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J O N AT H A N S T U B B S Cyprus International University “UN MONDO PIÙ DURATURO”: QUO VADIS (1951), PRODUZIONE ‘RUNAWAY’ E INTERNAZIONALIZZAZIONE DI HOLLYWOOD N 2015, LA RIVISTA DI CINEMA “VARIETY” PUBBLICAVA UN ARTICOLO dal titolo Hollywood on the Tiber Puts Rome Back to Work (“Hollywood sul Tevere riporta lavoro a Roma”), che raccontava come i produttori di Hollywood, attirati da un nuovo sistema di esenzioni fiscali, siano tornati a Roma e negli studi di Cinecittà, in particolare per girare il remake di Ben-Hur della Paramount (2016)1. Il servizio proseguiva con un parallelismo tra l’attuale tendenza degli americani a spostare la produzione cinematografica a Roma e la prima, meno recente ondata di runaway productions (cioè, produzioni “fuoriuscite” dal Paese), pellicole che negli anni Cinquanta e Sessanta furono realizzate lontano da Los Angeles, tradizionale sede produttiva hollywoodiana, per andare alla ricerca di manodopera a più basso costo, location più autentiche e incentivi finanziari concessi da governi europei in difficoltà. Una prima serie in questo genere di produzioni internazionali prese avvio nel 1951 con la realizzazione di Quo Vadis da parte della MGM e, infatti, la stessa espressione “Hollywood sul Tevere” deriva dal titolo di un articolo apparso sul “Time” nel 1950, dedicato proprio a questo film2. Lo spazio dedicato dai media americani ai film girati da Hollywood a Roma dopo il 2015 ha trovato perciò una cornice naturale nella stessa stampa americana di sessant’anni prima. L’articolo del 2015 1] N. VIVARELLI, Hollywood on the Tiber Puts Rome Back to Work, “Variety”, 22 luglio 2015. 2] Hollywood on the Tiber, “Time”, 26 luglio 1950. CONFERENZE 137 EL LUGLIO DEL 139 JONATHAN STUBBS ricordava l’impatto economico di quei film degli anni Cinquanta, ma anche l’adesione entusiasta del governo italiano, come traspare dalla citazione riportata del primo ministro Giulio Andreotti, secondo il quale “Quo Vadis ha fatto di più per l’Italia che non il piano Marshall”3. L’affermazione poneva il film sullo stesso piano di un aiuto economico internazionale, come forma di incentivo all’industria cinematografica italiana del dopoguerra da parte di una delle più influenti e floride attività statunitensi. Il richiamo al piano Marshall pone l’accento sulla più ampia dimensione ideologica assunta dalla produzione internazionale di Quo Vadis, collegando così la ricostruzione industriale europea alla politica espansionistica americana del dopoguerra. In quel periodo, come ha fatto notare Victoria de Grazia, la cultura americana mise radici nella società civile europea anche grazie al cinema, facendo valere il proprio influsso attraverso quello che la studiosa chiama “imperialismo transfrontaliero”4. Questo saggio prenderà in esame la lunga gestazione di Quo Vadis, che si protrasse in America e poi in Italia, con una breve parentesi in Gran Bretagna, e gli effetti sociali e politici della delocalizzazione all’estero della grande industria americana. Come testimoniato dagli scritti degli altri autori di questa raccolta, il fenomeno Quo Vadis può essere analizzato da diverse prospettive: dal punto di vista della storia del cinema – che è quello che qui interessa – vogliamo mostrare come, nell’era postbellica, l’opera della MGM rappresenti il primo modello di esternalizzazione nel cinema ad alto budget e di globalizzazione del lavoro nel mercato cinematografico. LE PRIME FASI DI SVILUPPO CONFERENZE 137 Come molti progetti di Hollywood nei tempi degli studios, Quo Vadis richiese qualche decennio di tempo e il concorso di diversi scrittori e produttori, la cui collaborazione lascerà una traccia fattasi via via “invisibile”. Le bozze della sceneggiatura e gli articoli delle riviste di settore rivelano come la produzione del film abbia avuto un andamento a singhiozzo, entro il quale si possono individuare quattro fasi. Nella prima, tra il 1934 e il 1939, il romanzo di Henryk Sienkiewicz fu soggetto a diversi adattamenti e la MGM diramò qualche comunicato stampa provvisorio. Nella seconda fase, tra il maggio 140 3] La citazione sarebbe tratta da un’intervista rilasciata da Giulio Andreotti per il documentario Giulio Andreotti: Il cinema visto da vicino (Tatti Sanguineti, 2014). In realtà, il politico italiano avrebbe affermato che Quo Vadis aveva giovato più a Roma che non all’Italia (http://news.cinecitta.com/IT/ it-it/news/53/38031/16-35-nuovo-lungometraggio-su-andreotti.aspx; ultima visita 18 maggio 2017). 4] V. DE GRAZIA, Irresistible Empire: America’s Advance Through Twentieth-Century Europe, Harvard University Press, Cambridge 2006, p. 85. “UN MONDO PIÙ DURATURO”: QUO VADIS (1951), PRODUZIONE ‘RUNAWAY’ E INTERNAZIONALIZZAZIONE DI HOLLYWOOD 5] Turner/MGM script collection. Margaret Herrick Library, Center for Motion Picture Study, Los Angeles. 