NADIA BARRELLA
Sui musei napoletani: spunti di riflessione dalle riviste
(1860-1920)
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el corso di questa nostra lunga e articolata ricerca sulle riviste ho spesso preferito la
dimensione monografica dell’indagine intesa come affondo sulle peculiarità di una rivista1 che mi ha consentito di cogliere le posizioni di gruppi d’intellettuali, le caratteristiche
di un particolare periodo storico o comunque di uno specifico progetto editoriale. Di recente sono occupata soprattutto dei periodici nati nel XIX secolo rivolgendomi, solo di recente, a quelli editi nei primi decenni del Novecento.2 Tra questi, nonostante la più ampia
presenza dell’argomento “arte”, è quasi sempre risultato abbastanza ridotto lo spazio dedicato al museo. Quel poco emerso, tuttavia, se mi è consentito il paradosso, è risultato essere assolutamente “inedito”. dall’altro ha fatto emergere- confrontando gli spunti di ricerca
offerti dai diversi articoli schedati con la bibliografia esistente e i suoi contenuti - la notevole
limitatezza degli studi sui musei napoletani. Non parlo tanto delle principali vicende storiche della loro fondazione cui i cataloghi, chi più chi meno, fanno sempre riferimento,
quanto piuttosto della necessaria riflessione sulle scelte sottese a una donazione; sulle forme
espositive che nel corso degli anni hanno raccontato una scelta critica o presentato un problema metodologico3; sulle modalità di gestione del museo4; sugli strumenti che si offrivano
al pubblico e via discorrendo. Questo tipo di approccio allo studio dei musei napoletani
che è poi, per me, il vero approccio museologico, è tutto da farsi. E le ricerca sulle riviste
ha lasciato scorgere la concreta possibilità di farlo. E’ ormai da qualche tempo, pertanto,
che sto spostando lo sguardo dalla peculiarità delle singole riviste ad alcuni specifici argomenti da esse trattati, al loro ripetersi in sedi editoriali e momenti diversi, alle immagini
pubblicate, agli eventi raccontati, a quanti se ne occuparono5. Userò dunque il notevole
patrimonio d’informazioni emerso dalla nostra ricerca per precisare il “fenomeno culturale”
museo nella sua generalità, nella sua forma e nella sua configurazione in una determinata
realtà storica, politica e sociale. Considerata l’attuale frammentarietà delle mie ricerche6,
tuttavia, in questa sede mi limiterò a un elenco delle tematiche individuate partendo da
quelle, numerosissime, relative ai “musei” privati (collezioni ampiamente fruibili per volontà
dei loro possessori) e al rapporto, molto poco sondato, tra collezionismo privato e museo.
Fonte inesauribile di notizie è, innanzitutto, la rivista «Napoli Nobilissima». Sia nella
prima che nella seconda serie compaiono diverse descrizioni di raccolte private, non solo
napoletane, che andrebbero studiate o approfondite: il settecentesco museo di Alessandro
Maria Kalefati7, il Museo Valletta8 o, solo per limitarmi a quelle che maggiormente stimo-
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lano la mia curiosità, la raccolta di mirabilia di Santa Caterina a Formello9. Dalle riviste
provengono dati per lo studio delle forme espositive di raccolte poi musealizzate e documenti ad esse relativi. Un esempio tra i più interessanti, sempre da «Napoli Nobilissima»,
è l’articolo di Antonio Maresca, intitolato Il Museo del duca di Martina.10 Lo scritto consente
di cogliere molto bene la grandiosità della raccolta, la notevole eterogeneità di materiali e
lascia intuire la complessità della forma espositiva originaria comprensibilmente legata
anche alle esigenze di decorazione di un aristocratico appartamento privato. Oltre alle riflessioni offerte dalla notevole attenzione data dallo studioso alla descrizione delle miniature
e degli smalti, lo scritto di Maresca rappresenta un fondamentale punto di partenza per lo
studio, ancora tutto da farsi, sul rapporto tra la forma originaria ed il primo allestimento
museale nella Villa Floridiana curato da Carlo Giovene di Girasole11 che, negli anni che videro il dibattito museografico italiano orientarsi decisamente in direzione del museo d’ambientazione, tentò di restituire al percorso museale pubblico il calore della precedente
dimora aristocratica. Lo stesso articolo, inoltre, si apre con una rapida introduzione sul collezionismo privato a Napoli che consente, per la prima volta in un periodico (lo rifarà con
ancor maggiore ampiezza Bartolommeo Capasso nella rivista di “indole varia” «Rassegna
italiana [industriale, agraria, commerciale, finanziaria, politica, letteraria e artistica]»)12, di
riflettere sulla continuità e la peculiarità della storia del collezionismo meridionale che resta
ancora una “zona d’ombra”, un racconto molto frammentario.
