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Esercizio Fisico e malattia di Parkinson

La malattia di Parkinson (od anche morbo di Parkinson) è una neurodegenerazione lenta e progressiva che rientra nel gruppo delle malattie dette " Movement Disorder " (disordini del movimento) e colpisce tutte le etnie soprattutto in un intervallo di età compreso tra i 58 e 60 anni (con casi di insorgenza pre-coce dai 21 ai 40 anni). Tale patologia interessa i gangli della base cerebrali ed implica un calo drastico della produzione di dopamina che realizza una sintomatologia invalidante con importanti deficit motori. Ad oggi l'esercizio fisico rientra nella terapia di tale patologia e numerosi studi hanno evidenziato l'utilità del medesimo nel controllo e trattamento dei sintomi, soprattutto se accoppiato alla terapia farmacologica (Rafferty MRR, Schmidt PN et al., 2017; Moore CG, Schenkman M et al., 2013; Shulman LM, Katzel LI et al., 2015). Lo scopo del presente articolo, pertanto, è quello di analizzare le caratteristiche principali dell'esercizio fisico, la durata della sua " somministrazione " ed i risultati che con esso si possono conseguire, anche se ancora è da comprendere quale attività fisica specifica sia migliore per realizzare una terapia sempre più efficace.

c h i n e s i o l og i a n . 1 / 2 0 1 8 ARTICOLO 1 Esercizio Fisico e malattia di Parkinson ALESSANDRO NUTINI Chinesiologo (Centro Studi Attività Motorie - Lucca) Riassunto La malattia di Parkinson (od anche morbo di Parkinson) è una neurodegenerazione lenta e progressiva che rientra nel gruppo delle malattie dette “Movement Disorder” (disordini del movimento) e colpisce tutte le etnie soprattutto in un intervallo di età compreso tra i 58 e 60 anni (con casi di insorgenza precoce dai 21 ai 40 anni). Tale patologia interessa i gangli della base cerebrali ed implica un calo drastico della produzione di dopamina che realizza una sintomatologia invalidante con importanti deicit motori. Ad oggi l’esercizio isico rientra nella terapia di tale patologia e numerosi studi hanno evidenziato l’utilità del medesimo nel controllo e trattamento dei sintomi, soprattutto se accoppiato alla terapia farmacologica (Raferty MRR, Schmidt PN et al., 2017; Moore CG, Schenkman M et al., 2013; Shulman LM, Katzel LI et al., 2015). Lo scopo del presente articolo, pertanto, è quello di analizzare le caratteristiche principali dell’esercizio isico, la durata della sua “somministrazione” ed i risultati che con esso si possono conseguire, anche se ancora è da comprendere quale attività isica speciica sia migliore per realizzare una terapia sempre più eicace. Parole chiave: Parkinson, esercizio fisico, ginnastica adattata e compensativa, rieducazione Abstract Parkinson’s disease is a slow and progressive neurodegeneration that falls into the group of diseases called “Movement Disorder” and afects all ethnic groups especially in an age range between 58 and 60 years (with cases of early onset from 21 to 40 years). his pathology afects the cerebral base ganglia and implies a drastic decline in the production of dopamine that produces a disabling symptomatology with important motor deicits. Until today, physical exercise is part of the therapy of this disease and numerous studies have shown its usefulness in the control and treatment of symptoms, especially if coupled to drug therapy (Raferty MRR, Schmidt PN et al., 2017; Moore CG, Schenkman M et al., 2013; Shulman LM, Katzel LI et al., 2015). herefore, the aim of this article is to analyze the main characteristics of physical exercise, the duration of its “administration” and the results that can be achieved with it, even if it is still to be understood which speciic physical activity is best for achieve an increasingly efective therapy. Key words: Parkinson, physical exercise, adaptive gymnastic, rehabilitation. INTRODUZIONE La malattia di Parkinson (o morbo di Parkinson) è una patologia degenerativa lenta e progressiva che interessa alcune funzioni tra cui il movimento e l’equilibrio. Tale malattia rientra in un gruppo di patologie detto “Movement Disorder” (MD), ossia “disordini del movimento” ed è primariamente identiicata da un tremolio persistente che, se non trattato, è destinato a peggiorare. Il nome della malattia deriva da un farmacista londinese del XIX secolo, tale James Parkinson, che la descrisse per primo in un suo trattato dal titolo “An essay on the shaking palsy” (Trattato sulla paralisi agitante) del 1817 (Parkinson J, 1817) anche se, in realtà, esistono sommarie descrizioni dei sintomi anche in alcuni testi di medicina indiana del 1000 a.C. (Manyam BV, 1990) e di antica medicina cinese 5 c h i n e s i o l og i a n . 