6] “Quo Vadis”, AFI Film Catalog (www.afi.com/members/catalog/DetailView.aspx?s=&Movie= 50257; ultima visita 18 maggio 2017). 7] RKO Film Grosses, 1929-1951: The C. J. Telvin Ledger, a cura di R. B. JEWELL “Historical Journal of Film, Radio and Television”, n. 14/1, 1994, microfiche. 8] “Quo Vadis”, AFI Film Catalog, op. cit. 9] J. D. SPIRO, Now it’s for Sure, “New York Times”, 7 maggio 1950, p. 115. CONFERENZE 137 1942 e il luglio 1943, la casa produttrice manifestò una volontà più concreta di produrre il film, ma dovette cedere a causa dei costi elevati dovuti alle restrizioni di guerra che attanagliavano il Paese. Nella terza fase, tra l’aprile 1948 e l’aprile 1949, la MGM riesumò l’idea e la reindirizzò verso una dimensione europea, ma dovette abbandonarla per difficoltà di produzione. Nella quarta fase, infine, nel gennaio 1950 il progetto fu avviato nuovamente, in Italia, ma cambiando regista, produttore e sceneggiatura; le riprese terminarono nel novembre di quell’anno e il film uscì nelle sale nell’autunno del 1951. Le due prime fasi possono essere illustrate in modo molto sintetico. La biblioteca “Margaret Herrick” di Los Angeles detiene numerose sinossi del romanzo di Sienkiewicz, scritte dal Reparto Soggetti della MGM nel 1934 e nel 1935, nonché due abbozzi di sceneggiatura, uno del novembre 1936 e l’altro, scritto da persona diversa, del settembre 19395. La stampa del periodo, che si adoperava per attirare l’attenzione sul film, annunciò che Marlene Dietrich sarebbe stata probabilmente scritturata per interpretare il ruolo di Poppea6. La notizia era forse infondata, ma il fatto stesso che venisse data in quel momento potrebbe indicare l’intenzione della MGM di replicare con Quo Vadis il successo delle numerose raffigurazioni della Roma imperiale girate sui set ad alto budget degli studi rivali. Fra gli altri, la Paramount aveva lanciato nel 1932 il film di Cecil B. DeMille Il segno della croce, che ricalcava alcuni tratti del racconto di Quo vadis e, due anni più tardi, Cleopatra (1934), ancora di DeMille, che sarà per la casa produttrice il più grande successo dell’anno. Già nel 1935, però, Gli ultimi giorni di Pompei causò perdite commerciali alla RKO: fu forse proprio questo fiasco a determinare i successivi indugi nella produzione di Quo Vadis7. Il rinvio, però, potrebbe anche ascriversi a problemi di natura legale: infatti, secondo una fonte, in quel periodo era stata contestata la proprietà da parte della MGM dei diritti cinematografici del romanzo di Sienkiewicz8. Secondo notizie più recenti, invece, nel 1938 Benito Mussolini avrebbe tentato di acquistare i diritti di Quo vadis dalla MGM per 75.000 dollari con l’intenzione di produrre un adattamento italiano, presumibilmente a Cinecittà, i cui studi aveva inaugurato nel 1937 nella speranza di rendere più competitiva l’industria italiana del cinema rispetto a quella hollywoodiana9. 141 JONATHAN STUBBS CONFERENZE 137 I nuovi sviluppi delle vicende legate a Quo Vadis si ebbero a partire dal 1942, quando il produttore Arthur Hornblow Jr., passato dalla Paramount alla MGM, lo scelse come suo primo progetto cinematografico, ingaggiando per stendere una nuova sceneggiatura lo sceneggiatore S.N. Behrman, noto per aver lavorato per la MGM agli adattamenti di Racconto di due città e Anna Karenina. Le riprese del film sarebbero dovute partire ai primi del 1943, con un cast fra cui si mormorava figurassero Orson Welles o Charles Laughton nella parte di Nerone, e Lana Turner in quella di Ligia10; fu anche annunciato che il film sarebbe stato girato in Technicolor, cosa rara nei primi anni Quaranta, e che vi avrebbero figurato 176 attori con parti dialogate11: tutte scelte che mostrano come la MGM avesse in programma una grande e costosa produzione. La campagna condotta dal team pubblicitario della MGM faceva appello ai contenuti cristiani di Quo Vadis: sia “The New York Times” sia “Variety” pubblicarono articoli in cui il film veniva associato a quella che venne definita la “nuova rinascita spirituale di Hollywood”, interpretata come reazione dell’industria cinematografica alla seconda guerra mondiale, che l’avrebbe indotta a rappresentare miracoli e richiamarsi alla fede religiosa12. È degno di nota il fatto che, nello stesso anno, la casa produttrice rivale RKO stesse realizzando La tunica, altra storia epica romano-cristiana tratta da un celebre romanzo. L’economia di guerra mise gli studi di Hollywood in seria difficoltà nel realizzare produzioni su così vasta scala: i materiali e parte del personale per allestire i set o comparire nelle scene di massa venivano reindirizzati allo sforzo bellico. Secondo alcune notizie, la MGM avrebbe cercato di mantenere le proporzioni epiche di Quo Vadis trasferendone la lavorazione in Messico, dove manodopera e materiali erano reperibili più facilmente e a costi inferiori13. Ciò nonostante, il conflitto stava provocando una conseguenza ancor più deleteria: gli studi cinematografici stavano perdendo i mercati europei, che erano di importanza vitale per recuperare i costi sostenuti, gran parte dei quali sarebbero ora gravati sul solo Nord America. È per questo motivo che, nel luglio 1943, la produzione del film venne sospesa nuovamente; una breve nota apparsa su “Variety” lo definì una vittima delle “spese di guerra”14, ma non fu la sola perché anche le riprese di La tunica, che verrà poi distribuita dalla Century Fox nel 1953, vennero interrotte più o meno nello stesso periodo. 