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Prime manifestazioni del volgare a Venezia

2018, Vittorio Formentin, Prime manifestazioni del volgare a Venezia

Il volume raccoglie alcuni risultati delle ricerche compiute nell’Archivio di Stato di Venezia – uno dei più ricchi archivi pubblici del mondo – nell’ambito del progetto delle Chartae Vulgares Antiquiores, che intende documentare la fase del primo formarsi di una tradizione scrittoria del volgare in area italiana. I saggi che compongono il volume si presentano come altrettanti capitoli di una storia del veneziano delle origini nei suoi vari ambiti d’uso: la scrittura mercantile (rendiconti, libri contabili), la scrittura privata (attergati, lettere), la scrittura notarile-cancelleresca (testamenti), la scrittura femminile d’ambiente familiare e monastico, il veneziano «de là da mar». Dei dieci saggi raccolti due sono inediti; quattro di quelli già pubblicati in altra sede si ristampano con aggiunte e integrazioni sostanziose che dipendono dal progresso della ricerca.

PRIME MANIFESTAZIONI DEL VOLGARE A VENEZIA CHARTAE VULGARES ANTIQUIORES collana diretta da Vittorio Formentin, Nello Bertoletti e Antonio Ciaralli Le Chartae Vulgares Antiquiores intendono descrivere, sotto l’aspetto della storia della lingua e della scrittura, la fase del primo formarsi di una tradizione scrittoria del volgare in area italoromanza mediante la riproduzione e l’edizione commentata delle testimonianze più antiche, che saranno raccolte in una serie di Fascicoli dedicati ai principali centri di produzione delle varie regioni d’Italia. La serie dei Quaderni si affianca a quella dei Fascicoli proponendo l’edizione di testi medievali importanti per la storia linguistica di una regione o della letteratura italiana delle origini e dunque meritevoli di un’approfondita trattazione monografica. Tutti i volumi della collana sono sottoposti a peer review. CHARTAE VULGARES ANTIQUIORES QUADERNI 3 VITTORIO FORMENTIN PRIME MANIFESTAZIONI DEL VOLGARE A VENEZIA DIECI AVVENTURE D’ARCHIVIO ROMA 2018 EDIZIONI DI STORIA E LETTERATURA Prima edizione: luglio 2018 ISBN 978-88-9359-038-9 eISBN 978-88-9359-039-6 PRIN2012 «Chartae Vulgares Antiquiores. I più antichi testi italoromanzi riprodotti, editi e commentati», cofinanziato dal MIUR e dalle Università di Udine, Trento e Perugia Unità di ricerca dell’Università di Udine Stampato con il contributo dell’Università degli Studi di Udine Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale È vietata la copia, anche parziale e con qualsiasi mezzo effettuata Ogni riproduzione che eviti l’acquisto di un libro minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza Tutti i diritti riservati EDIZIONI DI STORIA E LETTERATURA 00165 Roma - via delle Fornaci, 38 Tel. 06.39.67.03.07 - Fax 06.39.67.12.50 e-mail: redazione@storiaeletteratura.it www.storiaeletteratura.it INDICE DEL VOLUME Introduzione ............................................................................................ Criteri di edizione ................................................................................... I. IX XXI La scripta dei mercanti veneziani del medioevo (secoli XII e XIII) ........................................................................ Addenda ........................................................................................ 1 37 Il mercante veneziano del Duecento tra latino e volgare: alcuni testi esemplari ................................................................... 45 III. Note dorsali veneziane del Duecento ......................................... Addenda ........................................................................................ 77 106 IV. Rendiconti duecenteschi in volgare dall’archivio dei Procuratori di San Marco ................................ Addenda ........................................................................................ 169 201 V. Estratti da libri di mercanti e banchieri veneziani del Duecento .. 221 VI. Il testamento di Marino Foscari.................................................. 257 VII. Una lettera e un biglietto dalle carceri di Genova ..................... 267 VIII. Notizie da Aleppo. Una lettera dell’ilkhan Ghazan al Doge di Venezia ....................................................................... 285 IX. Una lettera veneziana del primo Trecento .................................. 311 X. Scritture femminili veneziane del medioevo .............................. Addenda ........................................................................................ 321 356 Tavola delle sigle e delle abbreviazioni bibliografiche ............................ 363 II. Vittorio Formentin, Prime manifestazioni del volgare a Venezia. Dieci avventure d’archivio, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2018 ISBN (stampa) 978-88-9359-038-9 (e-book) 978-88-9359-039-6 – www.storiaeletteratura.it VI INDICE DEL VOLUME Indice delle Tavole .................................................................................. Indice delle forme notevoli...................................................................... Indice dei nomi di persona e di luogo ..................................................... Indice dei fenomeni e dei temi ................................................................ 