1 / 2 0 1 8 (Zhang Z-X, Dong Z-H and Román GC, 2006). Interessante è la deinizione che lo stesso Parkinson dà a proposito della malattia: “Moto tremolante involontario, con potenza muscolare ridotta, in parti del corpo non in azione ed anche quando supportate; con la propensione a piegare il tronco in avanti ed a passare dal camminare a correre: i sensi e gli intelletti sono illesi”. Come si può leggere, l’autore notava vari fattori motori altamente invalidanti a carico della patologia, mentre “senso ed intelletto” rimanevano intatti (in realtà non è proprio così, ma i metodi di indagine e gli sviluppi scientiici di quel tempo non consentivano una diagnostica migliore). Di fatto, sino alla metà del XX secolo poco si conosceva sia della isiopatologia che di un possibile trattamento farmacologico, sin quando, verso la metà degli anni ’50, avvennero due importanti scoperte: la presenza di dopamina nel cervello umano, maggiormente concentrata al livello dello striato (Carlsson A, Lindqvist M, Magnusson T and Waldeck B, 1958) e gli efetti della reserpina sui malati di Parkinson (Carls- son A, Lindqvist M, Magnusson T and Waldeck B, 1958; Sano I, Gamo T and Kakimoto Y, 1959). Fu da quel momento in poi che la ricerca si spostò su di una farmacologia tesa all’utilizzo di L-DOPA (precursore della dopamina), oggi trattamento di base per tale patologia. La malattia di Parkinson è presente in tutte le etnie con una lieve preponderanza per il genere maschile e con un’età di insorgenza pari a 58 – 60 anni (esistono, purtroppo, casi di insorgenza precoce nella fascia di età tra i 21 ed i 40 anni). Le aree cerebrali colpite dalla malattia sono i gangli della base: nucleo caudato, putamen e globus pallidus (ig. 1) che, oltre a svariate funzioni, compartecipano al controllo del movimento. La malattia implica un calo drastico di produzione di dopamina a causa della degenerazione dei neuroni della substantia nigra (quando si manifesta la patologia, si ha la perdita di circa il 60% dei neuroni di tale sito) e come conseguenza (di origine parzialmente incerta) si ha la formazione di una proteina detta sinucleina che, con molta probabilità, è la responsabile della difusione patologica al cervello in toto. Figura 1 – Immagine anatomica della collocazione dei nuclei della base (a sinistra) e della substantia nigra posizionata sopra il cervelletto (a destra). [Immagine tratta e modificata da Patestas AM and Gartner LP (2006), “A textbook of Neuroanatomy”, ed. Blackwell Publishing, pp. 78-79]. 6 c h i n e s i o l og i a n . 1 / 2 0 1 8 Le cause dello sviluppo della malattia di Parkinson sono, al momento, in gran parte non conosciute, anche se alcuni fattori sicuramente inluiscono sulla sua insorgenza; tra di essi si ricordano: 1. Fattori genetici; alcune mutazioni geniche sono associate alla patologia. I geni coinvolti sono: α-sinucleina (PARK1 – PARK4), parkina (PARK2), PINK1 (PARK6), DJ-1 (PARK7), LRRK2 (PARK8) e glucocerebrosidasi (GBA). Si pensa che i familiari di individui colpiti dalla malattia presentino, rispetto alla popolazione generale, un rischio superiore di esserne a loro volta afetti. 