142 10] “Quo Vadis”, AFI Film Catalog, op. cit. 11] Ibidem. 12] F. STANLEY, A New Spiritual Resurgence in Hollywood, “New York Times”, 7 marzo 1943; New Film Cycle May be Religious, “Variety”, 24 marzo 1943. 13] “Quo Vadis”, AFI Film Catalog, op. cit. 14] Production notices, “Variety”, 7 luglio 1943. “UN MONDO PIÙ DURATURO”: QUO VADIS (1951), PRODUZIONE ‘RUNAWAY’ E INTERNAZIONALIZZAZIONE DI HOLLYWOOD LA PRODUZIONE ‘RUNAWAY’ 15] J. D. SPIRO, op. cit. 16] Hornblow to Review Italo Prod. Problems, “Variety”, 24 novembre 1948; London, “Variety”, 16 febbraio 1949. 17] C. LUCKINBEAL, Runaway Hollywood: Cold Mountain, Romania, “Erdkunde”, n. 60/4, 2006, p. 339. 18] P. KRÄMER, Faith in relations between people: Audrey Hepburn, Roman Holiday and European Integration, in: 100 Years of European Cinema: Entertainment or Ideology?, a cura di D. HOLMES, A SMITH, Manchester University Press, Manchester 2000, p. 197. CONFERENZE 137 La lavorazione di Quo Vadis nella veste definitiva che è giunta a noi iniziò nell’aprile 1948, preceduta da un nuovo annuncio del produttore, che era ancora Arthur Hornblow Jr.; fu invece prevista una nuova stesura della sceneggiatura di Behrman ad opera della valente sceneggiatrice Sonya Levien. La fine della guerra aveva inoltre permesso alla MGM di ottenere dagli eredi polacchi di Sienkiewicz una proroga dei diritti cinematografici del romanzo15. Tuttavia, l’aspetto più rilevante è che Quo Vadis andò ad alimentare quel programma di riorientamento della produzione e dell’esportazione verso l’Europa che prese piede nel dopoguerra. La MGM si impegnò a girare in Italia tutto o parte del film e, a cavallo fra il 1948 e il 1949, inviò a Roma diversi addetti alla produzione per scegliere gli esterni16. La decisione di spostarsi oltreoceano si fondava su diverse ragioni, ma quella che gli studios pubblicizzarono maggiormente era il perseguimento di una forma di realismo geografico. Poiché le storie ambientate nel mondo antico erano allora in voga a Hollywood e le nuove tecnologie permettevano di esaltare l’aspetto visivo dello spettacolo, era sentire comune che girare all’estero fosse indispensabile alla credibilità dei film presso il pubblico17. Ad ogni modo, le considerazioni sulla creatività dell’opera erano in larga parte offuscate dai vantaggi economici, soprattutto perché, tra fine anni Quaranta e primi anni Cinquanta, il mercato interno di Hollywood stava subendo una battuta d’arresto e quelli stranieri diventarono ancor più essenziali per la sopravvivenza dell’industria. Le cifre sulle presenze settimanali nelle sale statunitensi erano scese dagli 84 milioni del periodo bellico ai soli 49 milioni del 195118, nel momento stesso in cui in molti Paesi d’Europa stavano invece crescendo, e ad un ritmo tale da permettere ai produttori di Hollywood di compensare il declino a livello nazionale. La brusca riapertura alle importazioni di molti mercati europei che erano rimasti chiusi durante la guerra, con il relativo accumulo di film non ancora esportati, unita all’indebolimento della produzione interna e alla rimozione delle barriere protezionistiche, portò ad una vera e propria invasione delle sale europee. Rispetto ad altre 143 JONATHAN STUBBS CONFERENZE 137 nazioni europee, l’Italia registrò una crescita più veloce del commercio cinematografico, con presenze settimanali che passarono dagli 8 milioni del 1946 ai 15 milioni del 195319. Poiché una quota rilevante dei profitti veniva conseguita in Europa, era naturale che gli studi di Hollywood cercassero di rivolgersi al pubblico di quei Paesi; trasferirvi la produzione era un modo per sviluppare legami più stretti con quei mercati, ma anche per abbassare alcuni costi. La scelta di girare film in Gran Bretagna, Spagna, Germania Ovest o Italia – a seconda del tasso di cambio del dollaro – consentiva di conseguire notevoli risparmi rispetto a Los Angeles, dove i sindacati esercitavano una forte influenza sul livello salariale. Certo, questi vantaggi erano controbilanciati dall’aumento dei costi di trasporto e dall’inconveniente di lavorare con troupe prive di esperienza, ma produrre all’estero aveva un fattore di grande attrattiva, che era la possibilità per gli studi di Hollywood di utilizzare i soldi “bloccati” o “congelati” sui conti bancari italiani. Semplificando un processo piuttosto complesso, basti dire