PRIME MANIFESTAZIONI DEL VOLGARE A VENEZIA
CHARTAE VULGARES ANTIQUIORES
collana diretta da Vittorio Formentin, Nello Bertoletti e Antonio Ciaralli
Le Chartae Vulgares Antiquiores intendono descrivere, sotto l’aspetto della storia della lingua e della scrittura, la fase del primo formarsi di una tradizione scrittoria del volgare in
area italoromanza mediante la riproduzione e l’edizione commentata delle testimonianze
più antiche, che saranno raccolte in una serie di Fascicoli dedicati ai principali centri di
produzione delle varie regioni d’Italia.
La serie dei Quaderni si affianca a quella dei Fascicoli proponendo l’edizione di testi medievali importanti per la storia linguistica di una regione o della letteratura italiana delle
origini e dunque meritevoli di un’approfondita trattazione monografica.
Tutti i volumi della collana sono sottoposti a peer review.
CHARTAE VULGARES ANTIQUIORES
QUADERNI
3
VITTORIO FORMENTIN
PRIME MANIFESTAZIONI
DEL VOLGARE A VENEZIA
DIECI AVVENTURE D’ARCHIVIO
ROMA 2018
EDIZIONI DI STORIA E LETTERATURA
Prima edizione: luglio 2018
ISBN 978-88-9359-038-9
eISBN 978-88-9359-039-6
PRIN2012 «Chartae Vulgares Antiquiores. I più antichi testi italoromanzi riprodotti, editi
e commentati», cofinanziato dal MIUR e dalle Università di Udine, Trento e Perugia
Unità di ricerca dell’Università di Udine
Stampato con il contributo dell’Università degli Studi di Udine
Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale
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EDIZIONI DI STORIA E LETTERATURA
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www.storiaeletteratura.it
INDICE DEL VOLUME
Introduzione ............................................................................................
Criteri di edizione ...................................................................................
I.
IX
XXI
La scripta dei mercanti veneziani del medioevo
(secoli XII e XIII) ........................................................................
Addenda ........................................................................................
1
37
Il mercante veneziano del Duecento tra latino e volgare:
alcuni testi esemplari ...................................................................
45
III.
Note dorsali veneziane del Duecento .........................................
Addenda ........................................................................................
77
106
IV.
Rendiconti duecenteschi in volgare
dall’archivio dei Procuratori di San Marco ................................
Addenda ........................................................................................
169
201
V.
Estratti da libri di mercanti e banchieri veneziani del Duecento ..
221
VI.
Il testamento di Marino Foscari..................................................
257
VII. Una lettera e un biglietto dalle carceri di Genova .....................
267
VIII. Notizie da Aleppo. Una lettera dell’ilkhan Ghazan
al Doge di Venezia .......................................................................
285
IX.
Una lettera veneziana del primo Trecento ..................................
311
X.
Scritture femminili veneziane del medioevo ..............................
Addenda ........................................................................................
321
356
Tavola delle sigle e delle abbreviazioni bibliografiche ............................
363
II.
Vittorio Formentin, Prime manifestazioni del volgare a Venezia. Dieci avventure d’archivio, Roma, Edizioni di Storia e
Letteratura, 2018
ISBN (stampa) 978-88-9359-038-9 (e-book) 978-88-9359-039-6 – www.storiaeletteratura.it
VI
INDICE DEL VOLUME
Indice delle Tavole ..................................................................................
Indice delle forme notevoli......................................................................
Indice dei nomi di persona e di luogo .....................................................
Indice dei fenomeni e dei temi ................................................................
373
397
403
433
Ad Alfredo Stussi, mio maestro e amico
Vittorio Formentin, Prime manifestazioni del volgare a Venezia. Dieci avventure d’archivio, Roma, Edizioni di Storia e
Letteratura, 2018
ISBN (stampa) 978-88-9359-038-9 (e-book) 978-88-9359-039-6 – www.storiaeletteratura.it
INTRODUZIONE
La storia della lingua è storia della cultura, intesa questa
non stricto sensu.
(A. Schiaffini)
Geschichtliche Einheit und sprachliche Einheit gehen
zusammen, die Sprache folgt der Geschichte.
(Th. Frings)
Nello studio delle prime manifestazioni del volgare, che nelle diverse
parti d’Italia, come altrove nella Romània, risultano scalate lungo un ampio
arco di tempo, si profila nettissimo il rilievo della Storia. Se infatti si vuole
comprendere la ragione, da una parte, del décalage cronologico delle testimonianze e dar conto, dall’altra, delle caratteristiche dei singoli documenti
– dal tipo di scrittura e di supporto all’impaginazione o disposizione dello
scritto sul foglio o sulla pietra fino alle stesse qualità formali del testo e
all’identità, culturale se non anagrafica, dello scrivente – è necessario individuare per quanto è possibile i rapporti che intercorrono tra quelle nuove
espressioni linguistiche e il contesto che le ha prodotte, costituito dalle
forme di organizzazione politica, economica e giuridica degli uomini che a
un certo punto hanno scelto di mettere per iscritto la lingua di tutti invece
del solito latino. A ben vedere, la fase in cui emergono le prime testimonianze scritte di un volgare romanzo è il capitolo più importante della sua storia
«esterna», considerato che l’approdo alla scrittura di una varietà già solo
parlata è sempre il sintomo acuto di una discontinuità culturale determinata
da forti cambiamenti avvenuti negli strati profondi della società.
