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magazzino di filosofia quadrimestrale di informazione, bilancio ed esercizio della filosofia n° 29, anno X, 2016-17/ B10: s e g m e n t i (peer review) P.E.M. M a g a z z i n o d i F i l o s o f i a Quadrimestrale di informazione, bilancio ed esercizio della filosofia *Direttore responsabile: Alfredo Marini (Pavia) *Redazione: Fiorenza Bevilacqua (Milano), Gianvito Brindisi (Napoli), Riccardo Lazzari (Milano), Simone L. Maestrone (Bonn), Alfredo Marini (Milano), Massimo Mezzanzanica (Milano), Claudio Paravati (Verona), Alessandra Rauti (Milano), Giacomo Rinaldi (Urbino), Erasmo S. Storace (Milano), Franco Sarcinelli (Milano), Roberto Valentini (Milano), Fabio A. Volontè (Varese), Alessandra Zambelli (Parigi) *Comitato di consulenza e direzione scientifico-editoriale: Gaetano Carlizzi (Napoli), Luigi Ceccarini (Milano), Giorgio Galli (Milano), Franco Gallo (Crema), Santino Maletta (Bergamo), Carlo Montaleone (Milano). *Comitato scientifico: Laura Boella (Milano), Francesca Bonicalzi (Bergamo), Claudio Bonvecchio (Varese), Silvana Borutti (Pavia), Ronald Bruzina (Lexington, Ky), Giuseppe Cacciatore (Napoli), Giuseppe Cantillo (Napoli), Renato Cristin (Trieste), Gianfranco Dalmasso (Bergamo), Davide D’Alessandro (Urbino), Bianca Maria d’Ippolito (Salerno), Dimitri Ginev (Sofia), Klaus Held (Wuppertal), HansUlrich Lessing (Bochum), Giovanni Piana (Cosenza), Stefano Poggi (Firenze), Frithjof Rodi (Bochum), Gianni Scalia (Bologna), Franz-Anton Schwarz (Freiburg i. Br.), Corrado Sinigaglia (Milano), Guy van Kerckhoven (Bruxelles/ Bochum), Mario Vegetti (Pavia), Stefano Zecchi (Milano). *Collaboratori: Sergio Audano (Chiavari), Luigi Azzariti-Fumaroli (Napoli), Jan Bednarich (Gorizia), Cristina Boracchi (Gallarate), Pierpaolo Casarin (Milano), Flavio Cassinari✝ (Pavia), Andrea Cudin (Trieste), Marco de Angelis (Urbino), Carmine Di Martino (Milano), Miriam Franchella (Milano), Andrea Gilardoni (Milano), Sergio Levi (Milano), Pier Giuseppe Milanesi (Pavia), Walter Minella (Pavia), Luca & Mirela Oliva (Chestnut Hill, Ma.), Fabrizio Palombi (Roma). *Recapiti: email: info@filosofiacontemporanea.it; Associazione P.E.M, via Emilia 24, I-27100 Pavia (PV), tel.: +39.0382.475098; e-mail: “Alfredo Marini” eawqmbis@gmail.com; “Riccardo Lazzari” rlazzari@tin.it; “Massimo Mezzanzanica” massimo.mezzanzanica@gmail.com; “Gianvito Brindisi” gvbrindisi@libero.it *Rubrica “Aggiornamenti”, inviare a: Massimo Mezzanzanica o: Alfredo Marini <eawqm<massimo.mezzanzanica@gmail.com>. bis@gmail.com>; *SCHEDE e RECENSIONI, inviare a: Riccardo Lazzari <rlazzari@tin.it>/ o: “Massimo Mezzanzanica” <massimo.mezzanzanica@gmail.com>. *Leggi nn. correnti sul Sito www.filosofiacontemporanea.it (clic su “Expand”). *Acquista copie cartacee dei nn. correnti sul Sito www.filosofiacontemporanea.it (clic sulla copertina, poi su “Copie Cartacee”) *Leggi una selezione dei nn. arretrati (anni 2001/10, nn. 1-18) sul Sito www.francoangeli.it (clic su “Riviste”, o telefona all’Ufficio Riviste, tel. 02 2837141). *Acquista le copie cartacee dei nn. arretrati (anni 2001/10, nn. 1-18 salvati dal macero) con email a: “Alfredo Marini” eawqmbis@gmail.com *Autorizz. del Tribunale di Pavia n. 508 del 14.04.2000, Quadrimestrale elettr., Dir. resp.: Alfredo Marini. II° quadrimestre 2016 / II° quadrimestre 2017, Finito di stampare nell’agosto 2017. verum ipsum factum Sommario Friedrich-Wilhelm von Herrmann, La purezza del pensiero ontostorico 5 Richard Polt, I Quaderni neri come diari filosofici 13 Luca Vanzago, Sui Quaderni neri di Heidegger. Qualche notazione fenomenologica 31 Francesca Brencio, Martin Heidegger e la riflessione sul male: dall’etica originaria ai Quaderni neri 39 Alfredo Marini, Alle fonti di Heidegger. L’importanza dell’opera di Dilthey fino ad ‘Essere e tempo’. (1°) 97 Giacomo Rinaldi, Storicismo e metafisica nella filosofia contemporanea Marco de Angelis, Il concetto rinaldiano dell’idealismo filosofico 125 145 FILOSOFIA & LETTERATURA Fabrizio Ferreri, Facebook: il topos “libro-mondo”. Spunti per una riflessione 157 Storia della Scienza Antica & Epistemologia delle Scienze Umane Livio Rossetti, La filosofia virtuale di Parmenide, Zenone e Melisso. Uno sguardo alle prossime "Lezioni Eleatiche" 169 c/ di Fiorenza Bevilacqua 193 Chiuso in redazione il 05.08.2017 da Alfredo Marini e Massimo Mezzanzanica Rivista finanziata dalla Fondazione Banca del Monte di Lombardia ISBN: 978-1974323913 ISSN: 1592–5919 Questa rivista prodotta in collaborazione con l’“Istituto Italiano per gli Studi Filosofici” di Napoli, esce per l’“Istituto Lombardo di Studi Filosofici e Giuridici”, ora “Istituto Filosofico Lombardo presso la Società Umanitaria” di Milano ed è espressione della ASSOCIAZIONE P.E.M. - MEDICINA ANTICA & SCIENZE UMANE (Pavia) Francesca Brencio, Martin Heidegger e la riflessione sul male: dall’etica originaria ai Quaderni Neri (QN). “Amo coloro che sanno vivere anche se sono coloro che cadono perché essi sono coloro che attraversano” F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra “Non conosciamo scopi, siamo solo un passaggio (Gang)” M. Heidegger, Quaderni Neri I. Introduzione Da quando sono stati pubblicati, i QN di Martin Heidegger hanno attirato l’attenzione dell’intero mondo accademico e della stampa, fino ad essere consegnanti al grande pubblico dei suoi lettori (ma anche dei semplici curiosi) come i “libri più scandalosi” della sua intera produzione e, come conseguenza di questo clamore, il nome di Martin Heidegger è di nuovo tornato sui media di tutto il mondo con una certa verve polemica ed accusatoria. Questa massiva attenzione rivolta ai “quaderni di lavoro”, i fiumi di inchiostro profusi sulle loro interpretazioni sin dal momento della loro pubblicazione fino a oggi e un uso eticamente questionabile dei media ha creato un’immagine di questo dibattito che non esito a definire non filosofica, prossima all’ideologia e affetta da isterismi. Considerati come l’opera che inchioderebbe Heidegger alla sua responsabilità verso l’Olocausto e il terzo Reich, i QN sono stati presi da molti come la “prova lampante” che dimostra le compromissioni (filosofiche e politiche) di Heidegger con il nazismo e con l’antisemitismo e su questa base si è proceduto a stabilire l’inaccettabilità della meditazione heideggeriana nel novero del pensiero “filosoficamente” rispettabile1. In questo scenario, i QN sembrano essere il solo argomento su cui ogni studioso è tenuto a pronunciarsi e non è necessario che questi abbia trascorso una vita in una Auseinandersetzung mit Heidegger: è sufficiente che abbia ‘qualcosa’ da dire, senza tuttavia vagliare con acribia se tale etwas sia filosoficamente inerente alla meditazione heideggeriana. Va da sé che tale invito è stato accolto sia da coloro che avevano necessità di nuove zuffe filosofiche per conquistare popolarità, sia da coloro che dovevano accodarsi Cf. J. Malpas, On the Philosophical Reading of Heidegger: Situating the Black Notebooks, in: J. Malpas, I. Farin (eds.), Reading Heidegger’s Black Notebooks (1931-1941), MIT 2016, p. 4. 1 39 all’ultima moda filosofica, ma anche da coloro per i quali, parafrasando Dostojevskij, due più due non faceva quattro. In questo scenario, tutta l’attenzione dei “filosofi di professione” (come diceva Kant) così come degli heideggeriani dell’ultimo momento si è concentrata solo sugli Schwarze Hefte: nessuno ha più scritto o parlato di Essere e tempo, di Besinnung, del detto di Anassimandro, di Eraclito, o dei corsi su Schelling, Fichte, o delle riflessioni su Nietzsche o Hegel – solo per menzionare alcuni fra gli interlocutori filosofici che hanno impegnato Heidegger nel corso della sua meditazione. Gli unici libri che venivano (e ancora vengono) citati nel pubblico dibattito sono solo le Überlegungen (Riflessioni) e le Anmerkungen (Annotazioni) e, come raccomanda il trend del momento, solo nella misura in cui esse possono sottolineare l’antisemitismo di Heidegger. Allo stesso modo, non posso omettere di notare come la maggior parte degli studiosi di Heidegger abbia scritto e interpretato questi testi senza leggerli nella loro interezza, e solo pochi, pochissimi si siano assunti la responsabilità di scrivere e parlare solo dopo aver portato a compimento la fatica di leggere l’“heideggerese” che, per altro, in queste 1900 pagine è ancora più difficile di quanto non sia nelle altre opere2. Se lo stile è la prima difficoltà con cui l’interprete si è confrontato, la scarsa disponibilità’ di traduzioni (e non solo in italiano) è la seconda difficoltà. Nel momento stesso in cui sto scrivendo queste mie riflessioni, manca il quarto volume dei Quaderni in traduzione italiana e le versioni inglese, francese spagnola e portoghese tardano ad essere disponibili nella loro integrità. Tuttavia, di contro, si hanno numerose traduzioni di interpretazioni che hanno a oggetto questi testi: prima ancora che il lettore sia in grado di leggere cosa Heidegger viene appuntando nei suoi quaderni di lavoro, si spiega già come intendere e pensare ciò che (forse) si leggerà poi – come se, prima ancora di leggere Il fu Mattia Pascal, qualcuno ci dica come interpretare i personaggi e le gesta che compiono. Questa mancanza di traduzioni delle fonti, a fronte di una abbondanza di studi interpretativi, ha avuto come conseguenza la necessità di discernere fra coloro che hanno scritto perché consapevoli, coloro che hanno scritto per desiderio di popolarità, e coloro che si sono accodati ai secondi – discernimento che tuttavia non si è compiuto nella solitudine di cui si nutre lo studioso costantemente in dialogo con se stesso, ma che ha conosciuto ampie platee internazionali in cui il principio del relata refero ha sostituito le buone prassi ermeneutiche e più in generale filologiche. Questa anche la posizione sostenuta da J. Grondin, The critique and Rethinking of Being and Time in the first Black Notebooks, in: J. Malpas, I. Farin (eds.), Reading Heidegger’s Black Notebooks (1931-1941), cit., p. 98-99. 2 40 Nel ricco scenario delle interpretazioni si sono potute scorgere differenti posizioni: alcuni accademici hanno proposto la idea naïve di prendere i passi degli Schwarze Hefte, ovviamente solo quelli che “provano” il suo antisemitismo, come lenti interpretative con cui leggere l’intera produzione heideggeriana. Altri hanno proposto di leggere tutto il pensiero ontologico di Heidegger (la Seinsfrage e il suo sviluppo sistematico) in termini di contaminazione con l’antisemitismo, in base a una ‘strana’ inferenza: dal momento che nei quaderni di lavoro Heidegger parla dei sette trattati ontologici, coevi ai quaderni, attraverso cui si avvia il nuovo pensiero dell’essere, e dal momento che nei Quaderni egli parla degli ebrei seguendo degli stereotipi tipici della propaganda antisemita dell’epoca, allora in questi sette trattati potremmo trovare implicazioni antisemite tipiche di quella propaganda e potremmo vedere come il pensiero ontologico che essi tematizzano, cioè la storia dell’essere nel suo movimento logico e storico, possa essere contaminato da questo antisemitismo3 – e forse questa è davvero la parte più pericolosamente miope della ricezione dei QN. Altri interpreti hanno scelto di leggere i QN come un caso evidente di antisemitismo metafisico, interpretando a proprio uso e consumo la nota proposizione contenuta nelle Überlegungen XIV in cui si legge “la questione del ruolo dell’ebraismo mondiale non è razziale, bensì è metafisica”4 e descrivendo una parabola antisemita della filosofia europea che in Heidegger raggiungerebbe il suo apex5 – la logica del setaccio unico rischia di essere uno strumento pericoloso quando si perde di vista la complessità del pensiero filosofico. Altri ancora hanno persino proposto di espellere la riflessione di Heidegger dalla storia della filosofia a causa del suo nazismo e del suo antisemitismo6, ipotesi questa che se fosse presa in considerazione seriamente saremmo legittimati a pensare di espellere dalla storia della letteratura francese Arthur Rimbaud per il traffico di uomini di cui si macchiò in Africa, o Frege dalla storia del pensiero scientifico e logico perché un dichiarato razzista e antisemita7. Altri ancora 3 Cf. P. Trawny, Heidegger und der Mythos der jüdischen Weltverschwörung, Klostermann Verlag, Frankfurt am M., 2014. 4 M. Heidegger, Überlegungen XIV, in: Überlegungen XII-XV (Schwarze Hefte 19391941), in: GA 96, hrsg. von P. Trawny, Klostermann, Frankfurt a.M. 2014, p. 243; Riflessioni XIV, in: Riflessioni XII-XV (Quaderni Neri 1939-1941), tr. it. c/ di A. Iadicicco, Bompiani, Milano 2016, p. 315. 5Cf. D. Di Cesare, Heidegger e gli ebrei. I Quaderni Neri, Bollati Boringhieri, Torino 2014; Eadem, Heidegger & Sons, Bollati Boringhieri, Torino 2015. 6 Cf. R. Wolin, National Socialism, World Jewry, and the History of Being: Heidegger’s Black Notebooks, in: “Jewish Review of Books”: http://jewishreviewofbooks.com/articles/993/national-socialism-world-jewry-and-the-history-of-being-heideggers-black-notebooks/ 7 Cf. F. Brencio, Premessa, in: F. Brencio (ed.), La pieta’ del pensiero. Heidegger e i Quaderni Neri, Aguaplano – Officina del libro, Passignano s. T. 2015, p. 9. 41 hanno visto nella querelle sui Quaderni heideggeriani l’occasioni per rinvigorire le proprie ossessioni che di filosofico hanno ben poco, sebbene si prestino a una propaganda ben confezionata per le masse8. Eppure, se davvero i Quaderni heideggeriani si fossero meditati con attenzione, molte delle posizioni elencate qui sopra e molte congetture da esse derivate si sarebbero potute facilmente evitare. Mi è difficile non fornire al lettore, in via del tutto preliminare alle riflessioni che svilupperò in questo contributo, alcuni passaggi interessanti da questi “quaderni di tela cerata nera” come ad esempio quello contenuto in Riflessioni V: Non appena una filosofia abbia raggiunto la domanda sull’essenziare dell’Essere (…) essa deve necessariamente pensare contro la propria epoca (…). Perciò la filosofia non può mai essere valutata “politicamente” né nel senso di un consenso, né in quello di un rifiuto. Una filosofia “nazionalsocialista” non è una “filosofia”, né serve al “nazionalsocialismo” – bensì corre semplicemente dietro ad esso come una noiosa | saccenteria, e da tale atteggiamento è già stata sufficientemente dimostrata l’incapacità di una filosofia. Dire che una filosofia sia “nazionalsocialista” oppure che non lo sia significa tanto quanto affermare che un triangolo è coraggioso oppure non lo è, cioè che è vile9. È mia convinzione piuttosto che i QN debbano essere letti e compresi criticamente, per esteso e confrontando il loro contenuto con gli altri lavori su cui il filosofo di Meßkirch stava lavorando nei medesimi anni. In tal senso credo corretto poter sostenere che queste opere non abbiano un carattere interpretativamente maggiore rispetto alle altre opere del filosofo10 e trovo necessario rimarcare come il rumore generato dalla loro ricezione non sia stato né continui ad essere di alcun aiuto nella comprensione di questi materiali: estrapolare alcuni passaggi sensazionalistici da questi testi, offrirli alle prime pagine di quotidiani senza alcuna cornice filosofica è un’operazione abbastanza lontana dall’esercizio della ragione filosofica e molto vicina alla pro8 E. Faye, Heidegger. L'introduzione del nazismo nella filosofia, Roma, L'Asino d'oro edizioni, 2012; Id., I fondamenti nazisti dell’opera di Heidegger, in: “Rivista di filosofia”, 3/ 2006, p. 439-56; Id., Soggettività e razza negli scritti di Heidegger, in: “Rivista di filosofia”, 1/ 2012, p. 69-90; Id., Essere e svastika. Heidegger, l’antisemitismo, l’affermazione dell’essenza tedesca, l’auto-annientamento del nemico, in: “MicroMega”, 97/ 2015, p. 98115. 9 M. Heidegger, Überlegungen V, in: Überlegungen II–VI (Schwarze Hefte 1931-1938), in: GA 94, hrsg. von P. Trawny, Klostermann Verlag, Frankfurt am Main 2014, p. 348; Riflessioni V, in: Riflessioni II-VI (Quaderni Neri 1931-1938), tr. it. c/ di A. Iadicicco, Bompiani, Milano 2015, p. 455-56. 10 Cf. F. Brencio, “Heidegger. Una patata bollente”. L’antisemitismo fra cristianità e Seinsgeschichtlichkeit, in: F. Brencio (ed.), La pietà del pensiero. Heidegger e i Quaderni Neri, cit., p. 107-86. 42 paganda ideologica che si nutre di tentativi di riscrittura del pensiero dell’autore in direzione di una sua delegittimazione. Altresì le discutibili scelte traduttorie con cui questi testi sono stati offerti al lettore italiano risentono di interpretazioni che viziano a priori la possibilità di affidare al fruitore del testo questi libri senza inficiarne la comprensione. Heidegger stesso era consapevole dei rischi di siffatti approcci quando insisteva sul rischio in cui si incappa nel momento in cui la riflessione filosofica si offre in pasto al giornalismo e all’opinione pubblica: “Dare tutto in pasto al pubblico, vale a dire annientare ogni esserci reale. Tutto questo non è che un marxismo alla rovescia e in quanto tale tanto più pericoloso perché così la truffa – quella spirituale – è ancora più nascosta”11. Proprio a causa della loro struttura, cioè per il fatto di essere appunti di lavoro e note personali e non scritti sistematici, queste opere si prestano facilmente a vari usi e a molteplici depredazioni delle quali, le più note, sono quelle in cui Heidegger accenna agli Ebrei e che sono state passate al pubblico come prova del suo antisemitismo. È estremamente difficile non concordare con von Herrmann quando scrive che “lo scandalo non sono i 14 passi delle Riflessioni in questione: lo scandalo è unicamente il modo – falsificante, diffamatorio, profondamente falso – di rapportarsi a questi passi”12. Questo mio scritto è volto a discutere ed esporre i seguenti punti: in primo luogo, come la principale interpretazione dei QN – quella secondo la quale l’antisemitismo di Heidegger caratterizzerebbe la storia dell’essere, M. Heidegger, Überlegungen und Winke III, in: Überlegungen II–VI (Schwarze Hefte 1931-1938), in: GA 94, cit., p. 158-59; Riflessioni e Cenni III, in: Riflessioni II-VI (Quaderni Neri 1931-1938), cit., p. 209. Cf. anche M. Heidegger, Anmerkungen II, in: Anmerkungen I-V (1942-1948), in: GA 97, hrsg. von P. Trawny, Klostermann Verlag, Frankfurt am Main 2015, p. 128: “Es gehört zum besonderen Glück der flachen Köpfe, daß sie das Unheil, das sie wegfegt, nicht als solches zu denken vermögen, daß sie vielmehr bei ihrem Rechnen nach schuldig und nicht schuldig immer abgeleiteten Erscheinungen die Schuld geben und sich am Schauspiel des öffentlichen Meinungsbetriebs beteiligen”; Id., Anmerkungen II, in: Anmerkungen I-V (19421948), in: GA 97, p. 158: “Verehrender als die Hitzewelle der Atombombe ist der ‘Geist’ in der Gestalt des Weltjournalismus. Jene vernichtet, indem sie nur auslöscht; dieser vernichtet, indem er den Schein von Sein errichtet auf dem Scheingrund der unbedingten Würzellosigkeit. Der absolute Journalismus betäubt die heute Stil gewordene Angst vor dem Denken und sorgt so für die gründlichste Ausrottung des Denkens. Wir müssen uns und die Kommenden darauf bringen, daß inskünftig für lange Zeit das Denken ein kostbarer Schatz bleibt, den man am besten hütet, wenn man ihn tief vergräbt. Mit ‘Pessimismus’ hat das nichts, aber viel mit Nüchternheit zu tun”; Id., Anmerkungen V, in: Anmerkungen I-V (1942-1948), in: GA 97, p. 460: “Die Herrschaft der öffentlichen Meinung ist schon so diktatorisch, daß jede Überlegung dieser Art einfach als ‘nazistisch’ erklärt und damit unwirksam gemacht wird”. 12 F.-W. von Herrmann, Necessarie chiarificazioni sui Quaderni Neri, in: F.-W. von Herrmann, F. Alfieri, Martin Heidegger. La verità sui Quaderni Neri, Morcelliana, Brescia 2016, p. 34s. 11 43 interpretazione per la quale è legittimo parlare di un antisemitismo ontologico, posizione questa sostenuta dal curatore dell’edizione tedesca dei Quaderni – sia fondata su una serie di fallacie e sorretta da una serie di fraintendimenti concettuali che producono solo una petitio principii e una serie consequenziale di bias di conferma. In secondo luogo, mi soffermerò sul recente lavoro di Jean-Luc Nancy, Banalità di Heidegger13, illustrandone i limiti. Partendo dalla sua brillante interpretazione dell’etica originaria in Heidegger nell’opera L’éthique originaire de Heidegger14, mi soffermerò sul fraintendimento in cui Nancy inciampa seguendo la pista ermeneutica fornita dal curatore tedesco dei Quaderni Neri e sottolineerò come l’etica originaria realizzata in Essere e tempo sia parte della più ampia cornice sorretta dall’interrogazione ontologica dell’opera del ’27. In terzo luogo, mostrerò come la relazione di Heidegger con il nazismo abbia giocato un ruolo davvero limitato nella sua riflessione filosofica e rimanga completamente avulso dalla storia dell’essere (Seinsgeschichte). In questa direzione si muoverà l’analisi delle Überlegungen e delle Anmerkungen al fine di fornire al lettore tutti quei passaggi, volutamente taciuti da alcuni interpreti, in cui Heidegger si scaglia violentemente contro il nazionalsocialismo, contro ogni nazionalismo e contro Hitler. Infine, entrerò nel tema che titola questo contributo: le concrete responsabilità della meditazione di Heidegger nei confronti dell’Olocausto. Queste riflessioni dovrebbero essere lette tenendo a mente il noto motto di Tacito: sine ira et studio. Esse non si configurano come un’apologia di Heidegger, né tanto meno come una difesa delle sue stesse parole. Non sono nemmeno una polemica contro alcuni studiosi, né un attacco personale contro alcuni di essi e neanche un controcanto a qualche interpretazione andata per la maggiore. Altresì, questo scritto non nutre neanche la pretesa di essere un esame esaustivo di qualsiasi argomento che rientri nello spettro del noto Heidegger affair; piuttosto, esso è un semplice tentativo di indagare il pensiero di Heidegger filosoficamente. In questi anni di lavoro sulla meditazione di Heidegger e, più di recente, sui suoi quaderni di lavoro, la mia strada è stata illuminata dalle parole di Gadamer: Se uno è convinto di essere “contro” Heidegger – o anche se si crede semplicemente di essergli “favorevole” – si renderebbe ridicolo. Non è così semplice passare davanti al pensiero15. 