Dalla più nota rivista napoletana del secondo Ottocento (ma anche dall’utile intreccio
dei contenuti della rivista con quelli dei quotidiani del tempo) provengono riflessioni sul
gusto del pubblico- si ricavano spunti sulle reazioni dei colti visitatori del Museo Nazionale13- o, per San Martino, le indicazioni di Vittorio Spinazzola14. Davvero interessanti, queste ultime, perché attestano quanto il primo direttore del Museo nella Certosa osservasse e
valutasse, anche ai fini della programmazione complessiva dell’allestimento museale, gli atteggiamenti dei visitatori. «Nel Museo Nazionale di San Martino – scrive - in uno degli armadi della bella sala, dove accanto agli abiti dei grandi dignitari della corte borbonica,
conservansi le ceramiche dei Del vecchio ed i Vetri di Murano, è esposta, fra le altre chincaglierie, una testa di legno di buon lavoro, non notata oggi dalle guide, né dai visitatori
ma oggetto, come pare, un tempo di molta curiosità popolare. Gli inventari dei queste collezioni[…], la indicano come una testa di Masaniello; ma tale denominazione non valse a
procurarle maggior considerazione del cinto di castità che le è accanto».15
Nella rivista si discute di scelte espositive non fatte (si vedano, per il Museo nazionale,
le dettagliate riflessioni su nuclei di oggetti poco valorizzati); di quelle fatte male, di quelle
realizzate16. Ancora su San Martino, si legge, ad esempio, «della grande sala dei marmi riapparsa colorita d’un bel rosso mattone, caldo e pacato, sul quale i vecchi marmi rosi e ingialliti ottengono il più giusto e delicato rilievo: e in verità – si aggiunge- ci pare che quella
tinta delle pareti sia da considerare come la sola che convenga ad una opportuna e decorosa
esposizione delle sculture antiche»17 .
L’attenzione costante rivolta, non solo in Italia ma anche all’estero, al Museo Nazionale
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e la sentita necessità di una riorganizzazione complessiva del sistema espositivo statale a
Napoli fa si che molte riviste si trasformino nello strumento privilegiato per seguire le proposte di nuovi allestimenti e di spazi museali alternativi al Palazzo degli Studi (si pensi ai
primi progetti di musealizzazione del Palazzo Reale di Napoli di cui ho parlato in occasione
del convegno su Malaguzzi Valeri18), e in spazi di divulgazione di nuove metodologie utili
alla progettazione degli allestimenti museali. Valga, in tal senso, il riferimento di Antonio
Filangieri di Candida al lavoro “preparatorio” d’indagine storica che deve «precedere
quello di ordinamento» perché «forma lo Stato civile dei quadri»19. La metodologia d’approccio indicata dallo storico allievo di Venturi in «Napoli Nobilissima» troverà poi ne «Le
Gallerie nazionali italiane»20 più ampio spazio ed un cospicuo corredo di note ricche di riferimenti archivistici ancora oggi utilissimi alla storia degli ordinamenti della nostra pinacoteca.
Altre sollecitazioni interessanti provengono da «Flegrea», rivista napoletana con vocazione internazionale, voluta da Riccardo Forster21 e pubblicata tra il 1899 e il 1901. Redatta
grazie alla collaborazione di scrittori nazionali e internazionali22 convinti della necessità di
sprovincializzare la cultura italiana, «Flegrea» appare sensibile al dibattito internazionale
sul museo (interessanti alcuni riferimenti alla fatica da museo e alla “stanchezza” da sovraffollamento d’immagini che in quegli stessi anni porta von Bode ed altri a parlare di ‘doppia
ripartizione’23) e presenta un’acuta e precorritrice riflessione sulle ampie competenze necessarie ad un direttore del museo: «E veramente per dirigere un Museo – si legge- massime
in una regione così fertile di cose antiche come questa, ei sarebbe costretto ad avere le qualità più disparate […] alle attitudini e abitudini dell’uomo di studio dovrebbe congiungere,
non solo le abilità ordinarie di buon amministratore, ma tutta la scaltrezza, la velocità, la
felice prepotenza, la fortuna nei colpi di mano, d’un questore o d’un prefetto»24. Negli spazi
che «Flegrea» dedica all’arte, emerge una significativa messe di materiali validi ai fini della
storia del dibattito sulla tutela del patrimonio25 (ancor più efficaci perché relativi agli anni
che portarono alla definizione della prima legge nazionale sui beni storico-artistici) e, anche
qui, preziose tracce per la storia del collezionismo coevo (gli autori segnalano vendite e lamentano la perdita d’importanti collezioni private come quella Charlesworth26 o la più nota
Vonwillwer27). Nell’articolo dedicato a quest’ultima, riflessioni che aggiungono utili indicazioni sullo spazio che, nel quadro dell’offerta museale napoletana, si pensava potesse occupare il Museo di Capodimonte, all’epoca soprattutto spazio di esposizione dell’Ottocento
napoletano28. La Galleria Vonwiller “accanto alla Pinacoteca reale di Capodimonte, dava
agl’italiani e ai forestieri il concetto di un intero, luminoso movimento d’arte, d’una bella e
forte reazione contro l’Accademia”29. A Napoli, continua l’articolo ponendo l’accento sui
limitati spazi espositivi pubblici per l’arte moderna, “per la scarsezza e ora prossima assenza
di gallerie moderne artistiche, il disastro della soppressione o mutilazione è ancora più irreparabile e più desolante che nelle altre città italiane”30. Appare quindi, più che una notizia,
un suggerimento quanto riportato nella pagine successive a proposito di un’iniziativa di
Gustave Kahn: “lo squisito critico s’è posto a capo di un’iniziativa per un Museo volontario”
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organizzato da un comitato d’ammissione (“formato da critici d’avanguardia che, in ogni
tempo hanno avuto ragione contro tutti [..] e qualche critico ufficiale, se non altro per suo
addottrinamento e sua elevazione culturale”) incaricato di scegliere pitture e sculture donate
da artisti che, in qualche modo potessero essere una “preparazione alle pinacoteche dello
Stato” dal momento che “quando lo Stato s’accorgesse finalmente della bellezza delle tele
non comprese da principio, gli sarebbe dato il privilegio di poterle acquistare, senza grave
dispendio”31.
