studi superiori / 1115
filosofia
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Etiche applicate
Una guida
A cura di Adriano Fabris
C
Carocci editore
1a edizione, marzo 2018
© copyright 2018 by Carocci editore S.p.A., Roma
Realizzazione editoriale: Edimill S.r.l., Bologna
Impaginazione: Luca Paternoster, Urbino
Finito di stampare nel marzo 2018
da Grafiche VD srl, Città di Castello (PG)
isbn 978-88-430-9090-7
Riproduzione vietata ai sensi di legge
(art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633)
Senza regolare autorizzazione,
è vietato riprodurre questo volume
anche parzialmente e con qualsiasi mezzo,
compresa la fotocopia, anche per uso interno
o didattico.
Indice
Premessa
di Adriano Fabris
11
Parte prima
Questioni di bioetica
1.
Un’introduzione alla bioetica
di Maurizio Mori
21
2.
Etica e manipolazioni della vita
di Adriano Pessina
33
3.
Etica della cura medica
di Antonio Da Re
49
4.
La consulenza etica in ambito clinico
di Marco Annoni e Giovanni Boniolo
59
5.
Etica dello sport
di Luca Grion
71
6.
Etica del potenziamento umano
di Massimo Reichlin
87
7.
Neuroetica
di Andrea Lavazza
97
8.
Etica e persona
di Francesco Miano
109
7
etiche applicate
Parte seconda
Etica e comunicazione
9.
Etica del giornalismo e dell’informazione
di Carlo Bartoli
10.
Etica della comunicazione pubblica e della comunicazione pubblicitaria
di Veronica Neri
121
135
11.
Etica delle immagini
di Giovanni Scarafile
147
12.
Etica della comunicazione in rete
di Adriano Fabris
157
Parte terza
Etica ed economia
13.
Questioni etiche nell’economia globale
di Stefano Zamagni
173
14.
Etica ed economia: questioni micro e macro
di Benedetta Giovanola
189
15.
Etica e impresa
di Roberto Mordacci
199
16.
L’etica della virtù come risorsa nel mondo degli affari
di Robert Audi
209
Parte quarta
Etica e ambiente
17.
Etica e ambiente
di Luca Valera
243
18.
Etica e animali
di Simone Pollo
253
8
indice
19.
Etica del cibo
di Francesca Rigotti
263
20.
Etica dei rifiuti
di Gianluca Cuozzo
275
Parte quinta
Questioni di etica pubblica
21.
Etica e diritto
di Mario De Caro
289
22.
Etica dell’immigrazione
di Paolo Gomarasca
297
23.
Etica al femminile
di Valeria Ottonelli
307
24.
La “genderizzazione” dell’etica
di Eva De Clercq
317
25.
Etica e disabilità
di Flavia Monceri
329
26.
Etica intergenerazionale
di Ferdinando G. Menga
339
27.
Etica e pratiche filosofiche
di Luca Bertolino
353
28.
Etica e convivenza
di Piergiorgio Donatelli
365
Bibliografia
375
9
6
Etica del potenziamento umano
di Massimo Reichlin *
Introduzione
La nozione di “potenziamento”
Tra le questioni di etica applicata che hanno dato luogo, in anni recenti, a una discussione particolarmente ampia, vi è senza dubbio quella
del potenziamento. Si tratta di un tema che per un verso è ascrivibile
all’ambito della bioetica, ma che, per il rilievo che vi assumono certi
interventi di manipolazione delle funzioni cerebrali, si può considerare parte integrante anche della neuroetica. Il termine “potenziamento”
traduce l’inglese enhancement, che significa “incremento” o “miglioramento”; in linea generale, perciò, indica un qualsiasi miglioramento
delle capacità umane. In senso più tecnico, tuttavia, la discussione attuale riguarda l’utilizzo di tecnologie biomediche di vario genere per
ottenere il miglioramento di qualche capacità. In altri termini, è ovvio
che, mediante l’allenamento fisico, un atleta migliora le sue prestazioni, così come attraverso la lettura e la ripetizione ad alta voce si migliorano le performance cognitive; tuttavia, la discussione sul potenziamento riguarda in maniera specifica l’uso di tecnologie biomediche
al fine di ottenere tali miglioramenti.
