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FEDERICO M. PETRUCCI
IL PRINCIPIO ΔΙΔΑΣΚΑΛΙΑΣ ΧΑΡΙΝ NEL MEDIOPLATONISMO:
BREVE STORIA DI UN DIBATTITO FILOSOFICO
0. Premessa.
Quella di ‘Platonismo’ è apparentemente una categoria storiografica
efficace e flessibile, capace di essere applicata a diversi momenti della storia
del pensiero filosofico occidentale una volta che ne siano definiti alcuni
parametri caratterizzanti1. A fortiori, una simile operazione dovrebbe avere
una facile riuscita riducendo il focus alla ‘sola’ antichità. Non a caso, l’idea
per cui l’antichità ha conosciuto un Platonismo che, pur con declinazioni
diverse, ha mantenuto un nucleo dottrinale coerente dall’Academia Antica
al VI secolo d.C. è alla base di importanti imprese editoriali e rappresenta
una chiave storiografica affermata2. Sicuramente ci sono alcune ragioni che
possono essere addotte a sostegno di questa prospettiva: in fondo, riconoscere l’autorità di Platone potrebbe già essere visto come un dato sufficiente
a identificare una continua tradizione platonica; o, in un altro senso, è
innegabile che vi siano quasi sempre alcuni elementi generalissimi che consentono di affermare l’identità filosofica di una dottrina o l’affiliazione di
un pensatore a una tradizione. E tuttavia, come noto, il tentativo di stabilire
criteri ad alta sensibilità finisce spesso per danneggiare la specificità di una
ricerca: in altri termini, le differenze che devono essere rimosse per ottenere
un quadro coerente portano talvolta ad appiattire le differenze tra autori
diversi in modo talmente radicale da farne scomparire i contributi specifici,
le istanze individuali, le esigenze filosofiche, e con esse rischiano di venire
1
Un’applicazione accorta ed efficace di questa categoria nell’ampio spetto del pensiero
filosofico non solo antico è rappresentata da Chiaradonna (2017).
2
In generale, una simile idea è alla base del monumentale progetto Der Platonismus
in der Antike, ideato da Heinrich Dörrie e Matthias Baltes. In realtà, pur con una diversa
impostazione, essa è applicata già in Krämer (1967), mentre una sua nuova versione è
proposta, stavolta in ambito anglofono, dagli studi di Lloyd Gerson (cfr. ad es. Gerson
[2005]). Un approccio completamente diverso traspare invece dal recente volume (dedicato
al solo Medioplatonismo) di Boys-Stones (2018).
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oscurati importanti dibattiti metodologici e dottrinali, persi nel tentativo di
unificazione e coerentizzazione.
Un simile problema si riscontra a mio avviso rispetto a una serie di cruciali dottrine e istanze metodologiche, e un caso esemplare è rappresentato
dal cosiddetto principio esegetico διδασκαλίας χάριν applicato alla generazione del cosmo nel Timeo. Secondo la sua definizione standard, Platone
avrebbe descritto la generazione del cosmo in termini temporali al fine
di insegnare – o chiarire3 – alcuni aspetti legati alla generazione stessa, ad
esempio le sue componenti e la loro interazione. Il principio διδασκαλίας
χάριν avrebbe dunque la funzione di spiegare perché Platone si sia espresso,
stando alla lettera del testo, a favore del temporalismo, pur avendo in realtà
una posizione eternalista. Ora, poiché il principio è evocato in testimonianze
sugli Academici antichi e sue applicazioni sono poi rintracciate in testi
Medioplatonici e Neoplatonici, esso è stato identificato come un fattore
costantemente presente nella tradizione platonica, dunque come elemento
che potrebbe testimoniare una forte continuità nella ricezione di Platone dai
suoi primi discepoli ai più tardi diadochi4. Il risultato più generale che mi
prefiggo in questo contributo5 è quello di indicare come il principio esegetico
διδασκαλίας χάριν non può essere visto come un elemento constantemente
presente nella tradizione Platonica perché, in un’ampia e rilevante fase della
tradizione, quella post-Ellenistica, esso assume un significato profondamente
diverso da quello che aveva nell’Academia e che tornò ad avere a partire da
Plotino. Il ‘merito’ di tale discontinuità va individuato nella svolta impressa
all’eternalismo dal Medioplatonico Tauro di Beirut. Nel condurre questa
dimostrazione generale, tuttavia, emergerà un dato più specifico e per certi
versi importante: la svolta impressa da Tauro ha le sue ragioni anche e
Le diverse espressioni διδασκαλίας/σαφηνείας/θεωρίας χάριν/ἕνεκα sono di fatto
impiegate in modo indifferente nei testi in analisi, e farò riferimento alla dicitura
διδασκαλίας χάριν e non alle altre solo per non generare inutili duplicazioni o confusioni.
4
Un caso esemplare di come tale continuità sia stata indicata sulla base del principio
διδασκαλίας χάριν è rintracciabile in Dörrie – Baltes (1998), Bausteine 136.0 (testimonianze
sul dibattito academico) e 138 (testimonianze che includono Senocrate, Tauro T27 e
Giamblico). Naturalmente, perché il principio possa giocare questo ruolo non è necessario
che tutti gli autori associabili a ciascuna fase della tradizione lo sposino, ma solo che esso
mantenga la sua funzione e la sua ‘identità teorica’ in tutte le fasi e per gli autori che, in
ciascuna di esse, sposano una stessa dottrina.
5
Questo contributo è iscritto nel quadro di una ricerca sul letteralismo nel
Medioplatonismo che ho sviluppato, con un focus su Tauro, in Petrucci (2018a, 26-75), a cui
rimando per un’analisi dettagliata dei brani di Tauro qui trattati e per la raccolta di testi
secondo la quale essi sono qui citati.
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soprattutto nella necessità di far fronte alle critiche di Plutarco al principio
διδασκαλίας χάριν per come applicato da Eudoro di Alessandria. Proprio
Eudoro, Plutarco e Tauro sono i protagonisti di questa breve storia di un
dibattito medioplatonico, dibattito che però ha origini ancora più lontane,
presso l’esedra dell’Academia sotto gli scolarcati di Speusippo e Senocrate.
1. Le origini: l’Academia Antica.
Come noto, la natura della cosmogonia platonica fu oggetto di dibattito
fin dalla prima generazione di Academici. In questo senso, una testimonianza di Aristotele è cruciale:
Ἣν δέ τινες βοήθειαν ἐπιχειροῦσι φέρειν ἑαυτοῖς τῶν λεγόντων ἄφθαρτον μὲν εἶναι
γενόμενον δέ, οὐκ ἔστιν ἀληθής· ὁμοίως γάρ φασι τοῖς τὰ διαγράμματα γράφουσι
καὶ σφᾶς εἰρηκέναι περὶ τῆς γενέσεως, οὐχ ὡς γενομένου ποτέ, ἀλλὰ διδασκαλίας
χάριν ὡς μᾶλλον γνωριζόντων, ὥσπερ τὸ διάγραμμα γιγνόμενον θεασαμένους.
Τοῦτο δ’ ἐστίν, ὥσπερ λέγομεν, οὐ τὸ αὐτό·
Alcuni di quelli che sostengono che il cosmo è incorruttible ma generato tentano
di far leva su un argomento falso: dicono infatti che anche quelli hanno parlato
di generazione similmente a quelli che tracciano diagrammi, ovvero non perché
qualcosa sia stato generato in un momento passato, ma mirando all’insegnamento
per apprendere in modo più saldo, proprio come chi contempla il diagramma nello
sviluppo della sua generazione (De cael. I 10, 279b32-280a2)6.
La lettura tradizionale e più lineare di questo passo, anche grazie al
confronto con una testimonianza plutarchea che prenderò in considerazione più avanti, prevede che fosse una communis opinio nell’Academia,
quella per cui Platone avrebbe in realtà sostenuto una posizione eternalista,
e in modo simile che lo stesso principio διδασκαλίας χάριν, con il relativo
richiamo all’immagine geometrica, fosse un presidio comune tra i primi
allievi e successori di Platone – in particolare per Speusippo, Senocrate e
Crantore7. Qui è impossibile approfondire la discussione di questa lettura,
forse eccessivamente generica – ovvero, è forse eccessivo ritenere che
fossero del tutto assenti letture temporaliste all’interno di un ambiente,
quello Academico, che prevede un ampio spettro di istanze filosofiche8. Ciò
Cfr. anche Theophr. 241A-C (si noti che 241A-B sono citati da Tauro in T26, 4 e 27, 9).
Sul dibattico circa la generazione del cosmo nel Timeo nell’Academia antica cfr. su
tutti Dillon (2003) e Centrone (2012).
8
L’ipotesi che un’interpretazione temporale fosse sostenuta da qualche componente
dell’Academia è stata suggerita da Sedley (2002), sulla base di una sezione del Varrone
in cui viene riportata la versione di Antioco della dottrina academica. La tesi di Sedley
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che in questa sede è importante sottolineare, invece, è il fatto che le fonti
più prossime ai primi scolarchi dell’Academia, e in particolare Aristotele,
convergono nel sottolineare che l’eternalismo era sostenuto all’interno
dell’Academia attraverso due mosse argomentative: da un lato, si ammetteva
che Platone avesse descritto letteralmente in modo univoco il cosmo come
generato ma indistruttibile (ἄφθαρτον μὲν εἶναι [τὸν κόσμον] γενόμενον
δέ); dall’altro, si spiegava questa insistenza da parte di Platone attribuendo
al maestro la volontà di chiarire e insegnare aspetti compositivi del cosmo,
proprio come accade nelle dimostrazioni geometriche. Sullo sfondo di queste
due mosse c’è evidentemente un complesso di esigenze filosofiche diverse da
Academico ad Academico9, ma rimane chiaro che il cuore dell’argomento
risieda nel superamento del dettato del testo di Platone.