L’esposizione, la conservazione e la fruizione della produzione artistica contemporanea
sarà uno dei temi ricorrenti nell’ultimo anno di pubblicazione della rivista che più volte sosterrà la necessità di spazi museali aperti al contemporaneo. «La presidenza dell’Esposizione
di Venezia si fa propugnatrice […] dell’istituzione di nuove gallerie italiane d’arte moderna
e incita quelle che già ne esistono a tener di conto i migliori quadri e le più ammirate sculture degli artisti della propria Regione […]. Così solamente, si potrebbe rendere duraturo
il risveglio pubblico per le forme dell’arte e impedirne la ricaduta nel sonno o nell’indifferenza […] Gli acquisti fatti dalla Commissione di scelte delle opere della Galleria veneziana
d’arte moderna […] suffragano il principio dell’utilità della Galleria moderna ed esprimono
con l’applicazione quali devono essere i suoi fini e quale alto valore estetico deriva loro dai
recenti acquisti nazionali» . Tutto questo a Napoli non trova seguito. “A Napoli – si legge
– il Comitato per l’arte pubblica32 ha dato così tenace prova di esistenza oscura ed anonima
e dove non è molto s’è smembrata la Galleria Vonwiller, chi mai pensa a una Galleria d’arte
moderna?”33. L’anno dopo ci penserà un “gruppo di eminenti cittadini” – un ulteriore tassello che va ad aggiungersi allo studio dei progetti espositivi per Napoli- che acquistano alcuni dipinti di pittori napoletani presenti all’Expo di Venezia con l’intenzione di costituire
il primo nucleo di una Galleria d’arte moderna. Di quest’ulteriore proposta, anche considerando gli illustri promotori34, potrebbe essere utile seguirne le vicende e le ragioni del
fallimento.
Le possibili strade di approfondimento della vicenda storica dei musei napoletani non
si fermano certo solo a questi rapidissimi esempi elencati perché molti percorsi sono sollecitati anche dal raffronto tra i temi emersi dalle riviste napoletane, con quanto, sugli stessi
istituti o argomenti viene (quasi contemporaneamente) riportato nelle riviste specialistiche
o in quelle di ampia divulgazione pubblicate altrove in Italia. Napoli e l’indiscutibile qualità
del suo patrimonio culturale sono costantemente al centro degli interessi della giovane nazione. Riserverò per un’eventuale altra occasione la riflessione sull’ampio articolo dedicato
al Museo Filangieri che Gustavo Frizzoni pubblica ne “L’Archivio Storico dell’arte”35 ma,
e con questo concludo, mi piace ricordare una particolare possibilità di affondo offerta da
“L’Illustrazione Italiana” che, dalla storia di questo museo, può ricondurre a più ampie
considerazioni sulle contraddizioni del sistema di tutela della giovane Italia. Dopo aver riportato, nel 1881, la notizia della donazione del museo alla città, segnalandone anche status
giuridico e modalità di organizzazione, il periodico scende in campo per far voto contro
una delle tante anomalie della legislazione italiana: la richiesta del Fisco a Filangieri di ver-
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sare 300.000 lire come tassa di donazione. Il periodico si schiera contro la paradossale pretesa e riporta le parole della vivace reazione del Principe Filangieri: “Farò così: Napoli, per
quanto mi dolga, non mi avrà. A Parigi mi offrono tre sale del Louvre: io accetterò l’offerta.
Però una scritta dirà: Questo museo era destinato alla città di Napoli, ma la rapacità del
Fisco italiano ha costretto il proprietario a mandarlo all’estero”36. Fortunatamente, come
auspicò il periodico, nel voto alla Camera, almeno in questo caso, prevalse il buon senso.
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Faccio riferimento ai miei contributi su «Napoli Nobilissima» (N. Barrella, “Come capitoli di un libro per la storia della
città”: la prima serie di Napoli Nobilissima tra erudizione, topografia e storia dell’arte, in Sciolla G.C. (a cura di), Le
riviste d’arte in Italia dall’Ottocento all’età contemporanea. Forme, modelli, funzioni, Milano, Skira Editore, 2003, p.
27-35) e su «Poliorama Pittoresco» (Ead., Il dibattito sui metodi e gli obiettivi dello studio dell’arte a Napoli negli anni
40 dell’Ottocento e il ruolo di Poliorama Pittoresco, in A.Rovetta, R.Cioffi (a cura di), Percorsi di critica: un archivio per
le riviste d’arte in Italia dell’800 e del ‘900, Milano, Vita e Pensiero, pp.. 21-34).