373 397 403 433 Ad Alfredo Stussi, mio maestro e amico Vittorio Formentin, Prime manifestazioni del volgare a Venezia. Dieci avventure d’archivio, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2018 ISBN (stampa) 978-88-9359-038-9 (e-book) 978-88-9359-039-6 – www.storiaeletteratura.it INTRODUZIONE La storia della lingua è storia della cultura, intesa questa non stricto sensu. (A. Schiaffini) Geschichtliche Einheit und sprachliche Einheit gehen zusammen, die Sprache folgt der Geschichte. (Th. Frings) Nello studio delle prime manifestazioni del volgare, che nelle diverse parti d’Italia, come altrove nella Romània, risultano scalate lungo un ampio arco di tempo, si profila nettissimo il rilievo della Storia. Se infatti si vuole comprendere la ragione, da una parte, del décalage cronologico delle testimonianze e dar conto, dall’altra, delle caratteristiche dei singoli documenti – dal tipo di scrittura e di supporto all’impaginazione o disposizione dello scritto sul foglio o sulla pietra fino alle stesse qualità formali del testo e all’identità, culturale se non anagrafica, dello scrivente – è necessario individuare per quanto è possibile i rapporti che intercorrono tra quelle nuove espressioni linguistiche e il contesto che le ha prodotte, costituito dalle forme di organizzazione politica, economica e giuridica degli uomini che a un certo punto hanno scelto di mettere per iscritto la lingua di tutti invece del solito latino. A ben vedere, la fase in cui emergono le prime testimonianze scritte di un volgare romanzo è il capitolo più importante della sua storia «esterna», considerato che l’approdo alla scrittura di una varietà già solo parlata è sempre il sintomo acuto di una discontinuità culturale determinata da forti cambiamenti avvenuti negli strati profondi della società. Le parole di Schiaffini scelte come epigrafe si trovano nell’Introduzione ai Testi fiorentini del Dugento e dei primi del Trecento, nella quale alla descrizione di alcune caratteristiche grammaticali del fiorentino antico si accompagna una stringata ma efficace ricostruzione delle «relazioni geogra- Vittorio Formentin, Prime manifestazioni del volgare a Venezia. Dieci avventure d’archivio, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2018 ISBN (stampa) 978-88-9359-038-9 (e-book) 978-88-9359-039-6 – www.storiaeletteratura.it X INTRODUZIONE fiche, storico-politiche, economiche, culturali di Firenze con le altre città della Toscana» tra XI e XIII secolo, con un allargamento dell’«orizzonte storico» – l’espressione è questa volta di Ascoli, negli appunti preparatorî della Quinta lettera glottologica – che permette di comprendere meglio le dinamiche della variazione e del cambiamento linguistico della Firenze duetrecentesca: se i Testi fiorentini sono una delle opere che hanno fondato la moderna disciplina storico-linguistica in Italia è stato anche per la capacità del loro autore di inserire i fenomeni della lingua nel loro contesto extralinguistico, di miscelare sapientemente storia «esterna» e storia «interna» in un libro che non a caso si apre con il più antico testo fiorentino che si conosca1. Se posso aggiungere a commento di queste considerazioni d’ordine generale un aneddoto personale, ricordo che qualche tempo fa nel corso di una chiacchierata con un vecchio amico e compagno di studi, che condivide con me la passione per gli antichi testi italiani, ci capitò di osservare quasi simultaneamente come negli ultimi tempi sempre meno frequentavamo, nelle rispettive città di residenza, la biblioteca di Lettere, mentre quasi ogni giorno ci trovavamo a lavorare nella biblioteca di Storia: ci parve, e mi pare, un ottimo segno per uno storico della lingua che ha concentrato il proprio interesse sul periodo delle «origini». D’altra parte, qualunque sia l’ambito cronologico studiato, la specificità di chi fa storia della lingua dovrebbe consistere nella capacità di intrecciare insieme, in un nodo stretto con la forza delle competenze tecnico-formali della disciplina («on souhaite d’être technique», dirò parafrasando Meillet)2, le vicende della lingua con quelle della società degli uomini, di approfondire le ragioni storiche che, insieme alle imponderabili ragioni degli individui, hanno contribuito a determinare le forme e i contenuti di una specifica espressione linguistica3. Questa sottolineatura del nesso che unisce la lingua e la scrittura a uno specifico ambiente sociale, a un ben ordinato «viver di cittadini» – antico 1 Testi fiorentini del Dugento e dei primi del Trecento, con introduzione, annotazioni linguistiche e glossario a cura di A. Schiaffini, Firenze, Sansoni, 1926 (rist. 1954), pp. XXIX e XXXVIII. Su queste pagine di Schiaffini si vedano le belle considerazioni di A. Stussi, Storia della lingua italiana: nascita di una disciplina (1993), in Id., Tra filologia e storia. Studi e testimonianze, Firenze, Olschki, 1999, pp. 45-80: 59. 