13 14 2001. J. L. Nancy, Banalité de Heidegger, Galilée, Paris 2015. J. L. Nancy, L’éthique originaire de Heidegger, in: La pensée dérobée, Galilée, Paris 15 H. G. Gadamer, I sentieri di Heidegger, tr. it. c/ di R. Cristin e (solo per il cap. 8) G. Moretto, Marietti, Casale Monferrato 1987, p. 98. 44 Queste parole hanno risuonato nella mia mente come una bussola nel mezzo del mare di interpretazioni in cui ho navigato in questi anni, lavorando da vicino sulle Überlegungen e sulle Anmerkungen. Considero essenziale ricordarsi della lezione kantiana nel contesto delle alterne vicende a cui il pensiero filosofico di Heidegger sembra legato sin dal suo sorgere: il bisogno di ragione deve essere più essenziale e più saldo della presunzione di aver ragione, ma a volte la filosofia stessa perde di vista questa eredità per seguire le mode del momento e le tendenze del mercato (filosofico e non), cosa che può produrre un certo livello di confusione – la logica del consenso non assicura lo studioso dall’accuratezza delle sue deduzioni e non affranca dagli errori. II. Cosa sono i Quaderni Neri? I QN sono 34 quadernini in cui Heidegger appuntò i suoi pensieri filosofici al pari delle sue opinioni personali dal 1931 al 1976. Solo dopo aver accettato la proposta di creare una edizione completa delle sue opere nel 1973, egli decise di pubblicarli alla fine della Gesamtausgabe. Da questo punto di vista è corretto affermare che i quaderni di lavoro dalla copertina di tela cerata nera non furono scritti con l’intenzione di essere dati alle stampe; piuttosto, è ragionevole pensarli come una sorta di “files di lavoro” – per usare il linguaggio di chi usa il computer per scrivere e annotare pensieri – in cui egli veniva appuntando i suoi pensieri filosofici, le sue idee, al pari delle sue opinioni personali. Per ben tre volte nel corpus dei Quaderni, Heidegger li definisce “tentativi di pensiero”16. Proprio all’inizio del primo volume di queste opere, egli scrive: “Le annotazioni dei Quaderni neri sono in nuce tentativi di un semplice nominare, non sono né enunciati né appunti per un progetto di sistema”17; essi sono solo tentativi per una linea di pensiero (Gedankengang)18. Sul significato di questi appunti riceviamo dall’“Appendice” di Besinnung intitolata “Uno sguardo retrospettivo sulla via, delle importanti chiarificazioni”. Lì Heidegger scrive: 16 Cf. P. Trawny, Nachwort des Heraugebers, in: M. Heidegger, Überlegungen II-VI (Schwarze Hefte 1931-1938), in: GA 94, hrsg. von P. Trawny, Klostermann Verlag, Frankfurt am Main 2014, p. 530; Postfazione del curatore, in: M. Heidegger, Riflessioni II-VI (Quaderni Neri 1931-1938), tr. it. c/ di A. Iadicicco, Bompiani, Milano 2015, p. 692. 17 M. Heidegger, Winke X, Überlegungen (II) und Anweisungen, Überlegungen II-VI (Schwarze Hefte 1931-1938), in: GA 94, p. 1; Cenni X, Riflessioni (II) e Istruzioni, in: Riflessioni II-VI (Quaderni Neri – 1931-1938), cit., p. 3. 18 M. Heidegger, Besinnung, in: GA 66, hrsg. von F.-W. von Herrmann, Klostermann Verlag, Frankfurt am Main 1997, p. 330. 45 Ciò che è annotato in questi taccuini, soprattutto nel II, IV e V, rivela anche in parte le tonalità fondamentali (Grundstimmungen) del domandare e fornisce le indicazioni (Weisungen) verso gli estremi orizzonti dei tentativi di pensiero. All’apparenza dettati dalla situazione del momento, essi posseggono il carattere del costante sforzo in relazione all’unica domanda19. Eppure i QN sono stati consegnati ai lettori in modo da insinuare che si trattasse di un “testamento filosofico”20 in cui Heidegger confesserebbe il suo antisemitismo. Ciò è servito da pretesto (filosofico o meno non importa molto, osservando quanto è accaduto nel mondo dei “filosofi di professione”) per alcuni studiosi al fine di delineare un ritratto di Heidegger in termini non solo di persona direttamente coinvolta con il nazismo, non solo come membro del partito dal 1933, ma anche come un antisemita metafisico21. La possibilità di interpretare i QN in questa chiave è ovviamente legittima, anche se speculativamente infondata, ma la conseguenza peggiore non è banalmente questa, quanto quella tendenza di vestire il pensiero di Heidegger di attributi ideologici, dando vita a una controversia che si fonda su un uso discutibile dei testi usati per lo più solo come strumento per confermare i propri bias. Sia le Riflessioni (Überlegungen) che le Annotazioni (Anmerkungen) non sono un diario, dal momento che non posseggono quel tono intimista e autobiografico che i diari hanno, né tanto meno un testamento filosofico su questioni politiche; essi, piuttosto, combinano la forma stilistica dell’appunto o dell’aforisma con un contenuto altamente speculativo, e in rari casi cedono il passo a osservazioni di carattere personale. Lo stile con cui sono scritti ricorda quello dei Contributi alla filosofia (Dell’Evento), richiamandone il medesimo tono, sebbene in questo caso i contenuti siano ancora più complessi. Heidegger chiama i QN “appunti di seconda mano” o più semplicemente “quaderni di lavoro”. Quelli attualmente pubblicati dalla casa editrice tedesca Klostermann sono quelli che vanno dal 1931 al 1941 (e corrispondono ai volumi 94, 95, 96 della Gesamtausgabe e vanno sotto la dicitura Riflessioni), e quelli che vanno dal 1942 al 1948 (e che corrispondono al volume 97 della Gesamtausgabe, chiamati Annotazioni). Il nome “quaderni neri” deriva dalla copertina: nera, in tela cerata. 19 ”Was in diesen Notizbüchern vor allem II, IV und V festgehalten ist, gibt z.T. auch immer die Grundstimmungen des Fragens und die Weisungen in die äußersten Gesichtskreise der denkerischen Versuche. Scheinbar je nach Augenblicken entstanden, enthalten sie den Zug der unausgesetzten Bemühung um die einzige Frage”, ivi, p. 426. 20 Cf. P. Trawny, Heidegger und der Mythos der jüdischen Weltverschwörung, Klostermann Verlag, Frankfurt a. M., 2014, p. 14. 21 Cf. D. Di Cesare, Heidegger e gli Ebrei. I Quaderni Neri, Bollati Boringhieri, Torino 2014. 46 In queste opere lo studioso si confronta con una dimensione inedita della meditazione heideggeriana, cioè con il movimento del pensiero costantemente in dialogo con se stesso e immerso nella ricerca di risposte per un’unica domanda, cioè la questione dell’essere. Come suo fratello Fritz, Martin Heidegger scrive in una lettera del 1950 a Hugo Friedrich: “Heidegger è completamente se stesso nei suoi appunti privati (non nelle lezioni o nelle conferenze pubbliche); questi appunti privati sono qui quasi intatti, sono pochissimi sono stati trascritti. In questi appunti quella fondamentale attitudine che dovrebbe essere il principio e il fine di ogni filosofia manifesta se stessa; per lungo tempo l’ho chiamata ‘umiltà’”22. I quaderni di lavoro sono dunque uno strumento prezioso con cui comprendere alcuni passaggi e movimenti del pensiero filosofico di Heidegger, in cui le medesime contraddizioni in cui egli inciampa illuminano la strada dello sviluppo della sua meditazione. Questi quaderni di appunti sono dei tentativi di un pensiero che è costantemente “work in progress” e che non si arresta davanti ai misteri insondabili della Seinsfrage; piuttosto, essi indicano, accennano proprio a quell’unico indiscusso protagonista che attraversa queste 1900 pagine come un filo d’Arianna, cioè la filosofia e il suo in-attuale esercizio. Queste mie iniziali considerazioni forse possono essere d’aiuto nel comprendere i molteplici temi che vengono trattati in queste opere. Di contro a quanto molti quotidiani, numerosi blogs e molte interviste hanno sottoposto all’attenzione della pubblica opinione, il tema principale dei QN non è la questione ebraica; il tema principale di questi volumi è solo la domanda sul senso dell’essere e il suo oblio da parte della filosofia occidentale, le cui conseguenze nella modernità conducono al nichilismo che avvolge tutta la storia e in cui l’uomo si trova ad essere attore sradicato di una vicenda dai tratti escatologici, in cui tuttavia non vi è più alcuno spazio per la parousia del Cristo. Questi argomenti tratteggiano i contorni dei Quaderni, la cui complessità tematica è ampia e stratificata. In tal senso, qualsiasi interprete che ha insistito sulla questione antisemita, facendo semplicemente un “taglia e cuci” dei testi heideggeriani in cui comparivano le parole Jude, jüdisch e Judentum solo al fine di inserirli in un contesto di ricezione estremamente diverso da quello iniziale e originale, ha proposto una personale interpretazione delle fonti che non può essere considerata come l’interpretazione par excellence e che, soprattutto, non può essere considerata come fonte di verità. Non credo esser mio compito quello di invitare a ricordare che in filosofia verità e significato non sono la medesima cosa e la loro sovrapposizione spesso può condurre a errori e confusioni. 22 Lettera conservata nell’Archivio dell’Università di Freiburg im Breisgau. 47 Pochi, pochissimi fra coloro che hanno dedicato le loro energie e il loro tempo a studiare attentamente i QN hanno messo in evidenza pubblicamente la vastità dei temi che attraversa queste opere, vastità che tuttavia rimanda a un unico orizzonte cioè la Seinsfrage. Nei vari sentieri che si stagliano verso questo orizzonte compaiono la critica alla modernità, alla manipolazione (Machenschaft) del pensare e dell’agire; leggiamo le considerazioni sul fallimento del rettorato durato solo 9 mesi, la dura critica al nazionalsocialismo e a Hitler, la critica al comunismo e all’americanismo, le riflessioni su Hegel e su Parmenide, gli appunti su Nietzsche e su Hölderlin e molti altri temi ancora. Nelle oltre 1900 pagine di cui sono costituiti i volumi dei QN attualmente in commercio, Heidegger usa le parole Jude, jüdisch, Judentum in quattordici ricorrenze, delle quali solo in sette occasioni23 queste parole sono usate in un’accezione antigiudaica; le altre volte sono sempre usate in connessione con l’aggettivo “cristiano”. Le parole “cristianesimo”, “cristianità” e “cattolicesimo” sono disseminate nei quattro volumi con un particolare crescendo nel terzo e quarto volume dei Quaderni. La parola Machenschaft è usata più di duecento volte e solitamente in connessione con la Seinsfrage. Nelle sette occasioni in cui Heidegger usa le parole Jude, jüdisch, Judentum con un sapore antigiudaico, egli descrive gli Ebrei secondo quei pregiudizi tipici del primo Novecento, che sono descritti anche ne Le origini del totalitarismo da Hannah Arendt. Negli ultimi due volumi dei Quaderni possiamo notare un cambiamento nella modalità con cui Heidegger usa la parola “ebraico”: quasi sempre in connessione con la parola “cristiano” e quasi sempre in riferimento alla metafisica. Nei quaderni di lavoro, il filosofo viene appuntando la stretta connessione che scorge fra il carattere ebraico e il cristianesimo: incapaci di pensare l’essere distanziandosi dal solco della metafisica occidentale, entrambi aprono la via che conduce al nichilismo i cui devastanti effetti fanno la loro comparsa nell’epoca moderna e dei quali 23 Anche se la quantità delle ricorrenze nell’uso dei termini non è filosoficamente importante, essa dimostra tuttavia la scarsità con cui Heidegger parla degli Ebrei e testimonia come la Judenfrage non sia affatto il cuore della speculazione dell’autore, la quale in quanto tale non entra in alcun modo nella storia dell’essere in direzione di una qualsiasi forma di antisemitismo. Su questo punto si veda J. Grondin, The critique and Rethinking of Being and Time in the first Black Notebooks, in: J. Malpas, I. Farin (eds.), Reading Heidegger’s Black Notebooks (1931-1941), cit., p. 106; J. Malpas, On the Philosophical Reading of Heidegger: Situating the Black Notebooks, in: J. Malpas, I. Farin (eds.), Reading Heidegger’s Black Notebooks (1931-1941), cit., p. 20. Soprattutto quest’ultimo afferma: “L’affermazione secondo la quale il pensiero di Heidegger è antisemita nel suo nucleo più originario non può essere supportata mostrando meramente che Heidegger ha espresso o sostenuto un punto di vista antisemita (…). Ciò che deve essere mostrato è se l’antisemitismo sia all’opera nel suo pensiero, mostrando dove e come questa attitudine antisemita sia effettualmente e concretamente all’opera nella sua riflessione”. 48 lo sviluppo della Machenschaft, i campi di concentramento e l’Olocausto sono solo le conseguenze più evidenti. In questo contesto un posto particolare è occupato dalla violenta critica al cristianesimo che lentamente si affaccia dal primo volume dei Quaderni per raggiungere un crescendo nell’ultimo. Se si percorre questa klimax speculativa ci si rende conto che la critica al cristianesimo e in particolare al cattolicesimo non è semplicemente una questione di educazione o la conseguenza del distacco dal cattolicesimo nel 1919 – come la ben nota lettera a padre Krebs testimonia; piuttosto, essa è un’esigenza interna alla stessa storia dell’essere. La distinzione fra cristianismo (Christentum) e cristianità (Christlichkeit) così come fu sviluppata nella conferenza del 1927 a Tübingen – intitolata Fenomenologia e Teologia – si approfondisce nei QN e acquisisce un aspetto del tutto nuovo alla luce dell’accento posto da Heidegger sulla distinzione fra il kerygma della predicazione paolina e l’organizzazione storico-politica che il cristianesimo assume nella sua storia. La critica al cattolicesimo affonda le sue radici nella critica alla matrice giudaico-cristiana della società occidentale in cui il posto dell’essere è occupato da Dio. Ogni tentativo di comprendere l’uomo a partire dai presupposti di questa tradizione conduce verso un dogmatismo metafisico che allontana dalla Seinsfrage: Tutte le dottrine dell’uomo (quella ebraico-cristiana ad esempio) che lo determinano immediatamente in base alla sua relazione a un Dio, sono antropologiche – | per cui già nell’antropologia non cristiana, e in quelle che vorrebbero esserlo ma non possono esserlo, proprio l’antropologia cristiana e il suo impianto dottrinale, seppure in una mera inversione, devono giocare un ruolo essenziale24. Sovente Heidegger usa la parola “lotta” in relazione al cristianismo e al cattolicesimo e questo è un dato che non passa inosservato nello studio attento dei Quaderni: Combattere il cattolicesimo in quanto centro che si trasforma acquistando una valenza politico-spirituale – con tutta la struttura intimamente salda della sua rafforzata “organizzazione” ecclesiastica – è un’esigenza fondamentale25. La lotta contro la chiesa cattolica è la lotta contro quel determinato modo di 24 M. Heidegger, Überlegungen VI, in: Überlegungen II–VI (Schwarze Hefte 1931– 1938), in: GA 94, cit., p. 475-76; Riflessioni VI, in: Riflessioni II-VI (QN 1931-1938), cit., p. 621. 25 M. Heidegger, Überlegungen und Winke III, in: Überlegungen II-VI (Schwarze Hefte 1931-1938), in: GA 94, hrsg. von P. Trawny, Klostermann Verlag, Frankfurt am Main 2014, p. 186; Riflessioni e Cenni III, in: Riflessioni II-VI (QN 1931-1938), cit., p. 246. 49 pensare che ha dominato la società occidentale, cioè la metafisica occidentale: è la lotta contro un modo di pensare definito “senza fondamento”, “senza verità”, incapace di interrogare l’essere per volgere lo sguardo solo sull’uomo: Nel frattempo si pretende il cristianesimo positivo – ovvero lo si ammette, sulla base del Concordato e del generale smarrimento e del bisogno di una certa “moralità”; inoltre – oltre a queste dottrine – ci sono gli eccessivamente frettolosi, che fanno della “fede” un movimento; infine quelli che mescolano un germanesimo poco chiaro con un cristianesimo ancora più esile26. Evidenti in queste riflessioni sono gli echi della riflessione di Franz Overbeck e lo studio di Lutero, sebbene la riflessione filosofica heideggeriana abbia una specifica ricchezza concettuale che si manifesta nell’interrogazione ontologica. Per Heidegger la chiesa cattolica altro non è che un retaggio dell’esperienza post-tridentina ormai inutile per la fede. Ciò che va combattuto non è la cristianità (Christlichkeit), cioè la fede in Cristo, ma l’organizzazione della chiesa cattolica (Christentum) che contribuisce, con i suoi strumenti, a rendere miope l’uomo e a condurlo verso l’allontanamento dalla relazione con l’essere27: “Il cristianismo e la scienza sono in ugual misura ciò che nientifica, che opprime la relazione con l’essere e l’inizio di questa relazione, e precisamente la opprime e la fa dimenticare sotto la forma dello ‘sviluppo’ e di una ‘elevazione morale’”28. La tradizione giudeo cristiana, al pari dell’ellenismo, è la matrice fondamentale della dimenticanza dell’essere: “Il cristianismo, cioè l’organizzazione paolino-gnostico-romano-ellenistica del vangelo della vita di Gesù (…) non ha a nulla a che fare con l’Occidente, poiché rinnega la Grecità”.29 E ancora: “Il cristianismo è metafisica, cioè quella fede cristiana che si spaccia per conoscenza. La Cristianità è la fede in Cristo in quanto Cristo. Chi pensa contro il cristianismo, non M. Heidegger, Überlegungen und Winke III, in: Überlegungen II-VI (Schwarze Hefte 19311938), in: GA 94, hrsg. von P. Trawny, Klostermann Verlag, Frankfurt am Main 2014, p. 184; Riflessioni e Cenni III, in: Riflessioni II-VI (QN 1931-1938), cit., p. 244. 27 Cf M. Heidegger, Überlegungen VIII, in: Überlegungen VII-XI (Schwarze Hefte 1938/39), in: GA 95, hrsg. von P. Trawny, Klostermann Verlag, Frankfurt am Main 2014, p. 96; Riflessioni VIII, in: Riflessioni VII-XI (QN 1938-1939), tr. it. c/ di A. Iadicicco, Bompiani, Milano 2016, p. 128-29. 28 M. Heidegger, Anmerkungen I, in: Anmerkungen I-V, in: GA 97, cit., p. 75: “Christentum und Wissenschaft sind zu gleichen Maßen das Vernichtende, das niederhält den Bezug zum Seyn und den Anfang dieses Bezuges und zwar niederhält und vergessen macht in der Gestalt des ‘Aufbaus’ und der ‘Erbauung’”. 29 M. Heidegger, Anmerkungen II, in: Anmerkungen I-V, in: GA 97, cit., p. 144: “Das Christentum, d. h. die paulinisch-gnostisch-römisch-hellenistische Organisation des evangelischen Lebens Jesu (…) hat mit dem Abendland nichts zu tun, weil es das Griechentum verleugnet”. Si veda anche Anmerkungen I, p. 37. 26 50 pensa contro la Cristianità. […] Il sostantivo “cristiano” rimane ambiguo: esso nomina o un qualche cristianismo o colui che crede in Cristo”.30 La chiesa cristiano-cattolica è dunque considerata al pari di un movimento populista31 e proprio per questo motivo essa procede di pari passo con la democrazia. Le numerose conversioni che nutrono le fila della chiesa cristiana cattolica sono il prodotto del processo di democratizzazione32 attraverso cui si può anche fare a meno della filosofia, dal momento che il bisogno dei fedeli è soddisfatto dalla teologia, la scienza positiva della fede: “Perché adesso si volgono in molti alla chiesa cattolica? Per paura del cattolicesimo. Il cattolicesimo politico è stato sostituito dalla politica ‘cattolica’ (…). La ‘chiesa’ cattolica si inganna quando pensa che quelli che accorrono a lei siano spinti da un ‘bisogno religioso’, e il nazionalsocialismo non dovrebbe meravigliarsi per il fatto di dover diventare colui che segna il passo di questo accorrere (…). Ciò che è ‘cattolico’ però non fu mai (…) ‘cristiano’ (…). Ciò che è ‘cattolico’ conquistò per la prima volta l’autentica forma nel gesuitismo (…), modello occidentale per tutta l’obbedienza incondizionata, per l’eliminazione di ogni volontà propria”33. Eppure fra la teologia e il pensare della filosofia permane una differenza sostanziale che sia il cristianesimo che ogni altra fede non riuscirà mai a livellare: “Al pensare appartiene ciò: di pensare, cioè che l’esse <Seyn> è sia più di Dio che troppo poco per Dio. […] Dio è il Dio di Abramo, il Dio di Gesù. Ma non c’è alcun dio dell’esse <Seyn>. Già solo il pensiero di un qualche dio del genere sarebbe blasfemia. Ecco perché non c’è alcun dio per il pensare. Il pensare, che è un pensare, non è uno strabismo verso quei compromessi con il dominio della fede, lascia Dio “esse” <seyn> Dio più di quanto faccia la fede. Il pensare lascia Dio esse <seyn> Dio, nella misura in cui si mantiene distante dall’esse <Seyn> e mantiene questa distanza fra dio ed esse <Seyn>”34. Heidegger torna con insistenza sul concetto di divinità tipico della tradizione giudeo-cristiana, problematizzandone il fondamento di unicità: 30 M. Heidegger, Anmerkungen II, in: Anmerkungen I-V, in: GA 97, cit., p. 204s.: “Christentum ist Metaphysik, die den christlichen Glauben als Wissen ausgibt. Christlichkeit ist der Glaube an Christus in Christus. Wer gegen das Christentum denkt, denkt nicht gegen die Christlichkeit (…). Der Name ‘christlich’ bleibt zweideutig; er sagt entweder: christentümlich, oder: Christ-gläubig”. 31 Cf. M. Heidegger, Anmerkungen III, in: Anmerkungen I-V, in: GA 97, cit., p. 247. 32 Cf. M. Heidegger, Anmerkungen V, in: Anmerkungen I-V, in: GA 97, cit., p. 459s. 33 M. Heidegger, Überlegungen X, in: Überlegungen VII-XI (Schwarze Hefte 1938/39), in: GA 95, hrsg. von P. Trawny, Klostermann Verlag, Frankfurt am Main 2014, p. 325-326; Riflessioni X, in: Riflessioni VII-XI (QN 1938-1939), tr. it. c/ di A. Iadicicco, Bompiani, Milano 2016, p. 428-429. 