LA SACERDOTESSA DEL TRIPODE DI SESTO CALENDE
E LE SUE SORELLE
Donne sacre nella cultura di Golasecca
di Laura Violet Rimola
Nel Museo Civico Archeologico di Sesto Calende, proprio al centro della sala
principale, è esposto un ricco corredo funerario risalente al VI secolo a.C.,
occasionalmente scoperto nel marzo 1977 nella zona Mulini Bellaria a Sesto Calende,
a pochi passi dalle sponde del Ticino. La piccola necropoli di cui faceva parte era
disposta lungo il terrazzo del fiume e comprendeva sepolture di due fasi distinte, la
prima riferibile al periodo che intercorre fra la fine del IX e gli inizi del VIII secolo
a.C. (Golasecca I A2) e la seconda all’ultimo quarto del VI fino agli inizi del V secolo
a.C. (Golasecca II B) (1). La fase a cui appartiene il corredo in esame è la seconda.
Osservando la vetrina in cui sono disposti i reperti, si nota subito la targhetta con la
breve spiegazione:
“Tomba principesca appartenente a persona di sesso femminile. Pur depredata
parzialmente in antico, ha conservato reperti di grande pregio, testimoni degli scambi
culturali ed economici della Cultura di Golasecca.”
Gli oggetti esposti sono quindi solo una parte del corredo originario (2), e
comprendono diverse coppe di ceramica, una pregiata fusaiola d’ambra, perle
globulari d’ambra, pendenti d’ambra dalla forma antropomorfa stilizzata, un bracciale
di legno fossile, un lungo ed elaborato pettorale composto da trenta catenelle
terminanti ognuna con un piccolo pendaglio di bronzo a forma di goccia, e alcuni
elementi dell’abbigliamento femminile, come fibule e il fermaglio rettangolare di una
cintura di cuoio. I reperti più preziosi, oltre che significativi per comprendere a chi
appartenesse il corredo, sono tuttavia una situla di bronzo decorata a sbalzo e un bacile
di bronzo sorretto da un tripode di ferro con piedini antropomorfi, entrambi legati alla
sfera rituale, in particolare il bacile, che era utilizzato per svolgere pratiche divinatorie.
Questi due reperti permettono quindi di classificare la donna sepolta come una
sacerdotessa, vissuta sulle sponde del Ticino, nei pressi dell’attuale Sesto Calende,
durante la metà del VI secolo a.C.
Tutti i manufatti del corredo erano stati suoi, e rispecchiano il ruolo, nonché l’aspetto
che aveva avuto durante la sua vita. La si può infatti immaginare vestita di un abito
lungo e diritto – secondo lo stile dell’epoca – dalla stoffa morbida, fermata in vita da
una cintura di cuoio con la fibbia rettangolare. Aveva fibule alle spalle, il collo ornato
di pendenti e perle d’ambra, e un vistoso bracciale di legno al braccio. È probabile che
il grande pettorale a catenelle non venisse da lei indossato quotidianamente, ma solo
durante certi rituali, quando si serviva anche della situla e del prezioso tripode, nel cui
bacile si affacciava per divinare, il volto riflesso sulla superficie dell’acqua.
Anche la fusaiola doveva avere per lei uno scopo sacro, in quanto fatta interamente
d’ambra, a differenza di quelle delle donne comuni, che solitamente erano fatte di
ceramica. È quindi possibile che facesse parte anch’essa degli strumenti rituali
associati al culto che la donna praticava e rappresentava agli occhi del suo popolo.
Il suo ruolo doveva essere molto rispettato, e lei molto amata, basti pensare che il suo
corredo, nonostante depredato in buona parte dai tombaroli, rimane il più ricco del
museo – più ricco anche di tutti i corredi maschili. Questo suggerisce che la sua
posizione all’interno della comunità era primaria ed estremamente importante.
Sebbene non ci sia dato conoscere come vivesse e quali fossero le sue mansioni
sacerdotali, così come i rituali che conduceva, è possibile trarre ancora qualche indizio
osservando più da vicino i suoi strumenti sacri, nonché l’ambiente in cui trascorse la
sua vita. All’interno delle coppe raccolte dalla sua tomba è stata rilevata la presenza di
offerte alimentari, e nonostante l’acidità del terreno è stato possibile individuare alcuni
resti di ossa di volatili, e tracce di un liquido che potrebbe essere latte (3). Alla
sacerdotessa erano stati offerti latte e uccelli, forse per nutrirsi, anche se è possibile
che gli uccelli ricoprissero il ruolo di psicopompi e che le fossero stati affiancati
perché accompagnassero la sua anima durante il viaggio oltremondano.