2. Eudoro di Alessandria e l’eredità dell’Academia.
Eudoro di Alessandria è probabilmente l’ultimo degli Academici e uno
tra i pochissimi Academici ‘senza Academia’. Dopo la chiusura della scuola
all’inizio degli anni 80 del I secolo a.C., un forte impulso al ritorno di un
Platonismo dogmatico è dovuto anche e soprattutto all’operato di questa
figura enigmatica nel vivo contesto di Alessandria10. Eudoro è Academico
non solo nominalmente (T1 Mazzarelli), ma anche per un richiamo diffuso
a una serie di dottrine proprie dell’Academia Antica11 e all’autorità dei primi
è controversa, ma probabilmente essa coglie aspetti di grande interesse: ad esempio,
essa consentirebbe di spiegare perché Antioco di Ascalona si senta in diritto di ascrivere
genericamente agli Academici una prospettiva temporale, mossa che sarebbe stata
eccessivamente rischiosa e paradossale se non si fosse avuta notizia alcuna di Academici
favorevoli.
9
Ciò emerge in modo chiaro nel caso della psicogonia, su cui siamo meglio informati: in
effetti, nel quadro dell’esegesi διδασκαλίας χάριν e dell’eternalismo, Speusippo, Senocrate
e Crantore davano letture molto diverse delle componenti coinvolte nella generazione
dell’anima e delle funzioni di quest’ultima (si vedano gli studi citati nella nota 7 per un
approfondimento).
10
Eudoro, al pari di Antioco di Ascalona, incarna proprio il momento – per molti versi
misterioso – in cui il dogmatismo torna centrale nella tradizione platonica. Su Antioco si
vedano i saggi riuniti in Sedley (2013) (tra questi, tendo ad essere d’accordo, pur con alcune
riserve, con le tesi esposte da M. Bonazzi). Su Eudoro (in generale) cfr. partic. Bonazzi
(2005) e (2007).
11
Ad esempio, benché attraverso una forte rielaborazione, Eudoro dimostra di
conoscere e usare una versione della dottrina Academica delle categorie. Sulla dottrina
delle categorie in Eudoro cfr. Chiaradonna (2009); cfr. anche, per una diversa lettura, BoysStones (2016).
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Academici12. In questo quadro spicca certamente il recupero dell’istanza
eternalista, in qualche modo oscurata durante l’età Ellenistica13 e resa nuovamente autorevole da Eudoro nel suo Commento al Timeo al punto da poter
essere al contempo fonte e bersaglio polemico per Plutarco, che riporta la
posizione di Eudoro come segue (De an. procr. 1013A-B; trad. it. Franco
Ferrari, lievemente modificata):
Ὁμαλῶς δὲ πάντες οὗτοι χρόνῳ μὲν οἴονται τὴν ψυχὴν μὴ γεγονέναι μηδ’ εἶναι
γενητήν, πλείονας δὲ δυνάμεις ἔχειν, εἰς ἃς ἀναλύοντα θεωρίας ἕνεκα τὴν οὐσίαν
αὐτῆς λόγῳ τὸν Πλάτωνα γιγνομένην ὑποτίθεσθαι καὶ συγκεραννυμένην· (…) τὰ δ’
αὐτὰ καὶ περὶ τοῦ κόσμου διανοούμενον ἐπίστασθαι μὲν ἀίδιον ὄντα καὶ ἀγένητον,
τὸ δ’ ᾧ τρόπῳ συντέτακται καὶ διοικεῖται καταμαθεῖν οὐ ῥᾴδιον ὁρῶντα τοῖς μήτε
γένεσιν αὐτοῦ μήτε τῶν γενητικῶν σύνοδον ἐξ ἀρχῆς προϋποθεμένοις ταύτην τὴν
ὁδὸν τραπέσθαι. τοιούτων δὲ τῶν καθόλου λεγομένων, ὁ μὲν Εὔδωρος οὐδετέρους
ἀμοιρεῖν οἴεται τοῦ εἰκότος·
Tutti costoro [gli Academici antichi] d’altronde, senza eccezione, pensano che
l’anima non sia nata nel tempo, né che sia stata generata, ma che sia in possesso di
una molteplicità di facoltà, nelle quali Platone, allo scopo di farsi comprendere, ha
risolto la sua essenza, sostenendo a parole che essa è generata e risulta composta
da una mescolanza (…). Pensano poi che Platone avesse la medesima posizione
anche a proposito del cosmo: egli sapeva che era eterno e ingenerato, ma optò per
questo metodo espositivo perché constatò che senza presupporne la generazione e il
concorso originario di fattori generanti, non era facile comprendere il modo in cui
esso era organizzato e governato. Queste sono in generale le cose che essi dicono.
Eudoro, poi, pensa che né agli uni né agli altri faccia difetto la verisimiglianza.
Certamente Plutarco aveva un grande interesse per posizioni academiche,
e in particolare senocratee, ma la struttura del passo e il contesto indicano
che la fonte della sezione è proprio Eudoro14. In effetti, anche ammettendo
che Plutarco disponesse direttamente di testi Academici a favore dell’eternalismo, per certo egli aveva a disposizione il Commento al Timeo di Eudoro,
la cui opinione è riportata in diretta relazione con quella degli Academici.
Tutto ciò garantisce che la continuità rispetto alla posizione academica fosse
Su questo aspetto cfr. Petrucci (di prossima pubblicazione).
Come noto, il modello filosofico proprio dell’Academia ellenistica non rende possibile
attribuire ai suoi esponenti (almeno fino a Filone di Larissa) una posizione dogmatica circa
la questione della generazione del cosmo; tuttavia, è probabile che una lettura temporalista
fosse preponderante nell’interpretazione della dottrina platonica propria delle scuole rivali:
cfr. ad es. Cic. Nat. deor. I 17-24.
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Per un commento dettagliato al testo plutarcheo si veda, qui e per le sezioni citate
successivamente, Ferrari – Baldi (2002).
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rivendicata dallo stesso Eudoro, che evidentemente ne condivideva l’economia argomentativa. Ancora più interessante è che apparentemente Eudoro
non si pronunci a proposito dell’esatta interpretazione di alcuni aspetti
della cosmogonia e della psicogonia di Platone: egli è disposto a concedere
margini di verosimiglianza alle diverse letture academiche. Ciò che invece
Eudoro sposava per certo erano l’eternalismo e la struttura dell’argomento
attraverso cui esso era sostenuto, ovvero l’idea per cui Platone avrebbe
optato per una modalità espositiva peculiare, che assumeva la generazione
del cosmo (γιγνομένην ὑποτίθεσθαι) al fine di rendere le componenti della
generazione chiaramente intelligibili (θεωρίας ἕνεκα) – dunque, facili da
cogliere e comprendere. In questi termini, secondo la ricostruzione plutarchea è possibile far emergere un tratto essenziale già proprio della lettura
academica e poi caratteristico dell’esegesi di Eudoro: Platone era eternalista
nella sostanza della sua dottrina, ma la lettera dei suoi testi rappresentava
il cosmo come generato. È evidente, dunque, che l’applicazione di Eudoro
del principio διδασκαλίας χάριν si presenti come perfettamente coerente
con quella academica, in particolare per quanto riguarda una forte istanza
deletteralizzante.
È a questo punto interessante notare che proprio tale approccio, tanto
fortunato nel contesto dell’Academia Antica, fu anche il nucleo più attaccato della posizione di Eudoro, come emerge in primo luogo da una critica
rintracciabile in un passo del De aeternitate mundi (14-17)15 di Filone di
Alessandria. Filone propone un’esegesi della cosmogonia platonica in chiave
temporalista attraverso due argomenti. Il primo è un interessante argomento
di autorità, in cui a favore dell’interpretazione temporale viene invocato
Aristotele in quanto ‘importante allievo diretto di Platone’. Considerando
che Filone non sposa di per sé una cosmologia di stampo aristotelico, un
simile argomento acquisisce senso se inquadrato nel contesto di una polemica – ovvero, se letto come ad hominem – contro un altro argomento di
autorità. Il bersaglio di Filone è a questo punto facile da individuare, ovvero
chiunque invocasse l’autorità degli allievi di Platone a favore di un’esegesi
eternalista. Come abbiamo visto, dunque, il candidato migliore diventa
Eudoro, con le opere del quale Filone era certamente a contatto. Se questo
è vero, è probabile che anche il secondo argomento abbia Eudoro come
bersaglio. In esso, Filone cita il testo di Platone – in particolare Timeo
41b – e sottolinea come esso rappresenti un’evidenza ineludibile a favore
Sull’esegesi filoniana della cosmogonia platonica cfr. i classici studi di Runia (1986,
91-176) e (2001, 1-43).
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dell’opzione temporalista, evidenza che non può essere ribaltata da coloro
che invece costruiscono sofismi (σοφιζόμενοι) per superare il dettato del
testo di Platone. Il valore generale di questo passo è enorme, poiché mi risulta che esso sia il primo in cui un Platonico – o, in ogni caso, un pensatore
che impiega ampiamente posizioni di stampo platonico – abbia affermato
l’autorità della lettera di Platone con consapevolezza metodologica: in altri
termini, Filone stabilisce per la prima volta un approccio letteralista e l’autorità del dettato del testo contro un approccio metaforico, dunque deletteralizzante. Ma, ancora, in questo caso il migliore candidato come bersaglio
per la critica di Filone è Eudoro, che aveva recuperato l’istanza metaforica
academica nella forma dell’esegesi διδασκαλίας χάριν e l’aveva fatta propria.
Tutto ciò conduce a confermare che alle soglie dell’età Imperiale torna ad
essere importante un’interpretazione eternalista della cosmogonia platonica
e che questa interpretazione è intrinsecamente basata su un approccio deletteralizzante e metaforico, quello garantito dal principio διδασκαλίας χάριν
recuperato da Eudoro a partire dall’autorità dell’Academia Antica.
