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Laura Violet Rimola

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  • Libera ricercatrice nell'ambito della spiritualità animista e delle tradizioni femminili, autrice di numerosi saggi, ... moreedit
Dalle fertili coste fenicie giunge nelle terre di Israele, portando con sé la bellezza degli antichi culti pagani. La Bibbia dell’Antico Testamento la definisce una meretrice, una donna maledetta, idolatra e cattiva. Il suo potere e la... more
Dalle fertili coste fenicie giunge nelle terre di Israele, portando con sé la bellezza degli antichi culti pagani. La Bibbia dell’Antico Testamento la definisce una meretrice, una donna maledetta, idolatra e cattiva. Il suo potere e la sua autorità, propri di una vera regina, spaventano coloro che si inchinano davanti al dio ebraico.
Ma nulla di diabolico scorre nel sangue della principessa Jezabel, seguace dell’antica dea madre Asherah e del dio della natura fertile, Baal.
Come la dea che venera, Jezabel riassume in sé la regalità, la sensualità spregiudicata, la libertà e la forza vitale di colei che genera tutte le cose e che non si piega davanti agli dèi, né tanto meno agli uomini. Abbraccia l’amore privo di ogni vergogna, la sessualità sacra e la guerra come parti diverse di una stessa energia creatrice e distruttrice, e non teme la morte. La brandisce invece, per portare a compimento i suoi intenti, mostrandosi poi pronta ad andarle incontro con dignità quando si presenta alla sua porta.
Shahmaran è una donna-serpente mitologica che appartiene alla tradizione della Turchia, in particolare alle regioni dell’Anatolia Orientale e Sud Orientale e a quella del Mediterraneo, ma anche delle zone montuose del Kurdistan,... more
Shahmaran è una donna-serpente mitologica che appartiene alla tradizione della Turchia, in particolare alle regioni dell’Anatolia Orientale e Sud Orientale e a quella del Mediterraneo, ma anche delle zone montuose del Kurdistan, dell’Armenia, dell’Iran, dell’Iraq e in piccola parte, della Siria. La sua presenza sembra particolarmente radicata nella cultura della popolazione curda, della quale si dice che sia protettrice. La sua storia, di cui esistono diverse versioni a seconda del luogo, è conosciuta e tramandata soprattutto nelle città di Tarso e Adana, nella Turchia mediterranea, e di Mardin, in quella orientale.
In questo breve saggio è narrata la sua leggenda tradizionale e sono tracciate alcune possibili origini della Regina dei Serpenti, tracciabili grazie al suo aspetto, al suo nome, ai suoi simboli.
Narra la leggenda che un tempo i merli avevano le piume candide e soffici come la neve. Durante l’inverno volavano alla ricerca di cibo da riporre nei loro tiepidi nidi, così da potersi rintanare per tutto il mese di gennaio e... more
Narra la leggenda che un tempo i merli avevano le piume candide e soffici come la neve. Durante l’inverno volavano alla ricerca di cibo da riporre nei loro tiepidi nidi, così da potersi rintanare per tutto il mese di gennaio e sopravvivere alle gelate, e soltanto i primi giorni di febbraio avevano il coraggio di uscire, quando il sole diventava tiepido, la neve iniziava a sciogliersi, e i giorni più freddi erano ormai passati.
Un anno accadde che poco prima della fine di gennaio, una giovane merla uscì dal suo nido e, credendo di aver ingannato l’inverno, standosene ben nascosta durante tutti i suoi giorni più rigidi, prese a svolazzare, cantando e fischiando per prenderlo in giro.
Research Interests:
di Lady Francesca Speranza Wilde Traduzione italiana e note a cura di Laura Rimola La storia delle dodici donne cornute venne pubblicata da Lady Francesca Speranza Wilde nel 1887 – inizialmente con il titolo The Horned Woman, o “la Donna... more
di Lady Francesca Speranza Wilde
Traduzione italiana e note a cura di Laura Rimola

La storia delle dodici donne cornute venne pubblicata da Lady Francesca Speranza Wilde nel 1887 – inizialmente con il titolo The Horned Woman, o “la Donna Cornuta”, e successivamente come The Horned Women, “Le Donne Cornute” – e se da una parte si collega alla sacralità di Slievenamon, la cosiddetta Montagna delle Donne, sede di uno dei più importanti sidhe irlandesi, dall’altra potrebbe rappresentare una delle prime importanti versioni della leggenda che descrive la visita delle enigmatiche Fatae filatrici nelle case delle donne, volta ad ispezionare il loro filato oppure a punirle per aver infranto i divieti di filatura nei giorni sacri. La leggenda, infatti, venne in seguito narrata numerose volte e in svariate versioni, soprattutto in relazione alle festività invernali, e le streghe cornute vennero sostituite da entità ambivalenti, talvolta benefiche e luminose, talaltra ferine e spietate, oltre che, spesso, ancora dotate di corna. Nella zona alpina in particolare, queste sono rappresentate dalla splendente Berchta con il suo selvaggio corteo e da altre figure simili, legate all’inverno, al destino e alla sacra arte della filatura.
Research Interests:
Rinarrazione di Grace James Traduzione italiana, commento e note a cura di Laura Rimola “C’era un tempo un tagliatore di bambù chiamato Taketori (1). Era un uomo anziano e onesto, molto povero e gran lavoratore, e viveva con la sua cara... more
Rinarrazione di Grace James
Traduzione italiana, commento e note a cura di Laura Rimola

“C’era un tempo un tagliatore di bambù chiamato Taketori (1). Era un uomo anziano e onesto, molto povero e gran lavoratore, e viveva con la sua cara vecchia moglie in una casa in cima alla collina. I due non avevano bambini, e ben poco era il conforto che provavano nella loro vecchiaia, povere anime.
Una mattina d’estate, Taketori si alzò presto e uscì a tagliare bambù come era suo solito; lo vendeva a un prezzo equo in città, e così si guadagnava da vivere umilmente. Salì per il ripido pendio della collina e quando giunse al boschetto di bambù era già piuttosto stanco. Prese il suo tenugui blu (2) e si asciugò la fronte. “Ohimè, le mie vecchie ossa!”, si lamentò. “Non sono più giovane come una volta, e nemmeno la mia buona moglie, e quel che è peggio e che non c’è ragazza né bambino che ci aiuti nella nostra vecchiaia.”