2 A. Meillet, Esquisse d’une histoire de la langue latine, Paris, Klincksieck, 1966 (1a ed. 1928), p. VII («On aurait souhaité de n’être pas technique»). 3 Il che implica una certa disponibilità dello storico della lingua a un’«apertura interdisciplinare»: A. Vàrvaro, Storia della lingua: passato e prospettive di una categoria controversa (1973), in Id., La parola nel tempo. Lingua, società e storia, Bologna, il Mulino, 1984, pp. 9-77: 33-38 (pagine in cui si indicano come esemplari da questo punto di vista i grandi Orígenes del español di R. Menéndez Pidal). INTRODUZIONE XI sì, ma non mitico come quello del Cacciaguida dantesco, anzi storico e documentato – è un elemento programmatico del progetto delle Chartae Vulgares Antiquiores (ChVA), che nella serie dei fascicoli dedicati ai principali centri scrittorî d’Italia nel periodo delle origini dovrà trovare la sua attuazione. I dieci saggi qui riuniti sono altrettanti tentativi di studiare gli esordi del veneziano come lingua scritta, illustrata nelle sue caratteristiche intrinseche mediante gli strumenti formali della linguistica storica e della paleografia: una serie di testi che sono innanzi tutto espressioni di chi scrive (o fa scrivere), mosso dalle sue particolari motivazioni, ma al tempo stesso indizi dello stretto rapporto che intercorre tra il cittadino e la sua comunità, il Comune Veneciarum. Il fatto che si tratta di testi di natura pratica rende ancor più evidente il legame tra la «nuova» lingua e la «nuova» realtà, fatta di persone e di cose, ovvero di consuetudini, ordinamenti e istituti con cui quelle persone hanno cercato di disciplinare le «nuove» attività e i «nuovi» interessi spesso tra loro vivacemente in contrasto. È insomma lo sviluppo complessivo delle strutture civili – politiche, economiche e giuridiche – della società veneziana che, verso la metà del Duecento, ha determinato l’apertura all’uso scritto del volgare in alcune tipologie testuali che si troveranno in parte documentate in questo libro. È la storia, come sempre, che lentamente matura il frutto della lingua. Seguire gli inizi della documentazione del veneziano lungo l’arco di oltre un secolo, cercando di appoggiare il discorso linguistico sulla solida base delle vicende storiche del Dogado nel XII e XIII secolo, dovrebbe contribuire a ridurre l’impressione di casualità che spesso si prova innanzi alle prime testimonianze scritte di una certa varietà (italo)romanza. Concentrare l’attenzione sul primo tratto di strada compiuto dalla scrittura di una lingua destinata a dare espressione nei secoli, assieme al latino, a uno Stato di rilievo europeo e a generare un’importante tradizione letteraria dovrebbe anche, in chi osserva tali prove, diminuire l’impressione (…) di un campo disseminato di rovine, un Trümmerfeld, come dicevano i filologi tedeschi del passato, un campo sul quale sembra difficile ricostruire anche congetturalmente, così esigua è la quota di quello che ci è rimasto rispetto a quello che è legittimo pensare sia stato prodotto4. Certo anche per Venezia molto della sua più antica produzione in volgare è andato perduto. Eppure, se si procede un poco per la via indicata, ci si accorge subito che l’attitudine pragmatica dei veneziani e la particolare strutG. Folena, «Textus testis»: caso e necessità nelle origini romanze (1973), in Id., «Textus testis». Lingua e cultura poetica delle origini, Torino, Bollati Boringhieri, 2002, pp. 3-26: 7. 4 XII INTRODUZIONE tura burocratico-amministrativa della Repubblica – ovvero la forza e l’organicità del rapporto che a Venezia lega il cittadino-mercante allo Stato, così a Rialto come nel Dogado e nel vastissimo campo aperto delle relazioni internazionali – hanno fatto sì che una parte rappresentativa dei più antichi testi in veneziano, non sempre destinati alla conservazione, è rimasta impigliata nelle maglie della documentazione pubblica (archivi delle curiae e degli officia rialtini) ed ecclesiastica: a questo proposito, si pensi solo all’istituto della commendatio, per cui i mercanti veneziani prima di mettersi in viaggio per raggiungere le più remote plaghe del mondo affidavano le proprie preziose cartule, in originale o in copia, all’archivio di chiese e monasteri, mettendole così al riparo dai pericoli maris et gentium (nr. I e III). Alla fine di un percorso di studio e di ricerca archivistica ormai pluriennale mi sono convinto che per la Venezia del Duecento la documentazione volgare superstite sia sì la sommità di un iceberg o di uno scoglio per il resto coperto dal mare, ma che la massa sommersa non sia incommensurabile con la massa emersa; e ciò che vale per la quantità credo si possa ripetere per la qualità, cioè per la tipologia dei testi implicati. In altre parole, forse il panorama non è così desolato come