IPSOA
Diritto penale
e processo
25
ANNI
Mensile di giurisprudenza, legislazione e dottrina
8/2019
ISSN 1591-5611 - ANNO XXV - Direzione e redazione Via dei Missaglia, n. 97 - 20142 Milano
La lotta al traffico di esseri umani
Riflessione comparatistica sul fine vita
La “motivazione rafforzata” del provvedimento
Un altro rinvio per la riforma delle intercettazioni
DIREZIONE SCIENTIFICA
Giorgio Spangher
Paolo Pisa (condirettore)
5 000002 373657
00237365
Tariffa r.O.C.: POsTe iTaliane sPa sPediziOne in abbOnamenTO POsTale d.l. 353/2003 (COnv. in l. 27/02/2004 n. 46) arT. 1, COmma 1, dCb milanO
edicolaprofessionale.com/DPP
COMITATO SCIENTIFICO
Roberto Bartoli
Paolo Ferrua
Luigi Kalb
Antonella Marandola
Francesco Palazzo
Marco Pelissero
Sergio Seminara
Paolo Tonini
Giurisprudenza
Diritto penale
Misure di prevenzione
Cass. Pen., SS.UU., 13 novembre 2018 (ud. 21 giugno 2018), n. 51407 - Pres. Carcano - Rel. Izzo - P.M.
Iacoviello (conf.) - Ric. Marillo
Non è configurabile il reato di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, previsto dall’art. 75,
D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, nei confronti del destinatario di una tale misura, la cui esecuzione sia stata sospesa
per effetto di una detenzione di lunga durata, in assenza della rivalutazione dell’attualità e della persistenza della
pericolosità sociale, da parte del giudice della prevenzione, al momento della nuova sottoposizione alla misura.
(In motivazione, la Corte ha rilevato che l’art. 14, comma 2 ter, D.Lgs. n. 159 del 2011, introdotto dall’art. 4, comma
1, L. 17 ottobre 2017, n. 161, recante modifiche al codice antimafia, ha stabilito che la verifica della pericolosità
debba avvenire ad opera del tribunale, anche d’ufficio, dopo la cessazione della detenzione per espiazione di pena
che si sia protratta per almeno due anni) (massima ufficiale).
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme
Cass. Pen., Sez. I, 5 dicembre 2014, n. 6878, dep. 2015, Villani, Rv. 262311; Cass. Pen., Sez. I, 8 gennaio 2015,
n. 22547, Di Rocco, Rv. 263575; Cass. Pen., Sez. V, 13 giugno 2016, n. 33345, Cartanese, Rv. 268046.
Difforme
Cass. Pen., Sez. I, 9/03/2017, n. 2790, Greco, Rv. 270655; Cass. Pen., Sez. II, 5 marzo 2015, n. 12915, Rango, Rv.
262930, in relazione alla sospensione della sorveglianza speciale determinata dall’applicazione di misura
cautelare.
Il testo del provvedimento è disponibile sul sito www.cortedicassazione.it.
Prevenzione personale e detenzione di lunga durata: per le Sezioni
Unite è necessaria la rivalutazione della pericolosità
di Alessandro Quattrocchi (*)
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione incedono inesorabili nel cammino di ridefinizione dei tratti
costitutivi delle misure di prevenzione personali stabilendo, con la sentenza in commento, che non è
configurabile il reato di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale di cui all’art. 75,
D.Lgs. n. 159/2011 laddove, a seguito di una detenzione di lungo periodo, il giudice della prevenzione
non effettui una rivalutazione dell’attualità e della persistenza della pericolosità del prevenuto al
momento della sottoposizione alla misura sospesa durante la carcerazione.
The United Sections of the Court of cassation keeps redefining the characterizing traits of personal
preventive measures and, in the sentence under consideration, ruled that there is no violation of
special surveillance obligations, punished by article 75 of the “anti-mafia code”, if following a longterm detention is not revalued the persistence of social danger in the offender by the judge of
prevention.
Note introduttive
Le Sezioni Unite tornano a pronunciarsi in tema di
violazione delle prescrizioni inerenti la sorveglianza
speciale di cui all’art. 75, D.Lgs. n. 159/2011 (c.d.