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Un tempo, sulle nostre montagne certi eventi e segni naturali, in particolare quelli più grandiosi, benefici o distruttivi, erano attribuiti all’intervento di divinità ed entità ultraterrene. Fino a tempi recenti, erano soprattutto le... more
Un tempo, sulle nostre montagne certi eventi e segni naturali, in particolare quelli più grandiosi, benefici o distruttivi, erano attribuiti all’intervento di divinità ed entità ultraterrene. Fino a tempi recenti, erano soprattutto le streghe a creare le condizioni atmosferiche e terrestri più devastanti, e il loro lugubre profilo poteva essere intravisto sulle vette o fra le rocce, quando il lampeggiare dei fulmini le illuminava di una fredda e subitanea luce, o il momentaneo diradarsi della foschia le lasciava apparire, per poi nasconderle nuovamente.
Questi spiriti inquieti, ostili e spesso vendicativi si scatenavano durante tempeste e nubifragi, “sfasciando ponti, cagionando frane e slavine, seppellendo e devastando villaggi, chiese e case, rotolandovi sopra dall’alto immensi macigni” (1). Il loro intervento poteva addirittura creare avvallamenti o rialzi laddove il terreno era pianeggiante, arrivando quindi a mutare l’aspetto del paesaggio.
In Val d’Ossola, ai piedi del Monte Rosa, si diceva che a provocare maggior devastazione fossero due streghe inseparabili chiamate Streckala, o Streccala, ovvero “colei che tira” – trascinando rocce e terra per provocare le slavine – e Brennala, o Bregnala, la strega che spinge, seppur il suo nome significhi “colei che brucia”, o “l’incendiaria”.
“In alto mi sono elevato, grazie alle arti delle Muse, e sebbene abbia carpito molte conoscenze non ho mai trovato nulla di più forte di Ananke.” Euripide, Alcesti Nella mitologia greca antica esiste una divinità femminile, considerata... more
“In alto mi sono elevato, grazie alle arti delle Muse, e sebbene abbia carpito molte conoscenze non ho mai trovato nulla di più forte di Ananke.”
Euripide, Alcesti

Nella mitologia greca antica esiste una divinità femminile, considerata tra le più potenti del cosmo, che incarnava il concetto astratto di necessità, quella forza inarrestabile che provoca accadimenti verso cui non è possibile opposizione né limitazione. Il suo nome è Ananke, colei che è necessaria.
Narra la cosmogonia orfica che in principio vi era Thetis, la Creazione, per sua natura indescrivibile in quanto entità ineffabile. Thetis plasmò da se stessa il fango primigenio, che solidificandosi divenne Gea, la florida Madre Terra, e l’acqua primigenia, che divenne il dio fluviale Hydros. Subito dopo si generò la potente Ananke, pura energia di compulsione, e insieme a lei Chronos, il tempo. Le due entità divine erano unite fra loro in forma di serpente, e le loro estremità si estesero come lunghissime braccia in tutto l’universo, arrivando a toccarne i confini. Da questo abbraccio universale ebbero origine il mondo conosciuto e tutte le sue creature. (1)
In Valstrona, nel paese di Sambughetto (1), si trova un complesso di grotte profonde e ricchissime di minerali, intorno alle quali nacquero diverse leggende. Le cavità conosciute sono tre, e una di queste, la più estesa con il suo... more
In Valstrona, nel paese di Sambughetto (1), si trova un complesso di grotte profonde e ricchissime di minerali, intorno alle quali nacquero diverse leggende. Le cavità conosciute sono tre, e una di queste, la più estesa con il suo “labirinto di meandri, di camminamenti, di precipizi, di cunicoli scoscesi” che si addentrano in profondità e scendono sino al sottostante torrente Strona, è chiamata dai valligiani l’Boeucc dal Faj, ovvero il Buco delle Fate. Conosciuta anche con i nomi di Balma delle Fate o Caverna Grande delle Streghe, si dice che fosse il luogo in cui le streghe dei monti e delle valli circostanti si riunivano per danzare e per tramare le loro malefatte, ovvero per decidere chi avrebbero fatto morire, quali bambini avrebbero rapito dalle culle o su chi avrebbero gettato le loro fatture. (2)
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"Rossi, arancione, gialli, rosa, lilla, violetti, azzurri, turchini gli ampi petali di quei fiori, con gradazioni di tinte, striature, puntini, macchie, a volte ondulati ed accartocciati, a volte distesi come ali di fantastiche farfalle.... more
"Rossi, arancione, gialli, rosa, lilla, violetti, azzurri, turchini gli ampi petali di quei fiori, con gradazioni di tinte, striature, puntini, macchie, a volte ondulati ed accartocciati, a volte distesi come ali di fantastiche farfalle. Così strani, appariscenti, profumati, sulle rive del lago d'Orta non ne sbocciavano, e neanche sulle pendici intorno, eppure ogni mattina dodici ragazze, svegliandosi, ne trovavano un mazzo fresco sul davanzale e si allietavano del discreto omaggio di un ammiratore che non si palesava."

Erano le fanciulle più belle del paese, le più amabili e gentili. Si svegliavano ogni mattina, una dopo l'altra, e scostando le candide tendine della loro finestra li trovavano lì ad attenderle. Quei fiori erano belli come non ne avevano mai visti, e il loro profumo le inebriava a tal punto che non potevano fare a meno di gioire.
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Fra le alte campagne novaresi e le prime montagne della Val d’Ossola si trova il lago d’Orta, uno specchio d’acqua di origine glaciale circondato da borghi antichi e boschi di castagni, pini e faggi. Al centro del lago, come sospesa nel... more
Fra le alte campagne novaresi e le prime montagne della Val d’Ossola si trova il lago d’Orta, uno specchio d’acqua di origine glaciale circondato da borghi antichi e boschi di castagni, pini e faggi. Al centro del lago, come sospesa nel tempo e immersa in un silenzio quasi irreale, sorge l’Isola di San Giulio, oggi abitata quasi esclusivamente dalle monache di clausura e chiamata in questo modo per via del santo che la convertì al cristianesimo, vi costruì una chiesa e la scelse come sua ultima dimora.