sembra e quel che resta riproduce fedelmente almeno il profilo del perduto paesaggio originario. Approfondire la prospettiva storica attraverso la via maestra della ricerca d’archivio serve anche a togliere da una condizione d’irrelato isolamento – da bacheca di museo, per usare un’altra immagine di Folena – alcuni testi delle «origini» particolarmente problematici ed enigmatici. Sia per esempio il caso della recordacione di Pietro Corner, considerata l’archetipo della tradizione volgare rialtina. Orbene, questo testo si inserisce entro una nutrita serie di analoghe recordationes o recordaxon dei secoli XII-XIV, e anche oltre, scritte in latino e in volgare, in contesto sia pubblico sia privato, che nel loro complesso attestano la grande fortuna veneziana di questo tipo documentario di valore essenzialmente memorativo ma dotato di una sua precisa fisionomia diplomatistica e formulare e certamente anche di una sua efficacia giuridica: recordationes scrivono – cioè (s’intende) fanno scrivere dal notaio-cancelliere verbalizzante – i Dogi, i Procuratori di San Marco, i giudici di Petizion ecc. su registri e pergamene che costituiscono la documentazione autentica prodotta dai consilia, dagli officia e dalle curiae dello Stato; e recordationes scrivono propria manu – o anche loro fanno redigere da uno scrivano di fiducia – i semplici cittadini e i privati mercanti, senz’altro consapevoli che quella scrittura pur priva di corroborazione notarile li impegnava in qualche modo e, prodotta innanzi a un’autorità giudiziaria, avrebbe certo avuto un valore riconosciuto e tutelato dall’ordinamento giuridico in quanto espressione di una consuetudine diffusa e approvata. A proposito INTRODUZIONE XIII poi della lingua del documento, lo studio di scritture contabili e note dorsali più o meno coeve scritte «per sé» dai mercanti (nr. I e III) ha permesso di riconoscervi i tratti di una scripta comune all’ambiente mercantile veneziano a cavallo tra Cento e Duecento: un registro linguistico intermedio, per sua natura mescidato e dunque disponibile ad accogliere molti volgarismi lessicali e perfino morfosintattici, ma di base sostanzialmente latina. Un referto che consiglia di espungere il documento dal novero dei più antichi testi italoromanzi in volgare e forse – conclusione senz’altro più rilevante – fornisce una spiegazione del ritardo con cui, rispetto a Firenze e alla Toscana, si è avviata a Venezia una tradizione di scrittura in schietto volgare. L’utilità di un ampliamento della prospettiva si verifica anche nel caso di un altro testo problematico delle origini veneziane, il Pactum Soldani Alapi, che risale al 1207 o 1208 (anno 604 dell’egira), anche se la più antica copia cancelleresca a noi pervenuta è soltanto della fine del secolo. Questo, come altri patti e accordi diplomatico-commerciali stretti nella prima metà del Duecento tra Venezia e alcuni sovrani dell’Oriente musulmano, presenta un diverso tipo di mescidazione, che potremmo chiamare orizzontale, dal momento che avviene tra lingue romanze sorelle, nella fattispecie tra veneziano e francese; inoltre, ad aumentare il loro grado di esoticità, questi documenti sono pieni di formule cancelleresche ricalcate pari pari sugli originali arabi che verosimilmente traducono, producendo così nel lettore di oggi (e forse anche di ieri) un singolare effetto di straniamento. Di questi patti, e di altri consimili databili alla seconda metà del secolo, questo libro non si occupa ex professo, anche se il loro interesse linguistico e il loro fascino intrinseco sono tali che spero si possa presto allestirne una riedizione complessiva accompagnata da un adeguato commento filologico, che richiederà una competenza plurima. Comunque sia, il Pactum Soldani Alapi contiene molti passi oscuri e apparentemente guasti, che neppure l’encomiabile sforzo degli ultimi attrezzatissimi editori è riuscito a chiarire del tutto5. A parlar franco, l’intelligibilità della lettera, non solo in «vuote» parti formulari del protocollo ma anche in punti cruciali del dispositivo, è nel documento così precaria – per gli studiosi moderni come, credo, per i veneziani del XIII secolo – da metterne in serio dubbio la stessa utilità pratica: evidentemente, da un lato, l’«ufficialità» del testo rilasciato dalla controparte musulmana faceva aggio sulla sua comprensibilità; dall’altro, la prassi e la consuetudine 5 G. Belloni – M. Pozza, Il più antico documento in veneziano. Proposta di edizione, in Guida ai dialetti veneti XII, a cura di M. Cortelazzo, Padova, CLEUP, 1990, pp. 5-32. Il testo del patto è riproposto in I trattati con Aleppo. 