che i governi europei, fra i quali quelli britannico, francese e italiano, per ovviare allo stato precario della situazione economica postbellica, avevano posto un limite alla quantità di denaro che le società cinematografiche americane potevano far rientrare in patria20, soglia che in Italia era stata posta al 15%21. Di conseguenza, Hollywood era obbligata a lasciare per un certo periodo in Italia la parte più cospicua degli incassi fatti al botteghino italiano; erano ricavi che appartenevano alle società cinematografiche, ma che non potevano essere convertiti in dollari né tolti di circolazione dall’economia italiana. Tali restrizioni erano certo malviste dai produttori americani, che tuttavia non potevano che accettarle se volevano restare attivi in Italia o in altri mercati europei; l’unica alternativa percorribile per non lasciare quel denaro inattivo fino alla rimozione del blocco bancario era casomai spenderlo in Italia. In effetti, una delle ragioni prime che aveva spinto a imporre l’embargo sui conti era proprio la volontà di attrarre investimenti dall’America. Il denaro bloccato venne investito da alcune società americane nell’acquisto di sale e imprese di distribuzione cinematografiche, ma gran parte fu destinato alla produzione di film22: visto che non poteva essere rimpatriato, poteva almeno essere impiegato per fare film che, una volta esportati in America, 144 19] Ibidem. 20] J. STUBBS, ‘Blocked’ Currency, Runaway Production in Britain and Captain Horatio Hornblower (1951), “Historical Journal of Film, Radio and Television”, n. 28/3, 2008, pp. 337-341. 21] D. TREVERI GENNARI, Post-War Italian Cinema: American Intervention, Vatican Interests, Routledge, London 2008, p. 58. 22] Ibidem. “UN MONDO PIÙ DURATURO”: QUO VADIS (1951), PRODUZIONE ‘RUNAWAY’ E INTERNAZIONALIZZAZIONE DI HOLLYWOOD 23] S. NEALE, S. HALL, Epics, Spectacles and Blockbusters: A Hollywood History, Wayne State University Press, Detroit 2010, pp. 54-56. 24] H. M. GLANCY, Hollywood and Britain: MGM and the British ‘Quota’ Legislation, in: The Unknown 1930s, a cura di J. RICHARDS, IB Tauris, London 1998, pp. 57-72. 25] I. BERNSTEIN, Hollywood at the Crossroads: An Economic Study of the Motion Picture Industry, Hollywood Association of Film Labor, Los Angeles 1957, pp. 54-55. CONFERENZE 137 avrebbero permesso di recuperare l’investimento. La soluzione ideale era quindi attingere ai conti bloccati per produrre in Europa, ciò che costituì sicuramente il motivo principale della scelta di fare base in Italia per girare Quo Vadis; in tal senso, la MGM usò il film per mettere a frutto i milioni di dollari immobilizzati in Italia. Quo Vadis si trovò perciò in prima linea in quella nuova ondata di produzioni ‘runaway’ che, negli anni Cinquanta e Sessanta, dette un nuovo volto all’industria americana del cinema. Da un certo punto di vista, il trasferimento della produzione non era un fenomeno del tutto nuovo in America, essendosi già verificato all’interno del Paese negli anni Dieci, quando le società cinematografiche avevano abbandonato in massa New York per Los Angeles; dopodiché, affezionatisi alla sede californiana, i cineasti vi si erano insediati definitivamente. Gli studi della MGM avevano una maggiore esperienza di produzione all’estero rispetto ad altre società e, a dirla tutta, in Europa ne avevano sperimentato anche i rischi, con la decisione di girare Ben-Hur (1925) in Italia, negli anni 1923-1924. La carenza di supervisione e di comunicazioni efficienti fra Roma e Los Angeles causò infatti enormi scoperti di bilancio; i costi aumentarono poi ulteriormente quando la MGM decise di non utilizzare gran parte delle riprese fatte in Italia e filmare nuovamente le scene nei grandi spazi esterni degli studi di Los Angeles. Ben-Hur ebbe una buona accoglienza, ma i 3,9 milioni che la MGM vi aveva investito ebbero un rientro abbastanza contenuto23. Qualche tempo dopo, nel 1936, la compagnia stabilì una sede a Londra e vi produsse diversi film di alto livello e grande successo, ma quest’impresa fu interrotta dallo scoppio della guerra24. Ad ogni modo, a partire dalla fine degli anni Quaranta, lo spostamento della produzione in Europa coinvolse tutto il settore e assunse una scala senza precedenti: tra il 1949 e il 1957, più di cento pellicole di Hollywood vennero prodotte in Gran Bretagna e un’altra trentina in Italia25. Questa manovra ebbe conseguenze economiche piuttosto serie per le troupe cinematografiche di Los Angeles, che erano abituate ad avere un impiego regolare; le compagnie americane, infatti, esportarono migliaia di posti di lavoro all’estero in cambio di incentivi e risparmi finanziari offerti dai governi europei. I professionisti del cinema meglio pagati – le stelle, i registi e i produttori – accusarono meno il colpo, data la scarsa sostituibilità del loro lavoro; anzi, se ne avvantaggiarono, poiché 145 JONATHAN STUBBS lavorare