Inoltre, analizzando la situla a spalla cordonata, caratteristica della cultura di
Golasecca, si nota che il manico termina da entrambi i lati con un motivo a S che dà
forma a due testine ornitomorfe stilizzate. È quindi ipotizzabile che la sacerdotessa
fosse legata agli uccelli e alla loro simbologia. Viveva sulle sponde bagnate dal fiume
con il suo popolo, a pochi passi dal Lago Maggiore, e forse parte dei suoi culti erano
rivolti a divinità delle acque, della terra fertile e dell’aria, eredi dirette della neolitica
Dea Uccello che incarnava fecondità, nutrimento, abbondanza, fortuna, e si
manifestava in forma di uccelli acquatici come cigni, anatre, aironi, ma anche folaghe
e svassi. Gli stessi uccelli che ancora oggi nuotano quieti sulle acque del Ticino,
proprio di fronte al centro abitato di Sesto Calende.
Ma non erano solo il fiume e il lago a far parte del paesaggio sacro in cui visse la
misteriosa sacerdotessa. Molto vicino alla sua sepoltura sorge infatti il gigantesco Sass
da Preja Buja, un complesso di massi erratici di serpentino verde presso i quali si sono
svolti rituali pagani sin dall’alba dei tempi. Il masso più grande mostra una
caratteristica forma di chioccia – da cui il nome chioccia d’oro o pita d’oro – con la
testa d’ariete, mentre la pietra orizzontale posta ai suoi piedi presenta diverse incisioni
in forma di anelli, sedili, numerose coppelle, ed era utilizzata come altare.
È innegabile che la sacerdotessa di Sesto Calende ben conoscesse il megalite, e lo
frequentasse abitualmente, ovvero che proprio davanti ad esso praticasse alcuni dei
suoi riti, usando la grande pietra coppellata come ara su cui è probabile lasciasse
offerte di cibo e di liquidi come il latte, il sangue e forse qualche tipo di bevanda
fermentata prodotta all’epoca, come il vino di uva o frutta selvatica e la birra rossa
aromatizzata (4). Le coppelle, inoltre, è possibile fossero utilizzate nei rituali curativi.
La pioggia che si raccoglieva al loro interno assorbiva le proprietà minerali della pietra
e veniva usata per guarire certe infermità.
È importante aggiungere che la mattina di ogni equinozio primaverile i primi raggi
solari illuminano l’occhio della chioccia litica, inciso nella pietra a forma di sole
raggiato. È quindi possibile che una delle celebrazioni svolte accanto al megalite fosse
proprio dedicata alla rinascita solare, ovvero al ritorno della luce dopo il buio e freddo
inverno. E forse in queste occasioni la sacerdotessa indossava le sue collane e i
pendenti d’ambra, pietra solare per eccellenza, che rilucevano dorati sul suo collo e
richiamavano anch’essi il sorgere del nuovo sole.
Infine, si ricorda che per tradizione il masso erratico è sempre stato associato alla
Grande Madre, e ancora in tempi relativamente recenti, le donne che desideravano
avere figli, o un parto facile, vi si recavano e lo toccavano con il ventre – o si sedevano
sui sedili incisi sull’altare. È quindi probabile che parte dei riti praticati alla Preja Buja
fossero dedicati al divino femminile e alla sua armoniosa influenza sul corpo delle
donne. (5)
Il Sass da Preja Buja aveva dunque una parte essenziale nella vita della nostra antica
donna, ma non era l’unico complesso megalitico che lei conosceva, e forse
frequentava. Proseguendo lungo il sentiero a margine del quale sorge la grande
chioccia di pietra, raggiungendo la sommità della collina e inoltrandosi nel folto del
bosco, si può trovare fra la fitta vegetazione un altro simbolo degli antichi culti della
zona, ovvero un piccolo dolmen. Sotto le sue pietre si nasconde una camera sepolcrale,
da cui negli anni ‘60 venne trafugata un’urna cineraria, e nonostante non si abbia
alcuna certezza in merito, si può presumere che anche in questo caso l’urna fosse
accompagnata da un corredo.