1207-1254, a cura di M. Pozza, Venezia, Il Cardo, 1990, pp. 26-33. INTRODUZIONE XIV mercantili avranno contribuito a dare con i fatti l’interpretazione autentica dell’accordo. Certo, come è stato detto giustamente, «le ipotesi filologiche potranno essere opportunamente riviste» solo «quando meglio sarà chiarita la compagine linguistica del testo»6: appare comunque chiara fin d’ora, proprio in ragione del basso livello di coerenza testuale della traduzione veneziana del 1207 o 1208 (non a caso anonima e priva d’intervento notarile), la sua radicale diversità da un altro esemplare di versione italoromanza dall’arabo compiuta in un analogo contesto di diplomazia internazionale, la pisana Pace col califfo di Tunisi del 9 agosto 1264, che si fa invece ammirare per la sua solida struttura linguistica, dovuta a un interpres il cui nome, Bonagiunta da Cascina, è riportato nella sottoscrizione del notaio, Ranieri Scorcialupi, che redasse il testo in pubblica forma con la sua «grafia bella e ordinata», corredandolo di un sistema paragrafematico che rende il testo più facilmente leggibile e consultabile7. Quanto alla «compagine linguistica» del Pactum, Folena per primo vi ha riconosciuto una ben determinata componente francese, in particolar modo nel lessico e nella fonomorfologia. Tuttavia il grado d’ibridazione tra le due lingue è forse maggiore di quanto si sia finora riconosciuto, se giunge, come credo, a toccare la morfosintassi: si veda infatti il finora incompreso face in «de poi ke fo le face dele avenanteçe e· lo romanente», che sarà il congiuntivo francese face con valore ottativo, come nella formula parentetica «Dex le face durable» del trattato del 1254; e il calco del tipico costrutto possessivo la lettre à vous ‘votre lettre’ nel passo «et se avesemo saipudo traslatar la letera a voi dela mesagiria et enteso avemo ço que dise e le soi parole»8. Sono Belloni – Pozza, Il più antico documento in veneziano, p. 21. L. Petrucci, Il volgare nei carteggi tra Pisa e i paesi arabi, in Studi offerti a Luigi Blasucci dai colleghi e dagli allievi pisani, a cura di L. Lugnani – M. Santagata – A. Stussi, Lucca, Pacini Fazzi, 1996, pp. 413-426: 416-420 (la citaz. a p. 416); Id., Rassegna dei più antichi documenti del volgare pisano, in Fra toscanità e italianità. Lingua e letteratura dagli inizi al Novecento, a cura di E. Werner – S. Schwarze, Tübingen-Basel, Francke, 2000, pp. 15-46: 31-33 e 41. Nei due saggi Petrucci svolge sulla Pace considerazioni che possono tornare utili anche a proposito del caso veneziano. 8 Intenderei il primo passo nel modo seguente: ‘dal momento che Dio [nominato subito prima: «e· nome de Deo, lo poderoso e-l pietoso»] gli è stato [favorevole fino ad oggi], gli faccia del bene nel periodo rimanente [del suo regno]’ (per de poi ke + perfetto cfr. più innanzi nel testo «de poi qe açonse en la nostra terra amamo lo electo […] Pero Marignuni lo meso»; è nuova rispetto all’edizione Belloni – Pozza la soluzione e· lo romanente ‘nel rimanente’, con e· lo = en lo); nel secondo passo il se mi sembra una resa ‘erronea’ di un si francese con valore rinforzativo del verbo < SÔC, omografo in quella lingua di si congiunzione condizionale < SÔ; intenderei quindi: ‘e (sì) avemmo saputo (= sapemmo, abbiamo saputo; avesemo è perfetto indicativo) tradurre la vostra lettera dell’ambasciata e abbiamo inteso 6 7 INTRODUZIONE XV indizi che inducono a ritenere congenita la mescidazione veneziano-francese del Pactum, la quale perciò andrà attribuita a un turcimanno in cui le due varietà interferivano a livello strutturale. Orbene, che nelle traduzioni d’oltremare un tale i b r i d i s m o o r i g i n a r i o fosse la norma – conclusione che invita una volta di più a non intervenire corrivamente sui testi – è ora confermato da un diverso, più tardo ma non meno affascinante documento, la lettera (pervenuta verosimilmente in duplice redazione) inviata da Ghazan, ilkhan di Persia, al Doge di Venezia allo scadere – letteralmente – del secolo XIII, con la richiesta di fornire un aiuto militare concreto per combattere il comune nemico mamelucco (nr. VIII). Per altro verso, è assai istruttivo che la storia del veneziano cominci con un testo il cui autore molto probabilmente veneziano non era. Per quanto riguarda la tipologia dei testi in volgare rappresentati in questo volume, dopo aver segnalato per la loro intrinseca importanza il portolano e la pratica di mercatura di cui si dà notizia alla fine del nr. II – testi che per la loro mole e complessità richiedono uno studio monografico –, spicca la presenza di alcune lettere, una categoria non rappresentata nelle sillogi di Bertanza – Lazzarini e di Stussi: oltre alla missiva di natura politico-diplomatica, da sovrano a sovrano, di Ghazan, si rimane ancora sul ciglio del secolo XIII con la lettera che un compagno di prigionia di Marco Polo inviò dalle carceri di Genova ai Procuratori di San Marco, amministratori dell’eredità paterna, per batter cassa (nr. VII: in nessun altro luogo, si sa, i soldi servono tanto quanto in prigione), mentre si passa ai primi decenni del Trecento con la lettera inviata al prete-notaio Egidio di S. Sofia da un mittente ignoto ma certamente veneziano (nr. IX; ante 1320) e con quella, probabilmente autografa, di Elisabetta Quirini a Damiano Quintavalle (nr. X, Addendum I; 1329)9. Si noterà che nessuno di questi esemplari di corrispondenza veneziana due-trecentesca appartiene al tipo della lettera commerciale, ma questo non stupisce: l’assenza nel Duecento (almeno per quanto è emerso finora) di vere e proprie lettere mercantili e il moltiplicarsi invece dei carteggi commerecc.’