fuori del Paese significava allora non pagare le imposte sul reddito in America. CONFERENZE 137 LE RIPRESE A ROMA 146 Alla fine degli anni Quaranta, la MGM aveva in programma di girare Quo Vadis parte in Gran Bretagna e parte a Roma; secondo informazioni diffuse dalla stampa, la produzione del film sarebbe dovuta iniziare agli inizi del 1949 in Italia, per gli esterni, e poi proseguire negli studi di registrazione londinesi26. Tale scelta derivava, in parte, dal fatto che la MGM possedeva già delle strutture in Gran Bretagna: nel 1944 aveva acquistato gli studios di Borehamwood, a nord di Londra, dove aveva appena finito di girare un film drammatico di medio budget, Edoardo mio figlio (1949), con Deborah Kerr e Spencer Tracy. In quel periodo, gli stabilimenti inglesi della MGM erano perciò molto meglio attrezzati di quelli italiani e, oltretutto, dividere la produzione fra Roma e Londra permetteva alla casa cinematografica di effettuare spese con le entrate bloccate sia in Inghilterra che in Italia. L’inizio delle riprese di Quo Vadis fu previsto per il luglio 1949, Gregory Peck venne scritturato per il ruolo principale e John Huston per la regia, ma il piano andò a monte a causa di un’infezione agli occhi che aveva colpito il primo attore27. La produzione del film fu rimandata e, poiché era tardi per approfittare della stagione estiva, non sarebbe ripartita per quasi un anno. Nel frattempo, John Huston e Arthur Hornblow Jr., il quale aveva assunto la veste di produttore fin dal 1943, rassegnarono le dimissioni28. Il loro abbandono fu forse dovuto semplicemente alla mancata volontà di aspettare un anno intero l’inizio del film, ma esistono anche testimonianze su un possibile conflitto creativo tra Huston e Louis B. Mayer, capo della MGM: secondo quanto riportato, il regista aveva praticamente riscritto la sceneggiatura di Sonya Levien insieme allo storico Hugh Gray, calcando la mano sui parallelismi che aveva colto fra la persecuzione dei cristiani da parte di Nerone e il tentativo di sterminare gli ebrei da parte di Hitler; dal canto suo, Mayer, cui interessavano poco le allegorie politiche, avrebbe voluto solo produrre un film per famiglie, che mettesse al riparo il suo investimento29. Huston e Hornblow furono sostituiti dal regista Mervyn LeRoy e dal produttore Sam Zimbalist, mentre il ruolo principale fu assegnato a Robert 26] Hollywood on a Global Kick, “Variety”, 5 gennaio 1949; 21; T. F. BRADY, Leo Glenn to Play Role in Quo Vadis, “New York Times”, 16 maggio 1949. 27] L. GROBEL, The Hustons: The Life and Times of a Hollywood Dynasty, Scriber, New York 1989, p. 339. 28] T. F. BRADY, Hornblow Drops ‘Quo Vadis’ Movie, “New York Times”, 8 dicembre 1949. 29] L. GROBEL, op. cit. “UN MONDO PIÙ DURATURO”: QUO VADIS (1951), PRODUZIONE ‘RUNAWAY’ E INTERNAZIONALIZZAZIONE DI HOLLYWOOD 30] N. STEIMATSKY, The Cinecittà Refugee Camp (1944–1950), “October”, Spring 2009, n. 128, p. 48. 31] R. L. SURTEES, The Filming of Quo Vadis in Italy, Part Two, “American Cinematographer” novembre 1951, p. 473. 32] C. FRAYLING, Sergio Leone: Something to do with Death, Faber and Faber, London 2000, p. 65; N. VIVARELLI, op. cit. 33] R. L. SURTEES, The Filming of Quo Vadis in Italy, “American Cinematographer”, novembre 1951, p. 417; R. L. SURTEES, The Filming of Quo Vadis in Italy, Part Two, op. cit. CONFERENZE 137 Taylor: tutti vecchi dipendenti della MGM, su cui si poteva appuntare una scelta sicura e accomodante, che avrebbe permesso di terminare il film nei tempi previsti. La sceneggiatura fu nuovamente rivista, questa volta da John Lee Mahin; a lui, a Behrman e a Levien venne riconosciuta la paternità del lavoro finale, che assunse così i caratteri di un’opera complessa, sviluppatasi attraverso tre fasi successive. A questo punto venne anche presa la decisione di filmare Quo Vadis interamente in Italia, riprendendo sia negli esterni già scelti che negli studi di Cinecittà, che la MGM prese in affitto. Lo stabilimento era stato usato durante la guerra come caserma per i soldati tedeschi e, in quella circostanza, privato di apparecchiature e cavi elettrici; nel 1944, dopo la liberazione alleata di Roma, divenne un campo per rifugiati – fra i quali anche sopravvissuti ai campi di concentramento – alcuni dei quali rimasero a Cinecittà ancora diversi mesi dopo l’inizio delle riprese di Quo Vadis30. Il film non era il primo del cinema americano a utilizzare Cinecittà dopo la guerra – era stato preceduto da Il principe delle volpi (1949), storia di uno spavaldo spadaccino della 20th Century Fox, girato alla fine del 1948 – ma era un progetto molto più esigente e le strutture presenti a Cinecittà avevano bisogno di pesanti interventi per essere utilizzate: a tale scopo, circa 250 tonnellate di apparecchiature elettriche e di illuminazione vennero fatte venire da Los Angeles31. Un problema serio era poi quello dell’approvvigionamento di