(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, a procedura di revisione a doppio cieco (double blind).
(1) La pronuncia in commento, invero, si può a pieno titolo
iscrivere nel solco di quegli interventi giurisprudenziali che hanno
contribuito a ridisegnare i confini della materia, quali ricadute
Diritto penale e processo 8/2019
“codice antimafia”) e, con l’occasione, appongono un
ulteriore tassello al ripensato mosaico delle misure di
prevenzione personali, in una prospettiva ermeneutica
che ambisce a massimizzarne la coerenza costituzionale
e convenzionale (1), permettendo una volta di più di
interne sortite dalla sentenza della Cedu, Grande Camera, 23
febbraio 2017, sent., de Tommaso c. Italia, con nota di F. Viganò,
La corte di Strasburgo assesta un duro colpo alla disciplina italiana
delle misure di prevenzione personali, in Dir. Pen. Cont., 3, 2017,
370 ss., che per prima ha censurato l’insufficiente prevedibilità
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Giurisprudenza
Diritto penale
apprezzarne la compiuta trasfigurazione da strumenti di
polizia quali erano al momento della loro introduzione
nell’ordinamento con L. n. 1423/1956 a misure giurisdizionali quali oggi sono (2).
L’occasione è stata fornita dall’ordinanza di rimessione ex art. 618 c.p.p. della Prima sezione penale
della Corte di cassazione (emessa in data 20 marzo
2018, depositata in data 12 aprile 2018), con cui è
stata posta la seguente questione: “Se sia configurabile il reato di violazione degli obblighi inerenti
alla sorveglianza speciale, previsto dall’art. 75 d.lgs.
6 settembre 2011, n. 159, nei confronti di soggetto
destinatario di misura di sorveglianza speciale, la
cui esecuzione sia stata sospesa per effetto di detenzione di consistente durata, anche qualora al
momento della risottoposizione alla misura non
si sia proceduto di ufficio ad una rivalutazione
dell’attualità e persistenza della sua pericolosità
sociale ad opera del giudice della prevenzione, in
base ai principi affermati da Corte cost. n. 291 del
2013, e tale rivalutazione non sia stata dallo stesso
sollecitata”.
Il quesito interpretativo sottoposto al vaglio della
Suprema Corte, dunque, riguardava il rapporto tra
la misura di prevenzione della sorveglianza speciale e lo stato di detenzione dell’interessato per
espiazione di pena o per applicazione di un provvedimento cautelare e, conseguentemente, le
ricadute applicative circa la sussistenza del reato
di cui all’art. 75, D.Lgs. n. 159/2011 laddove le
violazioni delle prescrizioni vengano commesse a
seguito della scarcerazione del prevenuto nei cui
confronti non sia ancora stata (ri)valutata la
La fattispecie concreta oggetto della pronuncia in commento vede protagonista un soggetto che, con decreto
emesso il 3 febbraio 2012 dalla Sezione misure di
prevenzione del Tribunale di Milano, veniva sottoposto
alla sorveglianza spedale di pubblica sicurezza con
obbligo di soggiorno nello stesso Comune per la durata
di due anni; tuttavia, l’esecuzione di tale misura veniva
sospesa il 18 gennaio 2013 per effetto della sopravvenuta esecuzione di una pena detentiva, in forza dell’art.
14, comma 2 ter, D.Lgs. 159/2011 (3).
Il 4 agosto 2016, trascorsi più di quattro anni dall’emanazione del decreto applicativo della misura e più
di tre anni dalla sospensione della sua efficacia esecutiva, riprendeva l’esecuzione della misura di prevenzione a carico del prevenuto per mezzo della
rinotifica del decreto medesimo e della redazione di
apposito verbale di risottoposizione agli obblighi da
parte della P.G.
Tuttavia, nel periodo compreso tra il momento della
sospensione della misura in data 18 gennaio 2013 e
quello successivo della sua ripresa in data 4 agosto
2016, non risultava che il giudice della prevenzione
avessero posto in essere una rivalutazione della pericolosità sociale del prevenuto.