Al tempo della sua venuta la zona era poco abitata, e sull’isoletta velata dalla foschia la vegetazione cresceva ricca e spontanea, ammantando le sponde e le alture. Il particolare interesse che ne ebbero i cristiani, così come i simboli che ancora oggi le appartengono, suggeriscono che fosse un luogo sacro alle popolazioni che vi vivevano accanto, forse un centro cultuale dedicato a divinità pre-cristiane che vennero allontanate per fare posto alla nuova religione. (1)
La leggenda del viaggio di San Giulio e della fondazione della sua chiesa raccontano proprio questo passaggio.
Nel Museo Civico Archeologico di Sesto Calende, proprio al centro della sala principale, è esposto un ricco corredo funerario risalente al VI secolo a.C., occasionalmente scoperto nel marzo 1977 nella zona Mulini Bellaria a Sesto Calende,... more
Nel Museo Civico Archeologico di Sesto Calende, proprio al centro della sala principale, è esposto un ricco corredo funerario risalente al VI secolo a.C., occasionalmente scoperto nel marzo 1977 nella zona Mulini Bellaria a Sesto Calende, a pochi passi dalle sponde del Ticino. La piccola necropoli di cui faceva parte era disposta lungo il terrazzo del fiume e comprendeva sepolture di due fasi distinte, la prima riferibile al periodo che intercorre fra la fine del IX e gli inizi del VIII secolo a.C. (Golasecca I A2) e la seconda all'ultimo quarto del VI fino agli inizi del V secolo a.C. (Golasecca II B) (1). La fase a cui appartiene il corredo in esame è la seconda. Osservando la vetrina in cui sono disposti i reperti, si nota subito la targhetta con la breve spiegazione: "Tomba principesca appartenente a persona di sesso femminile. Pur depredata parzialmente in antico, ha conservato reperti di grande pregio, testimoni degli scambi culturali ed economici della Cultura di Golasecca." Gli oggetti esposti sono quindi solo una parte del corredo originario (2), e comprendono diverse coppe di ceramica, una pregiata fusaiola d'ambra, perle globulari d'ambra, pendenti d'ambra dalla forma antropomorfa stilizzata, un bracciale di legno fossile, un lungo ed elaborato pettorale composto da trenta catenelle terminanti ognuna con un piccolo pendaglio di bronzo a forma di goccia, e alcuni elementi dell'abbigliamento femminile, come fibule e il fermaglio rettangolare di una cintura di cuoio. I reperti più preziosi, oltre che significativi per comprendere a chi appartenesse il corredo, sono tuttavia una situla di bronzo decorata a sbalzo e un bacile di bronzo sorretto da un tripode di ferro con piedini antropomorfi, entrambi legati alla sfera rituale, in particolare il bacile, che era utilizzato per svolgere pratiche divinatorie. Questi due reperti permettono quindi di classificare la donna sepolta come una sacerdotessa, vissuta sulle sponde del Ticino, nei pressi dell'attuale Sesto Calende, durante la metà del VI secolo a.C. Tutti i manufatti del corredo erano stati suoi, e rispecchiano il ruolo, nonché l'aspetto che aveva avuto durante la sua vita. La si può infatti immaginare vestita di un abito lungo e diritto-secondo lo stile dell'epoca-dalla stoffa morbida, fermata in vita da una cintura di cuoio con la fibbia rettangolare. Aveva fibule alle spalle, il collo ornato di pendenti e perle d'ambra, e un vistoso bracciale di legno al braccio. È probabile che il grande pettorale a catenelle non venisse da lei indossato quotidianamente, ma solo durante certi rituali, quando si serviva anche della situla e del prezioso tripode, nel cui bacile si affacciava per divinare, il volto riflesso sulla superficie dell'acqua. Anche la fusaiola doveva avere per lei uno scopo sacro, in quanto fatta interamente d'ambra, a differenza di quelle delle donne comuni, che solitamente erano fatte di ceramica. È quindi possibile che facesse parte anch'essa degli strumenti rituali associati al culto che la donna praticava e rappresentava agli occhi del suo popolo.
Giungono dal mare nuotando come foche, e scivolando sulla sabbia tolgono la morbida pelle bruna e la depongono ai piedi degli scogli, mutandosi in bellissime fanciulle dai capelli scuri, la pelle bianca come la spuma, i grandi occhi... more
Giungono dal mare nuotando come foche, e scivolando sulla sabbia tolgono la morbida pelle bruna e la depongono ai piedi degli scogli, mutandosi in bellissime fanciulle dai capelli scuri, la pelle bianca come la spuma, i grandi occhi languidi. La loro voce si confonde con il dolce canto della risacca, mentre danzano insieme sulle spiagge, sotto i pallidi raggi del sole, protette tra le rocce sferzate dalle onde. Sono le selkie, fanciulle dalla pelle di foca che si diceva vivessero nell’oceano Atlantico e nei freddi mari del nord Europa, su lontane isolette solitarie, oppure su grandi scogli circondati dalle acque salmastre.
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Breve raccolta di leggende sulle Selkie, provenienti da Scozia, Isole Faroe, Irlanda e Islanda, tradotte in italiano.
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In una radura protetta, o in un rigoglioso boschetto racchiuso nel cuore della foresta, dove i ruscelli scorrono fra le rocce e gli animali selvatici si intrattengono indisturbati, dove sorgono antiche pietre erette in circolo e una... more
In una radura protetta, o in un rigoglioso boschetto racchiuso nel cuore della foresta,
dove i ruscelli scorrono fra le rocce e gli animali selvatici si intrattengono indisturbati,
dove sorgono antiche pietre erette in circolo e una grande quercia secolare dai folti rami
frondosi, qui, nel verde santuario della natura, vive Nemetona, la dea del sacro nemeton.
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Quando Kloskurbeh, il Creatore-Di-Tutte-Le-Cose, viveva sulla terra, l’umanità non esisteva ancora. Ma un giorno che il sole brillava alto, apparve un giovane che lo chiamò “Zio, fratello di mia madre”. Questo giovane uomo era nato dalla... more
Quando Kloskurbeh, il Creatore-Di-Tutte-Le-Cose, viveva sulla terra, l’umanità non
esisteva ancora. Ma un giorno che il sole brillava alto, apparve un giovane che lo chiamò
“Zio, fratello di mia madre”.