Anche se ai giorni nostri questo dolmen è quasi del tutto sconosciuto, è verosimile che
fosse ben noto all’epoca in cui visse la nostra sacerdotessa, la quale forse vi si recava
per svolgere alcuni dei suoi rituali in armonia con la natura, o semplicemente per
celebrare il ricordo di chi vi era sepolto: probabilmente una donna o un uomo che
godeva di particolare rispetto e onore fra gli antichi abitanti del posto.
In base ai reperti rinvenuti e alle caratteristiche del territorio al quale appartengono, è
quindi possibile accennare un ritratto della misteriosa sacerdotessa di Sesto Calende, la
quale doveva senza dubbio essere una profetessa, una divinatrice che sapeva vedere e
leggere segni e presagi nelle acque del bacile, una filatrice che utilizzava la fusaiola
d’ambra per motivi cultuali, una donna sacra che indossava quotidianamente e/o
durante certi rituali gli ornamenti distintivi che l’hanno accompagnata nella morte. Era
una depositaria della tradizione cultuale del suo popolo, un’incarnazione vivente del
divino che guidava spiritualmente la propria comunità, una sposa della terra, del sole e
del fiume, forse intimamente legata agli uccelli acquatici e al loro volo, e praticava
antichissimi riti al cospetto della Preja Buja.
Purtroppo fra gli oggetti depredati dai tombaroli dal suo corredo funerario vi è anche
la sua urna. Questo grande vaso cinerario di ceramica decorata che conteneva le sue
spoglie, non è mai stato trovato, e se non è andato perso potrebbe fare parte di qualche
illecita collezione privata.
Il corredo sacerdotale, o almeno quel che ne è rimasto, è stato separato dalla sua
legittima proprietaria, e lei non c’è più. Ma la sua storia è rimasta impressa nei suoi
oggetti, nei luoghi che frequentava, nella cura con cui è stata sepolta. E proprio grazie
ad essi, a distanza di millenni, questa antica donna può essere di nuovo conosciuta e
ricordata, e la sua memoria onorata come lo era un tempo.
Le sacerdotesse del tripode di Golasecca
Come abbiamo visto, la tomba del tripode di Sesto Calende offre abbastanza indizi per
tentare di conoscere colei che vi era stata inumata. Tuttavia occorre dire che non è
l’unica sepoltura con queste caratteristiche, poiché ne sono state trovate altre molto
simili, sia nella stessa zona, a Castelletto Sopra Ticino, sia in altri centri di sviluppo
della cultura di Golasecca, ovvero nel comasco, in località Rondineto, e nel vercellese,
nei dintorni di Pezzana.
Queste tombe femminili erano tutte dotate di tripode con bacile divinatorio, dunque
appartenevano ad altrettante sacerdotesse, e inoltre, fatta eccezione per quella di
Castelletto che è di poco precedente, sono contemporanee. Le donne che vi giacevano
avevano vissuto tutte nello stesso periodo storico, svolgevano pratiche rituali simili –
se non identiche – usando gli stessi strumenti sacri e probabilmente celebravano gli
stessi culti. È quindi lecito domandarsi se in origine facessero parte dello stesso centro
cultuale, ovvero di una sorta di arcaica sorellanza sacerdotale stanziata nel primo
centro di sviluppo della cultura di Golasecca, e si fossero poi separate, seguendo – o
guidando – i gruppi che si spostarono verso il comasco e il vercellese per cercare
nuove terre da coltivare e abitare, ovvero per espandere e far fiorire in altri luoghi la
propria cultura.
Non potendo trovare conferma a questa affascinante ipotesi e dovendoci limitare a
considerare solo ciò che è dimostrabile in base ai reperti raccolti, è tuttavia possibile
affermare che nella cultura di Golasecca le donne, in particolare quelle che, per via
della presenza nelle loro sepolture di oggetti a destinazione rituale, svolgevano il ruolo
di sacerdotesse, godevano di un’importanza e di una considerazione uniche. I loro
corredi, seppure spesso saccheggiati e quindi dimezzati, erano i più ricchi (6), i loro
oggetti i più raffinati e pregiati. Erano punti di riferimento a cui gli abitanti del
villaggio chiedevano consiglio e responsi profetici, e guidavano la vita spirituale
celebrando gli antichi riti ai piedi delle antiche pietre, immerse nei boschi rigogliosi, o
sulle quiete spiagge bagnate da fiumi e laghi. Ma soprattutto, erano percepite come
tramiti fra l’umano e il divino. Inseparabili dalla divinità stessa, poiché donne, creature
sacre per natura.