Le parole di Schiaffini scelte come epigrafe si trovano nell’Introduzione ai Testi fiorentini del Dugento e dei primi del Trecento, nella quale alla
descrizione di alcune caratteristiche grammaticali del fiorentino antico si
accompagna una stringata ma efficace ricostruzione delle «relazioni geogra-
Vittorio Formentin, Prime manifestazioni del volgare a Venezia. Dieci avventure d’archivio, Roma, Edizioni di Storia e
Letteratura, 2018
ISBN (stampa) 978-88-9359-038-9 (e-book) 978-88-9359-039-6 – www.storiaeletteratura.it
X
INTRODUZIONE
fiche, storico-politiche, economiche, culturali di Firenze con le altre città
della Toscana» tra XI e XIII secolo, con un allargamento dell’«orizzonte
storico» – l’espressione è questa volta di Ascoli, negli appunti preparatorî
della Quinta lettera glottologica – che permette di comprendere meglio le
dinamiche della variazione e del cambiamento linguistico della Firenze duetrecentesca: se i Testi fiorentini sono una delle opere che hanno fondato la
moderna disciplina storico-linguistica in Italia è stato anche per la capacità
del loro autore di inserire i fenomeni della lingua nel loro contesto extralinguistico, di miscelare sapientemente storia «esterna» e storia «interna» in
un libro che non a caso si apre con il più antico testo fiorentino che si conosca1. Se posso aggiungere a commento di queste considerazioni d’ordine
generale un aneddoto personale, ricordo che qualche tempo fa nel corso di
una chiacchierata con un vecchio amico e compagno di studi, che condivide
con me la passione per gli antichi testi italiani, ci capitò di osservare quasi
simultaneamente come negli ultimi tempi sempre meno frequentavamo,
nelle rispettive città di residenza, la biblioteca di Lettere, mentre quasi ogni
giorno ci trovavamo a lavorare nella biblioteca di Storia: ci parve, e mi pare,
un ottimo segno per uno storico della lingua che ha concentrato il proprio
interesse sul periodo delle «origini». D’altra parte, qualunque sia l’ambito
cronologico studiato, la specificità di chi fa storia della lingua dovrebbe
consistere nella capacità di intrecciare insieme, in un nodo stretto con la
forza delle competenze tecnico-formali della disciplina («on souhaite d’être
technique», dirò parafrasando Meillet)2, le vicende della lingua con quelle
della società degli uomini, di approfondire le ragioni storiche che, insieme
alle imponderabili ragioni degli individui, hanno contribuito a determinare
le forme e i contenuti di una specifica espressione linguistica3.
Questa sottolineatura del nesso che unisce la lingua e la scrittura a uno
specifico ambiente sociale, a un ben ordinato «viver di cittadini» – antico
1
Testi fiorentini del Dugento e dei primi del Trecento, con introduzione, annotazioni
linguistiche e glossario a cura di A. Schiaffini, Firenze, Sansoni, 1926 (rist. 1954), pp. XXIX e
XXXVIII. Su queste pagine di Schiaffini si vedano le belle considerazioni di A. Stussi, Storia
della lingua italiana: nascita di una disciplina (1993), in Id., Tra filologia e storia. Studi e testimonianze, Firenze, Olschki, 1999, pp. 45-80: 59.
2
A. Meillet, Esquisse d’une histoire de la langue latine, Paris, Klincksieck, 1966 (1a ed.
1928), p. VII («On aurait souhaité de n’être pas technique»).
3
Il che implica una certa disponibilità dello storico della lingua a un’«apertura interdisciplinare»: A. Vàrvaro, Storia della lingua: passato e prospettive di una categoria controversa
(1973), in Id., La parola nel tempo. Lingua, società e storia, Bologna, il Mulino, 1984, pp. 9-77:
33-38 (pagine in cui si indicano come esemplari da questo punto di vista i grandi Orígenes
del español di R. Menéndez Pidal).
INTRODUZIONE
XI
sì, ma non mitico come quello del Cacciaguida dantesco, anzi storico e
documentato – è un elemento programmatico del progetto delle Chartae
Vulgares Antiquiores (ChVA), che nella serie dei fascicoli dedicati ai principali centri scrittorî d’Italia nel periodo delle origini dovrà trovare la sua
attuazione. I dieci saggi qui riuniti sono altrettanti tentativi di studiare gli
esordi del veneziano come lingua scritta, illustrata nelle sue caratteristiche
intrinseche mediante gli strumenti formali della linguistica storica e della
paleografia: una serie di testi che sono innanzi tutto espressioni di chi scrive
(o fa scrivere), mosso dalle sue particolari motivazioni, ma al tempo stesso
indizi dello stretto rapporto che intercorre tra il cittadino e la sua comunità,
il Comune Veneciarum. Il fatto che si tratta di testi di natura pratica rende
ancor più evidente il legame tra la «nuova» lingua e la «nuova» realtà, fatta
di persone e di cose, ovvero di consuetudini, ordinamenti e istituti con cui
quelle persone hanno cercato di disciplinare le «nuove» attività e i «nuovi»
interessi spesso tra loro vivacemente in contrasto. È insomma lo sviluppo
complessivo delle strutture civili – politiche, economiche e giuridiche – della
società veneziana che, verso la metà del Duecento, ha determinato l’apertura
all’uso scritto del volgare in alcune tipologie testuali che si troveranno in
parte documentate in questo libro. È la storia, come sempre, che lentamente
matura il frutto della lingua.