energia elettrica, di cui vi era maggior bisogno per girare in Technicolor: alcuni generatori arrivarono da Los Angeles e dagli studi della MGM di Londra, mentre il governo italiano mise a disposizione un impianto di distribuzione elettrica proveniente da una nave da guerra dismessa32. In due articoli per la rivista “American Cinematographer”, il direttore della fotografia Robert Surtees descriveva nei minimi dettagli le difficoltà tecniche incontrate per rinnovare Cinecittà: ad esempio, i muri erano troppo fragili per reggere il peso degli apparecchi di illuminazione, alcuni teatri di posa erano senza tetto e gli ambienti non erano dotati di aria condizionata. Inoltre, come osservava l’autore dell’articolo, “un solo americano della troupe [era] molto più utile alla produzione che non tutti gli altri assistenti presi insieme, gente alle prime armi reclutata nel Paese dove il film [veniva] girato”33. 147 JONATHAN STUBBS CONFERENZE 137 Sebbene il film non sarebbe stato più girato nella sede londinese, il ramo inglese della MGM partecipò attivamente al film: ogni giorno, dopo le riprese, la pellicola veniva spedita via aerea a Londra per la stampa e la lavorazione, quindi nuovamente inviata a Cinecittà34; ma, soprattutto, la quasi maggioranza del cast di Quo Vadis era di nazionalità britannica. Robert Taylor era americanissimo, ma Deborah Kerr, Peter Ustinov e quasi tutti gli altri attori di dialoghi erano inglesi, come lo erano molti professionisti impiegati dietro la macchina da presa, fra i quali il designer Peter Ellenshaw, i cui fondali satinati costituirono gli straordinari sfondi del film, e la Royal Philharmonic Orchestra di Londra, che eseguì la colonna sonora di Miklós Rózsa. Ovviamente, alla base di questa scelta stava il desiderio da parte della MGM di utilizzare il denaro bloccato in Inghilterra, visto che la retribuzione dei membri del cast e degli altri lavoratori inglesi poteva essere pagata in valuta britannica. Secondo una notizia riportata dai giornali, questa tattica avrebbe permesso alla MGM di ‘smaltire’ un milione di dollari di introiti dai conti inglesi35. Ad ogni modo, le scelte di cast fatte per Quo Vadis sembrano aver avuto effetti di lunga durata: si deve probabilmente a questo film l’uso di far interpretare il ruolo dei nobili romani con un accento inglese, anche se la parte di Nerone recitata da Charles Laughton in Il segno della croce costituiva già un precedente. L’uso di questa sorta di codice sociolinguistico è andato avanti per lungo tempo, non meno di quello della “frangetta alla romana” notata da Barthes; è perciò singolare che la presenza di così tanti attori inglesi in Quo Vadis derivasse più da ragioni transitorie di opportunità finanziaria che non dal tentativo di fare un collegamento ideologico tra Roma imperiale e Impero britannico in disfacimento36. In realtà, la MGM utilizzò per il film anche migliaia di lavoratori italiani, ma quasi tutti erano occupati in mansioni mal pagate, in particolare per i costumi e nelle scene di massa. La riluttanza degli studi a impiegare lavoratori specializzati dell’industria cinematografica italiana fu anzi causa di una certa costernazione negli ambienti romani37. È vero che fra gli attori di dialoghi, il ruolo della schiava Eunice venne interpretato da Marina Berti, che fu esaltata dalla stampa americana come stella emergente del cinema italiano, ma in realtà, essendo nata a Londra, ella fu quasi certamente retribuita con i soldi provenienti dallo stesso gruzzolo cui si attingeva per gli attori inglesi. Un’altra fonte di risparmi derivò alla MGM dal fatto che l’industria italiana 148 34] H. RAINES, From Rome to Broadway, “The New York Times”, 14 ottobre 1951. 35] N. VIVARELLI, op. cit. 36] R. BARTHES, The Romans in Films, in: Mythologies, traduzione inglese di A. LAVERS, Vintage, London 1993, p. 26. 37] D. FORGACS and S. GUNDLE, Mass Culture and Italian Society from Fascism to the Cold War, Indiana University Press, Bloomington 2007, p. 139. “UN MONDO PIÙ DURATURO”: QUO VADIS (1951), PRODUZIONE ‘RUNAWAY’ E INTERNAZIONALIZZAZIONE DI HOLLYWOOD era meno regolamentata e sindacalizzata rispetto a quella di Hollywood. Il Reparto Costumi affidava i lavori di sartoria a terzisti, i quali a loro volta li subappaltavano a lavoratrici a domicilio, attuando così una pratica che un cronista descrisse come “un metodo produttivo di sfruttamento delle risorse umane non più tollerato in America”38; anche le numerose comparse per le scene di massa (un totale di circa 14.000) venivano assoldate su base occasionale e tramite subappalto. La MGM assunse anzi dei lavoratori straordinari sindacalizzati, che incaricò del reclutamento e della conduzione di gruppi composti da una trentina di stipendiati extra: i primi venivano pagati 4 dollari al giorno e avevano il compito di distribuire una paga di 1,25 dollari ai non iscritti al sindacato, che lavoravano sotto di