Successivamente, al soggetto veniva contestata la
violazione dell’obbligo di soggiorno nel Comune di
Milano, essendo stato ritrovato, in data 13 agosto
2016, all’interno di un centro commerciale sito nel
delle conseguenze penali della propria condotta del sottoposto
alla misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale
con obbligo di soggiorno in relazione alla violazione delle cc.dd.
prescrizioni generiche (quelle di “vivere onestamente” e “rispettare le leggi”). In tale novero è senz’altro possibile iscrivere: Cass.
Pen., SS.UU., 27 aprile 2017, n. 40076, con nota di F. Viganò, Le
Sezioni unite ridisegnano i confini del delitto di violazione delle
prescrizioni inerenti alla misura di prevenzione alla luce della
sentenza De Tommaso: un rimarchevole esempio di interpretazione conforme alla CEDU di una fattispecie di reato, in Dir. Pen.
Cont., 9, 2017, 146 ss., che ha conseguentemente negato la
rilevanza penale della violazione delle menzionate prescrizioni
generiche imposte al sorvegliato speciale; Cass. Pen., Sez. II,
11 ottobre 2017, n. 49194, ord. con nota di F. Viganò, Ancora
sull’indeterminatezza delle prescrizioni inerenti alle misure di
prevenzione: la seconda sezione della Cassazione chiama in
causa la Corte costituzionale, in Dir. Pen. Cont., 10, 2017, 272
ss., che ha investito la Corte costituzionale della questione relativa
all’illegittimità della fattispecie incriminatrice in questione nella
parte in cui sanziona penalmente la violazione dei due generici
precetti “vivere onestamente” e “rispettare le leggi”, considerati
incompatibili con gli artt. 25 e 117 Cost., in relazione all’art. 7 Cedu
e all’art. 2, prot. 4, Cedu; Cass. Pen., SS.UU., 4 gennaio 2018,
n. 111, con nota di A. Quattrocchi, Lo statuto della pericolosità
sociale sotto la lente delle Sezioni unite, in Dir. Pen. Cont., 1, 2018,
51 ss., che ha statuito il principio per cui nel procedimento applicativo delle misure di prevenzione personali, anche nei confronti
degli indiziati di appartenere ad una associazione di tipo mafioso, è
necessario accertare il requisito della attualità della pericolosità
del proposto; Cass. Pen., Sez. I, 9 aprile 2018, n. 31322, con nota di
G. Amarelli, Ulteriormente ridotta la tipicità del delitto di violazione
degli obblighi inerenti alla misura di prevenzione: per la cassazione
anche il divieto di partecipare a pubbliche riunioni contrasta con il
principio di determinatezza, in Dir. Pen. Cont., 7-8, 2018, 174 ss.
Sulla stessa scia si collocano, infine, le due recenti pronunce della
Corte cost., 24 gennaio 2019, nn. 24 e 25, con cui è stata dichiarata
l’illegittimità costituzionale, da un lato, della sottoposizione alle
misure di prevenzione personali e patrimoniali degli indiziati di
traffici delittuosi e, dall’altro, della fattispecie incriminatrice di cui
all’art. 75, D.Lgs. n. 159/2001 limitatamente alla violazione, da
parte del sottoposto alla sorveglianza speciale, delle prescrizioni
generiche del “vivere onestamente” e “rispettare le leggi”.
(2) Così M. Naddeo, Un passo avanti verso il consolidamento
garantistico del processo di prevenzione, in Dir. pen. proc., 7,
2010, 829.
(3) Tale comma, introdotto dall’art. 4, comma 1, L. 17 ottobre
2017, n. 161, recante modifiche al codice antimafia, stabilisce
infatti, al primo periodo, che l’esecuzione della sorveglianza speciale resta sospesa durante il tempo in cui l’interessato è sottoposto a detenzione per espiazione di pena.
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persistente attualità della pericolosità da parte
del giudice della prevenzione.
Il caso di specie
Diritto penale e processo 8/2019
Giurisprudenza
Diritto penale
territorio del Comune di Rozzano; ne conseguiva la
condanna con sentenza del Tribunale di Milano in
data 12 settembre 2016 per violazione dell’art. 75,
comma 2, D.Lgs. n. 159/2011, confermata dalla Corte
d’Appello di Milano in data 7 marzo 2017.