34 M. Heidegger, Anmerkungen IV, in: Anmerkungen I-V, cit., p. 357: “Zum Denken gehört dieses: zu denken, daß das Seyn zumal mehr sei als Gott und zu wenig für Gott. (…) Gott ist der Gott Abrahams, ist der Gott Jesu. Aber es ist kein Gott des Seyns. Schon der 51 Sulla dottrina delle divinità. – Geova è il dio che presume di fare di se stesso il dio eletto e non tollera nessun’altra divinità accanto a sé. Pochissimi immaginano che questo Dio, ciò nonostante, e necessariamente, debba annoverarsi fra gli dei (…). “Dio è” – dire così è una sconsideratezza (Gedankenlosigkeit).35 La critica heideggeriana al cristianismo si declina dunque su tre livelli punti: a un primo livello, è critica storica, poiché nello sviluppo storico del cristianesimo si assiste a quella contaminazione con la romanitas attraverso cui la cristianità perde il suo specifico contenuto di fede per diventare progressivamente nel corso dei secoli un sistema politico, fino Concordato del 20 Luglio 1933 fra la Santa Sede e il Reich: L’imminente Concordato con la chiesa cattolica deve costituire una vittoria, perché i preti vanno cacciati dalla ‘politica’. Si tratta di un inganno; l’organizzazione incomparabilmente bene organizzata resta la potenza dei preti, in ogni caso, – è solo ‘ancora più santa’ e, nel corso dei vari maneggi e manipolazioni, si farà ancora più logora.36 A un secondo livello, è critica politica dal momento che egli scorge un nesso fra politicizzazione della cristianità e diffusione del cristianesimo: “Il moderno sistema di dittatura totale proviene dal monoteismo giudaico-cristiano”37. Infine, a un terzo livello è critica speculativa di quel contenuto che proviene dalla tradizione giudeo-cristiana per la quale l’uomo, in termini di ens creatum, ha accesso all’esistenza solo nella sua relazione con un Dio creatore che prende il posto di quell’essere che il pensiero dei presocratici aveva tentato di pensare e nominare. Il cristianesimo diventa un prodotto della Chiesa di Roma iscritto nel solco della metafisica. Il passo che va dalla dimenticanza dell’essere a un assoluto che tenti di raccoglierne il senso è breve: la Scolastica procede in direzione di quella cristianizzazione forzata Gedanke eines solchen Gottes wäre eine Blasphemie. Darum gibt es für das Denken keinen Gott. Das Denken, das ein Denken ist, und kein Schielen nach faden Ausgleichen mit der Herrschaft eines Glaubens, läßt eher Gott Gott »seyn« als der Glaube. Das Denken läßt Gott Gott seyn, insofern es ihn dem Seyn fernhält und diese Ferne zwischen dem Seyn und Gott aushält”. 35 M. Heidegger, Anmerkungen IV, in Anmerkungen I-V, in: GA 97, cit., p. 369: “Zur Götterlehre – Jehova ist derjenige der Götter, der sich anmaßte, sich zum auserwählten Gott zu machen und keine anderen Götter mehr neben sich zu dulden. Die Wenigsten erraten, wie dieser Gott auch so noch und zwar notwendig sich unter die Götter rechnen muß (…). »Gott ist« - so zu reden ist eine Gedankenlosigkeit”. 36 M. Heidegger, Überlegungen und Winke III, in: Überlegungen II-VI (Schwarze Hefte 1931-1938), in: GA 94, cit., p. 117-18; Riflessioni e Indicazioni III, in: Riflessioni II-VI (Quaderni Neri 1931-1938), cit., p. 155. 37 M. Heidegger, Anmerkungen V, in: Anmerkungen I-V, in: GA 97, cit., p. 438: “Die modernen Systeme der totalen Diktatur entstammen dem jüdisch-christlichen Monotheismus”. 52 della filosofia greca arcaica, l’uomo si fa soggetto e la fede viene declinata a partire dalla sua scienza positiva, cioè la teologia: “La confusione è talmente grande che non si riconosce nemmeno che queste filosofie ‘politiche’ e ‘legate al popolo’ sono solo misere propaggini della Scolastica”38. La critica heideggeriana al cristianismo non è una novità per coloro che sono famigliari con il pensiero dell’autore: infatti, sia nei Contributi alla filosofia (Dell’Evento), sia nelle memorie scritte di alcuni suoi allievi, fra i quali Gadamer39, Biemel40 e Müller41, si legge che ciò che Heidegger aveva in mente nel periodo fra il 1930 e il 1948 era di smantellare il primato del cristianismo (e del cattolicesimo in particolare) nella filosofia, primato che aveva “corrotto” e “alterato” il pensiero greco originario e che aveva inaugurato la strada verso l’oblio dell’essere della metafisica occidentale. All’interno di questo quadro concettuale, sin dalle prime lezioni friburghesi la parola tedesca Judentum indica non solo l’ebraismo in generale, ma anche quel carattere ebraico sovente abbinato da Heidegger alla parola “cristiano” e tale da creare il plesso linguistico “giudaico-cristiano” con cui Heidegger descrive la matrice metafisica dell’Occidente all’interno della quale la Modernità tutta è iscritta. Seguendo queste indicazioni concettuali, possiamo agilmente comprendere perché secondo Heidegger la matrice giudaico-cristiana della metafisica occidentale debba essere oltrepassata in vista di un nuovo pensiero da pensare. Oltrepassare la metafisica significa rompere con l’eredità giudaico-cristiana: il salto dell’essere sembra essere dalla Jena alla Jonia, per usare un’espressione di Franz Rosenzweig, saltando Roma e Gerusalemme. È in questo scenario concettuale che la proposizione contenuta in Riflessioni XIV – “la questione del ruolo dell’ebraismo mondiale non è razziale, bensì è metafisica” – deve essere compresa attentamente, evitando di prestare il fianco a interpretazioni antisemite. Con questa proposizione Heidegger non sta affermando che gli Ebrei in quanto ebrei hanno una particolare caratterizzazione metafisica; piuttosto, egli sta affermando che gli Ebrei in quanto iscritti nella modernità, la quale ha perso il significato dell’essere, 38 M. Heidegger, Überlegungen V, in: Überlegungen II-VI (Schwarze Hefte 1931-1938), in: GA 94, cit., p. 401; Riflessioni V, in: Riflessioni II-VI (Quaderni Neri 1931-1938), cit., p. 145. 39 Cf. H.-G. Gadamer, Die Religiöse Dimension, in: Gesammelte Werke, vol. 3, MohrSiebeck Verlag, Tübingen 1987, p. 389. 40 Cf. W. Biemel, Martin Heidegger, Rowohlt Taschenbuch Verlag, 1973; Id., Heidegger und die Phänomenologie in der Marburger Zeit, in: Husserl, Scheler, Heidegger in der Sicht neuer Quellen, Phänomenologische Forschungen, Bd. 6/7, Alber, Freiburg i. Br.-München, 1978, 141-223. 41 Cf. M. Müller, Ein Gespräch mit Max Müller, in Freiburger Universitätsblätter, Heft 92, Juni 1986, Verlag Rombach, Freiburg, pp. 13-31, in particolare p. 16-17. 53 sono nel solco della metafisica occidentale, al pari dei cristiani, dei russi, degli americani, dei comunisti e via dicendo. In altre parole, il ruolo giocato dagli Ebrei è il medesimo che spetta a tutta quell’umanità incapace di considerare l’oblio dell’essere e le sue conseguenze42. III. Antisemitismo ontologico: un ferro ligneo (hölzernes Eisen)? Prima di soffermarmi sulle mie osservazioni circa l’antisemitismo onto-storico proposto da Peter Trawny, vorrei richiamare l’attenzione del lettore su due questioni preliminari che interessano la lettura dei QN: una questione di natura ermeneutica, e una di natura ideologica. Considerando la questione ermeneutica, prima di qualsiasi interpretazione da proporre ritengo sensato sollevare la domanda circa la “cosa in sé”, cioè la natura dei Quaderni, la loro collocazione della meditazione di Heidegger e il modo con cui il lettore dovrebbe avvicinarsi ad essi. Queste questioni sono solitamente rilevanti per ogni libro che ci accingiamo a leggere 42 Tutta la produzione della studiosa Donatella Di Cesare è volta a dimostrare l’esistenza di un antisemitismo metafisico in Heidegger, partendo proprio dalla proposizione contenuta nelle Überlegungen XIV. In questa sede vorrei evidenziare come questa interpretazione sia un frutto del cosiddetto “bias del setaccio unico”, fallacia logica per la quale si va a cercare in un autore (o in una corrente filosofica) solo ciò che interessa all’interprete “filtrando”, attraverso le maglie del setaccio, il materiale che si esamina. Detto diversamente, chi considera gli Ebrei in quanto ebrei attribuendo loro una posizione metafisica particolare nel Denkweg heideggeriano è la studiosa stessa e non Heidegger per il quale, piuttosto, essi rientrano nel solco di quella umanità che ha smarrito la domanda sul senso dell’essere al pari dei cristiani, dei comunisti, degli inglesi, degli americani e via dicendo. La caratterizzazione metafisica dell’Ebreo in quanto ebreo non è in alcun modo al centro della riflessione heideggeriana, bensì sembra esserlo per la studiosa in questione la quale delinea un’interpretazione della meditazione di Heidegger servendosi di un “taglia e cuci” di citazioni che vengono espulse dal loro contesto originario solo per avvalorare la propria tesi. Rimando a tal proposito alle puntuali osservazioni di Maurizio Borghi, Antisemitismo metafisico? In: “Eudia”, vol. 9, 2015 e di Leonardo Messinese, La “questione ebraica” nei Quaderni Neri considerata alla luce della “critica alla metafisica”, in: F.-W. von Herrmann, F. Alfieri, Martin Heidegger. La verità sui Quaderni Neri, cit., p. 386-91. Proprio partendo da siffatta costruzione, la studiosa propone di ancorare questo tipo di antisemitismo a delle specifiche responsabilità che la filosofia di Heidegger potrebbe aver assolto nel contesto della soluzione finale. Su questo ultimo punto, rimando alle precise considerazioni di Francoise Dastur, la quale ha evidenziato come le Überlegungen non possano essere lette attraverso l’attuale conoscenza e consapevolezza delle atrocità perpetrate nei campi di concentramento dal 1941 in poi, poiché l’esigenza di una effettiva contestualizzazione storica è fondamentale per un approccio consistente e serio. La studiosa francese insiste sulla necessità di leggere questi materiali alla luce delle effettive conoscenze che Heidegger, come ogni tedesco medio, aveva dei campi di lavoro. Si veda F. Dastur, Y a-t-il une “essence” de l’antisémitisme? In: P. Trawny, A. J. Mitchell (eds.) Heidegger, die Juden, noch einmal, Klostermann Verlag, Frankfurt am M. 2015, p. 96-97. 54 e a maggior ragione lo sono per dei libri che sono serviti da pretesto per uno scandalo filosofico; soprattutto, lo sono per dei libri la cui struttura non sistematica si presta a possibili tentativi di deformazione per avvalorare la legittimità delle interpretazioni. Sarebbe stato auspicabile per i lettori di Heidegger comprendere questi libri interamente, criticamente e comparandoli con gli argomenti su cui egli stava lavorando nei medesimi anni in cui veniva annotando le sue riflessioni e osservazioni sui quaderni di tela nera – nello specifico, penso alle lezioni, ai carteggi, alle opere destinate alla pubblicazione, sebbene Heidegger non nutrisse il desiderio né ritenesse opportuno pubblicarle. Se si fosse proceduto secondo questo metodo, forse si sarebbe scorto con una certa chiarezza il movimento di pensiero della sua meditazione constatando come i Quaderni non posseggano un carattere interpretativamente maggiore delle altre opere di Heidegger. Proprio alla luce di un necessario e coerente approccio ermeneutico, sarebbe stato fondamentale fornire al lettore una mappatura filologica del tanto “assodato” antisemitismo nel corpus della Gesamtausgabe stessa, in modo da mostrare elementi filosoficamente fondanti per questa tesi, in particolare andando scrupolosamente a lavorare sui sette trattati ontologico-fondamentali in cui il filosofo sviluppa l’idea guida della storia dell’essere43 e che sono stati chiamati in causa per essere stati scritti nei medesimi anni dei Quaderni. Tuttavia, questa operazione non solo non è stata compiuta, ma si è ritenuto opportuno procedere per inferenze e deduzioni piuttosto che fornire elementi che confermassero speculativamente questa tesi. Proprio questa è stata la via scelta dai molti interpreti che si sono trovati concordi nel sostenere l’esistenza di un antisemitismo all’opera nel pensiero di Heidegger e che mi ricorda il modus operandi di molte fallace logiche che si fondano su petitio principii: un’argomentazione circolare che assume come premessa la medesima proposizione della conclusione e che si svolge circolarmente confermando quanto assunto in via preliminare. Prima di entrare nel merito di questa argomentazione, vorrei tornare alla relazione fra storia dell’essere e (presunto) antisemitismo. Le proposizioni attraverso cui Heidegger è stato accusato di antisemitismo, come “mancanza di radicamento al suolo”, “ciò che non ha storia”, “assenza di mondo”, “vuota razionalità”, “oblio della questione dell’essere”, “manipolazione dell’ente”, “assoluta mancanza di legami”, “sradicamento di ogni ente dall’essere” – solo per nominarne alcune – non sono tipiche dello spirito I sette tratti ontologici sulla storia dell’essere sono Beiträge zur Philosophie. Vom Ereignis (1936-1938), in: GA 65; Besinnung (1938-1939) in: GA 66; Metaphysik und Nihilismus (1938-1939), in: GA 67; Die Geschichte des Seyns (1938-1940) in: GA 69; Über den Anfang (1941), in: GA 70; Das Ereignis (1941-1942), in: GA 71; Die Stege des Anfangs (1944) in: GA 72. 43 55 dell’“ebraismo internazionale” in quanto tale, ma della modernità in se’ e delle sue conseguenze con l’oblio dell’essere. Come osserva Friedrich-Wilhelm von Herrmann: “chi ha veramente letto e studiato per intero i trattati storico-ontologici, cioè i testi principali del pensiero storico-ontologico, si rende subito conto che quelli elencati sono i concetti storico-ontologici con cui Heidegger caratterizza lo spirito della fase più recente dell’epoca moderna e, dunque, del presente, nella misura in cui esso si comprende fondamentalmente in base allo spirito della scienza naturale matematica e della tecnica moderna. Ciò significa però che quei concetti non sono antisemiti in quanto tali, poiché non si riferiscono soltanto allo spirito ebraico, ma allo spirito del presente in generale. (…) Il modo di pensare storico-ontologico e il suo apparato concettuale non è antisemita per essenza e non scaturisce da un atteggiamento fondamentalmente antisemita, ma da uno spirito fenomenologico, che sperimenta, rende visibili e comprende i fenomeni nella loro propria storicità”44. Sotto questo riguardo, ciò che è stato considerato come la prova di un pensiero antisemita è stato solo e semplicemente un’argomentazione circolare e – sotto alcuni riguardi – un fraintendimento della parte più importante della meditazione heideggeriana, cioè la storia dell’essere. Come è stato possibile? E soprattutto: è filosoficamente fondato parlare di un antisemitismo ontologico? Per rispondere a quest’ultima domanda dobbiamo entrare nella seconda questione che avevo nominato all’inizio di questo capitolo: la questione ideologica. Solitamente siamo inclini a considerare l’introduzione dell’ideologia nella filosofia come una pratica antica, che risale ai tempi dei sofisti e, se siamo più o meno famigliari con gli effetti di questa introduzione, non possiamo dire di esserlo altrettanto con le cause. Con l’espressione “ideologia” non intendo semplicemente quella serie di credenze e quel patrimonio di convinzioni – coscienti e non – che una società condivide e il loro ruolo normativo, quanto quella particolare vaghezza delle caratterizzazioni e idee espresse in concetti che sono manipolati per creare e alimentare consenso sociale. La manipolazione delle masse e dell’opinione pubblica, la ri-scrittura tendenziosa di alcune narrazioni e la costruzione di immagini socialmente condivise sono strumenti utili per divulgare la propaganda ideologica e a volte questi possono essere usati anche da filosofici e interpreti, anche se non è necessariamente detto che ciò avvenga con un’intenzione conscia. Si potrebbe forse dire che il compito dei filosofi sia quello di indicare la differenza fra filosofia (in particolare, filosofia politica) e ideologia e mostrare F.-W. von Herrmann, Necessarie chiarificazioni sui Quaderni Neri, in F.-W. von Herrmann, F. Alfieri, Martin Heidegger. La verità sui Quaderni Neri, Morcelliana, Brescia 2016, p. 34 e s. 44 56 come queste due discipline operino e lavorino sia in termini di strumentazione concettuale. Riferendosi a Platone e alla sua scoperta per la quale “l’arte universale di incantare la mente con argomentazioni” praticata dai sofisti (Fedro 261) non ha niente a che fare con la verità ma è solo tesa verso opinioni che, per loro stessa natura, sono mutevoli e che sono valide soltanto “nel momento dell’accordo e fin tanto che l’accordo permane” (Teeteto 112), la Arendt scrive: “Sembra dunque che gli antichi sofisti si accontentassero di una vittoria temporanea dei loro argomenti a spese della verità [mentre] gli ideologi moderni vogliono invece conseguire a spese della realtà una vittoria permanente”45. La storia della filosofia occidentale è ricca di esempi che illuminano questo intendimento, partendo dai sofisti fino alla critica marxista al capitalismo, o guardando attraverso gli scritti politici della Arendt o i lavori di Ricouer sull’ideologia, la filosofia e il senso comune. Pur non essendo questo il luogo deputato ad approfondire la differenza fra filosofia e ideologia46, tuttavia credo opportuno ricordare che tale differenza è principalmente basata sul fatto che i filosofi, attraverso il loro approccio critico e sistematico, solitamente usano la riflessione filosofica per promuovere un pensiero autonomo e critico, piuttosto che neutralizzarlo dietro la critica ideologica di false rappresentazioni. La logica del consenso non sembra essere il principale objettivo della ragione filosofica, cosa che non sembra valere per la propaganda ideologica che, in modo quasi manicheo, descrive i fenomeni e la nostra relazione ad essi sintetizzando la loro costitutiva complessità e quella della relazione in una stringata logica del “sì e no”. Infine, l’accento posto sul cosa piuttosto che sul come rispetto al movimento del pensiero è un segno del procedere di cui si serve l’ideologia. In questa cornice di riferimento, la maggior parte della nostra conoscenza deve essere verificata in termini di conoscenza critica e non semplicemente come una serie di convinzioni, idee, fedi o credenze condivise che non possono in alcun modo essere messe in discussione. In altre parole, la filosofia dovrebbe insegnarci a “pensare crudelmente” per usare le parole di Brecht e dovrebbe mantenersi distante da ogni tentazione di iper-semplificazione del reale o di sua scarna rappresentazione. Tornando all’argomento di questo capitolo, forse è fin troppo semplice affermare che alcune interpretazioni dei QN sono solo l’occasione propizia per far “quadrare il cerchio”: alcuni passaggi dei Quaderni sono “la prova” H. Arendt, Le origini del totalitarismo, tr. it. c/ di A. Guadagnin, Mondadori, Milano 2010, p. 13. 46 A tal proposito mi permetto di rimandare a F. Brencio, Thinking without Bannisters. Heidegger, the Jews and Modernity in the Context of the Black Notebooks (1931-1948) in: “Heidegger Studien”, 33, 2017, p. 247-76. 45 57 delle idee antisemite di Heidegger. Tuttavia il fatto strano è che queste idee non sono abbastanza per poter creare un’immagine pubblica di Heidegger come antisemita: occorre qualcosa di più, e cioè occorre mettere in relazione queste idee con il suo pensiero filosofico: in altre parole, portare nel cuore della domanda sul senso dell’essere le affermazioni sugli Ebrei in modo da poter insinuare il sospetto di un verdetto insindacabile che possa gravare sulla colpevolezza di Heidegger sia come uomo che come filosofo. Questa sembra essere la strada percorsa dal curatore tedesco dei Quaderni: alimentare il sospetto di una contaminazione nella sua meditazione ontologica della propaganda antisemita tipica del nazismo47. Tuttavia, in questo sentiero interpretativo ci si imbatte in più questioni che rimangono non chiarificate le quali, se da un lato possono far facilmente presa sui molti, dall’altro suonano come aporetiche per lo studioso attento che non si accontenta di soluzioni che rispondono alla logica del “sì e no” e che si iscrivono ancora una volta nel solco delle letture ideologiche date del pensiero heideggeriano. Le interpretazioni ideologiche dei lavori di Heidegger non sono nuove nello scenario filosofico internazionale ma forse il grande pubblico non è familiare con questa storia. Quando il libro scritto da Victor Farias nel 1987 Heidegger et le nazisme iniziò a circolare, il già noto Heidegger affair fu rinforzato. Ma neanche questa è cosa nuova, dal momento che sin da quando era in vita, Heidegger fu spettatore dei molti tentativi di manipolazione e fraintendimento della sua meditazione – una ricostruzione dettagliata di ciò è offerta sia dalle memorie di Petzet48 che di De Towarnicki49. Tuttavia credo che siano le parole di Medard Boss a illuminare meglio questa triste vicenda: 47 Nella terza edizione tedesca del suo libro scrive Trawny: “[Es] drängt sich die weitere Frage auf, ob und inwiefern der Antisemitismus Heideggers Philosophie als ganze kontaminiert. Gibt es eine antisemitische Ideologie, die das Denken Heideggers so sehr besetzt, dass wir von einer ‘antisemitischen Philosophie’ sprechen müssten? So dass wir dann Abstand von dieser Philosophie nehmen müssten, weil es eine ‘antisemitische Philosophie’ nicht gibt und nicht geben kann? Dass wir – nach Jahrzehnten – erkennen müssten: bei Heideggers Denken kann es sich in der Tat nicht um ‘Philosophie’ handeln, auch nicht um ein ‘Denken’, sondern nur um eine unheimliche Verirrung? Die Fragen müssen verneint werden. Doch ist es kein leichter Weg bis zu dieser Antwort”, P. Trawny, Heidegger und der Mythos der jüdischen Weltverschwörung, Klostermann Verlag, Frankfurt am M., 2015, 3ª edizione, p. 13. 48 Cf. H.W. Petzet, Auf einen Stern zugehen. Begegnungen und Gespräche mit Martin Heidegger, 1929 bis 1976, Societäts Verlag, 1983. 49 Cf. F. de Towarnicki, À la rencontre de Heidegger. Souvenirs d’un messager de la Forêt-Noire, Paris, Gallimard, 1993; Ritorno a Heidegger. Ricordi di un messaggero della Foresta Nera, tr. it. c/ di G. Scalia, Diabasis, Parma 2015. 