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Estratto da La Badia di S. Lorenzo a Trento Edizioni Stella a cura di Andrea Grosselli 155 S. LorEnzo, TrEnTo, L’AdiGE. TopoGrAfiA E SToriA Note e considerazioni a margine delle indagini archeologiche in occasione delle opere di restauro (1995 – 1998). Gianni Ciurletti e Nicoletta Pisu In previsione e nel corso dell’intervento di restauro della chiesa di S. Lorenzo, da parte dell’allora Ufficio Beni Archeologici, ora Soprintendenza, della Provincia Autonoma di Trento, si sono effettuate indagini, irte di difficoltà causa la costante presenza nel sottosuolo delle acque della falda freatica, volte a scoprire eventuali fasi antiche dell’edificio ma anche indirizzate, come riporta nella sua relazione il progettista e direttore dei lavori, l’arch. Andrea Bonazza, a conoscere la reale situazione delle fondazioni e del terreno sottostante al fine di individuare la migliore soluzione tecnica per arrestare i preoccupanti processi di cedimento e fessurazione delle strutture murarie. Se la natura dell’iniziativa e la ristrettezza del tempo a disposizione impongono il rinvio ad un’altra, ci auguriamo prossima, occasione, un lavoro organico, inerente i dettagliati risultati di scavi ed indagini, cui potrebbero aggiungersi ulteriori importanti apporti di conoscenza di recente acquisizione circa gli aspetti di natura storica e artistica riguardanti il monumento, venendo incontro alla gentile richiesta formulataci dal Sindaco, intendiamo proporre in questa sede note e considerazioni che, speriamo, non risultino indegne di convivere con gli articoli, qui ristampati, a firma di riconosciute personalità del mondo culturale trentino della metà del secolo testè trascorso. Ci auguriamo che esse possano risultare di interesse al lettore e servire come contributo scientifico a tutti coloro che intendono approfondire la conoscenza dell’edificio sacro e della storia della città. Lo facciamo con affetto verso questo nostra amata chiesa, vero scrigno di storia e arte, in spirito di fraternità con i cari padri cappuccini che da cinquant’anni, riprendendo il filo di una secolare tradizione, la reggono e in spirito di servizio verso la nostra città e la sua Amministrazione. Gianni Ciurletti Dirigente della Soprintendenza per i Beni Archeologici Provincia Autonoma di Trento 157 Premessa 1. Veduta dell’area nord-ovest della città comprendente la chiesa di S. Lorenzo, con la traccia dell’antica ansa del fiume (attuali vie Torre Verde e Torre Vanga) Sopra: 2. Posizione di Tridentum rispetto al fiume Adige (a sinistra) ed al torrente Fersina (a destra) 3. Planimetria della Trento romana: l’asterisco indica S. Lorenzo, esterno alle mura urbiche Tridentum fu fondata dai Romani lungo una fondamentale direttrice stradale fra Mediterraneo e Europa centrale, alla confluenza di diverse valli alpine, sull’estremità settentrionale del conoide del torrente Fersina, non lontano dal suo sbocco nel fiume Adige (fig. 2)1. Una scelta questa che vede la città compresa tra i due corsi d’acqua, addossato a settentrione il fiume, un po’ più distante, a sud, il torrente e dettata, oltre che dalla possibilità di utilizzare l’Adige per i traffici commerciali2, dalla naturale sopraelevazione rispetto al fondovalle acquitrinoso e da una certa garanzia di difesa da eventuali alluvioni, peraltro fortemente scongiurate anche dalla perimetrazione della città con alte e spesse mura (fig. 3)3. Sarà questo stretto legame fra l’abitato e il suo fiume a caratterizzare la storia di entrambi fino alla metà del XIX secolo allorchè, malauguratamente, si decise l’allontanamento di quello e, di conseguenza, il suo estraneamento dalla realtà cittadina. Evidentemente l’amministrazione cittadina dovette provvedere, lungo il corso dei secoli, al controllo della situazione idrografica così determinatasi con opere di dragaggio dei letti dei corsi d’acqua e di sistemazione degli argini. Per il Fersina, da antiche ere geologiche fino ad età tardoromana, si è riscontrata la presenza di tre successive depressioni direzionate NW-SE: dall’area di piazza Venezia fino al vicolo del Vo’ a quella costituita dall’asse via Barbacovi / Via Calepina / Piazza d’Arogno alla terza, lungo le attuali via S. Bernardino - piazza Fiera, che venne a condizionare l’andamento sud - occidentale delle mura medievali, finchè nella prima metà del XVI secolo il torrente fu spostato là dove corre ancor oggi, onde allontanare dall’abitato eventuali alluvioni. Per quanto concerne l’Adige, invece, non c’è certezza che la configurazione pre-ottocentesca dell’ansa che cingeva la città a nord, fino al momento della sua eliminazione nel 1857, sia identica a quella di età romana. Non è comunque sostenibile, sotto il profilo idro-geologico, l’ipotesi avanzata da alcuni studiosi in passato, e ripresa più volte4, che in età romana detta ansa corresse alcune centinaia di metri a settentrione e che quindi l’agglomerato urbano si estendesse anche nell’area oggi corrispondente a piazza Dante, comprendendo quindi anche il sito dove più tardi sorgerà S. Lorenzo (fig. 4): la morfologia del sito con la presenza della conoide attiva