Seguire gli inizi della documentazione del veneziano lungo l’arco di oltre
un secolo, cercando di appoggiare il discorso linguistico sulla solida base
delle vicende storiche del Dogado nel XII e XIII secolo, dovrebbe contribuire a ridurre l’impressione di casualità che spesso si prova innanzi alle
prime testimonianze scritte di una certa varietà (italo)romanza. Concentrare
l’attenzione sul primo tratto di strada compiuto dalla scrittura di una lingua
destinata a dare espressione nei secoli, assieme al latino, a uno Stato di rilievo europeo e a generare un’importante tradizione letteraria dovrebbe anche,
in chi osserva tali prove, diminuire
l’impressione (…) di un campo disseminato di rovine, un Trümmerfeld, come dicevano i filologi tedeschi del passato, un campo sul quale sembra difficile ricostruire
anche congetturalmente, così esigua è la quota di quello che ci è rimasto rispetto a
quello che è legittimo pensare sia stato prodotto4.
Certo anche per Venezia molto della sua più antica produzione in volgare
è andato perduto. Eppure, se si procede un poco per la via indicata, ci si
accorge subito che l’attitudine pragmatica dei veneziani e la particolare strutG. Folena, «Textus testis»: caso e necessità nelle origini romanze (1973), in Id., «Textus
testis». Lingua e cultura poetica delle origini, Torino, Bollati Boringhieri, 2002, pp. 3-26: 7.
4
XII
INTRODUZIONE
tura burocratico-amministrativa della Repubblica – ovvero la forza e l’organicità del rapporto che a Venezia lega il cittadino-mercante allo Stato, così a
Rialto come nel Dogado e nel vastissimo campo aperto delle relazioni internazionali – hanno fatto sì che una parte rappresentativa dei più antichi testi
in veneziano, non sempre destinati alla conservazione, è rimasta impigliata
nelle maglie della documentazione pubblica (archivi delle curiae e degli officia rialtini) ed ecclesiastica: a questo proposito, si pensi solo all’istituto della
commendatio, per cui i mercanti veneziani prima di mettersi in viaggio per
raggiungere le più remote plaghe del mondo affidavano le proprie preziose
cartule, in originale o in copia, all’archivio di chiese e monasteri, mettendole
così al riparo dai pericoli maris et gentium (nr. I e III). Alla fine di un percorso di studio e di ricerca archivistica ormai pluriennale mi sono convinto
che per la Venezia del Duecento la documentazione volgare superstite sia sì la
sommità di un iceberg o di uno scoglio per il resto coperto dal mare, ma che
la massa sommersa non sia incommensurabile con la massa emersa; e ciò che
vale per la quantità credo si possa ripetere per la qualità, cioè per la tipologia
dei testi implicati. In altre parole, forse il panorama non è così desolato come
sembra e quel che resta riproduce fedelmente almeno il profilo del perduto
paesaggio originario.
Approfondire la prospettiva storica attraverso la via maestra della ricerca
d’archivio serve anche a togliere da una condizione d’irrelato isolamento –
da bacheca di museo, per usare un’altra immagine di Folena – alcuni testi
delle «origini» particolarmente problematici ed enigmatici. Sia per esempio
il caso della recordacione di Pietro Corner, considerata l’archetipo della tradizione volgare rialtina. Orbene, questo testo si inserisce entro una nutrita
serie di analoghe recordationes o recordaxon dei secoli XII-XIV, e anche
oltre, scritte in latino e in volgare, in contesto sia pubblico sia privato, che
nel loro complesso attestano la grande fortuna veneziana di questo tipo
documentario di valore essenzialmente memorativo ma dotato di una sua
precisa fisionomia diplomatistica e formulare e certamente anche di una sua
efficacia giuridica: recordationes scrivono – cioè (s’intende) fanno scrivere
dal notaio-cancelliere verbalizzante – i Dogi, i Procuratori di San Marco, i
giudici di Petizion ecc. su registri e pergamene che costituiscono la documentazione autentica prodotta dai consilia, dagli officia e dalle curiae dello
Stato; e recordationes scrivono propria manu – o anche loro fanno redigere da
uno scrivano di fiducia – i semplici cittadini e i privati mercanti, senz’altro
consapevoli che quella scrittura pur priva di corroborazione notarile li impegnava in qualche modo e, prodotta innanzi a un’autorità giudiziaria, avrebbe
certo avuto un valore riconosciuto e tutelato dall’ordinamento giuridico in
quanto espressione di una consuetudine diffusa e approvata. A proposito
INTRODUZIONE
XIII
poi della lingua del documento, lo studio di scritture contabili e note dorsali
più o meno coeve scritte «per sé» dai mercanti (nr. I e III) ha permesso di
riconoscervi i tratti di una scripta comune all’ambiente mercantile veneziano
a cavallo tra Cento e Duecento: un registro linguistico intermedio, per sua
natura mescidato e dunque disponibile ad accogliere molti volgarismi lessicali e perfino morfosintattici, ma di base sostanzialmente latina. Un referto
che consiglia di espungere il documento dal novero dei più antichi testi italoromanzi in volgare e forse – conclusione senz’altro più rilevante – fornisce
una spiegazione del ritardo con cui, rispetto a Firenze e alla Toscana, si è
avviata a Venezia una tradizione di scrittura in schietto volgare.