L’assenza di specializzazione riguarda soprattutto le riviste ottocentesche. Più orientate alla militanza e aperti alla riflessione sul patrimonio culturale quelle novecentesche da me prese in considerazione («Cimento», «Flegrea», la seconda serie di «Napoli Nobilissima» (1920-1922) . Tra i periodici di ampia divulgazione e di diffusione nazionale,
l’«Illustrazione Italiana».
Su questo filone d’indagine N.Barrella, Il racconto dell’arte nel museo post-unitario: Musei a Napoli 1870-1910, in «Annali
di critica», 2013
E’ questo uno degli aspetti più interessanti e assolutamente insondati dei musei non solo napoletani ma, in generale
italiani. Eppure è proprio la totale assenza di una seria riflessione storica sui regolamenti dei musei, sul personale, sui
costi delle attività etc. che non permette, ancora oggi, di cogliere fino in fondo le ragioni dei tanti fallimenti e dell’arretratezza di molta parte del sistema espositivo del nostro Paese.
N. Barrella, Spunti dalla stampa periodica: aspetti del museo ottocentesco ne «L’Illustrazione Italiana», in R.Cioffi- R.
Scognamiglio (a cura di), Mosaico. Temi e metodi d’arte e critica per Gianni Carlo Sciolla, Napoli 2012, pp. 483-496.
E’ ancora in fieri la mia ricerca sul sistema espositivo napoletano dell’Ottocento che dovrà tentare di far luce e di ri
Notizie e osservazioni, Il Museo Archeologico di Oria e Mons. Kalefati, in «Napoli Nobilissima», n.s., vol II, a.
MCMXXI, pp. 95-96.
G. Consoli Fiego, Il Museo Valletta, in «Napoli Nobilissima», II serie, Vol. III, Napoli 1922, pp. 105-110, 172-175.
Sulla figura di Giuseppe Valletta cfr. G.D’Agostino, Cultura e politica a Napoli tra Sei e Settecento: Francesco D’Andrea,
Giuseppe Valletta e Pietro Giannone, in «Archivio Storico per le province napoletane», a.88 (1970), pp.399-408. Note
sulla collezione, oltre allo storico testo di A.Bellucci, Il fondo vallettiano della biblioteca oratoriana di Napoli, detta dei
Girolamini, in «Il Fluidoro», a. I, nn. 5-6, si trovano anche in A.De Simone, La collezione antiquaria della biblioteca
dei Girolamini di Napoli, in Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli, Napoli 1975.
V. Spinazzola, Di una testa del Museo di San Martino rappresentante Masaniello, in «Napoli Nobilissima», I serie, vol,
VII, 1898, p. 89. Sulla collezione e, soprattutto, sulla cultura del suo promotore, utile ad una più ampia valutazione
del collezionismo di mirabilia nella Napoli seicentesca, cfr. Maurizio Di Gregorio, «Le coselline di un ometto curioso»,
a cura di D. Caracciolo e G.de Miranda, in Collana dei Dipartimento dei beni delle Arti e della Storia, n.38, Lecce
2008. Cfr. anche il più recente saggio, della stessa D.Caracciolo, Il “Sogno” di un collezionista del Seicento napoletano.
Maurizio di Gregorio tra riscrittura e plagio, in «Parole rubate. Rivista internazionale di studi sulla citazione», n.4, Dicembre 2011, pp.131-147.
A. Maresca di Serracapriola, Il Museo del Duca di Martina, in «Napoli Nobilissima», I serie, vol.II, 1893, pp.49-52, 7477, 109-11.
Nato a Napoli nel 1868, Carlo Giovene di Girasole, erudito, archeologo e collezionista di arti applicate, curò la prima
sistemazione del Museo Duca di Martina e del Museo Correale di Sorrento. Cfr. D.Stiaffini, Il Duca Carlo Giovene di
Girasole e i vetri della sua collezione, in Atti della III Giornata Nazionale di Studio Il vetro fra antico e moderno. Milano 31 ottobre1997, Milano 1999, pp.77-80. Su questa figura di appassionato collezionista e allestitore di raccolte
private, mancano ancora oggi studi adeguati. Per un possibile percorso di ricostruzione della sua collezione cfr. Collection de Mr. Carlo Giovene di Girasole. Object d’Art et de Haute curiositè, Firenze, 1925 e Catalogo delle Collezioni
Duca Carlo Giovene di Girasole di Napoli e Giovanni F.Springer di Trieste e altri. Porcellane, maioliche, argenti,
bronzi, vetri, quadri, tappeti, sculture, peltri, mobili, Roma 1933.
N. Barrella, Per la storia del collezionismo a Napoli: percorsi di ricerca da un articolo di Bartolomeo Capasso, in Studi
in onore di Franco Bernabei, Padova, in corso di stampa.
Il Museo nazionale fu costantemente oggetto di attenzioni della rivista. Difficile elencare in nota tutti gli articoli utili
che «Napoli Nobilissima» dedicò al più grande museo meridionale tra il 1892 e il 1922. Si rimanda pertanto agli indici
del periodico oggi consultabili anche online sul sito dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici, www.iiss.it.