del Fersina e di altri corsi d’acqua minori, pure in sinistra orografica, con riporti alluvionali di 159 4. Planimetria di Trento romana come ipotizzata in ZADRA 1929 160 elevata energia, unitamente all’esiguità dell’intervallo età romana - medioevo non possono aver permesso da parte dell’Adige, nonostante eventuali, ripetute esondazioni, la creazione di un fenomeno di erosione del lato settentrionale del suddetto conoide e una conseguente migrazione da nord a sud del meandro di dimensioni talmente ampie da distruggere e sigillare con limi e sabbie una non piccola parte di città senza che per altro non rimanesse alcuna testimonianza storica o, per lo meno, tradizione orale, leggenda5. È vero però, nel contempo, che il terreno in questione non fu sempre occupato - come, viceversa, la maggior parte degli autori sino a pochi anni fa riteneva - da paludi e acquitrini, parzialmente bonificati nel Medioevo per opera dei Benedettini e dei loro successori presenti nel monastero di S. Lorenzo. Prima delle scoperte effettuate, come vedremo, a S. Lorenzo, lo stavano già a documentare alcune preziose notazioni, forse non debitamente prese in considerazione da chi si è occupato della topografia di Trento antica, riportate da Guglielmo Ranzi nella descrizione dei lavori per l’erezione nel 1893 del monumento a Dante, nella piazza che da esso prenderà il nome: “Gli scavi vennero spinti fino al pelo dell’Adige (-m 4,70/4,80 dal piano di campagna, n.d.A.). A questo punto si trovò un cunicolo romano di mattoni, molto ben conservato. Traversa la fossa di sbieco, correndo da sera a mezzodì, verso l’antico letto del fiume (come sopra ricordato, l’Adige era stato deviato 35 anni prima, n.d.A.). Si rinvennero anche molte monete romane”6. Dati che hanno trovato recentissima conferma allorchè, nel 2003, all’interno delle operazioni di precantiere per l’eventuale realizzazione da parte dell’Amministrazione comunale di garages pertinenziali in detta piazza, alcuni sondaggi e trivellazioni, consigliati proprio da quella notizia, effettuati una decina di metri a nord del basamento del monumento, dall’Ufficio per i Beni Archeologici della Provincia di Trento, hanno rivelato, sotto una stratigrafia composta di successioni di sabbie fini e livelli limosi la presenza, alla profondità di - m 4,70/4,90 dalla pavimentazione in porfido di uno strato con componenti antropici (frammenti di laterizio e calce) spesso 25/50 cm, verosimilmente riferibile ad una struttura muraria o a un focolare7. Tale presenza di edifici romani nell’area non inficia però quanto da noi sopra sostenuto: anche qui, come per tutto l’areale circostante la cinta muraria romana, in età imperiale si sviluppò in effetti un’attività edilizia che diede luogo, però, non a quartieri cittadini all’interno di mura, bensì ad altre realtà: così a est abbiamo le necropoli e l’anfiteatro, a sud edifici artigianali e altre costruzioni, in verità fino ad oggi scarsamente documentati, di alcuni dei quali i primi vescovi si servirono per costruire la basilica di S. Vigilio, ad occidente (tra via Rosmini e via Tomaso Gar) è situato un quartiere residenziale costituto da domus di non piccolo pregio. A nord, al di là dell’ansa, altre costruzioni: quali? La limitatezza delle scoperte è tale da non permetterci oggi 5. S. Lorenzo, vista da ovest di conoscerne la realtà e la funzione: fattorie, impianti balneari e termali, magazzini…? Il monastero di S. Lorenzo (fig. 5) venne dunque costruito proprio in quest’area8, ad una quota di 3,65 m sotto l’attuale livello di campagna, fenomeno dovuto sostanzialmente agli apporti sabbiosi e limosi dell’Adige, all’esterno del perimetro della città romana e medievale, dalla quale la tenne separata l’ansa dell’Adige fino a quando, nel 1857/58, essa sarà eliminata a seguito della menzionata rettifica del fiume9. Come già ampiamente noto da documenti dell’epoca sappiamo che i lavori di costruzione della ecclesia nova S. Laurenci erano in corso nell’anno 1176 e che essa veniva a far parte dell’antico monastero omonimo, affidato già nel 1146 dal vescovo Altemanno alle cure dei Benedettini di Vallalta (Bergamo), affinché risollevassero le sorti in cui esso era caduto. Nonostante i beni di proprietà monastica fino ai primi decenni del XIII secolo venissero ad accrescersi per donazioni ed acquisizioni, le fortune del complesso monastico non dovettero però mai decollare se, anche a seguito di un incendio nel 1226 e di una successiva inondazione esso, meno di un secolo dopo, fra il 1234 e il 1235, venne ceduto ai padri domenicani10. Le indagini I numerosi sondaggi condotti nella chiesa fra il 1995 e il 1998 in corrispondenza delle zone interessate dall’intervento di restauro e consolidamento11 ed alcune esplorazioni nel presbiterio, sul fianco sud e nel sagrato, ad ovest, hanno rivelato, nel suolo ad essa sottostante la presenza di stratigrafia e di strutture più antiche. Le indagini furono costantemente limitate da difficoltà di vario ordine: la delicata situazione statica dell’edificio, la presenza 161 3 2 4 6 2 5 1 1 6. Planimetria strutture romane (elaborazione grafica Marzia Bersani) Legenda: 1. brandelli di strutture