58 Dalle indagini venne fuori abbastanza chiaramente che Martin Heidegger era la persona più radicalmente calunniata che finora avevo incontrato; irretita in una serie di menzogne di molti dei suoi colleghi. La maggior parte dei quali, non potendo nuocere seriamente alla cosa del pensiero di Heidegger, cercavano di riuscire a trovare il punto debole dell’uomo Heidegger attraverso attacchi personali. Misterioso restava soltanto il perché egli non si difendesse pubblicamente da queste calunnie50. Tuttavia con il libro di Farias il dibattito acquista delle connotazioni diverse, dal momento che l’abilità dell’autore di manipolare le citazioni tratte dalle opere di Heidegger è stata fra le cause più potenti di un forte anti-heideggerismo, dal quale una nuova generazione di pesatori è nata. Come Farias stesso ha ammesso in una intervista51, il suo uso delle fonti heideggeriane non è scientifico e, con una certa ironia, ha persino ammesso i limiti del suo lavoro. Gadamer è stato fra i primi a scorgere il rischio di questa tendenza ideologizzante con cui ridurre il pensiero del filosofo di Meßkirch e la conferenza organizzata ad Heidelberg fra il 5 e il 6 febbraio 1988 con Derrida e Labarthe52 mirava proprio a dissolvere la nebbia intorno a questi aspetti e alle loro possibili derive. Soprattutto la schiettezza di Gadamer53 sul “caso Heidegger” è una bussola con cui orientarsi in questi 40 anni di produzioni bibliografiche volte a delegittimare il pensiero di Heidegger tentando di piegarlo a fazioni politiche, credo religiosi o tendenze ideologiche. In una lettera del 30 Novembre 1987, Gadamer scrive a von Herrmann del contributo che i media possono dare a questa manipolazione del pensiero di Heidegger in vista di una sua riscrittura in chiave ideologica: “Egregio signor von Herrmann, non ha certamente idea di quanto mi irriti la faccenda Farías. Naturalmente, da una posizione di superiorità, potremmo pensare che questo libro superficiale e scadente non contenga in fondo nulla di nuovo per i lettori tedeschi e certamente nulla di cui ci si possa servire contro Heidegger. Ma 50 M. Boss, Vorwort, in: M. Heidegger, Zollikoner Seminare. Protokolle – Zwiegespräche – Briefe, hrsg. von M. Boss, Klostermann Verlag, Frankfurt am Main 2006; Seminari di Zollikon. Protocolli seminariali – Colloqui – Lettere, tr. it. c/ di A. Giuliano, Guida, Napoli 2000, p. 9. 51 Cf. F. Volpi, A. Gnoli, Le conseguenze di Heidegger, in: “La Repubblica”, 20 ottobre 2008 (http://wiki.eudia.org/index.php?title=2081020IRE). 52 Cf. J. Derrida, H. G. Gadamer, P. Lacoue-Labarthe, La conference de Heidelberg, textes réunis, présentés et annotés par Mireille Calle-Gruber, note de Jean-Luc Nancy, Ed. Lignes-Imec, Paris 2014. 53 Cf. H.G. Gadamer, Comme Platon a Siracuse, in J. Derrida, H. G. Gadamer, P. LacoueLabarthe, La conference de Heidelberg, cit.; Id., L’imbroglio di Farias, in: “L’Espresso”, 24 aprile 1988 (http://wiki.eudia.org/index.php?title=1880424IES09). 59 la realtà dei mass-media ci costringe ad uscire dalla riservatezza a cui finora ci siamo attenuti, per lo meno per quel che mi riguarda. L’effetto enorme che il libro di Farías sta avendo in Francia mostra quanto superficialmente si trattano le cose nel mondo (…). Ma ormai sono diventato scettico. I massmedia moderni sono insaziabili e sanno anche come creare necessità laddove non ce ne sono, e ancora meglio se i Paesi esteri sono già furiosi. Così, dopo aver studiato il libro, non ho visto altra strada se non quella di dedicarmi in modo più approfondito alla questione. Ma questa è un’impresa tanto delicata quanto difficile. Naturalmente sono tutte sciocchezze, come quando si interpreta la scelta di stile di Sein und Zeit come pre-nazismo. Purtroppo, però, la storia mondiale ci ha suggerito proprio questo tipo di deduzioni. L’epoca tanto disperata quanto piena di vita degli anni Venti fa parte del processo di sviluppo del movimento nazionalsocialista. Le aspettative entusiastiche di una parte della gioventù e dei ceti intellettuali più giovani non erano allora tanto diverse da ciò che Heidegger e i suoi amici di Friburgo speravano nell’ambito della vita universitaria (…). La mia unica speranza è che il caso Heidegger si amplifichi fino a diventare l’occasione per non considerare più il fenomeno del nazionalsocialismo dalla prospettiva del volgo e per non vedere sempre e soltanto l’aspetto criminale delle sue degenerazioni (…). Temo veramente che il pubblico non sia ancora maturo per giungere in questo a una comprensione migliore. Gli errori e le debolezze di Heidegger non sono presumibilmente diversi o peggiori rispetto a quelli che qualsiasi altra persona in circostanze di emergenza avrebbe corso il rischio di fare. Doverne parlare è sempre un po’ ipocrita, e non mi piace”54. L’accusa di antisemitismo sembra collocarsi nel punto più alto di questa damnatio memoriae e sembra invitare ogni studioso ad accettare questa interpretazione senza darsi la pena di comprendere criticamente – cioè attraverso un uso di consistenti e valide argomentazioni filosofiche per dimostrare e sostenere la legittimità di un antisemitismo di natura filosofica all’opera nel pensiero di Heidegger – quelle proposizioni in cui il filosofo nomina gli ebrei, dal momento che tale interpretazione proviene da chi quei libri li ha curati: dunque, quale fonte migliore per suffragare questa idea se non il curatore stesso dei Quaderni? La fallacia dell’halo effect è a portata di mano e qualora si voglia tentare di superarla per andare alle cose stesse, il rischio di essere accusati di negazionismo è dietro l’angolo. Dunque, proprio perché il “cerchio quadra”, non sembra necessario mettere al banco di prova le interpretazioni che sostengono un antisemitismo, dal momento che la sola comparsa degli Ebrei nei Quaderni sembra legittimarne la validità. 54 Lettera inedita di Gadamer pubblicata in F.-W. von Herrmann, F. Alfieri, Martin Heidegger. La verità sui Quaderni Neri, cit., p. 347-352. 60 Nel suo libro intitolato Heidegger e il mito della cospirazione ebraica55, Peter Trawny tratteggia una interpretazione della storia dell’essere molto particolare (e molto personale), in cui domande retoriche, dubbi non fugati e accenni maliziosi descrivono una climax di latenti accuse mosse al pensiero di Heidegger. Le mie osservazioni si pongono su due livelli: su un piano logico e su uno metafisico. Dal punto di vista logico, l’approccio proposto dal curatore dei Quaderni procede per inferenze, congetture e deduzioni le quali vengono alimentate da domande retoriche e idee circolari che ricordano molto il modo di procedere della petitio principii. Queste idee e le domande retoriche che le accompagnano raggiungano una climax precisa quando l’autore conduce lentamente il lettore alla scoperta di un antisemitismo ontologico all’opera negli scritti heideggeriani e tale da ritenere legittimo il dubbio che esso penetri nella meditazione sulla Seinsfrage. Tutto il libro – e conseguentemente l’interpretazione che esso promuove – oscilla costantemente fra l’enunciare apertamente alcune idee e l’accennare ad altre; in particolare, ciò che ha catturato la mia attenzione nello studio delle varie edizioni del testo è l’uso dell’aggettivo “ontologico”: mai chiarificato ma dato per scontato, anche da parte di chi si avvicina ad un testo così accattivante senza un’adeguata educazione filosofica nel contesto della meditazione heideggeriana. Altresì, l’ammiccare a quella sovrapposizione fra la storia dell’essere e la storia delle vicende umane non passa inosservato all’orecchio dello studioso che ha trascorsi importanti con Heidegger e le sue circumnavigazioni intorno all’essere. Heidegger non usa mai l’espressione “storia dell’essere” per indicare la storia dell’umanità e del genere umano nella sua interezza. Impossibile non tenere a mente le parole scritte nel Nietzsche dove leggiamo: “La storia dell’essere non è né la storia dell’uomo, di una umanità, né la storia del riferimento umano all’ente e all’essere. La storia dell’essere è l’essere stesso e soltanto esso”56. Una delle principali argomentazioni adottate da Trawny per sostenere la sua interpretazione si basa sull’assunto che Heidegger avrebbe contaminato il suo pensiero ontostorico con una serie di stereotipi e pregiudizi che circolavano intorno agli Ebrei fra la fine degli anni ’20 e negli anni ’30: questa argomentazione consente al curatore tedesco dei Quaderni di supportare l’idea di una contaminazione dell’antisemitismo che penetra nella storia dell’essere. Eppure, questa inferenza non viene suffragata da argomenta- Cf. P. Trawny, Heidegger und der Mythos der jüdischen Weltverschwörung, Klostermann Verlag, Frankfurt a. M. 2014; Heidegger e il mito della cospirazione ebraica, tr. it., c/ di C. Caradonna, Bompiani, Milano 2015. 56 M. Heidegger, Nietzsche II, Neske Verlag, Pfullingen 1988, p. 489; Nietzsche, tr. it. c/ di F. Volpi, Adelphi, Milano 1994, p. 938 55 61 zioni filosofiche nel mostrare sistematicamente e in dettaglio come tale contaminazione sia all’opera nel movimento della storia dell’essere. Proprio questo punto è lasciato aperto e non viene affrontato dall’Autore; questa apertura è un movimento in levare che consegna il lettore a una uguaglianza di presupposti che tuttavia rimangono filosoficamente non convalidati: dal momento che nei quaderni di lavoro Heidegger parla dei sette trattati ontologici, coevi ai quaderni, attraverso cui si avvia il nuovo pensiero dell’essere e dal momento che nei quaderni egli parla degli Ebrei seguendo degli stereotipi tipici della propaganda antisemita dell’epoca, allora in questi sette trattati potremmo trovare implicazioni antisemite tipiche di quella propaganda e potremmo vedere come il pensiero ontologico che essi tematizzano, cioè la storia dell’essere nel suo movimento logico e storico, possa essere contaminato da questo antisemitismo. Entrando in un piano strettamente metafisico, è facile osservare come questo sia collegato alle riflessioni formulate poco sopra. Discutere filosoficamente di un antisemitismo ontologico richiede una puntuale riflessione su cosa indichi la parola “ontologico”, cosa che è completamente assente nel lavoro dello studioso tedesco: possiamo dedurre il suo significato, ma non siamo guidati nella sua comprensione in relazione all’orizzonte che il testo si propone, quello di giustificare l’esistenza di un antisemitismo ontostorico. In primo luogo, l’assenza di una puntuale chiarificazione di come l’ontologia heideggeriana sia “affetta” da questo antisemitismo rende problematico ogni riferimento alla storia dell’essere, dal momento che non si comprende né in che modo la Seinsgeschichte sviluppi questa inclinazione antisemita, né come l’essere stesso – che si ricordi, è la chiave di volta di tutta la domanda guida di Heidegger – sia “contaminato” dall’antisemitismo. Ciò che appare evidente è come una categoria onto-logica venga vestita di attributi che sono ad appannaggio solo dell’uomo (come singolo) e dell’umanità (come collettività). Questa “umanizzazione” o “resa antropocentrica” della domanda ontologica fondamentale è forse il risultato più evidente di questa interpretazione, ma non il solo. In secondo luogo, infatti, l’accento posto con una voluta insistenza sul carattere ebraico e sull’Ebraismo non fornisce al lettore alcuna evidenza della centralità che la riflessione sugli Ebrei (Judenfrage) riveste nella meditazione heideggeriana. Agli Ebrei e al carattere ebraico vengono infatti fornite quelle determinazioni o caratteristiche che sono proprie della Modernità tutta. A Heidegger non sta a cuore descrivere il popolo ebraico in quanto ebraico, piuttosto egli lo inserisce nel solco dell’oblio dell’essere in cui tutta l’umanità è inscritta. In terzo luogo, la nozione di antisemitismo è usata senza fornire alcuna chiarificazione del suo stesso elemento, cioè di cosa significhi il carattere semita – tuttavia, non credo essere mio compito ricordare al lettore che con questa espressione (antisemita) si 62 indica un atteggiamento di ostilità verso il gruppo semita, di cui gli Ebrei sono una parte, ma non sono gli unici. Questa ennesima sovrapposizione fra antisemitismo e antigiudaismo mostra ancora un’ennesima imprecisione concettuale che percorre il lavoro dello studioso tedesco. Esattamente in riferimento a qualsiasi definizione di ogni anti- che Heidegger fornisce degli elementi preziosi eppure volutamente taciuti nella ricezione generale dei Quaderni. In Annotazioni I (Anmerkungen I) Heidegger scrive: “L’anticristo [der Anti-christ], come ogni altra espressione che si basa su un ‘anti’, deve derivare dallo stesso fondamento essenziale di Cristo [der Christ]. Questi deriva dall’‘Ebraicita’. Quest’ultima è nello spazio-tempo dell’Occidente cristiano, cioè della metafisica, cioè il principio della distruzione (…). Da qui si può valutare che cosa significhi per il pensiero nella velata essenza iniziale della storia dell’Occidente la memoria del primo inizio nella Grecità, la quale è rimasta al di fuori dall’Ebraismo, cioè dal Cristianesimo”57. Come ogni opposizione (A) che si fonda su un determinato elemento (B), questa deve avere come fondamento essenziale ciò a cui si oppone per potersi definire come un suo anti-. Ciò che merita di essere attentamente osservato nella citazione precedente sono due cose: da un lato, Heidegger è ben consapevole di ciò che caratterizza un’opposizione nella sua essenza a partire da un comune elemento essenziale; dall’altro, Heidegger chiama lo spazio della metafisica occidentale come il principio della distruzione in cui sia l’ebraismo che il cristianesimo sono iscritti: entrambi non sono capaci di rispondere alla domanda fondamentale (che cos’è l’essere?) se non nella misura di appellarsi ad assoluti metafisici e religiosi che non hanno niente a che vedere con la domanda-guida. La dimenticanza della differenza ontologica è l’inizio della metafisica occidentale e della distruzione dell’essere nella sua essenza impensata. A partire da ciò si inaugura la lunga storia del pensiero occidentale di cui il nichilismo è solo l’effetto più recente e più appariscente. In un altro passaggio di Annotazioni II (Anmerkungen II) Heidegger scrive: “Profezia” è la tecnica di difesa nei confronti di ciò che è destinale della storia. È uno strumento della volontà di potenza. Il fatto che i grandi profeti siano ebrei, è un dato di fatto il cui segreto non è ancora stato pensato. (Precisazione per gli 57 “Der Anti-christ muß wie jedes Anti- aus dem selben Wesensgrund stammen wie das, wogegen es anti- ist – also wie ‘der Christ’. Dieser stammt aus der Judenschaft. Diese ist im Zeitraum des christlichen Abendlandes, d.h. der Metaphysik, das Prinzip der Zerstörung. [...] Von hier aus ist zu ermessen, was für das Denken in das verborgene anfängliche Wesen der Geschichte des Abendlandes das Andenken an den ersten Anfang im Griechentum bedeutet, das außerhalb des Judentums und d.h. des Christentums geblieben”, M. Heidegger, Anmerkungen I, in: GA 97, p. 20. 63 asini: questa osservazione non ha nulla a che fare con l’“antisemitismo”. L’antisemitismo è tanto folle e riprovevole quanto l’intervento sanguinoso, e soprattutto quello incruento, del cristianesimo contro “i pagani”. Che anche il cristianesimo definisca l’antisemitismo come “non cristiano” fa parte dell’alta formazione della raffinatezza della sua tecnica di potenza)58. In questo passaggio Heidegger sta chiaramente affermando la sua distanza da ogni forma di antisemitismo (la precisazione per gli asini risulta attuale e inascoltata, a quanto pare) e sta chiarendo come le riflessioni inerenti al potere e alla manipolazione debbano essere comprese all’interno del punto di vista della metafisica occidentale, in cui il senso dell’essere è smarrito59. Heidegger sta sottolineando il legame fra l’antisemitismo – volgare, riprovevole, folle – e il cristianismo: sebbene i cristiani non abbiano mai appoggiato o anche solo contribuito ad alcuna forma di antisemitismo poiché’ esso si oppone ai principi guida del Vangelo, tuttavia non si sono risparmiati le conversioni forzate dei pagani e i relativi genocidi. Ancora una volta Heidegger vede nello sviluppo storico e politico del cristianismo uno dei molteplici e devastanti effetti della metafisica occidentale. Il cristianismo, nella sua veste storico-politica, è forse l’effetto più manifesto della sua radicale appartenenza alla metafisica: il cattolicesimo tedesco si appropria dell’elemento spirituale dell’idealismo tedesco per farne una sorta di ricovero per le anime dei fedeli, si secolarizza e diventa soggetto politico: Il cattolicesimo (…) una potenza in un certo modo e consapevolmente “secolarizzante” – che si lega consapevolmente con le altre potenze60. L’insistenza con cui il curatore tedesco dei Quaderni insiste su inferenze e giustapposizioni non è uno strumento abbastanza valido e consistente per suffragare la sua interpretazione – che rimane legittima anche se filosoficamente non fondata. Lo smodato uso della fallacia “cherry picking” – cioè della selezione delle sole citazioni a sostegno della propria tesi ignorando le altre che la smentiscono – non sembra convincere, piuttosto essa sottolinea 58 “Prophetie “ist die Technik der Abwehr des Geschicklichen der Geschichte. Sie ist ein Instrument des Willens zur Macht. Daß die großen Propheten Juden sind, ist eine Tatsache, deren Geheimes noch nicht gedacht worden (Anmerkung für Esel: mit ‘Antisemitismus’ hat die Bemerkung nichts zu tun. Dieser ist so töricht und so verwerflich, wie das blutige und vor allem unblutige Vorgehen des Christentums gegen ‘die Heiden’. Daß auch das Christentum den Antisemitismus als ‘unchristlich’ brandmarkt, gehört zur hohen Ausbildung der Raffinesse seiner Machttechnik)”, M. Heidegger, Anmerkungen II, in: GA 97, p. 159. 59 Su questo punto rimando il lettore al bel libro di S. Vietta, “Etwas rast um den Erdball... ”. Martin Heidegger: Ambivalente Existenz und Globalisierungskritik, Fink, Paderborn 2015. 60 M. Heidegger, Überlegungen und Winke III, in: GA 94, p. 185; Riflessioni e Cenni III, in: Riflessioni II-VI (Quaderni Neri 1931-1938), cit., p. 246. 64 la circolarità delle affermazioni del curatore tedesco e la loro imprecisione. Se concordiamo con l’impostazione per la quale la filosofia non è una narrazione come un’altra – impostazione che Heidegger stesso condivideva, citando a sua volta Platone – ma una interrogazione scientifica, sistematica e fondata, allora non possiamo ricorrere al mito o alle allegorie per avanzare nel nostro pensare. Sotto questo riguardo “for Trawny, reading world history as the unfolding of a philosophical intrigue is mythology. Equally mythological is ascribing philosophical values to historical collectives, such as the Greeks, the Germans – and the Jews”61. In questa narrazione allora troviamo spazio per la mitologia e per varie forme di inferenza che possono sia riguardare Heidegger, sia gli ebrei, sia i Protocolli dei vecchi saggi di Sion e la cospirazione mondiale ebraica. Uno degli objettivi di siffatto genere di narrazione è quello di unire insieme tutti questi elementi e fornire una storia che calzi a pennello con gli elementi descritti poco sopra, ma in cui la dimensione speculativa e sistematica della domanda sull’essere e della storia dell’essere non hanno alcun posto. È estremamente difficile non concordare con von Herrmann quando scrive: Il libro del curatore, che ha accompagnato l’edizione delle Riflessioni, avrebbe dovuto essere concepito e redatto in modo completamente diverso. E qualora questo libro avesse dovuto fornire una spiegazione dei 14 passi critici su richiesta della casa editrice, la presa di posizione chiarificatrice nei confronti di queste affermazioni avrebbe dovuto esaminare la dimensione filosofica delle Riflessioni e delle affermazioni critiche che vi compaiono disordinatamente. Solo questo sarebbe stato il modo adeguato di rapportarsi ai primi tre volumi dei “quaderni rilegati in tela cerata nera”. Invece di fare questo, Trawny tralascia la dimensione filosofica dei Quaderni neri e, dunque, dei tre volumi delle Riflessioni, seguendo una prospettiva puramente politico-ideologica in cui ignora completamente il contenuto filosofico delle Riflessioni e il loro rapporto con gli altri manoscritti del pensiero storico-ontologico. Egli suscita così nei lettori del suo libro assolutamente non filosofico e negli ascoltatori delle sue spiegazioni orali l’impressione che i Quaderni neri costituiscano nella loro interezza un lascito intellettuale antisemita. 62 Anche se la terza edizione del suo volume è diversa dalle precedenti, cercando di aggiustare le precedenti idee con le critiche ricevute, Trawny sembra convinto della sua interpretazione e la estende al ruolo che la meditazione di Heidegger avrebbe giocato nel contesto dell’Olocausto, quando afferma: E. Lapidot, Heidegger’s Teshuva?, in: “Heidegger Studien”, 32, 2016, p. 39. F.-W. von Herrmann, Necessarie chiarificazioni sui Quaderni Neri, in: F.