V. Spinazzola, Di una testa del Museo di San Martino …cit., pp.87-90.
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Ivi, p.88. Merita di essere riportato per intero, il passo in cui Spianzzola ricostruisce le vicende collezionistiche del
pezzo «I Padri predicatori fondarono, infatti, nel primo ventennio del secolo XVII, un vero museo di curiosità in quel
loro convento, dove, tra le altre cose, prese posto questa testa voluta di Masaniello. Era chiusa in una cassettina, come
rilevasi da una guida che il padre girolamino D.Pietro d’Onofri stampò di quel museo nel 1791, e sul coperchio portava
l’indovinello abbastanza chiaro:
Ebbi in Napoli ignobile cuna e vile
Fui pieno d’ardi, pieno di vizi, in loco
Di tumulti mi trassi. A me simile
Volgo sano commossi, e a poco a poco
Sdegnai me stesso ed il mio stato umile
Empio eccitando e temerario foco.
Ma volendo smagliar le mie ritorte
Anziché libertà trovai la morte.[…].
E’ riportata per la prima volta nella guida nel 1791 ma lo stesso Capasso la fa risalire al tempo del vice-reame spagnolo,
quando quel simulacro di legno dovè entrare nella raccolta dei padri. E dovè entrarvi per tempo. Sorta nel primo ventennio del secolo, quella raccolta di cose antiche e peregrine si andava formando proprio nel tempo degli avvenimenti
che Masaniello capitanò e ai quali suoi fondatori assistettero. Qual meraviglia che una immagine del Capopopolo fosse
portata presto o poi a quei frati o ch’essi pensassero a procurarsene alcuna per la loro raccolta di cose rare? […] Dovettero in Napoli, così vivo il celebre popolano come non appena morto, mettersi in giro, poiché la richiesta ne dovette
essere grandissima, immagini sue d’ogni specie ed in ogni materia…. Figurarsi se in un modo o nell’altro i Padri Predicatori di Santa Caterina a Formello non vollero avere per la loro raccolta una testa di Masaniello, e se, trattandosi
di un luogo che i contemporanei visitavano, di un museo, non cercarono di averne una più o meno somigliante, sia
che fosse ritratta direttamente dall’originale, sia che fosse fatta di memoria ma secondo una recente e terribile visione
del mozzo capo-come par più probabile».
Valgano per tutte le polemiche sul Museo Nazionale presenti soprattutto nelle annate 1900-1902 della prima serie della
rivista.
Notizie e osservazioni, Nel Museo di San Martino, in «Napoli Nobilissima», n.s., vol II, a. 1921, pp. 94-95. Sempre al
fine di suggerire percorsi di studio da intraprendere merita di essere evidenziato l’assoluto disinteresse finora mostrato
per le trasformazioni che interessarono i musei napoletani tra le due guerre. Quasi sempre ignorate dalla storia dei
nostri musei, queste trasformazioni sono invece segno di un tentativo, non sempre riuscito ma comunque fatto, di
adeguare i vari poli espositivi napoletani al vivace dibattito sul museo che negli stessi anni modificava forma e funzione
del museo in Europa e che, grazie all’OIM, portò alla I Conferenza nazionale di Madrid del 1934 che, di fatto, segna
la nascita della moderna museografia.
N. Barrella, Storia delle arti, delle industrie, del Regno: Benedetto Croce e le proposte di musealizzazione del Palazzo
Reale di Napoli nei primi decenni del XX secolo, in Francesco Malaguzzi Valeri (1867-1928). Tra storiografia artistica,
museo e tutela, Atti del convegno di studi, Milano-Bologna, Milano in corso di stampa.
A. Filangieri di Candida, La Pinacoteca di Napoli ed il suo riordinamento, in «Napoli Nobilissima», I serie, vol.X, 1901,
pp.33-35
A. Filangieri di Candida, La Galleria Nazionale di Napoli, in «Le Gallerie Nazionali Italiane», V, 1902, pp.
Nato a Zara nel 1869, Riccardo Forster, giornalista e scrittore, aveva collaborato alle principali riviste letterarie del
tempo tra cui il «Marzocco», la «Nuova Antologia» ed «Emporium». Trasferitosi a Napoli nel 1898, fu il critico d’arte
de «Il Mattino», quotidiano che avrebbe poi diretto dal 1925 al 1928. Per maggiori dettagli sull’attività di Forster e
per «Flegrea» rimando al volume curato da D. de Liso, «Flegrea» 1899-1901, Napoli, ESI, 2006. Nel volume, che ben
precisa il ruolo della rivista nel panorama napoletano, manca tuttavia qualsiasi approfondimento sui temi storico-artistici che rappresentano una componente di non poco conto e che restano, pertanto, tutti ancora da sondare.
Per l’ampio elenco dei collaboratori si rimanda a D. de Liso, «Flegrea» cit… pp. 48 e ss. La diffusione internazionale
della rivista è confermata anche dalla presenza, sul retro di copertina, degli indirizzi dei librai presso i quali abbonarsi
in Austria, Egitto, Francia, Germania, Inghilterra, Russia, Spagna, Svizzera e Turchia. D. de Liso, op. cit., p. 44.