Questo giovane uomo era nato dalla spuma delle onde, ravvivata dal vento e scaldata dal
sole. Furono il soffio del vento, l’umidità delle acque e il calore del sole a dargli la vita – il
calore soprattutto, perché il calore è vita.
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La figura della Gorgone risale a epoche molto antiche, in cui la donna era ancora riconosciuta come incarnazione del sacro femminino terrestre e acquatico. La più antica raffigurazione di Gorgone finora scoperta è una maschera del 6000... more
La figura della Gorgone risale a epoche molto antiche, in cui la donna era ancora riconosciuta come incarnazione del sacro femminino terrestre e acquatico. La più antica raffigurazione di Gorgone finora scoperta è una maschera del 6000 a.C. ritrovata in Tessaglia, nella Grecia settentrionale.
Questa maschera dal terribile aspetto mostra occhi tondi, narici dilatate, denti aguzzi digrignati e lingua pendente, tutte caratteristiche che richiamano il furore animalesco, la natura bestiale e selvaggia. A questi elementi sono aggiunte spirali dipinte di rosso, che nella simbologia e nel colore indicano il potere rigenerativo, lo slancio alla vita e il flusso sanguigno.
È infatti una caratteristica comune alle raffigurazioni delle Gorgoni l’associazione di caratteri spaventosi e minacciosi, che richiamano l’aspetto oscuro e spietato della dea della morte, e simboli di rinnovamento, quali spirali, tralci di vite, lucertole e serpenti, che invece richiamano la rigenerazione, il ciclico rinnovamento e quindi la visione della morte come passaggio per accedere a una nuova esistenza rinnovata e illuminata da una nuova consapevolezza.
Questo tipo di maschere erano probabilmente indossate dalle antiche profetesse e sacerdotesse durante i loro rituali sacri, intimamente legati al potere della Gorgone, ovvero alla trasmutazione profonda.
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Traduzione della fiaba e commento "Le Samovili e la ciclicità della Natura" a cura di Laura Violet Rimola. “C’era una volta una madre che aveva due figlie. Una delle due era sua figlia naturale, mentre l’altra era sua figliastra, nata... more
Traduzione della fiaba e commento "Le Samovili e la ciclicità della Natura" a cura di Laura Violet Rimola.

“C’era una volta una madre che aveva due figlie. Una delle due era sua figlia naturale, mentre l’altra era sua figliastra, nata dalla prima moglie del marito. La donna amava molto la propria figlia, ma nutriva un odio profondo per l’altra fanciulla, e non desiderava altro che vederla sparire dalla sua vita per sempre. La sua sola presenza la infastidiva e così non mancava mai di insultarla crudelmente e di colpirla ogni giorno senza alcun motivo. Sebbene fosse la sua preferita, però, la figlia naturale era magra come uno stecco e sempre malaticcia, mentre la figliastra cresceva forte e sana, e le sue guance erano rosse come ciliegie mature. Questo faceva infuriare la matrigna ancora di più, e ogni sera meditava nuovi modi con cui avrebbe potuto far del male alla povera giovane.
Una sera alla donna venne il pensiero di mandare la ragazza a prendere l’acqua a un pozzo solitario che si trovava fuori dal villaggio. Questo, però, non era un pozzo come tutti gli altri. Tutti conoscevano bene l’albero incantato che vi cresceva accanto, sulla cui cima si incontravano le antiche Samovili...
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Ci fu un tempo in cui tutte le donne seguivano gli insegnamenti della Grande Madre, udivano il suo canto nel vento, nel mormorare delle foglie, nel silenzio della notte, e colme della sua consapevolezza ne rispecchiavano i bei lineamenti.... more
Ci fu un tempo in cui tutte le donne seguivano gli insegnamenti della Grande Madre, udivano il suo canto nel vento, nel mormorare delle foglie, nel silenzio della notte, e colme della sua consapevolezza ne rispecchiavano i bei lineamenti.
Depositarie della conoscenza divina appresa sin dai primi anni di vita per trasmissione orale, esse condividevano con amore e indicibile dolcezza ogni passaggio della loro vita, ogni momento di morte nella vita e di vita nella morte. Le loro fasi muliebri erano celebrate con riti sacri, con feste e manifestazioni gioiose, e probabilmente comprendevano pratiche segrete e lunghe meditazioni che ispiravano la tenera comunione con la Dea, fonte inesauribile di emozioni e sensazioni tanto belle e amorevoli da non poter essere descritte con semplici parole.
In quel tempo le Donne-Luna, ovvero le donne che per la loro perfetta armonia lunare-femminile potevano essere considerate emanazioni viventi della bella Luna, onoravano i propri cicli di sangue come momenti di pura magia, di segreta intimità, di scoperta delle segrete sostanze di vita.
Il sangue che, caldo, scivolava tra le loro gambe era per loro un dono prezioso che richiedeva attenzioni premurose, periodi di tacita contemplazione ed introspezione profonda: non mentale e governata dalla ragione, ma istintiva e legata alle naturali percezioni del corpo.
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Si aggira inquieta fra le umide nebbie delle paludi e lungo la riva dei fiumi impetuosi. Scivola leggera tra le fredde lapidi dei cimiteri irlandesi, abitati da corvi e civette. Talvolta si nasconde, rannicchiata e gemente, nelle cavità... more
Si aggira inquieta fra le umide nebbie delle paludi e lungo la riva dei fiumi impetuosi. Scivola leggera tra le fredde lapidi dei cimiteri irlandesi, abitati da corvi e civette. Talvolta si nasconde, rannicchiata e gemente, nelle cavità dei muri e fra le radici intricate degli alberi. Compare spesso di notte, avvolta dalla bruma, schiva e solitaria, con il cupo mantello grigio, i lunghissimi capelli fluttuanti e gli occhi gonfi di lacrime. Il suo passo è silenzioso come la morte, il suo grido agghiacciante.