murarie 2. struttura con semipilastro 3. ambiente absidato 4. lastre lapidee pavimentali 5. piano in malta 6. canaletta di drenaggio 162 7. La struttura muraria con semipilastro, vista da nord ovest 8. Il piano pavimentale in battuto di malta su vespaio di ciottoli 163 9a. - 9b. Il bronzetto raffigurante Mercurio prima e dopo il restauro, avvenuto nel laboratorio della Soprintendenza per i beni archeologici dell’attiguo muro di contenimento del piazzale della stazione delle autocorriere, l’invadenza della falda acquifera che, soprattuto in occasione dei periodi piovosi, invadeva i settori di scavo, la pesante incidenza degli interventi di età moderna e contemporanea nel sito12 hanno imposto singoli interventi rapidi e letture parziali della stratigrafia più antica, quando non la rinuncia ad alcune importanti verifiche13. Fase romana Inconfutabili sono nei livelli sabbiosi profondi le tracce di una prima presenza antropica, riconducibile ad età romana (fig. 6). Esse consistono in opere di drenaggio, realizzate con apporti artificiali di strati ghiaiosi, misti a pietrame e in brandelli di strutture murarie, indice queste ultime di un’occupazione stabile, intercettate per lo più nell’area orientale del sito, sia all’interno che all’esterno della chiesa, costituite solitamente da due corsi di ciottoli e pietre a spigolo vivo, per lo più calcari bianchi, di dimensioni medie e piccole e legate da malta biancastra piuttosto depurata14, dello spessore fra i 50 e i 70-80 cm circa. Il loro orientamento è analogo a quello della chiesa attuale: lungo un asse est-ovest oppure nord-sud, in relazione ortogonale fra di loro. Il quadro desunto è tale da ritenerle appartenenti 164 10. Moneta dell’imperatore Costanzo II non tanto ad una unica, coeva edificazione, quanto, piuttosto, esito di un loro progressivo agglutinamento, effettuato comunque - lo suggeriva l’omogeneità dei materiali impiegati e della tecnica costruttiva adottata - in tempi relativamente ravvicinati. Impossibile ricondurre detti resti ad una chiara organica planimetria: la loro conformazione e il loro aspetto indicavano in ogni modo l’appartenenza ad uno o più edifici probabilmente di carattere pubblico. Uno di essi, collocato in corrispondenza della zona centrale del presbiterio e visibile per un’altezza di circa m 1,6, mostrava una risega desinente in un semipilastro (verosimilmente una facciata esterna) ed era connesso ad un piano di frequentazione (fig. 7). A circa 7 m di distanza, all’esterno della chiesa, verso sud, si individuava un ambiente connotato dalla presenza di una piccola abside: la superficie interna dei muri perimetrali appariva coperta da almeno due strati di malta, di cui il primo, lisciato, a regolarizzare i vuoti fra le pietre. Pochi e sconnessi lacerti indicavano che il pavimento doveva essere in lastre lapidee. Un altro piano pavimentale, in malta su preparazione di ciottoli, è stato riconosciuto in un sondaggio interno nella navata meridionale (fig. 8). Significativa, sebbene documentata assai parzialmente, la presenza di una canaletta di drenaggio direzionata nord/est - sud/ovest dotata di alcune lastre di copertura in rosso ammonitico, in collegamento con un brano di struttura muraria: senz’altro un fognolo di scarico dell’edificio (o degli edifici) in questione. Quale la funzione di questi edifici, che parrebbero costruiti su livelli diversi? Villa extra moenia, impianti termali/balneari, strutture legate alla presenza del fiume…? Tra i reperti mobili, piuttosto modesti nel loro complesso, due particolarmente significativi: un bronzetto raffigurante Mercurio, rientrante nella tipologia propria di I-II secolo (fig. 9a, 9b) intenzionalmente immerso (a scopo rituale/esaugurale?) nella malta nel punto di contatto fra il citato muro absidato ed il soprastante muro, pure absidato “altomedievale” (cui accenneremo in seguito) e una moneta dell’imperatore Costanzo II, datata verso il 330-350 d.C., rinvenuta sul piano di frequentazione connesso alla struttura con semipilastro (fig. 10). Una puntuale attribuzione cronologica, all’interno dell’età romana, causa la limitatezza e la frammentazione dei resti e la denunciata difficoltà di accurate indagini stratigrafiche, non risulta possibile; purtuttavia crediamo di non errare nel proporre il II o il III secolo come momento iniziale di tale occupazione, protrattasi poi per tutto il corso del IV. Numerosi livelli contenenti macerie, talora a diretto contatto con le 165 11. Sezione della parete ovest del sondaggio 16 (S. Lorenzo 1996, sezione 25; rilievo di M. Bassetti CO.R.A., Trento; disegno di M. Decarli CO.R.A., Trento): le unità stratigrafiche da 188 a 192 indicano un progressivo crollo e disgregamento delle strutture, con formazioni di accumuli terrosi da abbandono; all’U.S. 193 corrisponde il pavimento in malta di calce su vespaio in ciottoli strutture antiche, indicano un successivo evento distruttivo15. Parte degli edifici è abbandonata, anche se in alcuni punti, successivamente, si assiste ad un recupero parziale degli ambienti, come dimostrano il rinnovamento di piani pavimentali precedenti, il taglio di spoglio di un muro, due