3. Plutarco contro Eudoro.
Fin qui i testi non hanno che confermato istanze già ampiamente note e
confermato la loro interpretazione tradizionale. Filone non è però l’unico o
il più radicale critico di Eudoro. In effetti, come accennato in precedenza,
che Eudoro sia il bersaglio (immediato, quanto meno) di Plutarco nel De animae procreatione in Timaeo è esplicito: Plutarco cita apertamente Eudoro, ne
discute criticamente le posizioni e, in modo finanche paradossale, presenta
le originarie istanze academiche proprio attraverso il filtro del suo predecessore alessandrino16. È dunque naturale che proprio Eudoro sia il bersaglio
della più radicale critica metodologica di Plutarco contro l’eternalismo e il
suo ricorso al principio διδασκαλίας χάριν. Esso viene presentato come uno
strumento pretestuoso, superfluo e irrispettoso del maestro:
Τίς οὖν τούτων ἐπανόρθωσις ἑτέρα πλὴν ἧς αὐτὸς δίδωσι τοῖς δέχεσθαι βουλομένοις;
Perché ricorrere a un modo di appianare queste difficoltà diverso da quello che
Platone stesso fornisce a coloro che vogliono accettarlo? (De an. procr. 1016C)
16
Per un’analisi dei metodi esegetici medioplatonici, con particolare attenzione a
Plutarco, cfr. gli studi fondamentali di Ferrari (2000) e (2001), e Opsomer (2004). Sul
dibattito circa la generazione del cosmo nel Medioplatonismo cfr. lo studio canonico di
Baltes (1976) e la nuova lettura complessiva di Boys-Stones (2018, 184-211).
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Con questa domanda retorica Plutarco introduce una serie di citazioni
dal Timeo volte a sostenere il suo temporalismo, e per questo è opportuno
rintracciarvi una sorta di esplicita dichiarazione metodologica: il testo di
Platone, la sua lettera, non possono e non devono essere superati, accantonati e traditi proprio perché Platone ha voluto trasmettere attraverso
essi la propria dottrina al lettore. In effetti, ciò che ricorre nelle sezioni
che Plutarco cita dopo questo breve cenno programmatico (ovvero Timeo
34b10-35a1, 36e3-4, 36e5-37a2) è il riferimento esplicito al fatto che il cosmo
e (soprattutto, in questo caso) l’anima siano generati dal Dio.
Tutto questo ha due conseguenze di grande importanza per la ricostruzione delle critiche di Plutarco a Eudoro. In primo luogo, l’insistenza su
passi che stabiliscono in modo letterale che il cosmo e l’anima sono generati
dal dio è funzionale a far emergere un nucleo teorico fondamentale per
Plutarco, ovvero l’idea per cui la generazione temporale è intrinsecamente
legata – e garantisce – l’efficacia della provvidenza divina sul cosmo e la
limitazione del disordine intrinseco al sostrato precosmico17. In altri termini, proprio insistendo su un’instanza letteralista Plutarco può enfatizzare
che c’è una lettura filosoficamente efficace, o almeno con punti di forza
– ad esempio, legati al provvidenzialismo – che fa leva sul temporalismo.
Questo punto non è irrilevante, perché mina alla base l’idea, evidentemente
implicita nell’approccio di Eudoro, che è necessario trascendere il testo di
Platone per ottenere un buon ‘risultato’ filosofico: stabilendo la necessità del
temporalismo per poter affermare la presenza della provvidenza Plutarco
indica quale plus filosofico deriva dal suo approccio letteralista e sottolinea
in ogni caso che è possibile ricavare un quadro filosoficamente ordinato ed
efficace senza abolire il significato del dettato del testo. In breve, Plutarco
mira a mostrare, contro Eudoro, che non è filosoficamente necessario un
superamento del dettato di Platone.
In secondo luogo, dal punto di vista metodologico ciò che rende particolarmente interessante la critica plutarchea non è tanto la dialettica storica
Per l’idea per cui dio vuole ordinare il cosmo e lo fa sulla base di un piano
provvidenziale, cfr. ad es. De E 393F, Pyth. or. 398D-E, Def. or. 423C-E e 426D-E, CQ
720B-C, Stoic. rep. 1055D, e fr. 193; per la nozione di provvidenza in Plutarco e la sua
correlazione con l’azione divina cfr. Adv. Col. 1108C-D, Def. or. 423C-E; De ser. 560F-561B;
De fac. 926F; Foc. 2, fr. 195, con Opsomer (1997) e Ferrari (1999). Come correttamente
sottolineato da Opsomer (2005, 89), uno dei guadagni fondamentali dell’idea per cui il dio
interviene direttamente nel cosmo è quello di stabilire una forte vicinanza tra dimensione
divina e mondo materiale. Per la cosmologia di Plutarco e il suo rapporto con la dottrina
della generazione del cosmo cfr. Ferrari (1995). Ho discusso il rapporto tra la cosmologia di
Plutarco e quelle di Tauro e Attico in Petrucci (2018a, 112-125).
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che essa stabilisce, che in fondo è relativamente scontata: data l’importanza
di Eudoro nel rinnovare l’opzione eternalista in rottura con la tradizione
ellenistica, è ovvio che egli divenga anche il bersaglio polemico di chi,
come Plutarco, voleva riaffermare il temporalismo. Ciò che è invece davvero
importante è il fatto che la critica di Plutarco – come già implicitamente
quella di Filone – sottolinea un aspetto cruciale del principio διδασκαλίας
χάριν per come formulato da Eudoro, ovvero il rapporto tra la lettera
di Platone e il contenuto filosofico delle dottrine del maestro. In effetti,
Plutarco può sperare di cogliere il suo bersaglio polemico solo se si ammette
che il principio διδασκαλίας χάριν di Eudoro privasse programmaticamente
la lettera di Platone di autorevolezza filosofica, ovvero che applicasse una
deletteralizzazione radicale: per cogliere il significato profondo del pensiero
di Platone occorre superare il testo che lo veicola; il testo di Platone, dunque,
non può essere utilizzato come base argomentativa, né c’è alcuna necessità
di sforzarsi per dimostrare la coerenza tra alcuni aspetti evidenti del testo e
il contenuto filosofico che si vuole attribuire al maestro. Anche mantenendo
un relativo scetticismo sui particolari relativi all’applicazione del principio
διδασκαλίας χάριν per come formulata nel contesto dell’Academia Antica,
le fonti indicano chiaramente che quella appena enunciata è l’economia
metodologica del principio per come (ri)formulato da Eudoro e recepito criticamente da Filone e Plutarco: si tratta di un principio radicalmente deletteralizzante basato sul superamento e l’accantonamento del dettato del testo
nel caso in cui qualche esigenza filosofica lo renda auspicabile o necessario.
Una volta posta l’obiezione generica – e radicale – circa l’applicazione di
una deletteralizzazione del testo del Timeo, Plutarco può inoltre rafforzare
la propria posizione portando paralleli ‘testuali’ per l’interpretazione letteralista e temporalista. Due di questi risulteranno importanti nel seguito del
contributo e giocano per Plutarco un ruolo strategico: si tratta di sezioni
dal Crizia e dal Politico. Dopo aver ampiamente discusso il problema e le
ambiguità della generazione dell’anima, in relazione alla questione della
generazione del cosmo Plutarco è molto più netto, enfatizzando che il maestro «del cosmo dice sempre che è venuto all’essere ed è generato, e non dice
mai che è ingenerato ed eterno» (De an. procr. 1017B9-10: τὸν δὲ κόσμον ἀεὶ
μὲν γεγονότα καὶ γενητὸν ἀγένητον δὲ μηδέποτε μηδ’ ἀίδιον). Ciò è vero,
secondo Plutarco, non solo per tutto il Timeo, ma anche per sezioni tratte
dal Crizia e dal Politico:
τῶν δ’ ἄλλων ἐν μὲν Ἀτλαντικῷ προσευχόμενος ὁ Τίμαιος ὀνομάζει τὸν πάλαι μὲν
ἔργῳ γενονότα νῦν δὲ λόγῳ θεόν, ἐν Πολιτικῷ δ’ ὁ Παρμενίδειος ξένος τὸν κόσμον
ὑπὸ τοῦ θεοῦ συντεθέντα φησὶ πολλῶν ἀγαθῶν μεταλαβεῖν, εἰ δέ τι φλαῦρόν ἐστιν
ἢ χαλεπόν, ἐκ τῆς προτέρας ἕξεως ἀναρμόστου καὶ ἀλόγου συμμεμιγμένον ἔχειν·
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Tra le altre opere, nell’Atlantide Timeo invoca per nome il dio che da tempo esiste
di fatto, ma è nato ora nel discorso, e nel Politico lo straniero allievo di Parmenide
dice che il cosmo, composto da dio, partecipa di molti beni, e se esiste qualcosa
di spregevole e molesto, è un prodotto della commistione ottenuta a partire dalla
condizione precedente, priva di accordo e irrazionale (De an. procr. 1017C1-7).
Plutarco menziona poi anche la Repubblica, ma la strategia che egli
applica emerge chiaramente già rispetto ai dialoghi appena menzionati.
