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rificarsi solo attraverso un’«ampia e pervasiva operazione concettuale che
miri a porre nuovamente al centro del dibattito filosofico le numerose incongruenze delle prospettive scettiche e relativistiche», e cercando di «discriminare la “filosofia pura” da ambiti – quali la psicologia e la sociologia – che [...] partono da presupposti molto più “ingombranti” e determinati» (RI, p. 203, si veda anche I, p. 143, dove i ‘nemici’, per così dire, del
‘pensiero incontrovertibile’ assumono le fattezze dei «postmodernismi, [dei]
pensieri deboli e [delle] pure metodologie del sapere»).
In conclusione, il merito di entrambi i testi di Salina – il quale è pur
consapevole dell’«immane compito» cui fa cenno – sta nell’esser riuscito a
realizzare il desiderio di voler contribuire (fosse anche in minima parte) a
questa «rinascita», nell’aver proposto agli occhi del lettore (o riproposto a
chi già li avesse incontrati) degli autori e delle questioni filosofiche scarsamente in voga nelle accademie, con due libri freschi e vivaci che possono
essere considerati come degli ottimi punti di partenza per quel lettore inesperto che volesse addentrarsi in questo vasto (e complesso) orizzonte speculativo.
[Emanuele Agazzani]
Album Capitini, immagini e parole di ieri per oggi, a cura di Anna Alberti,
Lanfranco Binni, Gabriele De Veris, Marco Pierini, Aguaplano, Perugia
2018, pp. 96.
La figura di Aldo Capitini è quella di un fine pensatore, capace, mediante la propria passione e la propria intransigenza, di fare della propria
vita la manifestazione più concreta del proprio pensiero. Un esempio di pacifica e serena radicalità: solo la sua costante distonia con il mondo in cui
egli si trovava a vivere e a quello che ancora oggi, per motivi in parte affini
e in parte differenti, accoglie noi, può giustificare il silenzio e l’oltraggioso
oblio che sono calati sulla sua persona e sul peso della persuasione che egli
non si stancò mai di mettere sulla bilancia della storia. A cavallo tra il 50o
anniversario della scomparsa e il 120o anniversario della nascita, la casa editrice Aguaplano, sostenuta dal Fondo Walter Binni, con la pubblicazione
di Album Capitini si impegna in una meritoria raccolta di documenti e foto
per la più parte inediti, per celebrare la figura di un “protagonista appartato” o, senza con questo sbagliarci di troppo, di uno sconfitto vittorioso.
Se si ripercorre la sua biografia, infatti, ci si accorge di come Capitini, proprio per l’intransigenza del suo pensiero e per la sensibilità del suo
animo, abbia incontrato un gran numero di battute d’arresto, fallimenti,
sconfitte, che l’hanno condotto spesso all’isolamento e a un senso di perdizione che egli è sempre riuscito a trasformare in occasioni per promuovere
un’azione di rivalsa, pacifica quanto radicale.
Le sue umili origini non gli impediscono, dopo aver conseguito la licenza tecnica, di perseguire la propria passione per la poesia e la letteratura, procurandosi con i pochi soldi in suo possesso il materiale per prepararsi all’esame di licenza liceale. Lo studio lo strema a tal punto che deve
sospenderlo per un lungo periodo; la sofferenza della prostrazione fisica e
mentale non rimane però inerte, permettendogli di dar maturazione al proprio animo contemplativo e affiancando la figura di San Francesco come
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modello di prossimità a Dio, alla natura, all’uomo e agli animali. Nella sofferenza giovanile, Capitini matura la compassione nei confronti di quelli
che chiamava i distanti, i dimezzati, gli stroncati, gli annullati, i colpiti dal
mondo, gli sfruttati; una compassione che darà sostanza all’intera sua vita
e che lo conduce a osservare anche negli angoli più trascurati del mondo
e della storia, motivi di riscatto se solo si ha il coraggio di osservare l’esistente nella sua totalità, accogliendolo senza scartare nulla dalla compresenza degli esseri.
