’avere solo un
effetto ex post, sta a significare che sono del tutto leciti, e incoraggiati, i piani
di risanamento (affermazione, questa, che ormai sembra ovvia, ma che
dieci anni fa non lo era affatto). Questi « piani » devono avere un certo
livello qualitativo: senza che la legge si intrattenga sul loro contenuto o
sulla tecnica di redazione (uno dei motivi per i quali furono elaborate delle
Linee guida al riguardo) (21), essa richiede che il piano abbia un determinato, elevato, livello qualitativo, risultato che viene perseguito prevedendo
l’onere di sottoporre il piano al giudizio preventivo di un esperto, che è
chiamato ad « attestare » l’esistenza di alcune caratteristiche fondamentali
del piano. La norma, quindi, oltre a esentare da revocatoria (e, ora, esplicitamente da responsabilità penale), legittima i piani di risanamento e
pretende che essi siano redatti in maniera adeguata, nei termini meglio
specificati dalla legge. La legge fa una sorta di rinvio implicito alle norme
(19) I due problemi principali sono le differenze territoriali nell’interpretazione
della legge (anche processuale), anche in campi in cui sono intervenute decisioni di legittimità, e la circostanza che gli strumenti di impugnazione sono normalmente inutili, perché
l’eventuale riforma dei provvedimenti resi dal tribunale presso cui è incardinata la procedura interviene quando ormai l’insolvenza è irrecuperabile per il decorso del tempo.
(20) V. supra, par. 1; STANGHELLINI, Le crisi di impresa fra diritto ed economia, Bologna,
2007, 303 ss.
(21) CNDCEC, UNIVERSITÀ DI FIRENZE, ASSONIME, Linee guida per il finanziamento alle
imprese in crisi; la 1ª edizione è del 2010, la 2ª del 2015.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
539
tecniche e ai principi che presiedono alla redazione dei piani industriali e
finanziari, alla revisione e alla formulazione di ipotesi previsionali (22).
Se, peraltro, la prospettiva per cui vale il piano dei cui all’art. 67 l. fall.
rileva solo in caso di insuccesso e, in particolare, in caso di fallimento, era
angusta all’indomani dell’introduzione della norma nell’ordinamento,
essa non rispecchia l’attuale dato normativo, in base al quale vi sono diversi
momenti di efficacia immediata — o comunque non subordinata al fallimento — della norma.
In primo luogo, già nel 2010 la legge previde anche una « esenzione »
da responsabilità penale per gli atti compiuti in esecuzione del piano di
risanamento con le caratteristiche di cui all’art. 67, co. 3, lett. d), per mezzo
del nuovo art. 217-bis l. fall., secondo cui i reati di bancarotta semplice e
preferenziale « non si applicano ai pagamenti e alle operazioni compiuti in
esecuzione [...] del piano di cui all’art. 67, terzo comma, lett. d) » (23).
L’introduzione di questa previsione non solo assegna rilevanza giuridica al
piano oltre all’ambito della difesa da azioni revocatorie, per estenderla
all’ambito penale, ma estende questa rilevanza anche al di fuori del fallimento per comprendere casi in cui la persecuzione penale consegue non al
fallimento, ma al concordato preventivo (art. 236, co. 2, l. fall.) e ora
all’accordo di ristrutturazione dei debiti concluso anche ai sensi dell’art.
182-septies l. fall. (art. 236, co. 3, l. fall.). Il piano di risanamento attestato,
dunque, ha rilevanza giuridica, con riguardo all’esenzione da responsabilità penale, anche al di fuori del fallimento.
In realtà, anche prima che fosse introdotto l’art. 217-bis una parte della
dottrina riteneva che la norma potesse valere a esentare da responsabilità
penale (24); mentre, per altro verso, la circostanza che la legge introduca
un regime di favore in ordine alla responsabilità penale induce a ritenere
che lo stesso effetto, per generali motivi di coerenza dell’ordinamento, si
produca anche a livello di responsabilità civile (25). Questa responsabilità,
anche qui, potrebbe essere invocata senza che necessariamente sia intervenuto il fallimento, potendo essere fatta valere anche nel concordato
preventivo o persino senza che l’imprenditore sia acceduto a una procedura concorsuale.
(22) Un ampio catalogo delle norme tecniche in materia di redazione e attestazione
del piano in QUATTROCCHIO, Redazione del piano e dell’attestazione nel concordato preventivo in
continuità. Disclosure e attività di monitoraggio nella fase di esecuzione. Rassegna della best
practice in materia, in Nuovo diritto delle società, 2013, n. 10, 55 ss., ivi a 62-92.
(23) D.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge con l. 30 luglio 2010, n. 122.
(24) Ci si permette di rinviare a ZORZI, Il finanziamento alle imprese in crisi e le soluzioni
stragiudiziali (piani attestati e accordi di ristrutturazione), in Giur. comm., 2009, I, 1236 (ivi
riferimenti).
(25) V. infra, par. 5.3.
540
IL PIANO DI RISANAMENTO
Ancora, la presenza di un piano di risanamento attestato che preveda
(anche) un aumento di capitale con esclusione del diritto d’opzione è una
delle condizioni per accedere all’esenzione dall’obbligo di offerta di acquisto totalitaria per « operazioni dirette al salvataggio di società in crisi » (art.
106, co. 5, lett. a), t.u.f.) (26). L’aumento di capitale deve essere « idoneo a
consentire, anche attraverso una ristrutturazione del debito, il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio
della sua situazione finanziaria » e deve essere posto in esecuzione di un
piano di risanamento che sia reso noto al mercato, attesti l’esistenza di una
situazione di crisi, e la cui « ragionevolezza » sia « certificata » da un professionista ai sensi dell’art. 67, co. 3, lett. d) l. fall. (art. 49, co. 1, lett. b), n.
2), Reg. Consob n. 11971 del 14 maggio 1999 o Reg. Emittenti). Sebbene la
norma usi le espressioni del vecchio testo (idoneità e ragionevolezza, anziché fattibilità), il rinvio è sempre al medesimo strumento, che si conferma
avere effetti rilevanti anche al di fuori del fallimento. Si noti che, in mancanza di attestazione, l’esenzione per salvataggio è ancora possibile, ma
richiede l’adozione di meccanismi di whitewash assembleare (art. 49, co. 1,
lett. b), n. 2), Reg. Emittenti), a conferma della rilevanza immediata del
piano attestato.
Infine, vanno ricordati gli effetti fiscali, anch’essi immediati, legati
all’adozione di un piano di risanamento attestato (27).
La norma dell’art. 67, co. 3, lett. d), dunque, lungi dall’introdurre una
mera esenzione da revocatoria, tratteggia una disciplina dei piani di risanamento adottati dalle imprese in crisi di portata più generale e prevede
importanti effetti del piano non solo per il caso di suo insuccesso non
sfociato nel fallimento (così per la responsabilità civile e per quella penale),
ma anche indipendentemente dal suo esito (così per le esenzioni da OPA e
per gli effetti fiscali).
2.2.
Natura giuridica del piano. Il piano e l’accordo con i creditori.
È comune l’affermazione secondo cui il piano è un atto unilaterale
dell’imprenditore (28). L’affermazione è accettabile solo se sta a significare
che esso non richiede necessariamente un accordo con i creditori, come
invece normalmente accade (29); in questo senso è “unilaterale”. Non
(26) V. POMELLI, Trasferimento e consolidamento del controllo nelle società quotate, Milano,
2014, 632-635.
(27) V. infra, par. 2.7.
(28) MEO, I piani “di risanamento” previsti dall’art. 67, l. fall., cit., 33; STASI, I piani di
risanamento e di ristrutturazione nella legge fallimentare, in Fallimento, 2006, 861 ss., ivi a 861.
(29) In questo senso, in particolare, già FERRO, Il piano attestato di risanamento, in
Fallimento, 2005, 1353 ss., che menziona l’unilateralità del piano al limitato fine di escludere
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
541
sembra, però, che esso sia un atto giuridico in senso stretto, e tanto meno
un negozio. Esso è un programma di attività, un insieme di azioni programmate per il superamento della crisi (30), in maniera non dissimile dai
piani che vengono predisposti nell’ambito dell’attività d’impresa, in modo
più o meno formalizzato (31). Il piano non è il documento nel quale queste
azioni programmate sono graficamente rappresentate per iscritto ma,
appunto, l’insieme delle azioni programmate. Il piano di cui all’art. 67, co.
3, lett. d), dunque, è assunto dalla legge non come un atto, ma come un
fatto giuridico, con la conseguenza che a questo fatto mal si attaglia il
riferimento a una “data certa”, nel senso dell’art. 2704 c.c.: non trattandosi
di atto negoziale (32), la sua anteriorità al fallimento (e, se non si ritiene
ammissibile la ratifica, anche all’atto della cui possibile revocabilità si discute (33)) dovrebbe potere essere data con qualsiasi mezzo, ai sensi dell’art. 2704, co. 2, c.c.
Naturalmente, la sua redazione per iscritto — di fatto necessitata dalla
normale complessità di qualunque piano di risanamento — consentirà
anche di dare data certa al documento nel quale è rappresentato il piano,
fermo restando che, non trattandosi di un contratto o di un atto unilaterale
negoziale, non sarà impedita la prova né delle eventuali “variazioni” al
piano, pur anteriori alla redazione del documento, che non sono in esso
rappresentate, né la successiva modifica del piano in modo da questo non
documentato e in tale seconda versione attestato.
Occorre, peraltro, segnalare, che il disegno di legge delega per la
riforma delle procedure concorsuali (“Rordorf”) (34) indica al legislatore
che sia necessario un accordo con i creditori; sul tema dell’accordo sottostante il piano v. ora
AIELLO, L’accordo di risanamento fondato sul piano attestato: la fattispecie e le prassi negoziali, in Dir.
fall., 2014, I, 315 ss.
(30) V. per es. NIGRO, VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali,
3a ed. Bologna, 2009, 425, che si riferisce al piano come « espressione di un’attività programmatoria ».
(31) GALLETTI, I piani di risanamento e di ristrutturazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006,
1195 ss.
(32) D’altronde, se anche fosse un atto negoziale, si potrebbe fondatamente ritenere
che esso sia una dichiarazione unilaterale non destinata a persona determinata (dal momento che esso è un programma che, al più, è rivolto ai terzi indistinti, possibili destinatari
degli effetti del piano), con la conseguente applicabilità del comma 2 dell’art. 2704 c.c., che
consente in tali casi la prova della data con qualsiasi mezzo: si pone il problema BORDIGA, Il
piano attestato di risanamento ex art. 67, comma 3°, lett. d), l. fall., s.d. [ma 2009], già reperibile
in www.unicatt.it.
(33) V. infra, par. 5.2.
(34) Disegno di legge con Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi
di impresa e dell’insolvenza (Testo risultante dallo stralcio dell’articolo 15 del disegno di
legge n. 3671, deliberato dall’Assemblea il 18 maggio 2016) (Atto Camera n. 3671-bis),
approvato dalla Camera il 1° febbraio 2017 e trasmesso al Senato (Atto Senato n. 2681).
542
IL PIANO DI RISANAMENTO
delegato di « prevedere che il piano attestato abbia forma scritta, data certa
e contenuto analitico » (art. 5, co. 1, lett. e)).
Il piano, come si è accennato sopra, si accompagna normalmente,
anche se non necessariamente, a un accordo con i creditori (35). L’eventualità che il piano sia accompagnato da un tale accordo, d’altronde, è uno
dei principali casi in cui potrebbe venire in questione la responsabilità
penale, prevenuta grazie all’esenzione di cui all’art. 217-bis l. fall. Quando
vi è un accordo con i creditori, non vi è differenza tra il piano di cui all’art.
67, co. 3, lett. d) e quello sul quale è basato l’accordo di ristrutturazione dei
debiti. L’unica differenza è che il piano di risanamento di cui all’art. 67 può
anche essere del tutto unilaterale, nel senso di non richiedere pattuizioni
con terzi, ma solo misure “interne” all’impresa (quelle proprie di un piano
industriale (36), la dismissione di cespiti non strategici). Alcuni casi che
talvolta si menzionano, peraltro, non sono propriamente unilaterali, ma
semplicemente non richiedono negoziazioni con i creditori, ma con altri
soggetti, come i soci: così per esempio la previsione di aumenti di capitale
con rinuncia al diritto d’opzione, rinunce a crediti, prestazione di nuove
garanzie personali. La circostanza che vi sia, o meno, un accordo con i
creditori non cambia però la natura del piano, che rimane un programma
di attività da compiersi, uno dei cui tasselli è l’eventuale accordo con i
creditori (o con uno o più soci, al fine di garantire, per esempio, l’apporto
di risorse); tant’è che, nell’inversa ipotesi dell’accordo di ristrutturazione,
si osserva che, quantunque sia oggetto dell’omologazione l’accordo con i
creditori, comunque vi è un piano del quale è parte l’accordo (37).
Certo è che il piano, ancorché “unilaterale”, interessa i terzi sotto
(35) STANGHELLINI, Le crisi di impresa fra diritto ed economia, Bologna, 2007, 313; v. anche
MACARIO, Insolvenza, crisi d’impresa e autonomia contrattuale. Appunti per una ricostruzione sistematica delle tutele, in Riv. soc., 2008, 142, il quale anzi ritiene che non possa darsi piano senza
accordo con i creditori, soluzione questa eccessiva: se il piano interviene in un momento di
crisi non avanzata è possibile che esso non richieda ai creditori alcun sacrificio; mentre
sottostante all’accordo di ristrutturazione è, altrettanto probabilmente, un piano.
(36) I Principi per la redazione dei piani di risanamento, bozza per la discussione (26
febbraio 2016) prevedono, per esempio, che il piano debba formulare delle ipotesi strategiche: « le ipotesi di base sono riconducibili all’area di mercato, a quella tecnica, a quella
organizzativa e a quella finanziaria. In particolare devono essere esplicitati gli obiettivi, le
strategie e le utilità/criticità corrispondenti ad ogni area strategica aziendale. Con riferimento all’area di mercato, il Piano dovrà descrivere i mercati in cui si intende operare, la
previsione dei volumi di vendita, della quota di mercato (se determinabile), del posizionamento del prodotto. In relazione all’area tecnica saranno descritti il dimensionamento della
capacità produttiva, il livello tecnologico da raggiungere e le conseguenti scelte tecnologiche e di processo. In relazione all’area organizzativa saranno esplicitati gli obiettivi in
termini di fabbisogno quali-quantitativo delle risorse umane, nonché descritte le strategie e
le politiche conseguenti ».
(37) V. per es. BELLUCCI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (prima e dopo il decreto
correttivo n. 169 del 12 settembre 2007), in Riv. dir. comm., 2008, I, 486; VALENSISE, Art. 182-bis,
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
543
diversi profili. Non occorre ritenere che il verbo « appaia », contenuto nella
norma (« appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria ») si riferisca al fatto che il piano deve effettivamente “apparire”
a qualcuno, e segnatamente ai terzi, per giungere a questa conclusione. Vi
sono, infatti, dei destinatari naturali del piano, e alcuni destinatari necessari. Tra i primi, in primo luogo, naturalmente, i creditori dell’imprenditore che sono eventualmente chiamati a delle rinunce per portare l’imprenditore al “risanamento dell’esposizione debitoria” e al “riequilibrio” di
quella finanziaria; in secondo luogo, coloro i quali sono destinatari di atti
compiuti in esecuzione del piano, e che sono esentati da revocatoria in
virtù della loro funzionalità al tentativo di risanamento. Si potrà trattare di
destinatari di atti compiuti dall’imprenditore (nel qual caso potranno essere i creditori medesimi così come di terzi che prima non avevano una
relazione con l’imprenditore, per esempio gli acquirenti dei beni); ma
forse anche di atti compiuti da terzi con terzi in esecuzione del piano, come
si può argomentare secondo una particolare lettura della norma in materia
di garanzie (38). Il piano, quindi, normalmente sarà condiviso con i terzi;
secondo alcuni, anzi, la previa condivisione (e quindi la conoscenza in capo
al terzo interessato dall’atto potenzialmente revocando) sarebbe condizione di operatività dell’esenzione (39).
Vi sono, poi, alcuni destinatari “necessari”: il professionista attestatore
e, se le cose non sono andate per il verso giusto, il giudice; sul punto si
tornerà tra breve (40).
2.3.
Il contenuto del piano.
Il piano con cui l’impresa si ripropone, con o senza l’accordo dei
creditori, di uscire dalla situazione di crisi è un business plan, composto di
una parte industriale e di una parte finanziaria (41).
In quanto business plan, il piano dovrà essere redatto secondo le modain Concordato preventivo e accordi di ristrutturazione, in La legge fallimentare dopo la riforma, a
cura di Nigro, Sandulli, Santoro, Torino, 2011, 2248 ss.
(38) V. infra, par. 5.2.
(39) V. infra, par. 5.2.
(40) V. infra, par. 5.1.
(41) Sul tema v. MANDRIOLI, Presupposti ed effetti dei piani di risanamento, cit., 147 ss.;
Zocca, L’attività del professionista nel concordato preventivo, negli accordi di ristrutturazione e nei
piani di risanamento, in Trattato di diritto delle procedure concorsuali, diretto da Apice, III, Le altre
procedure concorsuali, reati fallimentari, problematiche comunitarie e trasversali, fallimento e fisco,
Torino, 2011, 615 ss., ivi a 655-666; BASCELLI, Le operazioni volte alla “soluzione negoziale” della
crisi d’impresa. Spunti per vecchie e nuove riflessioni alla luce della l. 7 agosto 2012, n. 134, in
Notariato, 2012, 684 ss.
544
IL PIANO DI RISANAMENTO
lità in uso nella prassi, ed entro certi limiti imposte dalla tecnica, per tali
documenti. A causa delle specifiche finalità del piano nella prospettiva
della legge fallimentare, tuttavia, sono richieste delle accortezze, che tengano conto del fatto che il piano incide, o può incidere, sui diritti dei terzi
e che esso è, di fatto, destinato ad essere letto e valutato dai terzi: dal
professionista, in primo luogo; dai terzi controparti di atti revocabili, se e
nella misura in cui siano resi edotti del piano; eventualmente, dal giudice
della revocatoria, o del giudizio di responsabilità, civile o penale.
A distanza di ormai oltre dieci anni dall’introduzione della norma, lo
stato della tecnica si è evoluto in modo straordinario. Non vi sono studi empirici né raccolte significative di piani di risanamento, data anche la difficoltà
di reperimento di tali piani (si ricorderà che solo dal 2012 possono essere
pubblicati nel registro delle imprese, e solo in via facoltativa) (42), ma evidenze aneddotiche mostrano un netto miglioramento della qualità tecnica
dei piani e delle relative attestazioni. Diversi progetti hanno interessato la
materia: dalle Linee guida per il finanziamento alle imprese in crisi (la cui prima
edizione è del 2010, ma ne è circolata una versione provvisoria già dal 2008)
(43), ai Principi di attestazione dei piani di risanamento (2014) (44), fino ai Principi
per la redazione dei piani di risanamento, ancora in bozza (febbraio 2016) (45),
i quali ripercorrono in maniera ancora più dettagliata dei precedenti documenti il processo di elaborazione del piano.
La tecnica di redazione del piano, dunque, ormai riconosce pacificamente che il piano, pur potendo e dovendo essere un documento tecnico,
deve dare adeguato rilievo ai profili metodologici e formali. È interessante
notare come nei già menzionati Principi per la redazione dei piani di risanamento espressamente si affermi che « [i]l Piano ha una significativa rilevanza
non solo per gli estensori ma per molti stakeholders aziendali », tra i quali
si indicano soci, organi di controllo interni e autorità di controllo esterne,
dipendenti, creditori e terzi, clienti, professionista attestatore e autorità
giudiziaria, con la conseguenza, appunto, che il piano — rivolto sia all’interno, « sia verso soggetti esterni, alcuni dei quali possono non aver avuto
ancora alcun rapporto con l’impresa in crisi » — debba essere completo,
comprensibile e chiaro (46).
Venendo, dunque, al contenuto, il piano dovrà in primo luogo analizzare le cause della crisi (e, prima ancora, descrivere l’attività d’impresa) ed
(42) V. però RIVA, Lattestazione dei piani delle aziernde in crisi, Principi e documenti di
riferimento a confronto, Analisi empirica, Milano 2009, 203 ss.
(43) CNDCEC, Università di Firenze, Assonime, Linee guida, cit.
(44) CNDCEC, Principi di attestazione dei piani di risanamento. Documento approvato dal
CNDCEC con delibera del 3 settembre 2014, 2014.
(45) Principi per la redazione dei piani di risanamento, a cura di ANDAF/AIDEA in
collaborazione con APRI e OCRI, bozza per la discussione, 29 febbraio 2016.
(46) Principi per la redazione dei piani di risanamento, cit., par. 1.2.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
545
essere poi articolato in piano industriale, economico e finanziario. Esso dovrà formulare espressamente le ipotesi poste a base dell’analisi (la « strategia
generale di risanamento » nelle parole dei Principi di redazione già richiamati), indicando le fonti informative utilizzate (per esempio, stime, relazioni,
perizie, dati pubblici) e i riferimenti metodologici usati, in modo da consentire un controllo ex post (47): solo quando le ipotesi sono esplicitate con
chiarezza l’attestatore (ed eventualmente il giudice) è in grado di verificarle
e di comprendere appieno la relazione tra le proposte del piano e i risultati
che esso si prefigge e si attende. Lo stesso deve dirsi per le fonti informative:
solo se il professionista può confidare nella loro validità può esprimersi in
ordine alla fattibilità del piano. Trattandosi, inoltre, di impresa già in crisi,
nel piano sarà opportuno tenere conto delle specificità riconnesse a tale
stato, con particolare riguardo ai profili critici (sovente la tensione finanziaria si tramuta anche, per esempio, in problematiche attinenti alla liquidazione del patrimonio o in relazioni industriali non distese).
Non vi è dubbio che, nonostante la legge non lo richieda espressamente, il piano debba affrontare anche i profili economici e industriali, e
non solo quelli patrimoniali e finanziari; al di là della difficoltà pratica di
elaborare piani che non prevedano un ritorno alla redditività dell’attività
d’impresa, si osserva come i profili economici e industriali stiano a monte
del risanamento patrimoniale e finanziario (48). D’altro canto, qualora non
fosse previsto anche il risanamento economico, i ritrovati riequilibrio e
risanamento sarebbero effimeri, perché travolti dall’insostenibilità economica del progetto imprenditoriale.
L’esigenza di poter dare un giudizio di fattibilità al piano richiede che
il piano sia contenuto quanto al suo orizzonte temporale di attuazione.
Piani che prevedono il verificarsi di eventi a distanza di molti anni dalla
loro adozione sono piani crescentemente incerti (49) e sui quali il professionista non potrà esprimere un giudizio positivo di fattibilità. Si ritiene
correttamente, peraltro, che la durata del piano — da contenere in termini
(47) V. GALLETTI, I piani di risanamento e di ristrutturazione, cit., 1210; VERNA, I nuovi
accordi di ristrutturazione, in Ambrosini (a cura di), Le nuove procedure concorsuali. Dalla riforma
“organica” al decreto “correttivo”, Bologna, 2008, 947.