Come nel caso indicato in precedenza, è chiaro che Plutarco alluda a passi,
ovvero Crizia 106a4-5 e il mito del Politico, che non solo fanno esplicito
riferimento alla generazione del cosmo, ma correlano inoltre questa generazione all’importanza dell’azione del dio – nel caso del Politico, peraltro, con
un’estremamente favorevole menzione di un movimento irrazionale che il
dio limiterebbe. Vi è, in altri termini, una forte ragione filosofica che spinge
Plutarco ad inserire nel proprio argomento un riferimento a questi passaggi. Al contempo, però, l’elemento metodologico su cui Plutarco insiste è la
presenza di chiari appigli testuali che conducono immediatamente a vedere
nel dettato di Platone un’affermazione del temporalismo18. Per quanto possa
sembrare naïf, l’argomento va ancora ad incidere su una significativa debolezza dell’approccio di Eudoro per come emerso finora, ovvero la radicalità
della scelta tra il seguire il dettato del testo – opzione esclusa da Eudoro
– e superarlo a favore di un’interpretazione metaforica. Se infatti nel Timeo
Platone potrebbe aver voluto insegnare e chiarire quale sia la composizione
di un cosmo eterno, non ci sarebbe ragione per mantere un simile livello
di ambiguità altrove – ad esempio, nell’incipit del Crizia, dal quale non si
può trarre alcun insegnamento relativo alle componenti della generazione.
Plutarco può in questo modo sottolineare la coerenza dell’approccio letteralista e il fatto che, indipendentemente dal fine specifico di ciascun dialogo
o sezione di dialogo, Platone si sia espresso a favore del temporalismo attraverso chiari segnali testuali.
Per riassumere. La critica di Plutarco a Eudoro lascia emergere l’economia metodologica del principio διδασκαλίας χάριν per come concepito
dall’Alessandrino: si pone un aut aut tra seguire il dettato di Platone e
superarlo interpretandolo metaforicamente, e tra le due opzioni quest’ultima
Ad esempio, al di là dell’enigmaticità del passo del Crizia, è comunque evidente che
del cosmo si dica che è γεγονώς. Come notato da Ferrari in Ferrari – Baldi (2002, n. ad
loc.), Plutarco si spinge anche oltre, citando in modo leggermente alterato il testo platonico
al fine di rafforzare il proprio argomento; mi pare tuttavia che in questo caso Plutarco si
muova pienamente all’interno delle norme della cosiddetta art of misquotation (su cui cfr.
Whittaker [1989]).
18
IL PRINCIPIO ΔΙΔΑΣΚΑΛΙΑΣ ΧΑΡΙΝ NEL MEDIOPLATONISMO
25
viene percorsa. A sostegno della propria critica Plutarco porta un argomento
che si è rivelato articolato e forte. Il principio per cui è opportuno e necessario trascendere il testo di Platone è errato per almeno tre ragioni. In primo
luogo, il fatto che Platone abbia articolato la propria esposizione in un modo
specifico deve essere tenuto in considerazione, e nulla segnala che Platone
ne prescriva il superamento. In secondo luogo, non ci sono ragioni filosofiche che costringano ad accantonare il dettato di Platone, perché gli elementi
testuali che sostengono il temporalismo sono gli stessi che indicano la coerenza e l’efficacia del modello Platonico, basato sulla dottrina dell’intervento provvidenziale del dio. Infine, Platone si è espresso in modo esplicito a
favore del temporalismo non solo nel Timeo, ma in altri dialoghi e sezioni, e
lo ha fatto indipendentemente da finalità contestuali o circostanze letterarie:
ciò restituisce al dettato di Platone coerenza e compattezza, svuotando una
lettura metaforica di qualsiasi base sul piano compositivo.
4. Tauro T27 e l’esegesi διδασκαλίας χάριν nel Medioplatonismo.
Dalla narrazione finora sviluppata emerge in primo luogo che l’eternalismo platonico dall’Academia Antica alle soglie dell’età Imperiale e
l’applicazione del principio διδασκαλίας χάριν sono intrinsecamente legati
l’uno all’altro: il principio διδασκαλίας χάριν è di fatto l’argomento principe a favore dell’eternalismo, è il pilastro su cui si reggono le esegesi degli
Academici ed Eudoro come anche la chiave di volta che Plutarco tenta di
minare per far crollare l’intero edificio esegetico del suo avversario. Proprio
da questo punto si può partire per notare un primo fondamentale tratto di
discontinuità nella tradizione nel contesto del Platonismo post-Ellenistico.
In effetti, al di là dell’idea – diffusa ma in fondo approssimativa – per cui
l’eternalismo è istanza maggioritaria tra i Medioplatonici19, rimane evidente
che questa posizione ebbe una notevole diffusione e rappresentò uno dei
fondamenti cosmologici per diversi modelli medioplatonici: casi esemplari
sono rappresentati da Albino, Tauro e Alcinoo, esponenti centrali del movimento medioplatonico nelle sue varie fasi e autori di opere molto diverse tra
loro. In questo quadro è però particolarmente significativo che né Albino
né Alcinoo facciano menzione del principio διδασκαλίας χάριν. Anche tralasciando il caso di Albino, per cui le fonti sono particolarmente scarse, se il
principio fosse la chiave di volta dell’argomento eternalista sarebbe del tutto
legittimo aspettarsi una sua menzione almeno nel Didaskalikos di Alcinoo,
‘manuale medioplatonico’ che, pur fornendo una dimostrazione dell’eternità
19
Cfr. ad es. Bonazzi (2018, 3-16).
26
FEDERICO M. PETRUCCI
del cosmo, non menziona mai il principio20. In breve, anche ammettendo
che il principio διδασκαλίας χάριν rimanga invariato nella sua economia
metodologica interna, occorrerebbe riscontrare una sua marginalizzazione
nel contesto medioplatonico: da elemento metodologico fondamentale esso
sarebbe diventato al massimo una componente argomentativa omissibile
senza particolari ripercussioni. C’è però molto di più, perché, come dimostrerò in questa sezione, l’unica menzione del principio in testi di medioplatonici eternalisti, quella rintracciabile in T27 di Tauro di Beirut, evidenzia
una radicale modifica della sua stessa economia interna, per la quale esso
viene ora piegato a giocare un ruolo specifico all’interno di una prospettiva
esegetica letteralista.
Il testo che sarà oggetto di analisi in questa sezione è il seguente:
[3] “εἰ καὶ ἀγενές ἐστιν”. καὶ ὁ ποιητὴς “εἰ καὶ γένει ὕστερον εἶεν”. τεκμήριον δὲ
τοῦ ἀγένητον εἶναι τὸν κόσμον· φησὶν γοῦν ποιήσεσθαι τοὺς λόγους, ὡς γεγένηται,
εἰ καὶ ἀγενές ἐστιν· καὶ γὰρ περὶ τῶν ἀγενήτων ὡς γενητῶν γίνονται οἱ λόγοι
διδασκαλίας χάριν (…).
[6] εἰδὼς γάρ, ὅτι οἱ πολλοὶ μόνον ὑπειλήφασιν αἴτιον τὸ προτεροῦν χρόνῳ,
ἄλλως δὲ οὐκ οἴονται εἶναι αἴτιον, ἐκ δὲ τούτου κίνδυνος ἐπιστῆσαι αὐτοὺς περὶ
προνοίας, ὅτι ἐστίν, βουλόμενος δὲ τοῦτο τὸ δόγμα ἐμποιῆσαι, ὅτι προνοίᾳ ὁ κόσμος
διοικεῖται, τοῖς μὲν δυναμένοις καὶ ἄλλως κατανοῆσαι τοῦτο ἠρέμα ὑποδηλοῖ,
ὅτι ἀγένητος ὁ κόσμος κατὰ χρόνον, τοῖς δὲ μὴ χωροῦσιν ἐμφαίνει, ὅτι γενητός,
καὶ εὔχεταί γε πιστεῦσαι αὐτούς, ἵνα ἅμα πεισθῶσιν καὶ περὶ τῆς προνοίας. [7] ἡ
δὲ δευτέρα αἰτία, ὅτι σαφέστερά ἐστιν τὰ λεγόμενα, ὅταν ὡς γινομένοις αὐτοῖς
παρατυγχάνωμεν· οὕτως καὶ τὰ διαγράμματα οὐ συντεθέντα συντιθέασιν ὡς ἂν
γινόμενα, καὶ τὸν μὲν κύκλον, ἐπειδὴ ἁπλούστερον ἦν, ὡρίσατο Εὐκλείδης “σχῆμα
ὑπὸ μιᾶς γραμμῆς περιεχόμενον, πρὸς ἣν πᾶσαι αἱ ἀφ’ ἑνὸς σημείου τῶν ἐντὸς
προσπίπτουσαι εὐθεῖαι ἴσαι ἀλλήλαις εἰσίν”, τὴν δὲ σφαῖραν θέλων δεῖξαι ὡς ἂν
γινομένην ὡρίσατο “ἡμικύκλιον διαμέτρου μενούσης περιφερόμενον, ἕως ἂν ἐπὶ
τὰ αὐτὰ σημεῖα ἀποκαταστῇ”· εἰ δὲ τὴν ἤδη οὖσαν ἠβούλετο, ὡρίσατο ἂν “σχῆμα
ὑπὸ μιᾶς ἐπιφανείας περιεχόμενον, πρὸς ἣν πᾶσαι αἱ ἀφ’ ἑνὸς σημείου τῶν ἐντὸς
προσπίπτουσαι εὐθεῖαι ἴσαι ἀλλήλαις εἰσίν”.
‘[3] “Anche se è ingenerato”. Anche il Poeta dice: “Anche se era più giovane”.
Questa è una prova del fatto che il cosmo è ingenerato. Afferma infatti che produrrà i suoi discorsi come se fosse stato generato, anche se è ingenerato; e in effetti i
discorsi prodotti al fine dell’insegnamento sono quelli che trattano le cose ingenerate come se fossero generate’ (…).
[6] Sapendo infatti che i più assumono che causa sia solo ciò che precede temporalmente, e non credono che qualcosa possa essere causa altrimenti, e che c’è il
Cfr. Alcin. Didask. cap. XIV. Per un’interpretazione dell’argomento di Alcinoo, a mio
avviso di natura letteralista, cfr. Petrucci (2015).