buche per l’inserimento di pali di sostegno di strutture soprastanti. Siamo in presenza come spesso avviene nell’edilizia tardoantica non di restauri o ristrutturazioni importanti ma piuttosto di modesti adattamenti degli edifici, destinati verosimilmente a funzioni diverse da quelle precedenti. Più in là nel tempo il complesso, come testimoniano diversi strati ricchi di macerie, alternati a momenti di accrescimento naturale, è definitivamente abbandonato, dopo essere stato, almeno in parte, demolito (VI-VII sec.?) (fig.11). Fase altomedievale Sopra i succitati strati una formazione limosa, abbastanza pulita, ricca in genere di ossidazioni, è stata interpretata come accrescimento alluvionale naturale. Da essa i resti murari più alti e gli accumuli di macerie più consistenti dovevano verosimilmente risultare in vista. A proposito delle alluvioni dell’Adige, forte è la tentazione per l’archeologo 166 ingresso nord 12. Planimetria fase altomedievale (elaborazione grafica Marzia Bersani) 167 Nella pagina a fianco: 13. I resti dell’edificio ecclesiale visti dall’alto 14. Sepoltura in fossa terragna 168 di attribuire qualcuno dei depositi sabbioso/limosi sopra le strutture romane di S. Lorenzo a quella del 17 ottobre 589, testimoniata da Paolo Diacono, il quale ci narra che le acque del fiume sommersero la basilica di San Zeno fuori Verona senza riuscire a penetrarvi, mentre le stesse mura cittadine crollarono in alcuni punti16 ma i dati in nostro possesso, relativi all’area esterna alle mura romane anche in corrispondenza di via Rosmini e presso Torre Vanga, non sono ancora sufficienti per affermarlo con sicurezza17. In una nuova fase, nella porzione meridionale dell’area indagata (il limitato tratto di terreno compreso fra il muro della chiesa e quello di sostegno del piazzale delle autocorriere, m 6x10 circa), riprendono le attività costruttive con l’erezione di un nuovo edificio (fig. 12). Lo stanno a dimostrare delle strutture murarie costruite con tecnica a sacco (spessore 80-90 cm, alzato circa 1,80 m18), costituenti un ambiente absidato di piccole dimensioni (m 5,5x2,5) che insiste in parte sulla struttura absidata, parzialmente distrutta, di età romana (è nel punto di contatto fra le due strutture - ricordiamo - che è stato volontariamente murato il bronzetto raffigurante Mercurio, molto probabilmente scaturito da un livello romano intercettato nel corso dei lavori)19; nella sua parete settentrionale, un’apertura marcata dalla presenza di quattro pilastrini e, probabilmente, da una soglia, doveva costituire un piccolo ingresso20. All’interno non si è individuato il piano pavimentale, né alcun altro elemento architettonico significativo. Il giro absidale, provvisto di un contrafforte e di un semipilastro, risulta legato ad una seconda abside, che, sebbene seguita solo nel suo tratto iniziale (circa m 1, il rimanente scompare sotto l’alto pacco di terreno di riporto costituente il contiguo piazzale delle autocorriere), denuncia un arco decisamente più ampio. Fra i due ambienti nessuna struttura di separazione, solo una spalletta e l’ispessimento della struttura muraria dell’abside maggiore. Si era in presenza dunque dei resti di un edificio ecclesiale perlomeno bi-, ma più facilmente tri-absidato, del quale l’ambiente da noi individuato corrisponderebbe al sacello settentrionale, canonicamente orientato, come quello attuale, est-ovest (fig. 13). Probabilmente la chiesa del complesso monastico citato come già esistente nel 114621. Le pareti sia esterne che interne della struttura risultavano coperte da intonaco o malta lisciata; su quella interna tracce di un affresco, peraltro piuttosto labili e difficilmente leggibili, il cui esame ha permesso di individuare un motivo decorativo vegetale piuttosto insolito, databile, con buona probabilità, fra la prima metà del IX e l’XI secolo22. A questa stessa fase potrebbero forse essere attribuite - per posizione stratigrafica - altre deboli evidenze, da noi individuate in aree diverse del sito (mancando tuttavia il rapporto fisico, esse vanno considerate con molta cautela): una struttura muraria, costituita da due (?) corsi di pietre a spigolo vivo, di dimensioni medie o medio-grandi, legate da abbondante malta bian- 169 ca, lunga circa 4 m, altezza massima 40 cm, di medesimo orientamento, nel sondaggio della sacrestia (parte di un recinto dell’area sacra?); alcuni lacerti di piani in malta, uno dei quali su preparazione in ciottoli, nella navata centrale (pavimenti di edifici pertinenti al monastero, dei quali, peraltro, manca qualsiasi traccia?). Una deposizione in cassa litica realizzata con pareti in pietre calcaree sovrapposte, legate da malta, orientata est-ovest e con il residuo di una lastra di copertura, ubicata nell’angolo interno sud-ovest della chiesa attuale, potrebbe essere attribuita ad un possibile cimitero presente già in questa fase. Le ossa dello scheletro, maschile, sottoposte a datazione con il metodo del radiocarbonio hanno fornito un intervallo cronologico calibrato fra gli anni 1020 e 1070 d.C.23. Fase medievale Dopo un periodo d’uso di durata non precisabile la chiesa subisce un progressivo