loro39. È difficile pensare che la MGM non si rendesse conto dei possibili fenomeni di corruzione insiti in questo sistema. In effetti, i lavoratori straordinari già scritturati per Il principe delle volpi erano stati pagati secondo la scala salariale in uso a Hollywood ma, a quanto pare, ciò aveva suscitato le proteste dei produttori cinematografici italiani, che temevano di veder gonfiare le buste paga del settore40. Evidentemente, il processo di delocalizzazione produttiva verso un’economia meno industrializzata consentiva a questi ultimi di avvalersi di mercati del lavoro sotto-regolamentati e di sfruttare i lavoratori molto più di quanto non fosse ammesso in madrepatria. L’EREDITÀ DEL FILM 38] C. CASEY, Nero, Regardless of Film Experience, “Daily Mail”, 8 luglio 1950. 39] R. L. SURTEES, The Filming of Quo Vadis in Italy, Part Two, op. cit., p. 475; M. HUDGINS, Cameras Roll on Quo Vadis, 6000 Miles Apart, “New York Times”, 9 luglio 1950, p. 5. 40] C. CASEY, op. cit. 41] The Eddie Mannix Ledger, Margaret Herrick Library, Center for Motion Picture Study, Los Angeles. 42] Non vi sono prove di una possibile falsificazione di bilancio nella produzione di Quo Vadis; tuttavia, a proposito della successiva grande produzione finanziata sui conti bloccati, Ivanhoe (1952), che venne girato in Gran Bretagna, il produttore Pandro Berman dichiarò che la MGM aveva gonfiato il budget di due milioni di dollari per poter svincolare altri fondi bloccati in quel Paese (trascrizione dell’intervista fatta dall’American Film Institute a Pandro Berman, 26 gennaio 1972, Margaret Herrick Library, Center for Motion Picture Study, Los Angeles). CONFERENZE 137 Il costo finale che la MGM sostenne per Quo Vadis ammontava a 7,6 milioni di dollari, cifra da record che fu ampiamente pubblicizzata come garanzia della grandiosità e spettacolarità del film41. La parte preponderante di questa somma era stata sborsata usando i fondi bloccati in Italia e un’altra inferiore su quelli trattenuti in Inghilterra. In realtà, alla MGM sarebbe convenuto gonfiare i costi sostenuti per il film in modo da sbloccare quanti più soldi possibile con un unico impegno di spesa42. Il mercato estero 149 CONFERENZE 137 JONATHAN STUBBS 150 realizzò quasi la metà dei ricavi, il che andò a rafforzare l’idea che le produzioni ‘runaway’ potessero accrescere il successo della MGM nei botteghini internazionali, anche se poi gran parte di quegli introiti veniva a sua volta contingentata. L’utile complessivo della casa cinematografica, a distanza di sei anni, ammontava a 5,4 milioni di dollari: una cifra importante, ma non ragguardevole come quelle ottenute da film analoghi, come La tunica (1953) o I dieci comandamenti (1956)43. L’aspetto che riteniamo fondamentale della produzione di Quo Vadis deriva piuttosto dal fatto che rappresentò l’avanguardia di una tendenza espansionistica di Hollywood, che spingerà ancor più l’industria americana del cinema verso i mercati europei in ripresa dalla guerra. Un’inserzione pubblicitaria pubblicata sulla rivista di settore “Motion Picture Daily” individua una dimensione ideologica in questa crescita del fatturato d’oltreoceano (fig. 1). La realizzazione di Quo Vadis in Italia, come quella di molti altri film in altri luoghi del mondo, dimostra che “Il sole non tramonta mai su Leo, il leone della MGM”, frase che in origine era stata usata per descrivere la dimensione globale dell’Impero britannico. In tal senso, la produzione ‘runaway’ non solo ha fornito una valenza di autenticità a Quo Vadis e la possibilità di risparmiare alla MGM, ma ha anche sostenuto l’affermazione sulla scena mondiale del capitale americano e della cultura dei consumi americana. Il Piano Marshall, che aiutava la ricostruzione delle economie europee devastate dalla guerra, non ultima quella italiana, era un modo per assicurare quel “mondo più duraturo” a cui guardava il tribuno romano Nerva nell’epilogo di Quo Vadis. Nel breve periodo, l’eredità lasciata da Quo Vadis va vista in quell’ondata di film hollywoodiani che furono prodotti in Italia negli anni seguenti, ognuno dei quali faceva ricorso vuoi ai conti bloccati, vuoi alle condizioni favorevoli messe in campo dallo Stato italiano. Dopo che la MGM ebbe dimostrato la fruibilità di Roma come sede produttiva, la Paramount ottenne un notevole successo con Vacanze romane nel 1953, la 20th Century Fox produsse Tre soldi nella fontana nel 1954 e la United Artists distribuì La contessa scalza, di nuovo nel 1954; tutti e tre i film si avvalsero degli studi di Cinecittà, che erano stati potenziati dalla MGM quando vi aveva girato Quo Vadis. Quest’evoluzione fece sentire il suo impatto anche sull’industria italiana del cinema; come sostengono David Forgacs e Stephen Gundle, l’afflusso improvviso di produzioni hollywoodiane andò a coincidere con tre diverse tendenze della cultura cinematografica italiana del dopoguerra: l’espansione industriale, la de-politicizzazione e l’americanizzazione44. Nel 43] The Eddie Mannix Ledger, op. cit. 44] D. FORGACS, S. GUNDLE, op. cit, p. 133. “UN MONDO PIÙ DURATURO”: QUO VADIS (1951), PRODUZIONE ‘RUNAWAY’ E INTERNAZIONALIZZAZIONE DI HOLLYWOOD 45] J. YARDLEY, Hollywood Takes a Roman Holiday… Again, “The New York Times”, 6 aprile 2015. 