(48) NIGRO, VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese, cit., 425; FABIANI, Diritto fallimentare. Un profilo organico, Bologna, 2011, 723; l’osservazione sul fatto che non sia esplicitamente previsto il risanamento economico è di MANDRIOLI, Presupposti ed effetti dei piani di
risanamento: le finalità dell’istituto, in La disciplina dell’azione revocatoria, a cura di Bonfatti,
Milano, 2005, 144 ss.
(49) L’allungamento dell’orizzonte temporale del piano incrementa l’incertezza. V.
anche GALLETTI, I piani di risanamento e di ristrutturazione, cit., 1197, nonché l’International
Standard on Assurance Engagements 3400. The Examination of Prospective Financial Information,
§§16 e 22.
546
IL PIANO DI RISANAMENTO
che si suggeriscono tra i tre e i cinque anni a seconda delle circostanze (50)
— si riferisca alle misure di ristrutturazione e risanamento previste nel
piano (sia “unilaterali”, come riduzione di costi, dismissioni, ecc., sia quelle
contrattate con i creditori e con i terzi, quali rinunce, riscadenzamenti,
concessione di garanzie, conversione di crediti in capitale, ecc.), non invece
al pagamento di tutte le passività esistenti alla data del piano. È ben
possibile che il piano preveda non solo il continuato pagamento di passività
con piani di ammortamento ultraquinquennali, ma preveda anzi, ed è
eventualità normale, il riscadenzamento a termini più lunghi di parte dei
debiti (51). L’importante è che entro un termine ragionevole l’imprenditore sia ritornato in equilibrio finanziario e, quindi, l’indebitamento, anche
sotto il profilo delle scadenze, sia tornato a livelli fisiologici (52).
Al fine di ridurre l’incertezza che è pur connaturata a qualsiasi piano
proiettato nel futuro, il piano dovrebbe includere delle analisi di sensitività
che consentano di confermare le previsioni del piano anche al variare di
alcuni parametri (53); il piano dovrebbe altresì individuare quali siano i
parametri più rilevanti (che, naturalmente, dipenderanno dalla natura del
piano, dal ramo di attività, dalla struttura dell’attivo e del passivo,
ecc.) (54).
2.4.
I presupposti del piano attestato, oggettivo e soggettivo.
La legge non prevede alcunché con riguardo ai presupposti di accesso
al piano, né quello soggettivo, né quello oggettivo.
Con riguardo al presupposto oggettivo, il dibattito in dottrina si era
inizialmente appuntato sulla domanda se anche gli imprenditori insolventi
potessero accedere al piano, o se questo fosse riservato, al più, alle situazioni di crisi. In realtà, la circostanza che un piano “unilaterale”, adottato in
assenza di un accordo con i più rilevanti creditori, possa essere inadatto a
far emergere la società dall’insolvenza — nei termini dell’art. 67, a risanarne l’esposizione debitoria e a riequilibrarne la situazione finanziaria —
non ha come necessaria implicazione che sia vietata l’adozione di un piano
anche agli imprenditori che si trovino in stato di vera e propria insolvenza,
a condizione che, ovviamente, il piano sia in grado di raggiungere gli
(50) CNDCEC, Università di Firenze, Assonime, Linee guida, cit., 28 ss., Raccomandazione n. 7; Principi per la redazione dei piani di risanamento, cit., par. 4.1.4.
(51) STANGHELLINI, Piano attestato e accordo di ristrutturazione nel sistema riformato, in Il
nuovo diritto delle crisi d’impresa, a cura di Jorio, Milano, 2009, 124.
(52) STANGHELLINI, Piano attestato e accordo di ristrutturazione nel sistema riformato, cit.,
124-125.
(53) CNDCEC, Università di Firenze, Assonime, Linee guida, cit., Raccomandazione n.
8.
(54) CNDCEC, Principi di attestazione, cit., par. 6.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
547
obiettivi statuiti dalla norma; ma si tratta di requisiti del piano, non di
precondizioni (presupposti) perché l’imprenditore possa adottare tale
strumento. L’opinione prevalente in punto di diritto è, quindi, che anche
gli imprenditori insolventi possano ricorrere al piano attestato; salvo formularsi da molte parti dei caveat circa la necessità di ponderare attentamente l’adeguatezza dello strumento rispetto a tale condizione, se non
addirittura escludere che le crisi più gravi possano essere affrontate con
tale strumento (55). Ma, come detto, altro è il presupposto di accesso, altro
è l’efficacia del piano. Anche se, secondo ciò che normalmente accade, sono
solo le crisi di minor gravità ad essere affrontate mediante la redazione di
un piano di risanamento attestato, non si può escludere che, per particolari
circostanze, sia possibile, e anzi opportuno, ricorrere a tale strumento
anche in presenza di una situazione di profonda insolvenza, con contestuali ristrutturazioni dei debiti e manovre finanziarie.
Dal lato opposto dello spettro delle condizioni in cui si può trovare
l’imprenditore per fruire degli effetti protettivi del piano attestato sta il
grado di “difficoltà” in cui versa. È necessario che l’imprenditore sia in
crisi, com’è esplicitamente per gli accordi di ristrutturazione (art. 182-bis,
co. 1°, l. fall.) e per il concordato preventivo (art. 160, co. 1, l. fall.), è
sufficiente un qualche grado di minore difficoltà, o non è necessario neppure questo (56)?
Il testo della norma, che richiede che il piano conduca al risanamento
della condizione debitoria e al riequilibrio di quella finanziaria (con ciò
facendo riferimento tanto al profilo patrimoniale, quanto a quello finanziario), parrebbe postulare che l’imprenditore si trovi in una condizione di
“insanità” debitoria e di “disequilibrio” finanziario quando adotta il piano.
La norma, però, si riferisce espressamente ai risultati attesi del piano, non
alle condizioni dell’imprenditore prima della sua adozione (57); e un’interpretazione che legasse troppo strettamente gli obiettivi del piano con i
suoi presupposti consentirebbe l’accesso allo strumento solo agli imprenditori che si trovino in difficoltà sia patrimoniale, sia finanziaria, risultato
interpretativo che, quantunque probabilmente di modestissimo impatto
pratico (visto che le due condizioni di difficoltà normalmente sono com(55) LOMBARDI, BELTRAMI, I criteri di selezione della procedura più adatta al risanamento di
un’impresa in crisi, in Giur. comm., 2011, I, 717 ss.
(56) Nel piano di risanamento il rischio di comportamenti opportunistici miranti a
rappresentare l’esistenza di uno stato di crisi non esistente è modesto, dal momento che
occorre comunque il consenso di creditori incisi nelle loro ragioni, ma non si può escludere.
In generale per alcune considerazioni sul punto v. GALLETTI, I piani di risanamento, cit., 1198.
(57) Tant’è che, secondo FABIANI, Diritto fallimentare, cit., 719, il discrimine dovrebbe
trarsi nel fatto che il piano dovrebbe interferire sull’esposizione debitoria per essere un
piano attestato, senza che rilevi l’esistenza di uno stato di crisi (opinione, questa, non
condivisibile; v. infra nel testo).
548
IL PIANO DI RISANAMENTO
presenti), se portato alle estreme conseguenze potrebbe escludere l’accesso
allo strumento perfino alle imprese insolventi in senso tecnico (ex art. 5 l.
fall., che adotta una nozione finanziaria di insolvenza), se queste non
fossero anche in difficoltà a livello patrimoniale. D’altro canto, non è
possibile, dato l’uso della congiunzione « e », ritenere necessaria la manifestazione finanziaria della crisi (58); se si dovesse leggere in questo senso
la disposizione, sarebbe necessario postulare che l’imprenditore debba
trovarsi anche in condizioni di crisi patrimoniale.
Occorre, quindi, ricorrere all’individuazione della ratio della norma, che
è quella di offrire protezione ad atti e pagamenti al fine di ottenere il risultato
del risanamento; di offrire protezione e perfino dei vantaggi a chi pone in
essere un’operazione di risanamento (59), sulla base evidentemente della
convinzione che la regolazione privata delle situazioni di difficoltà, crisi o
insolvenza possano essere efficienti e, in particolare, più efficienti delle forme
di regolazione autoritativa che incombono sull’imprenditore e sui suoi creditori per il caso di inazione. Al limitato fine che ci occupa — la determinazione del requisito oggettivo di accesso al piano — è indifferente che si ritenga che il fine perseguito dalla legge sia quello della tutela della continuità
d’impresa (60); ciò che conta, qui, è che si riconosca che la legge offre una
serie di vantaggi “in cambio” di un serio tentativo di risanamento.
Se, dunque, la protezione agli atti compiuti in esecuzione del piano di
risanamento è una “carota” nell’armamentario del legislatore, occorre che
esista una situazione, ancorché non precisamente definita, in presenza
della quale l’imprenditore o i terzi potrebbero essere indotti a prendere
decisioni subottimali (che la legge vuole, appunto, evitare). Occorre quindi
che vi sia quanto meno un rischio di insolvenza più marcato rispetto a
quello che denota ciascuna impresa in qualsiasi circostanza; una situazione
in qualche modo di difficoltà, ancorché prospettica (e indifferentemente
finanziaria ma anche solo patrimoniale), che lasci presagire, sullo sfondo, il
calarsi dell’ombra del diritto dell’insolvenza sulle azioni dell’imprenditore
e dei terzi che interagiscono con l’imprenditore. Se così non fosse, d’altronde, e se invece fosse come auspicato da chi critica la norma per la sua
(58) Così invece MEO, I piani “di risanamento” previsti dall’art. 67, l. fall., cit., 37-39,
criticando la norma.
(59) Dopo l’introduzione dell’art. 217-bis e della previsione dei vantaggi fiscali per il
caso di piano iscritto nel registro delle imprese (v. infra, par. 2.7), non vi è dubbio che vi sia
un vantaggio diretto dell’imprenditore di ricorrere allo strumento del piano attestato, ciò
che poteva essere meno evidente in presenza di una norma il cui unico effetto (esplicito)
fosse quello dell’esenzione da revocatoria, che è di interesse più per i terzi che per l’imprenditore. Sul punto v. anche le considerazioni di AMBROSINI, AIELLO, I piani attestati di
risanamento: questioni interpretative e profili applicativi, in IlCaso.it, 2014, 8-12.
(60) Argomento, questo, usato da chi ritiene che non possa rientrare nella previsione
dell’art. 67, co. 3, lett. d) un piano esclusivamente liquidatorio: v. infra, par. 2.5.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
549
angustia, perché non consentirebbe « quell’area di interventi volti a prevenire la stessa manifestazione finanziaria della crisi » (61), si rischierebbe
di offrire potenziale protezione a qualsiasi tipo di pianificazione aziendale;
portata alle estreme conseguenze, questa lettura consentirebbe di dare una
sorta di protezione totale a qualsiasi atto d’impresa rifondendo in un piano
attestato il bilancio previsionale (budget) annuale di ciascun imprenditore.
Con riguardo al presupposto soggettivo, si tende ad affermare che,
data la collocazione della norma e data la sua finalità esentativa in primo
luogo dalla revocatoria, possono utilizzare lo strumento del piano i soli
imprenditori soggetti a fallimento (o ad altre procedure concorsuali), perché non vi sarebbe interesse a farlo da parte di chi non fosse fallibile.
Secondo alcuni, peraltro, la qualità di imprenditore commerciale fallibile
andrebbe riferita al momento del fallimento, perché questo si pone « come
unico presupposto di efficacia del piano » (62); con la conseguenza inespressa che il piano potrebbe essere adottato anche da un imprenditore
non fallibile che, poi, lo diventi (e anzi fallisca). In questi estremi termini, la
prospettiva della riferibilità dei requisiti soggettivi al fallimento non è
condivisibile, perché nega che il piano possa “vivere” come piano attestato
al di fuori di una procedura concorsuale, cosa che si è già accennato non
essere vera, data la sua efficacia, per esempio, anche ai fini della responsabilità civile e ora anche di quella penale, pur al di fuori di una procedura
concorsuale (così per i reati di bancarotta connessi con l’accordo concluso
ex art. 182-septies, che potrebbe anche involgere imprenditori non fallibili,
come per esempio un imprenditore agricolo che accedesse all’accordo ex
art. 182-bis, e septies, in virtù della norma specifica dell’art. 23, co. 43, d.l. 6
luglio 2011, n. 98, conv. in legge con l. 15 luglio 2011, n. 111). Quello che,
invece, sembra corretto è l’intento di non richiedere, al momento della
redazione del piano, alcuno specifico requisito soggettivo: gli imprenditori
che espongono valori di attività, ricavi o indebitamento al di sotto dei limiti
di cui all’art. 1, co. 2, l. fall., così come gli imprenditori che svolgono attività
agricola ma in modo tale da non essere del tutto certi di poter andare esenti
da fallimento (63) potranno, in via cautelativa, procedere al risanamento
mediante l’adozione di un piano attestato, per l’eventualità che poi, in
effetti, falliscano.
La conclusione circa la carenza di qualsivoglia requisito soggettivo è,
poi, ulteriormente confermata qualora si ritenga che l’esenzione di cui
(61) MEO, I piani “di risanamento” previsti dall’art. 67, l. fall., cit., 37.
(62) FABIANI, Diritto fallimentare, cit., 719-720; e v. supra, par. 2.1, per un critica più
generale a questa prospettiva.
(63) Si pensi al caso, tutt’altro che infrequente, in cui non si agevole verificare se nelle
attività connesse vi sia o meno « utilizzazione prevalente » delle risorse delle attività tipiche,
ai sensi dell’art. 2135 c.c.
550
IL PIANO DI RISANAMENTO
all’art. 67, co. 3, lett. d) l. fall. riguardi non solo l’azione revocatoria fallimentare (ed eventualmente l’azione di inefficacia ex art. 65 l. fall.), ma
anche l’azione revocatoria ordinaria esercitata al di fuori del fallimento
(per quella esercitata dal curatore ex art. 66 si veda invece (64): in tal caso,
infatti, vi sarebbe un interesse dell’imprenditore non soggetto a fallimento
ad adottare il piano anche al di fuori della prospettiva di potenziale,
successivo ingresso nell’area di fallibilità. Pur non essendo facile sostenere
che l’esenzione di cui all’art. 67, co. 3, lett. d) l. fall. operi al di fuori del
fallimento, è vero che la redazione di un piano di risanamento secondo
corretti criteri di tecnica e di legge può incidere sui presupposti della
revocatoria ordinaria di cui all’art. 2901 c.c., sia dal punto di vista dell’eventus damni sia, e soprattutto, dal punto di vista del consilium fraudis, che non
vi è in chi compie atti finalizzati non ad arrecare pregiudizio ai creditori,
ma a soddisfarli tutti.
2.5.
Il problema del piano “liquidatorio” e il piano in caso di
società di capitali con perdite di patrimonio rilevanti.
Il piano deve tendere, dispone la legge, al « risanamento » dell’esposizione debitoria e al « riequilibrio » di quella finanziaria. Dalla lettura della
norma e dalla funzione “premiale” dell’istituto parte della dottrina ha
tratto la conseguenza che non sarebbe ammissibile un piano di risanamento volto alla cessazione dell’attività d’impresa (65).
In senso contrario taluni hanno invece affermato che il piano può
anche prevedere in via principale la dismissione dei cespiti aziendali (66) e
può altresì condurre alla “chiusura dei processi”, una volta valutato che “il
ciclo economico” suggerisce questa decisione (67).
Prima di offrire una soluzione al quesito, occorre però fare chiarezza.
Preliminarmente, è necessario comprendere se la “continuità” cui farebbe
riferimento la norma sia esclusivamente una continuità soggettiva, o diretta (il medesimo imprenditore, risanato e riequilibrato, prosegue l’attività d’impresa), o se sia compresa nella “continuità” anche quella meramente oggettiva, e indiretta, attuata mediante la cessione del complesso
aziendale in funzionamento ai terzi (come molti ritengono per il concordato con continuità aziendale di cui all’art. 186-bis l. fall., a fortiori dopo le
(64) infra, par. 5.2.
(65) FABIANI, Diritto Fallimentare, cit., 721; NIGRO, VATTERMOLI, Diritto della crisi delle
imprese, cit., 426; AMBROSINI, La via italiana alla soluzione privatistica della crisi: i piani di
risanamento, in Studi senesi, 2016, 111-112.
(66) D’ANGELO, I piani attestati ex art. 67, terzo comma, lett. d, l. fall.: luci e ombre a seguito
del decreto “sviluppo”, in Giur. comm., 2014, I, 93-94.
(67) MEO, I piani “di risanamento” previsti dall’art. 67, l. fall., cit., 53.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
551
recenti modifiche che stabiliscono per questa tipologia di concordato
norme agevolative, come la non necessità di una percentuale minima di
soddisfazione e soglie più basse per escludere l’ammissibilità di offerte
concorrenti (68)). Se fosse compresa la continuità oggettiva, allora il tema
perderebbe gran parte della sua importanza, perché la cessione di un
complesso aziendale in funzionamento è una frequentissima modalità liquidatoria (69). Gli autori, tuttavia, che ritengono che il piano attestato
non sia adottabile per condurre alla liquidazione dell’impresa e alla sua
cessazione (soggettiva; sottintendendo, in realtà, la liquidazione della società
o comunque dell’ente diverso dalla persona fisica) basano la loro posizione
proprio sugli scopi del piano (risanamento e riequilibrio), che si potrebbero ottenere solo in caso di continuazione dell’attività (70).
In secondo luogo, non vi è alcun dubbio che il piano di risanamento
possa prevedere operazioni di dismissione; anzi, all’alba del suo ingresso
nell’ordinamento, c’era chi riteneva che potesse solo prevedere operazioni
“unilaterali” come appunto le operazioni di dismissione (71). A maggior
ragione, il piano può prevedere operazioni di dismissione (in realtà: di
vendita) quando, come talvolta accade, tali operazioni sono coerenti con
l’oggetto sociale e sono liquidatorie nel limitato senso della “liquidazione”
di uno o più cespiti (72). Non vi è, quindi, dubbio che una società
immobiliare possa prevedere la “dismissione” di anche quasi tutto l’intero
suo patrimonio immobiliare, atteso che si tratti di attività caratteristica; il
dubbio è se occorra che, alla fine delle dismissioni, l’attività prosegua.
Ma c’è chi si spinge oltre, e ritiene che il risanamento della situazione
debitoria e il riequilibrio di quella finanziaria possano essere attuate
mediante un piano attestato ex art. 67 l. fall. che conduca alla cessazione
dell’attività d’impresa (e, anzi, se l’attività caratteristica fosse in sé antieconomica, sarebbe doveroso prevederne la cessazione). In questo senso si
rileva come l’obiettivo del risanamento è applicabile, mutatis mutandis,
(68) Sul punto v. NIGRO, VATTERMOLI, Art. 186-bis. Concordato con continuità aziendale,
in Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione. Commento per articoli, a cura di Nigro,
Sandulli, Vattermoli, Torino, 2014, 562-563.
(69) In questo senso, per esempio, AMBROSINI, La via italiana alla soluzione privatistica
della crisi, cit., 111-112.
(70) Per es. FERRO, Il piano attestato di risanamento, cit., 1360-1361; PRESTI, Gli accordi di
ristrutturazione dei debiti, in Banca, borsa, tit. cred., 2006, I, 12 ss., 18; STANGHELLINI, Piano
attestato e accordo di ristrutturazione nel sistema riformato, cit., 125-129; MARANO, Le ristrutturazioni dei debiti e la continuazione dell’impresa, in Fallimento, 2006, 101 ss., ivi a 102; NARDECCHIA,
Le esenzioni dall’azione revocatoria e il favor per la soluzione negoziale della crisi d’impresa, cit., 243;
CORSI, I piani attestati, cit., 642; RUBINO, Piano di risanamento e riequilibrio finanziario, in Gestione
delle procedure concorsuali nella crisi d’impresa, Milano, 2016, 34-35.
(71) MANDRIOLI, Presupposti ed effetti dei piani di risanamento, cit., 145.
(72) Questo è lo scenario prefigurato da D’ANGELO, I piani attestati ex art. 67, terzo
comma, lett. d, l.fall.: luci e ombre a seguito del decreto “sviluppo”, cit., 93-94.
552
IL PIANO DI RISANAMENTO
anche alle imprese in liquidazione, che possono tramite il piano essere
condotte a una liquidazione (ordinaria) ordinata e rispettosa dei diritti dei
creditori (73). Si aggiunge, poi, che lo stato di liquidazione, anche formale,
è per le società reso perfettamente compatibile con l’esercizio dell’attività
d’impresa dall’art. 2487, co. 1, lett. c), c.c. e dalle norme (come quella
dell’art. 2490, co. 5, c.c.) che contemplano tale attività. Il secondo argomento, a dire il vero, non è probante, perché escluderebbe quei piani
liquidatori ad esecuzione (pressoché) istantanea di cui fosse componente
un accordo con i creditori, sull’esempio di molti casi di accordi ex art.
182-bis l. fall.: per esempio un piano che preveda la dismissione dei cespiti
aziendali a uno o più contraenti già individuati (e già contrattualmente
vincolati, sotto condizione dell’attestazione), la rinuncia parziale ai crediti
da parte di alcuni creditori e il pagamento dei creditori estranei all’accordo. In questo caso, dopo la redazione del piano e la sua attestazione
non vi è più esercizio di attività d’impresa, ma vi sono solo atti esecutivi (di
tipo liquidatorio) e, se l’impresa è svolta in forma individuale, essa può
dirsi immediatamente cessata; se invece è svolta in forma societaria, tutto
ciò che resterebbe da fare sono gli adempimenti finali che conducono alla
cancellazione della società: redazione e approvazione del bilancio finale,
cancellazione della società dal registro delle imprese.
È, invece, rilevante il primo argomento: ovverosia, che la norma si
riferisce a risanamento e riequilibrio come scopi del piano, senza prevedere che debba continuare l’attività d’impresa. Risanamento e riequilibrio
possono essere perseguiti anche mediante la liquidazione dell’impresa e la
sua conseguente cessazione. « Riequilibrio », nel senso di allineamento
delle scadenze e compatibilità tra flussi di cassa e pagamenti, potrà attuarsi
anche in mancanza di flussi, quando non occorra più fare pagamenti.
(73) GALLETTI, I piani di risanamento e di ristrutturazione, cit., 1209-1210 (pur con
qualche dubbio); D’AMBROSIO, Art. 67, 3° co., lett. d), e), g), in Il nuovo diritto fallimentare.