Interessantissima è la Rassegna d’arte di Diego Angeli che apre il terzo volume. Intitolata Il principio d’un Regno, la
rubrica contiene stimolanti riflessioni sulle condizioni della storia dell’arte in Italia che val la pena riportare. «Noi abbiamo fatto un qualche progresso visibile: si è riconosciuta la necessità di una cattedra a Roma dove il Venturi insegnava
finora sotto la continua minaccia di vedersi ringraziato da un giorno all’altro, si sono creati giornali che specializzano
la materia come l’Arte di Roma, come la Napoli Nobilissima, come l’Italia artistica di Milano, come l’Emporium di
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Bergamo e come quella nuova rassegna, già annunziata, che comincerà fra poco la serie delle sue pubblicazioni sotto
la direzione geniale di Corrado Ricci. Di più anche nelle monografie artistiche si è avuto un notevole risveglio e mentre
il Ministero della Pubblica Istruzione pubblicava quel suo meraviglioso Bollettino delle Gallerie che può oramai competere con le migliori opere d’Inghilterra e di Francia, il Venturi ci dava i due bei volumi della Madonna e della Galleria
Crespi iniziando inoltre la ristampa delle Vite di Giorgio Vasari che, condotta a compimento, sarà la più completa
storia della nostra arte che mai sia stata scritta [..] Ho citato – continua Angeli- le opere più recenti e più importanti,
ma queste sono tali da indicare il risveglio di un interesse, nel pubblico, per la storia della sua arte. Persino le signore
romane, che fino adesso si contentavano di possedere i bei quadri e i bei palazzi senza curarsi di sapere quale valori
essi rappresentassero nella storia del pensiero umano, hanno voluto istituire uno speciale corso di conferenze che illustrassero i diversi periodi dell’arte italiana, dai balbettanti affreschi delle catacombe, fino alle armonie discorsi dei
nostri giorni». La rassegna passa poi a discutere delle politiche culturali del Ministero, criticando aspramente l’attività
di Baccelli soprattutto per quel che concerne musei e gallerie ai quali mancano “ fondi, locali e personale”. D.Angeli,
Rassegna d’arte, in «Flegrea», a. III, vol. I, pp. 553-557.
F. D’Ovidio, Lamentazioni archeologiche, in «Flegrea», 1901, II vol., fasc., p. 204.
«Bisogna che diciamo il vero – si legge ad esempio nel testo sopra citato- in questa faccenda dei monumenti e oggetti
d’arte, la nuova Italia s’è condotta in modo singolare. In quarant’anni, fra tante leggi buone e cattice che ha sfornate,
non ha saputo dare un qualunque assetto legislativo anche a codesta materia così gelosa. In mancanza, deve ricorrere
qua a Decreti di Ferdinando primo o secondo, là all’Editto del cardinal Pacca. Quando si tratta di arte o di scavi, deve
scavare anche le leggi, e rimettere, diciam così, in circolazione certe vecchie monete logore con effigie.
«Il signor Charlesworth, ricco cittadino inglese che morì, l’anno scorso dopo una dimora di trent’anni, in Napoli,
aveva con fatiche e spese raccolto nella sua casa moltissime tra le migliori porcellane che produsse la fabbrica fondata
in Napoli da Carlo III di Borbone, nota col nome di fabbrica di Capodimonte. Il fratello ha ora messo in vendita la
raccolta che, in massima parte, fu acquistata da un personaggio inglese, residente in Londra. Così una delle più importanti collezioni private di porcellane passa all’estero. Indarno l’Ufficio Esportazione del Museo Nazionale di Napoli
fermò le casse in partenza. Il professor Tesorone, chiamato in qualità di perito, mise in evidenza il valore storico e il
pregio artistico d’alcune di quelle opere. Ma tutto ciò, aggiungetevi le cautele e le premure della Direzione per le Belle
Arti al Ministero dell’istruzione, non riuscì ad impedire che la raccolta emigrasse, essendo impossibile l’acquisto delle
porcellane da parte del Ministero, per la solita povertà o assoluta assenza di mezzi.