interramento - denunciato da alcuni strati di riporto (il cui taglio sta ad indicare un probabile primo intervento di ristrutturazione) - che dà origine ad un piano di calpestio esterno più alto, in cui si conferma la presenza di un campo cimiteriale: lo testimoniano due sepolture in fossa terragna - la più antica delle quali con almeno due individui - collocate esternamente all’abside maggiore da noi individuata ed orientate est-ovest (fig. 14). Altri resti scheletrici, forse in circolo di pietre, sono stati notati nelle sezioni di due sondaggi della zona sud. La chiesa sembra infine interessata da un evento tellurico, che provoca seri danni: lo si legge in particolare sulle murature, che mostrano notevoli fratture verticali negli alzati absidati e due blocchi fortemente disassati nella parete nord, nonché una considerevole inclinazione della spalletta di passaggio fra le due absidi (fig. 15) 24. Si tratta verosimilmente del tremendo terremoto del 1117, denunciato dalle fonti scritte25, il quale ebbe a menare distruzioni e desolazione in tutta la Baviera e l’Alta Italia26 e che forse costituì il colpo di grazia alle sorti dell’edificio ma nel contempo alle fortune del monastero primigenio e della sua comunità. Se le date del 1146 e del 1177 stanno ad indicare l’epoca in cui questa prima chiesa viene rifondata, viceversa per quanto attiene quella di costruzione, come per le strutture di età romana, non disponiamo nè di fonti scritte né di reperti datanti in stratigrafie certe. Saremmo tentati comunque - tenendo conto del progressivo interramento denunciato dalla stratigrafia esterna adiacente alla chiesa, del legame delle sopracitate sepolture ad un momento avanzato della vita della stessa27, della menzionata, seppur debo170 15. Prospetto degli alzati della zona absidale con evidenti le fratture verticali (disegno di Monica Bersani) le, traccia di ristrutturazione nonché delle fonti storiche che ci testimoniano, alla metà del XII secolo, l’antica esistenza del monastero - di ipotizzare, sulla base anche della planimetria verosimilmente triabsidata suggerita dai resti murari e dei relativi confronti con i, pochi in verità, edifici sacri trentini sino ad oggi testimoniati28, che l’edificio sia stato eretto, sfruttando parte delle antiche strutture romane dopo un lungo abbandono, negli ultimi secoli del I millennio, a partire da un’epoca definibile genericamente carolingia (tardo VIII-IX sec). È a questa costruzione che forse vanno attribuiti i due capitelli a stampella frammentati conservati nel lapidario del Museo del Castello del Buonconsiglio dal 1933 (solo uno chiaramente leggibile), ivi pervenuti dall’area dell’ex convento di S. Lorenzo decorati sulle facce principali da rilievi raffiguranti un uccello di profilo e sulle altre due da motivi a matassa, la cui collocazione cronologica è fatta oscillare, dagli autori che li hanno presi in considerazione, fra l’VIII/IX e il XII secolo (fig. 16)29. Un accumulo di macerie piuttosto esteso, seppure lacunoso, inglobante alcuni blocchi consistenti di muri testimonia la demolizione di questo edificio con l’asporto del pavimento e di altri elementi architettonici o di arredo. Ad essa segue, estesa a tutto il sito, una massiccia opera di sistemazione e di innalzamento dei piani, a mezzo di riporti di terreno in funzione dell’erezione di un nuovo edificio, la chiesa attuale, riporti che, oltre ad obliterare le precedenti strutture, 171 16. Capitello a stampella proveniente dall’area di S. Lorenzo, conservato al Castello del Buonconsiglio 17. Denaro piccolo scodellato, zecca di Venezia 172 potrebbero avere anche assolto ad una funzione drenante, data la continua riscontrata forte presenza di acque. Ai fini cronologici risultano di particolare importanza due reperti rinvenuti, rispettivamente, nelle macerie ed in quello che pare essere l’ultimo riporto della zona sud: un piccone, il cui frammento di manico ligneo è stato datato al radiocarbonio fra l’895 ed il 1225 e una moneta coniata fra il 1178 ed il 119230 (fig. 17), dati che ci portano attorno alla seconda metà del XII secolo, cioè a dire il periodo stesso in cui, per la prima volta, compare citata - come abbiamo visto - l’“ecclesia nova sancti Laurentii”. La planimetria del nuovo edificio è caratterizzata dalla presenza di una sorta di griglia interna di fondazioni, ortogonali fra loro, atte a conferire maggiore stabilità all’edificio (fig. 18). Esse, composte di pietre di tipi e dimensioni diverse, per lo più non lavorate, irregolarmente alternate a ciottoli di medie dimensioni, legate da abbondante malta di calce di colore grigio, assumono spesso un profilo convesso, soprattutto nella parte mediana, dovuto probabilmente al cedimento del terreno circostante31. Il passaggio all’alzato è per lo più marcato da una risega, ma, in ogni caso, è ben riconoscibile dall’impiego di conci squadrati. A distanza di un certo periodo di tempo dalla costruzione della nuova 18. Planimetria fase bassomedievale, con strutture fondazionali disposte a griglia e corpo architettonico antistante (elaborazione grafica Marzia Bersani) 173 174 Nella pagina a fianco: 19a. - 19b. Elementi