La sentenza d’appello, a fronte dello specifico motivo di
impugnazione spiegato dal sottoposto, chiariva che nel
corso dell’esecuzione della pena detentiva, scaturita dal
cumulo di alcune pene irrogate al prevenuto, quest’ultimo veniva ammesso all’affidamento terapeutico
presso un centro diurno e contestualmente sottoposto
alla misura di sicurezza della libertà vigilata per anni due
e che, in data 30 settembre 2015, il competente Tribunale di sorveglianza ne accertava la pericolosità sociale e
lo sottoponeva per un ulteriore anno alla libertà vigilata; misura di sicurezza, quest’ultima, interrotta in data
4 agosto 2016, con contestuale applicazione della summenzionata misura di prevenzione personale.
In particolare, a parere della Corte d’Appello la valutazione della persistenza della pericolosità sociale della
persona al momento di esecuzione della misura di
prevenzione, a seguito di sua sospensione in ragione
dello stato di detenzione, era da reputarsi effettuata e
assorbita dalla valutazione di pericolosità sociale compiuta, nel caso di specie, dal Tribunale di sorveglianza.
Avverso tale pronuncia l’imputato ricorreva per cassazione, deducendo che al momento del fatto contestatogli l’efficacia esecutiva dell’originario decreto del 3
febbraio 2012 andava ritenuta sospesa, atteso che il
giudice della prevenzione non avevano posto in essere
una valutazione della sua perdurante pericolosità al
momento della risottoposizione alla misura, con conseguente insussistenza del reato contestato che, viceversa,
ne presupposte la persistente attualità.
La Prima sezione penale della Corte di cassazione,
rilevando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale
sul punto, conseguentemente rimetteva il ricorso alle
Sezioni Unite con l’ordinanza summenzionata, segnalando che il punctum pruriens della questione concerneva l’interpretazione dell’art. 15, comma 1, D.Lgs.
n. 159/2011, come integrato dalla pronuncia additiva
della Corte costituzionale n. 291 del 2013, alla cui
stregua, nel caso in cui l’esecuzione di misura di prevenzione personale resti sospesa a causa dello stato di
detenzione per espiazione di pena della persona ad essa
sottoposta, il giudice della prevenzione deve valutare,
anche d’ufficio, la persistenza della pericolosità sociale
del soggetto al momento dell’esecuzione della misura
(con la precisazione che tale ulteriore valutazione può
essere “ragionevolmente omessa a fronte della brevità
del periodo di differimento dell’esecuzione della misura
di prevenzione”) (4).
(4) V. Corte cost., 2 dicembre 2013, n. 291, con note di T.
Trinchera, Misure personali di prevenzione: nel caso di sospensione dell’esecuzione per lo stato di detenzione dell’interessato, la
pericolosità va riverificata a sospensione esaurita, in www.penalecontemporaneo.it e di M. Formica, L’estensione alle misure di
prevenzione personali di una “ragionevole” norma prevista per le
misure di sicurezza, in Giur. cost., 6, 2013, 4669.
(5) Cfr. Cass. Pen., Sez. I, 5 dicembre 2014, n. 6878, in Ced, rv.
262311; Cass. Pen., Sez. I, 8 gennaio 2015, n. 22547, in Ced, rv.
263575; Cass. Pen., Sez. V, 13 giugno 2016, n. 33345, in Ced, rv.
268046.
Diritto penale e processo 8/2019
Il contrasto giurisprudenziale
Il contrasto ermeneutico riscontrato nella stessa giurisprudenza di legittimità, che le Sezioni Unite nella
sentenza in commento passano brevemente in rassegna,
concerne l’interpretazione da dare alla disposizione
summenzionata (art. 15, D.Lgs. n. 159/2011) e alla
conseguente sussistenza del reato previsto dall’art. 75,
D.Lgs. n. 159/2011, quando la formale notificazione
della ripresa vigenza della misura di prevenzione e la
concomitante redazione a carico del sottoposto del
verbale di risottoposizione non sia preceduta dalla rivalutazione della pericolosità del soggetto da parte del
giudice della prevenzione al termine del periodo di
sospensione dell’efficacia esecutiva del decreto derivata
da detenzione di lunga durata.