. Per il tipo la lettre à vous vd. E. Gamillscheg, Historische französische Syntax, Tübingen, Niemeyer, 1957, p. 180; per l’uso del passé antérieur con il valore di passé simple vd. L. Foulet, Petite syntaxe de l’ancien français, Paris, Champion, 1919, § 240 e F. Jensen, Old French and Comparative Gallo-Romance Syntax, Tübingen, Niemeyer, 1990, p. 348; per il versante italiano fa testo F. Brambilla Ageno, Questioni di aspetto (1959), in Ead., Il verbo nell’italiano antico. Ricerche di sintassi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1964, pp. 299-326: 299-304. 9 È formalmente una lettera anche la ricevuta rilasciata da Michele Zancani a un mercante bellunese (1315: nr. V, § 2); alla seconda metà del Trecento (forse al settimo decennio del secolo) spetta invece la bella lettera di Cataruza da Pesaro a suo cognato Nicoleto presentata al nr. X, § 4. INTRODUZIONE XVI ciali nei due secoli successivi è ben spiegabile con il passaggio dall’età dei mercanti viaggiatori a quella dei mercanti residenti (a Venezia) e degli agenti – stipendiati o a provvigione – su piazza10. Può invece stupire il fatto che non sia ancora venuto fuori per la Venezia del Duecento un esemplare di libro contabile in volgare. Dell’esistenza di quaterni di mercanti e banchieri veneziani ci assicurano, oltre alla logica, i molti diretti riferimenti che si trovano in documenti latini e volgari del secolo XIII: per questa tipologia testuale, dunque, la perdita documentale è certa, e senz’altro di notevoli proporzioni11. A diminuire il rammarico contribuiscono ora gli estratti di libri di conto citati all’interno di atti prodotti dalle curie e dagli uffici rialtini (nr. V), tanto più che uno di questi – quello contenuto nella pergamena Quirini – è uno dei testi veneziani in assoluto più antichi che si conoscano (1270, in copia autentica del 1272)12. Ma quali sono le ragioni di un naufragio così generale, che tanto più sorprende per Venezia «se si tien conto del buono stato di conservazione e della ricchezza dei fondi archivistici duecenteschi»13? Forse una di esse andrà individuata, molto semplicemente, nella particolare deperibilità dei manufatti: i due soli esemplari a me noti di libri contabili privati anteriori alla metà del Trecento consistono in effetti di manoscritti cartacei di piccole dimensioni e di pochi fogli, giunti fino a noi come fascicoli sciolti privi di coperta protettiva14. Lane, Storia di Venezia, pp. 162-171; Id., Ritmo e rapidità di giro d’affari nel commercio veneziano del Quattrocento (1973), in Id., I mercanti di Venezia, pp. 123-141, saggio che mostra (tra molto altro) l’importanza delle lettere dei mercanti come fonte complementare ai dati offerti dai libri contabili; A. Stussi, Il mercante veneziano (1989), in Id., Lingua, dialetto e letteratura, Torino, Einaudi, 1993, pp. 107-128: 120. A dire il vero ho reperito, citata all’interno di una sentenza dei giudici di Petizion del 13 dicembre 1284, una lettera d’argomento mercantile prodotta in giudizio da una delle parti, ma è in latino, proprio come gli exempla epistolari di Boncompagno da Signa (nr. II, § 1). Conto prima o poi di pubblicarla. 11 Quanto all’inevitabile confronto con la ben diversa situazione toscana, riferisco un’osservazione rivoltami con il solito acume da Livio Petrucci: «dei poco più che cinquanta libri mercantili duecenteschi oggi testualmente consultabili, anche solo per estratti notarili, quarantasei sono toscani, con Firenze che ne conta da sola trentatre: non sarà allora che l’attenzione andrà posta sulla conservazione a Firenze, e più debolmente in Toscana, piuttosto che sulla dispersione nel resto d’Italia?». 12 La pergamena, rinvenuta da Bianca Lanfranchi Strina nel fondo delle commissarìe dei Procuratori di San Marco, mi è stata segnalata da Alfredo Stussi, che devo ringraziare anche per questo. 13 Stussi, Medioevo volgare, p. 32. 14 Il più antico, in latino, registra la contabilità personale di un prete-notaio che commercia in lino tra gli ultimi anni del Duecento e i primi del Trecento (se ne sta preparando l’edizione); per il secondo vd. in questo libro a p. 231 nota 28. 