2. Fattori ambientali: esposizione ad alcuni agenti tossici quali pesticidi od idrocarburi (solventi) od anche esposizione a metalli pesanti quali zinco, ferro e rame. I sintomi principali della malattia sono il classico tremore anche in condizioni di riposo, rigidità strutturale, bradicinesia (o addirittura acinesia), disturbi dell’equilibrio (instabilità posturale), disturbo nel cammino ed altri sintomi (anche non motori) che iniciano gravemente la vita della persona. Vediamo brevemente una sommaria descrizione della sintomatologia tipica: • Tremore: nella grande maggioranza delle persone colpite dal morbo di Parkinson, si manifesta un tremore (anche a riposo) che spesso inizia dalle mani, ma che può interessare anche mandibola e piedi. Generalmente il problema si presenta da un solo lato ed è presente anche quando si cammina. Il tremore rappresenta l’esordio della malattia e può anche non avere evoluzione nel corso degli anni. • Rigidità: aumento del tono involontario del sistema muscolare. Si può manifestare agli arti, al tronco od al collo. • Bradicinesia ed acinesia: rallentamento dei movimenti (bradicinesia) che invalida (a volte molto pesantemente) la vita motoria della persona. La diicoltà motoria viene rilevata tramite l’esecuzione di “gesti motori ini” che risultano molto impacciati ed “esauribili”, ossia con la ripetizione questi divengono impercettibili. Si può anche realizzare la condizione per cui si ha forte diicoltà ad iniziare un movimento spontaneo (acinesia) • • • sino al blocco motorio. Equilibrio instabile: si manifesta nella fase più tardiva della malattia ed è dovuto ad un deicit dei rilessi di raddrizzamento dell’asse corporeo: la persona non riesce più a compensare vari squilibri (anche di piccola entità). Dorso curvo e sindrome di Pisa: in realtà, nella maggior parte dei casi, si tratta di un posizionamento posturale curvo, con tronco lesso in avanti e gambe piegate ed in un atteggiamento motorio anche detto sindrome di Pisa in cui il tronco ha una deviazione laterale di più di 10° (Doherty KM, van de Warrenburg BP et al., 2011; Geroin C, Squintani G, Morini A et al. 2017). Disturbi della deambulazione: riduzione del movimento pendolare delle braccia e passo più breve. Si nota anche il fenomeno detto “festinazione”, ossia il trascinare i piedi ed accelerare il passo come per impedire la perdita del proprio baricentro dinamico. Si può manifestare anche il fenomeno detto “freezing gait” ossia un blocco motorio improvviso che impedisce la deambulazione (i piedi sembrano incollati a terra); tale blocco non si manifesta in determinati compiti quali salire le scale1 (Beck EN, Martens KAE and Almeida QJ, 2015; Plotnik M, Giladi N and Hausdorf JM, 2012). La sintomatologia, come accennato in precedenza, comprende non solo disturbi motori, ma si amplia anche in diicoltà di carattere urinario (aumento della frequenza della minzione), problemi di ipertensione ed ipotensione arteriosa, disturbi dell’olfatto (di solito insorgono assieme alle problematiche motorie), disfunzioni del sonno (insonnia, disturbi della fase REM, sonnolenza diurna, etc…), disturbi comportamentali legati ad attacchi di ansia o atteggiamenti ossessivo-compulsivi ed altre manifestazioni che si possono presentare in vario grado. L’esercizio fisico nella malattia di Parkinson Nella malattia di Parkinson, l’esercizio fisico ha un’indubbia importanza nel cercare di controllare i sintomi invalidanti della patologia stessa, tanto 1 Un espediente per impedire il “freezing gait” può esser quello di abbinare, durante un programma di attività isica, esercizi come l’attraversamento di un ostacolo od inserire tutte quelle variabili che permettono un sollevamento ed una lessione delle ginocchia. 7 c h i n e s i o l og i a n . 1 / 2 0 1 8 che diversi studi (Raferty MRR, Schmidt PN et al., 2017; Moore CG, Schenkman M et al., 2013; Shulman LM, Katzel LI et al., 2015) mostrano una buona interazione tra terapia farmacologia e l’esercizio isico stesso: quest’ultimo viene addirittura considerato come un “farmaco” da somministrare e, quindi, da dosare, valutandone l’intensità e la durata della somministrazione stessa. In uno studio del 2017 (Hou L, Chen W, Liu X, Qiao D and Zhou F, 2017) condotto su modelli animali che riproducono la malattia, si è notato come l’esercizio isico riesca addirittura a ridurre le lesioni indotte nel sistema dopaminergico nigro-striatale, a patto che la somministrazione temporale e l’intensità dello stesso sia appropriatamente dosata; inoltre l’esercizio isico, sempre nel medesimo