L’utilità di un ampliamento della prospettiva si verifica anche nel caso
di un altro testo problematico delle origini veneziane, il Pactum Soldani
Alapi, che risale al 1207 o 1208 (anno 604 dell’egira), anche se la più antica
copia cancelleresca a noi pervenuta è soltanto della fine del secolo. Questo,
come altri patti e accordi diplomatico-commerciali stretti nella prima metà
del Duecento tra Venezia e alcuni sovrani dell’Oriente musulmano, presenta un diverso tipo di mescidazione, che potremmo chiamare orizzontale,
dal momento che avviene tra lingue romanze sorelle, nella fattispecie tra
veneziano e francese; inoltre, ad aumentare il loro grado di esoticità, questi
documenti sono pieni di formule cancelleresche ricalcate pari pari sugli
originali arabi che verosimilmente traducono, producendo così nel lettore
di oggi (e forse anche di ieri) un singolare effetto di straniamento. Di questi
patti, e di altri consimili databili alla seconda metà del secolo, questo libro
non si occupa ex professo, anche se il loro interesse linguistico e il loro fascino
intrinseco sono tali che spero si possa presto allestirne una riedizione complessiva accompagnata da un adeguato commento filologico, che richiederà
una competenza plurima. Comunque sia, il Pactum Soldani Alapi contiene
molti passi oscuri e apparentemente guasti, che neppure l’encomiabile sforzo
degli ultimi attrezzatissimi editori è riuscito a chiarire del tutto5. A parlar
franco, l’intelligibilità della lettera, non solo in «vuote» parti formulari del
protocollo ma anche in punti cruciali del dispositivo, è nel documento così
precaria – per gli studiosi moderni come, credo, per i veneziani del XIII
secolo – da metterne in serio dubbio la stessa utilità pratica: evidentemente,
da un lato, l’«ufficialità» del testo rilasciato dalla controparte musulmana
faceva aggio sulla sua comprensibilità; dall’altro, la prassi e la consuetudine
5
G. Belloni – M. Pozza, Il più antico documento in veneziano. Proposta di edizione, in
Guida ai dialetti veneti XII, a cura di M. Cortelazzo, Padova, CLEUP, 1990, pp. 5-32. Il testo
del patto è riproposto in I trattati con Aleppo. 1207-1254, a cura di M. Pozza, Venezia, Il
Cardo, 1990, pp. 26-33.
INTRODUZIONE
XIV
mercantili avranno contribuito a dare con i fatti l’interpretazione autentica
dell’accordo. Certo, come è stato detto giustamente, «le ipotesi filologiche
potranno essere opportunamente riviste» solo «quando meglio sarà chiarita
la compagine linguistica del testo»6: appare comunque chiara fin d’ora, proprio in ragione del basso livello di coerenza testuale della traduzione veneziana del 1207 o 1208 (non a caso anonima e priva d’intervento notarile), la sua
radicale diversità da un altro esemplare di versione italoromanza dall’arabo
compiuta in un analogo contesto di diplomazia internazionale, la pisana Pace
col califfo di Tunisi del 9 agosto 1264, che si fa invece ammirare per la sua
solida struttura linguistica, dovuta a un interpres il cui nome, Bonagiunta
da Cascina, è riportato nella sottoscrizione del notaio, Ranieri Scorcialupi,
che redasse il testo in pubblica forma con la sua «grafia bella e ordinata»,
corredandolo di un sistema paragrafematico che rende il testo più facilmente
leggibile e consultabile7.
Quanto alla «compagine linguistica» del Pactum, Folena per primo vi ha
riconosciuto una ben determinata componente francese, in particolar modo
nel lessico e nella fonomorfologia. Tuttavia il grado d’ibridazione tra le due
lingue è forse maggiore di quanto si sia finora riconosciuto, se giunge, come
credo, a toccare la morfosintassi: si veda infatti il finora incompreso face in
«de poi ke fo le face dele avenanteçe e· lo romanente», che sarà il congiuntivo francese face con valore ottativo, come nella formula parentetica «Dex le
face durable» del trattato del 1254; e il calco del tipico costrutto possessivo
la lettre à vous ‘votre lettre’ nel passo «et se avesemo saipudo traslatar la
letera a voi dela mesagiria et enteso avemo ço que dise e le soi parole»8. Sono
Belloni – Pozza, Il più antico documento in veneziano, p. 21.