Se si tiene conto di questo aspetto, si comprende perché la nozione di enhancement venga intesa in contrapposizione a due diverse nozioni. Da un lato, si contrappone alla terapia, perché consiste
nell’utilizzo di tecnologie biomediche non allo scopo di ripristinare
una certa funzione biologica, o di ricondurla all’interno di un range
di funzionamento statisticamente normale, ma di migliorare il funzionamento del corpo umano al di là di tale range. D’altro lato, a
* Università “Vita e Salute” San Raffaele, Milano; reichlin.massimo@unisr.it.
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etiche applicate
motivo della centralità dei mezzi biotecnologici impiegati, il potenziamento si contrappone al miglioramento delle performance con
mezzi naturali; emblematicamente, la contrapposizione è qui istituita
tra il miglioramento delle prestazioni fisiche attraverso l’allenamento
e l’ottenere lo stesso risultato, o anche un risultato migliore, grazie a
strumenti biotecnologici.
Entrambe le distinzioni, peraltro, sono difficilmente tracciabili in
maniera netta. Come è stato osservato da molti commentatori, è assai arduo, nel contesto contemporaneo, stabilire che cosa conti come
terapia e che cosa come potenziamento: esistono, infatti, trattamenti
terapeutici standard, come l’impianto di un pace-maker per la regolazione dell’attività cardiaca, il cui esito è quello di un potenziamento
della naturale capacità regolativa del corpo; in generale, ogni intervento terapeutico può dirsi, al tempo stesso, un potenziamento rispetto
alla condizione di funzionamento subottimale in cui consiste la malattia. E vi sono casi ancora più controversi: un esempio classico è quello
del confronto tra un individuo che presenta un certo tratto fenotipico,
come la bassa statura, per ragioni patologiche, ossia per un deficit di
ormone della crescita (gh), e un altro individuo nel quale il medesimo
tratto ha cause non patologiche, legate al tipo di geni che ha ereditato.
Se si ammette che la bassa statura possa costituire un disagio, o anche una compressione delle proprie opportunità sociali, non è chiaro
quanto sia sensato considerare la somministrazione del gh al primo
come una terapia e al secondo come un potenziamento. D’altro canto,
anche la distinzione tra un modo “naturale” di migliorare sé stessi e
l’uso di supporti artificiali è difficile da tracciare; oggigiorno, il normale allenamento fisico, in molte attività sportive, presuppone un ampio
utilizzo di tecnologie di vario genere, sia di carattere meccanico sia di
tipo biochimico, e perciò non è affatto chiaro se si possa tracciare una
linea divisoria sufficientemente netta tra i due generi di attività.
6.1
Tipi e tecniche di potenziamento
Esistono diverse capacità umane che possono essere obiettivo degli interventi di potenziamento, per alcune delle quali la ricerca è già attivamente in corso; a ciascuna di queste capacità si collega un certo tipo di
potenziamento.
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6. etica del potenziamento umano
Un primo obiettivo consiste nell’aumento delle capacità di resistere agli attacchi degli agenti infettivi, attraverso il potenziamento delle
difese immunitarie disponibili agli esseri umani. Si tratta di un obiettivo di grande rilievo sanitario che genera, peraltro, un ulteriore dubbio
sulla distinzione tra terapia e potenziamento; infatti, incrementare la
capacità di difesa dalle malattie al di là della dotazione normale degli
esseri umani sembra costituire a un tempo un potenziamento e una terapia, o meglio una forma di prevenzione delle malattie. È quanto accade con le vaccinazioni, che sono interventi preventivi di certe malattie,
attuati mediante il potenziamento delle capacità immunitarie al di là
della dotazione naturale. A motivo della complessità del sistema immunitario, non vi sono al momento rilevanti successi nel perseguimento di questa forma di potenziamento; le speranze vengono soprattutto
concentrate sui futuri sviluppi delle manipolazioni genetiche, ossia di
quegli interventi che alterano il genotipo individuale, inserendo certi
geni o inattivandone altri, così da dotare l’individuo di capacità inedite. Interventi di questo tipo vengono già realizzati, a scopi terapeutici,
in alcune patologie causate dall’assenza di un certo gene, ma nulla vieta
che, in futuro, possano essere utilizzate per scopi di potenziamento.