Commentario, a cura di Jorio e Fabiani, Bologna, 2006, I, 994; SANZO, Il piano di risanamento
attestato, in Giur. it., 2010, 2476; DE MARCHI ALBENGO, GIACOMAZZI, I piani attestati ex art. 67 l.
fall., cit., 3181. Di questi ultimi autori non è però condivisibile l’affermazione circa il fatto
che sarebbe vietato dal principio costituzionale della libertà di iniziativa economica privata
l’imposizione all’imprenditore di « un obbligo di continuazione dell’attività d’impresa » per
desumerne la liceità di un piano esclusivamente liquidatorio: secondo la tesi per cui il piano
non può essere meramente liquidatorio il legislatore non impedirebbe certo la cessazione
dell’attività d’impresa ma si limiterebbe a non riconoscere il beneficio del piano attestato
agli imprenditori che, liberamente, decidessero di cessare l’attività. L’eventuale illegittimità
costituzionale andrebbe, semmai, ricercata in una possibilmente irrazionale disparità di
trattamento rispetto agli altri strumenti di risanamento ma, senza volersi qui addentrare nel
tema, non pare che sussistano i presupposti per imporre al legislatore di prevedere strumenti ugualmente accessibili per tutti gli imprenditori e qualunque sia la finalità prefissata
dal percorso di soluzione della crisi.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
553
Dalla soluzione che si dà al quesito circa la possibilità di prevedere piani
esclusivamente liquidatori, che conducano alla cessazione dell’attività
d’impresa e, nel caso delle società, alla sua liquidazione e cancellazione,
dipende anche la risposta in ordine alla possibilità che una società che
abbia subito una perdita di patrimonio rilevante ex artt. 2447 e 2482-ter
c.c., la quale quindi si trovi in stato di liquidazione ex art. 2484, n. 4, c.c.,
possa redigere un piano attestato ai sensi dell’art. 67, co. 3, lett. d) c.c. La
sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione sussiste, ai sensi dell’art.
182-sexies l. fall. (introdotto nel 2012), solo in caso di deposito di una
domanda di concordato preventivo, di una domanda di omologazione di
un accordo di ristrutturazione o di una proposta di accordo di ristrutturazione, con la conseguente inoperatività della causa di scioglimento derivante dalla perdita del capitale fino all’omologazione del concordato o
dell’accordo.
Nulla è, invece, previsto per il piano attestato (si tratta, anzi, di uno di
quegli “svantaggi competitivi” del piano rispetto all’accordo frutto degli
interventi che, nel 2012, hanno ulteriormente allontanato la disciplina
delle due figure, quelli del 2010 in particolare in materia di finanziamenti)
(74): se questo deve condurre al risanamento nel senso di continuazione
dell’attività d’impresa, sembra necessario che esso preveda interventi sul
capitale (anche, naturalmente, mediante rinunce ai crediti e conseguente
sopravvenienza attiva per la società) che facciano venir meno la causa di
scioglimento. Se, invece, si ritiene ammissibile un piano attestato puramente liquidatorio, allora il piano può prevedere che perduri lo scioglimento per la perdita del capitale.
Ci si può solo domandare se, anche per chi ritenga che il piano non
possa essere liquidatorio, questo possa prevedere che il risanamento del
debito e il riequilibrio finanziario avvengano mediante la continuazione
dell’attività d’impresa perdurando lo stato di liquidazione, e solo dopo il
decorso di un certo tempo si preveda il verificarsi di eventi che possano
consentire la revoca dello stato di liquidazione (che dovrebbe a sua volta
essere prevista dal piano). Parrebbe che alla risposta possa darsi risposta
positiva, all’unica condizione — comune a qualsiasi piano attestato — che
il piano sia fattibile, e si possa quindi formulare la prognosi che, all’esito del
periodo individuato nel piano, sia stata rimossa la causa di liquidazione
(per esempio mediante gli utili prodottisi nel periodo, rinunce dei creditori scaglionate nel tempo o dismissione di cespiti ed emersione delle
relative plusvalenze) e venga deliberata la revoca dello stato di liquidazione.
(74) Per la storia normativa dell’istituto v. supra par. 1.5
554
IL PIANO DI RISANAMENTO
Occorre, infine, escludere che un argomento in favore della tesi restrittiva, che vuole escludere la praticabilità di piani esclusivamente liquidatori, possa trarsi dalla disciplina fiscale: il piano attestato è, infatti, accorpato dall’art. 88, co. 4-ter, TUIR, ai fini del trattamento fiscale delle
sopravvenienze, al concordato « di risanamento », il che potrebbe far propendere per la sua appartenenza agli strumenti non liquidatori, ma anche
all’accordo di ristrutturazione dei debiti che può pacificamente avere contenuto liquidatorio (75).
2.6.
La deliberazione del piano nelle società.
Ci si è interrogati intorno a chi debba approvare ed eventualmente
sottoscrivere il piano di risanamento, da sottoporre al giudizio dell’attestatore, nel caso di imprenditori costituiti in forma societaria.
Per quanto riguarda la sottoscrizione del piano, ci si può domandare se
il problema sia correttamente impostato non solo con riguardo a quei piani
che abbiano alla loro base un accordo con i creditori o con i terzi (e a
maggior ragione per la sottoscrizione di quegli accordi) e che si traducano,
quindi, in piani “contrattuali” (o contrattualizzati) (76), ma anche per i
piani con un contenuto “unilaterale”. Per questi ultimi, infatti, si potrebbe
ritenere sufficiente l’univoca riferibilità alla società — necessaria perché
l’attestatore possa esprimere il suo giudizio —, riferibilità che si potrebbe
ottenere anche con modi diversi rispetto alla sottoscrizione dell’organo
investito della rappresentanza della società. Per esempio, l’estrazione di
copia della deliberazione del consiglio d’amministrazione che avesse approvato il piano è certamente sufficiente a riferire il piano di risanamento
alla società e quindi, ove tale copia fosse consegnata all’attestatore, questi
sarebbe posto in grado di esprimere le sue valutazioni. Per apprezzabile
prassi, peraltro, nell’ambito delle sue verifiche l’attestatore interloquisce
con gli amministratori, con l’effetto, quindi, di confermare la riferibilità del
piano alla società (77).
In ogni caso, quando vi è effettivamente necessità di sottoscrizione,
questa dovrà provenire dall’organo investito della legale rappresentanza
della società, con l’applicabilità delle relative regole di diritto societario (e
(75) Sui profili fiscali v. infra, par. 2.7.
(76) DE MARCHI ALBENGO, GIACOMAZZI, I piani attestati ex art. 67 l. fall., cit., 3188, per
esempio, danno per scontato che il piano debba essere sottoscritto.
(77) I Principi di attestazione dei piani di risanamento, cit., prevedono espressamente un
esame congiunto dei documenti e del piano con amministratori e sindaci: « 3.2. L’esame
della documentazione con amministratori e sindaci. È necessario che gli amministratori
illustrino il piano di risanamento all’Attestatore. Tale confronto è finalizzato ad acquisire
tutte le informazioni necessarie alla comprensione, da parte dell’Attestatore, del piano di
risanamento ».
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
555
quindi, per esempio, con osservanza delle regole in materia di rappresentanza congiuntiva.
Per quanto riguarda, invece, la decisione in ordine all’adozione del
piano, vi è chi in dottrina ritiene analogicamente applicabile al piano
attestato la previsione dell’art. 152 l. fall. (78), opinione non condivisibile
non solo perché il “piano attestato” non è una procedura concorsuale (79),
ma anche perché la sua natura di piano industriale, economico e finanziario ne fa tipica materia del consiglio d’amministrazione e, anzi, dei suoi
organi delegati (80). Si deve anche aggiungere che la stessa applicabilità
analogica dell’art. 152 l. fall. agli accordi di ristrutturazione (81) può essere
revocata in dubbio. Neanche l’accordo è una procedura concorsuale; inoltre, mentre il concordato preventivo è in grado di incidere pesantemente
sulla condizione della società (e quindi merita una speciale formalità deliberativa), così non è per l’accordo (e a maggior ragione per il piano
attestato). Si aggiunga anzi che la razionalità della regola che sottrae ai soci
ogni potere in merito alla decisione sulla presentazione della domanda di
concordato, che già è stata fatta oggetto di critiche con riguardo alla s.r.l.
dato la normalità dell’ingerenza gestoria dei soci (82), e ferme le riserve in
ordine all’esautorazione dei soci quando il piano è di tipo liquidatorio, è
messa ulteriormente in crisi dalla circostanza che il ricorso al concordato è,
ora, in grado di toccare diritti dei soci. Com’è noto, infatti, il d.l. 27 giugno
2015, n. 83, ha consentito la formulazione di proposte concorrenti per
l’attuazione delle quali al commissario giudiziale possono essere dati poteri
“speciali” in grado di superare il dissenso dei soci medesimi e anzi di
adottare atti di competenza dell’assemblea straordinaria (cfr. art. 185, co.
6, l. fall.) (83).
(78) DE MARCHI ALBENGO, GIACOMAZZI, I piani attestati ex art. 67 l. fall., cit., 3188-3189.
(79) NARDECCHIA, Le esenzioni dall’azione revocatoria e il favor per la soluzione negoziale
della crisi d’impresa, cit., 239; AMBROSINI, La via italiana alla soluzione privatistica della crisi, cit.,
110.
(80) Cfr. anche GALLETTI, Art. 161. I requisiti della domanda, in Il nuovo diritto fallimentare. Commentario, diretto da Jorio, Fabiani, Bologna, 2006, II, 2323, a proposito del concordato preventivo.
(81) GUERRERA, Art. 152. Proposta di concordato fallimentare, in Il nuovo diritto fallimentare.
Commentario, diretto da Jorio, Fabiani, Bologna, 2006, II, 2205-2206; VALENSISE, Gli accordi
di ristrutturazione dei debiti nella legge fallimentare, Torino, 2012, 356 (e 203 per la proposta di
accordo), coerentemente alla riconduzione degli accordi alle procedure concorsuali fatta
dall’autore.
(82) GUERRERA, Art. 152. Proposta di concordato fallimentare, cit., 2211.
(83) Sul tema v. D’ATTORRE, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, in Fallimento,
2015, 1163 ss., in part. 1168-1171; BOZZA, Le proposte e le offerte concorrenti, in FallimentieSocietà.it, 2015, 1 ss., in part. 68-75; ABRIANI, Proposte concorrenti, operazioni straordinarie e dovere
della società di adempiere agli obblighi concordatari, in Giust. civ., 2016, 365 ss.; GUERRERA, La
ricapitalizzazione ’’forzosa’’ delle società in crisi: novità, problemi ermeneutici e difficoltà operative, in
556
IL PIANO DI RISANAMENTO
Nulla di tutto ciò accade nel piano di risanamento: i diritti dei soci non
sono toccati senza il consenso dei medesimi (dat con le modalità proprie del
diritto delle società) e certamente la redazione di un piano di risanamento
e la sua attestazione non costituiscono procedura concorsuale. Di conseguenza, non vi è alcuno spazio per l’applicazione, neppure analogica,
dell’art. 152 l. fall.
Per le società di capitali, dunque, rientrerà nella competenza dell’organo amministrativo (per le s.r.l., salve deroghe statutarie) e lo stesso dovrà
dirsi, sempre salve speciali previsioni dell’atto costitutivo, per le società di
persone.
Esclusa l’applicazione dell’art. 152 l. fall., ne discende anche l’inapplicabilità del suo ultimo comma, che impone la verbalizzazione notarile e
l’iscrizione nel registro delle imprese; la quale ultima dovrebbe escludersi
anche per chi ritenesse applicabile la restante parte dell’art. 152 l. fall., sia
perché le iscrizioni nel registro delle imprese sono tassative (84) (argomento peraltro non invincibile, perché, applicandosi l’art. 152 l. fall., si
applicherebbe di conseguenza anche questa previsione), sia soprattutto
perché cozzerebbe con la volontarietà dell’iscrizione del piano nel registro
delle imprese, e ciò indipendentemente da ogni considerazione sulla razionalità di una disposizione che imponga l’iscrizione nel registro delle
imprese di una deliberazione prodromica a un atto che, a sua volta, deve
essere iscritto (e lo sarà di lì a poco) nel registro delle imprese, ovvero il
ricorso per concordato (art. 161, co. 5, l. fall.). In realtà molto probabilmente la norma dell’art. 152 l. fall. non è che un relitto ormai privo di
senso: mentre il suo contenuto era pregnante nel vecchio testo, in cui
assegnava (anzi, trasferiva) all’assemblea straordinaria la competenza deliberativa in ordine al concordato, nel nuovo sistema la competenza degli
amministratori è “fisiologica” e, quanto alla pubblicità, è ora espressamente prevista l’iscrizione del ricorso nel registro delle imprese, ex art. 161,
co. 6, così come modificato nel 2012, mentre la necessità di verbalizzazione
notarile è probabilmente dovuta a un fenomeno di imitazione da fattispecie analoghe di “trasferimento”, per delega o per legge, del potere deliberativo dall’assemblea agli amministratori (cfr. artt. 2443, co. 3; 2410; 2447ter, co. 2 e 2447-quater, co. 1, c.c.).
Dir. fall., 2016, I, 420 ss.; VITALI, Profili di diritto societario delle “proposte concorrenti” nella
“nuova” disciplina del concordato preventivo, in Riv. soc., 2016, 870 ss.
La materia è oggetto della Massima n. 58. Aumento di capitale nel concordato preventivo a
seguito del d.l. n. 83/2015 del Consiglio notarile di Firenze, 2015.
(84) GUERRERA, Art. 152. Proposta di concordato fallimentare, cit., 2206.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
2.7.
557
La pubblicità del piano.
L’intervento del 2012 ha introdotto la facoltà per l’imprenditore di
pubblicare il piano nel registro delle imprese: l’art. 67, co. 3, lett. d), l. fall.
prevede, in fine, che « il piano può essere pubblicato nel registro delle
imprese su richiesta del debitore ».
Presupposto di questa pubblicità parrebbe, preliminarmente, che il
debitore che adotta il piano sia a sua volta soggetto a iscrizione nel registro
delle imprese, eventualmente anche — per chi aderisce all’opinione,
espressa in precedenza (85), secondo cui anche i debitori non fallibili
possono adottare un piano attestato — nelle sezioni speciali, atteso che non
vi sono precisazioni al riguardo. La norma si riferisce alla “pubblicazione”
senza specificare se si tratti di iscrizione o di deposito, con espressione già
usata dal legislatore fallimentare nell’art. 182-bis, co. 2, l. fall., che viene
comunemente interpretato nel senso che si debba procedere all’iscrizione (86) dell’accordo e, secondo l’opinione prevalente e corretta, anche
dell’eventuale piano e della relazione dell’attestatore, se non di tutta la
documentazione richiamata dall’art. 182-bis, co. 1 (87), in considerazione
della necessità di « considera[re] unitariamente » questi documenti (88).
Secondo la giurisprudenza più recente, sempre in materia di accordi ex art.
182-bis, la pubblicazione incompleta impedisce il decorso del termine per
l’opposizione (89). L’osservazione empirica, ancorché per il momento solo
aneddotica, mostra peraltro che la pubblicazione nel registro delle imprese
è tutt’altro che completa: talvolta è pubblicato il solo accordo, talvolta
l’accordo completo di tutti gli allegati, incluso il piano industriale e l’attestazione, in certi casi ancora solo la proposta di accordo, senza l’accettazione dei destinatari (90).
Quando si verte in materia di pubblicazione del piano devono ritenersi
applicabili le medesime considerazioni svolte con riguardo alla necessaria
(85) V. supra, par. 2.4.
(86) V. per es. NARDECCHIA, Art. 182-bis. Accordi di ristrutturazione dei debiti, in Commentario alla legge fallimentare, diretto da Cavallini, Artt. 124-215, Milano, 2010, 814-815.
(87) FRASCAROLI SANTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato delle procedure
concorsuali, diretto da Vassalli, Luiso, Gabrielli, IV, Le altre procedure concorsuali, Torino,
2014, 499; v. VALENSISE, Art. 182-bis, cit., 418-419 per riferimenti sulle diverse opinioni al
riguardo.
(88) FRASCAROLI SANTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 499.
(89) V. Trib. Udine, 19 maggio 2016, in IlCaso.it, Sez. Giurisprudenza, 16225, 2016.
(90) Dati raccolti e in corso di elaborazione nel quadro del progetto di europeo
JUST/2014/JCOO/AG/CIVI 4000007627 Contractualised distress resolution in the shadow of the
law: Effective judicial review and oversight of insolvency and pre-insolvency proceedings, coordinato
dall’Università di Firenze http://www.codire.eu/, in collaborazione con E-Lab (Entrepreneurial Lab) dell’Università degli studi di Bergamo.
558
IL PIANO DI RISANAMENTO
completezza della pubblicazione nel registro delle imprese: insieme al
piano dovrebbero essere pubblicati anche l’attestazione (91) e, quanto
meno nella misura in cui siano essenziali alla comprensione del piano,
anche gli eventuali accordi con i creditori su cui si basa il piano. Il fatto che
si tratti di una pubblicità opzionale non dovrebbe, infatti, incidere sul
contenuto della medesima, ma solo sull’an: una volta eletta la via della
pubblicità, essa dovrebbe essere completa.
La legge fallimentare non menziona specifici vantaggi derivanti dalla
pubblicazione del piano nel registro delle imprese; si può, però, ipotizzare
che il debitore possa essere interessato alla pubblicazione per garantire
maggiore trasparenza al processo di risanamento, quasi fosse un crisma di
particolare « serietà » (92). In realtà, uno — ormai, uno dei pochi —
vantaggi del piano attestato rispetto agli altri strumenti di risanamento è
proprio la possibile riservatezza; non è, quindi, necessariamente sintomo
di “qualità” del piano il fatto che esso sia reso pubblico. Certo è però che,
ove effettuata, la pubblicità ha degli effetti, in particolare nei confronti dei
terzi: per esempio, i terzi che hanno contrattato con il debitore difficilmente potranno dimostrare, nel giudizio di revocatoria, l’ignoranza dello
stato di insolvenza, potendo solo invocare l’esenzione di cui all’art. 67, co.
3, lett. d) (93); mentre la pubblicità potrà essere un elemento ulteriore,
qualora sia contestata al finanziatore la concessione abusiva di credito al
debitore in crisi, volto a escludere che egli abbia potuto ingenerare nei terzi
un affidamento sulla solidità dell’impresa finanziata, dato che la circostanza che vi fosse un piano di risanamento è resa nota al pubblico mediante l’iscrizione (94).
La legge incentiva, peraltro, indirettamente la trasparenza legando la
fruibilità (o: la più facile fruibilità) di una serie di vantaggi fiscali alla
pubblicazione del piano attestato nel registro delle imprese.
Per effetto degli ultimi interventi normativi (d.lg. 14 settembre 2015,
n. 147), la disciplina fiscale del piano attestato, purché pubblicato, è divenuta del tutto omogenea a quella dell’accordo di ristrutturazione nonché,
a seguito del menzionato intervento, anche del concordato “di risanamento”, com’è definito dall’art. 88, co. 4-ter, TUIR (d.P.R. 31 dicembre
1986, n. 302).
(91) Per D’ANGELO, I piani attestati ex art. 67, terzo comma, lett. d, l. fall., cit., 91, la
pubblicità dovrebbe limitarsi al solo piano completo di attestazione, non gli allegati « quali
convenzioni bancarie, accordi su base bilaterale, patti di standstill ».
(92) D’ANGELO, I piani attestati ex art. 67, terzo comma, lett. d, l. fall., cit., 89.
(93) D’ANGELO, I piani attestati ex art. 67, terzo comma, lett. d, l. fall., cit., 90.
(94) D’ANGELO, I piani attestati ex art. 67, terzo comma, lett. d, l. fall., cit., 90.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
559
Il processo di assimilazione tra piano attestato e altri strumenti di
regolazione della crisi è stato progressivo (95).
Dal lato del debitore, l’art. 88 TUIR disciplina l’effetto fiscale della
“sopravvenienza attiva” determinata dalla parziale esdebitazione conseguente alla rinegoziazione con i creditori. In assenza di previsioni specifiche, questa sopravvenienza darebbe luogo a reddito tassabile. Fino al
2012, la « riduzione dei debiti dell’impresa » non era considerata sopravvenienza attiva agli effetti fiscali solo se avvenuta « in sede di concordato
fallimentare o preventivo » (art. 88, co. 4, TUIR nella versione anteriore
al d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge con l. 7 agosto 2012, n. 134).
Nel 2012 (con il d.l. n. 83) furono equiparati al concordato anche l’accordo
di ristrutturazione e il piano attestato, purché « pubblicato nel registro
delle imprese » (nuovo co. 4 dello stesso articolo), ma solo — diversamente
da quanto continuava ad essere previsto per il concordato preventivo —
nella misura in cui la sopravvenienza non eccedesse le perdite pregresse
o di periodo (96). Nel 2015 (d.lg. n. 147 del 2015, già menzionato, con
effetto dal periodo d’imposta decorrente dal 1° gennaio 2016), infine, la
legge mantiene sostanzialmente, con alcune piccole variazioni, la stessa
disciplina per accordo e piano attestato (per cui la riduzione dei debiti non
costituisce sopravvenienza nei limiti delle perdite di periodo) ma accorpa
a questi casi anche quello del « concordato di risanamento » (co. 4-ter del
medesimo art. 88 TUIR, che prende luogo del precedente co. 4), da
intendersi probabilmente come concordato in continuità soggettiva, riservando il vecchio e più favorevole regime al concordato liquidatorio.
Anche dal lato dei creditori la parificazione tra piano di risanamento
attestato (purché pubblicato nel registro delle imprese) e accordo di ristrutturazione è ormai pressoché totale, ma solo dal 2015. Prima del 2012
le perdite su crediti potevano costituire sopravvenienza fiscale solo quando
la perdita derivasse da « elementi certi e precisi » e ciò valeva « in ogni caso
... se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali » (art. 101, co. 5,
TUIR). Il d.l. n. 83/2012 incluse tra gli eventi “certi” per definizione anche
l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione, sempre accanto al concordato preventivo e alle altre procedure concorsuali. Per i creditori il cui
(95) Sul tema v. VERNA, Gli effetti fiscali della rimozione della crisi d’impresa per l’imprenditore e i suoi creditori, in STUDIO VERNA SOCIETÀ PROFESSIONALE, Gestione delle procedure concorsuali
nella crisi d’impresa, Milano, 2016, 540 ss.; per lo stato anteriore v. POLLIO, La variabile
tributaria e previdenziale nel risanamento aziendale, in Il ruolo del professionista nei risanamenti
aziendali, a cura di Fabiani e Guiotto, Torino, 2012, 363 ss., ivi a 390-397.
(96) Sugli interventi del 2012 v. ANDREANI, TUBELLI, Sopravvenienze attive esenti anche
negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Corr. trib., 2012, 2217 ss.; ANDREANI, TUBELLI, Come
cambia la fiscalità della crisi d’impresa con il decreto “crescita”, in Corr. trib., 2012, 2639 ss.;
CONTRINO, Accordi di ristrutturazione del debito e modifiche alla disciplina del reddito d’impresa, in
Corr. trib., 2012, 2690 ss.