lapidei architettonici reimpiegati nella base del campanile Sopra: 20. Epigrafe di “Magurio” (C.I.L., V, 5034) 21. S. Lorenzo, vista da est chiesa, periodo che parrebbe breve, nel terreno antistante la facciata si realizza una poderosa struttura documentata nel sottosuolo da una muratura quadrangolare appoggiata alla facciata, sviluppata in lunghezza per più di m 8 e in larghezza m 9,5 (fig. 18). Costruita con una tecnica del tutto simile a quella delle fondazioni della chiesa, presenta uno spessore di m 1 aumentato a m 2 nei punti d’angolo. Planimetria e dimensioni che rimandano ai Westwerk o alle facciate turrite di chiese romaniche di ascendenza nordica (a meno che non siano riferibili ad un possente nartece/atrio porticato, come sembrerebbero suggerire alcune stampe cinque -seicentesche raffiguranti il monastero)32. Dopo un progressivo aumento dei piani circostanti a mezzo di livelli di riporto, sfruttati come terreno cimiteriale, tale struttura viene abbattuta, spoliata e coperta da altri strati, a loro volta ospitanti sepolture. Le numerose inumazioni intercettate dai sondaggi all’esterno sono deposte in fosse terragne, talora in cassa lignea (ne restano i chiodi) o in tombe in muratura, orientate est-ovest con le braccia conserte all’altezza del bacino. Sulla base delle considerazioni di ordine stratigrafico e dei rarissimi reperti monetali rinvenuti nel terreno cimiteriale è possibile proporre una datazione generica all’età bassomedievale. Abbastanza numerose anche le tombe trovate all’interno della chiesa, impostate probabilmente verso la fine dell’età medievale e continuate nei secoli successivi, tutte strutturate e con scarsi resti 175 poiché violate. Addenda Approfittando dei lavori di consolidamento, i sondaggi hanno interessato anche la cappella del Rosario e quella dedicata a Pio V, fatta costruire dal vescovo Alberti Poja, sul fianco settentrionale della chiesa - delle quali rimangono tuttora in vista pochi lacerti - nonché il campanile appoggiato al lato orientale di chiusura dell’abside meridionale. Si è così avuto conferma di quanto evidenziato già nel corso dei restauri degli anni Cinquanta, ossia che le fondazioni di quest’ultimo, innalzato probabilmente nel corso della prima metà del XVII sec., come stanno a dimostrare il confronto delle piante prospettiche della città del tempo, a contenere il castello campanario, sino ad allora allogato nella cupola del tiburio prima del suo deciso abbassamento, inglobano numerosi elementi architettonici reimpiegati, alcuni dei quali decorati (fig. 19) verosimilmente di XII secolo33. Va infine ricordata, a lato delle nostre indagini, una scoperta, o meglio una “riscoperta” non di poco conto per gli specialisti: quella dell’epigrafe di “Magurio” (C.I.L. V, 5034), che sembrava andata distrutta a seguito dei bombardamenti che colpirono la chiesa nel corso della seconda guerra mondiale, ma che invece era rimasta al proprio posto, inserita nel paramento esterno del muro di chiusura dell’absidiola della navata settentrionale, a fianco della finestrella (fig. 20, 21)34. 176 Bibliografia AA.VV. 1955, La Badia di S. Lorenzo tempio civico, Trento ANDREOTTI G. 1968-1969, L’abbazia benedettina di S. Lorenzo dalle origini al passaggio ai Domenicani, tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Facoltà di Lettere e Filosofia, relatore prof. P. Sambin ALBERTI - POJA A. 1955, Il Principe Vescovo Francesco degli Alberti-Poja e la cappella di San Pio V a S. 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Gobbi (a cura), “Bartolomeo da Trento domenicano e agiografo medievale”, Trento, pp. 67 - 86 CPTI 2004, Catalogo parametrico dei territori italiani, disponibile su Internet http://emidius.mi.ingv.it/CPTI/ CURZEL E., GENTILINI S., VARANINI G. M. (a cura) 2004, Le pergamene dell’Archivio della Prepositura di Trento (1154 - 1297), Annali dell’Istituto Storico Italo - Germanico in Trento, Fonti, 2, Bologna DALPRÀ L. 1986, In margine alle origini della abbazia di S. Benedetto di Vallalta e di S. Lorenzo di Trento, in “La regione Trentino - Alto Adige nel Medio Evo”, Atti del Convegno, Accademia Roveretana degli Agiati, pp. 107-125 DELLANTONIO G. 2004, Spazi della liturgia e della carità nel tardo medioevo, in “Storia del Trentino, III, l’età medievale”, pp. 611-626 GALADINI F., GALLI P. 2001, Archaeoseismology in Italy: case studies and implications on long-term seismicy, in “Journal of Earthquake Engineereing”, 5, pp. 35-68 GHISLANZONI E. 1947, Scoperte di antichità in Trento. 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Dato questo non confermato dalle fonti storiche né da testimonianze archeologiche, ma che la situazione medievale, unitamente ai confronti con altre realtà territoriali analoghe, ci porta facilmente a supporre (BASSI 1993). 3 La bontà di tale soluzione è riscontrabile fin dentro l’età moderna, se consideriamo che le alluvioni disastrose del 1882 e del 1966 hanno sostanzialmente risparmiato il nucleo storico della città. 