Di qui, il suo sguardo critico nei confronti di una società che elogia e
innalza solo chi fa, chi rende, la performance efficiente, la forza. E, in particolare, tale sensibilità nei confronti della fragilità permette a Capitini di
rimanere immune alla retorica fascista, nei confronti della quale oppone
una strenua resistenza già dai tempi della Marcia su Roma, prima affidandosi alle parole di Mazzini, e poi sviluppando un pensiero assieme politico
e religioso anche come simbolo di distacco rispetto all’atteggiamento indulgente e interessato della Chiesa nella stipula dei Patti Lateranensi, da lui
considerati un tradimento del Vangelo.
La sua opposizione al fascismo è politica e religiosa assieme, in un intreccio che ha come nuovo riferimento Gandhi, il cui attivismo Capitini fa
penetrare in Italia e la cui pratica egli incarnerà negli ideali della non collaborazione, della nonviolenza e del vegetarianismo. La sua resistenza nei
confronti del fascismo gli costa il posto presso la Scuola Normale di Pisa:
dovendo rinunciare alla propria carriera accademica, nel 1933 torna a Perugia, dove si sostenta tenendo lezioni private ai figli degli antifascisti; ma
non smette di essere un riferimento per lo spirito antifascista soprattutto
di quei giovani che vedevano in lui una risorsa insperata in un momento
in cui la gran parte degli intellettuali italiani si schierava con il fascismo.
La sconfitta dal punto di vista accademico non corrisponde dunque a una
resa: instancabile attivista e pensatore, i manoscritti in cui pone al centro
una rivoluzione religiosa per una rigenerazione morale vengono letti da Benedetto Croce che ne promuove la pubblicazione con un titolo, Elementi
di un’esperienza religiosa, che passerà inosservato alla censura del regime.
Il libro, però, contiene un messaggio intimamente politico, che costituirà
successivamente il nucleo teorico della nobile e troppo trascurata corrente
liberalsocialista.
È l’attivismo a favore della cospirazione che invece gli attira l’attenzione della politica fascista: durante una retata, viene catturato e finisce in
carcere assieme all’amico fraterno Calogero, a Codignola e altri. Lo stesso
Calogero racconterà di come la radicalità della sua nonviolenza abbia trasformato la permanenza in carcere di Capitini in una tortura, assediato
com’era dalle cimici che egli si rifiutava di uccidere.
Aldo Capitini rimane ai margini anche della ribalta politica post-bellica.
Con la nascita del Partito d’Azione, teme che la trasformazione del movimento liberalsocialista in un partito rappresenti uno spostamento a destra:
primo a dichiararsi “indipendente di sinistra”, non essendo iscritto a nessun partito, rimane escluso dal CLN e dalla Costituente.
Oltre al ritrovato impegno accademico, con il Dopoguerra l’azione di
Capitini si concreta perciò nella fondazione dei Centri di orientamento sociale e poi dei Centri di orientamento religioso, in cui riorganizza i propri
temi politici e religiosi in quell’educazione alla democrazia che egli chiama
“omnicrazia”. Non conquista la simpatia dei cattolici, i quali, pur acco280
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gliendo i temi della nonviolenza, spesso lo tacciavano di panteismo e animismo. Raro caso di simpatia negli ambienti cattolici è quello che Capitini
trova in don Milani, con il quale condivide il riconoscimento della dignità
della coscienza come riflesso di Dio, alla base della difesa dell’obiezione.
Ma la nonviolenza non è solo antimilitarismo, articolando l’apertura
all’esistente, alla libertà e allo sviluppo di ogni essere in un senso di nuova
socialità, a favore della piena realizzazione di ciascun uomo, in un contesto
di unità amorevole fra tutti gli uomini. L’attualità di Capitini, del pensiero
che si incarna nella sua persona come una teoria pratica, rimane la nonviolenza come approfondimento e aggiunta positiva e radicale alla via democratica, in un’epoca che ancora, come ai tempi della minaccia nucleare
ma in termini più subdoli, riduce la sofferenza e la morte di un uomo a un
semplice rumore, al suono di un oggetto caduto nel boato di un sedicente
realismo politico.