560
IL PIANO DI RISANAMENTO
debitore avesse fatto ricorso al piano di risanamento attestato restava,
dunque, solo la via degli « elementi certi e precisi » da cui dovevano risultare le perdite sui crediti, con le conseguenti incertezze in sede di applicazione della norma. Dal 2015 (sempre con effetto dal 1° gennaio 2016),
infine, è considerato senz’altro rilevante ai fini della deducibilità delle
perdite su crediti il fatto che il debitore ricorra a un piano di risanamento
attestato; l’evento di riferimento è la « data di iscrizione nel registro delle
imprese » (per il concordato preventivo l’evento rimane il decreto di ammissione, per l’accordo di ristrutturazione dei debiti il decreto di omologazione) (97).
2.8.
Distinzione fra piano di risanamento ex art. 67 co. 3, lett. d) e
altre fattispecie di “piano di risanamento”.
Si è già notato come il piano di risanamento di cui si discute sia un
piano imprenditoriale di superamento della crisi che, in ragione di alcune
sue caratteristiche che lo rendono meritevole, accorda esenzioni da azioni
revocatorie e da responsabilità a coloro che intervengono nel tentativo.
La genericità del nome utilizzato dal legislatore impone di distinguere
questa figura da altre fattispecie di piano di risanamento, prese in considerazione dalla legge ma ad altri fini. Si tratta:
a) del “piano di risanamento” previsto dagli artt. 69-quater ss. TUB,
di cui tutte le banche devono dotarsi, a livello individuale o di gruppo. Tale
piano deve individuare le misure che la banca intende adottare al fine di
riequilibrare la sua situazione patrimoniale e finanziaria qualora in futuro
essa subisse un significativo deterioramento (98). La fattispecie è dunque
del tutto diversa, dato che il piano in questione è redatto in vista di una crisi
eventuale, dovuta a vari possibili fattori di criticità (liquidità, patrimonio,
reputazione, ecc.), crisi che il piano stesso mira a consentire di identificare
tempestivamente e risolvere qualora si presenti. Il piano deve essere approvato in anticipo dalla autorità di vigilanza competente per la banca
(Banca d’Italia o Banca Centrale Europea). A differenza del piano di
risanamento previsto dall’art. 67, co. 3, lett. d), l. fall., nessun effetto
esonerativo da responsabilità civile o penale è espressamente previsto per
(97) Il d.lg. n. 147/2015 contempla anche, sia nell’art. 88 (sopravvenienze attive), sia
nell’art. 101 (perdite) anche le « procedure estere equivalenti » alle procedure concorsuali.
(98) SCIPIONE, La pianificazione del risanamento e della risoluzione, in L’Unione bancaria
europea, a cura di Chiti e Santoro, Pisa, 2016, 419 ss.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
561
gli atti esecutivi del piano di risanamento bancario (99), né è prevista
un’esenzione da revocatoria (100);
b) del “piano di risanamento” che l’organo amministrativo di una
società a controllo pubblico deve adottare qualora, nell’ambito dei programmi di valutazione del rischio aziendale che la società deve adottare ai
sensi dell’art. 6, co. 3, d.lg. 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia
di società a partecipazione pubblica), emergano « uno o più indicatori di
crisi aziendale ». In tal caso, « l’organo amministrativo della società a controllo pubblico adotta senza indugio i provvedimenti necessari al fine di
prevenire l’aggravamento della crisi, di correggerne gli effetti ed eliminarne le cause, attraverso un idoneo piano di risanamento » (art. 14, co. 2).
La legge non identifica le caratteristiche del piano, e per validi motivi:
innanzitutto perché il “rischio aziendale” che il piano mira a superare può
non essere un rischio di insolvenza (potrebbe ad esempio essere un rischio
di inquinamento, che richiede azioni correttive ma non mina nell’immediato la solvibilità della società), e in secondo luogo perché, anche in caso di
crisi di tipo patrimoniale, economico o finanziario, il piano che deve essere
redatto non necessariamente richiede le formalità e i costi che sono connessi al piano di risanamento previsto dall’art. 67, co. 3, lett. d), l. fall. (101).
3.
L’attestazione.
3.1.
L’attestazione. Idoneità e fattibilità.
L’efficacia esentativa del piano è subordinata alla duplice circostanza
che esso « appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione
debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione
finanziaria » e che un professionista con determinate caratteristiche di
professionalità e indipendenza attesti « la veridicità dei dati aziendali e la
fattibilità del piano ». In precedenza (anteriormente al 2012), la norma si
esprimeva sempre in termini di idoneità del piano al risanamento e al
(99) Anche se tale effetto sembra discendere dai principi, visto che la sua attuazione,
in caso di crisi, può diventare un atto dovuto o addirittura essere oggetto di una richiesta
vincolante dell’autorità di vigilanza: art. 69-noviesdecies TUB.
(100) Entrambi tali effetti sono invece previsti per gli accordi di sostegno finanziario
infragruppo, sia per quanto riguarda la loro conclusione, sia per quanto riguarda la loro
esecuzione: cfr. art. 69-septiesdecies TUB.
(101) Nulla esclude che l’organo amministrativo, valutata la gravità della crisi, ritenga opportuno incanalare le azioni correttive nel solco previsto dalla legge fallimentare (e
dunque avvalendosi degli strumenti ivi disciplinati, fra cui appunto il “piano” previsto
dall’art. 67), ma ciò è l’effetto della scelta di tale organo e non l’attuazione di un obbligo di
legge.
562
IL PIANO DI RISANAMENTO
riequilibrio, e all’esperto era richiesto solo di attestare la sua « ragionevolezza ».
Nei paragrafi precedenti si è dato per scontato che il piano debba essere,
e non solo apparire, idoneo a conseguire il risanamento. Si è attesa questa
sede per ritornare sul significato dell’espressione “apparire” nel contesto
della norma; in precedenza si è riferito che, secondo alcuni, il piano dovrebbe “apparire idoneo” ai terzi, e anzi questa ostensione ai terzi sarebbe
condizione necessaria perché il piano possa avere efficacia di esenzione
(102). Secondo altri — motivo della trattazione in questa sede — poiché la
norma non chiarisce a chi debba apparire idoneo, il verbo si riferisce al punto
di vista dell’attestatore, al quale il piano dovrebbe apparire idoneo (103). Il
vecchio testo della norma si riferiva a « un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia
attestata da un professionista (...) ». Dal fatto che l’attestazione fosse espressamente riferita alla « ragionevolezza », assegnando una particolare pregnanza sia al verbo “apparire”, sia al fatto che tale “apparenza” non fosse
oggetto di attestazione (perché i due piani della “idoneità” e della “ragionevolezza” si trovavano connessi dalla congiunzione “e”), si argomentava in
ordine alla necessità di individuare un destinatario di questo “apparire”, e
si rilevava altresì come la norma non specificasse il momento temporale nel
quale dovesse “apparire” tale idoneità (104).
In realtà, questa interpretazione carica di significati eccessivi la lettera
della norma. « Appaia idoneo » potrebbe essere reso anche con “sembra
idoneo”, nel senso di piano per il quale è possibile formulare un’ipotesi di
idoneità; il piano appare idoneo in generale, al lettore e al pubblico indistinto (105). Poiché si tratta sempre di un piano destinato a svilupparsi nel
futuro, non è possibile affermare con sicurezza che esso “è” idoneo al
risanamento; al massimo si può dire che lo è stato, ex post. L’unico significato attribuibile al verbo apparire in questo contesto è il richiamo alla
necessità di leggere il piano sempre in via prognostica. Il che lascia del tutto
impregiudicata la questione — che non può essere risolta dalla lettera della
legge e permane intatta nonostante la rimozione della congiunzione “e” e
l’assegnazione al professionista del compito di attestare la fattibilità del
piano — in ordine alla possibilità, o meno, per il giudice della revocatoria,
(102) NIGRO, VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese, cit., 177; FABIANI, Diritto fallimentare, cit., 727.
(103) GUERRIERI, Il controllo giudiziale sui piani attestati, in Giur. comm., 2012, I, 387-388
(riferito al vecchio testo della norma).
(104) Sempre GUERRIERI, Il controllo giudiziale sui piani attestati, cit., 387-388.
(105) Per questo tipo di lettura — nel senso che il verbo « appaia » si riferisca,
semplicemente, a un giudizio prognostico — GALLETTI, I piani di risanamento e di ristrutturazione, cit., 1208.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
563
per il giudice penale o ancora per il giudice della causa di responsabilità
civile di rivalutare la idoneità e la fattibilità del piano. Sul punto si tornerà
tra breve (106).
Venendo, dunque, a trattare dell’attestazione, questa è l’atto con cui
un professionista indipendente, sulla base della sua competenza professionale, afferma che il piano predisposto dall’imprenditore è “fattibile”, formulando ossia una prognosi di « fattibilità » del medesimo.
Si discute se l’attestazione sia necessaria e sufficiente, o solo necessaria,
non essendo di per sé sufficiente a garantire le esenzioni di legge; il punto
è connesso con il tema dell’ampiezza del sindacato giudiziario sul piano,
del quale si tratterà, come anticipato, più avanti. Non si dubita, però, che
l’attestazione sia necessaria: è solo grazie ad essa che un piano di risanamento diviene un piano previsto dall’art. 67, co. 3, lett. d), causa di esenzione da revocatoria per gli atti compiuti in base ad esso. Si possono,
peraltro, formulare delle ipotesi più sfumate anche con riguardo a questa
necessità (107).
Il piano deve, dunque, essere « idoneo » a consentire il risanamento
dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della
sua situazione finanziaria, e deve essere fattibile. Il giudizio sul piano,
quindi, è scisso in due componenti: la verifica dell’idoneità del piano al
raggiungimento di uno stato di equilibrio debitorio e finanziario e la
fattibilità del piano stesso.
Il giudizio di idoneità è un giudizio astratto. Il piano è idoneo se,
realizzandosi tutte le previsioni, si raggiungerebbe il risultato indicato
dalla norma.
Il giudizio di fattibilità, invece, è un giudizio in concreto, sulle effettive
possibilità di realizzazione del piano. Nonostante si fossero registrate opinioni divergenti sul punto, si deve ritenere che anche in precedenza,
quando la norma si riferiva alla « ragionevolezza » del piano, il tipo di
valutazione demandata al professionista fosse la medesima di adesso, e la
medesima che si aveva, e tuttora si ha, per l’accordo di ristrutturazione
(attuabilità) e per il concordato preventivo (fattibilità) (108).
Idoneità e fattibilità non necessariamente vanno insieme. Un piano
potrebbe essere idoneo a risollevare le sorti dell’impresa, ma non essere
fattibile, essere irrealizzabile, perché fondato su presupposti impossibili o
difficilissimi a verificarsi. All’opposto, un piano potrebbe essere fattibile
(nel senso che si può pronosticare che si verifichi quanto previsto nel
piano), ma strutturalmente e intrinsecamente inidoneo al risanamento
(106) V. infra, par. 5.1.
(107) V. infra, par. 5.1., circa la possibile “sopravvivenza” di un piano male attestato.
(108) NARDECCHIA, Le esenzioni dall’azione revocatoria e il favor per la soluzione negoziale
della crisi d’impresa, 254-257.
564
IL PIANO DI RISANAMENTO
dell’impresa (così sarebbe, per esempio, un piano che prevedesse flussi di
cassa strutturalmente insufficienti a provvedere al servizio del debito:
anche se i flussi fossero certi e garantiti, il piano non sarebbe idoneo a
condurre al risanamento dell’impresa) (109).
La valutazione di idoneità è compiuta sulle ipotesi formulate nel piano
ed è quindi, appunto, in certo modo astratta. La legge, come si accennava
prima, non prevede espressamente che il professionista debba attestare
l’idoneità del piano; tale giudizio è, però, precondizione per il rilascio
dell’attestazione di fattibilità, atteso che questa deve riguardare un piano
idoneo a condurre al risanamento dei debiti e al riequilibrio finanziario
dell’impresa.
Più complessa e delicata è la valutazione di fattibilità. Che cosa significa
“fattibile”? Curiosamente, i Principi di attestazione più volte richiamati non si
esprimono in ordine al grado di sicurezza che deve essere raggiunto dal
convincimento dell’esperto in ordine alle realizzabilità delle previsioni
formulate nel piano, limitandosi ad affermare che occorre che il professionista esprima un « giudizio positivo sulla fattibilità del piano » (110). Anche
qui, come altrove, la lettera della norma non è sufficiente a rispondere al
quesito. Sulla base della vecchia disciplina, che si esprimeva in termini di
« ragionevolezza » del piano, per esempio, vi era chi sosteneva che un
piano sarebbe stato attestabile come “ragionevole” a condizione che non
fosse inverosimile o irrazionale, « anche se il professionista dovesse ritenere (lievemente) più probabile un suo esito negativo rispetto ad un suo
esito positivo ». Sulla base del medesimo testo, invece, c’era chi riteneva che
l’attestazione della « ragionevolezza » avrebbe implicato « un più alto grado
d’impegno verso i terzi » del professionista, rispetto a quanto gli sarebbe
richiesto nell’asseverare, invece, la sola « attuabilità » dell’accordo (differenza che sarebbe stata giustificata dal vaglio giudiziale cui è successivamente assoggettato l’accordo, e non invece il piano) (111).
Argomentando sulla base del nuovo testo, che si riferisce alla fattibilità,
si potrebbe andare oltre, per assurdo, rispetto al richiedere una mera “non
irrazionale” possibilità che il piano possa avere buon esito: la “fattibilità”
testualmente potrebbe anche essere intesa nel senso di “possibile” (anche
se con minima, a questo punto, probabilità) (112); ma sembra evidente che,
se la legge si limitasse a richiedere al professionista di asseverare che la
(109) STANGHELLINI, Il ruolo dei finanziatori nella crisi d’impresa: nuove regole e opportunità
di mercato, in Fallimento, 2008, 1077.
(110) CNDCEC, Principi di attestazione, cit., par. 8.4.5.
(111) BOGGIO, Gli accordi di salvataggio delle imprese in crisi. Ricostruzione di una disciplina,
Milano, 2007, 77.
(112) Per il BATTAGLIA, Grande dizionario della lingua italiana, Torino, « fattibile » equivale a « [c]he si può fare, attuare, eseguire o esprimere; attuabile, esprimibile », ma anche
« [c]he può avvenire, possibile ».
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
565
realizzazione di quanto enunciato nel piano è meramente possibile, si
svuoterebbe completamente di significato il ruolo dell’attestazione. In
realtà, quindi, al termine « fattibilità » deve darsi un significato in parte
diverso a seconda del contesto. In ordine all’attestazione di fattibilità nel
concordato preventivo, per esempio, la giurisprudenza ritiene per lo più
che, pur essendo riservato ai creditori di valutare la fattibilità economica
del piano di concordato (« intesa come realizzabilità nei fatti del medesimo »), il giudice possa sindacare tale fattibilità « solo nei limiti della verifica della sussistenza o meno di una assoluta, manifesta inettitudine del
piano presentato dal debitore a raggiungere gli obbiettivi prefissati » (113).
In questo caso, tuttavia, al giudizio (sindacabile) del tribunale si aggiunge
quello dei creditori che, se formulato in modo informato diviene insindacabile, salva la verifica comparativa con le alternative praticabili, nei casi in
cui questa è ammessa.
Nel piano attestato, invece, non vi è un momento di verifica del consenso, data non tanto l’“unilateralità” dello strumento, quanto il fatto che
gli effetti negativi potenzialmente patiti dai terzi sono effetti sempre indiretti, giacché il piano non può incidere sui diritti di non consenzienti.
D’altro canto, occorre ricordare che la norma offre protezione da revocatoria e da alcuni reati di bancarotta; si tratta di conseguenze importanti che
richiedono un adeguato contrappeso. La certificazione di un esperto,
dunque, non avrebbe alcun senso se questi potesse limitarsi ad affermare
che vi è la (mera) possibilità (che vi è una possibilità) che il piano conduca al
risultato sperato; occorre che l’attestazione riesca a selezionare solo i piani
meritevoli.
È per questo che deve ritenersi che, quanto meno nel contesto del
piano ex art. 67 l. fall., nell’attestare la fattibilità il professionista afferma, e
si assume la responsabilità di affermare, che è probabile — forse, altamente
probabile — che quanto previsto dal piano si verifichi (114).
L’esito della verifica del professionista è l’attestazione, un giudizio
sintetico circa la fattibilità del piano. Ferme le possibili diverse letture del
grado di efficacia dell’attestazione in caso di riesame ex post, non sembra
revocabile in dubbio la circostanza che l’effetto esonerativo dell’attestazione e il suo effetto sui terzi richiedano in primo luogo che il professionista
motivi espressamente la sua conclusione.
L’attestazione deve esprimere in termini univoci che il professionista è
(113) Cass. 13 marzo 2015, n. 5107, da cui è tratta anche la citazione precedente.
(114) FABIANI, Diritto Fallimentare, cit., 725; VERNA, I nuovi accordi di ristrutturazione, cit.,
947; CECCHERINI, La qualificazione, l’indipendenza e la terzietà del professionista attestatore negli
istituti concorsuali di gestione della crisi d’impresa e le diverse tipologie di relazioni e attestazioni, in
Dir. fall., 2001, 315 (« quando gli obiettivi possono concretamente realizzarsi non in termini
di mera possibilità, ma di probabilità di successo »).
566
IL PIANO DI RISANAMENTO
convinto della fattibilità del piano. Essa, quindi, non può essere condizionata a eventi futuri e incerti, perché verrebbe meno non solo la sua
funzione, ma anche la sua natura di attestazione di fattibilità (115). Un
piano che è fattibile solo se le cose vanno come sperato (se viene venduto
un dato cespite, se si incrementa il fatturato, se vengono ridotti i costi del
personale, ecc.), è forse un piano idoneo, ma è « fattibile » solo se è (altamente) probabile che tali eventi accadano. Il professionista, quindi, nel
rilasciare la sua attestazione, non può prescindere dall’esprimere il suo
informato giudizio sulla probabilità che i fatti indicati nel piano, e che ne
condizionano il successo, abbiano effettivamente luogo.
Perché il professionista rilasci l’attestazione è, quindi, necessario che si
convinca che il piano ha alte probabilità di successo. La legge non può
tollerare tentativi di risanamento che mettano in serio pericolo le ragioni
dei creditori, e tanto meno offrirvi protezione. Se il piano si presenta
incerto e rischioso, si deve escludere che si possa fare un tentativo di
risanamento stragiudiziale; occorrerà quindi verificare se vi siano le condizioni per il risanamento giudiziale (mediante il concordato preventivo),
ma l’esito della verifica potrebbe anche concludersi nel senso che l’impresa
è destinata alla liquidazione (concordataria o fallimentare), senza che possa
individuarsi alcun diritto dell’imprenditore a perseguire il risanamento
della sua impresa in via stragiudiziale.
La necessità che il professionista si convinca che il piano ha alte probabilità di successo non sembra impedire, peraltro, che il rilascio dell’attestazione possa essere subordinato alla condizione sospensiva del verificarsi
di un evento prossimo: è il caso, tipicamente, della convenzione bancaria
che, se conclusa entro un certo termine, rende il piano fattibile. In tal caso,
essenzialmente, il professionista non si assume la responsabilità della probabilità del verificarsi dell’evento dedotto come condizione (nell’esempio,
la sottoscrizione della convenzione di ristrutturazione): ciò è da considerarsi legittimo, ma deve essere chiaro che, in tal caso, il piano non sarà un
« piano attestato » con efficacia esonerativa fino a quando non si verificherà
l’evento (116).
(115) Concordano sulla necessità che l’esperto non debba esprimere « dubbi o riserve » ARATO, Fallimento: le nuove norme introdotte con la l. 80/2005, in Dir. fall., 2006, I, 177;
FERRO, Il piano attestato di risanamento, cit., 1368; DONATO, Revocatorie delle rimesse bancarie ed
esenzioni dalla revocatoria a fronte di piani di risanamento: profili tecnico-aziendalistici, in Dir. fall.,
2006, I, 392 (un giudizio « non ambiguo »).
(116) Si deve peraltro osservare che il termine entro il quale deve verificarsi la
condizione iniziale — nell’esempio del testo, la stipulazione della convenzione bancaria —
dovrà essere prossimo e, soprattutto, dovrà essere (eventualmente implicitamente, ma
possibilmente, per chiarezza, in modo esplicito) indicato nell’attestazione: con il trascorrere
del tempo, infatti, possono mutare le condizioni in presenza e sul presupposto delle quali è
stato redatto il piano (le assumptions) e, di conseguenza, rilasciata l’attestazione quantunque
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
567
Questa soluzione ha il pregio di non inquinare il giudizio di ragionevolezza con la ponderazione delle probabilità che un evento insostituibile
ed essenziale per la riuscita del piano si verifichi, e senza il quale il piano
non ha senso (117).
Si ipotizzi, per esempio, un piano che abbia l’80% di probabilità di
realizzazione (e sia quindi da ritenere in sé « ragionevole »), mentre la
convenzione bancaria che ad esso si accompagna abbia, a sua volta, una
probabilità di essere conclusa del solo 50%, a causa di alcuni profili problematici che si spera, ma si dubita fortemente, di riuscire a superare. Un
piano soggetto a questa duplice alea avrebbe solo il 40% (80% x 50%) delle
probabilità di andare a buon fine, e non sarebbe più fattibile, secondo il
significato che si è ritenuto di attribuire a tale espressione (quanto meno,
“probabilità”). Ove, però, si condizioni l’efficacia iniziale dell’attestazione
alla conclusione della convenzione bancaria, dal momento dell’avveramento della condizione — facilmente constatabile e condizione essenziale
per dare corso al piano — le probabilità tornerebbero all’80% e il piano
sarebbe quindi fattibile nel senso dianzi indicato. Ovviamente, nessuna
protezione può scattare fino al verificarsi della condizione sospensiva.
La previsione della convenzione come condizione di efficacia iniziale
del piano consentirebbe anche di interrompere quella spirale perversa fra
mancata attestazione e mancata firma della convenzione che talvolta si
instaura, in specie nel caso in cui l’imprenditore si trovi a contrattare con
più banche contemporaneamente: le banche non firmano la convenzione
se non vi è l’attestazione, ma il professionista non è in grado di rilasciarla se
non essa non è firmata. Ponendo quest’ultima come evento condizionante
iniziale, si rende possibile avviare il percorso di risanamento.
3.2.
L’attestazione di veridicità dei dati aziendali.
La valutazione di fattibilità richiede un’analisi su due livelli. Il professionista dovrà convincersi del fatto che le previsioni relative al contesto in
cui opererà l’impresa sono ragionevoli. L’esperto deve prefigurare degli
scenari e attestare se, secondo i dati di esperienza e tenendo conto di tutte
le circostanze del caso, tali scenari abbiano una — si è detto nel paragrafo
precedente — elevata probabilità di verificarsi. Al professionista sono, da
condizionata. Sul punto v. anche D’ANGELO, I piani attestati ex art. 67, terzo comma, lett. d, l.
fall., cit., 92.
(117) BORDIGA, Il piano attestato di risanamento ex art. 67, comma 3°, lett. d), l. fall, cit., 8,
infatti, per risolvere questo problema ritiene che il professionista debba verificare la « appetibilità del piano ex parte creditoris », per poter affermare con alta probabilità che sarà
sottoscritto. Questo sembra introdurre una valutazione ulteriore che, come spiegato nel
testo, pare molto ardua e comunque non necessaria.