Secondo un primo orientamento interpretativo, qualora in epoca successiva all’adozione di misura di
prevenzione personale il sottoposto sia stato detenuto per un periodo di tempo idoneo ad incidere sullo
stato di pericolosità sociale in precedenza accertato,
l’efficacia del provvedimento applicativo della
misura resta sospesa anche dopo la scarcerazione,
fino a quando il giudice non valuti nuovamente
l’attualità della pericolosità del soggetto. Per l’effetto,
fino a quando tale rivalutazione non venga effettuata
dal giudice della prevenzione, anche alla luce del
comportamento tenuto nel corso dell’esecuzione
della pena, non può considerarsi sussistente il reato
di cui all’art. 75, D.Lgs. n. 159/2011, non potendocisi
rendere inadempienti di obblighi e prescrizioni la cui
vigenza è sospesa (5).
Costituisce corollario di tale interpretazione l’osservazione per cui il giudice chiamato a conoscere, nel merito
o in via cautelare, della sussistenza del reato di violazione degli obblighi derivanti dalla misura di prevenzione personale ex art. 75, D.Lgs. n. 159/2011 debba
“verificare se la valutazione di attualità della pericolosità sociale sia stata o meno compiuta dall’autorità
giudiziaria competente, costituendo essa presupposto
di legittimità dell’esecuzione del provvedimento di
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Giurisprudenza
Diritto penale
prevenzione, rimasto sospeso, come tale incidente sul
rilievo penale delle violazioni contestate” (6).
Un diverso e più recente orientamento di legittimità,
pur ribadendo l’astratta doverosità della rinnovazione
dell’esame della pericolosità sociale del soggetto a
seguito di detenzione di rilevante durata, rileva sì che
il nuovo esame è rimesso alla competenza funzionale
dello stesso giudice della prevenzione della misura, ma
che, in ogni caso, che la mancanza di tale rivalutazione
non può equivalere “ad automatica inesistenza (originaria o sopravvenuta) del titolo genetico o che tenga
luogo d’una sua sospensione ex lege” (7).
Ciò in quanto “il presupposto di pericolosità sociale,
condizione strutturale essenziale della misura, che
trae genesi dal titolo originario, continua ad esistere,
perché adottato nel concorso delle condizioni legittimanti ed all’esito della verifica giurisdizionale e ciò
finché il giudice funzionalmente competente non
provveda ad operare una rivalutazione di segno contrario”. Di talché, dal mancato accertamento officioso del giudice della prevenzione della pericolosità
del soggetto sottoposto a misura di prevenzione dopo
la cessazione di consistente periodo di detenzione,
non deriva ex se la perdurante sospensione dell’esecuzione della misura stessa (8), atteso peraltro che, in
virtù dell’art. 10, D.Lgs. n. 159/2011, l’immediata
esecutività dei provvedimenti applicativi delle
misure di prevenzione personali non è sospesa neanche in caso di loro impugnazione.
Tale soluzione, peraltro, era già stata prospettata
dalla giurisprudenza di legittimità per l’ipotesi di
detenzione derivante da sottoposizione a custodia cautelare intramuraria: l’applicazione della
misura cautelare personale, in questa prospettiva,
non permetterebbe di ritenere né superata né
attenuata l’attualità della pericolosità del prevenuto, ma la confermerebbe mediante la valutazione di ritenuta sussistenza delle esigenze
cautelari riferibili anche alla personalità dell’indagato e al concreto rischio di commissione di
gravi reati (9).
Posizione intermedia paiono assumere altri arresti del
giudice di legittimità che, escludendo automatismi
decisori, favorevoli o sfavorevoli al prevenuto,
Le Sezioni Unite, con la pronuncia in esame, accolgono il primo orientamento giurisprudenziale rassegnato, ponendo a fondamento della soluzione, in
primo luogo, gli argomenti tratti dalla citata sentenza
della Corte costituzionale n. 291 del 2013, laddove si
osserva che nella limitrofa materia delle misure di
sicurezza la verifica della persistenza della pericolosità
sociale, disciplinata dall’art. 679 c.p.p., deve essere
effettuata due volte: dapprima dal giudice della
cognizione, che ne verifica la sussistenza al momento
della pronuncia della sentenza; successivamente dal
magistrato di sorveglianza, che deve verificarne l’attualità al momento in cui la misura deve avere inizio.