Un secondo obiettivo riguarda l’innalzamento dell’attesa di vita,
non solo attraverso la lotta contro le patologie correlate all’età anziana ma soprattutto mediante lo studio dei fattori biologici che determinano il processo d’invecchiamento e l’intervento su di essi, volto a
rallentarlo o a interromperlo. Anche in questo caso, è possibile che sia
la terapia genica a fornire, in futuro, i risultati più affidabili. Un ruolo può tuttavia essere svolto anche dall’utilizzo delle cellule staminali.
Queste ultime, presenti sia nell’embrione umano, sia nel feto, sia – in
misura minore – negli individui adulti, sono cellule indifferenziate che
possono dar vita a linee cellulari di vario genere e proliferare in maniera quantitativamente considerevole, così da consentire dei trapianti di
tessuti, in sostituzione di quelli eventualmente deteriorati. Le staminali embrionali sono in grado di generare qualsiasi tessuto, anche se
sono molto più difficili da controllare e rischiano di dar luogo a forme
tumorali; le staminali adulte sono più facili da maneggiare ma meno
potenti e proliferative e quindi meno suscettibili di applicazioni su vasta scala. In ogni modo, anche questa tecnologia potrebbe consentire
interventi di potenziamento; si può ipotizzare, ad esempio, la sostituzione progressiva di cellule neurali che consenta un “ringiovanimento”
del cervello e un continuo miglioramento delle capacità cognitive in
89
etiche applicate
età avanzata, contrastando il loro naturale declino. Infine, potrebbe
in futuro trovare applicazione in questo ambito anche la tecnologia
del mind uploading, cara ai transumanisti. Si tratta di scaricare l’intero
contenuto dell’encefalo in un supporto esterno di tipo informatico, in
modo da ringiovanire costantemente le capacità cognitive ed “eternare” i contenuti della mente. Questa tecnologia è al momento solo un’ipotesi e presuppone una dubbia riduzione integrale della mente al suo
contenuto informativo.
Il terzo tipo di intervento è il potenziamento cognitivo. Si tratta
di intervenire su capacità come l’attenzione, la memoria, la tendenza
all’affaticamento intellettuale; l’obiettivo è produrre menti più fresche,
più veloci, in grado di immagazzinare e manipolare un numero più elevato di informazioni e di essere sveglie e produttive per un numero di
ore maggiore di quello normale. Nel caso del potenziamento cognitivo, oltre alle ipotesi di manipolazione genetica e di utilizzo delle cellule staminali, esistono già degli interventi di tipo farmacologico che
sembrano poter svolgere un ruolo nel perseguimento di questi obiettivi. In particolare, vi è un’ampia esperienza con il Ritalin, un farmaco
usato per contrastare gli effetti del disturbo da deficit di attenzione e
iperattività (adhd, Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder) nei bambini che viene utilizzato anche per potenziare le funzioni cognitive in
soggetti non affetti dalla malattia; altri farmaci già esistenti sono il Modafinil e l’Adderall, stimolatori della funzione cerebrale indicati per il
trattamento della narcolessia che però vengono ampiamente utilizzati
da studenti universitari, lavoratori, piloti d’aereo, camionisti e militari,
per stimolare le funzioni cerebrali e mantenere la vigilanza. In questo
campo potrebbero trovare applicazione, in futuro, anche interventi di
manipolazione cerebrale diretta, vuoi invasivi, come la stimolazione
cerebrale profonda (dbs, Deep Brain Stimulation), che prevede l’impianto di un microchip nel cervello, vuoi non invasivi, come la stimolazione transcranica a corrente diretta (tdcs, Transcranial Direct
Current Stimulation) e la stimolazione magnetica transcranica (tms,
Transcranial Magnetic Stimulation), che prevedono, rispettivamente,
la stimolazione dell’encefalo con piccole dosi di corrente elettrica o mediante la creazione di campi magnetici in aree selezionate. Infine, anche
per il potenziamento cognitivo si può ipotizzare l’utilizzo del mind uploading: liberare l’hardware cerebrale per far spazio a nuovi contenuti
mentali consente, infatti, di incrementare in maniera potenzialmente
illimitata le capacità cognitive, almeno dal punto di vista quantitativo.