568
IL PIANO DI RISANAMENTO
questo punto di vista, demandate verifiche di carattere generale, che sarebbero applicabili anche al di là dei confini della singola impresa; per
esempio, un piano che si basasse su uno scenario di prezzo costante di una
materia prima essenziale all’impresa sarebbe fattibile solo se quella previsione avesse elevate probabilità di avverarsi.
Il piano deve, però, basarsi su dati attendibili. La legge prevede ora
espressamente (nel testo dell’art. 67, co. 3, lett. d), successivo al d.l. n.
83/2012) che il professionista debba attestare, oltre alla fattibilità del piano,
anche la « veridicità » dei « dati aziendali »; in precedenza si riteneva,
invece, che la verifica dell’attendibilità dei dati contabili fosse necessaria
solo in funzione dell’attestazione di quella che era allora la « ragionevolezza » del piano di risanamento (118); se non vi fosse stata verifica dell’attendibilità dei dati aziendali, infatti, non sarebbe stato possibile un giudizio
di concreta ragionevolezza del piano.
L’introduzione di un espresso obbligo di attestare la « veridicità » dei
dati aziendali, ormai testualmente identico a quello che fa carico all’attestatore nel concordato preventivo (art. 161, co. 3, l. fall.) e nell’accordo di
ristrutturazione (art. 182-bis, co. 1, l. fall.), consentono di rinviare anche
alle ampie discussioni svolte in sede di trattazione della materia (119). È il
caso, qui, solo di ricordare come vi sia ormai una certa concordia di
opinioni, suffragata da diversi strumenti di auto-regolamentazione come
le Linee guida per il finanziamento alle imprese in crisi (120) e i Principi di
attestazione dei piani di risanamento (121), nel senso che l’attestazione di
veridicità non possa comportare l’obbligo di una completa, nuova revisione dei dati aziendali, potendosi riferire anche all’operato di terzi (tipicamente, il revisore), a condizione che l’attestatore verifichi e si convinca
dell’affidabilità (adeguatezza) dei sistemi di rilevazione (122); che le verifiche dell’attestatore possono essere effettuate a campione (ma debbano
(118) PRESTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 34-35; VERNA, I nuovi accordi di
ristrutturazione, cit., 947-948; AMBROSINI, Art. 182-bis, in Il nuovo diritto fallimentare. Commentario, diretto da Jorio e coordinato da Fabiani, Bologna, 2007, II, 2548-2549; LO CASCIO, Il
concordato preventivo, Milano, 20087, 907; STASI, I piani di risanamento e di ristrutturazione, cit.,
866; BONFATTI, CENSONI, La riforma dell’azione revocatoria fallimentare, del concordato preventivo
e degli accordi di ristrutturazione, Padova, 2006, 273; BORDIGA, Il piano attestato di risanamento ex
art. 67, comma 3°, lett. d), l. fall., cit., 8.
(119) V. per es. AMBROSINI, Il concordato preventivo, in Trattato delle procedure concorsuali,
diretto da Vassalli, Luiso, Gabrielli, IV, Le altre procedure concorsuali, Torino, 2014, 149-153.
(120) CNDCEC, UNIVERSITÀ DI FIRENZE, ASSONIME, Linee guida, cit., 33 e Raccomandazione n. 11.
(121) CNDCEC, Principi di attestazione dei piani di risanamento, par. 4, 24 ss.
(122) MANZONETTO, Il ruolo del professionista, in Il nuovo diritto fallimentare. Commentario,
diretto da Jorio e Fabiani, Bologna, 2007, 2338-2339; ZANICHELLI, La responsabilità civile del
professionista e dell’attestatore, in Il ruolo del professionista nei risanamenti aziendali, a cura di
Fabiani e Guiotto, Torino, 2012, 423 ss., ivi a 429.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
569
esserlo), con un campione significativo (123); e che deve essere prestata
particolare attenzione agli elementi del piano che presentino profili di
anomalia o che siano particolarmente rilevanti sul piano quantitativo (124).
3.3.
Il professionista attestatore: nomina e indipendenza. Il caso
della nuova attestazione.
La nomina dell’attestatore spetta, come dice ormai espressamente la
norma, al debitore (« un professionista indipendente designato dal debitore »). La formulazione attuale risale alle modifiche del 2012 e consiste
nella codificazione di alcuni orientamenti al riguardo, e in particolare di
quello delle Linee guida per il finanziamento alle imprese in crisi già ricordate
con riguardo alla necessità della sua indipendenza.
In precedenza, la norma non prevedeva alcunché per la designazione.
L’art. 67, co. 3, lett. d) faceva rinvio all’art. 2501-bis c.c. in materia di
attestazione della « ragionevolezza » delle indicazioni previste nel progetto
di fusione; quest’ultima norma richiamava a sua volta all’art. 2501-sexies
c.c., che prevede alcuni requisiti soggettivi per la nomina dell’esperto e
che, nel caso in cui sia coinvolta nella fusione una società azionaria, la
designazione debba avvenire ad opera del tribunale. Di qui, si formò un
indirizzo secondo il quale anche per il professionista di cui all’art. 67, co. 3,
lett. d) la nomina dovesse provenire dal tribunale, anziché dal debitore (125). Già per effetto del decreto “correttivo” (d.lg. 12 settembre 2007,
n. 169), che previde espressamente una serie di requisiti di professionalità
per l’esperto, si poteva dubitare che il rinvio all’art. 2501-sexies c.c. potesse
riguardare anche le modalità di nomina, e non solo il contenuto sostanziale
del giudizio di ragionevolezza (126). In realtà non aveva alcun senso
differenziare le modalità di nomina a seconda del tipo di società debitrice,
atteso che gli interessi protetti dallo strumento dell’attestazione non sono
in alcun modo dipendenti da questo profilo, riguardando, invece, i creditori sociali e i terzi che entrano in contatto con l’imprenditore, indipendentemente dalla sua forma.
Chi favoriva la nomina giudiziale, tuttavia, toccava un punto molto im(123) AMBROSINI, Il concordato preventivo, cit., 149-15.
(124) ZANICHELLI, La responsabilità civile del professionista e dell’attestatore, cit., 429.
(125) Per ampi riferimenti v. BOGGIO, Piani di risanamento attestati: la scelta del professionista tra autonomia privata e « aiuto » giudiziale, in Dir. fall., 2010, II, 125 ss.; riferimenti
anche in CECCHERINI, La qualificazione, l’indipendenza e la terzietà del professionista attestatore, cit.
in Dir. fall., 2011, 306-307.
(126) NARDECCHIA, Le esenzioni dall’azione revocatoria e il favor per la soluzione negoziale
della crisi d’impresa, cit., 253.
570
IL PIANO DI RISANAMENTO
portante, ovverosia quello della necessità che l’attestatore fosse indipendente dal debitore e dalle altre persone coinvolte nell’operazione di risanamento, dai creditori ai destinatari degli atti che sarebbero stati potenzialmente revocabili. La norma, nella sua versione originaria, non menzionava
alcun requisito di indipendenza e anche il rinvio all’art. 28, co. 1, lett. a) e b),
l. fall. relativamente alla qualificazione soggettiva, quand’anche avesse incluso implicitamente anche il comma 2 dello stesso articolo (che esclude dalla
nomina a curatore i parenti e affini, i creditori, « chi ha concorso al dissesto
dell’impresa » e chi si trovi in conflitto d’interesse) (127) — sarebbe stato
insufficiente a ricomprendere tutte le situazioni in cui il professionista fosse
legato in qualche modo al debitore o ad altri partecipanti al piano. Secondo
alcuni, anzi, sarebbe stato opportuno prevedere la nomina giudiziale, in
considerazione del fatto che la protezione da revocatoria sarebbe derivata
dalla sola attestazione e sarebbe stato, dunque, opportuno affidare la valutazione del piano a persona nominata da sarebbe stato « chiamato poi ... a
giudicare ex post dell’idoneità del piano medesimo » (128). Altri, invece, osservavano che la nomina giudiziale non è garanzia né di competenza, né di
imparzialità, e che la previsione della nomina giudiziale avrebbe impedito il
formarsi di una categoria di professionisti riconosciuti per la loro reputazione nella comunità imprenditoriale e dei creditori professionale (129); categoria che, invece, sia pur sulla base di prove aneddotiche, sembra davvero
essersi formata.
Ritornando, dunque, alla questione dell’indipendenza del professionista attestatore, in mancanza di espresse previsioni normative la giurisprudenza e significative voci dottrinali escludevano che vi fosse un obbligo
in tal senso: si osservava che « formalmente nulla esclude che l’attestatore
sia un consulente dell’entourage dell’imprenditore », pur notandosi che vi
(127) Chiamata a interpretare l’art. 161, co. 2, l. fall., nella sua versione successiva al
“correttivo” (d.lg. n. 169/2007), che rinvia all’art. 67, co. 3, lett. d) per le qualificazioni
soggettive del professionista che redige la relazione che accompagna la domanda di concordato (mentre in precedenza la norma rinviava all’art. 28 l. fall. nella sua interezza), la
Corte di cassazione (Cass., 4 febbraio 2009, n. 2706), escluse che si potesse ricomprendere
nel rinvio all’art. 28, co. 1, lett. a) e b) anche il comma 2. Di conseguenza, pur affermando
la necessaria « terzietà » dell’esperto, la Corte, con procedimento ermeneutico molto formale, inferì un indebolimento dei requisiti d’indipendenza dell’esperto dalla sostituzione
dell’originario rinvio alle qualificazioni dell’art. 28 l. fall.
(128) NARDECCHIA, Le esenzioni dall’azione revocatoria e il favor per la soluzione negoziale
della crisi d’impresa, cit., 254; DIMUNDO, Note minime in tema di designazione dell’esperto: ragionevolezza del piano di risanamento, in Fallimento, 2009, 77 ss., per ampi riferimenti e una
ricostruzione dei percorsi argomentativi delle due tesi della nomina giudiziale e della
nomina ad opera dell’imprenditore.
(129) ZORZI, Il finanziamento alle imprese in crisi e le soluzioni stragiudiziali (piani attestati e
accordi di ristrutturazione), cit., 1264; v. anche PATTI, Quale professionista per le nuove soluzioni
delle crisi di impresa: alternative al fallimento, in Fallimento, 2008, 1067 ss.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
571
era un effetto reputazionale positivo nello sceglierlo indipendente (130); o
che « abbia prestato in favore dell’imprenditore indirettamente o direttamente la propria attività in altri contesti e per altre finalità », a condizione
che non avesse interesse nel piano di risanamento (131). Vi era invece chi
sosteneva che, anche se non prevista dalla legge, l’indipendenza fosse
connaturata alla funzione stessa del professionista (132); tale soluzione era
perorata anche dalla prima edizione delle Linee guida per il finanziamento alle
imprese in crisi (133).
L’attuale formulazione della norma prevede espressamente che il professionista debba essere indipendente « dall’impresa » e « da coloro che
hanno interesse all’operazione » ai quali il professionista non deve essere
legato « da rapporti di natura personale o professionale tale da comprometterne l’indipendenza di giudizio ». L’indipendenza, dunque, si misura
dall’imprenditore e dalla vasta categoria di « coloro che hanno interesse
all’operazione », che ricomprende senz’altro, quanto meno, i creditori e i
destinatari di atti che vengono “protetti” dall’adozione del piano attestato,
quindi — per esempio — gli acquirenti di beni che sarebbero altrimenti
soggetti al rischio revocatorio; ma potrebbe includere anche i componenti
degli organi amministrativi e di controllo della società debitrice o anche di
una società creditrice, qualora il piano abbia l’effetto di rimuovere l’insolvenza e mettere, così, al riparo da possibili responsabilità civili e penali tali
persone fisiche.
La struttura della norma prevede una regola generale di indipendenza
(l’assenza di legami con l’impresa o con i soggetti menzionati sopra, tali da
compromettere « l’indipendenza di giudizio » dell’attestatore) e alcune
regole specifiche. Queste ultime derivano da un rinvio alla disciplina dell’indipendenza dei sindaci, ex art. 2399 c.c. e da una norma ad hoc che
dispone che il professionista « non deve avere prestato negli ultimi cinque
anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore
ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo », e ciò
anche « per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale ». La limitazione della norma parrebbe riferirsi agli ultimi cinque
anni solo con riguardo all’attività professionale prestata, mentre l’essere
stato amministratore o sindaco sembra mantenere la sua rilevanza sine die.
In base alle norme specifiche (rinvio all’art. 2399 c.c. e art. 67, co. 3,
lett. d), ultima parte, l.fall. (vi è peraltro qualche marginale difetto di
(130) FABIANI, Diritto fallimentare, cit., 725.
(131) MEO, I piani “di risanamento” previsti dall’art. 67, l. fall., cit., 56.
(132) STANGHELLINI, Piano attestato e accordo di ristrutturazione nel sistema riformato, cit,
124; RIVA, L’attestazione dei piani delle aziende in crisi, cit., 258 ss., ivi a 263.
(133) CNDCEC, UNIVERSITÀ DI FIRENZE, ASSONIME, Linee guida, cit., 2010, 13, Raccomandazione n. 2.
572
IL PIANO DI RISANAMENTO
coordinamento, perché la lett. c) dell’art. 2399 c.c. si sovrappone in parte
all’art. 67), dunque, non può assumere l’incarico chi:
a) sia o sia stato amministratore della società, o sia unito in associazione professionale con chi lo sia o sia stato (art. 67, co. 3, lett. d), ultima
parte); sia coniuge, parente o affine entro il quarto grado degli amministratori della società (art. 2399, lett. b); sia amministratore, parente o affine
degli amministratori di società del gruppo (art. 2399, lett. b)). Si noti che
per gli ex amministratori di società del gruppo, per i parenti e affini degli
amministratori ed ex amministratori e per i compagni di studio degli
amministratori di società del gruppo o parenti o affini di amministratori
occorrerà, invece, fare ricorso alla clausola generale dell’assenza di legami
tali da compromettere l’indipendenza di giudizio dell’attestatore;
b) sia o sia stato sindaco della società, o sia unito in associazione
professionale con chi lo sia o sia stato (art. 67, co. 3, lett. d), ultima parte);
c) sia o sia stato negli ultimi cinque anni, o sia unito in associazione
professionale (senza alcuna verifica di rilevanza) con chi lo sia o sia stato,
dipendente, consulente o prestatore d’opera (anche occasionale; la norma
specifica è più severa dell’art. 2399, lett. c), c.c., perché si riferisce a chi
abbia prestato « attività di lavoro ... autonomo ») del debitore (art. 67, co. 3,
lett. d), ultima parte);
d) sia, o sia unito in associazione professionale (in questo caso in base
alle regole generali, secondo cui vi è una soglia di rilevanza) con chi sia
dipendente o consulente continuativo o prestatore d’opera delle società
del gruppo (art. 2399, lett. c)).
Le situazioni di cui sopra non prevedono alcuna verifica in ordine alla
magnitudine della possibile causa di carenza di indipendenza. Per la clausola generale, invece, vi è una soglia di rilevanza, perché l’esistenza di previ
legami non è di impedimento all’assunzione dell’incarico quando non vi sia
rischio per l’indipendenza di giudizio; per altro verso, come ogni standard,
la norma copre anche situazioni che non ricadrebbero nelle ipotesi specifiche.
Inoltre, la norma si riferisce non solo ai legami con il debitore (come le
ipotesi specifiche dell’art. 67, co. 3, lett. d), ultima parte, al più estese alle
società del gruppo mediante il richiamo all’art. 2399 c.c.), ma anche ai
legami con la vasta serie di persone che « hanno interesse all’operazione ».
Queste possono essere — ma la lista è, per la struttura stessa della norma,
aperta — (a) i soci dell’imprenditore costituito in forma societaria; (b) i
creditori aderenti all’accordo sottostante al piano; (c) coloro i quali concludono contratti o sono destinatari di atti o pagamenti potenzialmente revocabili, ma esentati in virtù del piano; (d) secondo l’id quod plerumque accidit,
anche gli ex amministratori e sindaci, presenti e cessati di recente, di tutti
questi soggetti, dal momento che dall’adozione del piano possono avere
come minimo un effetto reputazionale, ma possono avere anche dirette
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
573
conseguenze patrimoniali (es. continuare nell’impiego; non subire azioni
di responsabilità).
Nei riguardi di queste persone, occorrerà verificare, con esclusione di
ogni automatismo, se in concreto vi siano « rapporti di natura personale o
professionale tali da comprometter[e] l’indipendenza di giudizio » dell’attestatore. Tipico rapporto personale in grado di inficiare l’indipendenza è
la convivenza more uxorio, ma anche altri rapporti familiari o similari
potranno essere presi in considerazione. Circa i rapporti professionali, si
può pensare al consulente abituale del socio, dei creditori o dell’amministratore della società; all’ex dipendente della società; al socio di società che
abbia fornito servizi all’impresa o ai suoi creditori, ecc.
Si vedrà in seguito che il piano di risanamento potrebbe rivelarsi
inattuabile, con la conseguente necessità di modificarlo; in questo caso, il
nuovo piano dovrà essere oggetto di nuova attestazione (134). La formulazione di una delle regole specifiche in materia di indipendenza — la
prestazione di « attività di lavoro ... autonomo » — , insieme al generale
impianto rigoristico della norma, fa sorgere il dubbio in ordine all’indipendenza del professionista nei casi in cui questi abbia già reso una precedente attestazione. Nell’ambito degli accordi di ristrutturazione e del concordato, anzi, il problema si pone in termini più ampi, perché in relazione
a tali strumenti sono previste molte diverse attestazioni “speciali”, situazione che non si dà, invece, nel piano attestato. Si ritiene, per questi casi,
che il rilascio di diverse, plurime attestazioni per la stessa operazione non
faccia venir meno il requisito di indipendenza, perché esse vanno viste
come componenti di unico processo di verifica (135).
Quando si è in presenza della nuova attestazione, resa necessaria dalla
modificazione del piano, ma sempre nell’ambito della medesima operazione, si pongono problemi leggermente diversi e occorre fare una distinzione. La conclusione della compatibilità tra indipendenza e nuova
attestazione può essere condivisa nella misura in cui si esclude una automatica carenza di indipendenza, ma questo non toglie che, in rapporto
alle particolari circostanze, l’indipendenza dell’attestatore possa venire
meno, specie quando il professionista si trovi a dover valutare il suo
proprio operato.
Mentre il mancato avveramento di ipotesi in precedenza attestate
come di probabile verificazione potrebbe non essere determinante, dal
momento che queste scontano la normale e accettata alea dell’operazione,
l’emersione della non veridicità dei dati aziendali, che avrebbe dovuto
essere verificata dall’attestatore, sembra di maggiore rilevanza, dal mo(134) V. infra, par. 4.3.
(135) CNDCEC, UNIVERSITÀ DI FIRENZE, ASSONIME, Linee guida, cit., 21 ss. e Raccomandazione n. 4.
574
IL PIANO DI RISANAMENTO
mento che questa potrebbe essere sintomatica di una possibile carenza di
diligenza dell’attestatore medesimo, che potrebbe essere tentato di porre
in essere condotte volte a minimizzarla (per esempio insistendo nella
nuova attestazione anziché rifiutarla) (136).
4.
Perfezionamento ed esecuzione del piano.
4.1.
La gestione interinale e gli accordi di moratoria.
Gli effetti “protettivi” del piano si producono solo dal momento in cui
esso è attestato dal professionista. Ne consegue che resta fuori dalla protezione di legge la gestione del patrimonio che ha luogo prima di tale
momento, non essendo prevista una generale liceità e non revocabilità
degli atti di normale esercizio dell’impresa, effettuati in buona fede e in
vista dell’adozione di uno strumento di risanamento, per i quali pure si
auspica tutela in sede europea (137).
Particolare prudenza deve dunque essere adottata dal debitore e dai
terzi che contrattano con lui nelle fasi, spesso non facili, in cui è in corso la
predisposizione degli elementi di cui si compone il piano da attestare (si
pensi, tipicamente, alla predisposizione della convenzione bancaria). Mentre la legge incentiva creditori e terzi alla continuazione dei rapporti con
l’impresa ammessa alla procedura di concordato, prevedendo all’art. 111, co. 2,
l. fall. la prededucibilità nel successivo ed eventuale fallimento dei crediti
sorti “in occasione o in funzione” della procedura, nulla è invece previsto
in relazione ai debiti sorti prima del perfezionamento di uno strumento
stragiudiziale. Tali crediti, pertanto, in caso di successivo concordato o
fallimento non godono della prededuzione quand’anche essi siano stati
essenziali alla continuazione dell’attività e dunque, in prospettiva, alla
maggiore soddisfazione dei creditori.
Quando la sua solvibilità è in pericolo, i criteri generali cui il debitore
(136) D’ANGELO, I piani attestati ex art. 67, terzo comma, lett. d), l. fall., cit., 88.
(137) In questo senso, infatti, gli artt. 16 e 17 della proposta di direttiva europea in
materia di insolvenza, che se approvata imporrebbe agli stati membri dell’Unione europea
di dare protezione sia alla finanza-ponte (che nell’ordinamento italiano è protetta solo se
ottenuta in funzione di un accordo di ristrutturazione o di un concordato preventivo, ai
sensi dell’art. 182-quater, co. 2), sia in generale agli atti di gestione e quelli compiuti in
funzione delle trattative per un piano di ristrutturazione, in forza dell’art. 17 par. 1 e par.
2, lett. da a) a d) (Proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council on
preventive restructuring frameworks, second chance and measures to increase the efficiency of restructuring, insolvency and discharge procedures and amending Directive
2012/30/EU).
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
575
che si propone di utilizzare lo strumento del piano attestato ma che non lo
ha ancora perfezionato deve attenersi nella gestione del suo patrimonio
sembrano dunque i seguenti:
a) occorre evitare, da parte del debitore, l’assunzione di obbligazioni
delle quali non sia certo l’adempimento nell’ipotesi, che non può essere
esclusa, in cui il piano non abbia successo e si apra una procedura (concordato o fallimento) che arreca sacrifici ai creditori. Ciò in quanto contrarre
il debito tacendo il proprio stato di crisi (o di insolvenza) può portare a
imputazioni penali (138). Il reato non può sussistere qualora colui al quale
si chiede credito (banca o fornitore) venga messo a conoscenza della situazione di difficoltà del debitore (non vi sarebbe infatti l’elemento della
“dissimulazione” dello stato di insolvenza);
b) pur in mancanza di certezze sul punto, dovrebbero essere effettuati
in questa fase solo pagamenti che possano rientrare nella categoria dei « pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei
termini d’uso », di cui all’art. 67, co. 3, lett. a) (139). In mancanza di una
giurisprudenza sul punto, che ancora non si è formata, l’esclusione di tali
pagamenti dell’area della revocabilità è infatti interpretata dalla dottrina
prevalente anche come loro esclusione dall’area dell’illiceità penale (140).