Risulta coerente la scelta che Aguaplano opera di organizzare i documenti pubblicati nel volume Album Capitini in tre sezioni, che riguardano
in primo luogo la vita, in secondo luogo la relazione tra biografia e opere,
e infine l’urgenza di rileggere oggi Capitini e gli strumenti per intraprendere questo lavoro. La scelta risulta particolarmente adeguata nel caso
capitiniano, in cui vita e azione si legano in uno stile quasi parresiastico:
la nota che Capitini consegna prima della morte a Guido Calogero, perché fosse pubblicata in questa stessa rivista, descrive una vita che ha nelle
opere intellettuali e politiche uno specchio fedele e coerente. Per conoscere
Capitini bisogna conoscere la sua azione e le sue opere; ma è altrettanto
vero che se ne possono conoscere le opere osservandone la messa in pratica nella vita: qui il valore capitale delle immagini che il volume offre. La
terza sezione del libro, poi, mette in guardia il lettore dal considerare la
lezione e la biografia di Capitini come una questione storica. Non è storia,
ma messaggio vivo.
Alla volgare imitazione in ritardo della natura, che vuol essere il realismo politico, Capitini oppone una visione che scioglie la politica dalla mera
dimensione polemica di relazioni di potere e di discorsi strategici, dalla gestualità concava e convessa dell’inclusione al costo di una esclusione mortifera. Capitini, allora come ancora oggi, rappresenta una visione positiva
della politica, una critica che è sempre al contempo aggiunta; o, meglio,
una critica che si sostanzia sempre in un movimento positivo, costruttivo,
promotivo, partecipativo e compositivo.
È in questi termini che l’istanza critica proposta da Capitini, quella
della nonviolenza, pur presentandosi con una parola negativa, non può mai
essere separata da una concezione, attiva, positiva e costruttiva. In ambito
etico, Capitini parla di un rapporto “indistruggibile” con ogni essere, un
modo di legare e riverire il tu e ogni altro vivente, al fine di interiorizzarlo,
di sentirlo prossimo anche nella sua distanza, spaziale o temporale. In ambito politico, la compresenza, come concezione etica comprensiva e sciolta
da riferimenti metafisici di sorta, si traduce in omnicrazia, che in primo
luogo lega l’azione presente e locale alla responsabilità nei confronti dei
lontani, dei remoti, dei passati e dei futuri, in un afflato che impegna il
nostro spirito ecologista per esempio; in secondo luogo, questa traduzione
omnicratica della compresenza significa l’apertura massima del confronto
democratico, sia in termini estensivi, coinvolgendo dal basso quanti più
partecipanti possibili, sia in termini intensivi, ossia abbracciando l’umano
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nella sua completezza, in quella fragilità che è la sua forza, per permettere
un beninteso benessere come qualità di vita. Un’urgenza politica allora rivolta contro il culto della forza biologica e nazionale, ma che oggi può essere ripresa come risposta contro le disuguaglianze conservate o prodotte
strutturalmente fra gli individui, e a favore di una società giusta ed egualitaria, e della fioritura di ciascuno. Il suo liberalsocialismo rimane oggi uno
stimolo per pensare un socialismo libero e un liberalismo giusto, capace di
coniugare giustizia sociale ed economica e partecipazione diffusa, informata
e consapevole, contro ogni politicismo elitista e contro ogni populismo
miope e demagogico; un ambiente di convivenza guadagnato non mediante
lo scontro e la conquista, bensì mediante la nonviolenza, ben intendendo
quest’ultima come l’arma del debole, come accoglienza che non scade mai
nella conservazione, sempre offrendo attivamente occasioni di maturazione
e di sviluppo condiviso.
Album Capitini, edito da Aguaplano, non è solo una preziosa raccolta
di documenti sconosciuti e inediti, ma un invito a riprendere il filo di un
discorso cominciato decenni fa e che, pensandosi compresente alle generazioni future, continua a parlare anche a noi.
[Carlo Crosato]
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