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Nel grigiore del crepuscolo autunnale, turbini di foglie cremisi si rincorrono trasportate dal vento, e un aspro odore di legna bruciata impregna l’aria fredda e umida. Dai campi mietuti e silenziosi, sottili veli di nebbia si sollevano... more
Nel grigiore del crepuscolo autunnale, turbini di foglie cremisi si rincorrono trasportate dal vento, e un aspro odore di legna bruciata impregna l’aria fredda e umida.
Dai campi mietuti e silenziosi, sottili veli di nebbia si sollevano come orde spettrali, simili a diafane dame bianche dal volto di morte e dalle lunghe vesti striscianti…
Al calare dell’oscurità più fitta il tempo si ferma, il vento tace, le soglie fra i mondi si schiudono, e all’ultimo rintocco della mezzanotte spiriti inquieti e lamentosi fantasmi sorgono dai loro giacigli di polvere, scivolando oltre i vecchi cancelli dei cimiteri a infestare le vie solitarie.

È la vigilia di Ognissanti, e i segreti confini che separano la realtà dei vivi da quella dei morti si dissolvono, permettendo ai mortali di incontrare i trapassati, e concedendo a questi ultimi il conforto di una breve visita alle loro vecchie dimore.
Nei villaggi, fuori dalle porte delle case e sui davanzali delle finestre, le zucche intagliate brillano nei loro ghigni beffardi, mentre il lumicino acceso al loro interno proietta ombre danzanti sui muri di pietra e sulle strade deserte. Sono le guardiane della notte degli spiriti, e testimoniano il sopravvivere di una tradizione antica e molto potente.
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“Era di statura imponente, dall’aspetto terribile, di sguardo lampeggiante e ferocissimo e di voce glaciale; una gran massa di capelli fulvi le calava sulle spalle; intorno alla sua gola c’era una grossa collana d’oro e indossava una... more
“Era di statura imponente, dall’aspetto terribile, di sguardo lampeggiante e ferocissimo e di voce glaciale; una gran massa di capelli fulvi le calava sulle spalle; intorno alla sua gola c’era una grossa collana d’oro e indossava una tunica di vari colori con sopra un mantello fermato da una fibbia.”
Dione Cassio Cocceiano, Storia Romana

Antica regina britanna, portatrice degli antichi valori della civiltà celtica, madre e donna dallo spirito fiero e ribelle, Boudica è ricordata come una delle figure femminili più potenti della storia.
Il suo nome, che potrebbe significare “donna vittoriosa” (1), appare circondato da rispetto e timore nei resoconti storici romani, e la sua vicenda, che realmente sembra guidata dalla vittoria stessa, rammenta la forza indomabile delle antiche donne, di coloro che non si piegavano e non si sottomettevano a nessuno, e che conservavano in loro stesse quel selvaggio potere che tanto terrorizzò gli uomini.
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Nella calma immobile della notte, fra bianchi stracci di nebbia che esalano dal suolo umido e si infittiscono sui freddi corsi d’acqua delle campagne gallesi, lugubri e spaventose entità attraversano il velo del visibile e si aggirano fra... more
Nella calma immobile della notte, fra bianchi stracci di nebbia che esalano dal suolo umido e si infittiscono sui freddi corsi d’acqua delle campagne gallesi, lugubri e spaventose entità attraversano il velo del visibile e si aggirano fra le solitarie vie dei villaggi, gridando davanti alle abitazioni in cui presto la morte farà visita, e percorrendo lentamente le strade che conducono ai cimiteri.
Sono presagi di sventura, messaggere di morte che mostrano ciò che sta per accadere. E per quanto si tenti di nascondersi, o di arrestare il loro cammino, la loro profezia è inevitabile.

Simili alla lacrimosa Banshee e alle altre creature spettrali che infestano le terre irlandesi, con le quali condividono il medesimo ruolo, le annunciatrici di morte gallesi possiedono tuttavia tratti particolari e differenti. In questa breve ricerca sono state raccolte e approfondite le più conosciute.
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Fino a quel giorno avevamo vissuto in pace. Noi donne, sorelle di sangue e di spirito. E avevano vissuto in pace i nostri uomini, legati a noi da vincoli di parentela e di amore, eppure liberi, così come libere eravamo noi, che... more
Fino a quel giorno avevamo vissuto in pace. Noi donne, sorelle di sangue e di spirito.
E avevano vissuto in pace i nostri uomini, legati a noi da vincoli di parentela e di amore, eppure liberi, così come libere eravamo noi, che mantenevamo l’armonia e l’equilibrio nei nostri clan.
Fino a quel giorno, ogni ora, ogni momento, ogni ciclo stagionale, erano trascorsi nella gioia e nella condivisione. I nostri uomini passavano molto tempo in mare, nelle lunghe imbarcazioni a forma di mezzaluna. Pescavano per noi, e noi coltivavamo la madre terra con i semi che Lei ci aveva donato all’inizio dei tempi, quando in forma di Donna Antica era giunta dalle acque salmastre con le mani colme di piccoli granelli scuri.

“Figlie mie, donate alla Terra questa sacra semenza, dissetatela con la sacra acqua e lasciate che il sacro Sole la scaldi, e che la sacra Luna, vostra Madre e Sorella, regoli il suo germogliare.
Da questi sacri grani verrà il vostro nutrimento.”
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Triora, il Paese delle Streghe, è un piccolo borgo dell’entroterra ligure, aggrappato al ripido versante della montagna e immerso in una rigogliosa vegetazione che cresce libera lungo i pendii e ai margini delle strette e tortuose... more
Triora, il Paese delle Streghe, è un piccolo borgo dell’entroterra ligure, aggrappato al ripido versante della montagna e immerso in una rigogliosa vegetazione che cresce libera lungo i pendii e ai margini delle strette e tortuose stradine.
La quiete e il canto dei grilli accompagnano lungo i sentieri che conducono alla parte vecchia del paese, dove, tra le rovine di antiche case medievali, sembra ancora di udire frammenti di parole e voci femminili trasportate dal vento, eco lontane che risvegliano il ricordo di vite vissute fra quelle stesse mura nel lontano anno 1587.