46] Per una valutazione critica dei programmi di incentivi per il cinema contemporaneo e del loro impatto sull’America, si veda M. THOM, Lights, Camera, but No Action? Tax and Economic Development Lessons From State Motion Picture Incentive Programs, “The American Review of Public Administration”, 5 giugno 2016, pp. 1-23. CONFERENZE 137 lungo periodo, le produzioni ‘runaway’ e le riprese all’estero si imposero come migliore strategia commerciale dell’industria americana; dopo l’utilizzo del denaro bloccato come in Quo Vadis, essa poteva avvalersi di tutta una serie di nuovi incentivi finanziari, principalmente sovvenzioni e agevolazioni fiscali, messe in atto dai vari Paesi in competizione fra loro per attrarre gli investimenti da Hollywood. Nell’epoca attuale, tribù nomadi di operatori cinematografici vagano di Paese in Paese, Gran Bretagna, Nuova Zelanda, Canada o Spagna, a seconda del tasso di cambio e delle sovvenzioni fruibili al momento. In Italia, per esempio, il ministro della Cultura ha introdotto in questi tempi incentivi che permettono alle società di produzione straniere di beneficiare di una riduzione fiscale fino a 10 milioni di dollari in valuta spesa nel Paese45. Questo tipo di misure è necessario affinché Roma possa concorrere a progetti cinematografici e televisivi e misurarsi con altre location sparse in tutto il globo, ma non è molto chiaro, invece, come un investimento che è di fatto un contributo pubblico alla produzione estera possa far rientrare soldi nelle casse dello Stato46. Inoltre, anche se la realizzazione materiale dei film è oggi sparsa in tutto il mondo, il potere dell’industria di Hollywood resta saldamente ancorato a Los Angeles: in altri termini, quel processo di globalizzazione della produzione cinematografica americana di cui Quo Vadis si è fatto propulsore non ha fatto che aumentare la supremazia di Hollywood. La cultura popolare americana trova alimento in un pubblico, in un sistema di sovvenzioni statali e in un modello di divisione della produzione di tipo globale. E, nel frattempo, l’egemonia di quel “mondo duraturo” che era stato preannunciato in Quo Vadis continua a crescere. 151 JONATHAN STUBBS SUMMARY CONFERENZE 137 ‘A MORE PERMANENT WORLD’: QUO VADIS (1951), RUNAWAY PRODUCTION, AND THE INTERNATIONALISATION OF HOLLYWOOD 152 Among many other things, the production of MGM’s Quo Vadis was a key event in the expansion of the American film industry into Europe during the post-war period. At a time when the US government was asserting ever greater influence in the economies and cultures of western European nations, Hollywood studios worked to re-establish their dominance in Europe’s reopened cinema markets. They also began outsourcing production to Europe, where they benefited from lower labour and studio costs. The production of Quo Vadis in Italy can therefore be seen as a strategic investment in a crucial European market by one of America’s most powerful and prosperous industries. This paper will trace the long production history of Quo Vadis at MGM, beginning in the mid-1930s and including an unsuccessful attempt to bring Sienkiewicz’s novel to the screen during the Second World War. It will examine the predominantly economic factors which led to the film being made as a ‘runaway production’, initially planned to be filmed on locations in Italy and studios in London, but ultimately realised as an all-Italian production based at the revived Cinecittà studio. MGM’s need to repatriate Italian revenues which had been temporarily ‘frozen’ by the post-war government was instrumental to this decision: their money could not be withdrawn from Italy directly, but it could be invested in local production and then exported back to America as materials for a film. This paper also considers the legacy of Quo Vadis, both in Italy and America. The film’s success not only propelled a cycle of highly profitable epic movies set in the Ancient world, it also established a model for relocating big-budget film production overseas. Giulio Andreotti later claimed that the film ‘did more for Italy than the Marshall Plan’, but unions representing side-lined film workers in Los Angeles tended to be less sanguine about the industrial restructuring which occurred in its wake. More than sixty years later, overseas production (buttressed by an array of tax incentive schemes) remains a key element in the American film and TV industry’s global reach. In this context, the transnational production history of Quo Vadis is perhaps more relevant than ever.