-W. von Herrmann, F. Alfieri, Martin Heidegger. La verità sui Quaderni Neri, cit., p. 35s. 61 62 65 Come comportarsi nei confronti dell’antisemitismo onto-storico di Heidegger in relazione alla Shoah? A questo punto non si tratta più di discutere se difendere o meno l’‘errore politico’ di Heidegger da un’opinione pubblica politicamente corretta che, volente o nolente, distorce perciò le circostanze (ammesso che sia possibile). C’è un antisemitismo nel pensiero di Heidegger che, come si confà a un filosofo, viene dotato di un (impossibile) fondamento filosofico, ma che si riduce nondimeno a due, tre stereotipi. La costruzione ontostorica non fa che peggiorare le cose. È lei che potrebbe determinare la contaminazione di questo pensiero63. Non è mia intenzione trovare l’argomento fantoccio del dibattito intorno alla ricezione dei Quaderni heideggeriani o rivolgere delle critiche a studiosi nella loro persona: forse, è bene ripeterlo, il mio objettivo è quello di comprendere filosoficamente i QN e cercare di verificare se le implicazioni filosofiche dei materiali lì appuntati abbiamo potuto produrre una modificazione sostanziale sulla storia del ’900 europeo, con particolare riguardo all’Olocausto. Per tornare all’argomento di questo paragrafo, vorrei aggiungere alcune osservazioni conclusive sull’interpretazione di questi libri andata per la maggiore, cercando di comprendere in che misura il ruolo dei media abbia svolto un ruolo determinante in ciò. Probabilmente il fattore-consenso ha avuto un peso specifico in questa vicenda: una massiva ondata di consenso levatasi dalle fila dell’Accademia a (quasi) tutte le latitudini, prima ancora di aver studiato i libri in oggetto, non può che facilitare quel procedimento sociale di creazione (e preconfezionamento) di una (mezza) verità. L’ossessione per il “caso Heidegger” alla luce della pubblicazione delle sue “opere più scandalose” non ha risparmiato nessuno (o quasi) e sembra aver sedotto anche coloro che fino a qualche anno fa su Heidegger non avevano scritto una riga o tenuto corsi universitari. Moltissimi hanno colto l’occasione di questo scalpore mediatico per evadere dall’anonimato o per incrementare una popolarità fino a quel momento risicata. Alcuni, senza nessuna conoscenza della lingua tedesca e men che mai senza un’adeguata educazione filosofica al pensiero di Heidegger, hanno fatto la loro comparsa nello scenario internazionale. Altri, invece, che con Heidegger hanno trascorso una vita traducendo, commentando, studiando, pur avendo dichiarato di non aver letto i Quaderni nella loro interezza, si sono accodati alla tendenza andata alla maggiore, dal momento che l’autorevolezza del curatore era condizione sufficiente per accreditare la bontà scientifica della sua proposta interpretativa – 63 P. Trawny, Heidegger e il mito della cospirazione ebraica, cit., p. 91. 66 senza ovviamente metterla in questione. Altri ancora hanno colto l’occasione della pubblicazione di questi libri per rinvigorire le proprie ossessioni e per cementificare i filtri con cui avvicinarsi ai testi. Così per quasi due anni, l’isterismo di massa ha avuto la maggiore nel creare processi mediatici che nulla hanno a che spartire con la filosofia ma che, politicamente, venivano ritenuti fondamentali per leggere quell’abisso di mostruosità che la prima parte del ’900 aveva prodotto. Il contributo dei media, in questo scenario, è stato determinante e il ruolo svolto – con rarissime eccezioni – prossimo all’ideologia, dal momento che la tendenza dominante è stata quella di imbastire un’immagine pubblica di questi libri che si riducesse solo all’accusa di antisemitismo e che di Heidegger emergesse il ritratto di un razzista antisemita. Proprio insistendo sul fatto che i QN fossero la prova incontrovertibile dell’antisemitismo tenuto nascosto da Heidegger persino al partito nazista, ogni discussione pubblica doveva partire da questo assunto: il resto, irrilevante. In questo scenario, qualsiasi altra interpretazione che non si allineasse sulla vulgata diffusa, veniva considerata “conservatrice”, una “difesa”, il prodotto dei “guardiani di Heidegger”: tertium non datur. Qualora non si fosse concordato con l’interpretazione antisemita, il ventaglio delle accuse si dispiegava (e ancora continua a manifestarsi tale) in una serie variopinta di immagini negative. L’esercizio della ragione filosofica doveva piegarsi alle esigenze di mercato, di tendenza, di nomi noti: una certa ricezione ha fatto pagare alla filosofia uno scotto inimmaginabile, ponendola di fronte alla confusione che nasce quando la speculazione si trasforma in una tendenziosa riscrittura volta a fini ideologici e di propaganda. Eppure, per usare le parole di Benedetto Croce, “chi si perita nel filosofare” non può scambiare il consenso per la correttezza filosofica e l’infamia per la verità. IV. Della banalità: su Heidegger ed alcune interpretazioni Sulla strada inaugurata dal curatore tedesco dei Quaderni heideggeriani si colloca l’ultimo lavoro di Jean-Luc Nancy. Il libro, intitolato Banalité de Heidegger e pubblicato nel 2015, raccoglie un intervento svoltosi alla Wüppertal Universität nell’Ottobre 2014. Sia nella sua lezione che nel suo volume, Nancy usa la parola banalità in chiave arendtiana. Egli sottolinea sin dalla prima pagina del suo lavoro come la parola “banalità” indichi l’incapacità tipica dei criminali nazisti che la Arendt ci presenta nel suo noto saggio sul processo ad Eichmann. Nancy rintraccia questa medesima banalità anche in Heidegger quando afferma che Heidegger si sarebbe appropriato 67 della “doxa” nazionalsocialista tipica degli anni ’30 in Germania64 – cioè la collezione di stereotipi e pregiudizi che circolavano in Germania a quel tempo sugli Ebrei – e l’avrebbe integrata nella sua concezione ontologica con riguardo alla storia dell’essere65. In altre parole, secondo Nancy, Heidegger avrebbe condiviso con i nazisti un antisemitismo storico il quale avrebbe contaminato la sua meditazione storico-ontologica di elementi antisemiti, tesi questa condivisa con il curatore tedesco dei QN. Partendo da questo assunto, l’autore francese afferma che questa contaminazione ha legittimato in Heidegger l’idea di un sacrificio necessario degli ebrei66 durante l’Olocausto come una condizione metafisica necessaria67 per l’inizio di un nuovo pensiero68 (Der neue Anfang) dal momento che il carattere ebraico ha delle sue proprie specificità (come, ad esempio, l’essere senza terra, senza storia, senza mondo, l’avere una vuota razionalità, non aver radici, etc.) tali da escluderlo dalla storia dell’essere e da perseguire quella purezza del pensiero che comincia con il pensiero greco arcaico, purezza dalla quale gli Ebrei sono esclusi69. Nancy accoglie la proposta avanzata dal curatore tedesco dei Quaderni, cioè quella per la quale Heidegger era a conoscenza dei Protocolli di Sion: pur non avendoli direttamente letti ma avendo prestato attentamente orecchio ai discorsi di Hitler, egli ne avrebbe assimilato il contenuto70. Il filosofo francese afferma che Heidegger è stato il primo autore a descrivere, filosoficamente, la storia delle caratteristiche del progressivo modello di sviluppo dell’Occidente, da Kant a Marx, usando un approccio fondato su due direttrici: da un lato, su una ricerca del luogo filosofico originario (archéotropie), dall’altro, sugli objettivi che tale sviluppo aveva da conseguire (téléotropie)71. Soprattutto, continua l’autore francese, Heidegger vede nel sorgere del Cristianesimo una modificazione interna del Giudaismo di Israele, la cui conseguenza è di condurre a un antisemitismo come iniziale caratteristica della storia della Cristianità72. In altre parole, secondo l’interpretazione che Nancy fornisce dei passi incriminati dei QN, Heidegger avrebbe assorbito e rielaborato in chiave ontostorica quel particolare antisemitismo tipico delle comunità cristiane delle origini, atteggiamento questo non diverso da quanto accaduto nella riflessione di Hegel o di Nietzsche. J. L. Nancy, Banalité de Heidegger, Galilée, Paris 2015, p. 11. Ivi, p. 13. 66 Ivi., p. 18, 32s. 67 Ivi, p. 21. 68 Ivi, p. 20-21. 69 Ivi, p. 26-30, 34. 70 Ivi, p. 37. 71 Ivi, p. 30-31, 43-44, 84-85. 72 Ivi, p. 50-51. 64 65 68 Gli “Ebrei” sarebbero per Heidegger l’essenza per eccellenza della metafisica e, proprio per ciò, essi devono essere “oltrepassati” in vista delle esigenze interne al movimento della storia dell’essere e del nuovo inizio del pensiero, secondo le quali tutto ciò che è metafisico deve essere eliminato. Detto diversamente, gli Ebrei devono essere distrutti e annientati in nome dell’essere e della sua signoria73. Abbastanza chiara appare la fallacia in cui Nancy cade, per altro la medesima in cui anche la Di Cesare sembra essere incappata: chi considera l’Ebreo come soggetto metafisico a sé, svincolato dalla modernità, non è Heidegger ma gli interpreti in questione i quali attribuiscono all’Ebreo quelle qualità metafisiche che, è bene ripeterlo, Heidegger attribuisce a tutta l’Umanità iscritta nella Modernità, e cioè al cristianismo, al carattere russo, a quello americano, a quello cinese, a quello slavo etc. Ciò che sta a cuore a Heidegger non è ravvisare nella Judenfrage una determinata caratterizzazione metafisica, piuttosto la sua meditazione è volta a mostrare (anche) la storia delle conseguenze che l’oblio dell’essere ha prodotto nel mondo occidentale. È proprio in questo orizzonte di comprensione che possiamo leggere la frase “la catastrofe dell’essere è la sua escatologia”74. Nancy termina il suo libro affermando che la pretesa heideggeriana della ricerca di un pensiero puro capace di ritornare all’antica meditazione dei Greci dovrebbe essere abbandonata dal momento che i QN dimostrano in quale pericolo incorre il pensiero quando smette di pensare i suoi propri contenuti e scivola nella banalità dell’incapacità di giudizio. Ciò che Nancy salva nella meditazione di Heidegger è solo l’analitica esistenziale, sebbene egli sottolinei che essa debba essere ripensata a partire da un approccio politico, quale è il focus della filosofia di Nancy su Heidegger nel volume preso in esame. Alcune idee contenute in esso suonano vicine a un vecchio progetto di Nancy, quello cioè di riscrivere Essere e tempo alla luce del destino politico del progetto sull’ontologia fondamentale e sull’analitica esistenziale del Dasein: “Essere e tempo deve essere riscritto senza il fine autarchico e il pathos tragico-eroico del tema dell’autenticità, dove nel paragrafo 74, Mitsein viene determinato in termini di ‘la gente’ e il suo ‘destino’ (…). Essere e tempo (…) deve essere riscritto dalla prospettiva dell’inautenticità dell’analitica del Mitsein. Sembra che Nancy stia affermando (…) che la genuina radicalità filosofica di Essere e tempo riposi nell’analitica esistenziale dell’inautenticità. Ciò che deve essere recuperato dal disastro dell’impegno politico di Heidegger è la sua fenomenologia della vita quotidiana, l’assoluta banalità del nostro contatto con il mondo e con gli altri, ciò che 73 74 Ivi, 52-54. M. Heidegger, Anmerkungen IV, in GA 97, p. 331. 69 Nancy chiama ‘lo strato più squisitamente modesto della nostra esperienza quotidiana’ (Nancy 1996, 27)”75. In questa sede le mie osservazioni sull’interpretazione di Nancy sono volte al suo approccio ai QN, che sembra risentire del sapore antisemita tipico della diffusa ricezione di questi libri. Il suo lavoro su questi volumi sembra essere generico e generalizzante dal momento che manca un adeguato lavoro sui Quaderni nella loro interezza e soprattutto poiché è assente una riflessione consistente sui sette trattati ontostorici e sulla Seinsgeschichte in relazione alle riflessioni raccolte nei Quaderni. La sensazione che il lettore ha nel leggere il libro di Nancy è che egli segua l’interpretazione di Tranwy senza tuttavia verificarne la validità scientifica e l’attendibilità filosofica. Tuttavia, se pensare è quel costante dialogo che ogni essere umano intrattiene con se stesso al fine di arginare la banalità attraverso un corretto esercizio del giudizio e della ragione pratica, forse Nancy ha per un momento sospeso tale attitudine, in cui egli è stato sempre un maestro, per abbracciare considerazioni che non sono lontane dal poter essere considerate banali. Ogni impegno intellettuale che si assume nei confronti di un lavoro filosofico senza tuttavia considerarlo nella sua totalità e profondità per rimanere piuttosto concentrati solo sulla punta dell’iceberg, senza prendere in considerazione la vastità delle questioni speculative che sono al di sotto della punta, rischia di essere un banale impegno che si limita a ripetere quanto già affermato da altri. Soprattutto, questa modalità di esercitare il pensiero manifesta ancora una volta una tendenza generale che ho osservato da quando i QN sono stati pubblicati, cioè quella tendenza a non verificare gli assunti inerenti all’antisemitismo ontostorico che sarebbe all’opera nella riflessione di Heidegger solo perché essi provengono dal curatore di queste opere. Questa attitudine è molto simile a ciò che accade nella favola di Andersen I vestiti nuovi dell’imperatore – nessuno osa dire che il re è nudo fin tanto che un bambino esclama: “Ma non indossa nulla!”. Coloro che sono famigliari con un’interrogazione sistematica e critica della ragione filosofica non possono dismettere l’esercizio della filosofia anche (e soprattutto) nel momento di accogliere un’interpretazione filosofica, indagandone la validità e soprattutto evitando la tentazione di ridurre la filosofia a una narrazione qualsiasi. Chiaramente ciò comporta l’assunzione di un inconveniente: essere la voce fuori dal coro che evidenzia l’arbitrarietà delle legature di valore nella partitura da eseguire. Tuttavia se è valida la lezione della Arendt per la quale il pensare stesso è un inconveniente e nel 75 S. Critchley, With-being-with? Notes on Jean-Luc Nancy’s Rewriting of Being and Time, in: “Studies in Practical Philosophy”, 1, 1999, p. 54. 70 suo esercizio continuo non può prestare il fianco ad alcuna indolenza o connivenza, allora – forse – piuttosto che appellarsi alla banalità come categoria con cui comprendere il pensiero di Heidegger occorrerebbe imparare “a far su e giù per le scale senza ringhiera”. La ricezione dei QN appare paradigmatica in tal senso: molti degli studiosi di Heidegger hanno dedicato numerosi e voluminosi lavori in questa direzione, cioè convalidare la tesi di un antisemitismo all’opera nel pensiero filosofico dell’autore, scegliendo fondamentalmente due approcci: da un lato, quello basato sulla fiducia in chi ha curato queste opere in virtù del ruolo di editor (halo effect); dall’altro, quello basato su ragioni politiche, o più esattamente ideologiche, i quali hanno trovato in questi quaderni di lavoro la “prova lampante” con cui accusare Heidegger. Tuttavia non posso omettere di ricordare anche un terzo approccio – o una terza via – quello del silenzio: numerosi infatti sono stati gli studiosi che pur avendo potuto aver accesso a questi libri nella loro lingua originale (il tedesco) hanno scelto di tacere o di omettere i numerosi passaggi e note in cui Heidegger pubblicamente attacca e condanna l’ideologia del nazionalsocialismo e il conseguente antisemitismo. Se legittime possono essere state le scelte di tale silenzio e delle numerose omissioni, meno legittimi e sensati appaiono però gli effetti che queste scelte hanno comportato – effetti più politici che non filosofici. Proprio questo silenzio è stato più difficile da comprendere per la scrivente. Tuttavia, se la filosofia non è né una faccenda di fiducia né di ideologia ma ha a che fare solo con il comprendere, mi sembra che entrambi gli approcci descritti poco sopra siano fondati su motivazioni fallaci. La fiducia e l’ideologia, al pari del silenzio o della tendenza ad accusare o ad assolvere Heidegger, così come le ipersemplificazioni o i fraintendimenti non sono motivazioni: sono piuttosto parte di un circolo vizioso che non dimostra nulla, se non forse la povertà del nostro secolo incapace di farsi adulto di fronte al male del secolo passato e alla tendenza di cercare fantasmi che riempiano il vuoto attuale. V. La critica di Heidegger al nazionalsocialismo nel contesto dei Quaderni Neri La relazione che Heidegger ha intrattenuto con il nazionalsocialismo è uno degli argomenti maggiormente discussi della vita del filosofo di Meßkirch. Come molti altri tedeschi, anch’egli visse e fu testimone della disperazione degli anni subito dopo la prima guerra mondiale. Definita dall’economista J.M. Keynes come una “pace cartaginese”, il trattato di Versailles (1919) impose condizioni economiche molto dure alla Germania sconfitta e delle 71 riparazioni di guerra considerate eccessive e controproducenti, fra cui il forzato disarmo del paese e delle sostanziali concessioni territoriali ai paesi vincitori. Al pari di molti altri suoi connazionali, Heidegger credette che il nazionalsocialismo potesse essere un movimento di svolta politica nella totale disperazione sociale di quell’epoca76. Egli abbracciò questa convinzione, tuttavia, per un periodo molto limitato, dal momento che sin dalla fine del 1933 la sua distanza dal partito diventa evidente, fatto che ha la sua importanza se consideriamo il suo ruolo di Rettore dell’Università di Freiburg, come leggiamo nei Quaderni Neri: Perciò non “si” comprenderà subito cosa determinò veramente il mio passo nel 1933, che comunque si rivelò un errore; non riguardo a ciò che si è appena detto, bensì riguardo alla possibilità insita nel nazionalsocialismo e all’attimo e all’abilità di un pensatore di agire in via amministrativa in un ente dell’insegnamento pubblico – l’essenza del materialismo imperialista. [...] Se la dabbenaggine dei tedeschi non fosse già cresciuta smisuratamente prima del 1933, “si” sarebbe dovuto riconoscere che il cosiddetto nazionalsocialismo, senza che esso e i suoi sostenitori allineati alle direttive del partito lo sapessero, era spinto da tutt’altra realtà e che nessuno era sufficientemente libero e cosciente – pensante per condurre nell’aperto e nella dimensione di quelle decisioni che da molto tempo sono presenti e che ora, nonostante | l’“antifascismo”, spingono all’estremo.77 76 Sul tema del coinvolgimento di Heidegger nelle vicende politiche fra gli anni `30 e `40, la letteratura secondaria è estremamente vasta e diversificata. Rimando a: F. Fédier, Heidegger, Anatomie d’un scandale, Paris, Robert Laffont 1988; Id. (éd.), Heidegger, à plus forte raison, Paris, Fayard, 2007; T. Rockmore, On Heidegger’s Nazism and Philosophy, University of California Press, Berkeley and Los Angeles, 1991; Id., The Heidegger case. On Philosophy and politics, Temple University Press, Philadelphia 1992; E. Nolte, Heidegger. Politik und Geschichte im Leben und Denken, Propyläen, Berlin 1992; R. Wolin, The Heidegger Controversy. A Critical Reader, MIT Press, Cambridge, MA 1993; J. Young, Heidegger, Philosophy, Nazism, Cambridge University Press, Cambridge 1997; G. Fried, Heidegger’s Polemos. From Being to Politics, Yale University Press, Yale, CT 2000; B. Taureck, Politische Unschuld? In Sachen Martin Heidegger, Wilhelm Fink, München 2008; A. Denker, H. Zaborowski, Heidegger-Jahrbuch 4. Heidegger und der Nationalsozialismus, voll. 2, Alber Verlag, Freiburg/ München 2009; H. Zaborowski, “Eine Frage von Irre und Schuld?” Martin Heidegger und der Nationalsozialismus, Fischer, Frankfurt am Main 2010; F. Grosser, Revolutionen Denken. Heidegger und das Politische, Beck Verlag, München 2011; A. Xolocotzi Yáñez, Heidegger y el Nacionalsocialismo. Una crònica, Plaza y Valdes Editores, Colonia San Rafael 2013; F.-W. von Herrmann, F. Alfieri, Martin Heidegger. La verità sui Quaderni Neri, Morcelliana, Brescia 2016; R. Marafioti, Gli Schwarze Hefte di Heidegger. Un “passaggio” del pensiero dell’essere, Il Melangolo, Genova, 2016; J. Grondin, Warum ich Heidegger in schwieriger Zeit treu bleibe, in W. Homolka, A. Heidegger, Heidegger und der Antisemitismus. Positionen im Widerstreit, Herder Verlag, Freiburg 2016, 232-241. 77 “‘Man’ wird daher auch nicht sobald begreifen, was das eigentliche Bestimmende war in meinem Schritt 1933, der gleichwohl ein Irrtum wurde; nicht in dem eben Gesagten, 72 Karl Jaspers, il cui peso specifico è stato determinante nel processo a carico di Heidegger per l’interdizione all’insegnamento all’indomani della liberazione, ha paragonato la fiducia di Heidegger nel nazionalsocialismo alla medesima fiducia che un ragazzino sognante nutre nei suoi sogni: Lei mi scuserà se Le dico che cosa ho pensato qualche volta: che Lei, di fronte al fenomeno nazionalsocialista, sembrasse comportarsi come un ragazzo che sogna, che non sa quel che fa, che come cieco e dimentico s’impergola in un’impresa che gli appare tanto diversa da come è in realtà e poi all’improvviso, sgomento, si trova davanti a un cumulo di macerie e si lascia spingere oltre. 78 Heidegger ha sempre riconosciuto questo paragone calzante: Caro Jaspers, […] la Sua immagine del ragazzo sognante è perfettamente indovinata. Nell’inverno del 1932/ 33 ero in congedo didattico, approvato dopo la nomina berlinese del 1930. Quando ritornai qui dalla baita, fui formalmente spinto da tutti in rettorato. Ancora nel giorno delle elezioni mi recai la mattina in Università per spiegare al deposto rettore von Möllendorf […] e al prelato prorettore Sauer che non potevo né volevo assumere l’incarico. Entrambi replicarono che non potevo più tirarmi indietro poiché tutto era stato predisposto per un voto il più possibile unanime […]. Ma anche allorché dissi “Sì”, non riuscivo a vedere al di là dell’Università e non mi accorgevo di ciò che realmente stava succedendo […]. Io fondamentalmente, sognavo e pensavo solo “riguardo” all’Università che avevo davanti agli occhi. Nel contempo però ero finito dentro il meccanismo dell’ufficio, tra le influenze e le lotte di potere e le fazioni; ero perduto, e fui preso, sebbene solo per pochi mesi, da quella che mia moglie chiama un’“ebbrezza di potere”. Solo dal Natale del 1933 cominciai a vederci più chiaro, sicché, in febbraio, deposi tra le proteste il mio incarico e mi rifiutai di prendere parte alla solenne investitura del mio successore […]. Questo passo, […] fu assolutamente taciuto dalla stampa nazionale ed estera. Non voglio con ciò insinuare alcunché, ma per quei tempi, in cui mediamente un rettore restava in carica dai tre ai cinque anni, quello era un passo importante. […] Ciò che Le sondern hinsichtlich der Möglichkeit im National-Sozialismus und hinsichtlich des Augenblicks und der Eignung eines Denkenden zum verwaltungsmäßigen Handeln in einer Anstalt des öffentlichen Unterrichts – das Wesen des imperialistischen Materialismus [...]