APPENDICE
I corredi delle sacerdotesse
Tomba di Sesto Calende – Località Mulini Bellaria
Ultimo quarto del VI e inizi del V secolo a.C.
Il corredo della sepoltura detta “tomba del tripode”, scoperta in località Mulini Bellaria
a Sesto Calende comprende ceramiche, ornamenti e oggetti riferibili all’abbigliamento
femminile, una situla di bronzo e un tripode. Gli oggetti di ceramica sono composti da
“una gran coppa ad alto piede svasato a tromba con orlo a tesa, quattro coppe ad alto
piede con un motivo a raggiera reso a stralucido all’interno della vasca, due con orlo
rientrante e due con orlo diritto; un boccale a corpo tronco-conico, collo distinto e
orlo esoverso.” (7)
Gli ornamenti e gli oggetti relativi all’abbigliamento annoverano un bracciale, o
armilla, di legno fossile, lignite o sapropelite, un fermaglio rettangolare in lamina
bronzea che faceva parte di una cintura di cuoio ricoperta interamente di piccole
borchiette di bronzo; dieci fibule, cinque delle quali a sanguisuga; quattro fibule ad
arco composto che presentano tracce di rivestimento in corallo; una grande fibula ad
arco composto, che “recava appeso all’ardiglione un pendaglio lungo 50 cm, formato
da un elemento tubolare di verghetta bronzea avvolta a spirale e ripiegato a U
rovesciata, dai capi del quale fuoriescono due coppie di sostegni che reggono trenta
lunghe catenelle, ciascuna delle quali terminante con un pendaglietto di bronzo del
tipo a goccia”; diverse perle d’ambra che forse in origine erano infilate nell’ardiglione
delle fibule, una fusaiola d’ambra e due pendagli d’ambra stilizzati in forma
antropomorfa femminile, forse parte di una stessa collana.” (8)
La situla di bronzo appartiene al tipo “con spalla cordonata, caratteristico della
cultura di Golasecca per tutto il VII e VI secolo a.C.”; è caratterizzata da un manico le
cui estremità terminano “con la caratteristica piegatura a S, che forma il motivo della
testa ornitomorfa stilizzata” ed è decorata a sbalzo con borchiette e puntini.
Il tripode è “costituito da un bacino in lamina bronzea a corpo leggermente carenato,
fondo a calotta e orlo esoverso a tesa”. Il suo supporto è formato da “tre aste di ferro
fissate da una parte all’orlo e alla parete del bacino e inserite dall’altra in un
peduccio di bronzo fuso a forma di gamba umana.” (9)
Il corredo si trova attualmente al Museo Civico di Sesto Calende.
Tomba di Castelletto Sopra Ticino – Località Motto della Forca
Metà e terzo quarto del VI secolo a.C.
Più antica rispetto alle altre, e quindi appartenuta a una sacerdotessa che visse pochi
decenni prima, è la tomba scoperta nel 1877 a Castelletto Sopra Ticino, in località
Motto della Forca – oggi Motto Falco – che appartiene alla fase cronologica
precedente quella di Sesto Calende, ovvero al periodo fra la metà e il terzo quarto del
VI secolo a.C. (Golasecca II A-B).
Il corredo è composto da: “un’urna cineraria a corpo biconico globoso decorata a
stralucido, un bicchiere a corpo globoso, collo distinto e labbro estroverso, una
ciotola coperchio a basso piede e orlo introflesso, un piccolo boccale a corpo
globoso, due coppe tronco-coniche con labbro diritto e basso piede svasato a tromba,
una quarantina di armille di bronzo del tipo a capi aperti, 12 anellini di argento e un
anello di bronzo infilati sull’ardiglione di una fibula, forse del tipo a navicella, ormai
non più rintracciabili. Il tripode aveva un bacino di lamina bronzea a forma di calotta
con orlo esoverso a tesa.” Le tre zampe di sostegno, fatte di ferro, erano frantumate in
tredici frammenti e all’epoca del ritrovamento non sono state ritenute degne di nota,
così non sono state conservate. (10)
Il corredo è conservato al Museo di Antichità di Torino.
Tomba di Pezzana – Località Dosso del Lupo
Fine del VI e inizi del V secolo a.C.