Particolarmente delicato è il rapporto con i professionisti, il cui apporto qualificato è quasi sempre imprescindibile nella redazione del piano,
ed è addirittura necessario per la sua attestazione (che deve avvenire ad
opera di professionista indipendente). Non è infatti prevista alcuna esenzione da revocatoria per il pagamento del loro compenso (non valendo
all’uopo la previsione dell’art. 67, co. 3, lett. g)), né la prededucibilità di tale
(138) Ad esempio, per insolvenza fraudolenta ai sensi dell’art. 641 c.p. o, nei confronti di banche, per il reato speciale di cui all’art. 137 TUB. Se il debitore è in stato di
“dissesto”, infine, potrebbe incorrere nel caso del ricorso abusivo al credito di cui all’art. 218
l. fall. (ad esempio, perché “tira” le linee di credito di cui già dispone). Come si è detto nel
par. 2.4, il piano di risanamento può essere utilizzato anche dal debitore in stato di
insolvenza; in tal caso, grandi cautele nella gestione dell’impresa prima dell’efficacia del
piano appaiono opportune.
(139) I termini d’uso, come ritenuto dalla recente giurisprudenza, sono quelli conformi “alle modalità di pagamento proprie del rapporto tra le parti e non già alla prassi del
settore economico” in cui esse operano: Cass., 7 dicembre 2016, n. 25162.
(140) Nel senso della liceità penale dei pagamenti sottratti a revocatoria dal terzo
comma dell’art. 67 l. fall., fra i molti, GIUNTA, Revocatoria e concordato preventivo: tutela penale,
in Dir. e pratica del fallimento, 2006, 37; ALESSANDRI, Profili penalistici delle innovazioni in tema di
soluzioni concordate delle crisi d’impresa, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2006, 129-130, sulla « insostenibilità di qualsivoglia giustificazione di un fatto civilisticamente lecito ma penalmente
rilevante »; ID., I profili penali delle procedure concorsuali, in questo Trattato, IV, 726; BRICCHETTI, Profili penali, in AA.VV., Le nuove procedure concorsuali. Dalla riforma « organica » al
decreto « correttivo », a cura di Ambrosini, Bologna, 2008, 644-645; D’ALESSANDRO, Il nuovo art.
217 bis l. fall., in Società, 2011, 205-206; CORUCCI, La bancarotta preferenziale, in AA.VV., Crisi
d’impresa e procedure concorsuali, a cura di Cagnasso e Panzani, Milano, 2016, 4371.
576
IL PIANO DI RISANAMENTO
compenso nell’eventuale procedura di concordato preventivo o di fallimento successiva (essendo limitata la prededuzione di cui all’art. 111, co. 2,
alle obbligazioni assunte in funzione di una procedura concorsuale). Il
problema non si pone ovviamente nel caso in cui il piano venga redatto,
attestato e regolarmente eseguito (nel qual caso le obbligazioni anche verso
i professionisti verranno regolarmente adempiute), ma si pone invece nel
caso ciò non accada. È verosimile che un comportamento prudente, con
pagamenti congrui effettuati in un contesto in cui il tentativo di soluzione
della crisi appare ragionevole, non possa esporre a responsabilità, essendo
coerente con la meritevolezza che l’ordinamento riconosce al piano attestato.
Del tutto lecito, nella fase interinale, è il ricorso allo strumento tipico
della convenzione di moratoria di cui all’art. 182-septies, co. 5 e 6, l. fall. che
ha lo scopo di « disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi ». Tale
strumento, per la sua duttilità e scarsa attitudine a pregiudicare in modo
definitivo le ragioni dei creditori, si presta a consentire la stabilizzazione
della situazione finanziaria in vista della definitiva soluzione della crisi, che
può essere sia quella del concordato preventivo, sia quella dell’accordo di
ristrutturazione (ordinario o con intermediari finanziari), sia infine quella
del piano di risanamento attestato (141).
4.2.
L’individuazione dell’atto esecutivo.
Nei limiti che si vedranno in seguito (142), la principale funzione del
piano è di esentare da revocatoria gli atti (atti, pagamenti e garanzie) che
siano « posti in essere in esecuzione di un piano » di risanamento con le
caratteristiche che si sono viste (143).
È, dunque, essenziale al funzionamento dell’esenzione l’esatta individuazione di quali atti possano dirsi posti in essere « in esecuzione » del
(141) In questo senso, condivisibilmente, FABIANI, La convenzione di moratoria diretta a
disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi, in Fallimento, 2015, 1277, che rileva come
« sebbene a livello convenzionale e nei soli confronti dei creditori finanziari, la convenzione
di moratoria — specie sul versante del blocco delle azioni esecutive e del blocco delle
acquisizioni di posizioni di preferenza — potrebbe sostituire quel vuoto rappresentato dal
fatto che il piano di risanamento non incontra alcuna protezione di fonte legale sul patrimonio del debitore ». Nello stesso senso, NOCERA, La convenzione di moratoria nella crisi
d’impresa: estensione dell’efficacia e abuso dell’opposizione, cit., 1092-1093, che sottolinea appunto la scarsa invasività dello strumento della moratoria. Ciò non implica che dalla
moratoria non possa derivare pregiudizio per un creditore che si pretende di vincolare,
pregiudizio che è dunque illegittimo quando sia imposto da creditori aventi posizione
diversa da quella del creditore che lo subisce (si veda, per un esempio di questa fattispecie,
Trib. Napoli, 30 novembre 2016, inedito).
(142) V. infra, par. 5.2.
(143) V. supra, par. 2.3.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
577
piano. La legge non prescrive che il piano indichi la specifica indicazione di
tutti gli atti da compiere. Si ritiene, invece, che sia sufficiente un collegamento funzionale tra il piano e l’atto, tale da poter affermare che l’atto è
esecutivo del piano (144); sono esentati gli atti che del piano « siano la
traduzione, più o meno fedele, dei suoi passaggi disegnati a monte » (145).
Non sono, invece, protetti dall’azione revocatoria quegli atti che, pur
successivi all’adozione del piano, non possano porsi in rapporto di funzionalità con il piano.
Il piano può però, naturalmente (e questa è la prassi) prevedere, più o
meno dettagliatamente, quali atti debbano compiersi. Questo diventa
quasi inevitabile, almeno per alcuni tipi di atti, quando sottostante al piano
è un accordo con i creditori che, solitamente, accanto a pagamenti parziali,
rinunce e dilazioni prevede anche l’erogazione di finanza nuova con conseguente concessione di garanzie: tutti questi atti saranno previsti dal
piano, se non altro per rinvio all’accordo.
La specifica indicazione dell’atto programmato (l’idea di un piano con
un « elevato grado di dettaglio ») è da considerare con favore (146), ancorché non condizione sine qua non dell’esenzione. Da un lato, ed ex ante, la
specifica indicazione dell’atto rende “esplicito” il sacrificio delle possibili
azioni revocatorie, che sarebbero astrattamente esercitabili in mancanza
del piano, con ciò contribuendo alla chiarezza e trasparenza del processo di
risanamento. Dall’altro, ex post, rende più agevole la prova della connessione funzionale dell’atto con il piano di risanamento, ai fini dell’esenzione
da revocatoria (147).
Non è chiaro se sia possibile, per mezzo del piano, estendere l’esenzione anche ad atti anteriori, con l’effetto di una sorta di “ratifica” ai fini
dell’esenzione. Si è visto in precedenza come non vi sia nell’ordinamento
italiano un principio di generale liceità e non revocabilità degli atti di
normale esercizio dell’impresa compiuti nella prospettiva del risanamento (148); è, tuttavia, forse possibile recuperarne una protezione per il
tramite dell’art. 67 l. fall., ancorché con cautela (149).
(144) PISCITELLO, Piani di risanamento e posizione delle banche, in Banca, borsa, tit. cred.,
2007, I, 540 e 545; in termini molto ampi BOGGIO, Gli accordi di salvataggio delle imprese in crisi,
cit., 259-262; FABIANI, Diritto fallimentare, cit., 727.
(145) D’AMBROSIO, Art. 67, 3° co., lett. d), e), g), in Il nuovo diritto fallimentare. Commentario, a cura di Jorio e Fabiani, Bologna, 2006, I, 991.
(146) FABIANI, Diritto fallimentare, cit., 724.
(147) V. anche CNDCEC, UNIVERSITÀ DI FIRENZE, ASSONIME, Linee guida, cit., 43, Raccomandazione n. 15 (Indicazione degli atti da compiere in esecuzione del piano).
(148) V. supra, par. 4.1.
(149) Sui problemi posti dalla gestione ordinaria in stato di crisi v. RUBINO, La gestione
dell’impresa nella fase preconcordataria fra rischi di bancarotta preferenziale e insolvenza fraudolenta,
in Materiali del Corso di perfezionamento Il concordato di risanamento (con continuità azien-
578
IL PIANO DI RISANAMENTO
La lettera della legge (che si riferisce agli atti « posti in essere in
esecuzione di un piano », sottintendendo la posteriorità cronologica) e il
timore che il piano possa essere confezionato ex post per dare copertura ad
atti già compiuti potrebbero indurre a ritenere non possibile rivolgere il
piano a esentare atti passati. D’altronde, alcuni atti possono essere stati
compiuti in preparazione del piano e nel corso della sua redazione e
negoziazione con i creditori e, come tali, essere in effetti funzionali al
piano, il quale non si sarebbe potuto attuare senza il compimento di quegli
atti; e, a condizione che sussista questo nesso di funzionalità, non sembra
che si possa escludere l’operare dell’esenzione anche per atti anteriori
all’attestazione del piano, purché previsti nel medesimo (150). Si osserva
d’altronde come, mentre il piano richiede un certo tempo per la sua
preparazione, talvolta si rendano necessari interventi molto urgenti (151),
e la considerazione può estendersi agli atti di gestione ordinaria che pur
potrebbero, ex post, essere visti come possibili fonti di responsabilità, oltre
che revocabili. La possibile obiezione per cui, quando sussistono ragioni
d’urgenza, da un lato forse il piano attestato non è lo strumento più adatto,
dall’altro l’imprenditore può ricorrere alla vasta panoplia di strumenti da
adottare sotto controllo giudiziale (si pensi, per esempio, ai finanziamenti
urgenti ex art. 182-quinquies l. fall.), non è di per sé decisiva. La gestione
ordinaria è sempre “urgente”, nel senso che non la si può sospendere
senza danneggiare la continuità aziendale e in ogni caso la necessità di
compiere atti urgenti non può di per sé escludere che nel caso specifico il
piano sia effettivamente lo strumento più adatto e che, per converso, la
presentazione di un concordato con riserva non sia opportuna (e non sia
vantaggiosa né per l’imprenditore, né soprattutto per i suoi creditori),
potendo ricorrere circostanze che impongano il compimento di un atto
che, non fosse per il piano, sarebbe di per sé revocabile, ma nella fattispecie
sia meritevole di protezione.
Si osserva infine, con riguardo agli atti esecutivi del piano, che questi
dovrebbero avere data certa (successiva al piano e anteriore al fallimento) (152). In realtà, nonostante la certezza della data del piano e
dell’atto possano semplificare l’accertamento dell’esistenza del nesso tra
piano e atto esecutivo, questa non sembra né sufficiente, né necessaria.
dale), Firenze, 2010, I-51 ss. (lo scritto è anteriore alle riforme del 2012, ma si è accennato
nel testo che non sempre il concordato “in bianco” è una soluzione conservativa concretamente praticabile).
(150) BORDIGA, Il piano attestato di risanamento ex art. 67, comma 3°, lett. d), l. fall, cit.,
11-12.
(151) BORDIGA, Il piano attestato di risanamento ex art. 67, comma 3°, lett. d), l. fall, cit., 12.
(152) NARDECCHIA, Le esenzioni dall’azione revocatoria e il favor per la soluzione negoziale
della crisi d’impresa, cit., 242; AMBROSINI, AIELLO, I piani attestati di risanamento: questioni interpretative e profili applicativi, cit., 14-15.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
579
Non è sufficiente, perché in mancanza di nesso funzionale, la mera posteriorità cronologica non basta a esentare l’atto da revocatoria. Ma non è
neppure necessaria, perché se vi è nesso funzionale vi è esenzione, forse
perfino, come si è accennato sopra, per gli atti anteriori al piano ma in esso
previsti e con esso coerenti. Il che non vuol escludere la necessità di data
certa computabile con riguardo ai terzi, secondo le regole generali, per
poter opporre al curatore l’atto: di certo la previsione nel piano non fa
venir meno le ordinarie regole di opponibilità.
4.3.
La verifica sull’andamento del piano, gli scostamenti dalle previsioni e la modificazione del piano.
La fase esecutiva del piano, che inizia talvolta prima della formale
definizione e attestazione del piano stesso, può mostrare degli scostamenti
rispetto alle previsioni iniziali. È, anzi, necessario che l’andamento dell’operazione di risanamento sia costantemente monitorata, innanzitutto
per poter predisporre prontamente dei rimedi, nell’interesse dell’imprenditore e dei creditori. Ma lo scostamento dalle previsioni del piano interessa anche i terzi non partecipanti all’accordo, perché l’esenzione da
revocatoria e da responsabilità non può più operare quando il piano è
divenuto ineseguibile (153). Da ciò non è possibile inferire automaticamente che sia onere del terzo la verifica circa la persistente fattibilità del
piano al momento del compimento dell’atto (154), dal momento che è
necessario contemperare l’esigenza di limitare l’operare dell’esenzione
anche con l’affidamento del terzo; certamente, però, l’esenzione non spetterà qualora il terzo sia consapevole della sopravvenuta inattuabilità del
piano (155). È certo, in ogni caso, che il monitoraggio sull’andamento del
piano è profilo di grande importanza (156).
Quando l’imprenditore è una società, la primaria responsabilità del
monitoraggio ricade sul consiglio d’amministrazione; una specifica funzione di vigilanza sulla corretta esecuzione del piano da parte degli amministratori è assegnata al collegio sindacale dalle Norme di comportamento del
(153) NARDECCHIA, Le esenzioni dall’azione revocatoria e il favor per la soluzione negoziale
della crisi d’impresa, cit., 263; CNDCEC, UNIVERSITÀ DI FIRENZE, ASSONIME, Linee guida, cit.,
Raccomandazione n. 17.
(154) NARDECCHIA, Le esenzioni dall’azione revocatoria e il favor per la soluzione negoziale
della crisi d’impresa, cit., 263 (da ciò fa derivare la conseguenza che dell’esenzione — « di
fatto » — potranno godere i « soli creditori che collaborino con il debitore per il superamento della crisi, gli unici in grado di disporre le informazioni necessarie sull’idoneità del
piano e sulla sua positiva esecuzione »; sul punto v. infra, par. 5.2.)
(155) Cfr. TERRANOVA, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, in Dir. fall., 2006,
I, 243 ss., ivi a 281.
(156) Sul tema v. anche QUATTROCCHIO, BELLANDO, L’attività di monitoraggio dei piani di
risanamento, in Nuovo diritto delle società, 2016, n. 1, 83 ss.
580
IL PIANO DI RISANAMENTO
collegio sindacale (157); la norma 11.3 (Vigilanza del collegio sindacale in caso di
adozione di un piano volto al risanamento ex art. 67, co. terzo, lett. d), l. fall.)
prevede espressamente che, « [q]uando la società adotta il piano di risanamento, il collegio sindacale vigila sulla corretta esecuzione del piano da
parte degli amministratori intensificando la vigilanza ».
Anche i creditori hanno interesse al monitoraggio del piano e, anzi, gli
accordi finanziari prevedono solitamente delle clausole che necessitano di
monitoraggio quanto meno sul mantenimento dell’equilibrio economicofinanziario. Inoltre, quando gli accordi prevedono forme di remunerazione per i creditori nel caso di esito positivo del piano (cash sweep, excess
restructuring fee) (158) essi saranno naturalmente interessati a vigilare con
attenzione.
Poiché, però, il monitoraggio interessa anche ai terzi destinatari di atti
potenzialmente revocabili, e poiché gli organi sociali e i creditori potrebbero trovarsi in situazioni di conflitto d’interesse nel rilevare che il piano
non sta procedendo come previsto, potrebbe essere opportuno affidare a
un terzo una funzione di monitoraggio del piano (159), che in ogni caso si
aggiungerà al monitoraggio svolto dall’imprenditore (in quando aspetto
gestionale essenziale), senza sostituirlo.
Il piano può contemplare dei percorsi di risanamento alternativi per il
caso in cui quello previsto come più probabile o principale non sia attuabile; per esempio, dei meccanismi di aggiustamento della manovra finanziaria a fronte di introiti inferiori a quello previsto dalla cessione di un
cespite.
Se, però, non sono previsti meccanismi di aggiustamento automatico,
e il piano diventa inattuabile come originariamente concepito, per mantenere anche per i successivi atti l’efficacia protettiva prevista dalla legge
occorrerà modificare il piano originario redigendone uno nuovo, che
tenga conto degli eventi realmente verificatisi anche in difformità delle
previsioni iniziali e rifletta lo stato di fatto al momento della sua nuova
redazione. Questo nuovo piano dovrà, a sua volta, essere oggetto di attestazione da parte del professionista, sia quanto alla veridicità dei dati
aziendali (che normalmente saranno significativamente diversi da quelli
esistenti alla data di riferimento del precedente piano, poi divenuto ineseguibile), sia quanto alla fattibilità.
La necessità di una nuova attestazione del piano pone il problema della
(157) CONSIGLIO NAZIONALE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E DEGLI ESPERTI CONTABILI,
Norme di comportamento del collegio sindacale. Principi di comportamento del collegio sindacale di
società non quotate, Settembre 2015.
(158) AIELLO, L’accordo di risanamento fondato sul piano attestato, cit., 315 ss.
(159) Per alcune ipotesi v. CNDCEC, UNIVERSITÀ DI FIRENZE, ASSONIME, Linee guida,
cit.., 44 ss., par. 1.3 e Raccomandazione n. 16.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
581
perdurante indipendenza del professionista che aveva attestato il precedente piano; problema che non può essere risolto univocamente, come si è
visto (160).
4.4.
L’« uscita » dal piano attestato. La difficile ripresa, per il debitore, della normalità finanziaria.
Il piano attestato, proprio per il suo carattere completamente stragiudiziale, non ha in sé un preciso termine alla scadenza del quale se ne possa
certificare la corretta esecuzione. Nondimeno, la fase della sua esecuzione
e il suo regolare adempimento sono di importanza fondamentale.
Si può dunque osservare quanto segue:
a) il piano, proprio per la sua proiezione nel futuro, si dispiega su un
arco temporale ben definito, individuato dallo stesso piano (161), nel corso
del quale devono essere poste in essere le azioni da esso previste (dismissioni di asset, ristrutturazione dei debiti, conseguimento degli obiettivi di
business, ecc.). Al termine del piano, l’imprenditore deve essere in condizioni di solvibilità e, se il piano non ha carattere liquidatorio, in condizioni
di normale esercizio dell’impresa;
b) il debitore, tuttavia, già dall’inizio dell’efficacia del piano attestato,
deve riacquisire (o mantenere, se non l’ha mai perduta) la condizione di
normale solvibilità, e deve conservarla per tutta la durata del piano. Se ciò
non accade, ciò significa che il piano non sta avendo regolare esecuzione, e
dunque, se del caso, deve essere modificato (con nuova attestazione) o
devono essere adottati strumenti più incisivi per affrontare la crisi.
Proprio l’acquisto, o il riacquisto, della condizione di normale solvibilità conseguente all’adozione del piano di risanamento attestato può consentire al debitore di tornare ad accedere al credito. Su questo può tuttavia
incidere la sua “storia creditizia”, che può essere stata macchiata da segnalazioni negative alla Centrale dei rischi (e/o agli omologhi sistemi privati di
informazione creditizia), per sofferenza o forbearance (162). Su questo,
(160) V. supra, par. 3.3.
(161) V. supra, par. 2.3.
(162) Dal 2015 sono state introdotte nuove segnalazioni per il credito deteriorato,
sulla base di standard armonizzati, dettati a livello europeo dall’European Banking Authority e attuati dalla Banca d’Italia con l’aggiornamento del 20 gennaio 2015 della Circolare
n. 272 del 30 luglio 2008, relativa alla segnalazione delle attività finanziarie in Centrale dei
Rischi. Le segnalazioni del credito deteriorato sono di tre tipi:
1) “inadempienza probabile”, quando a giudizio della banca è improbabile « che, senza
il ricorso ad azioni quali l’escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente (in
linea capitale e/o interessi) alle sue obbligazioni creditizie »;
2) “esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate”, le « esposizioni per cassa, diverse
da quelle classificate tra le sofferenze o le inadempienze probabili, che, alla data di riferi-
582
IL PIANO DI RISANAMENTO
nulla può in sé lo strumento del piano di risanamento attestato, in quanto
niente può legittimamente cancellare la storia che chi concede credito deve
poter conoscere per essere messo in grado di decidere con sufficiente
consapevolezza. D’altra parte, in un sistema creditizio sano, la regolare
esecuzione di un piano attestato dovrebbe consentire al debitore di rassicurare la banca circa il proprio merito di credito, che si assume migliorato
rispetto al passato.
5.
Gli effetti del piano.
5.1.
L’ambito del sindacato ex post.
Il grado di “resistenza” dell’attestazione nel giudizio successivo all’eventuale insuccesso del piano è stato, sin dall’introduzione della norma,
oggetto di discussione in dottrina; di recente il tema è stato per la prima
volta affrontato dalla giurisprudenza di legittimità, con una decisione che
si basa sul testo della norma precedentemente in vigore ma con considemento della segnalazione, sono scadute o sconfinanti » secondo i criteri analiticamente
previsti nella detta Circolare;
3) “a sofferenza”, quando il debitore si trovi « in stato di insolvenza (anche non
accertato giudizialmente) o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente
dalle eventuali previsioni di perdita formulate dalla banca » (nel senso che la segnalazione
è teoricamente compatibile con una previsione di recupero integrale, ad esempio in presenza di garanzie reali o personali capienti).
In modo trasversale rispetto a queste categorie si colloca la segnalazione delle esposizioni oggetto di concessioni (forbearance). Le autorità hanno infatti voluto imporre meccanismi automatici di segnalazione, che non consentano (o riducano) la sottorappresentazione del credito deteriorato. In sostanza, se un intermediario finanziario effettua “concessioni” al debitore, lo deve segnalare nella Centrale dei Rischi. Questo non implica che il
debitore è in difficoltà o in sofferenza, ma solo — appunto — che ha ricevuto una concessione dal creditore, la qual cosa “accende un faro” sulla sua situazione. Ciò introduce
rigidità nella successiva valutazione dello stato del credito, in quanto l’intermediario avrà
una sorta di “onere della prova” che il debitore non è in stato di difficoltà economicofinanziaria, e dunque il credito non deve essere segnalato fra le esposizione deteriorate.