Come parziale conforto valga la notizia che alcune porcellane furono acquisite da collezionisti napoletani. Fu disposto
dal Ministero che i pezzi più pregevoli della raccolta venduta all’estero vengano riprodotti in fotografie e acquerelli,
affinchè non sparisca del tutto il ricordo fra noi. Della fabbrica di Capodimonte sta ora scrivendo una storia documentata il professor Tesorone ed egli si servirà certo acconciamente anche di questo materiale pur troppo scomparso
e rimasto in Italia solo allo stato di immagine fotografica o pittorica», Rubrica L’Arte, trafiletto dal titolo La vendita
di una collezione di porcellane di Capodimonte, in «Flegrea», a. III, fasc. 2, p.83. Molto simile a questa la notizia a firma
di Antonio Filangieri di Candida riportata in Notizie di Napoli, ne «L’Arte», 1901, p.74. Di questa notiza credo sia
utile ricordare la seguente osservazione.«Non potendosi acquisire gli oggetti d’arte da parte del Ministero, per la mancanza di mezzi, così spesso deplorata, bisognerà che quelle bellissime opere seguano il loro cammino fatale, mentre a
noi resta soltanto il guardare con dispiacere profondo l’estinguersi fra noi dei migliori ricordi della storia di un’industria
memoranda, che, con le stoffe di San leucio e gli arazzi di Caserta Vecchia, contribuiva al vanto dell’Italia meridionale
in un periodo fastoso dell’arte decorativa europea. Per fortuna non tutte queste belle porcellane sono destinate all’estero: alcune acquistate da colleionisti napoletani, rimarranno almeno per qualche tempo ancora sotto il cielo ove
furono plasmate, insieme con le importanti collezioni del duca di sangro, del principe Filangieri (ora nel Museo omonimo), del conte Correale, e con gli oggetti del barone Spinelli, del principe della Roccella, della rincipessa di cassaro
e di altre cospicue famiglie napoletane». Nella stessa rivista, nello stesso anno, l’articolo di G.Tesorone, La porcellana
di Napoli e la collezione Charlesworth, in «L’ Arte», 1901, Appendice: Arte decorativa, pp. 13-20. Lo stesso autore
aveva già illustrato la Collezione nel saggio Un orologio in porcellana e la Real fabbrica di Capodimonte, in «Arte italiana
decorativa e industriale», a. IX, ottobre 1900, n.10, pp.77-78. Sulla collezione Charlesworth resta il catalogo della vendita all’asta del marzo 1900, Collezione W. Charlesworth. vendita all’asta pubblica per decesso.Marzo 1900, Napoli 1900.
La Galleria Vonwiller, in «Flegrea»,, a.III, vol. II, aprile 1901, pp. 181-182.
Organizzato da Annibale Sacco, direttore amministrativo di Casa Savoia, il Palazzo di Capodimonte viene utilizzato
per conservare ed esporre dipinti sparsi fra le varie residenza reali con la chiara ambizione di formare una pinacoteca
che rappresentasse la storia cronologica dell’Arte napoletana ‘durante quest’ultimo secolo’ . Cfr. M.A. Picone Petrusa,
Annibale Sacco e la formazione delle collezioni moderne del Museo di Capodimonte, in «Prospettiva», nn.57/60, a. 1989-
SUI MUSEI NAPOLETANI: SPUNTI DI RIFLESSIONE DALLE RIVISTE ( 1860-1920)
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1990, pp.392-400.
Ivi, p.181. «Ricordava ancora- si legge nell’articolo- il periodo in cui l’arte napoletana esercitava un imperio, e s’accentrava in modo da dare al Mezzogiorno una sua speciale, esuberante, audace, innovatrice signoria artistica.[…] Allora, l’arte del mezzogiorno s’imponeva, comandava il rispetto e l’ammirazione all’Italia, diceva qualche parola nuova
anche all’estero e simboleggiava, sopra tutto, una regione nella sua esuberanza del colore, nella sua aspirazione solare
della luce, nel suo desiderio ardente di figurare con la grande forza e la immensa fraternità di simpatia che genera
l’arte, in una patria compostasi eroicamente a nazione».
Ibidem. La vendita della galleria diventa l’occasione per una feroce accusa all’assenza di una legge nazionale di tutela
del patrimonio storico-artistico: «Da noi lo Stato permette ogni sperpero, senza predilezione per il vecchio o il nuovo,
con identica piatta, stracciona incuria dei suoi tesori antichi, come dei moderni […] Ah, l’Italia è proprio la terra degli
emigranti, ma non solo carne umana essa accatasta sui piroscafi salpanti dai porti di Genova e di Napoli,[…] essa
oblia o dirige verso l’America anche i lavoratori dell’arte, banditi o vivi o morti, dalle gallerie pubbliche o private, essa
dissemina, nella survivenza delle loro opere, negli angoli più remoti, staccando tutti i rami dagli alberi dove nacquero,
vissero, verdeggiarono insieme.». La perdita della Galleria fu vissuta anche come una sconfitta della città. Riporto, a
conferma di ciò, alcune parti della commemorazione di Domenico Morelli fatta da Edoardo Dalbono «Quando seppi
che la galleria Vonwiller era stata messa in vendita, mi vince l’animo una profonda tristezza. Io pensavo, ed avevo sempre pensato, che quella collezione sarebbe rimasta in via dei Guantai Nuovi n.68, per tutti i secoli dell’avvenire. L’idea
che le opere ivi raccolte dal vecchio commendatore D.Giovanni Vonwiller, opere che erano state scelte con criteri
molto sapienti e che rappresentavano tutto un lungo periodo dell’arte della pittura italiana e massimamente napoletana
[…]. In quella galleria erano, oltre ai quadri di maestri dell’Italia superiore (a cominciare dal glorioso Hayez), una
ventina di opere del nostro Morelli, ed opere sue di epoche diverse, così che si poteva, in uno sguardo complessivo,
vedere, ammirare e studiare le evoluzioni del suo genio pittorico e la varietà delle sue attitudini. Già il comm. Vonwiller
– e fu una fortuna davvero,- quasi presago della triste sorte la quale doveva incogliere alla sua collezione, aveva voluto
che uno dei più sentiti e dei più ammirati quadri del Morelli fosse sottratto a un ingrato destino: e così, uno dei capolavori del maestro, voglio dire il tasso che legge la gerusalemme a Eleonora d’este, fu devotamente donato, e amabilmnete accettato da chi meglio d’ognuno poteva intendere quell’arte e quel dono, dalla nostra augusta Margherita di
Savoia, che volle, con pensiero veramente regale […] porlo nella pinacoteca di capodimonte, degna stanza per esso.