Alla stessa epoca della tomba di Sesto Calende appartiene quella trovata nel 1889 in
provincia di Vercelli, nel comune di Pezzana, e precisamente in località Dosso del
Lupo, sulla sponda destra del fiume Sesia. In occasione dello spianamento di un
tumulo per livellare i campi agricoli, emerse il frammento di quello che si scoprì
essere un tripode. Gli scavi attuati restituirono quindi altri oggetti riferibili alla sfera
religiosa: una cista a cordoni e fasce di puntini, in lamina bronzea, alta circa 23 cm,
con diametro di 27 cm, rivestita di una patina verde e dotata di due manici di bronzo
muniti di occhiello; un piccolo vaso ansato ridotto in pezzi, e un boccale.
Il tripode era composto da un bacile di lastra di rame, e dei tre piedi che dovevano
sostenere il recipiente ne venne alla luce uno solo, fatto di ferro e molto corroso dalla
ruggine. Quest’asta mostra nella parte inferiore la forma di una gamba umana,
terminante con un piedino di bronzo ben lavorato. Accanto a questo, venne trovato
anche il frammento di un’altra asta di sostegno in ferro, lunga pochi centimetri. Le tre
gambe dovevano avere un’altezza totale di circa trentatre centimetri.
Sebbene non siano rimasti ornamenti od oggetti relativi all’abbigliamento che possano
confermare l’appartenenza della tomba a una donna, l’entità dei reperti rinvenuti è
identica a quella del corredo femminile di Sesto Calende, pertanto è probabile che
anche in questo caso la sepoltura contenesse le spoglie di una donna, e dunque di una
sacerdotessa.
L’ubicazione della tomba prova inoltre che gli stessi popoli che abitarono le sponde
del Ticino si spostarono anche nel vercellese, stabilendosi ai margini della Sesia e
sviluppando in questa zona la cultura di Golasecca. (11)
Il corredo è andato perso da molti anni, oppure è conservato in collezioni private di cui
non si ha notizia.
Tomba di Rondineto (CO)
Fine del VI e inizi del V secolo a.C.
Coeva alle due sepolture di Sesto Calende e Pezzana, è infine quella situata in un altro
grande centro di sviluppo della cultura di Golasecca. In località Rondineto, in una
necropoli poco distante dal grande abitato protostorico di Como, è stata trovata “una
gamba di bronzo fuso con ancora inserita nella parte alta l’estremità di una verga di
ferro, che è certamente il peduccio di un tripode come quelli di Pezzana e Sesto
Calende.” (12)
Il corredo si trova ai Musei Civici Paolo Giovio di Como.
Note:
1. Cfr. Raffaele Carlo de Marinis, La tomba del tripode di Sesto Calende, in Riti e Culti
nell’età del ferro. Conferenze, Giugno 1998, pag. 18
2. La tomba era stata già depredata in passato: “la lastra di copertura era stata asportata,
nella parte nord-occidentale della camera sepolcrale non venne rinvenuto alcun oggetto di
corredo, l’urna cineraria e il cosiddetto bicchiere accessorio, elementi tipici e costantemente
presenti nelle tombe della facies del Ticino della cultura di Golasecca, risultarono assenti.
(…) Il crollo di una lastra e di numerosi ciottoli appartenenti all’originaria sopracopertura,
ha permesso la conservazione di una parte del corredo, anche se gravemente danneggiato per
lo schiacciamento subito.” (Cfr. Raffaele Carlo de Marinis, op. cit., pagg. 17-18)
3. Cfr. Raffaele Carlo de Marinis, op. cit., pag. 18-19, 21.
4. A tal proposito è da segnalare un’importante scoperta avvenuta recentemente a Pombia, in
provincia di Novara, dove è stata rinvenuta una sepoltura con urna cineraria e bicchiere
accessorio del 560 a.C., nel quale sono state rilevate tracce di una bevanda ricavata dalla
fermentazione dei cereali e aromatizzata con erbe e luppolo: la prima testimonianza di
preparazione della birra in Europa. Per approfondire si veda Filippo Maria Gambari, Lo
sviluppo delle bevande fermentate nella preistoria e protostoria della Cisalpina, sulla base dei
dati archeologici e linguistici; e Filippo Maria Gambari, Bevande fermentate in Italia nordoccidentale.
5. A seconda delle epoche la Grande Madre ha assunto volti e nomi diversi, e in questa area
precisa era venerata soprattutto nel suo aspetto di virginea dea dei boschi, delle pietre, delle
acque, della terra, delle donne, ma anche della bellezza e dell’armonia della natura. A
dimostrarlo vi è un cippo del I-II secolo d.C. rinvenuto nell’Oratorio di San Vincenzo, a pochi
passi dalla Preja Buja, che era stato a lungo utilizzato come supporto per l’acquasantiera. Il
cippo reca incisa questa dedica:
“Per comando e ordine
della celeste Diana Augusta,
agli dei e alle dee
tutt’insieme, Gaio Elpio (?)
per sé con
la madre e i figli
tutti, sciolse il voto.”