20
IL PRINCIPIO ΔΙΔΑΣΚΑΛΙΑΣ ΧΑΡΙΝ NEL MEDIOPLATONISMO
27
rischio che essi riflettano su cosa è la provvidenza a partire da questo presupposto, e volendo stabilire questa dottrina, ovvero che il cosmo è ordinato secondo
provvidenza, per chi è capace di concepirlo anche diversamente egli suggerisce in
modo sottile che il cosmo è ingenerato in senso temporale, mentre per chi non è
versato in queste cose egli afferma chiaramente che è generato, e prega che essi ci
credano, affinché siano al contempo persuasi anche circa la provvidenza. [7] La
seconda causa consiste nell’idea che ciò che viene descritto a parole è più chiaro
quando lo consideriamo come se fosse in un processo di generazione. Allo stesso
modo anche le figure geometriche, benché non siano composte, vengono composte
come se fossero in processo di generazione; da un lato Euclide definisce il cerchio,
visto che è più semplice, come ‘figura racchiusa da una sola linea, rispetto alla quale
tutte le rette che cadono da un singolo punto tra quelli all’interno sono uguali tra
loro’; dall’altro definisce la sfera, volendola mostrare come se fosse in un processo
di generazione, come ‘semicerchio che si muove circolarmente mentre il diametro
rimane fermo, finché non torni agli stessi punti’ – se invece avesse voluto definire la
sfera già esistente, lo avrebbe fatto dicendo: ‘figura racchiusa da una sola superficie,
rispetto alla quale tutte le rette che cadono da un singolo punto tra quelli all’interno sono uguali tra loro’ (Tauro T27, 3 e 6-7)21.
Il testo, riportato ad litteram da Filopono22, doveva essere parte del commento a un ampio lemma del Timeo, esteso almeno da 27c5 a 28b823, e contiene l’esegesi di Timeo 27c5, in cui Timeo annuncia il problema fondamentale che il mito risolverà: ἡμᾶς δὲ τοὺς περὶ τοῦ παντὸς λόγους ποιεῖσθαί πῃ
μέλλοντας, ᾗ γέγονεν ἢ καὶ ἀγενές ἐστιν. Nel riprendere il testo di Platone,
tuttavia, Tauro applica un’evidente modifica testuale, secondo la quale si
discuterà del cosmo come generato εἰ καὶ ἀγενές ἐστιν 24. Dunque, Timeo
non propone più la generazione o l’essere ingenerato del cosmo come due
21
Per comodità riporto all’interno del testo anche l’indicazione dei paragrafi che ho
stabilito nella mia collezione dei frammenti. Per una discussione più approfondita sul ruolo
di questo testo nell’eternalismo di Tauro cfr. Petrucci (2018a, 45-52).
22
T27 corrisponde a Philop. De aet. mund. VI 21 (123, 15-16 e 186, 6-189, 13 Rabe). È
importante notare che Filopono, pur non avendo accesso diretto al testo di Tauro, dispone
di una fonte affidabile – probabilmente Porfirio, citato spesso in continuità rispetto a
Tauro – e dichiara esplicitamente, sia in T26 che in T27, di citare Tauro ἐπὶ λέξεως. Ciò
fornisce un’opportunità rara, perché spesso i frammenti dei Medioplatonici sono in realtà
testimonianze deformate da intenti critici (come accade, ad esempio, nel caso dei frammenti
di Numenio e Attico riportati da Proclo). Sull’interesse di Porfirio per i Medioplatonici si
veda Zambon (2002); sul problema della conoscenza dei testi medioplatonici da parte dei
Neoplatonici – e in particolare di Proclo – cfr. Tarrant (2004). Sull’interpretazione fornita
da Filopono sulla base delle citazioni dei suoi predecessori cfr. Verrycken (1988) e (1997).
23
Sulla struttura del commento di Tauro cfr. Petrucci (2018a, 176-178).
24
Sulla natura di questa modifica – e in generale sulle nozioni di ideological emendation,
o emendatio surrettizia – cfr. Dillon (1989); Ferrari (2001); Petrucci (2018b).
28
FEDERICO M. PETRUCCI
opzioni che verranno vagliate, ma finisce per affermare programmaticamente l’eternalismo. È importante sottolineare che questa modifica testuale non
rappresenta né un’interpretazione25 né la conclusione di un ragionamento:
al contrario, essa è usata come base per portare avanti l’argomento a favore
dell’eternalismo, rappresentando un τεκμήριον a suo favore. In altri termini,
il primo e fondamentale passaggio esegetico applicato da Tauro consiste nel
concentrarsi sul testo di Platone. Se questo è vero, l’approccio di Tauro non
prevede in nessun modo una mossa che per Eudoro era stata fondamentale e
che rappresentava la chiave del principio διδασκαλίας χάριν, ovvero il superamento del dettato di Platone: al contrario, è proprio la lettera del Timeo
ad essere identificata come ineludibile base argomentativa a favore dell’eternalismo. Tutto ciò è ancora più rilevante se si considera che esattamente
in questo contesto Tauro fa entrare in gioco il principio διδασκαλίας χάριν:
la ragione per cui Timeo afferma che si parlerà del cosmo come generato
anche se è ingenerato è quella di favorire l’insegnamento e il chiarimento
della generazione stessa (καὶ γὰρ περὶ τῶν ἀγενήτων ὡς γενητῶν γίνονται
οἱ λόγοι διδασκαλίας χάριν). A questo punto, l’analisi giunge a un punto di
apparente aporia, perché lo stesso principio διδασκαλίας χάριν si basa nei
casi di Eudoro e Tauro su due presupposti incompatibili: secondo Eudoro
il principio si applica nella misura in cui il dettato del testo di Platone deve
essere superato e, rispetto al problema della generazione del cosmo, non è
direttamente portatore di dottrina; secondo Tauro, al contrario, è proprio il
dettato del testo di Platone a garantire l’opzione eternalista e ad essere legato
al chiarimento e all’insegnamento.
L’unica via che possa condurre oltre l’aporia è dunque quella che porta
a scoprire una diversa economia metodologica per il principio διδασκαλίας
χάριν per come concepito da Tauro. L’occasione per farlo è offerta da T27,
6-7, ovvero dalla spiegazione delle ragioni filosofiche per cui Platone avrebbe formulato la propria narrazione διδασκαλίας χάριν. Tauro afferma infatti
che vi sono due ragioni filosofiche per cui Platone avrebbe adottato questa
modalità espositiva, la prima legata alla promozione della fede nella provvidenza, la seconda propriamente coincidente con la volontà di chiarire le
dinamiche interne del cosmo.
L’indicazione della prima ragione (T27, 6) può essere riassunta come
segue:
25
Questo è il modo in cui Baltes (1976, 112-115) tendeva a interpretare la citazione, ma
ci sono serie ragioni che portano a vedere questa posizione come inappropriata: cfr. Petrucci
(2018b, 137).
IL PRINCIPIO ΔΙΔΑΣΚΑΛΙΑΣ ΧΑΡΙΝ NEL MEDIOPLATONISMO
29
1. La priorità di Platone è quella di stabilire la fede nella provvidenza
divina;
2. alcuni ritengono che la causalità divina, dunque l’azione provvidenziale del dio, si dia solo nel quadro di un intervento temporale;
3. [premessa implicita: è possibile pensare la causalità divina, dunque l’azione provvidenziale del dio, anche in un quadro eternalista];
4. Per coloro che aderiscono a ‘2’ (τοῖς δὲ μὴ χωροῦσιν…), Platone ha
affermato che il cosmo è generato temporalmente;
5. Per coloro che sono in grado di comprendere ‘3’ (τοῖς μὲν δυναμένοις
καὶ ἄλλως κατανοῆσαι), Platone ha suggerito in modo sottile (ἠρέμα
ὑποδηλοῖ)26 che il cosmo non è stato generato temporalmente.
Due sono i dati cruciali nell’argomentazione. In primo luogo, Tauro
distingue in modo esplicito due destinatari sulla base delle rispettive capacità di concepire la causalità divina. È evidente che i lettori che sposano
‘2’ siano considerati come filosoficamente inadeguati, poiché introducono
un’implicazione – quella tra temporalismo e provvidenzialismo – fallace,
mentre coloro che arrivano a considerare la versione ‘3’ vanno oltre questo
luogo comune, e sono in questo senso filosoficamente migliori27. In secondo
luogo, a ciascun destinatario corrisponde un livello di esposizione – dunque
un livello di lettura – predisposto dallo stesso Platone. L’apparente conseguenza paradossale di questo argomento è che Platone sembra in questo
modo aver scritto ‘due testi’ diversi in uno solo: uno di essi è di facile
comprensione per chi non è filosoficamente versato e, essendo improntato
al temporalismo, è evidentemente poco preciso quanto al problema della
cosmogonia; l’altro è invece accessibile solo a chi è in grado di coglierne la
forma complessa e il significato, dunque è basato su sottogliezze ma ben più
puntuale filosoficamente.
26
Probabilmente in dipendenza dall’idea, che qui voglio contestare, per cui Tauro
suggerisce una lettura metaforica del testo di Platone, spesso queste parole sono state
tradotte in modo impreciso: Gioè (2002), traduce ‘fa comprendere tacitamente’, mentre
Vimercati (2015) ‘lascia tacitamente intendere’. In realtà ἠρέμα non ha nessun collegamento
diretto con un significato implicito, o inespresso, ma solo con la sottigliezza del cenno
o riferimento in questione, e similmente ὑποδηλοῖ non rimanda a un superamento della
comunicazione diretta. Va segnalato in questo senso che l’unica traduzione corretta fornita
della stringa è quella di Matthias Baltes (Platon deutet … unaufdringlich an), traduzione che
però finisce per essere incoerente con la sua lettura dell’argomento di Tauro.
27
Sul modello di causalità divina proposto da Tauro rimando al terzo capitolo di
Petrucci (2018a).