Il disastro (poiché così credo di definir quella vendita) ebbe luogo nei giorni del 15, 16, 17, 18 aprile di questo corrente
anno 1901. La mirabile collezione andò dispersa!», in D.Morelli – E.Dalbono, La scuola napoletana di pittura nel secolo
Decimono Nono e altri scritti d’arte, a cura di B.Croce Bari, Laterza, 1915.
Un’iniziativa di Gustave Kahn, in «Flegrea», a.III, vol. III, 1901, p.186.
Gallerie d’arte moderna, in «Flegrea», a.III, vol. IV, 1901, p.376. Sull’attività di questi comitati rimando agli studi di
G.Salvatori, La Storia dell’arte alla prova della modernità. Ruolo e riverberi critici della Società e dei Comitati per l’Arte
Pubblica in Italia dal 1898, in «Annali di Critica d’Arte» 2013 (in corso di stampa) ed Ead., Intorno alla rivista “L’Art
Public”: convergenze internazionali fra ‘800 e 900, in Scritti in onore di Franco Bernabei, a cura di M. Nezzo e G. Tomasella, Treviso 2013 (in corso di stampa).
Ibidem. Sempre sulla Società per l’arte pubblica e sulla scarsa presenza a Napoli si legga anche quanto segue: «E la
società per l’arte pubblica a Napoli? Che cosa è? Un’istituzione già mummificata prima di dar segno di vita? Un feto
in ispirito? E sì che non mancò né di solennità pomposa né di verbosità vana la giornata dell’inaugurazione che promise
molto e che non mantenne nulla»(La Societàa.III, vol.II, p. 84).
Enrico Arlotta, Principe di Candriano, Principe Giuseppe di Canneto, principessa di Cassaro, Benedetto Croce, Erric
Curati, Duca D’Eboli, Giustino Fortunato, Annibale de Giacomo, Pasquale Grippo, Teresa Maglione Oneti, Duca di
Marigliano, Ada Minozzi, Nicolò Mollo, Giuseppe Schettino, Principe di Sirignano. L’elenco dei nomi, in cui appaiono
molti senatori e deputati del Regno, è riportato nell’articolo Galleria d’arte moderna, «Flegrea», a.III, vol, IV, p.91. I
dipinti in questione sono un Paesaggio di Federico Rossano e il Ponte sulla Senna di Giuseppe De Sanctis che «figureranno decorosamente in una galleria d’arte moderna napoletana, a pena questa comincerà a costituirsi». La finalità
dell’istituenda Galleria è, secondo la rivista, innanzitutto “educativa” ma, ed è anche questo il dato interessante, non
si pensa ad un’educazione degli artisti (ossia ad una galleria come spazio dei modelli) bensì del pubblico cui occorre
ormai rivolgersi anche per stimolarne senso critico e capacità d’intervento attivo sulla produzione artistica contemporanea. «Perché possano ritornare i fasti del periodo palizziano e morelliano, deve anche nel pubblico nostro propagarsi
il desiderio di concorrere con illuminata, quasi profetica intelligenza all’incoraggiamento di ogni artista nostro che
spezzi le file della volgare schiera, che esca fuori dei ranghi sia pure con la ricerca d’un’originalità ancora non bene
chiara, non bene consapevole di se stessa, dei suoi mezzi di lotta, delle sue probabilità di vittoria». Appare evidente,
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nel breve articolo, anche la consapevolezza di un’avvenuta scissione tra produzione artistica contemporanea e mercato
dell’arte locale che nuovi istituti culturali e nuove strategie di comunicazione potrebbero in qualche modo ricomporre:
«bisogna che scompaia il pregiudizio dei nostri artisti dell’assoluta indifferenza napoletana per un bel quadro o una
plastica statua, poiché a creare un tale stato di cose, essi hanno pure contribuito in parte, come, crediamo, stia nelle
loro facoltà, se non di toglier di mezzo, di diradare la lamentata apatia. L’istituzione di una galleria d’arte moderna in
Napoli, dopo la dispersione e l’emigrazione di tanti lavori, dopo la sparizione delle più celebri gallerie moderne, sarebbe, un raro benefizio; genererebbe un po’ di movimento, sospingerebbe gli artisti a una più disciplinata e più fiduciosa attività e li metterebbe di nuovo a contatto del pubblico. La Galleria, oltre la sua importanza conservatrice,
non mancherebbe di sviluppare un’energica ed efficace azione in favore dell’arte e degli artisti napoletani».
G. Frizzoni, Il Museo Filangieri in Napoli, in “Archivio Storico dell’arte”, a.1889, II, pp.293-300
L’Illustrazione Italiana, a.1888, n., pp.