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SIMONETTI, Leonardo («Simonito Leonhardus», «Suemanitij Leuharden»). – Figlio di Simone, donde probabilmente l’antroponimo Simonetti, nacque a Merano nel 1587 (Venezia, Archivio storico del Patriarcato, Matrimoniorum, 1627). Portatosi a Graz, in data imprecisata, si formò sotto la guida di Matthia Ferrabosco nella cappella dell’arciduca d’Austria e futuro imperatore Ferdinando II, ove prestò servizio come «Kapellknabe» a partire dal 1596-97 (Federhofer, 1953, p. 210). La permanenza alla corte di Graz è documentata fino al 1609 e non dovette comunque protrarsi oltre l’estate 1611: verosimilmente fin dal novembre-dicembre di quest’anno Simonetti era giunto a Venezia, dove il 3 gennaio 1612 venne formalmente assunto come «cantor soprano» nella cappella ducale di S. Marco (Venezia, Archivio di Stato, Chiesa actorum, 140). L’arrivo e l’insediamento in laguna di un musico «todesco» non costituivano un fatto eccezionale: lo attestano l’assunzione in basilica negli stessi anni di Gottardo Ubiali, «cantor qual si partì dal servitio dell’Arciduca Ferdinando», e di un non meglio precisato «Zorzi todesco cantor». Tra Venezia e le corti asburgiche (Graz in particolare) v’era infatti un canale di comunicazione attivo fin dalla metà del secolo XVI: un flusso prevalentemente orientato da Venezia verso la Stiria, ma che occasionalmente, dati gli stretti rapporti della corte ferdinandea e del suo Kapellmeister Pietro Antonio Bianchi con Giovanni Gabrieli (all’epoca ancora pienamente operativo in Basilica), poteva scorrere anche in direzione opposta. Ammesso in cappella con riserva (la nomina avrebbe dovuto essere «rivista in capo de sei mesi») e un salario annuo di soli 40 ducati, nell’arco di un anno riuscì a ribaltare le perplessità iniziali: il 4 gennaio 1613 i procuratori di S. Marco non solo riconfermarono l’elezione ma, vista «la buona servitù da lui prestata nell’anno passato», gli aumentarono lo stipendio annuo di 15 ducati (Venezia, Archivio di Stato, Chiesa actorum, reg. 140). Nel 1613 si stabilì nella centrale contrada di S. Salvador, ospite dell’editore musicale Bartolomeo Magni in quella che era stata la casa-officina di Angelo Gardano e che continuava essere la sede delle gloriose edizioni dell’«Orso et Lion» (Archivio storico del Patriarcato, Matrimoniorum). Il dato spiega le ragioni delle sue future iniziative editoriali e della collaborazione con Magni, per il quale egli forse agì, se non come consulente musicale, certamente come anello di collegamento con i musici della cappella marciana. Nel 1619 curò la pubblicazione dei Celesti fiori musicali di Alessandro Grandi, la prima di tre importanti edizioni di musica ecclesiastica da lui raccolte e pubblicate per Magni-Gardano. Nel frattempo la sua posizione in cappella si fece via via più solida, come risulta da due successivi aumenti salariali ottenuti il 31 gennaio 1615 e il 16 aprile 1626, che elevarono il suo stipendio annuo alla onorevole cifra di 80 ducati (Fabbri, 1985, p. 381). Nel gennaio 1626, pochi mesi dopo la pubblicazione della sua massima fatica editoriale (la Ghirlanda sacra, vedi infra), Simonetti strinse una relazione di parentela spirituale con il tipografo bresciano Giovanni Battista Bizzardi (Venezia, Archivio storico del Patriarcato, Parrocchia di S. Samuel, Battesimi), evento sintomatico della sua confidenza con gli ambienti della stampa in laguna, ma forse anche di un vagheggiato progetto di autonoma impresa editoriale. Nel luglio 1627 venne convocato nella cancelleria patriarcale, ove rilasciò una testimonianza giurata sui natali legittimi e l’onorabilità di Natale Magni, terzogenito dell’editore, prossimo a entrare nei Canonici regolari di S. Salvatore: è questa la fonte archivistica più tarda finora emersa circa l’evirato meranese. Il che fa credere che la dedica, datata 1° giugno 1630, della terza e ultima edizione musicale da lui curata (Messa e salmi di Alessandro Grandi) costituisca l’ultima traccia pervenuta della sua esistenza, e che egli possa essere deceduto nel contagio che tra il 1630 e il 1631 stroncò quasi un terzo della popolazione veneziana. Soprano evirato, Simonetti non fu un cantante del rango di Antonio Grimani (assunto in basilica nel 1617 con un salario d’ingresso di ben 100 ducati), né godette mai delle potenti protezioni di quest’ultimo e, diversamente da tanti altri musici marciani assunti in quegli anni (come Alessandro Grandi, Francesco Cavalli, Giovanni Felice Sances, Giovan Pietro Berti), non si cimentò mai nella composizione. Nondimeno riuscì a ritagliarsi una certa visibilità e a conquistare la fiducia di alcuni tra i musici più autorevoli della scena veneziana. Determinante nella costruzione della sua immagine di curatore editoriale fu, oltre alle strette relazioni con Magni, il rapporto con Alessandro Grandi, autore di due delle tre edizioni da lui curate. Compositore tra i più dotati in Venezia, tra il 1617 e il 1620 Grandi fece una travolgente ascesa in S. Marco e, come attestano le numerose ristampe delle sue raccolte di musica concertata