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6. etica del potenziamento umano
Un ulteriore ambito di potenziamento riguarda il miglioramento della capacità psicologica di fronteggiare i disagi e le sofferenze piscologiche,
grazie a strumenti che aiutino a mantenere un umore stabile e a non cadere preda di depressione. Si parla, in proposito, di mood enhancement;
anche in questo caso, si tratta di intervenire direttamente sull’encefalo,
sia attraverso le tecniche di manipolazione già richiamate, sia attraverso
farmaci sviluppati per la cura di patologie, utilizzati off-label per modificare il carattere individuale e aumentare il benessere psicologico, contrastando la disposizione alla tristezza e all’introversione. Si tratta degli
inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (ssri, Selective Serotonin Reuptake Inhibitors), il cui utilizzo, al di fuori delle indicazioni
per la patologia depressiva, produce un effetto euforizzante parzialmente
analogo a quello di certe sostanze stupefacenti.
Un quinto settore di intervento potenziativo riguarda il miglioramento delle performance atletiche, attraverso l’uso di ormoni come gli
steroidi anabolizzanti e l’eritropoietina o di stimolanti come l’efedrina e il
modafinil; con questi mezzi, si potenziano il tono muscolare e la capacità
di resistere agli sforzi, riducendo il senso di stanchezza e influendo positivamente sulle prestazioni sportive. In futuro è possibile che si ottengano
risultati più consistenti, in termini di ipertrofia muscolare e incremento
della produzione di globuli rossi, attraverso manipolazioni genetiche.
Infine, un ambito particolarmente delicato e discutibile concerne il
potenziamento della nostra capacità morale, ossia l’utilizzo di ormoni
come l’ossitocina, di farmaci come gli antidepressivi e i neurostimolanti, di manipolazioni genetiche e tecnologiche come la tdcs e la tms
per incrementare la nostra disposizione all’empatia e il nostro senso di
giustizia; ciò consentirebbe di migliorare la capacità umana di affrontare le grandi questioni etiche contemporanee, le quali richiedono di
andare al di là della tendenza a limitare il raggio delle proprie simpatie
e a confinare l’attenzione alle conseguenze a breve termine, caratteristica della psicologia umana.
6.2
Obiezioni al potenziamento
La letteratura sul potenziamento è molto vasta e le obiezioni che sono
state avanzate e discusse sono numerose; con un po’ di schematicità, le
raggruppiamo attorno a tre nuclei principali.
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etiche applicate
6.2.1. gli scopi della medicina
Una prima obiezione, semplice e categorica, è quella che fa leva sugli
scopi della medicina. Essa afferma che questi ultimi sarebbero riducibili alla cura delle malattie, sicché il miglioramento della natura umana
non dovrebbe rientrare tra i fini della ricerca biomedica.
A questa linea critica si contrappongono ostacoli insormontabili.
In primo luogo, è evidente che essa presuppone una netta distinzione
tra terapia e potenziamento; come detto, però, questa distinzione è assai difficile da tracciare. C’è un continuum tra terapia e potenziamento, sicché molti interventi volti a ripristinare funzioni parzialmente
compromesse tendono a migliorarle; inoltre, gli interventi preventivi,
come le vaccinazioni, sono a un tempo terapeutici e potenziativi; ancora, la pluralità delle concezioni di salute e malattia è tale da consentire
di concepire come terapie molti interventi che, in base a concezioni
più ristrette, sarebbero dei potenziamenti. Infine, qualificare un trattamento come potenziamento non sembra comunque sufficiente ai
fini di un giudizio di non appropriatezza morale, dal momento che
vi è un’ampia serie di trattamenti non terapeutici – come la chirurgia
estetica, la contraccezione, l’aborto volontario, certe forme di procreazione medicalmente assistita – già saldamente accettati nella medicina
contemporanea.
Una variante della medesima obiezione consiste nel dire che non
è compito della medicina quello di atteggiarsi a creatore, dovendo
essa invece studiare e ripristinare i processi naturali. L’argomento del
playing God (recitare la parte di Dio) accusa perciò il potenziamento di incorporare una hybris manipolativa che distrugge la capacità di
accogliere come un dono (o come un dato) le realtà naturali; inoltre,
sottolinea che l’ipotesi di prendere in mano le redini dell’evoluzione
comporta un aumento di responsabilità che non è sopportabile per gli
esseri umani.