L’inscrizione viene così spiegata: “Per ispirazione, probabilmente nel sonno, della dea Diana
(…) un devoto dal nome incerto fu indotto, per il bene suo e dei suoi, a formulare un voto
rivolto a dei e dee insieme. La formula dell’ispirazione di Diana e l’offerta a tutte le divinità
sono rare; ma un caso davvero unico fin qui è che esse siano indicate come “unite,
tutt’insieme” (…).” (Cfr. Antonio Sartori, Le epigrafi romane del Museo di Sesto Calende, in
Maria Adelaide Binaghi e Mauro Squartanti, La raccolta archeologica e il territorio, pag.
160)
La stele è dunque estremamente importante, e la sua presenza in loco lascia intendere che il
sito stesso era considerato sacro e caro a molti dèi e molte dee, soprattutto a Diana.
Considerando la continuità di culto nella zona, è quindi possibile immaginare che la Diana il
cui nome venne scolpito nella pietra in età romana imperiale fosse passata attraverso la
interpretatio romana, e derivasse da una divinità precedente che incarnava le sue stesse
caratteristiche. Una divinità onorata con un altro nome, o forse senza alcun nome, che
rappresentava allo stesso modo lo spirito dei boschi, delle pietre, delle acque, della terra, così
come delle donne e in generale della natura tutta. Una divinità che era celebrata anche negli
altri siti della Cisalpina dove vennero rinvenute steli simili a questa, e che, sempre per
continuità di culto, somigliava forse a quella a cui era dedicata la nostra sacerdotessa in
un’epoca ancora più lontana.
6. Nel suo testo, de Marinis spiega: “La tomba [del tripode], inoltre, illustra in maniera
esemplare un fenomeno caratteristico della cultura di Golasecca tra la metà del VI e gli inizi
del V secolo a.C.: le tombe più ricche in questo periodo sono femminili e accanto ad oggetti
d’ornamento di lusso presentano anche arredi specializzati a destinazione rituale, com’è il
caso del tripode o nelle coeve tombe della Cà Morta i cosiddetti doppieri o ad Albate
l’elaborato vaso ad alto piede, tre bracci e tre gutti ornitomorfi.”. Cfr. Raffaele Carlo de
Marinis, op. cit., pag. 27.
7. Ibidem, pag. 19
8. Ibidem, pag. 25
9. Ibidem, pag. 21
10. Ibidem, pag. 23
11. Cfr. Camillo Leone, Alcuni oggetti scoperti a Pezzana nel Vercellese, in AA.VV., Atti
della Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino, pagg. 247-254; e Raffaele
Carlo de Marinis, op. cit., pagg. 23-24
12. Cfr. Raffaele Carlo de Marinis, op. cit., pag. 25
ALBUM FOTOGRAFICO
I reperti e il territorio delle sacerdotesse del tripode
La sacerdotessa di Sesto Calende
Il corredo
Museo Civico - Sesto Calende
Il tripode e la situla
Il pettorale, la fibbia, la fusaiola e i pendenti a forma antropomorfa stilizzata
Il territorio
Il fiume Ticino a Sesto Calende
La Preja Buja
La sacerdotessa di Castelletto Sopra Ticino
Il corredo e la tomba
Museo di Antichità di Torino e Parco Comunale di Castelletto Ticino
La sacerdotessa di Pezzana
Il corredo
La riproduzione dei reperti del corredo, non più reperibili
La sacerdotessa di Rondineto
Il corredo
Museo Civico Paolo Giovio – Como
L’unico frammento del tripode rimasto
Bibliografia
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Fratelli Bocca, Roma-Torino-Firenze, 1887
Binaghi Maria Adelaide e Squartanti Mauro (a cura di), La raccolta archeologica e il
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Riti e Culti nell’età del ferro. Conferenze, Giugno 1998, Comune di Sesto Calende,
Comitato Culturale del Centro Comune di Ricerca di Ispra, Museo Civico di Sesto
Calende, Sesto Calende, 1999
Ricerca, testo e fotografie di Laura Violet Rimola. Nessuna parte di questo articolo può essere
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