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Con movenze sinuose emerge dalle profondità terrestri, sorgendo dagli oscuri anfratti nascosti e protetti. La sua dimora sono i grovigli di radici intricate, le cavità terrose, ma anche le sorgenti, i corsi d'acqua e le paludi, i margini... more
Con movenze sinuose emerge dalle profondità terrestri, sorgendo dagli oscuri anfratti nascosti e protetti. La sua dimora sono i grovigli di radici intricate, le cavità terrose, ma anche le sorgenti, i corsi d'acqua e le paludi, i margini dei sentieri battuti dal sole e i rami degli alberi, delicatamente ombreggiati dal fresco fogliame. Animale ctonico e misterioso, custode di un immenso potere primordiale, il serpente ama celarsi nel tepore del ventre profondo della Grande Madre, luogo primigenio in cui tutti i segreti sono conservati con cura, e le antiche energie terrestri scorrono e si concentrano. Di queste energie il serpente è figlio e simbolo antichissimo, legato ai movimenti del sottosuolo, ai moti nascosti che danno origine al mutamento interno, alla trasformazione lenta o repentina; dolce e cullante come il battito del cuore terrestre, o tremenda e impetuosa come le violente vibrazioni che generano i terremoti. Similmente alla travolgente forza vitale partorita dalla madre divina all'origine dei tempi, il serpente è la vita stessa, è lo slancio che dal basso si innalza verso l'alto, emergendo vorticosamente dall'oscurità verso la luce, dalle tenebre dell'ignoranza al lume della conoscenza. Ed è proprio la conoscenza ancestrale che il serpente custodisce e protegge, poiché ne è la manifestazione vivente e, al contempo, è il guardiano di ciò che dimora nell'intimo e caldo mondo sotterraneo, laddove l'incantevole respiro della dea può ancora essere chiaramente percepito, e nessuna falsità nata dall'illusione che governa il mondo umano, può insinuarsi. Ma il mondo sotterraneo non è solamente luogo di terriccio umido e tiepido, ma anche di sorgenti e grandi corsi d'acqua. Per questo il serpente è signore non solo della terra, ma anche delle acque, che dalle profondità tendono a salire verso l'alto e ad emergere alla luce del sole. Le acque primordiali in cui la vita ha avuto inizio. Il suo letargo stagionale e, soprattutto, la sua muta, rappresentano il perenne ciclo di rigenerazione della natura, che mostra come la vita si trasformi lentamente in morte, e la morte in nuova vita. In questo ciclo immutabile, il serpente richiama in particolare il passaggio che unisce la morte alla rigenerazione, il sonno al risveglio, ovvero il cambio di pelle, la metamorfosi da uno stato precedente a quello successivo, la trasmigrazione dell'anima da un corpo che cessa di vivere ad un altro concepito nel ventre materno, oppure la morte iniziatica, la trasformazione interiore nata dal pieno raggiungimento della consapevolezza divina, alla quale consegue una rinascita spirituale. Per questo il serpente incarna il potere della guarigione, intesa sia come annullamento e liberazione da ogni stato d'animo pesante e oscuro, così come da ogni malattia spirituale, che avviene in seguito al contatto diretto col divino; sia come semplice eliminazione dei mali fisici. Il suo veleno, infatti, anticamente era unito a particolari erbe medicinali e usato, in piccolissime dosi sapientemente preparate, per curare certe malattie.
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Fra gli antichi popoli anglosassoni la primavera era onorata nelle sembianze della soave fanciulla Eostre, Dea solare di origine germanica che si manifestava nel sorgere del sole primaverile e donava alla terra germinazione, fioritura e... more
Fra gli antichi popoli anglosassoni la primavera era onorata nelle sembianze della soave fanciulla Eostre, Dea solare di origine germanica che si manifestava nel sorgere del sole primaverile e donava alla terra germinazione, fioritura e gioiosa rinascita.
Del suo aspetto originario, purtroppo, non è rimasta alcuna traccia, e tutto ciò che si conosce di lei è il nome, sopravvissuto all’interno di un antico calendario anglosassone che indicava il mese di aprile con le parole Eostur-monath, ovvero “mese di Eostre”. Ciò nonostante, il grande studioso Jacob Grimm, durante le sue ricerche mitologiche, scoprì che il ricordo della giovane Dea era rimasto profondamente radicato nella tradizione orale tedesca, e intuì che originariamente Eostre – così come la sua variante germanica Ostara – doveva essere “la divinità dell’alba raggiante, della luce zampillante, uno spettacolo che infonde gioia e benedizione (…)”. (1)
Il nome “Eostre” deriva infatti da aus o aes, termini che mutarono nel tedesco ost e nell’inglese east e che significano semplicemente “est”. Per questo la divina fanciulla incarna il luminoso sorgere del sole, la luce radiosa dell’alba, il brillare dei primi raggi dorati che si levano a oriente e, zampillando come una sorgente luminosa, avvolgono la terra nella gioia del loro tiepido abbraccio.
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Sulla gelida vetta delle montagne più alte, fra le grotte azzurre ricamate di ghiaccio e il luminoso candore della neve, in un bianco reame nel quale governa l’eterno inverno, viveva un tempo una bellissima principessa, ricordata nelle... more
Sulla gelida vetta delle montagne più alte, fra le grotte azzurre ricamate di ghiaccio e il luminoso candore della neve, in un bianco reame nel quale governa l’eterno inverno, viveva un tempo una bellissima principessa, ricordata nelle tradizioni dolomitiche come la Samblana.
La sua dimora prediletta era la cima del monte Antelao, ma si dice che in origine la fanciulla vivesse nel bosco Bayon, fra le fitte conifere che crescono sulla parte orientale della montagna.
Secondo la leggenda, la Samblana era un’antica principessa indigena che governava sui Maòi – o Bedoyeres, il matriarcale “Popolo delle Betulle” che abitava nella Pusteria (1). Sebbene molto bella, la giovane era assai ambiziosa, e non accontentandosi del piccolo paesello sul quale regnava, aveva voluto sottomettere anche i popoli vicini. Ogni anno, all’approssimarsi del gelido inverno, si faceva cucire un abito di candido velo, e questo doveva essere ogni volta più sfarzoso e luminoso, più lungo e con i ricami più preziosi. L’ultima di queste incantevoli vesti “era intessuta di luce, d’argento e di albume d’uovo ed era talmente lunga che mille fanciulle dovevano sostenere lo strascico, quando la principessa la indossava” (2).