L. Petrucci, Il volgare nei carteggi tra Pisa e i paesi arabi, in Studi offerti a Luigi Blasucci
dai colleghi e dagli allievi pisani, a cura di L. Lugnani – M. Santagata – A. Stussi, Lucca,
Pacini Fazzi, 1996, pp. 413-426: 416-420 (la citaz. a p. 416); Id., Rassegna dei più antichi
documenti del volgare pisano, in Fra toscanità e italianità. Lingua e letteratura dagli inizi al
Novecento, a cura di E. Werner – S. Schwarze, Tübingen-Basel, Francke, 2000, pp. 15-46:
31-33 e 41. Nei due saggi Petrucci svolge sulla Pace considerazioni che possono tornare utili
anche a proposito del caso veneziano.
8
Intenderei il primo passo nel modo seguente: ‘dal momento che Dio [nominato subito
prima: «e· nome de Deo, lo poderoso e-l pietoso»] gli è stato [favorevole fino ad oggi], gli
faccia del bene nel periodo rimanente [del suo regno]’ (per de poi ke + perfetto cfr. più
innanzi nel testo «de poi qe açonse en la nostra terra amamo lo electo […] Pero Marignuni
lo meso»; è nuova rispetto all’edizione Belloni – Pozza la soluzione e· lo romanente ‘nel
rimanente’, con e· lo = en lo); nel secondo passo il se mi sembra una resa ‘erronea’ di un si
francese con valore rinforzativo del verbo < SÔC, omografo in quella lingua di si congiunzione condizionale < SÔ; intenderei quindi: ‘e (sì) avemmo saputo (= sapemmo, abbiamo saputo;
avesemo è perfetto indicativo) tradurre la vostra lettera dell’ambasciata e abbiamo inteso
6
7
INTRODUZIONE
XV
indizi che inducono a ritenere congenita la mescidazione veneziano-francese
del Pactum, la quale perciò andrà attribuita a un turcimanno in cui le due
varietà interferivano a livello strutturale. Orbene, che nelle traduzioni d’oltremare un tale i b r i d i s m o o r i g i n a r i o fosse la norma – conclusione
che invita una volta di più a non intervenire corrivamente sui testi – è ora
confermato da un diverso, più tardo ma non meno affascinante documento, la lettera (pervenuta verosimilmente in duplice redazione) inviata da
Ghazan, ilkhan di Persia, al Doge di Venezia allo scadere – letteralmente
– del secolo XIII, con la richiesta di fornire un aiuto militare concreto per
combattere il comune nemico mamelucco (nr. VIII). Per altro verso, è assai
istruttivo che la storia del veneziano cominci con un testo il cui autore molto
probabilmente veneziano non era.
Per quanto riguarda la tipologia dei testi in volgare rappresentati in questo
volume, dopo aver segnalato per la loro intrinseca importanza il portolano e
la pratica di mercatura di cui si dà notizia alla fine del nr. II – testi che per
la loro mole e complessità richiedono uno studio monografico –, spicca la
presenza di alcune lettere, una categoria non rappresentata nelle sillogi di
Bertanza – Lazzarini e di Stussi: oltre alla missiva di natura politico-diplomatica, da sovrano a sovrano, di Ghazan, si rimane ancora sul ciglio del secolo
XIII con la lettera che un compagno di prigionia di Marco Polo inviò dalle
carceri di Genova ai Procuratori di San Marco, amministratori dell’eredità
paterna, per batter cassa (nr. VII: in nessun altro luogo, si sa, i soldi servono
tanto quanto in prigione), mentre si passa ai primi decenni del Trecento con
la lettera inviata al prete-notaio Egidio di S. Sofia da un mittente ignoto
ma certamente veneziano (nr. IX; ante 1320) e con quella, probabilmente
autografa, di Elisabetta Quirini a Damiano Quintavalle (nr. X, Addendum
I; 1329)9. Si noterà che nessuno di questi esemplari di corrispondenza veneziana due-trecentesca appartiene al tipo della lettera commerciale, ma questo
non stupisce: l’assenza nel Duecento (almeno per quanto è emerso finora) di
vere e proprie lettere mercantili e il moltiplicarsi invece dei carteggi commerecc.’. Per il tipo la lettre à vous vd. E. Gamillscheg, Historische französische Syntax, Tübingen,
Niemeyer, 1957, p. 180; per l’uso del passé antérieur con il valore di passé simple vd. L. Foulet, Petite syntaxe de l’ancien français, Paris, Champion, 1919, § 240 e F. Jensen, Old French
and Comparative Gallo-Romance Syntax, Tübingen, Niemeyer, 1990, p. 348; per il versante
italiano fa testo F. Brambilla Ageno, Questioni di aspetto (1959), in Ead., Il verbo nell’italiano
antico. Ricerche di sintassi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1964, pp. 299-326: 299-304.
9
È formalmente una lettera anche la ricevuta rilasciata da Michele Zancani a un mercante bellunese (1315: nr. V, § 2); alla seconda metà del Trecento (forse al settimo decennio
del secolo) spetta invece la bella lettera di Cataruza da Pesaro a suo cognato Nicoleto presentata al nr. X, § 4.