. Wäre die Versimpelung der Deutschen nicht schon vor 1933 ins Unmaß gestiegen gewesen, dann hätte ‘man’ erkennen müssen, daß der sogenannte Nationalsozialismus, ohne daß dieser und seine parteimäßigen Verfechter es wußten, von einer ganz anderen Wirklichkeit gestoßen war und daß niemand frei und wissend – denkend genug war, um ins Freie und in die Dimension derjenigen Entscheidungen zu führen, die seit langem da sind und jetzt trotz | ‘Antifaschismus’ dennoch ins Äußerste treiben”, M. Heidegger, Anmerkungen II, in: Anmerkungen I – V, in: GA 97, cit., p. 127-128. 78 M. Heidegger/ K. Jaspers, Briefwechsel mit Karl Jaspers (1920-1963), hsrg. v. W. Biemel und H. Saner, Klostermann, Frankfurt a. Main 1992; Lettere 1920-1963, tr. it. c/ di A. Iadicicco, Cortina Editore, Milano 2009, p. 180. 73 sto raccontando non può giustificare nulla; può solo spiegare come, di anno in anno, quanto più si manifestava l’orrore, tanto più cresceva la vergogna di avervi, direttamente o indirettamente, contribuito. […] Vedevo che si avvicinava la guerra, minacciando da vicino i figli già grandi, nessuno dei quali era iscritto né alla Hitler Jugend né all’organizzazione studentesca del partito […] poi vennero le persecuzioni degli ebrei e tutto precipitò nell’abisso. […] Assai più duramente mi colpì ciò che in seguito fu intrapreso contro di me, dal 1945/ 46 e, a tutti gli effetti, fino all’ora presente. 79 Forse in questa sede è utile ricordare un dato squisitamente storico e che riguarda l’ascesa del nazionalsocialismo e l’entusiasmo internazionale con cui esso venne accolto e salutato dalle potenze straniere dopo le terribili perdite e ammende a cui la Germania era stata sottoposta. Fra gli anni ’20 e ’30 alcuni supporters di Hitler provenivano dalle file dell’industria americana e britannica: solo dopo la crisi di Danzica (1939) e l’invasione della Polonia da parte delle truppe di Hitler, le relazioni diplomatiche fra la Germania e il Regno Unito si rovinarono del tutto80. È in questo scenario di iniziale speranza e progressiva manifestazione del terrore che si iscrive la domanda che tutti hanno rivolto a Heidegger – più o meno palesemente: come è stato possibile che un uomo del suo spessore e della sua intelligenza non abbia compreso subito l’orrore e i piani del regime che si stavano progressivamente insinuando in Germania? Questa domanda è stata posta direttamente a Heidegger da uno studente, Hans Peter Hempel che il 19 Settembre 1960, la rivolse tramite lettera al pensatore di Meßkirch e la sua risposta non tardò ad arrivare: Questo conflitto rimane insolubile fin tanto che Lei, ad esempio, un giorno legge al mattino Il principio di ragione e alla sera vede servizi e documentari sugli ultimi anni del regime di Hitler, fintanto che Lei giudica il nazionalsocialismo solo dal punto di vista di oggi e guardando a quanto è venuto chiaramente un poco alla volta dopo il 1934. All’inizio degli anni ’30 le differenze di classe del nostro popolo erano diventate insopportabili per tutti i tedeschi che vivevano con senso di responsabilità sociale, e così anche il pesante ostruzionismo economico nei confronti della Germania dovuto al trattato di Versailles. Nel 1932 c’erano sette milioni di disoccupati che vedevano davanti a sé e per le proprie famiglie solo miseria e povertà. Il turbamento dovuto a queste condizioni, che le odierne Ivi, p. 186 e s. Cf. D.S. Wyman, The Abandonment of Je: American and the Holocaust, Pantheon, NY 1984; H.L. Feingold, Bearing Witness: How America and its Jewish Responded to the Holocaust, Syracuse Press, NY 1995; J.R. Evans, The Coming of the Third Reich, Penguin, NY 2005; Id., The Third Reich in Power 1933-1939, Penguin, NY 2005. 79 80 74 generazioni non riescono nemmeno a immaginare, arrivò a coinvolgere anche le università81. Heidegger non ascrive mai a sé delle giustificazioni – e forse questo è bene ripeterlo più volte – bensì spiega i motivi che lo hanno spinto a determinate scelte; allo stesso modo, egli spiega il motivo del suo ingresso82 nel partito nazionalsocialista con la clausola che esso non avrebbe dovuto in alcun modo interferire con la sua attività didattica e il suo impegno nella ricerca filosofica: Poco tempo dopo l’assunzione del rettorato, il capo del distretto, accompagnato da due suoi funzionari, si presentò un giorno negli uffici dell'Università per esortarmi, secondo il volere del Ministro, a entrare nel partito. Il Ministro sottolineava il fatto che, in questo modo, nell’esercizio dei miei poteri, il mio rapporto con i servizi del partito e del governo sarebbero stati facilitati, soprattutto perché, fino a quel momento non avevo avuto alcun rapporto con quei servizi. Dopo aver riflettuto a lungo, mi dichiarai pronto ad entrare nel partito, nell’interesse dell’Università ma nell’esplicita condizione che né durante il periodo di rettorato né successivamente avrei mai accettato alcun incarico nel partito o esercitato una qualche attività a favore del partito. Queste condizioni furono accettate dalla direzione del distretto, e io stesso, nel periodo che seguì, mi attenni rigorosamente ad esse83. Nella lettera del 16 luglio 1945 al Sindaco di Freiburg, a proposito della confisca della sua abitazione (e della biblioteca personale) e della sospensione dall’insegnamento scrive: Che nella primavera del 1934 io sia stato l’unico, fra tutti coloro che erano rettori, a osare di dimettermi dalla mia carica, definisce chiaramente la mia posizione nei confronti del Partito. Dal canto suo, il Partito deve aver avuto i propri motivi per infastidirmi e ostacolarmi già durante la mia permanenza in carica e in misura crescente dopo le mie dimissioni, e per diffamarmi fino all’insulto nelle riviste e nei giornali. Il Partito deve aver avuto i suoi motivi per infliggermi Lettera inedita citata in: R. Safranski, Heidegger e il suo tempo, c/ di N. Curcio, TEA, Milano 2008, p. 278 e s. 82 Il 21 Aprile 1933 Heidegger è eletto all’unanimità Rettore dell’Università di Freiburg; il 1 Maggio si iscrive con la moglie Elfride all’NSDAP; il 23 Aprile 1934 Heidegger rassegna ufficialmente le dimissioni da Rettore. 83 Dalla lettera di M. Heidegger al Rettorato Accademico dell'Università Albert-Ludwig di Friburgo in Brisgovia, 4 Novembre 1945, in: M. Heidegger, Scritti Politici (1933-1966), cit., p. 225. 81 75 gravi perdite economiche tramite il divieto di stampa e la proibizione di menzionare il mio nome. 84 Subito dopo l’esperienza del Rettorato, durata solo nove mesi rispetto a un mandato amministrativo di cinque anni, Heidegger iniziò ad essere spiato dal regime nazista che mandava alle sue lezioni degli infiltrati per capire se le sue Vorlesungen fossero contro il partito e la sua ideologia, come egli stesso ricorda nella famosa intervista a “Der Spiegel”. Altresì, forse è opportuno ricordare che i suoi libri erano stati posti sotto censura e quei pochi che potevano circolare lo facevano di nascosto. Martin Heidegger era considerato una persona “non grata” ai vertici della dirigenza di Berlino come dice Walter Biemel. È stata la studiosa italiana Sonia Caporossi85 ad aver messo in evidenza per prima, nel contesto della recente bagarre italiana sull’antisemitismo, come Heidegger e la sua filosofia fossero il bersaglio delle violente accuse di Ernst Krieck, rettore dell’Università di Francoforte nel biennio 1933-1934 ma contemporaneamente potente gerarca delle SS, il quale attaccò la filosofia di Heidegger in termini tanto veementi quanto filosoficamente approssimativi, scrivendo nel febbraio del 1934 nel giornale Volk im Werden che il tenore ideologico di fondo della dottrina di Heidegger è definito dai concetti di Cura e di Angoscia, che mirano entrambi al Nulla. Il senso di questa filosofia è un esplicito ateismo e un nichilismo metafisico, analogo a quello sostenuto specialmente da scrittori ebrei, dunque un impulso alla depravazione e alla dissoluzione del popolo tedesco. 86 Ed è stata sempre la Caporossi a sottolineare che quello Heidegger, etichettato come “il filosofo del nazionalsocialismo”, era agli occhi degli altri ideologi del nazismo inutile ai fini della propaganda del partito, dal momento che la sua filosofia era troppo astratta e troppo complessa. In tal senso, la Arendt aveva ben compreso l’“inutilità” della filosofia heideggeriana per il regime: È vero che alcuni eminenti studiosi passarono il segno e collaborarono con i nazisti più della maggioranza dei professori tedeschi che scelsero di allinearsi 84 M. Heidegger, Discorsi e altre testimonianze del cammino di una vita 1910-1976, cit., p. 334. Si leggano anche le importanti pagine a seguire, con particolare attenzione a p. 338 e s. Cf. anche M. Heidegger, Ormai solo un dio ci può salvare, cit., p. 137 s. 85 Cf. S. Caporossi, Il silenzio di Heidegger e la sua ricezione in Italia: una proposta di lettura, in: F. Brencio, La pietà del pensiero, cit., p. 77-78. 86 E. Krieck, “Germanischer Mythos und Heidegger’sche Philosophie”, Volk im Werden, II (1934), p. 247. 76 semplicemente per conservare il loro posto […]. Fra di essi spiccano in particolare i nomi del giurista Carl Schmitt, del teologo Gerhard Kittel, del sociologo Hans Freyer, dello storico Walter Frank […] e del filosofo esistenzialista Martin Heidegger. […] Gli studiosi di cui i nazisti si sbarazzarono in men che non si dica, perché in definitiva ben poco utili, furono proprio i nazionalisti vecchio stile come Heidegger, il cui entusiasmo per il Terzo Reich era pari solo alla sua fulgida ignoranza di ciò di cui stava parlando87. Quando Gadamer viene intervistato da Franco Volpi nel 2001, a proposito del Rettorato dice: Proprio conoscendo Heidegger, quando a Marburgo ci giunse notizia che aveva preso posizione in favore del nazismo, stentavamo a crederci. Heidegger nazista? “Impossibile!”, fu la nostra prima reazione. Era semplicemente un’assurdità, un nonsenso. La sua speranza di promuovere un rinnovamento dell’università cavalcando il movimento nazionalsocialista fu un’incredibile ingenuità, tanto più per uno come lui, privo di qualsiasi nozione di che cos'è e di come funziona un apparato burocratico. Ricordo che quando entrò in carica, dopo poche settimane tutta l’amministrazione universitaria era paralizzata perché, scrupoloso com’era, pretendeva di vedere e controllare di persona ogni atto che firmava. E se prima non aveva letto, non firmava88. Proprio pensando alla relazione fra Università e Reich possiamo leggere in Riflessioni VII: “Ci sono ancora certi infantili romantici che vanno in visibilio per il Reich e addirittura per l’università ‘imperiale’ nel senso della rappresentazione dell’impero di Stephan George”89. Lo scopo di questo capitolo non è quello di ripercorrere le vicende politiche che hanno spinto Heidegger a dare il suo supporto al nazionalsocialismo al momento del suo sorgere e per un breve periodo; piuttosto, vorrei soffermarmi su quelle parti dei Quaderni Neri in cui egli si riferisce a questo movimento politico e al partito con tono accusatorio, parti che sono state volutamente passate sotto silenzio dalla stampa e dal mondo accademico, fatto questo che sollecita la scrivente a chiedersi le ragioni di un siffatto deliberato silenzio. Heidegger definisce il suo ingresso nel partito e l’assunzione del Rettorato come un errore (Irrtum): “L’errore del 1933” – bisogna evitare di farsi un’idea sbagliata su questo errore. L’errore non consistette nel fatto che si osò fare un tentativo con il “nazionalsocialismo”, concepito come una forma di realizzazione e istituzione inevitabile H. Arendt, Antologia, tr. it. c/ di P. Costa, Feltrinelli, Milano 2006, p. 53 e s. F. Volpi, Heidegger fu un gran genio senza coraggio. Intervista a Hans Georg Gadamer, in: “La Repubblica”, 22 maggio 2001. 89 M. Heidegger, Überlegungen VII, in: Überlegungen VII-XI, in: GA 95, p. 6; Riflessioni VII, in: Riflessioni VII-XI, cit., p. 9. 87 88 77 della metafisica assoluta della volontà di volontà, con l’intento di preparare questa metafisica a partire da se stessa e, così, il destino del mondo nel passaggio al superamento della metafisica […]. L’errore non fu “politico” nel mero senso che ci si sbagliò relativamente al “partito”; da un punto di vista politico, in senso storico-mondiale, la decisione non fu affatto un errore; poiché non era previsto che si restasse fedeli al nazional-socialismo come istituzione per l’eternità; quest’ultimo era invece pensato come fine della metafisica, come passaggio, che poteva essere superato soltanto in base all’inizio90. E ancora: Il vero e proprio errore del “rettorato del 1933” non era tanto il fatto che io, come altri più intelligenti, non abbia riconosciuto “Hitler” nella sua “essenza” e che successivamente, assieme a loro, mi fossi messo da parte pieno di rancore, nell’ambito dell’assenza di volontà – cioè nello stesso ambito di chi la volontà ce l’aveva – ma che avessi creduto che quello fosse il momento di diventare storici-iniziali, non attraverso Hitler, ma attraverso un risveglio del popolo nel suo destino occidentale. Cf. il discorso di rettorato. [...] Coloro che ora si schierano insieme, che non hanno imparato niente; di fatto è come se da noi non fosse successo nulla negli ultimi 12 anni – la riammissione di chi è fallito nelle circostanze del 1932 e l’estero lo approva! Si conosce soltanto questo o gli orrori del nazionalsocialismo. | Ma questo aut aut è il vero e proprio errore91. E poco oltre: 90 “‘Der Irrtum von 1933’ – es ist nötig, daß man sich über diesen Irrtum keine irrige Vorstellung mache. Der Irrtum bestand nicht darin, daß ein Versuch gewagt wurde mit dem »Nationalsozialismus« als einer Gestalt der unumgänglichen Verwirklichung und Einrichtung der absoluten Metaphysik des Willens zum Willen, um diese selbst aus sich und damit das Weltgeschick vorzubereiten in den Übergang zur Überwindung der Metaphysik. […] Der Irrtum war nicht ein bloß ‘politischer’ in dem Sinne, daß man sich in der ‘Partei’ versah; politisch im weltgeschichtlichen Sinne war die Entscheidung kein Irrtum; denn es sollte im vorhinein nicht beim National-sozialismus als solchem bleiben, als einer Einrichtung für die Ewigkeit; er war gedacht als Ende der Metaphysik, als Übergang, der selbst nur aus dem Anfang zu überwinden sein wird”, M. Heidegger, Anmerkungen II, in: Anmerkungen I – V, in: GA 97, cit., p. 147 e ss. 91 ”Der eigentliche Irrtum des ‘Rektorats 1933’ war nicht so sehr, daß ich, wie andere Klügere, nicht ‘Hitler’ in seinem ‘Wesen’ erkannte und mit jenen in der Folgezeit grollend daneben stand, im Bereich der Willen-losigkeit – d. h. im selben Bereich mit den Wollenden – sondern daß ich meinte, jetzt sei die Zeit, nicht mit Hitler, aber mit einer Erweckung des Volkes in seinem abendländischen Geschick anfänglich-geschichtlich zu werden. Vgl. die Rektoratsrede [...] Die jetzt Zusammenstehenden, die nichts gelernt haben; es sieht in der Tat so aus, als sei sonst in den 12 Jahren nichts geschehen bei uns – die Anknüpfung der Gescheiterten beim Zustand von 1932 und die Zustimmung des Auslands dazu! Man kennt nur dieses oder die Greuel des Nationalsozialismus. | Aber dieses Entweder-Oder ist der eigentliche Irrtum”, M. Heidegger, Anmerkungen I in: Anmerkungen I – V, in: GA 97, cit., p. 98. 78 Forse un giorno qualcuno capirà che nel discorso di rettorato del 1933 si è fatto il tentativo di pensare in anticipo questo processo del compimento della scienza nella fine del pensiero, di riportare nel pensiero il sapere in quanto sapere essenziale, ma non di abbandonarlo nelle mani di Hitler. Perché altrimenti il partito avrebbe permesso che si combattesse contro questo discorso in tutte le cerchie dei docenti? Certamente non perché, come vuol far credere l’opinione pubblica mondiale, ha tradito l’università abbandonandola al nazionalsocialismo92. Anche intorno al suo rapporto con Husserl e alle calunnie che circolavano in quegli anni, Heidegger scrive in Osservazioni V (Anmerkungen V): Husserl. – Da quando Husserl nel 1930/ 31 prese pubblicamente posizione contro di me in conferenze che erano già quasi delle manifestazioni (Berlino e Francoforte) e rifiutò il mio lavoro come non-filosofia (cf. la postfazione alle sue “Idee” (1930/ 31)), ci sono passato sopra e me ne sono allontanato. Non ho mai fatto nulla contro Husserl. Si mente quando si dice che l’ho cacciato dall’università e che gli ho vietato l’accesso alla biblioteca. Dal 1928 Husserl era emerito su sua richiesta; da allora non ha più tenuto corsi o esercitazioni; non ha mai usato la biblioteca dell’università, tranne in poche occasioni eccezionali negli anni ’20. Non c’era nulla da vietare. Le sue opere non sono mai state rimosse dalla biblioteca del dipartimento, come sarebbe stato prescritto per gli autori ebrei; né tanto meno è mai stato acquistato un libro nazionalsocialista, come ad esempio Rosenberg o simili, né è mai stata appesa un’“immagine del Führer”, come invece era prescritto e si fece negli altri dipartimenti. Non dico questo per difendermi, ma solo a titolo di informazione, aggiungendo anche che tra il 1933 e il 1944, proprio come in passato, ho sempre richiamato l’attenzione, con la stessa obiettività, sull’importanza della fenomenologia di Husserl e sulla necessità di studiare le “Ricerche logiche”. Non è mai stata detta alcuna parola di critica, cosa che sarebbe stata possibile, legittima e non criminosa, né durante le lezioni, né durante le esercitazioni. Ho preso le distanze da Husserl; era una necessità dolorosa. Un qualsiasi altro comportamento da parte mia sarebbe comunque stato interpretato solo come cortesia. Chi invece parla di un tradimento esecrabile, non sa che parla solo per vendetta e non sa nulla di ciò che ben presto si verificò: che il mio percorso speculativo fu letto come rinnegamento, che si fece ricorso alla propaganda quando il mio percorso non poté essere arrestato in altro modo. Ora si inscena una grande distorsione della storia. Mi sembra però che i miei tentativi a partire da “Essere e tempo” siano la prova più degna di ciò che devo a Husserl – del fatto che da lui imparai e testimoniai a favore del suo 92 “Vielleicht kommt eines Tages doch jemand dahinter, daß in der Rektoratsrede von 1933 der Versuch gemacht wurde, diesen Prozeß der Vollendung der Wissenschaft in der Verendung des Denkens vorauszudenken, Wissen als Wesenswissen wieder ans Denken zu bringen, nicht aber an Hitler auszuliefern. Warum ließ denn die Partei in allen Dozentenlagern diese Rede bekämpfen? Doch wohl nicht deshalb, weil sie, wie die Weltöffentlichkeit vorgibt, die Universität an den Nationalsozialismus verraten hat”, M. Heidegger, Anmerkungen III, in: Anmerkungen I – V, in: GA 97, cit., p. 258. 79 percorso nella misura in cui non rimasi suo discepolo, cosa che del resto non sono mai stato. Ma proprio ciò trasgredì l’ordine di casa molto prima che si cominciasse a parlare di nazionalsocialismo e di persecuzione degli ebrei. Visto che ancora nel 1948 sono di moda le diffamazioni e gli insulti e nessuno si prende la briga di dare un giudizio oggettivo con cognizione di causa, o anche di studiare i miei scritti e di addurre le mie lezioni, un tempo molto utilizzate, come testimonianza del mio pensiero, ho voluto qui fare ancora una volta questa precisazione, non per il pubblico, non per difendermi, ma come semplice constatazione93. Il nazionalsocialismo è definito in più luoghi come un movimento volgare e banale, fondato su principi barbarici che hanno come fine solo quello di soddisfare e indottrinare le masse94. La distanza fra sé e questo movimento po- 93 “Husserl. – Seitdem Husserl von 1930/ 31 öffentlich in Vorträgen, die schon eher Kundgebungen waren (Berlin und Frankfurt), gegen mich Stellung nahm und meine Arbeit als Unphilosophie zurückwies (vgl. das Nachwort zu seinen ‘Ideen’ (1930/31)), bin ich an ihm vorbeigegangen. Ich habe nie das Geringste gegen Husserl unternommen. Man lügt, ich hätte ihn aus der Universität vertrieben und die Bibliothek verboten. Husserl war seit 1928 emeritiert auf eigenen Wunsch; er hat seitdem nie mehr gelesen oder eine Übung gehalten; er hat nie die Universitätsbibliothek benutzt, von wenigen Ausnahmen in den Jahren 1920 ff. abgesehen. Was gab es da zu vertreiben? Seine Werke sind niemals aus der Seminarbibliothek entfernt worden, wie das für jüdische Autoren vorgeschrieben war; | sowenig wie je ein nationalsozialistisches Buch, z. B. Rosenberg und dergleichen, angeschafft oder, wie vorgeschrieben und auch in den übrigen Seminaren befolgt war, ein ‘Führerbild’ aufgehängt wurde. Ich nenne dies nicht zur Verteidigung, nur als Feststellung, wozu auch dieses gehört, daß ich zwischen 1933 und 44 genau wie früher in der gleichen Sachlichkeit auf die Bedeutung der Phänomenologie Husserls und die Notwendigkeit des Studiums der ‘Logischen Untersuchungen’ hingewiesen habe. Es ist nie ein Wort der Kritik, was ja möglich und berechtigt und kein Verbrechen gewesen wäre, gefallen, weder in den Vorlesungen noch in den Übungen. Ich bin an Husserl vorbeigegangen; das war eine schmerzliche Notwendigkeit. Man hätte auch jede andere Haltung von mir nur als höfliche Geste ausgelegt. Wer aber von verabscheuungswürdigem Verrat redet, weiß nicht, daß er nur Rache redet und von dem, was früh geschah, nichts weiß: daß mein eigener Weg des Denkens als Abfall ausgelegt wurde, daß man zur Propaganda die Zuflucht nahm, als mein Weg anders nicht aufzuhalten war. Man inszeniert jetzt eine große Geschichtsfälscherei. Mir scheint aber, daß meine Versuche seit ‘Sein und Zeit’ das würdigste Zeugnis für das sind, was ich Husserl verdanke – daß ich von ihm lernte und für seinen Weg zeugte dadurch, daß ich nicht sein Anhänger blieb, der ich auch nie war. Aber genau dieses verstieß gegen die Hausordnung, lange vor dem, daß von Nationalsozialismus und Judenverfolgung die Rede war. Weil auch noch im Jahre 1948 die Verunglimpfungen und Schmähungen im Schwange sind, niemand sich die Mühe nimmt, sachlich aus Sachkenntnis zu urteilen oder gar auf meine Schriften einzugehen und die sonst viel benutzten Vorlesungen als Zeugnisse meines Denkens anzuführen, sei dies noch einmal vermerkt, nicht für die Öffentlichkeit, nicht zur Verteidigung, sondern als Feststellung”, in: M. Heidegger, Anmerkungen V, in: Anmerkungen I-V, in: GA 97, cit., p. 462-63. 