In considerazione dell’affinità tra gli istituti delle
misure di sicurezza e di quelle di prevenzione, definite
species di un unico genus di strumenti finalizzati a
“recuperare all’ordinato vivere civile soggetti che
manifestano pericolosità sociale”, la Corte costituzionale, con la sentenza citata, ha ricondotto ad
armonia le due discipline. Ciò, in particolare, statuendo l’insufficienza della verifica della persistenza
della pericolosità per le misure di prevenzione personali esclusivamente in fase applicativa e richiedendo,
nel caso in cui l’esecuzione di una misura di prevenzione personale resti sospesa a causa dello stato di
detenzione per espiazione di pena della persona ad
essa sottoposta, che l’organo che ha adottato il provvedimento di applicazione provveda a rivalutarla
anche al momento dell’esecuzione (11).
Le Sezioni Unite rilevano altresì che, ancor prima
della pronuncia del giudice delle leggi, il “diritto
vivente” aveva preso consapevolezza della necessità
(6) Così Cass. Pen., Sez. I, 29 settembre 2015, n. 48686, in Ced,
rv. 265665.
(7) In termini, Cass. Pen., Sez. I, 9 marzo 2017, n. 2790, in Ced,
rv. 270655.
(8) Così Cass. Pen., Sez. I, 9 maggio 2017, n. 29197, non
massimata.
(9) Cass. Pen., Sez. II, 5 marzo 2015, n. 12915, in Ced, rv
262930.
(10) Cfr. Cass. Pen., Sez. I, 3 ottobre 2017, n. 11619, non
massimata.
(11) In particolare, la Corte costituzionale ha motivato la propria
declaratoria di incostituzionalità nei termini seguenti: “Già in linea
generale, il decorso di un lungo lasso di tempo incrementa la
possibilità che intervengano modifiche nell’atteggiamento del
soggetto nei confronti dei valori della convivenza civile: ma a
maggior ragione ciò vale quando si discuta di persona che, durante
tale lasso temporale, è sottoposta ad un trattamento specificamente volto alla sua risocializzazione. Se è vero, in effetti, che non
può darsi per scontato a priori l’esito positivo di detto trattamento,
per quanto lungo esso sia, meno ancora può giustificarsi, sul
1072
rimettono in via incidentale la valutazione sulla pericolosità del soggetto, e la conseguente efficacia della
risottoposizione alla misura a seguito di un significativo periodo detentivo, al giudice di merito procedente
rispetto alla contestata violazione delle prescrizioni ex
art. 75, D.Lgs. n. 159/2011 (10).
A tale orientamento temperato sembra dunque
essersi ispirato il giudice della sentenza impugnata
nel caso di specie.
La soluzione delle Sezioni Unite
Diritto penale e processo 8/2019
Giurisprudenza
Diritto penale
di dare una risposta costituzionalmente orientata alla
questione dell’applicazione delle misure di prevenzione a seguito di un periodo di detenzione, stabilendo la possibilità per il sottoposto di chiederne la
revoca per l’eventuale venir meno della pericolosità
in conseguenza dell’incidenza positiva sulla di lui
personalità della funzione risocializzante della pena
espiata (12).
Anche a seguito della declaratoria di incostituzionalità, alla medesima prospettiva interpretativa ha
recentemente fornito continuità la pronuncia delle
Sezioni Unite per la quale l’accertamento della attualità della pericolosità del sottoposto a misura di prevenzione personale è necessario perfino per gli
indiziati di appartenenza ad associazione di tipo
mafioso (13).
Infine, le Sezioni Unite osservano che la positivizzazione dell’evoluzione del diritto vivente è avvenuta con
la L. n. 161/2017, che ha introdotto nel corpo dell’art.
14, D.Lgs. n. 159/2011 i commi 2 bis e 2 ter.
In particolare, in virtù del disposto del comma 2 bis,
l’esecuzione della sorveglianza speciale resta sospesa
durante il tempo in cui l’interessato è sottoposto alla
misura della custodia cautelare, (ri)prendendo a decorrere dal giorno in cui cessa la misura cautelare, con
redazione di verbale di sottoposizione agli obblighi.