4 Il primo sembra essere stato lo Zadra nel suo lavoro su S. Lorenzo (ZADRA 1929, p. 8), affiancato (?) dal Rusconi, come pare stando alla piccola pianta di Trento romana messa a corredo di detto articolo ( p.4) e a lui attribuita dallo Zadra stesso e seguito dal Ghislanzoni che, senza prendere posizione, ripubblica però la medesima pianta (GHISLANZONI 1947, tav. I fig. 2). L’ipotesi viene ritenuta non improbabile dal Bocchi (BOCCHI 1979, pp. 214216). Lo Zadra era convinto, inoltre, che la chiesa di S. Lorenzo sorgesse là dove anticamente era stata edificata la prima chiesa cittadina, l’ecclesia di cui parla la Passio Sancti Vigili (gli scavi archeologici ne hanno invece indicato l’ubicazione effettivamente infra moenia, nel sottosuolo della chiesa di S. Maria Maggiore; cfr. CIURLETTI 1978). Su questi temi si vedano anche le puntuali osservazioni di Rogger (ROGGER 1980). 5 Le analisi e le osservazioni più recenti sulla situazione idrogeologica del fondovalle atesino e di Trento in relazione alla loro antropizzazione e alla loro realtà urbanistica antica sono in BASSETTI, CAVADA, MULAS 1995 e BASSETTI 2004. 6 RANZI 1896, p. 90. Una decina di monete imperiali (da Nerone ai Costantinidi), preciserà il Roberti nella sua carta archeologica relativa a Trento (ROBERTI 1952, p. 45, n. 21). 7 Sopra, a - m 2, 40 ca. una struttura muraria in blocchi di calcare squadrati è stata interpretata come avente funzioni di contenimento delle acque all’epoca della deviazione del fiume. 8 Le stampe e le illustrazioni della città vista da settentrione, a partire da quella, famosissima, del Duerer del 1495 ce la dipingono sempre incolta salvo nelle adiacenze del monastero, occupata da campi e giardini assai regolari (frutto totalmente dell’attività delle comunità monastiche di S. Lorenzo o anche di una rappresentazione oleografica degli artisti?). 9 È da tener presente che l’Adige, prima del citato taglio ottocentesco dell’ansa nell’ampio fondovalle da Campotrentino a Centa, immediatamente a nord e a ovest di Trento presentava un corso meandriforme, favorito dalla presenza dei conoidi laterali, che nel corso dei secoli diede vita alla formazione di un ambiente di terre emergenti, isole e penisole sabbiose, nei documenti medievali dette ‘iscle”. Tra di esse si nomina anche l’“iscla sancti Laurenti’ (cfr: CURZEL, GENTILINI, VARANINI 2004, p. 23). 10 A fronte di una bibliografia decisamente nutrita, citiamo le opere più recenti, relative sia agli aspetti storici che storico - artistici, le quali comprendono ulteriori riferimenti e rimandi: DALPRÀ 1986; CODROICO 1990; CURZEL, GENTILINI, VARANINI 2004; DELLANTONIO 2004. 11 27 mirati, distribuiti lungo il perimetro murario interno ed esterno della chiesa, altri 18 contestualmente agli sterri effettuati nel corso dei lavori di sottofondazione, approfonditi fino a tre metri sotto il piano di calpestio. Ricerche dell’Ufficio (ora Soprintendenza) per i Beni Archeologici (direzione: G. Ciurletti, assistente M. Bersani) condotte dalla Cooperativa Ricerche Archeologiche di Trento (coordinamento cantiere e revisione dati e rilievi di scavo: N. Pisu). Alcuni sondaggi erano stati effettuati alcuni anni prima, in funzione della redazione del progetto di restauro, dalla Società di Ricerche Archeologiche di G. Rizzi di Bressanone. 1 2 179 12 Citiamo, per tutti, la posa di un tubo di scarico delle acque piovane, che ha tagliato una buona parte della stratigrafia della zona sud; oppure la realizzazione dell’impianto di riscaldamento, che, oltre agli scassi interni, ha comportato la distruzione della stratigrafia sottostante la soglia del portone d’ingresso e, in parte, quella del sagrato. 13 Una scheda, a firma degli AA., con i dati relativi alle ricerche a S. Lorenzo, in riferimento alle sue fasi più antiche è comparsa in: CIURLETTI 2003, pp. 394-396. 14 Si tratta sempre dell’elevato, perché le particolari condizioni del sito - come già detto nell’introduzione - hanno impedito l’esplorazione delle fondazioni: nei soli sondaggi dell’esterno sud è stato almeno possibile individuare la risega di passaggio da elevato a fondazione. 15 Nel sondaggio n. 14, interno sud, si leggono le tracce di un incendio, apparentemente circoscritto. 16 P. Diaconus, Historia Langobardorum, III, 23. 17 Nel corso delle indagini non sono stati riscontrati elementi tali da permettere di distinguere con sicurezza la formazione dei suoli nelle varie epoche. È augurabile che approfondimenti e confronti dei dati, raccolti a più riprese a partire dagli anni Ottanta nell’ambito del progetto di rilievo e studio geo-archeologico del territorio cittadino e dei suoi dintorni ai fini della ricostruzione dell’evoluzione storica del contesto ambientale del fondovalle atesino in rapporto alla realtà urbana - progetto condotto dalla Soprintendenza in collaborazione con il Servizio Geologico della P.A.T. e il geologo M. Bassetti della CORA s.n.c., Trento - portino a esiti più positivi degli attuali. 18 Corrispondente a 11 corsi sovrapposti di pietre, calcari rossi e bianchi, pochi ciottoli o ciottoloni di dimensioni in genere medio-grandi con l’intrusione di qualche raro frammento di laterizio e, quale legante, una malta bianca o grigia, poco depurata oppure, meno spesso, di colore rosato. 