30
FEDERICO M. PETRUCCI
Ma in che modo è possibile ‘sdoppiare’ in questo modo il testo stesso
di Platone sulla base dei suoi lettori? In realtà per rendere possibile questa
interpretazione è sufficiente vedere il testo di Platone come semanticamente
ambiguo, ovvero aperto anche a interpretazioni poco precise: la duplicità
semantica di alcuni termini può consentire una lettura banale e poco corretta o una lettura sottile ma corretta. Ma anche ammettendo questa risposta,
perché si dovrebbe ascrivere a Tauro una simile concezione? In realtà l’idea
della complessità semantica della lettera di Platone è un presidio esegetico
diffuso in età Imperiale: come indicato da Diogene Laerzio (Χ 63-64), gli
esegeti erano consapevoli che Platone impiegava i termini in modo ‘ambiguo’ e che il significato di uno stesso termine poteva variare sulla base del
contesto. Ma si può andare oltre, perché per certo Tauro condivideva questa prospettiva, come mostrato dalla sua applicazione nel testo più noto di
Tauro, ovvero nella nota distinzione tra diversi significati di γενητόν (T26):
in questo passo Tauro non solo individua quattro significati letterali e non
temporali di γενητόν, ma sottolinea anche che quello temporale, benché più
scontato e comune, non si applica ai passi del Timeo in cui Platone afferma
che il cosmo è generato. Non è opportuno tornare qui su questa notissima
sezione28; per le finalità di questo contributo sarà sufficiente richiamare
l’attenzione sul fatto che Tauro, dopo aver elencato quattro significati non
temporali ma letterali di γενητόν afferma:
κατὰ μὲν οὖν ταῦτα τὰ σημαινόμενα εἴ τις βούληται κατὰ Πλάτωνα λέγειν γενητὸν
τὸν κόσμον, λεγέτω, καθὸ δὲ σημαίνεται χρόνος τις καὶ ὅτι πρότερον οὐκ ὢν ὕστερον
ἐγένετο, οὐκέτι. ἐμφαίνει δὲ καὶ αὐτός, πῶς δεῖ ἑαυτοῦ ἀκούειν, ὅταν λέγῃ…
Nel caso in cui si voglia dire che secondo Platone il cosmo è generato in funzione
di questi significati, lo si faccia, ma non lo si dica più nel senso che viene indicato
un certo tempo e supponendo che il cosmo, non essendo esistito prima, è stato
generato dopo quel tempo. E infatti egli stesso afferma esplicitamente in che modo
lo si debba intendere, nel momento in cui dice… (T27, 11-12).
Se si assume – come fa Tauro – che Platone usa talvolta alcuni terminichiave in modo ambiguo, e che in questo caso solo una raffinata analisi
delle sottigliezze linguistiche del Timeo rende possibile cogliere il significato
letterale corretto del testo platonico, si spiega in che senso in T27 egli abbia
concepito la cosmogonia di Platone come gestita su due livelli espositivi sulla
base di due diversi destinatari. È a questo punto possibile fare un ultimo
Per cui rimando a Petrucci (2018a, 32-45). Per un’autorevole lettura diversa del testo, e
più in generale della posizione di Tauro sul principio διδασκαλίας χάριν, cfr. Ferrari (2014).
28
IL PRINCIPIO ΔΙΔΑΣΚΑΛΙΑΣ ΧΑΡΙΝ NEL MEDIOPLATONISMO
31
passo, ovvero comprendere in che senso predisporre il testo in questo modo
abbia per Platone una finalità ‘istruttiva’, διδασκαλίας χάριν. Se infatti si
ammette da un lato che Platone abbia la priorità di trasmettere ai suoi lettori
la fede nella provvidenza, e dall’altro che egli sia consapevole dell’impossibilità di raggiungere quei lettori poco versati che non riescono a scindere
provvidenzialismo e temporalismo, allora l’unico modo che Platone aveva
per insegnare anche a questi la provvidenza divina era mascherarla all’interno di un testo che essi avrebbero recepito come temporalista. Al contempo,
grazie a una scrittura complessa e ambigua era possibile per Platone accennare nello stesso testo, benché in modo sottile e recepibile per lettori attenti
e preparati, alla versione corretta e compiuta della sua teoria. Se questa
interpretazione è corretta, dunque, il principio διδασκαλίας χάριν consiste
nel predisporre il testo già al suo livello letterale in modo tale che esso possa
raggiungere anche lettori poco preparati filosoficamente impartendo ai
secondi insegnamenti fondamentali, anche se a spese di altri aspetti.
Questa interpretazione spiega anche la seconda ragione filosofica indicata da Tauro come base per la strategia di Platone (T27, 7 – si veda il testo
citato in precedenza). È evidente, da un lato, che Tauro riprende l’idea
academica per cui, come nel caso delle figure geometriche, descrivere in
termini generativi realtà non generate aiuta il chiarimento della loro composizione. Dall’altro, però, questa idea può essere pienamente compatibile
con il quadro appena delineato rispetto alla precedente ragione filosofica, ed
è anzi ben leggibile proprio alla luce dei presupposti già emersi. In effetti,
l’idea che Tauro recupera dalla formulazione tradizionale e vuole difendere
è solo quella per cui è in linea di principio possibile e didatticamente utile
rappresentare processi generativi come se fossero temporali al fine di chiarire le dinamiche tra le componenti della generazione. La ragione per cui
è necessario difendere questa posizione sono due: da un lato perché essa è
in ogni caso importante in relazione a uno dei due poli dell’interpretazione
letteralista, quella che Platone destina ai lettori filosoficamente poco validi;
dall’altro, perché essa fu sottoposta a critica da Aristotele e Teofrasto, come
visto all’inizio di questo contributo e come ribadito dallo stesso Tauro
poche linee dopo (T27, 8-9).
A conferma di questa lettura è ora opportuno riportare la sezione conclusiva dell’argomento in analisi, importante da molteplici punti di vista:
καὶ μηδεὶς πράγματα ἐχέτω ἔκ τε ἀτλαντικοῦ καὶ πολιτικοῦ πειρώμενος δεικνύναι,
ὅτι γενητός· οὐδὲν γὰρ τοιοῦτον ἕξει ἐν τοῖς ἄλλοις μαρτύρασθαι πρὸς τὸ γενητὸν
εἶναι ἐν αὐτῷ Τιμαίῳ· καὶ οὐδὲν ἧττον ἀγένητος κατ’ αὐτοὺς ὁ κόσμος·
32
FEDERICO M. PETRUCCI
Ancora, nessuno faccia riferimento alle dottrine contenute nel Crizia e nel Politico
tentando di mostrare che il cosmo è generato: infatti, non troverà nulla negli altri
dialoghi in grado di testimoniare che il cosmo nel Timeo è generato; e il cosmo è
ingenerato egualmente anche secondo questi dialoghi (T27, 10).
Una simile annotazione sarebbe non solo inutile, ma anche controproducente, se Tauro si limitasse a recuperare il principio διδασκαλίας χάριν in
chiave metaforica. In effetti, la linea di ragionamento di quest’ultima sarebbe la seguente: anche nel caso in cui si trovassero sezioni che confermano
l’interpretazione temporale nel testo del Crizia e del Politico, questo non
sarebbe importante, perché il contenuto eternalista della dottrina di Platone
è metaforicamente implicato da queste sezioni, che andrebbero a loro volta
deletteralizzate. L’approccio di Tauro è agli antipodi rispetto a questo nella
misura in cui afferma che nei testi del Crizia e del Politico non è possibile
rintracciare prove a favore della generazione temporale29.
Si possono a questo punto brevemente trarre delle conclusioni circa l’economia metodologica del principio διδασκαλίας χάριν per come rielaborato da
Tauro. Platone ha predisposto il proprio testo perché esso possa, alla luce di
un’analisi letteralista, restituire in punti-chiave la sua dottrina perfettamente
articolata in tutti i suoi aspetti. Questo livello di comprensione, tuttavia, non è
accessibile a tutti, ma solo a lettori attenti alle sottigliezze del testo e addestrati
a una comprensione filosoficamente efficace. Platone non è però disposto a
rinunciare alla possibilità di trasmettere almeno alcuni nuclei fondamentali
della sua dottrina anche a lettori meno versati, e per questo predispone per
essi un piano di salvataggio, ovvero un possibile livello di lettura superficiale
e semplificato che renda chiari almeno alcuni aspetti cruciali del suo pensiero:
questo è il livello finalizzato all’insegnamento (διδασκαλίας χάριν), letterale ma
parziale e superficiale, che coesiste con quello, letterale e pienamente efficace,
riservato a lettori preparati. In questo quadro non c’è alcuno spazio per una
lettura ‘metaforica’: tutto si gioca al livello del letteralismo30.
29
Si può ad esempio ipotizzare la strategia applicata da Tauro al caso del Crizia, in cui,
come visto in precedenza (n. 18), il cosmo viene detto γεγονώς. In questo caso è probabile
che Tauro, proprio come in T26, abbia insistito nuovamente sulla presenza di significati
eternalisti di γίγνομαι e abbia tentato di dimostrare che non è possibile attribuire a γεγονώς
un significato temporale sulla base del dettato del passo.
30
Ciò non vuol dire, naturalmente, che tutti i passi del Timeo che includono un qualche
riferimento alla generazione del cosmo possano essere letti secondo questa duplice chiave:
perché l’argomento di Tauro sia efficace è sufficiente che essa si applichi ad alcuni passi
chiave, come 27c5 e 28b6-8 (oggetti di esegesi rispettivamente in T27 e T26), perché l’analisi
letteralista corretta di queste sezioni consente di escludere l’opzione temporale e dunque
orienta l’interpretazione di altri passi.