10 INTRODUZIONE XVII Ammesso che tali dimesse condizioni fossero la norma per i libri di conto veneziani del Duecento, ci si può chiedere se ciò sia in qualche rapporto con la particolare organizzazione degli affari nella Serenissima, data la predilezione tutta veneziana per l’iniziativa individuale o familiare e la diffidenza invece per «le società di grandi dimensioni, formate per lunghi periodi fra molte persone di famiglie diverse», talché, se era proprio necessario far ricorso a estranei per aumentare il capitale, si preferivano le piccole «società temporanee e limitate, a cui conviene piuttosto la denominazione di imprese in nome collettivo»15, appunto come quella messa su tra Marco Quirini e Paolo Vidal per battere l’oro (nr. V, § 4.1). Non manca in queste pagine una delle tipologie testuali più largamente rappresentate nelle sillogi di Bertanza – Lazzarini e di Stussi, la cedola testamentaria, che anzi risponde all’appello con uno dei suoi esemplari più antichi (nr. VI; ante novembre 1291), qualunque sia la natura, sotto il profilo diplomatistico, del frustolo di pergamena che ce l’ha conservata: vera e propria cedola (autografa o allografa), che pur sarebbe allora priva della nota di ricezione e autenticazione notarile di cui sono normalmente corredati i più tardi esemplari cartacei (vd. per es. nr. X, § 5 e Addendum II), oppure copia semplice ad uso della badessa del monastero di S. Servolo, nominata fedecommissaria dal testatore, Marino Foscari di S. Pantalon, che in quel convento aveva sistemato due delle sue tre figlie. Quanto all’origine del testamento per cedola veneziano, in un’altra parte del libro (nr. V, § 4) si suggerisce che, in un momento in cui il volgare era finalmente giunto ad avere dignità di scrittura, cioè nella seconda metà del Duecento, il diritto veneziano, disposto per sua natura a fornire risposte pragmatiche alle richieste e ai bisogni di una società di mercanti, possa aver accolto e disciplinato una procedura testamentaria rispondente prima di tutto alle loro esigenze, che nascevano anche dai rischi e dalle urgenze del commercio marittimo medievale, dalle situazioni di emergenza in cui spesso veniva a trovarsi il mercante viaggiatore («quoniam sepe contigit quod nostri fideles in alienis partibus extra Venecias moriuntur […]»: Statuti veneziani, l. IV, cap. XX). 15 Lane, Storia di Venezia, p. 163. Si tenga presente anche la diagnosi di Luzzatto, Storia economica, pp. 79-80: «Questa differenza, che può anche apparire come una inferiorità, nel tipo di organizzazione delle maggiori aziende commerciali veneziane in confronto a quelle di altre città italiane, può forse trovare una spiegazione nella costituzione aristocratica dello Stato, che vuole evitare il pericoloso predominio di poche grandi famiglie (…). Ma soprattutto il diverso carattere delle aziende commerciali veneziane si deve alla decisa prevalenza e alle maggiori necessità del commercio marittimo in confronto del commercio terrestre, esercitato di preferenza dai grandi mercanti toscani». XVIII INTRODUZIONE Certo si tratta di una delle molte peculiarità giuridiche veneziane, da avvicinare, per rimanere nell’ambito del diritto testamentario, alla soluzione del testamentum per breviarium – che permetteva di dar valore giuridico alle disposizioni puramente verbali rilasciate in articulo mortis innanzi a testimoni, ma in assenza di notaio16 – e al particolare statuto delle fedecommissarìe nominate fuori del Dogado con incarichi ben circoscritti nello spazio e nel tempo (vd. qui p. 116 nota 82)17. Nei nr. I, III e X (§ 2) è dato il rilievo che merita, in una rappresentazione sia pure parziale del veneziano delle origini, al tipo (micro)testuale dell’attergato. Non ripeto qui i motivi per cui queste testimonianze sono importanti, proprio nella prospettiva, in cui si collocano le Chartae Vulgares Antiquiores, di una storia parallela e fraterna di lingua e scrittura (vd. qui alle pp. 77-79): basti dire che lo studio di queste note tergali del XII e XIII secolo – assieme, ben s’intende, a quello delle sottoscrizioni della parte obbligata, quando presenti (nr. I, § 3) – permette di mostrare come la scrittura dei mercanti e della classe dirigente veneziana si sia via via modellata sulla coeva scrittura notarile-cancelleresca, senz’altro per il tramite dell’insegnamento scolastico (nr. II, §§ 1-3); consente inoltre di acquisire la straordinaria documentazione, assai rilevante per la «storia della cultura», di scritture duecentesche di mano femminile; infine, come dimostrano i ben noti casi di Romano Mairano (nr. I, § 5.1) e di Guglielma Venier (nr. X, § 2) cui si aggiunge ora quello di Tomà Michiel (nr. III, Addendum III), ci fa entrare talvolta all’interno dell’archivio personale o familiare di un mercante del medioevo e «vedere» come le sue cartule vi erano classificate e conservate. Due parole di giustificazione sul superamento del limite cronologico dell’anno 1300 – il termine fissato per il fascicolo veneziano delle ChVA – che si riscontra negli ultimi due saggi. Per il primo – la lettera a prete Egidio di S. Sofia – valga l’interesse di presentare, per una data ancora abbastanza alta (il secondo decennio del Trecento), un esempio di comunicazione epistolare privata, di contenuto quotidiano e domestico («(E) fame far IIJa [leggi trea] pèra d(e) çocoli d(e) suro [‘sughero’] alti de do bone deta grose p(er) mi (e) p(er) Symo(n) co(n) fanestrela (e) co(n) flubeta»), senza dire dell’occasione 16 Una procedura – quella in genere dei breviaria o testificationes giurate, in cui rientra anche il testamentum per breviarium – che sembrava un’enormità ai giuristi di diritto comune: «de hoc legibus romanis non cavetur et ideo nescio quid sit» commentò sprezzantemente Odofredo o chi per lui (Statuti veneziani, p. 62, glossa 167 [l. I, cap. XXVIII]; e vd. la Prefazione di Cessi, p. VIII nota 3). 