studio, risulta anche esser eiciente nel ridurre il processo di denervazione delle spine neuronali dovuta ad atroia dendritica. Presi assieme, questi due efetti, risultano un buon sistema terapeutico che, oltre a prevenire l’insorgenza della malattia, in qualche modo ristrutturano il circuito di controllo motorio dei gangli cortico-basali cerebrali che risulta disfunzionale a causa della malattia; tale efetto protettivo/ristrutturante viene raggiunto anche grazie alla produzione di fattori neuroprotettivi (“fattori neurotroici”) indotta dall’esercizio isico stesso. Un altro studio evidenzia quanto l’esercizio isico possa agire come farmaco psicoattivo (Vina J, Sanchis-Gomar F, Martinez-Bello V and GomezCabrera MC, 2012) grazie all’incremento della produzione di β-endorina che inluisce sullo stato psicologico della persona, migliorando la risposta ad ormoni dello stress come prolattina, catecolamine, cortisolo ed ACTH. Ciò incrementa le funzioni cognitive cerebrali e la capacità cerebrale di apprendimento e di memoria, migliorando la qualità del sonno e inducendo un processo di neurogenesi nella regione cerebrale del giro dentato che porta al rimodellamento dei circuiti sinaptici ippocampali e, quindi, al miglioramento delle funzioni cognitive (Vissing J, Andersen M and Diemer NH, 1996). Nella somministrazione di esercizio isico, comunque, esistono alcune “barriere” che minano l’eficacia nel contrastare gli efetti della patologia tra cui il tempo di applicazione dell’esercizio stesso e la paura nell’eseguire esercizi di equilibrio (paura di cadere), senza contare che, mentre sono ben conosciuti gli efetti a breve termine, gli efetti a lungo termine della somministrazione di esercizio isico non sono ben noti (Tomlinson CL, Patel S, Meek C, et al., 2012). 8 Per questi motivi l’esercizio isico, perché abbia un efetto terapeutico nella malattia di Parkinson, deve essere continuativo e ben regolato, efettuando un monitoraggio dei risultati e realizzando un protocollo che sia personalizzato ma che, al medesimo tempo, rispecchi uno standard operativo nel conseguimento degli obiettivi fondamentali per assicurare il più possibile una buona qualità di vita alla persona afetta dalla malattia. Caratteristiche dell’esercizio fisico nella malattia di Parkinson Allo stato attuale l’attività isica che viene fatta eseguire a chi sofre della malattia di Parkinson è di vario genere e va da una Ginnastica Adattata e Compensativa modulata sulle necessità della persona ad attività quali il “nordic walking” od il nuoto che mirano ad un miglioramento sia della coordinazione motoria che della condizione isiologica generale. Sono anche consigliate discipline quali lo Yoga od il Taijiquan (Li F, Harmer P, Fitzgerald K, et al., 2012) che risultano molto eicienti nel perfezionamento del controllo e coordinamento motorio e l’indicazione generale è quella per cui “si deve praticare un’attività isica che si è in grado di mantenere”. Fermo restando che la pratica di quanto sopra è senz’ombra di dubbio portatrice di beneici, ciò che principalmente interessa la comunità scientiica è la qualità e l’intensità dell’esercizio isico da prescrivere, ossia le caratteristiche motorie e isiologiche ottimali per ottenere un risultato sempre migliore nei confronti della malattia. L’attenzione, quindi, si è spostata non tanto sull’ “attività isica che si è in grado di mantenere” (peraltro elemento alquanto ovvio), ma su quale peculiarità d’intensità e di durata la stessa attività deve possedere. Alcuni studi recenti (Shulman LM, Katzel LI et al., 2015; Lefebvre C, Manheimer E and Glanville J, 2011; Deane KH, Jones D, Playford ED, Ben-Shlomo Y and Clarke CE, 2011; Tomlinson CL, Patel S, Meek C, et al., 2012) hanno evidenziato quanto l’esercizio isico sia necessario al ine di indurre non solo “efetti primari” (miglioramento dell’equilibrio e riduzione della sintomatologia), ma anche di stimolare l’avvento di “efetti secondari” dovuti alla partecipazione attiva della persona alla propria cura, migliorando la condizione psicologica ed incrementando la componente volitiva nell’esecu- c h i n e s i o l og i a n . 