Le segnalazioni alla Centrale dei rischi sono ovviamente obbligatorie per gli intermediari partecipanti, i quali, con un ritardo di alcune settimane, ricevono dalla Centrale un
flusso di ritorno che contiene, in forma aggregata, le segnalazioni inoltrate da tutti gli
intermediari in relazione a ciascun debitore (ad eccezione delle segnalazioni come “inadempienza probabile” e forbearance: cfr. Circolare n. 139 dell’11 febbraio 1991, Centrale dei
rischi. Istruzioni per gli intermediari creditizi, par. 5.1). Quindi l’effetto pregiudizievole
per il debitore può derivare sia dalla sua personale storia con la specifica banca (che questa
ovviamente conosce in modo pieno e dettagliato), sia dalle informazioni che qualsiasi banca,
anche se non ha mai avuto rapporti con il debitore, desume dalla Centrale dei rischi, cui è
obbligata ad accedere prima di concedere credito.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
583
razioni perfettamente estensibili al testo attuale (163), come si vedrà tra
breve.
La verifica giudiziale avrà normalmente ad oggetto piani e accordi cui
è seguito il fallimento o procedura analoga. Potrebbe non darsi questo caso
in alcune limitate ipotesi: qualora si ritenga l’esenzione applicabile anche
alla revocatoria ordinaria esercitata fuori dal fallimento; o quando si discorra non dell’effetto di esenzione da revocatoria, ma da quello legato alla
responsabilità penale o civile. I reati fallimentari potrebbero, infatti, riguardare situazioni in cui all’insuccesso del piano attestato non è seguito il
fallimento, ma il concordato preventivo o, ora, anche l’accordo ex art.
182-septies l. fall. (cfr. art. 236, co. 3, l. fall.). Ci si può, anzi, domandare se
si possano dare casi in cui invocare l’esenzione nell’ambito di giudizi di
responsabilità civile promossi quando l’imprenditore è rimasto in bonis (per
esempio, l’azione sociale di responsabilità o l’azione del singolo socio).
Nell’ipotesi tipica, comunque, il piano verrà invocato come esenzione
in relazione a un’azione revocatoria fallimentare, con la conseguenza che
in sede contenziosa saranno esaminati solo i piani che non hanno avuto
successo. Quelli, invece, che hanno condotto al risanamento dell’impresa
rimarranno invisibili (né constano esaurienti ricerche empiriche al riguardo). Tempo fa si rappresentava la difficoltà, a causa di questo fenomeno di selezione dei soli piani falliti, che si formasse una giurisprudenza
in materia di piani attestati che potesse fungere da guida nella selezione dei
piani redatti correttamente e, quindi, non travolti dal sindacato giudiziale,
proprio a causa della selezione “deformata” dal fatto che solo i piani falliti
danno luogo a decisioni pubbliche (164). In realtà, la giurisprudenza
sull’esenzione da revocatoria è rimasta singolarmente scarsa, nonostante il
tempo trascorso (165); se si eccettuano le due recentissime decisioni di
legittimità menzionate poco sopra, non constano decisioni pubblicate che
affrontino il tema dell’esenzione da revocatoria ex art. 67, co. 3, lett. d) in
modo specifico. Per altro verso, l’adozione di linee guida e codici di comportamento da parte delle associazioni professionali e altre istituzioni ha
contribuito in modo significativo alla “codificazione”, piuttosto dettagliata,
delle attività richieste al professionista per l’attestazione del piano e al
contenuto della sua relazione.
Tornando al tema dell’estensione dei poteri del giudice in sede di
riesame del piano, l’opinione più diffusa, e che, secondo la più immediatamente evidente lettura dei relativi provvedimenti, è stata accolta dalla
(163) Cass., 5 luglio 2016, n. 13719; Cass., 19 dicembre 2016, n. 26226.
(164) ZORZI, Il finanziamento alle imprese in crisi e le soluzioni stragiudiziali (piani attestati e
accordi di ristrutturazione), cit., 1251.
(165) PANZANI, TARZIA, Gli effetti del piano attestato e dell’accordo di ristrutturazione dei debiti
sugli atti pregiudizievoli, in Fallimento, 2014, 1063 ss., ivi a 1065.
584
IL PIANO DI RISANAMENTO
Corte di cassazione (166), è nel senso che l’esenzione da revocatoria è, per
i piani attestati (a differenza di quanto accadrebbe per gli accordi di ristrutturazione, sottoposti a vaglio giudiziale (167)) soggetta alla positiva verifica
della fattibilità del piano ex post, sia pur con prognosi postuma, da parte del
giudice della revocatoria. A questi spetterebbe, in pienezza di poteri, di
effettuare una nuova e autonoma valutazione con riguardo alla fattibilità
del piano. Il giudice potrebbe sempre affermare che il piano, quantunque
dichiarato fattibile e fondato su dati veridici da un professionista con i
necessari requisiti soggettivi e ad esito di una analisi correttamente e
coerentemente motivata, non era invece fattibile, sulla base di una diversa
valutazione dei fatti e delle ipotesi rappresentati nel piano (una diversa
valutazione che, inevitabilmente, sarà influenzata dal fatto che, ex post, il
piano non ha avuto successo) (168).
L’interpretazione è perfettamente compatibile con il testo ed è coerente con la funzione di gatekeeper dell’attestatore, più marcata da quando
è stato introdotto lo specifico reato di falsa attestazione. In precedenza si
osservava che, aderendo all’interpretazione che consente una nuova verifica della fattibilità al giudice, il fatto che la legge richiedesse una formale
attestazione si sarebbe potuto spiegare solo come forma, assai grossolana,
di selezione dei piani, mirante a escludere quelli macroscopicamente infattibili (allora, inidonei o irragionevoli), con l’inserimento di un nuovo
gatekeeper che, oltre a non avere adeguati presidi in ordine alla sua responsabilità, sarebbe servita a poco a poco, visto che la tutela degli estranei
sarebbe stata sempre nelle mani della valutazione del giudice. Alla norma,
inoltre, poteva darsi un significato “contingente”: in un momento in cui si
era in presenza di una novità assoluta, senza precedenti, e in netta discontinuità rispetto a un passato incentrato sul decoctor ergo fraudator, essa
mirava a favorire la formazione di un documento che avesse alcuni requisiti di completezza e serietà e proveniente da persone con quel minimo di
preparazione professionale che deriva normalmente dall’iscrizione a un
(166) Cass., 5 luglio 2016, n. 13719, cit., sulla quale v. infra nel testo.
(167) VICARI, I finanziamenti delle banche a fini ristrutturativi, in Giur. comm., 2008, I,
479-480; D’AMBROSIO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Fallimento e le altre procedure
concorsuali, diretto da Fauceglia e Panzani, Torino, 2009, III, 1825; NARDECCHIA, Le esenzioni
dalla revocatoria. Piani attestati. Accordi di ristrutturazione. Concordato preventivo, in Fallimento e
concordato fallimentare, a cura di Jorio, Torino, II, 2016, 1473 ss., ivi a 1524-1525.
(168) TERRANOVA, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, cit., 279; PRESTI, Gli
accordi di ristrutturazione dei debiti, in La riforma della legge fallimentare, a cura di Ambrosini,
Bologna, 2006, 393; VICARI, I finanziamenti delle banche a fini ristrutturativi, cit., 479-480;
ABETE, Le vie negoziali per le soluzioni della crisi d’impresa, in Fallimento, 2007, 625-626; FERRO,
Il piano attestato di risanamento, cit., 1364; PISCITELLO, Piani di risanamento e posizione delle
banche, cit., 542-543; VERNA, I piani di risanamento e di riequilibrio nella legge fallimentare, cit.,
1258; FABIANI, Diritto fallimentare, cit., 728; NARDECCHIA, Le esenzioni dall’azione revocatoria e il
favor per la soluzione negoziale della crisi d’impresa, cit., 261-262.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
585
ordine e a un albo, nel contempo rassicurando l’animo burocratico italiano
e, in positivo, semplificando l’accertamento della responsabilità del professionista (con meccanismo analogo a quello del dirigente preposto alla
redazione dei documenti contabili ex art. 154-bis t.u.f.) mediante la formalità dell’attestazione. Decontestualizzando la norma dal momento storico e
dal contesto istituzionale, d’altronde, non vi sarebbe nulla di strano nel
riconnettere l’esenzione all’esecuzione di un piano di risanamento adeguato e fattibile, senza richiedere alcuna attestazione.
La previsione dello specifico reato di falsa attestazione rafforza notevolmente la funzione di gatekeeper e può essere apprezzata anche nella
prospettiva della minimizzazione dei costi a carico dei creditori aderenti
all’accordo sottostante al piano e dei terzi contraenti. Grazie all’esistenza di
una specifica norma incriminatrice, essi possono ragionevolmente confidare nell’analisi del professionista, senza doversi munire di un proprio
professionista che svolga un’autonoma analisi di fattibilità del piano e
senza neppure prendere parte al processo di selezione del professionista
medesimo (169).
Questa interpretazione presenta, peraltro, una evidente controindicazione a livello di sistema: se il giudice può rivalutare la fattibilità del piano
ex post, i partecipanti all’operazione di risanamento restano soggetti a una
gravissima incertezza, tanto maggiore in considerazione del menzionato
selection bias. Il problema riguarda soprattutto creditori e terzi, dal momento che essi non possono essere certi della non revocabilità dell’atto,
revocabilità che interessa meno all’imprenditore (salvo, nel caso di imprenditore societario, il frequentissimo caso in cui il socio abbia garantito un’obbligazione con clausola di “reviviscenza” della stessa in caso di revoca). Se
questa incertezza può forse essere tollerabile per l’imprenditore e i partecipanti all’accordo sottostante al piano (tipicamente, i creditori finanziari),
certamente non lo è per gli acquirenti di cespiti aziendali che siano rimasti
estranei all’elaborazione del piano, i quali dovrebbero, per convincersi
dell’esistenza dell’esenzione, a loro volta effettuare le verifiche sul piano
stesso, con inutile duplicazione di sforzi e senza che questo li garantisca in
alcun modo.
Secondo una diversa opinione, invece, al giudice sarebbe preclusa ogni
successiva verifica in ordine alla fattibilità del piano, dovendosi limitare a
verificare che siano integrati i requisiti formali della norma, e dunque che
il professionista abbia i necessari requisiti, che abbia attestato la veridicità
dei dati aziendali e la fattibilità del piano e che, infine, l’atto sia stato
(169) Sulla responsabilità dell’attestatore v. ALESSANDRI, Profili penali delle procedure
concorsuali. Uno sguardo d’insieme, cit., 744-750; BRUNO, CALETTI, L’art. 236-bis l. fall.: il reato di
falso in attestazioni e relazioni, in Diritto penale dell’economia, diretto da Cadoppi, Canestrari,
Manna, Papa, Torino, 2017, II, 2239 ss.
586
IL PIANO DI RISANAMENTO
compiuto in esecuzione di tale piano (170). Questa lettura della norma,
senz’altro compatibile con il testo (e forse, anzi, quella che discende con più
facilità dalla lettera della legge), introduce una forte limitazione al potere
del giudice che avrebbe meritato maggiore chiarezza; ma, soprattutto, è in
grado di creare in capo a chi partecipa alle operazioni di risanamento
incentivi perversi e di facilitare possibili abusi (171). Quand’anche si facessero salvi i casi di frode, una lettura così forte della norma “proteggerebbe”
gli atti anche in presenza di attestazioni rilasciate con colpa grave, favorendo il ricorso ai professionisti più “permissivi” o meno preparati.
Vi è, infine, una terza, e forse preferibile, opinione intermedia (che è in
realtà una variante della seconda), che viene presentata con sfumature
diverse, il cui nocciolo duro consisterebbe nella considerazione che al
giudice non sarebbe consentito formulare un proprio nuovo, autonomo
giudizio di fattibilità se non in qualche modo “rimuovendo” l’attestazione (172), e comunque formulando un giudizio sull’attestazione (e non
sulla fattibilità del piano), verificando quindi che essa sia rilasciata da un
professionista in possesso dei necessari requisiti e sia congruamente motivata (173). Questa tesi ha una traccia giurisprudenziale, in una delle poche
decisioni edite sul tema (secondo cui « fino a quando non si possa affermare
(170) Gli autori che ritengono non sindacabile la fattibilità del piano nel successivo
giudizio revocatorio non sono molti; in generale contrari al sindacato giudiziale integrale ex
post, ma in articoli di carattere generale che non affrontano specificamente il tema, STANGHELLINI, Il ruolo dei finanziatori nella crisi d’impresa: nuove regole e opportunità di mercato, cit.,
1077; STASI, I piani di risanamento e di ristrutturazione, cit., 867 (salva la mala fede dell’esperto);
MANDRIOLI, Presupposti ed effetti dei piani di risanamento, cit., 163. Non del tutto chiaro se possa
ascriversi a questa corrente o a quella successivamente descritta nel testo, GUERRIERI, Il
controllo giudiziale sui piani attestati, cit., 391-392. Si vedano anche gli autori che ritengono
che non vi sia una sostanziale differenza tra il sindacato del giudice sul piano attestato e
quello sull’accordo, ai fini dell’esenzione da revocatoria: v. DI MARZIO, Le soluzioni concordate
della crisi d’impresa, in Le nuove procedure concorsuali. Dalla riforma « organica » al decreto
« correttivo », a cura di Ambrosini, Bologna, 2008, 482; D’ANGELO, I piani attestati ex art. 67,
terzo comma, lett. d, l. fall., cit., 77-78.
(171) V. per esempio SILVESTRINI, La nuova disciplina dell’art. 67 della legge fallimentare,
in Dir. fall., 2006, I, 862-863 (paventando possibili abusi e ipotizzando che si possa accedere
all’opinione che vuole una verifica successiva); ZANICHELLI, La nuova disciplina del fallimento e
delle altre procedure concorsuali dopo il d.lg. 12.9.2007, n. 169, Torino, 2008, 142-143 (anch’egli
temendo abusi, e con ciò apparentemente implicando l’insindacabilità della valutazione del
professionista).
(172) ZORZI, Il finanziamento alle imprese in crisi e le soluzioni stragiudiziali (piani attestati e
accordi di ristrutturazione), cit., 1252-1255; DE MARCHI ALBENGO, GIACOMAZZI, I piani attestati ex
art. 67 l. fall., cit., 3210-3214.
(173) ZORZI, Il finanziamento alle imprese in crisi e le soluzioni stragiudiziali (piani attestati e
accordi di ristrutturazione), cit.; MEO, I piani “di risanamento” previsti dall’art. 67, l. fall., cit., 58:
« verificare se il giudizio di ragionevolezza sia stato svolto su basi corrette »; DE SANTIS, I
controlli del giudice nel piano attestato e nell’accordo di ristrutturazione dei debiti, in Fallimento,
2014, 1045.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
587
la completa inidoneità dell’attestazione trova piena ed indiscutibile applicazione l’esenzione dalla revocatoria »), il cui percorso argomentativo,
sembra però, a onor del vero, privilegiare il profilo della non conoscibilità
soggettiva dell’inidoneità del piano da parte della controparte del debitore (174).
Se l’esenzione fosse concessa sulla sola base della fattibilità del piano (e,
quindi, se si accedesse alla prima opinione riferita), senza bisogno di una
attestazione come atto formale, questa non sarebbe di particolare utilità
per i creditori aderenti all’accordo parte del piano: essi, infatti, potrebbero
valutare l’idoneità e la ragionevolezza del piano di risanamento in modo
autonomo, eventualmente coadiuvati dai loro esperti. Analogamente,
un’autonoma valutazione potrebbe essere fatta dai terzi che — consapevoli
dell’esistenza del piano — volessero contrattare con l’imprenditore in crisi
minimizzando il rischio di azioni revocatorie. L’ordinamento potrebbe
cioè scegliere di non dettare prescrizioni ex ante, lasciando all’operatore la
selezione del comportamento più appropriato per raggiungere il risultato
voluto: nel nostro caso, potrebbe limitarsi a fissare la regola secondo cui
l’esenzione da revocatoria spetta a condizione che vi sia un piano di risanamento che sia fondato su dati veridici e appaia fattibile, lasciando ai
singoli che desiderino avvalersi dell’esenzione la decisione (e la responsabilità) di formarsi il loro convincimento, avvalendosi se del caso di pareri e
attestazioni di esperti. Se così fosse, dunque, una formale attestazione
servirebbe a ben poco, se non, come si è menzionato sopra, per effettuare
una prima, sommaria selezione dei piani e come ausilio alle parti nel
cercare di anticipare il giudizio di un giudice, oltre che in funzione di
gatekeeping.
Valorizzando, invece, la circostanza che la legge ha chiesto una formale
attestazione, si può offrire una lettura che coniughi la necessità di un
adeguato e penetrante sindacato giudiziale ex post con un elevato grado di
certezza ex ante. Un sindacato di questo tipo parrebbe capace di bilanciare
i contrapposti interessi in gioco, quello di chi fa affidamento sull’esistenza
di un piano attestato, e quello di chi invece, essendone pregiudicato,
vorrebbe un sindacato ex post più esteso possibile.
L’adesione a una tesi “intermedia” sembrava trasparire nella parte
motiva della prima decisione della Cassazione resa in materia. Il tribunale
aveva ammesso al passivo un credito pignoratizio sorto in esecuzione di un
piano di risanamento attestato, ritenendo — come si desume dalla motivazione della sentenza — che il piano attestato produrrebbe automaticamente l’effetto di esenzione per l’atto previsto dal piano e che il terzo
(174) Trib. Verona, 22 febbraio 2016, in IlCaso.it; nella sentenza si legge che « non vi
sono circostanze di nessun tipo che possano permettere di ritenere che le controparti della
società potessero conoscere la circostanza » del peggioramento dell’andamento aziendale.
588
IL PIANO DI RISANAMENTO
(creditore) non sarebbe tenuto a verificare il giudizio di fattibilità reso dal
professionista. Il tribunale, dunque, appare aderire alla tesi più “garantista” per i terzi, ovverosia quella per cui se vi è piano attestato, vi è esenzione.
La Cassazione, dopo aver escluso che la veridicità dei dati aziendali
dovesse, nel vigore della disciplina anteriore al 2012, essere oggetto di
attestazione, perché la norma si riferiva alla sola attestazione della ragionevolezza del piano, afferma che il giudice deve verificare la ragionevolezza del piano; ma — qui sta l’apparente attenuazione del convincimento
del giudice — parrebbe limitatamente alla « manifesta inettitudine del piano
presentato dal debitore a raggiungere gli obbiettivi prefissati », citando la
sentenza Cass., n. 11497 del 2014 in materia di concordato preventivo
(corsivo aggiunto). Da questa premessa, che faceva riferimento alla liberale
decisione del 2014, ci si sarebbe dovuti attendere un dispositivo che richiedesse al giudice il (limitato) sindacato sulla “non manifesta irragionevolezza” (o, adesso, “infattibilità”), del piano.
La Corte, invece, chiude la sua decisione n. 13719 del 2016 con
un’inversione di rotta rispetto alla citazione della propria giurisprudenza
di due anni prima, richiedendo, per quanto riguarda il piano attestato,
« una verifica mirata alla manifesta attitudine all’attuazione del piano di
risanamento ». Dalla non manifesta inettitudine alla manifesta attitudine
del piano il balzo è notevole.
Se il testo di questa prima decisione in materia di piano di risanamento,
del luglio 2016, lasciava uno spazio di ambiguità, una successiva decisione
(relativa in realtà a questione procedurale) riprende proprio il (solo) passaggio in cui si chiede al giudice di verificare che il piano avesse una
« manifesta attitudine » al risanamento (175); con ciò consacrando, forse
non del tutto consapevolmente, l’indirizzo secondo cui il piano deve essere
rivalutato ex novo dal giudice. Di ciò occorre, attualmente, prendere atto,
con la consapevolezza quindi che il piano attestato è, ora, uno strumento
soggetto a notevoli incertezze (176).
Ci si può, infine, domandare che cosa accada al piano che, attestato da
un professionista privo delle necessarie qualificazioni (o con un’attestazione mal motivata o non univoca), ma che fosse ciononostante fattibile,
con giudizio ex ante, possa o meno rendere immuni da revocatoria gli atti
compiuti in sua esecuzione. Se il giudice è tenuto a un giudizio sostanziale,
a una nuova, integrale verifica ex ante, come secondo l’opinione prevalente,
allora non parrebbe vi siano motivi ostativi a ritenere ancora sussistente
(175) Cass., 19 dicembre 2016, n. 26226, cit.
(176) Sottolineano questo profilo, in commento a Cass., n. 13719 del 2016, JEANTET,
VALLINO, DOMINIS, Piano di risanamento: esiste ancora l’esenzione revocatoria (“caveat creditor”)?, in
Ilfallimentarista, 18 luglio 2016.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
589
l’esenzione da revocatoria, quantunque il testo della norma ricolleghi
l’esenzione a un’attestazione qualificata. Se, invece, si accedesse all’opinione intermedia, riferita sopra, che ritiene che il giudice debba appuntare
le sue critiche sull’attestazione, allora la sua “demolizione”, per qualsiasi
motivo, dovrebbe condurre a negare l’esenzione anche se il piano fosse ex
ante fattibile; a meno che non si ritenga comunque raggiunto lo scopo, che
era quello di selezionare i piani fattibili, e per questo si consenta la sopravvivenza dell’esenzione.
5.2.
L’esenzione da revocatoria.
L’effetto tipico del piano attestato è l’esenzione da revocatoria per gli
atti compiuti in esecuzione del piano.
I temi di discussione in dottrina gravitano principalmente intorno a
due temi: chi possa beneficiare dell’esenzione e che cosa comprenda l’esenzione da « revocatoria ».
Circa il primo tema, ci si domanda se possano beneficiare dell’esenzione, oltre che i partecipanti all’accordo con il creditore, anche tutti i terzi
destinatari degli effetti del piano, e quindi anche chi sia mera controparte
contrattuale, o destinatario di pagamento, in esecuzione del piano; o se,
invece, possa beneficiare dell’esenzione solo chi “partecipa” all’operazione
di risanamento, salvo distinguere tra chi ritiene che questa categoria comprenda solo chi abbia giuridicamente partecipato all’accordo con il debitore sottostante al piano e chi, invece, ritiene che vi rientrino anche tutti
coloro siano stati solo resi edotti dell’esistenza del piano (177).
Alla seconda soluzione accede chi vede nell’esenzione un “premio”
offerto dalla legge a chi ha favorito, con la sua condotta, il risanamento
dell’impresa (178), mentre chi si accontenta della conoscenza in capo al
terzo dell’esistenza del piano ritiene che ciò miri a tutelare l’affidamento
del terzo, fondando tale soluzione sul verbo « appaia » presente nella
norma (piano che « appaia idoneo » al risanamento) (179), locuzione alla
quale sembra molto difficile assegnare tale pregnante valore.
(177) L’opinione secondo cui il piano protegge solo chi ne fosse a conoscenza è molto
diffusa: cfr. per esempio PANZANI, TARZIA, Gli effetti del piano attestato e dell’accordo di ristrutturazione dei debiti sugli atti pregiudizievoli, cit.,1063 ss.; MEO, I piani “di risanamento” previsti
dall’art. 67, l. fall., cit., 36-37 si esprime in termini di “messi a parte” del piano.