La replica più naturale a questa obiezione consiste nel far notare
come gran parte degli interventi tecnici e scientifici alterino i dati naturali, pur essendo accettati nella misura in cui risultano complessivamente benefici. È vero che la programmazione umana dell’evoluzione
comporta un ampliamento della responsabilità, ma questo non implica che non si possa procedere su questa strada, sia pure con grande
circospezione, né che il processo sia senz’altro ingestibile per gli esseri
umani. Dire che le realtà naturali vanno accolte sempre come un dono
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6. etica del potenziamento umano
sembra presupporre una concezione religiosa che non può essere fatta valere in una discussione di tipo filosofico; se invece l’affermazione
presuppone che le nostre capacità non possano essere rese migliori di
quelle che sono attualmente è senz’altro un’osservazione sbagliata.
6.2.2. obiezioni basate sul carattere
Un’altra serie di obiezioni al potenziamento ha a che vedere con i riflessi che progetti scientifici di questo tipo potrebbero avere sul carattere
degli individui che li intraprendono. In particolare, per quanto riguarda le manipolazioni genetiche che potrebbero avvenire su individui in
via di formazione, nel contesto della procreazione assistita, autori molto diversi come Michael Sandel e Jürgen Habermas hanno sottolineato
che lasciare spazio a scelte procreative legate a forme di potenziamento
avrebbe effetti deleteri sulle virtù genitoriali e sulla stessa concezione
dei diritti umani universali.
Secondo Sandel (2008), come la pratica sportiva si struttura attorno
alla celebrazione dei talenti fisici naturali, così la pratica genitoriale è definita dalle virtù dell’amore e dell’accoglienza incondizionata dei figli; le
biotecnologie rischiano di alterare questa pratica, corrompendo i valori
che ne hanno sempre definito le regole. L’apertura al novum radicale,
infatti, viene cancellata dal desiderio prometeico di predeterminare le
caratteristiche dei figli, facendo passare le scelte procreative dal caso alla
scelta. L’amore che trasforma rischia così di mutare in ossessione per il
meglio e in pressione per le performance, ossia in atteggiamenti che, ponendo ai figli richieste eccessive di miglioramento, finiscono per non accettare ciò che essi sono. Similmente, Habermas (2002) nota che l’idea
di essere generati sotto condizione di un controllo di qualità genetica
non è compatibile con la dignità umana. Infatti, c’è un nesso tra l’inviolabilità morale della persona e l’indisponibilità delle modalità naturali
in cui essa si incarna. L’agire strumentale della tecnoscienza tende ad annullare la distinzione tra natura e cultura e a trasformare il nuovo individuo da novità indeducibile, posta fin dall’inizio sul piano della reciprocità comunicativa con i generanti, a risultato dell’iniziativa progettante
di questi ultimi. In questo modo, secondo Habermas, l’autocomprensione etica che è alla base dei diritti umani verrebbe minata e con essa i fondamenti normativi dell’integrazione sociale. In sostanza, l’intervento di
predeterminazione genetica mette in pericolo la capacità della persona
futura di concepirsi come un individuo autonomo e uguale.
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etiche applicate
Una diversa obiezione fa leva invece sulla nozione di “autenticità”.
Si osserva che, ad esempio nel campo della psicofarmacologia, l’intervento di modificazione del carattere altera la personalità, producendo
un maggiore benessere psicologico al costo di una perdita di autenticità; il sé che viene “prodotto” non è il sé autentico, ma una sua versione
modificata, resa socialmente più accettabile o adattata alle condizioni
e alle esigenze del mercato. Una diversa versione dell’obiezione sottolinea che, attraverso il potenziamento cognitivo o l’allungamento
dell’attesa di vita, si verrebbe ad attentare alla stessa identità del soggetto; se quest’ultima si definisce in rapporto alla continuità dei contenuti mentali, infatti, è possibile sostenere che un individuo futuro il cui
cervello avesse una continuità minima o nulla di contenuti con quello
che aveva scelto il potenziamento sarebbe un diverso individuo.
Queste obiezioni sono senza dubbio importanti e meritano un’attenta riflessione; tuttavia, sembrano costituire soprattutto delle considerazioni da tenere presente nel perseguire con prudenza certi interventi, piuttosto che delle ragioni per ritenerli moralmente inaccettabili.
Non c’è dubbio che alcune forme di potenziamento possano stimolare,
nei genitori, la tentazione di far prevalere il desiderio di perfezione sulla disponibilità ad accogliere i figli e le loro inevitabili imperfezioni; ma
non è detto che ogni potenziamento costituisca senz’altro un attentato
alla loro dignità o incorpori un atteggiamento impositivo e non comunicativo. Allo stesso modo, la preoccupazione per l’autenticità non
dovrebbe essere enfatizzata a scapito di quella per il benessere; ciò che
noi siamo, in fondo, non è stabilito una volta per tutte all’inizio, ma
è compatibile con rilevanti modifiche e cesure, soprattutto se determinate da nostre scelte autonome. Anche l’intervento biotecnologico
sul carattere può essere ricompreso tra le scelte autonome, purché sia
informato e segua un’attenta analisi di costi e benefici.