1 / 2 0 1 8 Figura 2 – Schema riassuntivo di alcuni “trial” clinici di esercizi fisici per il trattamento della sintomatologia indotta dalla malattia di Parkinson e relativi risultati [immagine tratta da: Rosenthal LS and Dorsey ER (2013), “The Benefits of Exercise in Parkinson Disease”, JAMA Neurol, vol 70 (no. 2): 156-157]. zione del programma motorio (e, conseguentemente, aumentando il “range” dei risultati ottenibili). Nella igura 2 è mostrata una tabella dei vari studi e “trial” clinici eseguiti rapportati a metodiche di esercizio diferenti ed ai risultati ottenuti. Come si può vedere, il movimento in generale apporta signiicativi miglioramenti misurabili tramite test opportuni e valutabili grazie alla scala “UPDRS - Uniied Parkinson Disease Rating Scale” (Ramaker C, Marinus J, Stiggelbout AM and van Hilten BJ, 2002); gli studi riportati in igura sono opportunamente elencati nei riferimenti bibliograici del presente articolo. Uno studio condotto da Shulman e colleghi (Shulman LM, Katzel LI et al., 2015) ha inoltre analizzato tre “trial” clinici di esercizi isici eseguiti in modo “random” e costituiti da una camminata su tapis roulant a bassa intensità (50 minuti al 40%-50% della frequenza cardiaca massimale), una camminata, sempre su tapis roulant, di alta intensità (30 minuti al 70%-80% della frequenza cardiaca massimale) od una combinazione di “stretching” ed esercizi di resistenza (due serie di 10 ripetizioni per gamba su 3 macchine quali “leg press”, “leg extension” e “curl”). Il piano di lavoro proposto è di tre volte la settimana, per tre mesi. I risultati dello studio sono molto incoraggianti poiché tutte e tre le metodologie apportano miglioramenti signiicativi poiché la distanza compiuta (e misurata) in sei minuti (standard scelto per la comparazione dei risultati) risulta incrementata nel seguente modo: • Camminata a bassa intensità: incremento della distanza del 12%. • Camminata ad alta intensità: incremento della distanza del 6%. La combinazione di “stretching” ed esercizi di resistenza, invece, apporta un miglioramento della forza muscolare del 16%. Shulman pertanto conclude che l’esercizio a bassa intensità condotto nel test aveva notevolmente ottimizzato la velocità della deambulazione; sempre nel medesimo articolo si legge anche di un miglioramento delle funzioni cardiovascolari in entrambi gli esercizi sul tapis roulant. Il programma motorio di resistenza e “stretching” aveva inoltre incrementato la forza muscolare, stabilizzando ulteriormente il gesto motorio. Attualmente la combinazione di esercizi isici che implicano sia neuropropriocettività che coordinazione appaiono eicienti, con risultati che migliorano ulteriormente se il programma di lavoro viene arricchito con esercizi di resistenza. 9 chinesiologia n. 1 / 2018 Oggi una delle caratteristiche motorie che viene prediletta è quella relativa ad una buona coordinazione del gesto, con elementi motori armonici e con medio impegno isico perché l’esercizio isico stesso possa esser adeguatamente somministrato (Yoga, Taijiquan, elementi di Ginnastica Posturale, etc..), ma uno studio recente (Schenkman M, Moore CG, Kohrt WM et al., 2017) indica un’alta eicacia per gli esercizi ad alta intensità, soprattutto nella prevenzione del peggioramento della sintomatologia per i malati di Parkinson in fase iniziale. Lo studio si rivela particolarmente interessante perché in esso i partecipanti non hanno ancora assunto farmaci (Parkinson in fase iniziale) e, in tal modo, le condizioni di partenza sono standard. Nella sperimentazione in questione vengono reclutati volontari afetti da Parkinson e successivamente suddivisi in tre gruppi: un primo gruppo che deve eseguire esercizi ad alta intensità (80%-85% della frequenza cardiaca massimale), un secondo gruppo che deve compiere esercizi a bassa intensità (60%-65% della frequenza cardiaca massimale) ed in un terzo gruppo di controllo che non compie esercizio alcuno; la misura comparativa viene eseguita con la scala UPDRS (Ramaker C, Marinus J, Stiggelbout AM and van Hilten BJ, 2002). Gli esercizi ad alta e bassa intensità, anche in questo caso, sono