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Nell’antico mondo femminile, le donne coltivavano e custodivano in loro stesse la consapevolezza dell’amorosa presenza del divino muliebre, che ardeva dentro di loro come un piccolo e luminoso fuoco perpetuo, colmandole di dolce voluttà.... more
Nell’antico mondo femminile, le donne coltivavano e custodivano in loro stesse la consapevolezza dell’amorosa presenza del divino muliebre, che ardeva dentro di loro come un piccolo e luminoso fuoco perpetuo, colmandole di dolce voluttà. Il loro corpo dalle rosee e morbide curve, era concepito come una sua sacra manifestazione, che ne ritraeva l’armoniosa e languida bellezza, ma soprattutto la loro segreta intimità, avvolta in calde penombre e velata per proteggerne il mistero, era il ricettacolo nel quale la sua energia numinosa si concentrava e si propagava.
Ricolma della tenera eco d’amore della Dea androgina, essa era venerata e sentita proprio come un centro divino trascendente, come un tiepido covo in cui veniva percepito “un tenue e costante languore erotico” (1) e in cui la coscienza silenziosa della comunione fra la Dea e la donna pulsava amabilmente, generando e rigenerando la splendida magia femminile.
Spesso paragonata alle espressioni più belle e gentili della vergine natura, l’intimità era vista come uno specchio d’acqua purissima, come una sorgente fluente dalle le scure rocce ricoperte di soffice muschio e piccoli fiorellini bianchi, che ammaliava col suo sottile canto cristallino, profondendo la sua infinita armonia che addormenta i pensieri.
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Negli antichi borghi di montagna, dalla ruvida voce di qualche anziana, o dai canti dei vecchi alpigiani, si può talvolta sentir narrare la vicenda di Soreghina, la raggiante figlia del sole. La sua storia, custodita nella preziosa... more
Negli antichi borghi di montagna, dalla ruvida voce di qualche anziana, o dai canti dei vecchi alpigiani, si può talvolta sentir narrare la vicenda di Soreghina, la raggiante figlia del sole.
La sua storia, custodita nella preziosa tradizione dolomitica, racconta che un tempo, in una zona della Val di Fassa chiamata Locia Contrin, si trovava un piccolo lago, dove abitava una bellissima vivana. La fanciulla “indossava una veste stupenda con un corsetto ricamato in argento e ornato nella parte superiore in oro e un grembiule di seta lucente”, e amava trascorrere il suo tempo fra le acque limpide e trasparenti, mostrandosi solo quando più forte splendeva il sole.
Avvenne che un giorno la bella vivana dovette sposare il figlio del re della Val de Mortic, e quando fu trascorso un anno diede alla luce una splendida bambina, che venne chiamata Soreghina “perché era bella come un raggio di sole.” La vivana emergeva dalle acque del lago con la sua bimba solamente alla luce del giorno, e sempre vi ritornava poco prima del tramonto. “Il piccolo esserino riluceva come oro in braccio alla madre e si diceva che potesse vivere solo al sole. S’era sparsa addirittura la voce che la bambina fosse figlia del sole.”
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Viveva un tempo al nord dell’antica Germania, nei verdi boschi odorosi di muschio e violette, fra le folte e possenti querce coronate di vischio, una druidessa di nome Velleda, amata e venerata da tutti i germani. Faceva parte della tribù... more
Viveva un tempo al nord dell’antica Germania, nei verdi boschi odorosi di muschio e violette, fra le folte e possenti querce coronate di vischio, una druidessa di nome Velleda, amata e venerata da tutti i germani. Faceva parte della tribù dei bructeri, che tra il 100 a.C. e il 350 d.C. si erano stabiliti nella Germania nord-occidentale, tra il fiume Lippe e il fiume Ems, a sud della splendida e immensa foresta di Teutoburgo; e aveva avuto una parte molto importante nella rivolta del popolo dei batavi, insorti contro Roma nel 69 d.C.
Aveva infatti ispirato la ribellione negli animi dei guerrieri e incitato il furore della battaglia, profetizzando per i germani le iniziali vittorie.
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Agli inizi del VII secolo d.C. la Bretagna era un'immensa e selvaggia foresta, nella quale le fitte macchie di alberi si intervallavano ai laghi azzurri, alle paludi nebbiose, alle campagne allietate dal gorgogliare delle limpide... more
Agli inizi del VII secolo d.C. la Bretagna era un'immensa e selvaggia foresta, nella quale le fitte macchie di alberi si intervallavano ai laghi azzurri, alle paludi nebbiose, alle campagne allietate dal gorgogliare delle limpide sorgenti, e alle radure, in cui talvolta si ergevano antichissimi cerchi di pietre. Nel cuore della regione sorgeva lo sconfinato bosco di Broceliande, dove vivaci cascatelle e ruscelli argentini correvano fra i grandi sassi primitivi, e sotto le fronde verdi e ombrose, al riparo da occhi indiscreti, venivano tramandati gli antichi culti della natura, dedicati alle divinità boschive e a certe bellissime fate che si diceva abitassero ancora oltre gli specchi d'acqua, fra i muschi e nelle cavità degli alberi. L'amorevole devozione per la foresta che il popolo celtico coltivava e insegnava, e la consapevolezza della sua intoccabile sacralità, erano però motivo di seria preoccupazione per i missionari cristiani, a quel tempo impegnati nella dura lotta contro l'antica religione. Per soffocare il culto pagano, questi passavano infatti dall'insistente persuasione alla più brutale violenza, e facevano costruire ovunque potessero chiese, monasteri e fredde cappelle. Ma nonostante tutto, molti dei bretoni rimasti fedeli al culto dei loro antenati, continuarono a onorare gli spiriti silvestri, a portare offerte agli alberi e a pregare le fonti e le sacre pietre. Fu in quest'epoca di cambiamento, intorno al 604 d.C., che in un ricco castello poco distante dalla foresta nacque Onenne, una giovane principessa di Bretagna che, sebbene ricordata come santa patrona del piccolo villaggio rurale di Tréhorenteuc, è possibile fosse iniziata a qualcosa di diverso, forse al culto femminile della grande Dea antico-europea. Onenne era figlia di Judhael, Re di