INTRODUZIONE
XVI
ciali nei due secoli successivi è ben spiegabile con il passaggio dall’età dei
mercanti viaggiatori a quella dei mercanti residenti (a Venezia) e degli agenti
– stipendiati o a provvigione – su piazza10.
Può invece stupire il fatto che non sia ancora venuto fuori per la Venezia
del Duecento un esemplare di libro contabile in volgare. Dell’esistenza di
quaterni di mercanti e banchieri veneziani ci assicurano, oltre alla logica,
i molti diretti riferimenti che si trovano in documenti latini e volgari del
secolo XIII: per questa tipologia testuale, dunque, la perdita documentale è
certa, e senz’altro di notevoli proporzioni11. A diminuire il rammarico contribuiscono ora gli estratti di libri di conto citati all’interno di atti prodotti
dalle curie e dagli uffici rialtini (nr. V), tanto più che uno di questi – quello
contenuto nella pergamena Quirini – è uno dei testi veneziani in assoluto
più antichi che si conoscano (1270, in copia autentica del 1272)12. Ma quali
sono le ragioni di un naufragio così generale, che tanto più sorprende per
Venezia «se si tien conto del buono stato di conservazione e della ricchezza
dei fondi archivistici duecenteschi»13? Forse una di esse andrà individuata,
molto semplicemente, nella particolare deperibilità dei manufatti: i due soli
esemplari a me noti di libri contabili privati anteriori alla metà del Trecento
consistono in effetti di manoscritti cartacei di piccole dimensioni e di pochi
fogli, giunti fino a noi come fascicoli sciolti privi di coperta protettiva14.
Lane, Storia di Venezia, pp. 162-171; Id., Ritmo e rapidità di giro d’affari nel commercio veneziano del Quattrocento (1973), in Id., I mercanti di Venezia, pp. 123-141, saggio che
mostra (tra molto altro) l’importanza delle lettere dei mercanti come fonte complementare ai
dati offerti dai libri contabili; A. Stussi, Il mercante veneziano (1989), in Id., Lingua, dialetto
e letteratura, Torino, Einaudi, 1993, pp. 107-128: 120. A dire il vero ho reperito, citata all’interno di una sentenza dei giudici di Petizion del 13 dicembre 1284, una lettera d’argomento
mercantile prodotta in giudizio da una delle parti, ma è in latino, proprio come gli exempla
epistolari di Boncompagno da Signa (nr. II, § 1). Conto prima o poi di pubblicarla.
11
Quanto all’inevitabile confronto con la ben diversa situazione toscana, riferisco
un’osservazione rivoltami con il solito acume da Livio Petrucci: «dei poco più che cinquanta
libri mercantili duecenteschi oggi testualmente consultabili, anche solo per estratti notarili,
quarantasei sono toscani, con Firenze che ne conta da sola trentatre: non sarà allora che l’attenzione andrà posta sulla conservazione a Firenze, e più debolmente in Toscana, piuttosto
che sulla dispersione nel resto d’Italia?».
12
La pergamena, rinvenuta da Bianca Lanfranchi Strina nel fondo delle commissarìe
dei Procuratori di San Marco, mi è stata segnalata da Alfredo Stussi, che devo ringraziare
anche per questo.
13
Stussi, Medioevo volgare, p. 32.
14
Il più antico, in latino, registra la contabilità personale di un prete-notaio che commercia in lino tra gli ultimi anni del Duecento e i primi del Trecento (se ne sta preparando
l’edizione); per il secondo vd. in questo libro a p. 231 nota 28.
10
INTRODUZIONE
XVII
Ammesso che tali dimesse condizioni fossero la norma per i libri di conto
veneziani del Duecento, ci si può chiedere se ciò sia in qualche rapporto con
la particolare organizzazione degli affari nella Serenissima, data la predilezione tutta veneziana per l’iniziativa individuale o familiare e la diffidenza
invece per «le società di grandi dimensioni, formate per lunghi periodi fra
molte persone di famiglie diverse», talché, se era proprio necessario far
ricorso a estranei per aumentare il capitale, si preferivano le piccole «società
temporanee e limitate, a cui conviene piuttosto la denominazione di imprese
in nome collettivo»15, appunto come quella messa su tra Marco Quirini e
Paolo Vidal per battere l’oro (nr. V, § 4.1).