IL PRINCIPIO ΔΙΔΑΣΚΑΛΙΑΣ ΧΑΡΙΝ NEL MEDIOPLATONISMO
33
5. Le ragioni della svolta.
Le conclusioni raggiunte nella sezione precedente segnano già un
guadagno storiografico: l’idea per cui l’esegesi διδασκαλίας χάριν nel
Medioplatonismo implica una lettura deletteralizzante e metaforica, in continuità con la versione academica e di Eudoro, è semplicemente infondata, e
l’unica testimonianza medioplatonica dell’applicazione del principio, quella
contenuta in T27 di Tauro, è fondata in un approccio letteralista. Se la mia
lettura di T27 è corretta, il fine generale del contributo, quello di evidenziare la netta discontinuità tra la concezione del principio διδασκαλίας
χάριν dell’Academia e di Eudoro e quella attestata per il Medioplatonismo,
è raggiunto già a questo punto. C’è però da narrare tutto un altro capitolo
di questa storia, forse il più interessante, ovvero quello che deriva dalla
ricerca delle ragioni della svolta segnata da Tauro. Ora, una risposta lineare potrebbe essere la seguente: Tauro vuole semplicemente preservare
l’importanza del dettato di Platone e promuovere un approccio filologico
al testo del maestro. Questo non è un punto da accantonare, e di sicuro
la possibilità di attribuire alla lettera di Platone un valore cruciale nella
costruzione dottrinale poteva rappresentare un guadagno ulteriore per un
filosofo medioplatonico31. Tuttavia, una simile risposta considera l’argomento di Tauro in modo ‘asettico’ ed episodico, ovvero senza considerare
che la sua riformulazione può essere meglio interpretata all’interno di uno
scenario di polemiche e dibattiti intrascolastici. È a questo punto che la
prima parte del contributo si rivela fondamentale. Come Plutarco afferma
in modo esplicito e non senza orgoglio – benché probabilmente con qualche
forzatura –, l’interpretazione temporale che egli dà della cosmogonia platonica è rivoluzionaria, almeno nel quadro della tradizione ‘Platonica’ fino al
I secolo d.C. (De an. procr. 1013A-B). Ciò vuol dire che, nel caso in cui un
sostenitore dell’eternalismo di poco successivo a Plutarco si fosse prefissato come fine quello di contestare il temporalismo come istanza sostenuta
all’interno della tradizione, difficilmente questi avrebbe potuto esimersi dal
considerare Plutarco come avversario di rilievo – anzi, è difficile rintracciare
altri sostenitori autorevoli del temporalismo prima della metà del II secolo
A sostegno di questo punto generale si possono menzionare sia l’idea, ormai assodata
soprattutto grazie agli studi di Franco Ferrari (cfr. partic. Ferrari [2001]), per cui l’esegesi
testuale è l’elemento metodologico cruciale della filosofia medioplatonica, sia il peculiare
interesse per la forma retorica e letteraria del testo di Platone chiaramente ascrivibile a
Tauro sulla base delle testimonianze del suo allievo Aulo Gellio (cfr. partic. T12, con
Petrucci [2018a, 8-10]).
31
34
FEDERICO M. PETRUCCI
d.C. In altri termni, è estremamente probabile che chiunque volesse recuperare il principio διδασκαλίας χάριν a sostegno dell’eternalismo avvertisse
la necessità di produrne una versione in grado di sfuggire alle critiche di
Plutarco. Questo è a maggior ragione vero per chi avesse per certo conoscenza diretta delle opere di Plutarco. Un simile quadro si applica a un Platonico
ben identificabile perché, tra i sostenitori dell’eternalismo subito successivi a
Plutarco, uno mostra di conoscere le opere di quest’ultimo: si tratta proprio
di Tauro, che in T20, 4 fa riferimento a Plutarchus noster 32. Se a questo si
aggiunge che, come visto, Tauro è l’unico Medioplatonico eternalista a menzionare e impiegare il principio διδασκαλίας χάριν, un’analisi delle relazioni
tra l’economica metodologica della versione del principio elaborata da Tauro
e le critiche di Plutarco a Eudoro si fa estremamente promettente.
Ora, come osservato nella prima parte del contributo, il principio
διδασκαλίας χάριν per come elaborato da Eudoro si prestava a un’obiezione
radicale: non ci sono ragioni né giustificazioni per voler trascendere il testo
di Platone e applicare una sua lettura metaforica; al contrario, sia il Timeo
sia passi paralleli da altri dialoghi testimoniano in modo esplicito a favore di
una lettura temporale. Se Tauro mantenesse invariata la proposta esegetica
di Eudoro ci troveremmo di fronte a un dialogo impossibile: le obiezioni di
Plutarco si applicherebbero egualmente all’esegesi di Tauro, e la tradizione correrebbe semplicemente su binari paralleli senza una reale dialettica
argomentativa. L’interpretazione della posizione di Tauro che ho fornito,
tuttavia, è in grado di scoraggiare questa conclusione, perché il principio
διδασκαλίας χάριν è inserito ora in un contesto pienamente letteralista, che
consente di rintracciare, attraverso un’analisi sottile del testo platonico,
l’indicazione esplicita a favore dell’eternalismo: in termini generali, infatti,
un temporalista non potrebbe più obiettare a Tauro di attribuire a Platone
l’eternalismo solo trascendendo il testo del maestro; al contrario, Tauro può
insistere sul fatto che la sua interpretazione eternalista è completamente
radicata in un’esegesi letterale del testo di Platone.
In questo quadro emergono inoltre particolari estremamente importanti
e tracce rivelatrici. Un primo aspetto da considerare è che l’unico presupposto che la prospettiva adottata da Tauro implica riguarda l’oscurità del testo
di Platone, ovvero l’idea che il significato letterale appropriato del testo di
In particolare, qui Tauro allude al De cohibenda ira. Per la ricezione di Plutarco nel
Medioplatonismo cfr. Bonazzi (di prossima pubblicazione). Sulla base di questo passo è
stato ipotizzato che Tauro sia stato allievo diretto di Plutarco, ma una simile ipotesi crea
forti problemi di cronologia e probabilmente si basa su un’interpretazione forzata della
locuzione utilizzata da Tauro: cfr. Petrucci (2018a, 2).
32
IL PRINCIPIO ΔΙΔΑΣΚΑΛΙΑΣ ΧΑΡΙΝ NEL MEDIOPLATONISMO
35
Platone sia da scoprire in sottigliezze e allusioni. In termini generali, questa
potrebbe apparire come una debolezza della posizione di Tauro, visto che
la chiarezza poteva essere vista come un pregio del testo filosofico33. E tuttavia, questo diventa un punto di forza dell’argomento di Tauro proprio nel
momento in cui venga messa in relazione alle posizioni di Plutarco. Il letteralismo di Plutarco, infatti, non implica in nessun modo l’idea che il testo di
Platone sia chiaro e di immediata comprensione. Al contrario, come affermato nel De Iside (370E-F), in alcuni casi, e in particolare circa il problema
della generazione dell’anima (gemello rispetto a quello della generazione
del cosmo), Platone è stato volontariamente oscuro e ha parlato per enigmi
che spetta al lettore sciogliere secondo un’analisi sottile34. Il riferimento
alle sottigliezze di Platone, dunque, rende la nuova versione del principio
διδασκαλίας χάριν non solo intrinsecamente coerente, ma anche efficace
rispetto alle obiezioni di Plutarco: proprio assumendo, come fa Plutarco, a)
che il significato filosofico del testo di Platone emerga attraverso un’analisi
letteralista, e b) che questa analisi possa basarsi su sottigliezze, Tauro può
concludere c) che una corretta analisi del testo di Timeo 27c5 e 28b6-8 esclude il temporalismo, ma ammette la nuova versione del principio διδασκαλίας
χάριν. In altri termini, una simile costruzione tiene in considerazione le
critiche di Plutarco a Eudoro, ne coglie i presupposti e le assunzioni e li fa
propri per renderli inefficaci o addirittura costruttivi.
Un secondo punto riguarda il fatto stesso che Tauro ammette, nella sua
riformulazione del principio διδασκαλίας χάριν, uno spazio specifico, pur
legato a una lettura disattenta del testo, per un’interpretazione temporale. In
fondo, l’idea che Platone possa essere oscuro, benché condivisa da Plutarco
e quindi argomentativamente efficace, non è ancora sufficiente a spiegare
perché Platone abbia voluto introdurre una simile oscurità. Proprio a questo livello l’esegesi διδασκαλίας χάριν per come riformata da Tauro entra in
33
In particolare, l’idea per cui la chiarezza è un requisito positivo per un testo filosofico
è già aristotelica (cfr. Mansfeld [1994, 25-26]), e diventa poi centrale nella filosofia epicurea (cfr. ad es. Philod. Ad contub. XVI, con Erler [1991, 83-88]). Sul tema della chiarezza
e dell’oscurità nella tradizione Stoica e in quella Peripatetica cfr. Barnes (1992). Per una
discussione sul problema dell’oscurità di Platone nel Medioplatonismo cfr. Ferrari (2000,
152-155).
34
Il passo menzionato recita: Πλάτων δὲ πολλαχοῦ μὲν οἷον ἐπηλυγαζόμενος καὶ
παρακαλυπτόμενος τῶν ἐναντίων ἀρχῶν τὴν μὲν ταὐτὸν ὀνομάζει, τὴν δὲ θάτερον· ἐν δὲ τοῖς
Νόμοις ἤδη πρεσβύτερος ὢν οὐ δι’αἰνιγμῶν οὐδὲ συμβολικῶς, ἀλλὰ κυρίοις ὀνόμασιν οὐ μιᾷ
ψυχῇ φησι κινεῖσθαι τὸν κόσμον, ἀλλὰ πλείοσιν ἴσως δυεῖν δὲ πάντως οὐκ ἐλάττοσιν. Cfr.
anche Def. Or. 420F: καὶ Πλάτων αὐτῷ παρέσχε τὸ ἐνδόσιμον οὐχ ἁπλῶς ἀποφηνάμενος ἐκ
δόξης <δ’> ἀμαυρᾶς [καὶ] ὑπόνοιαν ἐμβαλὼν αἰνιγματώδη μετ’ εὐλαβείας.