19 Anche l’ecclesia dei primi vescovi trentini, eretta verso la metà del IV secolo (cfr. lettere di S. Vigilio) infra moenia, ed individuata in piazza S. Maria Maggiore, in corrispondenza del foro (CIURLETTI 1978), era venuta ad utilizzare strutture di un edificio pubblico (un tempio dedicato alle divinità capitoline forse abbattuto in occasione delle frequenti demolizioni, diffuse in tutto l’impero in concomitanza con l’affermarsi della religione cristiana? CIURLETTI 2001, pp. 83 - 84 e nota 41); e pure la basilica cimiteriale extra moenia in cui vennero collocati i resti dei martiri anauniesi e furono sepolti S. Vigilio e i suoi successori sulla cattedra vescovile usufruì, in una sua prima fase, di resti pertinenti a non identificati edifici romani precedenti (SEEBACH 2001, pp. 283-285; ROGGER, CAVADA 2001, pp. 597-598). 20 Una lastra calcarea, spostata dalla sede originaria ma adiacente al suddetto ingresso. 21 Cfr. nota 9. 22 Dati ed osservazioni presenti nello studio commissionato dalla Soprintendenza alla dott.ssa G. Fogliardi e che sarà pubblicato nel contesto dell’edizione integrale degli scavi e delle ricerche. 23 Lo scheletro è stato analizzato dal prof. G. Calderoni, Dipartimento Scienze della Terra, Università “La Sapienza”, Roma ed ha fornito un’età convenzionale di 975±50 (campione Rome-949): tanto l’età convenzionale che gli intervalli calibrati sono riportati con l’incertezza sperimentale di ± 1σ. 24 Analisi ed interpretazione di F. Galadini (C. N. R., Istituto di Ricerca sulla Tettonica Recente) e P. Galli, (Servizio Sismico Nazionale). 25 “Circa id tempus terraemotus oppida, templa, villas, montesque plurimos, sicut hodie in valle Tridentina apparet, subvertit” (OTTO VON FREISING, in Monumenta Germaniae Historica, tomo 45, p. 330) 26 Due scosse fra il 2 e il 3 gennaio. L’area maggiormente colpita in Italia fu Verona, la bassa pianura veneta, la parte settentrionale della pianura emiliana e la valle dell’Adige. Crolli parziali sono documentati, oltre che nella città scaligera, nelle cattedrali di Cremona, Modena, Piacenza, all’abbazia di Nonantola (cfr. MAGRI, MOLIN 1986 e Gruppo di lavoro CPTI 2004) si veda anche: TOVAZZI 1986, p. 31; TRENER 1903, pp. 8-9. Il caso di S. Lorenzo, in relazione al terremoto del 1117, è trattato in GALADINI, GALLI 2001 27 Proprio in relazione ad esse si dispone di un’ulteriore indicazione in cronologia assoluta: quella plurima è stata datata al C14 calibrato - probabilità del 95% (2σ) - fra il 980 e il 1140, l’altra fra il 1040 e il 1250 (analisi eseguite, tramite l’Istituto per la Tettonica Recente del C.N.R. di Roma dal Beta Analytic Radiocarbon Dating Laboratory, Miami, Florida, campioni Beta-128979 e Beta-118165). 180 CIURLETTI 2003. Si tratta dei reperti catalogati come L 16 (inv. N. 4103) e L 21 (inv. N. 4104): cfr. PASSAMANI 1963, p. 21 e nota 13 e CODROICO 1990, pp. 70 – 71, fig. 1. 30 Denaro piccolo scodellato, zecca di Venezia: doge Orio Malipiero. Monete di tale tipo potevano circolare a lungo, nel nostro caso anche per tutto il XIII secolo. Tali dati presentano, ovviamente, carattere puramente indicativo, anche se rimangono gli unici disponibili. Per questo motivo vanno considerati complementari e non decisivi per la formulazione di proposte di cronologia. La datazione C14 così espressa si riferisce al 95% di probabilità: se scendiamo al 68% le possibilità si restringono al periodo compreso fra il 995 ed il 1160. Le analisi sono state eseguite dal Beta Analytic Radiocarbon Dating Laboratory, Miami, Florida, attraverso l’Istituto per la Tettonica Recente del C.N.R. di Roma (campione Beta128978). 31 La profondità non è stata mai accertata, a causa del risalire dell’acqua di falda: la fondazione è stata comunque seguita in profondità per m 2-2,5. 32 Gli elementi a nostra disposizione non permettono ancora di formulare un’ipotesi interpretativa soddisfacente. La situazione del sottosuolo nel sagrato e la limitatezza del tempo a disposizione per le indagini hanno in verità impedito di assumere tutte le informazioni di tipo archeologico necessarie ad una completa analisi del manufatto. Ulteriori riflessioni e confronti e, magari, in futuro, qualche mirato sondaggio potrebbero essere al proposito di sicuro ausilio. 33 Provenienti verosimilmente da strutture della chiesa abbattute nel corso del tempo o, in parte, scarti di lavorazione. Ci si riferisce in particolare ai frammenti di mensola con decorazione a meandri su un lato e a foglie sull’altro e a quelli ad intrecci (mentre i secondi sono di più ampia diffusione, i primi trovano scarsi ma probanti confronti con fregi della facciata del duomo di Fidenza e del pontile del duomo di Modena). Capirne meglio la provenienza originaria potrà contribuire decisamente alla conoscenza delle vicende dell’edificio sacro. Anche le considerazioni stratigrafiche, accanto a quelle iconografiche, inducono comunque a ritenere cronologicamente non troppo distante la realizzazione del campanile da quella della cappella dedicata a Pio V, che sappiamo essere ultimata nel 1677 (ALBERTI-POJA 1955). 34 Recentemente ne è stata data opportuna informazione all’ambiente scientifico: cfr. BASSI 1999. 28 29 181 Edizioni Stella, rovereto (Tn), 2005 182