Non manca in queste pagine una delle tipologie testuali più largamente
rappresentate nelle sillogi di Bertanza – Lazzarini e di Stussi, la cedola
testamentaria, che anzi risponde all’appello con uno dei suoi esemplari
più antichi (nr. VI; ante novembre 1291), qualunque sia la natura, sotto il
profilo diplomatistico, del frustolo di pergamena che ce l’ha conservata:
vera e propria cedola (autografa o allografa), che pur sarebbe allora priva
della nota di ricezione e autenticazione notarile di cui sono normalmente
corredati i più tardi esemplari cartacei (vd. per es. nr. X, § 5 e Addendum
II), oppure copia semplice ad uso della badessa del monastero di S. Servolo,
nominata fedecommissaria dal testatore, Marino Foscari di S. Pantalon, che
in quel convento aveva sistemato due delle sue tre figlie. Quanto all’origine
del testamento per cedola veneziano, in un’altra parte del libro (nr. V, § 4)
si suggerisce che, in un momento in cui il volgare era finalmente giunto ad
avere dignità di scrittura, cioè nella seconda metà del Duecento, il diritto
veneziano, disposto per sua natura a fornire risposte pragmatiche alle richieste e ai bisogni di una società di mercanti, possa aver accolto e disciplinato
una procedura testamentaria rispondente prima di tutto alle loro esigenze,
che nascevano anche dai rischi e dalle urgenze del commercio marittimo
medievale, dalle situazioni di emergenza in cui spesso veniva a trovarsi il
mercante viaggiatore («quoniam sepe contigit quod nostri fideles in alienis
partibus extra Venecias moriuntur […]»: Statuti veneziani, l. IV, cap. XX).
15
Lane, Storia di Venezia, p. 163. Si tenga presente anche la diagnosi di Luzzatto, Storia
economica, pp. 79-80: «Questa differenza, che può anche apparire come una inferiorità, nel
tipo di organizzazione delle maggiori aziende commerciali veneziane in confronto a quelle
di altre città italiane, può forse trovare una spiegazione nella costituzione aristocratica dello
Stato, che vuole evitare il pericoloso predominio di poche grandi famiglie (…). Ma soprattutto il diverso carattere delle aziende commerciali veneziane si deve alla decisa prevalenza
e alle maggiori necessità del commercio marittimo in confronto del commercio terrestre,
esercitato di preferenza dai grandi mercanti toscani».
XVIII
INTRODUZIONE
Certo si tratta di una delle molte peculiarità giuridiche veneziane, da avvicinare, per rimanere nell’ambito del diritto testamentario, alla soluzione del
testamentum per breviarium – che permetteva di dar valore giuridico alle
disposizioni puramente verbali rilasciate in articulo mortis innanzi a testimoni, ma in assenza di notaio16 – e al particolare statuto delle fedecommissarìe
nominate fuori del Dogado con incarichi ben circoscritti nello spazio e nel
tempo (vd. qui p. 116 nota 82)17.
Nei nr. I, III e X (§ 2) è dato il rilievo che merita, in una rappresentazione
sia pure parziale del veneziano delle origini, al tipo (micro)testuale dell’attergato. Non ripeto qui i motivi per cui queste testimonianze sono importanti,
proprio nella prospettiva, in cui si collocano le Chartae Vulgares Antiquiores,
di una storia parallela e fraterna di lingua e scrittura (vd. qui alle pp. 77-79):
basti dire che lo studio di queste note tergali del XII e XIII secolo – assieme,
ben s’intende, a quello delle sottoscrizioni della parte obbligata, quando
presenti (nr. I, § 3) – permette di mostrare come la scrittura dei mercanti e
della classe dirigente veneziana si sia via via modellata sulla coeva scrittura
notarile-cancelleresca, senz’altro per il tramite dell’insegnamento scolastico
(nr. II, §§ 1-3); consente inoltre di acquisire la straordinaria documentazione,
assai rilevante per la «storia della cultura», di scritture duecentesche di mano
femminile; infine, come dimostrano i ben noti casi di Romano Mairano (nr.
I, § 5.1) e di Guglielma Venier (nr. X, § 2) cui si aggiunge ora quello di Tomà
Michiel (nr. III, Addendum III), ci fa entrare talvolta all’interno dell’archivio
personale o familiare di un mercante del medioevo e «vedere» come le sue
cartule vi erano classificate e conservate.
Due parole di giustificazione sul superamento del limite cronologico
dell’anno 1300 – il termine fissato per il fascicolo veneziano delle ChVA – che
si riscontra negli ultimi due saggi. Per il primo – la lettera a prete Egidio di
S. Sofia – valga l’interesse di presentare, per una data ancora abbastanza alta
(il secondo decennio del Trecento), un esempio di comunicazione epistolare
privata, di contenuto quotidiano e domestico («(E) fame far IIJa [leggi trea]
pèra d(e) çocoli d(e) suro [‘sughero’] alti de do bone deta grose p(er) mi (e)
p(er) Symo(n) co(n) fanestrela (e) co(n) flubeta»), senza dire dell’occasione
16
Una procedura – quella in genere dei breviaria o testificationes giurate, in cui rientra
anche il testamentum per breviarium – che sembrava un’enormità ai giuristi di diritto comune: «de hoc legibus romanis non cavetur et ideo nescio quid sit» commentò sprezzantemente
Odofredo o chi per lui (Statuti veneziani, p. 62, glossa 167 [l. I, cap. XXVIII]; e vd. la Prefazione di Cessi, p. VIII nota 3).
17
Sulle origini e sulla storia del testamento per cedola veneziano farà luce il libro di L.
Petrucci, I testamenti volgari del Due e del Trecento, in c.d.s.