36
FEDERICO M. PETRUCCI
gioco con un ruolo cruciale: essa è in grado di trovare una funzione e una
readership specifica al livello di lettura superficiale e impreciso che sembra
far cenno al temporalismo spiegando che Platone ha voluto mantenere un
cenno al temporalismo perché in questo modo egli ha potuto consentire
al lettore filosoficamente poco versato la possibilità di cogliere almeno la
dottrina della provvidenza divina, che questi non è in grado di scindere dal
temporalismo. Inoltre, attraverso la sua riformulazione del principio Tauro
è anche in grado di rispondere a un’obiezione che probabilmente Plutarco
avrebbe sollevato, ovvero quella per cui Platone sembra essere esplicito circa
la generazione del cosmo. Tauro, come visto, non nega che a una lettura
superficiale Platone sembri affermare che il cosmo è generato, ma insinua
velenosamente che questa lettura, propria di Plutarco, è tipica di un lettore
poco accorto e ingenuo.
Si potrebbe a questo punto sostenere che la reazione di Tauro a Plutarco,
benché metodologicamente corretta, finisce per trascurare il contenuto
del testo di Platone, cosa che invece Plutarco non aveva fatto attaccando
Eudoro. Come osservato in precedenza, infatti, Plutarco non ha solo insistito sull’uso da parte di Platone di descrizioni del cosmo come generato,
ma ha anche sottolineato che questa idea è correlata al fatto che è il dio a
generare il cosmo, il che garantisce l’esistenza della provvidenza divina. In
altri termini, Plutarco aveva opposto all’eternalismo un modello metodologicamente diverso ma anche capace di inquadrare un sistema filosofico
‘ben funzionante’. Tauro è però in grado di rispondere anche a questa
obiezione – o, almeno, considera nella propria agenda la necessità di farlo –,
come rivela il cenno in T27, 6 all’errore insito nel vincolare la provvidenza
divina al temporalismo. In effetti, l’errore ‘dottrinale’ che Tauro ascrive
al lettore superficiale, ovvero il vincolare provvidenza e temporalismo, è
esattamente la chiave dell’economia del modello plutarcheo, e sottolineare
l’inopportunità di questo vincolo vuol dire fare riferimento a una dottrina
eternalista che ammetta a qualche titolo la provvidenza35. In altri termini,
come Plutarco insisteva sul guadagno filosofico dato da un letteralismo
temporalista in termini di dottrina della provvidenza, così Tauro sottolinea
che tale guadagno è illusorio, perché legato a una visione filosoficamente
inadeguata del rapporto tra provvidenza e cosmogonia.
Vi è infine un ultimo elemento, più specifico ma egualmente rilevante.
Difficilmente può essere casuale che Tauro, concludendo il suo argomento
35
Nessun testo trasmesso ci informa su questo aspetto della dottrina di Tauro, che
tuttavia è ricostruibile attraverso alcuni aspetti delle sezioni tràdite: cfr. Petrucci (2018a,
cap. 3).
IL PRINCIPIO ΔΙΔΑΣΚΑΛΙΑΣ ΧΑΡΙΝ NEL MEDIOPLATONISMO
37
relativo al principio διδασκαλίας χάριν in T27, 10, faccia menzione dell’impossibilità di trarre conferme relativamente al temporalismo da Crizia e
Politico. Come osservato nella sezione 2, per sostenere la lettura temporale
del Timeo Plutarco fa riferimento proprio a Crizia e Politico, indicando
come alcuni passi da questi dialoghi sembrino confermare la sua lettura. In
diretta polemica con questa affermazione, Tauro ribatte che ogni tentativo
di condurre una simile dimostrazione è inappropriato. Ora, entrambi i cenni
alludono probabilmente a (sezioni di) opere che non sono state trasmesse:
è immaginabile che nella sua opera sulla generazione del cosmo (Περὶ τοῦ
γεγονέναι κατὰ Πλάτωνα τὸν κόσμον, nr. 66 del catalogo di Lampria)36
Plutarco fornisse maggiori dettagli sul contributo di questi dialoghi; similmente, è possibile che Tauro riservasse dimostrazioni ad hoc relativamente
al fatto che i testi di Crizia e Politico non consentono in realtà un’interpretazione temporale se letti correttamente, nonostante questo possa essere
suggerito da esegesi superficiali. Non è possibile – tantomeno in questa sede
– ricostruire questo aspetto del dibattito, ma ciò che conta è che esso sembra
procedere seguendo lo stesso modulo applicato al caso del Timeo.
Questa serie di aspetti, generali e particolari, illumina dunque alcune
delle ragioni profonde che hanno guidato la riformulazione del principio
διδασκαλίας χάριν da parte di Tauro. Lungi dal rispondere a un semplice
interesse filologico, tale riformulazione tiene conto non solo di esigenze di
coerenza interna ed efficacia filosofica, ma anche delle critiche a cui il principio era stato sottoposto da Plutarco, critiche che vengono dunque superate
in nome di un nuovo eternalismo letteralista.
6. Conclusioni.
Come accennato in precedenza, dopo Tauro il principio διδασκαλίας
χάριν scompare dai testi medioplatonici a sostegno dell’eternalismo. Le
ragioni per cui questo accade sarebbero incomprensibili se esso permanesse
immutabilmente come base di un’esegesi metaforica, mentre la mia interpretazione può suggerire che questa scomparsa è legata alla funzione specifica
che il principio viene ad assumere, quella di un – pur complesso – complemento per un eternalismo letteralista, un complemento che probabilmente
non avrebbe trovato spazio, ad esempio, in un manuale come quello di
Alcinoo. È inoltre probabile che la svolta strategica applicata da Tauro abbia
36
Ferrari (2014, 319) ha inoltre ipotizzato che questa opera fosse incentrata su Timeo 28b
e che quindi possa essere il bersaglio polemico di Tauro in T26, all’inizio del quale viene
criticata l’interpretazione temporale di questa sezione da parte di predecessori Platonici.
38
FEDERICO M. PETRUCCI
influito anche sulla revisione radicale del temporalismo – e del letteralismo
– ascrivibile ad Attico, che verosimilmente ha proprio Tauro tra i suoi bersagli polemici (se non come principale bersaglio polemico) nello scritto contro
chi vuole leggere Platone attraverso Aristotele; al contempo, però, sembra
che che il principio διδασκαλίας χάριν di per sé finisca in secondo piano
anche in queste critiche37. In un certo senso, dunque, la riformulazione di
Tauro arriva a salvare il principio διδασκαλίας χάριν rendendolo strumentale a un piano metodologico e argomentativo letteralista più articolato, ma
nel riuscire in questa operazione finisce per marginalizzarlo.
Tutto questo rende ancora più netta la nuova svolta impressa da Plotino.
È un dato ormai ampiamente affermato dalla critica che Plotino proponga
in generale un’interpretazione metaforica del Timeo. Ciò è stato dimostrato
da importanti studi recenti, a cui rimando per un approfondimento, che
hanno anche accennato al rapporto tra la lettura plotiniana e il suo retroterra medioplatonico38. Ciò che questo contributo aggiunge a tale prospettiva è
un accento ulteriore sulla novità (re)introdotta da Plotino e su quanto esso
sia stata radicale: Plotino non ha solo interpretato metaforicamente una serie
di aspetti che tutti i Medioplatonici avevano considerato in modo ben più
stretto – ad esempio, la struttura matematica dell’anima –, ma ha ripreso,
reinquadrato e reso nuovamente efficace un approccio all’eternalismo, quello διδασκαλίας χάριν, che con il Medioplatonismo era finito per essere uno
strumento di un più ampio sistema di esegesi letteralista. Alla luce di tutto
questo, riprendendo un tema storiografico a cui ho fatto riferimento all’inizio del contributo, si può concludere che tentare di vedere nell’applicazione
del principio διδασκαλίας χάριν un elemento di continuità nella tradizione
platonica è decisamente inopportuno. Ma forse si può andare anche oltre,
perché è quantomai opportuno sottolineare che lo scarto tra l’approccio dei
Medioplatonici e quello di Plotino non può essere ridotto, come forse si
sarebbe tentati di fare a questo punto, a quello tra un’esegesi filologica e una
filosofica – sulla falsa riga di una nota affermazione senecana (Ep. 108, 24)
o della critica a Longino attribuita a Plotino da Porfirio (VP 14, 18-20). La
riforma radicale del principio διδασκαλίας χάριν prodotta da Tauro, come
il suo nuovo inquadramento in un approccio letteralista, non è mossa da
un feticismo per la filologia, da uno sterile interesse per la lettera a scapito
dell’argomentazione filosofica. Al contrario, ciò che la scoperta del sotterra37
Tauro è tradizionalmente identificato come bersaglio di Attico (cfr. da ultimo,
Karamanolis [2006, 180-184], il quale mantiene però aperte anche altre ipotesi), anche se,
secondo me, per ragioni spesso poco perspicue: cfr. Petrucci (2018a, 58-61).
38
Cfr. partic. Chiaradonna (2014), (2015) e (2016).
IL PRINCIPIO ΔΙΔΑΣΚΑΛΙΑΣ ΧΑΡΙΝ NEL MEDIOPLATONISMO
39
neo dibattito metodologico che si snoda tra i testi Eudoro, Plutarco e Tauro
lascia emergere sono le profonde ragioni filosofiche che hanno portato a un
nuovo principio διδασκαλίας χάριν, un principio che si presenta come parte
di una strategia argomentativamente efficace per sostenere l’eternalismo
contro l’approccio di Plutarco e si rivela come passaggio cruciale di una
breve, ma interessante, storia di un dibattito filosofico.
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