94 M. Heidegger, Überlegungen und Winke III, in: Überlegungen II – VI, in: GA 94, p. 194; Riflessioni e cenni III, in: Quaderni Neri (1931-1938), cit., p. 257. 80 litico – e l’ideologia ad esso sottesa, così come ai suoi principi – è una costante che percorre le oltre 1900 pagine dei Quaderni Neri e che ci rende l’immagine di un Heidegger attento osservatore della politica e della storia a lui contemporanea. Non solo: l’insistenza con cui egli ha più volte sottolineato la volgarità e la bassezza dell’ideologia nazionalsocialista, della teoria razziale e dell’antisemitismo sono alcune preziose considerazioni su cui molti interpreti hanno volutamente steso una coltre di silenzio. Tuttavia, si potrebbe replicare che ciò non è abbastanza per dimostrare che Heidegger non sia un antisemita dal momento che negli Schwarze Wachstuchhefte troviamo passaggi in cui egli parla degli ebrei, sebbene, a fronte di queste obiezioni, si dovrebbero altresì ricordare le lettere e le note personale in cui Heidegger parla degli ebrei come fra i migliori fra i suoi studenti. È convinzione della scrivente che il principio della quantità – cioè il principio in base al quale è la quantità delle espressioni dal tono antigiudaico ad avvalorare la posizione di un Heidegger antisemita – non sia un principio filosoficamente valido per comprendere in modo critico l’accusa di antisemitismo mossa al filosofo. Questa “contabilità” delle citazioni non è lo scopo questo scritto, il quale rimane quello di verificare se la filosofia di Heidegger sia in qualche modo responsabile dell’Olocausto; in altre parole, se la sua riflessione sia in qualche misura contaminata da una forma di antisemitismo e se la sua meditazione abbia giocato un peso specifico nel costruire e diffondere l’ideologia criminale alla base delle indicibili atrocità perpetrate dai nazisti nei campi di concentramento. Per dimostrare ciò occorre tornare ad un punto preciso della speculazione del filosofo, cioè la questione etica, da alcuni considerata il tema assente della riflessione heideggeriana, da altri invece tematizzata come inveramento dell’analitica esistenziale. VI. L’etica originaria: Essere e tempo e la Lettera sull’umanismo Uno dei contributi più interessanti di Nancy al campo degli studi heideggeriani è quello intitolato L’éthique originaire de Heidegger95, dapprima pubblicato nel volume La pensée dérobée e poi come piccolo scritto autonomo in lingua italiana96. In questo scritto Nancy critica coloro che insistono nel negare una qualche dimensione etica nel pensiero di Heidegger basando le loro idee sulla critica costruita da Heidegger stesso alla disciplina che reca il nome di “etica” o in base al rifiuto da parte di filosofo tedesco di interpretare Cf. J.L. Nancy, L’éthique originaire de Heidegger, in: La pensée dérobée, Galilee, Paris 2001, p. 85-114. 96 J.L. Nancy, L’etica originaria, Cronopio, Napoli 1996. 95 81 l’analitica del Dasein in una qualche accezione morale97. Piuttosto, Nancy afferma che non si dà “morale” in Heidegger intesa come un corpo di principi e scopi indirizzati a disciplinare la condotta umana, fissati o da un’autorità personale o collettiva, dal momento che non è compito di alcuna filosofia fornire questo tipo di “morale” in questa accezione poiché il suo orizzonte non è quello di prescrivere norme o valori, quanto deve essere quello di pensare l’essenza o il senso di ciò che rende un’azione tale, in altre parole, di ciò che sollecita l’azione nella posizione di assumere determinate norme o valori98. La tesi principale di Nancy è che il pensiero dell’essere (la pensée de l'être) altro non è che un pensiero di ciò che Heidegger ha chiamato “etica originaria” in tutti i suoi sviluppi (n’est pas autre chose qu’une pensée de ce que Heidegger a nommé «l’éthique originelle», et qu’elle l’est donc de part en part, dans tous ses développements) e con la cosiddetta “svolta” ci confrontiamo con un’accentuazione, o con una flessione del motivo etico: il passaggio dall’onto-logia all’onto-logia (le passage de l’ontologie à l’ontologie)99. Il piccolo saggio di Nancy su Heidegger è proprio mirato a dimostrare questa tesi e riesce nel suo scopo. Eppure, proprio per la destrezza e profondità con cui il pensatore francese si immerge nell’ontologia heideggeriana, balza immediatamente agli occhi una contraddizione rispetto a ciò che egli scrive nel volume Banalité de Heidegger. Infatti, mentre nel libro pubblicato nel 2015 egli afferma che la riflessione di Heidegger accoglie, attraverso una contaminazione con l’antisemitismo storico, degli elementi antisemiti che entrano nel pensiero ontostorico e che legittimano Nancy a parlare di una banalità vera e propria all’opera nella filosofia di Heidegger, nello scritto sull’etica originaria egli accentua quegli elementi, invece, che vengono ritenuti fondanti e originari nel pensare heideggeriano ma che, a distanza di anni, sono ora accusati nel suo recente lavoro. Si potrebbe pensare che la nuova tesi proposta da Nancy – sostenuta nella sua lectio a Wüppertal (2014) e successivamente pubblicata (2015) – sia fondata su quei tanto discussi estratti sugli ebrei che all’epoca del saggio sull’etica originaria non si conoscevano e, proprio dal momento che i Quaderni Neri hanno portato questi elementi alla superficie, proprio quest’ultima tesi (2015) è quella più fedele alla verità. Seguendo la logica del pensiero ordinario questa posizione ha la sua validità (ciò che si scopre dopo potrebbe possedere più valore e validità rispetto a ciò che si sapeva prima), ma secondo il ragionamento filosofico questo modo di pensare non ha alcuna consistenza dal momento che Nancy in Banalité de Heidegger non menziona mai il suo precedente lavoro J.L. Nancy, L’éthique originaire de Heidegger, in: La pensée dérobée, cit., p. 86. Ivi. 99 Ivi, p. 87. 97 98 82 ammettendo una presunzione dell’errore dovuta a due differenti scenari concettuali: egli piuttosto non entra mai nel merito di un confronto fra le sue due diverse interpretazioni, scegliendo di rimanere sulla soglia di un mancato chiarimento. Questa assenza di un confronto fra le due posizioni interpretative mi sembra essere, più che il risultato di una qualunque dimenticanza, un tentativo per evadere un confronto consistente e sistematico con la storia dell’essere e un’occasione per dare sostegno e credibilità alla proposta del curatore tedesco dei Quaderni usando la famosa espressione arendtiana della banalità del pensare (e del giudicare) – in fin dei conti, quale trovata migliore dell’usare il noto concetto della studentessa, amante e amica dell’“antisemita” Heidegger? In altre parole, duplex est quaestio: o la meditazione filosofica di Heidegger è banale a causa dell’antisemitismo, o il suo antisemitismo rimane incompatibile con la cornice concettuale dell’etica originaria la quale non può essere banale, dando per adeguatamente conosciuta la definizione di “banalità” proposta dalla Arendt. Come sciogliere questo interrogativo? Siamo inclini ad abbracciare il punto di vista del pensiero ordinario o, dal momento che esercitiamo la ragione filosofica, dobbiamo attenderci una diversa chiarificazione? Mi sembra che il dilemma fra un Heidegger di cui si decreta la banalità e uno Heidegger di cui si sottolinea l’originarietà etica possa essere sciolto guardando alla cosa stessa, cioè il pensiero del filosofo tedesco. Nella Lettera sull’umanismo, Heidegger solleva la questione di un’etica originaria all’opera in Essere e tempo: Poco dopo l’apparizione di Sein und Zeit un giovane amico mi chiese “Quando scriverà un’etica?”. Là dove l’essenza dell’uomo è pensata in modo così essenziale, cioè unicamente a partire dalla questione della verità dell’essere, ma dove, tuttavia, l’uomo non è innalzato al centro dell’ente, è inevitabile che si desti l’esigenza di un’indicazione vincolante e quindi di regole che dicano come l’uomo, esperito a partire dall’e-sistenza rivolta all’essere, debba vivere in conformità al suo destino. Il desiderio di un’etica si fa tanto più urgente quanto più il disorientamento manifesto dell’uomo, non meno di quello nascosto, aumenta a dismisura. Al vincolo dell’etica occorre dedicare ogni cura, in un tempo in cui l’uomo della tecnica, in balia della massificazione, può essere portato ancora a una stabilità sicura solo mediante un raccoglimento e un ordinamento del suo progettare e del suo agire, nel loro insieme, che corrispondano alla tecnica100. Heidegger insiste, nelle due pagine successive a questa citazione, sulla relazione fra etica e ontologia, definendo non solo le singole peculiarità di queste M. Heidegger, Brief über den Humanismus, in: Wegmarken, Hrsg. von FriedrichWilhelm von Herrmann, Klostermann Verlag, Frankfurt am M. 1976, in: GA 9; Lettera sull’umanismo, in Segnavia, tr. it. c/ di F. Volpi, Adelphi, Milano 1987, pp. 304 e s. 100 83 due differente aree ma anche mettendo in evidenza le affinità. Ecco perché’ egli afferma che “se in conformità al significato fondamentale della parola ἧθος, il termine ‘etica’ vuol dire che con questo nome si pensa il soggiorno dell’uomo, allora il pensiero che pensa la verità dell’essere come l’elemento iniziale dell’uomo in quanto e-sistente è già in sé l’etica originaria. Ma questo pensiero non è nemmeno etica per il solo fatto che è ontologia”101. Quale relazione esiste fra il pensare e il comportarsi allora, fra il pensare e l’agire concreto? “Il pensare e’ un fare. Ma un fare che supera ogni prassi. Il pensare, infatti, è superiore all’agire e al produrre non per la grandezza delle sue prestazioni e neppure per gli effetti che causa, ma per quel poco (das Geringe) che è proprio del suo portare a compimento, privo di successi”102. Tuttavia, “misuriamo il fare in base al successo e all’impressione che producono le realizzazioni della prassi. Ma il fare del pensiero non è né teorico né pratico, e non è nemmeno l’unione di questi due tipi di comportamento”103 e ciò richiede, soprattutto, “il rigore della meditazione, la cura del dire, la parsimonia delle parole”104. Il fare non è un produrre, piuttosto è un comportarsi e un agire. In quanto condotta di senso, il comportarsi è essenzialmente un pensare e per questa ragione l’ontologia – nei termini di un pensiero dell’essere – non è lontana dall’etica, bensì piuttosto ad essa essenziale. Non è questa la sede per esplorare tutti i temi che Heidegger tratta nella Lettera sull’umanismo, nata come una risposta al filosofo francese Jean Beaufret, e per metterli in relazione con il successivo sviluppo che essi hanno nelle altre sue opere. Tuttavia, ciò che mi preme sottolineare è come nei passaggi esposti poco sopra siamo chiamati a confrontarci con il tema principale che attraversa la riflessione della Arendt e di Nancy sulla banalità: il fare è sempre un pensare e il pensare è sempre un fare, nel significato che Heidegger ha mostrato. Nel corso del semestre invernale 1951-52 e in quello del semestre estivo 1952, raccolti sotto il titolo Che cosa significa pensare?, Heidegger sviluppa questa stretta relazione fra il pensare e l’agire. È abbastanza semplice notare come proprio in quest’opera si radichi la riflessione che la Arendt porterà avanti nel suo lavoro ne La vita delle mente in modo autonomo e per certi aspetti diverso da quello del maestro, e come sia imprescindibile per lei seguire – anche se da lontano – i sentieri inaugurati da Heidegger attraverso i quali la sua meditazione si staglia in direzione della domanda ontologica fondamentale. Come Nancy evidenzia nel suo lavoro Ivi, p. 307 e s. Ivi, p. 312. 103 Ivi, p. 313. 104 Ivi, p. 314. 101 102 84 sull’etica originaria di Heidegger, il senso del fare è dunque identico e coestensivo con tutte le azioni105. Nella parola “etica” non consideriamo l’effetto di una distribuzione di discipline che suggerirebbe di distinguere l’ordine dei significati morali (valori) dall’ordine dei significati naturali o cognitivi. “Ethos” deve essere pensare come una “dimora”, come il “ci” (Da) dell’esserci (Da-sein), e dunque come la sua apertura originaria. Seguendo le considerazioni di Nancy, l’etica originaria è il nome più appropriato per l’ontologia fondamentale e l’etica è propriamente ciò che è fondamentale nell’ontologia fondamentale. “Cosa facciamo quando pensiamo?” – chiede Hannah Arendt nelle primissime pagine di La vita della mente: questa è anche la domanda di Heidegger. Se il pensare è un fare, quando pensiamo stiamo comunque facendo qualcosa che, ciò nonostante, non deve essere confuso con l’urgenza del conoscere: “Aspettarsi la verità dall’attività di pensiero significa confondere il bisogno di pensare con l’impulso di conoscere. Se il pensiero può e deve essere impiegato nello sforzo di sapere, nell’esercizio di tale funzione il pensiero non è veramente mai se stesso: è soltanto l’ancella di un’impresa del tutto differente”106. Cosa dobbiamo dunque farne dei valori che regolano il nostro fare, il nostro agire, il nostro comportarci? Ancora una volta è Heidegger stesso a suggerire una strada, quando scrive a proposito dei valori, di Dio o della dignità umana. Se il pensiero dell’essere non ha nulla a che fare con “il pensare per valori” o con il ragionare intorno a Dio o alla dignità umana, “parlare contro di essi (…) lo si considera subito come una negazione di essi e questa negazione come il ‘negativo’ nel senso di distruttivo”107. Pensare “contro” i valori non significa che ogni cosa che è interpretata come “valore” (…) sia senza valore. Si tratta piuttosto di capire finalmente che proprio quando si caratterizza qualcosa come “valore”, ciò che è così valutato viene privato della sua dignità. Ciò significa che con la stima di qualcosa come valore, ciò che così è valutato lo è solo come oggetto della stima umana. Ma ciò che è qualcosa nel suo essere non si esaurisce nella sua oggettività (Gegenständigkeit) e ciò tanto meno se l’oggettualità considerata (Gegenständlichkeit) ha il carattere di valore. Ogni valutazione, anche quando è una valutazione positiva, è una soggettivazione. Essa non lascia essere l’ente, ma lo fa valere solo come oggetto del proprio fare. Lo strano sforzo di dimostrare l’oggettività dei valori non sa quel che fa. Proclamare per sovrappiù “Dio” come il “valore più alto” significa degradare l’essenza di Dio. Pensare per valori, qui e altrove, è la più J.L. Nancy, L’éthique originaire de Heidegger, in: La pensée dérobée, cit., p. 90. H. Arendt, The Life of the mind, Harcourt Publ., New York 1978; La vita della mente, tr. it. c/ di G. Zanetti, Il Mulino, Bologna 2009, p. 145. 107 M. Heidegger, Lettera sull’umanismo, in: Segnavia, cit., p. 299. 105 106 85 grande bestemmia che si possa pensare contro l’essere. Pensare contro i valori non vuol dire perciò sbandierare l’assenza di valori e la nientita’ dell’ente, ma portare la radura della verità dell’essere davanti al pensiero, contro la soggettivazione dell’ente ridotto a mero oggetto108. Il pensare è sempre un pensare contro i valori – qualsiasi essi siano, nel senso di quel “contro” che Heidegger ha appena illustrato. Questa frase non può essere interpretata vedendo in Heidegger uno degli ultimi nichilisti del XX secolo, ma in un significato completamente differente: pensare contro i valori significa pensare in una modalità non soggettivistica (e non oggettivistica che, dunque, ricade nel solco della metafisica occidentale di cartesiana provenienza) che si colloca lontana sia da ogni sponda materialista e dualista, sia da ogni deriva religiosa a fronte di un recupero della trascendenza di cui Dio stesso è privato nella misura in cui si fa “valore”: se Dio diventa “valore”, perde ciò che lo rende Dio, cioè ciò che lo rende tale. In questo scenario concettuale, il pensare è anche un pensare contro i valori del nazionalsocialismo e contro ogni forma di razzismo o antisemitismo. VII. Heidegger e l’Olocausto Seguendo queste riflessioni, è possibile ascrivere alla meditazione di Heidegger qualche responsabilità filosofica nel contesto dell’Olocausto? Questa domanda, apparentemente semplice, implica molteplici elementi: innanzitutto, implica di considerare criticamente e nel contesto di originaria provenienza le proposizioni in cui Heidegger parla degli ebrei, dell’ebraismo e del carattere ebraico; in secondo luogo, comporta di prendere in esame la relazione che Heidegger ha intrattenuto con il nazionalsocialismo; in terzo luogo, obbliga a prendere in esame il suo “apparente” silenzio sull’Olocausto. Proprio a partire da quest’ultimo punto vorrei richiamare l’attenzione del lettore su due delle quattro conferenze facenti parti del ciclo di incontri intitolato Sguardo su ciò che è tenute nel 1949 a Brema e nel 1957 a Freiburg, cioè sulle conferenze intitolate L’impianto e Il pericolo. Nella prima conferenza Heidegger pronuncia una frase divenuta famosa non solo nello scenario degli studi heideggeriani ma anche fra coloro che l’hanno poi interpretata a proprio uso e consumo: “L’agricoltura è oggi industria alimentare meccanizzata, che nella sua essenza è lo stesso della fabbricazione di cadaveri nelle camere a gas e nei campi di sterminio, lo stesso del blocco e dell’affamamento di intere nazioni, lo stesso della fabbricazione 108 Ivi, p. 301. 86 di bombe all’idrogeno”109. Ciò che Heidegger sta dicendo con questa proposizione non è che l’Olocausto è identico alla moderna agricoltura meccanizzata, piuttosto che entrambi condividono la stessa essenza, che è l’essenza della tecnica e della sua Machenschaft: il Ge-stell. Nel piccolo saggio intitolato La questione della tecnica egli chiarirà il senso di questa affermazione spiegando in cosa riposa l’essenza della tecnica: “La tecnica non è semplicemente un mezzo. La tecnica è un modo del disvelamento”110 la cui essenza sta nell’im-posizione provocante che mette in pericolo l’uomo nella sua essenza e nella sua relazione con il mondo in cui vive. “Il disvelamento che vige nella tecnica moderna è una pro-vocazione (Herausfordern)”111 e il funzionamento tecnologico il segno che tale provocazione si è stabilita sulla terra e fra gli uomini come condizione irrevocabile: “Tutto funziona. Questo è appunto l’inquietante, che funziona e che il funzionare spinge sempre oltre verso un ulteriore funzionare e che la tecnica strappa e sradica l’uomo sempre più dalla terra”112. Nella seconda conferenza invece troviamo un passo densissimo e gelido al medesimo tempo in cui Heidegger insiste sull’essenza della tecnica in relazione al poter morire, all’essere capace della propria morte. Anche in questo contesto egli osserva come nei campi di concentramento gli uomini siano stati privati non solo della loro umanità e dignità, ma persino della loro stessa morte, del loro poter morire: “Centinaia di migliaia muoiono in massa. Muoiono? Periscono (Sterben sie? Sie kommen um). Sono uccisi. Muoiono? Diventano ‘pezzi di riserva’ di una riserva della fabbricazione dei cadaveri (Sie werden Bestandstücke eines Bestandes der Fabrikation von Leichen). Muoiono? Sono liquidati con discrezione nei campi di sterminio (Sie werden in Vernichtungslagern unauffällig liquidiert)”113. Heidegger fornisce della tecnica due definizioni: una strumentale (che ha ad oggetto la correttezza della tecnica) ed una antropologica (il cui oggetto è la verità della tecnica), accomunandole sotto la medesima idea dell’agire pratico dell’uomo. La rappresentazione strumentale della tecnica è corretta ma non vera, poiché non dona un disvelamento autentico dell’esistenza, cioè una corretta comprensione della relazione dell’uomo con il mondo che abita. In tal senso, anche dal punto di vista antropologico la tecnica nullifica la 109 M. Heidegger, Das Ge-stell, in: Bremer und Freiburger Vorträge, hrsg. von P. Jaeger, Klostermann Verlag, Frankfurt am Main 2005, in: GA 79, p. 27; L’impianto, in: Conferenze di Brema e di Friburgo, trad. it. c/ di G. Gurisatti, Adelphi, Milano 2002, p. 49 e s. 110 M. Heidegger, La questione della tecnica, in: Saggi e discorsi, tr. it. c/ di G. Vattimo, Mursia, Milano 1976, p. 9. 111 Ivi, p. 11. 112 M. Heidegger, Ormai solo un Dio ci può salvare, cit., p. 134. 113 M. Heidegger, Die Gefahr, in: Bremer und Freiburger Vorträge, cit., p. 56; “Il pericolo”, in: Conferenze di Brema e di Friburgo, cit., p. 83. 