17 Sulle origini e sulla storia del testamento per cedola veneziano farà luce il libro di L. Petrucci, I testamenti volgari del Due e del Trecento, in c.d.s. INTRODUZIONE XIX offerta di approfondire (come si fa nella Postilla) un argomento particolare di grammatica storica del veneziano (il tipo morfologico trea pèra ‘tre paia’). Per il secondo valga invece il grande rilievo storico e culturale, appunto, del tema dell’alfabetizzazione femminile nel medioevo, dell’accesso delle donne alla scrittura, un fenomeno per di più che non si lascia documentare facilmente nel Duecento e per il quale è dunque ragionevole concedere un avanzamento dei termini. Ogni testo pubblicato è commentato nella lettera e nei suoi principali fatti grammaticali. Per quanto riguarda la lingua, a dire il vero, poco o nulla si aggiunge in queste pagine alla sistemazione e all’interpretazione dei dati offerte nell’Introduzione ai Testi veneziani del Duecento e dei primi del Trecento di Alfredo Stussi, che a più di cinquant’anni dalla loro pubblicazione continuano a rappresentare un sicuro punto di riferimento per chi si occupa di veneziano e più in generale di dialetti settentrionali antichi. E assieme ai Testi veneziani ho avuto sempre presente, come un faro che orienta infallibilmente nelle vicende linguistiche e letterarie della Venezia due-trecentesca, il grande affresco storico-linguistico del Medioevo volgare veneziano, un saggio in cui si temperano in modo mirabile le ragioni della «storia esterna» della lingua con quelle della sua «storia interna». Dei saggi qui pubblicati sono inediti i nr. VII e VIII, mentre il nr. IX è in corso di stampa nel vol. «Acciò che ’l nostro dire sia ben chiaro». Scritti per Nicoletta Maraschio, a cura di M. Biffi et alii, Firenze, Accademia della Crusca. Gli altri sono apparsi originariamente nelle sedi seguenti: I. La «scripta» dei mercanti veneziani del medioevo, «Medioevo romanzo», XXXVI (2012), pp. 62-97. II. Il mercante veneziano del Duecento tra latino e volgare: alcuni testi esemplari, «Studi linguistici italiani», XLI (2015), pp. 3-36. III. Note dorsali veneziane del Duecento, «La lingua italiana», X (2014), pp. 17-39. IV. Rendiconti duecenteschi in volgare dall’archivio dei Procuratori di San Marco, «Lingua e Stile», XLIX (2014), pp. 5-37. V. Estratti da libri di mercanti e banchieri veneziani del Duecento, «Lingua e Stile», L (2015), pp. 25-62. VI. Il testamento di Marino Foscari, in Lingua, letteratura e umanità. Studi offerti dagli amici ad Antonio Daniele, a cura di V. Formentin et alii, Padova, CLEUP, 2016, pp. 85-95. X. Scritture femminili veneziane del medioevo, «Atti e Memorie dell’Accademia Galileiana di Scienze, Lettere ed Arti», CXXVII (2014-2015), Parte III: Memorie della Classe di Scienze Morali, Lettere ed Arti, pp. 63-101. XX INTRODUZIONE Tutti i saggi già editi sono stati in varia misura ritoccati e aggiornati; ai nr. I, III, IV e X segue inoltre una serie di Addenda, che – sebbene ragioni d’ordine cronologico o tipologico-testuale potessero consigliare d’intercalarli nel corpo del saggio – si è preferito presentare separati, anche per suggerire l’idea di una ricerca non già morta – almeno per il suo autore –, ma ancora vitale e in continuo progresso e affinamento. Quanto alle Note paleografiche che Antonio Ciaralli ha dedicato alle scritture veneziane pubblicate nei nr. II, III e IV e già ospitate in rivista (nr. II, IV) o nella sezione del sito dell’Archivio di Stato di Venezia riservata alle ChVA (nr. III), ora si possono leggere nel sito internet del progetto, all’indirizzo «www.chartaevulgaresantiquiores.it»; inediti sono invece i commenti stesi dallo stesso Ciaralli a corredo delle didascalie che accompagnano le Tavole del volume. Nel corso delle ricerche che hanno dato forma a questo libro ho ricevuto indicazioni e suggerimenti molto utili da Paola Barbierato, Attilio Bartoli Langeli, Andrea Bocchi, Donato Gallo, Pär Larson, Reinhold C. Mueller, Armando Petrucci, Livio Petrucci, Andrea Saccocci, Alessandra Schiavon, Alfredo Stussi e Maria Teresa Vigolo: a tutti esprimo la mia viva riconoscenza. Un ringraziamento speciale rivolgo ad Antonio Ciaralli e a Nello Bertoletti, che condividono con me la passione per il progetto delle ChVA e senza i quali non mi sarei messo in pelago col rischio di rimanere smarrito. È un piacere, infine, rinnovare il ringraziamento al Direttore dell’Archivio di Stato di Venezia, Raffaele Santoro, che assieme ad Alessandra Schiavon ha fatto molto per facilitare le mie ricerche nel grande Archivio dei Frari. Padova, novembre 2017 Poscritto. Questo libro esce che Armando Petrucci, da qualche giorno, non c’è più. Anzi, c’è ancora, perché queste pagine, come tante altre, di tanti altri, sono un frutto anche del suo seme.