costituiti dal camminare su tapis roulant ed il tempo di allenamento è stabilito in sei mesi con sedute di cadenza tre volte la settimana. Al termine del “trial”, le persone che hanno eseguito esercizi a bassa intensità riportano un aumento di 1.5 punti sulla scala UPDRS (peggioramento) mentre coloro che hanno eseguito esercizi ad alta intensità mostrano un punteggio invariato; il gruppo di controllo, invece, riporta un aumento di ben 3 punti. Secondo i ricercatori che hanno condotto lo studio, la diferenza di tre punti suggerisce una forte diferenza in termini di qualità della vita e dato che l’esercizio ad alta intensità sembra “tenere sotto controllo” il peggioramento della sintomatologia motoria (in questo caso praticamente “bloccata” per sei mesi), l’attività isica diviene uno dei fulcri per un potenziale trattamento per la malattia di Parkinson. Difatti, durante un’intervista il dott. Corcos (coautore dello studio sopra citato) aferma: “Abbiamo dato a loro [i partecipanti] un allenamento adeguato, non si tratta di un lieve allungamento”, aferma. “Questa è alta intensità, è parte dell’idea che l’esercizio sia una medicina.” (tratto da: https:// it.lifehealthdoctor.com/intense-exercise-could-slowparkinson-s-symptoms-31072). Conclusioni A conclusione di questa breve panoramica sull’eficacia dell’esercizio isico nella malattia di Parkinson, non si può fare a meno di notare quanto l’esercizio isico stesso sia di indubbia eicacia nel controllo della sintomatologia, anche se molto ancora si deve comprendere circa il suo dosaggio e la sua intensità ottimale perché si ottengano i risultati migliori. Sicuramente una combinazione di vari “moduli motori” costituisce un programma ottimale per il trattamento del Parkinson, ma occorre valutare le condizioni isiologiche soggettive e lo stato della malattia. Indubbiamente dobbiamo ripensare e valutare di nuovo il programma motorio nella sua intensità e durata poiché un impegno elevato si è dimostrato utile nel ritardare la sintomatologia nelle prime fasi della malattia e tale caratteristica deve essere necessariamente inserita in un programma di somministrazione di “attività motoria”. Lo studio di Schenkman (Schenkman M, Moore CG, Kohrt WM et al., 2017), infatti, conferma questa necessità e lo fa grazie al grande merito di aver confrontato direttamente gli efetti di diferenti intensità di esercizio isico in condizioni standard, anche se una linea operativa è ben lungi dall’esser proposta. Pertanto, nonostante vari studi indicano un efetto beneico dell’esercizio isico nella malattia di Parkinson caratterizzandolo nella sua qualità, non è chiaro con precisione quale programma motorio sia più eicace. Per cercare di comprendere quale sia il programma più eiciente e risolvere il dilemma cui sopra, esiste un progetto dal nome “SPARX” (Study in Parkinson Disease of Exercise) condotto dalla “Northwestern University di Feinberg School of Medicine” a Chicago2 che ha l’ambizione di studiare l’esercizio isico più eicace in una metodologia “allenante” più appropriata per attuare la terapia combinata fondamentale per trattare la malattia. SPARX, ultimamente, ha compiuto diversi passi avanti nella comprensione della qualità ottimale di esercizio da somministrare e sta divenendo sempre di più uno dei progetti rilevanti nella prevenzione e trattamento della malattia di Parkinson. 2 http://news.feinberg.northwestern.edu/2017/12/high-intensity-exercise-delays-parkinsons-progression/ 10 c h i n e s i o l og i a n . 1 / 2 0 1 8 Bi bliografia • • • • • • • • • • • • • • • Ashburn A, Fazakarley L, Ballinger C, Pickering R, McLellan LD and Fitton C (2007), “A randomised controlled trial of a home-based exercise programme to reduce the risk of falling among people with Parkinson’s disease”, J Neurol Neurosurg Psychiatry; 78(7):678-684. Beck EN, Martens KAE and Almeida QJ (2015), “Freezing of Gait in Parkinson’s Disease: An Overload Problem ?”, PLoS One; 10(12): e0144986. Carlsson A, Lindqvist M, Magnusson T and Waldeck B (1958), “On the presence of 3-hydroxytyramine in brain”, Science 127: 471. 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