Un discorso diverso si deve invece proporre per il potenziamento
morale. In questo caso, un intervento ipoteticamente riuscito minerebbe profondamente la libertà della scelta umana; l’individuo così
potenziato prenderebbe le decisioni “giuste” non sulla base di una deliberazione sulle ragioni pro e contro, ma per via dell’influsso causale
esercitato sul suo cervello dai mezzi di manipolazione biotecnologica.
Questo esito sembra essere più chiaramente inaccettabile dal punto di
vista morale, perché, paradossalmente, nel migliorare la moralità degli
esseri umani li priva di ciò che è moralmente più importante, ossia la
loro autonomia morale.
94
6. etica del potenziamento umano
6.2.3. obiezioni di carattere sociale
Un terzo gruppo di obiezioni si concentra sugli effetti del potenziamento in rapporto ai valori della giustizia e dell’uguaglianza sociale.
Si sostiene, cioè, che potenziare le proprie capacità sia un po’ come
barare al gioco della competizione sociale; come nello sport chi pratica
il doping acquisisce un vantaggio indebito sugli altri contendenti, così
chi pratica il potenziamento cognitivo si comporta iniquamente con
i propri avversari nella competizione scolastica o in quella lavorativa.
Inoltre, lo sviluppo delle tecnologie potenziative potrebbe produrre
rilevanti effetti di incremento delle disuguaglianze sociali, soprattutto
se, com’è probabile, i trattamenti sono costosi. Si può arrivare all’esito per cui una fascia di popolazione – quella più ricca e quindi già
più avvantaggiata – progressivamente si distacca dal resto, i più poveri non potenziati, e, praticando una rigorosa endogamia, giunge a
formare una società parallela. Oltre a mettere in pericolo l’autonomia
individuale – data la pressione che verrebbe esercitata nei confronti degli individui modificati perché si accoppino soltanto tra di loro (onde
mantenere i vantaggi acquisiti per la generazione futura) – questa situazione sembra mettere in discussione il principio di uguaglianza, in
base al quale la vita e gli interessi fondamentali delle persone hanno
uguale importanza.
Questo tipo di obiezioni è con ogni probabilità quello più rilevante. Non è detto, però, che esso risulti senz’altro cogente. È vero
che, nelle situazioni competitive richiamate, in cui vi è un gioco a
somma zero tra chi vince e chi perde, il pericolo di creare condizioni
di iniquità competitiva è molto elevato. Non è detto, però, che l’unica soluzione sia quella di vietare ogni potenziamento. Si può invece
pensare di evitare l’esito iniquo attraverso meccanismi pubblici che
consentano di ampliare il più possibile l’accesso, o di compensare le
posizioni degli individui non potenziati, ripristinando una sufficiente
condizione di equità (tenendo sempre conto che un’assoluta uguaglianza di condizioni di partenza non è né realizzabile né auspicabile).
Si deve poi considerare che non sempre i potenziamenti sono giochi a
somma zero e non conferiscono vantaggi solo posizionali. L’aumento
dell’attesa di vita, ad esempio, non è un bene per me solo perché altri
non ne dispongono, ma è un bene anche se è disponibile per tutti;
d’altro canto, il potenziamento cognitivo non consente solo a qualcuno di primeggiare in una certa competizione, ma possiede anche
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etiche applicate
degli effetti di rete, grazie ai quali i suoi benefici ricadono anche su
altri soggetti non potenziati.
In sostanza, anche in questo caso le considerazioni critiche sono
importanti, ma forse non tali da giustificare una conclusione del tutto negativa sulla moralità di alcune forme di potenziamento. Questo
non significa che il potenziamento non sia un argomento che merita
particolare attenzione critica e, soprattutto, che i rilievi critici avanzati
non possano consentire, quanto meno, di giustificare una bassa priorità di allocazione per la ricerca in queste aree, rispetto a quella relativa a
obiettivi più urgenti nell’ambito della cura delle malattie.
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