87 modalità del disvelamento originario dell'essere; essa “fornisce il fondamento metafisico della possibilità, o addirittura alla necessità, di conquistare e padroneggiare la natura”114. Il tratto fondamentale della tecnica moderna sta nel “porre che provoca”115. Scrive Heidegger: “La tecnica, la cui essenza è l’essere stesso, non si lascia mai superare dall’uomo, poichè ciò significherebbe che l’uomo è il padrone dell’essere”116. Quegli interpreti che hanno considerato e interpretato le parole di Heidegger sulle camere gas in relazione all’agricoltura meccanizzata come un’equivalenza di esperienze e di finalità hanno dimostrato non solo di non aver compreso il senso della meditazione del filosofo tedesco, ma soprattutto hanno tendenziosamente manipolato il senso di quelle affermazioni e delle riflessioni ad esse sottese per costruire un’immagine ideologica del filosofo profondamente lontana dal cuore della sua speculazione. L’insistenza sull’essenza della tecnica e sulla modalità di disvelamento dell’essere e della relazione di questo con l’uomo che Heidegger ha offerto accostando le atrocità perpetrate nei campi di concentramento con l’agricoltura meccanizzata è indicativa di una sua preoccupazione essenziale: chiarire una modalità di comprensione e di disvelamento del mondo in cui uomini e natura sono intrappolati, non più liberi ma controllati, non più autonomi ma meccanizzati persino nella loro possibilità di esperire la morte. Se si tenta di entrare nella riflessione di Heidegger con questa costellazione di riferimenti filosofici, allora forse si comprenderà che quell’equazione che vuole il “nazista” Heidegger responsabile filosoficamente nei confronti dell’Olocausto è destinata ad infrangersi quando si incontra con un approccio consistente e rigoroso. L’invito che la scrivente rivolge al lettore è quello di uscire dalla logica binaria dell’accusa o della difesa e di entrare nello spazio filosofico per vagliare la consistenza filosofica delle interpretazioni proposte a questo riguardo. Le posizioni interpretative andate per la maggiore, cioè quelle proposte da Trawny e dalla Di Cesare, sembrano alimentare l’idea che Heidegger abbia una qualche responsabilità filosofica nei confronti dell’Olocausto. Il curatore tedesco dei Quaderni, partendo dalla sua personale interpretazione di un antisemitismo filosofico, non perde alcuna occasione per rimarcare un paio di punti: in primo luogo, ai suoi occhi l’antisemitismo di Heidegger sembrerebbe essere aggravato dalla sua protratta relazione con gli ebrei, molti dei quali suoi studenti. Ciò significa che il suo antisemitismo è stato nascosto persino a coloro che venivano definiti dal filosofo di M. Heidegger, Sull'essenza e sul concetto della physis, in: Segnavia, cit., p. 243. Linguaggio tramandato e linguaggio tecnico, p. 42-43. 116 M. Heidegger, Die Kehre, in: Bremer und Freiburger Vorträge, hrsg. von P. Jaeger, Klostermann Verlag, Frankfurt am Main 2005, in: GA 79; tr. it La svolta, in: Conferenze di Brema e di Friburgo, cit., p. 98. 114 115 88 Meßkirch “intimi ed amici”, e dunque questo lo renderebbe ancora più aberrante117. In secondo luogo, il tanto discusso “silenzio di Heidegger”, segnale della sua condotta silente nei confronti dell’Olocausto, sarebbe qualcosa che egli considerava doveroso. Sembrerebbe che lo studioso tedesco ammicchi ad una sorta di paragone fra il silenzio tipico degli antisemiti all’indomani della diffusione dei crimini compiuti nei lager nazisti e l’attenzione squisitamente heideggeriana per il tema del silenzio. In altre parole, egli sembra evocare il sospetto che quel silenzio di cui Heidegger parla nei suoi scritti espressamente dedicati al parlare, all’essere silenti, non sia poi molto distante da quel silenzio dietro cui Heidegger si “nascose” fino alla fine dei suoi giorni. Naturalmente il curatore tedesco dei Quaderni cita espressioni tratte direttamente dalle opere di Heidegger sul linguaggio e sulla relazione che questo intrattiene con il silenzio, un tema ampio che attraversa la meditazione di Heidegger da Sein und Zeit fino ai suoi lavori sulla poesia, in modo da tessere un’immagine accattivante per suffragare la propria tesi – eppure, anche in questo caso, un ennesimo esempio di evidenza incompleta, dato l’uso delle fonti e dei bias che ne animano la divulgazione: “‘Rimanere silenti’ – dopo Essere e tempo questa frase gioca un ruolo costante, anche se a tratti diversificato, nel pensiero di Heidegger. Nelle Überlegungen e nelle Anmerkungen dei Quaderni Neri, Heidegger parla frequentemente del ‘rimanere silenti’ – del ‘rimanere silenti’ nel parlare, del ‘ritegnoso silenzio’, dell’‘essere taciturni’ – e enfatizza come si debba rimanere silenti a proposito del silenzio. (…) Perciò, attraverso qualche spiegazione si può dire che rimanere silenti circa la Shoah potrebbe essere discusso e valutato in riferimento all’idea di silenzio propria di Heidegger. In altre parole rimanere silenti circa la Shoah ha delle implicazioni precise (…) come quelle questioni che vengono accennate attraverso le sue suggestive osservazioni circa ‘il rimanere silenti’”118. Le osservazioni della studiosa Donatella Di Cesare invece sono fondate sull’interpretazione – di cui non è difficile scorgere la tendenziosità – di alcuni passi che mostrerebbero come gli ebrei si siano auto-sterminati. Questa interpretazione si basa su un passo contenuto in Osservazioni I (Anmerkun- Si veda P. Trawny, Heidegger und der Mythos der jüdischen Weltverschwörung, cit., p. 9-11; Id., Heidegger and the Shoah, in: J. Malpas, I. Farin (eds.), Reading Heidegger’s Black Notebooks (1931-1941), cit. p. 169. 118 P. Trawny, Heidegger and the Shoah, in: J. Malpas, I. Farin (eds.), Reading Heidegger’s Black Notebooks (1931-1941), cit., p. 176 e s. 117 89 gen I) dove Heidegger utilizza la parola auto-annientamento (Selbstvernichtung119) nel contesto della metafisica occidentale. Inutile, forse, insistere in questa sede sul sensazionalismo con cui questa posizione interpretativa è stata affidata ai vari quotidiani: la prova lampante dell’odio di Heidegger contro gli ebrei era ora sotto al naso di tutti – insieme al cattivo gusto, mi si conceda, di continuare a speculare sul dolore che gli ebrei (ma non solo loro) hanno patito nei campi di concentramento: “Sono le formule del genere che fanno della storia dell’Olocausto un recinto sacro: chiunque vi entri senza aver fatto esperienza diretta delle sue situazioni più estreme, e certamente chiunque non sia ebreo, viene criticato, se i suoi giudizi non concordano con i criteri che vi prevalgono e con le prerogative dei sopravvissuti”120. Pur volendo soprassedere su quella postura etica che invita ogni intellettuale ad agire e scrivere con responsabilità e giudizio filosofico, tuttavia, ciò che è degno di nota è il fraintendimento di una serie di tre passaggi consequenziali in cui Heidegger esamina il destino della società occidentale come terra del tramonto (Abend-land). Il passaggio sull’auto-annientamento dell’elemento ebraico in senso metafisico non dovrebbe essere confuso con una sorta di auto-sterminio degli ebrei attraverso l’abisso dell’Olocausto, come se essi si fossero auto-sterminati, e men che mai con qualche negazionismo di natura politica; piuttosto esso dovrebbe essere pensato e inscritto all’interno di quella critica alla metafisica in direzione del suo oltrepassamento. Tre sono le sequenze che aiutano a comprendere questa riflessione così densa e problematica e tutte e tre sono poste consecutivamente in Anmerkungen I, a differenza di altri passaggi in cui sembra che Heidegger non proceda attraverso un ragionamento consecutivo, quanto per pensieri sparsi, Heidegger scrive: L’anti-cristo deve provenire, come ogni anti-, dallo stesso fondamento essenziale di ciò contro cui è anti- – quindi di “Cristo”. Egli proviene dall’ebraicità. 119 Questa espressione, volutamente offerta al grande pubblico senza alcuna puntuale precisazione del contesto di riferimento e del ragionamento ad esso sotteso, è abbastanza comune negli scritti heideggeriani e non compare solo nelle Anmerkungen. Con essa il filosofo indica quel processo di autoconsunzione, di auto-annientamento in cui la società occidentale è destinalmente iscritta. Mancando una mappatura filologica, ermeneutica e filosofica di questa parola, si è assistito ad un crescendo di inesattezze che sono state diffuse attraverso i quotidiani e alcuni blogs senza alcuna verifica puntuale. Di seguito rimando il lettore ad altri luogo dei Quaderni Neri, nell’originale tedesco, dove questa parola compare: Überlegungen XIII, p. 154-155: Überlegungen XIV, p. 181-182; Überlegungen XV, p. 259-260; Anmerkungen I, p. 18-21; Anmerkungen I, p. 83-85; Anmerkungen II, p. 152-158. 120 E. Young-Bruehl, Hannah Arendt. Per amore del mondo 1906-1975, tr. it. c/ di D. Mezzacapa, Bollati Boringhieri, Torino 1994, p. 530. 90 Quest’ultima è nell’epoca dell’Occidente cristiano, cioè della metafisica, il principio della distruzione. Ciò che è distruttivo nel rovesciamento del compimento della metafisica – cioè della metafisica di Hegel ad opera di Marx. Lo spirito e la cultura si trasformano nella sovrastruttura della “vita” – cioè dell’economia, cioè dell’organizzazione – cioè del biologico – cioè del “popolo”. Solo nel momento in cui ciò che è essenzialmente “ebraico” in senso metafisico lotta contro ciò che è ebraico, si è raggiunto nella storia l’apice dell’autoannientamento; ammesso che quanto è “ebraico” si sia ovunque impadronito del potere, così che anche la lotta contro “ciò che è ebraico”, ed essa innanzitutto, lo raggiunga nel dominio. Da qui si può valutare che cosa significhi per il pensiero nella velata essenza iniziale della storia dell’Occidente la memoria del primo inizio nella grecità, la quale è rimasta al di fuori dall’ebraismo e dal cristianesimo121. In questo densissimo passaggio Heidegger sta dicendo che “ciò che è ebraico” in senso metafisico non sono gli ebrei in quanto ebrei, ma la razionalità occidentale che si fonda su quell’oggettivazione del mondo di metafisica ascendenza; in altre parole, il risultato dell’oblio dell’essere, della considerazione dell’uomo come ens creatum, dell’essere come Dio, dell’inversione dell’algebra dell’ontologia da Platone in poi, Nietzsche incluso. Ciò che è ebraico in senso metafisico è ciò che non è originario ed iniziale, cioè il pensiero greco arcaico il quale pensa l’essere in modo adeguato nei termini di aletheia e physis. L’autodistruzione dello spazio-tempo della metafisica occidentale si compie come una sorta di implosione di quella matrice giudaico cristiana di cui si è parlato all’inizio di questo saggio. La distruzione della Machenschaft è una forma di questo auto-annientamento di cui Heidegger aveva già fatto riferimento in qualche passaggio prima: il più alto livello della tecnica è già ora raggiunto dal momento che essa non ha da 121 “Der Anti-christ muß wie jedes Anti- aus dem selben Wesensgrund stammen wie das, wogegen es anti- ist – also wie ‘der Christ’. Dieser stammt aus der Judenschaft. Diese ist im Zeitraum des christlichen Abendlandes, d. h. der Metaphysik, das Prinzip der Zerstörung. Das Zerstörerische in der Umkehrung der Vollendung der Metaphysik – d. h. der Metaphysik Hegels durch Marx. Der Geist und die Kultur wird zum Überbau des ‘Lebens’ – d. h. der Wirtschaft, d. h. der Organisation – d. h. des Biologischen – d. h. des ‘Volkes’. Wenn erst das wesenhaft ‘Jüdische’ im metaphysischen Sinne gegen das Jüdische kämpft, ist der Höhepunkt der Selbstvernichtung in der Geschichte erreicht; gesetzt, daß das ‘Jüdische’ überall die Herrschaft vollständig an sich gerissen hat, so daß auch die Bekämpfung ‘des Jüdischen’ und sie zuvörderst in die Botmäßigkeit zu ihm gelangt. Von hier aus ist zu ermessen, was für das Denken in das verborgene anfängliche Wesen der Geschichte des Abendlandes das Andenken an den ersten Anfang im Griechentum bedeutet, das außerhalb des Judentums und d. h. des Christentums geblieben», M. Heidegger, Anmerkungen I, in: Anmerkungen I-V, in: GA 97, cit., p. 21. 91 intendere più nulla e può solo consegnarsi all’auto-distruzione122. Heidegger include il nazionalsocialismo stesso nell’espressione “ciò che è ebraico in senso metafisico” in quanto conseguenza più evidente della perversa relazione fra il pensare metafisico e macchinazione, fra il calcolare e l’operare, fra Besinnung e tecnica. Queste riflessioni occupano un ruolo privilegiato nella riflessione heideggeriana e non sono appuntate solo nelle Anmerkungen, ma anche nei Beiträge zur Philosophie (vom Ereignis) e in Besinnung – lavori coevi agli appunti redatti nei Quaderni. Al fine di offrire al lettore una ipotesi ermeneutica consistente occorre considerare ciò che Heidegger ha scritto anche nei lavori che precedono queste opere, dal momento che non è possibile isolare alcune riflessioni senza ricostruire lo scenario concettuale ed il percorso di pensiero che lo ha condotto ad esse. Sotto questo riguardo, se siamo autorizzati a leggere la frase “Solo nel momento in cui ciò che è essenzialmente ‘ebraico’ in senso metafisico lotta contro ciò che è ebraico, si è raggiunto nella storia l’apice dell’autoannientamento” come: quando la metafisica combatte contro ciò che è iscritto in se stessa, ne segue un collasso della sua origine, del mondo, un’auto-consunzione, un’auto-annientamento in cui tutto l’occidente, così come lo conosciamo, e’ distrutto. Vorrei invitare il lettore a considerare che la parola autoannientamento torna anche in relazione ai tedeschi: “Se l’auto-annientamento dell’essenza storica universale dei tedeschi come popolo pensante e poetante, come cuore dei popoli, dovrà essere condotto logicamente a partire dal fondamento di tutte le conseguenze, allora deve giungere l’assalto sul pensare e cioè, come fatto finora, sotto la maschera della salvezza dello ‘spirituale’. La rinuncia al semplice terreno in cui il pensare è radicato viene esercitata dappertutto e, ancor più, ingenuamente”123. E ancora: autoannientamento in relazione alla filosofia stessa: “Ciò che attualmente si spaccia per ‘filosofia’ è l’autoannientamento del pensiero, organizzato dalla Chiesa e dal partito oppure alimentato dal disorientamento e dall’incapacità. Quando il pensiero si stava spegnendo presso i primi pensatori dell’Occidente, cioè presso i primi e unici pensatori, con e dopo il pensiero dei Greci (Aristotele), nacque la ‘logica’. ‘Filosofia’ è ora il nome per le buone scuse di un’angoscia organizzata di fronte al pensare”124. L’autoannientamento non può essere inteso come se Cf. M. Heidegger, Anmerkungen I, in: Anmerkungen I-V, cit., p. 18. M. Heidegger, Anmerkungen I, in: Anmerkungen I-V, cit., p. 63. 124 “Was jetzt unter dem Namen ‘Philosophie’ sich breitmacht, ist die kirchlich und parteimäßig organisierte oder aber aus Ratlosigkeit und Unvermögen gespeiste Selbstvernichtung des Denkens. Als das Denken bei den ersten Denkern des Abendlandes, d. h. bei den ersten und einzigen Denkern zu Ende war, mit und nach dem Denken der Griechen (Ar122 123 92 gli ebrei si fossero auto-annientati (Di Cesare) o come se esso sia un sacrificio necessario (Nancy) per l’inizio di un nuovo pensiero che sia puro. Queste interpretazioni, fortemente ideologizzate e prone nel consegnare al lettore una spiegazione del pensiero di Heidegger che non è ciò che egli pensa, non colgono il senso della sua meditazione bensì rispondono solo ai personali setacci interpretativi con cui i singoli studiosi si accostano alla sua speculazione ed alle parti più problematiche di essa. La distanza che separa un pensiero capace di pensare il limite del naufragio della modernità ed un pensiero che davvero naufraga in attribuzioni di senso estranee al cuore della riflessione heideggeriana appare in tutta la sua vastità. Infine, vorrei che il lettore si soffermasse ancora una volta sull’insistenza con cui Heidegger vede nella matrice giudaico-cristiana dell’occidente il cominciamento del tramonto dell’occidente. Le referenze al cristianesimo nel suo movimento storico-politico (Christentum) ed al cattolicesimo illuminano questa strada; la concezione giudaico-cristiana dell’uomo come ens creatum, creato da un creatore (Dio), non ha nulla in comune con ciò che Heidegger appunta sin dal Natorp-Bericht in poi: l’essere umano è un vivente gettato nel mondo, la cui struttura di progetto dovrebbe chiamarlo ad una autenticità con cui scegliere e decidere come abitare il mondo, a scapito di ogni compromesso sociale, politico e intellettuale. La considerazione dell’uomo proposta dalla tradizione giudaico-cristiana ha cambiato, sin dal suo sorgere, la stessa concezione della filosofia e della relazione che l’uomo intrattiene con l’essere, modificandola nella relazione fra uomo-Dio (filosofia scolastica), uomo-natura (Rinascimento), uomo-scienza (illuminismo): Il pensiero deve finalmente stare al di là di ogni antropologia e psicologia se vuole essere attrezzato per la domanda che chiede chi sia l’uomo; perché non appena e laddove si “domandi” sempre da un punto di vista antropologico, e tutto venga ricondotto a lui (sia come singolo “soggetto”, sia come “popolo”, l’una cosa vale l’altra in questo ambito di massina), riguardo all’uomo si e’ già deciso e si e’ eliminata ogni possibilità di conquistare alla domanda l’essenza dell’uomo in base a riferimenti completamente altri (all’essenza dell’essere). Anche tutte le dottrine dell’uomo (quella cristiano-ebraica ad esempio) che lo determinano immediatamente in base alla relazione a un Dio sono antropologiche – | per cui già nell’antropologia non cristiana, e in quelle che vorrebbero istoteles), entstand die ‘Logik’. ‘Philosophie’ ist jetzt der Name für die Ausreden einer organisierten Angst vor dem Denken”, M. Heidegger, Anmerkungen II, in: Anmerkungen I-V, cit., p. 152. 93 esserlo ma non possono esserlo, proprio l’antropologia cristiana e il suo impianto dottrinale, seppur in una mera inversione, devono giocare un ruolo essenziale. 125 La “cristianizzazione” del mondo greco è stata provocata per mezzo della matrice giudaico-cristiana della società occidentale che ha instituito la tirannia del monoteismo126. Heidegger è davvero responsabile, filosoficamente parlando, per l’Olocausto? Ha avuto il suo pensiero una qualche influenza e rilevanza per la soluzione finale? La scrivente è incline a rispondere di no, dal momento che non ci sono prove concrete di questa compromissione e rilevanza, né in direzione di una diretta influenza sull’ideologia nazista né verso la soluzione finale. È mia convinzione, piuttosto, che Heidegger sentì una personale responsabilità verso l’Olocausto solo come ogni tedesco che, per un periodo della propria vita, ha creduto nel nazionalsocialismo al suo sorgere. Nella sua lettera a Jaspers dell’8 Aprile 1950 – già citata in queste mie riflessioni – Heidegger scrive: Ciò che le sto raccontando non può giustificare nulla; può solo spiegare come, di anno in anno, quanto più si manifestava l’orrore, tanto più cresceva la vergogna di avervi, direttamente o indirettamente, contribuito. […] Sprofondai nella disperazione. Toccai il fondo tra gli anni 1937 e 38 […] poi vennero le persecuzioni degli ebrei e tutto precipitò nell’abisso. […] Assai più duramente mi colpì ciò che in seguito fu intrapreso contro di me, dal 1945/46 e, a tutti gli effetti, fino all’ora presente. […] Da allora ne ho compreso qualcosa solo mettendola in relazione con la fama controversa ottenuta dall’ “esistenzialismo”. Resta la colpa del singolo, e tanto più resterà quanto più si sarà singoli. Ma la questione del male non è esaurita. Entra solo adesso nel suo stadio mondiale127. Con lo sguardo tipico di chi sa vedere innanzi, Heidegger chiude questa lettera con una diagnosi di nostri tempi che è difficile non condividere, sia come Europei che come esseri umani. In tal senso il “caso Quaderni Neri” si inserisce a pieno titolo in questa chiosa: non perché’ in essi sia contenuta chissà quale scabrosa rivelazione di un antisemita o perchè essi siano una qualche sorta di “diari del male”, quanto perché ci aiutano a capire i limiti della nostra età, ancora incapace di confrontarsi con un pensiero filosofico autenticamente capace di gettare uno sguardo sul male senza fuggire in soluzioni prêt-à-porter o teleologiche. Il nostro bisogno di pensare attraverso 125 M. Heidegger, Überlegungen VI, in Überlegungen II- VI, in: GA 94, p. 475 e s.; Riflessioni VI, in: Quaderni Neri 1931-1938 (Riflessioni II-VI), cit., p. 621. 126 Cf. M. Heidegger, Anmerkungen V, in: Anmerkungen I-V, in: GA 97, p. 369. 127 M. Heidegger/ K. Jaspers, Lettere 1920-1963, cit., p. 187 94 “ringhiere” – la maggior parte delle quali ideologiche – non ci permette ancora di vedere che la peculiarità della filosofia non sta nel riscrivere o nell’interpretare alcuni autori e le loro riflessioni secondo i propri setacci ermeneutici, ma nell’impegno critico con quel pensiero che ci mette costantemente in dialogo con i grandi filosofi che ci hanno preceduto. Forse l’età di una “autodifesa della filosofia” è terminata e tutti noi che facciamo dell’esercizio della filosofia un impegno pubblico (oltre che privato) dovremmo prendere in considerazione che è giunto il momento di diventare adulti – non solo davanti a Dio (Bonhoeffer), ma anche davanti ad un passato di cui fatichiamo ad appropriarci criticamente. Mi si conceda di ricordare le parole di Baudrillard: L’inutile zuffa intorno ad Heidegger non ha alcun senso filosofico: è solo sintomatica del pensiero di quest’epoca che, non riuscendo a trovare in sé energie nuove, torna ossessivamente sulle sue origini, e rivive dolorosamente, in questo ultimo scorcio del Novecento, le scene primarie dell’inizio del secolo. Più in generale, il caso Heidegger è sintomatico del revival collettivo che si è impadronito delle nostre società al momento del bilancio del secolo (…). La nostra immaginazione attuale deve essere davvero fiacca, la nostra indifferenza nei confronti della nostra situazione davvero grande, se abbiamo bisogno di una taumaturgia così regressiva (…) È l’autodifesa della filosofia che scruta l’ambiguità dei suoi maestri, l’autodifesa di tutta una società che, per non essere riuscita a generare un'altra storia, è destinata a rimuginare sulla sua storia anteriore per dare prova della sua esistenza, se non addirittura dei suoi crimini128. Povera deve essere la nostra età se da allora non è stata capace filosoficamente di smarcarsi da queste incapacità. Talmente povera da scambiare per un ricco dibattito l’ennesima ondata di polemiche, di processi, di tentativi delegittimanti della meditazione heideggeriana e di riscrittura della medesima con caratteri che non le appartengono – più semplicemente, da scambiare una zuffa filosofica per il compito del pensiero. J. Baudrillard, Forza, aboliamo il novecento. La truffa dei processi postumi, in: “L’Espresso”, 24 aprile 1988. Cf. anche J. Baudrillard, Necrospective around Martin Heidegger, in: Screened Out (Radical Thinkers), New York: Verso Publ. 2014, p. 19 e ss. 128 95