Dumnonia, nell'Armorica settentrionale, e della nobildonna d'origine gallese Pritelle. Aveva più di venti fratelli, alcuni dei quali furono grandi condottieri o santi, come la sorella maggiore Sainte Eurielle e i fratelli Saint Josse e Saint Lery, che trascorsero molti anni a vivere da eremiti nelle foreste; ma più noto di tutti fu senza dubbio il maggiore Judicael, che ereditò il regno del padre e fu Re, santo e guerriero. (1) Dopo la nascita, la piccola Onenne crebbe secondo l'educazione che veniva impartita a quel tempo alle principesse bretoni, e non appena divenne fanciulla decise di votarsi alla povertà e di lasciare la corte. Così depose le ricche vesti regali, indossò abiti umili e semplici e si allontanò in cerca di una dimora più modesta. Secondo alcuni studiosi la fanciulla volle lasciare il castello per fuggire dal pericoloso e spietato furore di suo fratello Haeloc, che per impadronirsi del potere regale del legittimo erede Judicael aveva fatto uccidere sette dei suoi fratelli e aveva costretto quest'ultimo a farsi monaco nell'abbazia di Saint-Jean de Gael; secondo altri invece Onenne si ritirò nella foresta solamente per seguire la sua ispirata vocazione religiosa, nonché per curare la sua salute delicata nella pace e nel rigoglio dei boschi. (2)
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Nel profondo delle grotte sotterranee, fra la roccia brillante di cristalli, la terra soffice e le polverose radici che si attorcigliano fra loro, o sotto a laghi e sorgenti zampillanti, che donano alle pareti rocciose acquei riflessi... more
Nel profondo delle grotte sotterranee, fra la roccia brillante di cristalli, la terra soffice e le polverose radici che si attorcigliano fra loro, o sotto a laghi e sorgenti zampillanti, che donano alle pareti rocciose acquei riflessi azzurrini, le Fate filano segretamente, e intrecciano filamenti di candido lino ai raggi di luna, disegnando sulla loro tela il Destino degli uomini.
La loro storia millenaria le ha viste trasformarsi da Dee arcaiche ed immortali a misteriose e fiabesche Filatrici, da Profetesse che conoscevano ciò che avviene oltre il divenire, a minuscole entità luminose, simili a bellissime farfalle dalle ali multicolori, o a batuffoli di luce colorata, che nelle calde notti di mezz’estate danzano in cerchio nelle segrete radure.
Ma chi erano in principio le Fate?
Quale è il vero significato che racchiude il loro nome?
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Sinuosa serpe acquatica che emerge dalle rocce o bellissima donna dallo sguardo magnetico, la Regina dei Serpenti era con-siderata nei tempi antichi una delle più potenti e benefiche e-manazioni dell’armonia naturale. Da lei dipendeva non... more
Sinuosa serpe acquatica che emerge dalle rocce o bellissima donna dallo sguardo magnetico, la Regina dei Serpenti era con-siderata nei tempi antichi una delle più potenti e benefiche e-manazioni dell’armonia naturale. Da lei dipendeva non solo l’umidità fertile del suolo, ma anche la buona salute, la prospe-rità e la ricchezza degli esseri umani. Tuttavia, con l’arrivo in Europa di popoli dal forte carattere patriarcale e con l’affermarsi, in seguito, della religione cristiana, l’antica divinità serpentina venne dapprima denigrata, e in seguito scacciata, ferita e uccisa, poiché divenuta agli occhi degli uomini la più detestabile rappresentazione del male.
Le storie raccolte in questo breve testo descrivono ciò che ac-cadde – e che tutt’ora accade – alla Terra quando venne privata del potere della Donna Serpente, e suggeriscono al contempo che la guarigione è ancora possibile, e può essere realizzata scegliendo di riconoscere al sacro femminino il suo antico ruolo e richiamando la sua presenza nel mondo.
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Mughetti, ninfee, margherite, stelle alpine, gigli, orchidee, gelsomini, rose selvatiche, miosotidi… Sono molti i fiori che nelle leggende si mutarono in sembianza di donna, o che dalla donna vennero generati, nascendo per la prima volta... more
Mughetti, ninfee, margherite, stelle alpine, gigli, orchidee, gelsomini, rose selvatiche, miosotidi… Sono molti i fiori che nelle leggende si mutarono in sembianza di donna, o che dalla donna vennero generati, nascendo per la prima volta sulla Terra.
Le Vergini Fiorite raccoglie vari racconti, provenienti da diverse regioni e Paesi, nei quali è narrata questa delicata metamorfosi. Una metamorfosi che suggerisce la vicinanza innata che esiste sin dai tempi più antichi tra la sfera femminile e la Natura, e che può ancora ispirare le donne di oggi a ricercare se stesse nelle infinite manifestazioni naturali, osservandole come se fossero la limpida superficie di uno specchio, e imparando a riconoscersi nel loro armonioso riflesso.
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Nel verde rigoglio dei prati imbevuti di luce, dove il sole sparge il suo oro tra i fili d’erba e i fiori selvatici ondeggiano soavi nella brezza estiva, dove ogni corolla umida di rugiada si dischiude a rivelare i suoi più intimi... more
Nel verde rigoglio dei prati imbevuti di luce, dove il sole sparge il suo oro tra i fili d’erba e i fiori selvatici ondeggiano soavi nella brezza estiva, dove ogni corolla umida di rugiada si dischiude a rivelare i suoi più intimi segreti, e lascia intravedere, fra i petali che si discostano timidamente, il suo cuore lucido di prelibato nettare; dove le tenere erbe aromatiche esalano i loro tiepidi aliti muschiati, i grilli vibrano ritmi gioiosi sugli alti steli, e nello stormire di ogni foglia è racchiuso tutto il mistero dell’armonia naturale;
qui, fra i più bei doni della florida natura, vive la piccola Melissa, graziosa signora di tutte le api e del dolce miele prezioso.
Il dorato ronzare ne rivela la presenza. Regina nutrice attorniata da una miriade di piccole ancelle che della dolcezza della natura ben conoscono ogni più recondito segreto. Figlia dei raggi di sole che ama danzare nella luce, velandosi talvolta di rosei petali o penetrando avidamente il calice purpureo colmo di delizie delle infiorescenze più ricche e succose...
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