INTRODUZIONE
XIX
offerta di approfondire (come si fa nella Postilla) un argomento particolare di
grammatica storica del veneziano (il tipo morfologico trea pèra ‘tre paia’). Per
il secondo valga invece il grande rilievo storico e culturale, appunto, del tema
dell’alfabetizzazione femminile nel medioevo, dell’accesso delle donne alla
scrittura, un fenomeno per di più che non si lascia documentare facilmente
nel Duecento e per il quale è dunque ragionevole concedere un avanzamento
dei termini.
Ogni testo pubblicato è commentato nella lettera e nei suoi principali
fatti grammaticali. Per quanto riguarda la lingua, a dire il vero, poco o
nulla si aggiunge in queste pagine alla sistemazione e all’interpretazione
dei dati offerte nell’Introduzione ai Testi veneziani del Duecento e dei primi
del Trecento di Alfredo Stussi, che a più di cinquant’anni dalla loro pubblicazione continuano a rappresentare un sicuro punto di riferimento per chi
si occupa di veneziano e più in generale di dialetti settentrionali antichi.
E assieme ai Testi veneziani ho avuto sempre presente, come un faro che
orienta infallibilmente nelle vicende linguistiche e letterarie della Venezia
due-trecentesca, il grande affresco storico-linguistico del Medioevo volgare
veneziano, un saggio in cui si temperano in modo mirabile le ragioni della
«storia esterna» della lingua con quelle della sua «storia interna».
Dei saggi qui pubblicati sono inediti i nr. VII e VIII, mentre il nr. IX è
in corso di stampa nel vol. «Acciò che ’l nostro dire sia ben chiaro». Scritti
per Nicoletta Maraschio, a cura di M. Biffi et alii, Firenze, Accademia della
Crusca. Gli altri sono apparsi originariamente nelle sedi seguenti:
I. La «scripta» dei mercanti veneziani del medioevo, «Medioevo romanzo»,
XXXVI (2012), pp. 62-97.
II. Il mercante veneziano del Duecento tra latino e volgare: alcuni testi esemplari, «Studi linguistici italiani», XLI (2015), pp. 3-36.
III. Note dorsali veneziane del Duecento, «La lingua italiana», X (2014), pp.
17-39.
IV. Rendiconti duecenteschi in volgare dall’archivio dei Procuratori di San
Marco, «Lingua e Stile», XLIX (2014), pp. 5-37.
V. Estratti da libri di mercanti e banchieri veneziani del Duecento, «Lingua e
Stile», L (2015), pp. 25-62.
VI. Il testamento di Marino Foscari, in Lingua, letteratura e umanità. Studi
offerti dagli amici ad Antonio Daniele, a cura di V. Formentin et alii,
Padova, CLEUP, 2016, pp. 85-95.
X. Scritture femminili veneziane del medioevo, «Atti e Memorie dell’Accademia Galileiana di Scienze, Lettere ed Arti», CXXVII (2014-2015), Parte
III: Memorie della Classe di Scienze Morali, Lettere ed Arti, pp. 63-101.
XX
INTRODUZIONE
Tutti i saggi già editi sono stati in varia misura ritoccati e aggiornati; ai nr.
I, III, IV e X segue inoltre una serie di Addenda, che – sebbene ragioni d’ordine cronologico o tipologico-testuale potessero consigliare d’intercalarli
nel corpo del saggio – si è preferito presentare separati, anche per suggerire
l’idea di una ricerca non già morta – almeno per il suo autore –, ma ancora
vitale e in continuo progresso e affinamento. Quanto alle Note paleografiche
che Antonio Ciaralli ha dedicato alle scritture veneziane pubblicate nei nr.
II, III e IV e già ospitate in rivista (nr. II, IV) o nella sezione del sito dell’Archivio di Stato di Venezia riservata alle ChVA (nr. III), ora si possono leggere
nel sito internet del progetto, all’indirizzo «www.chartaevulgaresantiquiores.it»; inediti sono invece i commenti stesi dallo stesso Ciaralli a corredo
delle didascalie che accompagnano le Tavole del volume.
Nel corso delle ricerche che hanno dato forma a questo libro ho ricevuto
indicazioni e suggerimenti molto utili da Paola Barbierato, Attilio Bartoli
Langeli, Andrea Bocchi, Donato Gallo, Pär Larson, Reinhold C. Mueller,
Armando Petrucci, Livio Petrucci, Andrea Saccocci, Alessandra Schiavon,
Alfredo Stussi e Maria Teresa Vigolo: a tutti esprimo la mia viva riconoscenza. Un ringraziamento speciale rivolgo ad Antonio Ciaralli e a Nello
Bertoletti, che condividono con me la passione per il progetto delle ChVA e
senza i quali non mi sarei messo in pelago col rischio di rimanere smarrito.
È un piacere, infine, rinnovare il ringraziamento al Direttore dell’Archivio
di Stato di Venezia, Raffaele Santoro, che assieme ad Alessandra Schiavon
ha fatto molto per facilitare le mie ricerche nel grande Archivio dei Frari.
Padova, novembre 2017
Poscritto. Questo libro esce che Armando Petrucci, da qualche giorno, non c’è più.
Anzi, c’è ancora, perché queste pagine, come tante altre, di tanti altri, sono un
frutto anche del suo seme.