(178) Cfr. per es. D’AMBROSIO, Art. 67, 3° co., lett. d), e), g), cit., 993; TERRANOVA, La
nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, cit., 280; GIANNELLI, Concordato preventivo, accordi
di ristrutturazione dei debiti, piani di risanamento dell’impresa nella riforma delle procedure concorsuali. Prime riflessioni, in Dir. fall., 2005, I, 1172.
(179) PANZANI, TARZIA, Gli effetti del piano attestato e dell’accordo di ristrutturazione dei debiti
sugli atti pregiudizievoli, cit., 1063 ss., ivi a 1065-1066.
590
IL PIANO DI RISANAMENTO
La prima soluzione sembra, in realtà, quasi necessitata, in considerazione proprio della già ricordata “unilateralità” del piano: la legge prevede
come del tutto normale l’eventualità che non vi siano accordi con i creditori, onde la norma non avrebbe senso (e ciò a maggior ragione nella
versione originaria, quando non era prevista l’esenzione da responsabilità
penale) se non valesse anche in favore dei terzi estranei all’accordo (che,
appunto, può anche non esserci) (180).
Il secondo tema in ordine al quale si registrano opinioni discordanti è,
come si accennava sopra, quello dell’ampiezza dell’esenzione (181): se cioè
l’esenzione riguardi la sola revocatoria fallimentare (182) (e, nell’ambito di
questa, solo agli atti “normali” (183) o anche a quelli del comma 1), come si
potrebbe desumere dalla collocazione della norma, in seno all’art. 67 l.
fall.; o se, invece, l’esenzione si estenda anche alla revocatoria ordinaria
esercitata dal curatore (184) e alle azioni di inefficacia ex artt. 64 e 65 l.
fall. (185).
In favore dell’estensione alla revocatoria ordinaria, ma forse contro
l’applicabilità alle azioni di inefficacia, sta invece la formulazione testuale
della norma, che dispone espressamente che « [n]on sono soggetti all’azione revocatoria » gli atti compiuti in esecuzione del piano di risanamento; e ciò specie nel confronto con le tradizionali esenzioni di quello che
è adesso il comma 4 dell’art. 67, che si riferisce espressamente alle sole
« disposizioni di questo articolo » per le operazioni di credito su pegno e
credito fondiario e per l’istituto di emissione.
Essendo ambigui sia il dato testuale, sia la topografia della
norma (186), la soluzione va ricercata nella funzione dell’esenzione, che è
(180) Nel senso che l’esenzione operi anche a favore di terzi estranei all’accordo
connesso v. già TERRANOVA, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, cit., 279-280.
(181) Sul punto v. anche TARZIA, L’ambito di applicazione delle esenzioni nel nuovo art. 67
l. fall., in Fallimento, 2008, 637 ss.
(182) In questo senso PISCITELLO, Piani di risanamento e posizione delle banche, cit., 544;
D’AMBROSIO, Art. 67, 3° co., lett. d), e), g), cit., 988, GUGLIELMUCCI, La riforma in via d’urgenza
della legge fallimentare, Torino, 2005, 45.
(183) MELI, La revocatoria fallimentare; profili generali, in La riforma della legge fallimentare, a cura di Ambrosini, Bologna, 2006, 123; FORTUNATO, Brevi note sulla “filosofia” della
nuova revocatoria fallimentare, in Giur. comm., 2005, I, 720.
(184) Trib. Milano, 2 marzo 2013, in Giur. it., 2013, 2275; VALENSISE, Gli accordi di
ristrutturazione dei debiti nella legge fallimentare, cit., 489; FABIANI, Diritto fallimentare, cit., 338 e
727; dubbiosi PANZANI, TARZIA, Gli effetti del piano attestato e dell’accordo di ristrutturazione dei
debiti sugli atti pregiudizievoli, cit., 1069.
(185) In questo senso v. BONFATTI, La disciplina delle esenzioni dall’azione revocatoria
fallimentare, cit., 254-255; NARDECCHIA Le esenzioni dall’azione revocatoria e il favor per la
soluzione negoziale della crisi d’impresa, cit., 260.
(186) NARDECCHIA Le esenzioni dall’azione revocatoria e il favor per la soluzione negoziale
della crisi d’impresa, cit., 260.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
591
quella di offrire protezione agli atti esecutivi di un piano di risanamento,
da un lato incentivando le soluzioni stragiudiziali, dall’altra semplicemente
rendendole possibili, nel senso che, in mancanza di tale protezione, né i
creditori né i terzi sarebbero disponibili a negoziare con il creditore. D’altro canto, si può constatare che molte operazioni di risanamento comprendono senza dubbio atti che potrebbero ricadere nell’art. 67, n. 2 (pagamenti con mezzi anormali: si pensi a prestazioni in luogo dell’adempimento, mediante cessione di immobili o crediti), n. 3 (acquisizione di
garanzie per debiti non scaduti, a fronte magari dell’erogazione di nuova
finanza); forse anche del n. 1 (atti con prestazioni sproporzionate), quanto
meno per la difficoltà, talvolta, di valutare il valore di una controprestazione, quando non è in denaro; dell’art. 65 (pagamento di debiti non
scaduti che avrebbero avuto scadenza successiva al fallimento); dell’art. 66
(revocatoria ordinaria: potenzialmente — salvo l’elemento soggettivo (187) —, per quasi tutti gli atti fatta eccezione per i pagamenti di debiti
scaduti).
La formulazione della lett. d) e, soprattutto, il suo confronto con la
formulazione della lett. e), hanno, infine, sollevato dubbi con riguardo alle
garanzie. Per i piani attestati si prevede che l’esenzione spetti per « gli atti,
i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore », mentre per gli atti
esecutivi di accordi di ristrutturazione e concordati preventivi non vi è la
precisazione delle garanzie « concesse su beni del debitore ». Vi sono diverse possibili letture di questa norma dalla ratio non chiara, anche perché
le garanzie per debiti del debitore che ricorre al piano attestato costituite,
però, su beni di terzi sono senz’altro escluse, com’è ovvio, dalla revocatoria
(in caso di fallimento del debitore).
Per dare un senso alla norma, essa deve essere intesa nel senso che, nel
caso del piano, non sarebbero ammesse le garanzie per debiti altrui (in
quanto sarebbero concesse su beni non del debitore); oppure, o in aggiunta, che l’esenzione non riguarderebbe le garanzie, non importa se per
debiti propri o altrui, di tipo personale (in quanto non costituite “su
beni”) (188). Infine, considerando che, come detto poco sopra, le garanzie
“su beni altrui” sarebbero comunque esenti da revocatoria, in quanto rese
da un terzo, una lettura potrebbe essere che — nel solo caso della lett. e) —
siano esentate da revocatoria le garanzie prestate da un terzo nel caso di
fallimento non del debitore, ma del terzo medesimo, che potrebbe, così,
(187) Così per es. D’AMBROSIO, Art. 67, 3° co., lett. d), e), g), cit., 989.
(188) Così per es. AMBROSINI, La via italiana alla soluzione privatistica della crisi, cit.,
116-118.
592
IL PIANO DI RISANAMENTO
invocare un’esenzione derivante da un accordo stipulato dal debitore in
favore del quale è prestata la garanzia (189).
Non va escluso, infine, che si tratti di una mera svista del legislatore,
specie in considerazione della menzionata difficoltà di indentificare un
motivo per distinguere il trattamento, sotto questo profilo, dei vari strumenti di risanamento (190).
5.3.
L’esenzione da responsabilità civile; l’esenzione da responsabilità penale: rinvio.
Come si è accennato in precedenza, la legge non prevede espressamente un’esenzione da responsabilità civile connessa con il compimento di
atti esecutivi del piano attestato. Diversi autori hanno però sostenuto, già
all’indomani dell’introduzione della norma e prima che, nel 2012, fosse
prevista la specifica esenzione da responsabilità penale, che la previsione di
un’esenzione da revocatoria avesse quale effetto connesso l’esenzione anche da responsabilità civile. Sarebbe stato altrimenti contraddittorio un
sistema che “premiasse” con l’esenzione da revocatoria i tentativi di risanamento, purché (allora) ragionevoli, ma poi sanzionasse civilmente i
comportamenti connessi con tali tentativi (191).
Per la responsabilità civile neppure poteva usarsi, o quanto meno non
in maniera così efficace, l’argomento che sarebbe venuto meno l’elemento
soggettivo in capo all’autore del comportamento illecito, dal momento che
si sarebbe solo alleviato, ma non risolto, il problema perché si sarebbe
sempre potuto sostenere che coloro i quali avevano posto in essere il
comportamento dannoso fossero in colpa nel confidare nella ragionevolezza del piano.
L’introduzione della specifica esenzione penale rafforza la precedente
interpretazione, ma non elimina ogni questione.
(189) Per un’ampia disamina del tema v. BONFATTI, La disciplina delle esenzioni dall’azione revocatoria fallimentare, cit., 317-319; D’ANGELO, I piani attestati ex art. 67, terzo comma,
lett. d, l. fall., cit., 76-77. Ritiene che l’esenzione (in quel caso, di cui alla lett. e) dell’art. 67,
co. 3, l. fall.) si estenda anche agli atti compiuti dai terzi, ma previsti nel piano, in caso di
successivo fallimento di quei terzi VALENSISE, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge
fallimentare, cit., 494.
(190) PANZANI, TARZIA, Gli effetti del piano attestato e dell’accordo di ristrutturazione dei debiti
sugli atti pregiudizievoli, cit.
(191) Come osserva, a proposito della concessione di nuova finanza, PANZANI, L’insuccesso delle operazioni di risanamento delle imprese in crisi e le responsabilità che ne derivano, in Crisi
d’impresa e procedure concorsuali, diretto da Cagnasso e Panzani, Torino, 2016, III, 3884,
« [p]er il principio di coerenza dell’ordinamento ne deriva che non può neppure parlarsi di
fatto illecito fonte di risarcimento dei danni, almeno quando alla concessione del credito
non si accompagni il dolo o la frode nei confronti degli altri creditori ».
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
593
I rischi di responsabilità civile sono a carico di tutti coloro i quali
pongono in essere atti o pagamenti in esecuzione del piano. Si può trattare,
in primo luogo, di tutti coloro che rispondono, a diverso titolo, direttamente o in via vicaria, della gestione del debitore-società: i membri degli
organi amministrativi e di controllo delle società; nei casi di possibile
concorso, i soci (per esempio ex art. 2476 c.c.), nonché chi esercita attività di
direzione e coordinamento. In secondo luogo, rischiano potenzialmente
anche tutti gli “esterni”, e quindi i creditori che accettino pagamenti e
garanzie, gli acquirenti di cespiti dell’imprenditore, ecc. È appena il caso di
notare che, con riguardo alla prima categoria di soggetti, l’esenzione in
questione lascia del tutto intatta la responsabilità connessa alla scelta dello
strumento di risanamento, che non è incisa dalle esenzioni di cui agli artt.
67, co. 3, lett. d) (atti « posti in essere in esecuzione » del piano) e 217-bis l.
fall. (« pagamenti e ... operazioni compiuti in esecuzione » del piano). Ne
consegue che tutti i menzionati soggetti potranno essere chiamati a rispondere, in sede di azione di responsabilità sociale e dei creditori, per la
violazione dell’obbligo di gestione conservativa in caso di perdita del capitale o in caso di venir meno della continuità aziendale, secondo i consolidati
schemi d’azione, e in particolare per aver selezionato uno strumento (il
piano di risanamento attestato) inadatto alla situazione in cui si trovava la
società, o chiaramente infattibile, o per aver selezionato advisors e professionisti inidonei, ecc.; o, ancora, per non aver fornito dati attendibili ai
redattori del piano, eventualmente a causa dell’omessa predisposizione, o
verifica della predisposizione, di sistemi organizzativi, amministrativi e
contabili adeguati (192). Sembra, altresì, esorbitare dal possibile spettro
applicativo dell’esenzione, a livello di responsabilità civile, la responsabilità
degli organi sociali (nonché dell’attestatore) (193) per il pregiudizio sofferto dalla generalità dei creditori per effetto della perdita delle azioni
revocatorie (se e nella misura in cui l’esenzione “tenesse” nel fallimento
successivo) o quello sofferto dai terzi revocati, per il caso in cui l’esenzione
fosse superata dal successivo sindacato del giudice: per queste ipotesi,
tipiche di possibile responsabilità dell’attestatore, si dovrà ricorrere alle
normali categorie della responsabilità civile.
Viceversa, si deve ritenere che essi siano esenti da responsabilità, appunto, per gli atti compiuti in esecuzione del piano: atti e pagamenti posti
in essere in esecuzione del piano potrebbero essere riguardati come atti
distrattivi o pagamenti preferenziali ma, in virtù del fatto di essere previsti
(192) La letteratura in materia di doveri degli amministratori nelle situazioni di
difficoltà o crisi della società è ormai molto vasta. V. ora BRIZZI, Doveri degli amministratori e
tutela dei creditori nel diritto societario della crisi, Torino, 2015, in part. 212-228 e 354-420;
LUCIANO, La gestione della s.p.a. nella crisi pre-concorsuale, Milano, 2016, in part. 135 ss.
(193) V. infra, par. 5.4.
594
IL PIANO DI RISANAMENTO
nel piano, perdere carattere illecito. In seno al giudizio di responsabilità,
peraltro, in mancanza di una norma espressa com’è l’art. 67, co. 3, lett. d)
per la revocatoria, sembra inevitabile la conclusione secondo cui il giudice
può riesaminare ex novo la fattibilità del piano di risanamento senza arrestarsi alla recezione del giudizio dell’attestatore. La conclusione, che si è
criticata con riguardo all’esenzione da revocatoria (194), è invece del tutto
appropriata dal punto di vista sistematico, quando si discute di responsabilità civile: mentre alla revocatoria occorre una regola (una rule), necessaria per dare certezza alla decisione se procedere o no all’operazione confidando nell’esenzione da revocatoria, il giudizio di responsabilità per
danno, che sia contrattuale o extracontrattuale, inevitabilmente si avvale di
standards. Se, dunque, il piano era ex ante fattibile, ne consegue l’obiettiva
liceità dei comportamenti attuativi. Se, però, esso non lo era, la responsabilità potrà comunque essere esclusa ove sia dimostrata l’assenza di colpa
nel compimento dell’atto illecito (e, quindi, l’assenza di colpa nel confidare
nella fattibilità del piano), per effetto del convincimento non colposo della
fattibilità del piano e della sua idoneità a rimuovere lo stato di crisi o di
insolvenza.
Esorbita, infine, dalle competenze degli autori discorrere dell’effetto
esonerativo della responsabilità penale data dal piano, per la quale si rinvia
alla sede appropriata di questo trattato. Il tema è, d’altronde, comune
anche agli altri strumenti di risanamento (195).
L’unica particolarità del piano attestato è, ancora una volta, se la sua
fattibilità possa essere riesaminata dal giudice penale; la risposta pressoché
unanime è positiva (196).
5.4.
La responsabilità del professionista attestatore.
Il professionista che attesta il piano è soggetto a responsabilità civile nei
confronti della società e nei confronti dei terzi (197).
(194) V. supra, par. 5.2.
(195) ALESSANDRI, Profili penali delle procedure concorsuali. Uno sguardo d’insieme, cit.,
720-736; ZINCANI, L’art. 217-bis l. fall., in Diritto penale dell’economia, diretto da Cadoppi,
Canestrari, Manna, Papa, Torino, 2017, II, 2213 ss.; D’ORAZIO, Le responsabilità del professionista attestatore, in D’Orazio, Filocamo, Paletta, Attestazioni e controllo giudiziario nelle procedure
concorsuali, Milano, 2015, 492 ss.
(196) ALESSANDRI, Profili penali delle procedure concorsuali. Uno sguardo d’insieme, cit.,
726-736.
(197) Sul tema v. FORTUNATO, La responsabilità civile del professionista nei piani di sistemazione delle crisi d’impresa, in Fallimento, 2008, 889 ss.; D’ORAZIO, Le responsabilità del professionista attestatore, cit., 481 ss.; ZANICHELLI, La responsabilità civile del professionista e dell’attestatore,
cit.; PANZANI, L’insuccesso delle operazioni di risanamento delle imprese in crisi e le responsabilità che
ne derivano, cit., 3907 ss.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
595
La responsabilità nei confronti della società è di tipo contrattuale. Il
professionista sarà responsabile nel caso di condotta negligente o dolosa
nell’espletamento del suo incarico. Si può pensare a un professionista che,
in presenza di un piano idoneo al risanamento e fattibile, rilasci un’attestazione difettosa (non motivata, o senza una precisa attestazione di veridicità dei dati aziendali) o accetti l’incarico pur difettando dei requisiti
professionali o di indipendenza, conseguentemente inducendo i creditori,
per esempio, a sollevare questioni in ordine alla “tenuta” dell’attestazione
e quindi a non dare esecuzione al piano medesimo e costringendo quindi
la società a una ricontrattazione più onerosa, o a provvedere all’ingaggio di
un nuovo attestatore, ecc. Nel caso, invece, il piano fosse stato non fattibile,
è assai difficile scorgere una responsabilità in capo al professionista per non
aver rilevato tale infattibilità, considerato che la sua attività è svolta in
favore dei terzi, non della società (che ha i suoi consulenti per redigere il
piano).
È più facile, invece, configurare una responsabilità del professionista
nei confronti dei terzi, atteso che l’attestazione è, appunto, rivolta innanzitutto alla loro tutela. La condotta negligente o dolosa del professionista
potrebbe contribuire a ritardare la dichiarazione di fallimento, mediante
l’attestazione di un piano immeritevole di un giudizio positivo (198); questo ritardo, secondo i consueti schemi, potrebbe causare un aggravamento
del dissesto, o la perdita di azioni revocatorie per il decorso del
tempo (199). Se non vi è stata dichiarazione di fallimento, e l’infattibilità del
piano si tramutasse nella necessità di ricorrere a un nuovo e diverso
strumento (un altro piano attestato o un accordo di ristrutturazione dei
debiti), non sarebbe facile configurare una responsabilità del professionista
nei confronti dei creditori che avessero accettato volontariamente un trattamento deteriore, reso necessario dal depauperamento della società, dal
momento che, appunto, tale trattamento è accettato volontariamente; ciò
salvo che essi accompagnino la manifestazione del consenso con
un’espressa riserva dei loro diritti nei confronti di chi li ha posti in condizione di dover accettare tale deteriore trattamento al fine di evitare un
danno ancora maggiore (collocandosi così nel solco del comportamento
dovuto dal danneggiato di cui all’art. 1227, co. 2, c.c., che certo non elimina
il diritto al risarcimento per la parte di danno non evitabile). Nessun
problema di acquiescenza rispetto al comportamento dannoso del professionista può invece porsi per il creditore che subisce la coartazione nell’ambito di forme di composizione negoziale della crisi che la consentano: il
(198) NARDECCHIA, Le esenzioni dalla revocatoria. Piani attestati. Accordi di ristrutturazione.
Concordato preventivo, in Fallimento e concordato fallimentare, a cura di Jorio, Torino, II, 2016,
1515.
(199) GUERRIERI, Il controllo giudiziale sui piani attestati, cit., 397.
596
IL PIANO DI RISANAMENTO
creditore finanziario cui fosse estesa l’efficacia dell’accordo ex art. 182septies l. fall. potrebbe fondatamente sostenere che, ove l’attestatore avesse
operato diligentemente, il trattamento riservatogli sarebbe stato migliore;
e così tutti i creditori non consenzienti nel concordato preventivo. In tutti
questi casi, peraltro, non vi è dubbio che, allo stato della giurisprudenza in
materia di azioni di massa, si tratterebbe di azioni di danno individualmente esperibili dai creditori.
Lo stesso dovrebbe dirsi nel caso del fallimento. Il curatore non potrebbe invocare la responsabilità contrattuale (quale subentrante nella
posizione di committente del professionista) perché il danno è, in primo
luogo, imputabile all’imprenditore stesso, che ha predisposto tramite i suoi
consulente e approvato tramite i suoi organi un piano inidoneo al risanamento, fondato su dati non veridici, non fattibile. Il professionista — si è
visto sopra — controlla un piano da altri predisposto, e sarebbe singolare
pensare a una responsabilità del controllore verso il controllato (200).
Ci si deve, quindi, domandare se il curatore possa far valere questo
diritto; il tema è molto simile a quello della concessione abusiva di credito
anche sotto il profilo della legittimazione e la risposta parrebbe dover
essere la medesima, allo stato negativa, perché non vi è nessuna norma che
attribuisca tale diritto risarcitorio alla “massa” (201). Se il curatore non ha
legittimazione, non la può recuperare con l’escamotage processuale di
chiamare l’attestatore a rispondere in concorso con amministratori e sindaci (202).
L’attestatore, infine, in caso di insuccesso del piano e successivo fallimento, può essere chiamato a risarcire il danno causato ai terzi che confidavano nella non revocabilità dell’atto per effetto dell’esistenza del piano
di risanamento attestato (203). Occorre, peraltro, notare che la circostanza
(200) Il tema è contermino a quello del regresso da amministratore verso sindaco,
che alcuni ritengono non possibile: FRÈ, Sub art. 2407, in FRÈ, SBISÀ, Società per azioni, 6a ed.,
in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Libro quinto. Del lavoro (artt. 2325-2409), a cura
di Galgano, I, Bologna-Roma, 1997, 908; diversamente invece FRANZONI, Società per azioni,
III, Dell’amministrazione e del controllo, 2, Del collegio sindacale. Della revisione legale dei conti, in
Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Libro quinto: Lavoro (artt. 2397-2409-septies),
Bologna, 2015, 270-271.
(201) Lo osserva GALLETTI, I piani di risanamento e di ristrutturazione, cit.; e v. ROMEO,
Piani di risanamento e responsabilità civile del professionista attestatore, in La responsabilità civile,
2012, 573-574. Sul tema della definizione di quali siano i diritti della massa v. PAGNI, Le azioni
di massa e la sostituzione del curatore ai creditori, in Fallimento, 2007, 1037 ss.
(202) Così, invece, nell’unico precedente che consta edito in materia: v. Trib. Venezia, 19 maggio 2015 (ord.), in Dir. fall., II, 1040, in cui il tribunale autorizza il sequestro
conservativo contro amministratori, sindaci e attestatore di una società fallita, in virtù del
danno cagionato dal ritardo.
(203) NARDECCHIA, Le esenzioni dall’azione revocatoria e il favor per la soluzione negoziale
della crisi d’impresa, cit.; MEO, I piani “di risanamento” previsti dall’art. 67, l. fall., cit., 59.
IL PIANO DI RISANAMENTO ATTESTATO
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che il periodo sospetto sia breve e decorra dalla data di fallimento, senza
alcuna “consecuzione” ai sensi dell’art. 169-bis l. fall. rispetto all’adozione
del piano attestato, farà sovente sì che l’“esenzione” consegua non tanto al
piano in sé (come esenzione vera e propria), quanto al decorso del tempo
successivo al piano e prima che questo si riveli infattibile e conduca al
fallimento.