sacra e profana, godé di un’ampia fortuna editoriale. Il successo di Grandi suscitò di rimando del risentimento in basilica, ma le sue doti furono riconosciute da diversi colleghi marciani che come Berti, Antonio Gualtieri e Giovan Battista Marinoni divennero suoi seguaci ed estimatori; Simonetti fece parte di questa cerchia e nel 1619 omaggiò il compositore consegnando ai torchi di Magni i Celesti fiori, un quinto volume di «suoi concerti a 2, 3 e 4 voci con alcune cantilene nel fine» che il cantante tedesco nella eulogistica lettera dedicatoria indirizzata allo stesso Grandi sostenne di aver «raccolto furtivamente», a insaputa dell’autore. Se è dubbio che la raccolta, per la coerenza e la qualità del contenuto sia stata il bottino di un “furto” di materiale di “scarto”, assemblato senza il consenso del compositore, certo è che l’operazione, come attestano le successive tre ristampe del 1620, 1625 e 1638, ebbe successo e Magni fu ben contento di poter contendere (come effettivamente fece tra il 1619 e il 1621) al rivale Giacomo Vincenti il più richiesto dei musici veneziani del momento. L’impresa editoriale più significativa di Simonetti fu la Ghirlanda sacra scielta da diversi eccellentissimi compositori de varij motetti a voce sola (Venezia 1625, ristampata nel 1630 e 1636). Contenente 46 brani di 27 diversi compositori, la collettanea testimonia la perdurante e ormai generalizzata voga del canto a voce sola accompagnata in ambito ecclesiastico e offre un eloquente sguardo d’assieme sulla scena musicale veneziana del momento. Simonetti non lascia fuori nessuno: ci sono tutti i grandi nomi dello staff marciano, con in testa il maestro di cappella Claudio Monteverdi (4 brani), seguito da Giovanni Priuli, storico organista della basilica divenuto poi maestro di cappella dell’imperatore Ferdinando II (2 brani), Giovanni Rovetta (1), Alessandro Grandi (4), Giovanni Pietro Berti organista in basilica (1), Gasparo Locatello ex maestro di canto del Seminario marciano e degli «zaghi» della basilica (2), il falsettista don Vido Rovetto da Piove (1), i cantori Giovanni Massiccio (1) e Domenico Obizzi (1) e perfino il defunto maestro di cappella Giulio Cesare Martinengo (1). Vi sono poi figure impegnate in altre istituzioni ecclesiastiche, come Giacomo Finetti, l’autorevolissimo maestro della basilica dei Frari (1 brano), Giovanni Picchi organista della medesima (1), Francesco Usper organista in S. Salvador (2), Carlo Milanuzzi organista nel convento di S. Stefano (1), Pietro Francesco Caletti Bruni alias Cavalli, futuro dominus dei teatri d’opera cittadini e all’epoca organista nel convento dei SS. Giovanni e Paolo (1), Giacinto Bondioli priore in S. Domenico (1) e Dario Castello, chierico in S. Beneto e precocissima stella dello strumentalismo veneziano (1). Infine, oltre ad alcuni musici «foresti» come Amadio Freddi, Leandro Gallerano e il napoletano Gio. Maria Sabino, vi compare una figura centrale nella locale storia del canto a voce sola come Bartolomeo Barbarino, detto il Pesarino (2 brani). Quattro anni dopo questa ingente operazione Simonetti tornò a editare un libro di opere di Grandi: Raccolta terza [...] de messa et salmi a 2, 3 e 4 voci (Venezia 1630). Testimonianza del legame di stima e amicizia che dovette intercorrere tra i due, la raccolta, che nel 1632 Magni completò poi con sei parti di ripieno, contiene, oltre a una notevole messa concertata, 11 salmi, uno dei quali «in ecco» di Giovanni Croce. La dedica a Grandi acclusa all’edizione, estremo gesto di apprezzamento e lode nei confronti del compositore veneziano che di lì a poco rimase vittima del contagio, costituisce anche l’ultima testimonianza dell’attività e dell’esistenza di Simonetti. Fonti e bibl.: Venezia, Archivio di Stato, Procuratoria de supra, Chiesa Actorum, reg. 140, c. 120v (3 gennaio 1612 [m. v. 1611]); ibid., c. 138v (4 gennaio 1613 [m. v. 1612]); ibid., reg. 141, c. 12 (31 gennaio 1615); ibid., reg. 142, c. 138 (16 aprile 1626); Venezia, Archivio storico del Patriarcato, Curia, Sezione antica, Legitimitatum, reg. 20, cc. 27r-v, 5 luglio 1627; ibid., Parrocchia di S. Maria Formosa, Battesimi, reg. 4, lettera O, cc. nn. (8 novembre 1616); ibid., Parrocchia di S. Samuel, Battesimi, reg. 2, c. 104 (4 gennaio 1626 [m. v. 1625]); H. Federhofer, Matthia Ferrabosco, in Musica Disciplina, VII (1953), p. 210; Id., Graz court musicians and their contributions to the Parnassus musicus Ferdinandaeus (1615), in Musica Disciplina, IX (1955), pp. 167-244; Id., Musikpflege und Musiker am Grazer Habsburgerhof der Erzherzöge Karl und Ferdinand von Innerösterreich (1564-1619), Mainz 1967, p. 211; D. Arnold, A Venetian anthology of sacred monody, in Florilegium musicologicum Hellmut Federhofer zum 75. Gerburtstag, a cura di C.-H. Mahling, Tutzing 1988, pp. 25-35; P. Fabbri, Monteverdi, Torino 1985, pp. 258, 261, 381; R. Baroncini - S. Saunders, The composer, in A. Grandi, Il quarto libro de motetti a due, tre quattro, et sette voci (1616), a cura di D. Collins e R. Kendrick, Münster – Middleton, Wi., 2015, pp. XI-XXXIV. Rodolfo Baroncini