Il comma 2 ter, in relazione alla sospensione dell’esecuzione della sorveglianza speciale durante il
tempo in cui l’interessato è sottoposto a detenzione
per espiazione di pena, precisa invece che la verifica
della pericolosità avviene ad opera del Tribunale,
anche d’ufficio, dopo la cessazione del periodo detentivo protrattosi per almeno due anni, di talché, se la
pericolosità sociale è cessata, il Tribunale revoca il
provvedimento di applicazione della misura di prevenzione; viceversa, se la pericolosità persiste, il
Tribunale ordina con decreto l’esecuzione della
misura di prevenzione, il cui termine di durata (ri)
comincia a decorrere dal giorno in cui il decreto
stesso è comunicato all’interessato.
Disposizioni, queste ultime, regolatrici della decorrenza della misura di prevenzione e recettive dell’indirizzo giurisprudenziale consolidato secondo cui il
decreto applicativo della misura di prevenzione personale può essere adottato anche nei confronti del
soggetto ristretto in carcere, tanto per espiazione
della pena, quanto a seguito dell’applicazione di
misura cautelare, rimanendo sospesa fino al giorno
di cessazione dello stato detentivo.
La novella, inoltre, codifica la nozione di “consistente lasso di tempo” tra applicazione della misura
e sua esecuzione, evocato dalla giurisprudenza costituzionale ai fini della rivalutazione della pericolosità
sociale, quantificandolo in anni due.
Tuttavia, è appena il caso di evidenziarlo, il meccanismo della “rivalutazione” della pericolosità è stato
introdotto legislativamente solo per la carcerazione
per espiazione pena e non anche per quella determinata dalla misura cautelare della custodia in carcere.
Tali disposizioni, rilevano puntualmente le Sezioni
Unite, vanno interpretate in combinato disposto con
l’art. 15, D.Lgs. n. 159/2011, come riscritto a seguito
dell’intervento additivo della Corte costituzionale
con la menzionata sentenza n. 291 del 2013. Di
talché, in caso di detenzione di lunga durata (determinata in due anni dal citato art. 14, comma 2 ter,
D.Lgs. n. 159/2011), lo stato di sospensione della
misura di prevenzione non cessa automaticamente
al termine dell’espiazione della pena, ma permane
fino a quando il giudice competente non verifichi
nuovamente la persistenza della pericolosità sociale
del sottoposto alla misura e quest’ultima non gli sia
stata notificata.
Conseguentemente, la nuova verifica da parte del
giudice della prevenzione, attestante l’attuale pericolosità del sottoposto, costituisce una condizione di
efficacia della misura di prevenzione, difettando la
quale il reato di cui all’art. 75, comma 2, D.Lgs.
n. 159/2011 non sussiste. Non avendo (ripreso) efficacia il provvedimento genetico della misura di prevenzione a causa della mancata rivalutazione della
pericolosità del prevenuto post detenzione di lungo
periodo, il fatto penalmente rilevante della sua violazione non può dunque ritenersi integrato.
Per l’effetto, le Sezioni Unite enunciano il principio
di diritto per cui “Nei confronti di un soggetto destinatario di una misura di sorveglianza speciale, la cui
esecuzione sia stata sospesa per effetto di una detenzione di lunga durata, in assenza di una rivalutazione
dell’attualità e persistenza della sua pericolosità
sociale ad opera del giudice della prevenzione, al
momento della nuova sottoposizione alla misura,
fronte opposto, una presunzione - sia pure solo iuris tantum - di
persistenza della pericolosità malgrado il trattamento, che equivale alla negazione della sua stessa funzione: presunzione che
risulta, per converso, sostanzialmente insita in un assetto che
attribuisca alla verifica della pericolosità operata in fase applicativa
una efficacia sine die, salvo che non intervenga una sua vittoriosa
contestazione da parte dell’interessato. Ciò, quantunque la
pericolosità sociale debba risultare attuale nel momento in cui la
misura viene eseguita, giacché, in caso contrario, le limitazioni
della libertà personale nelle quali la misura stessa si sostanzia
rimarrebbero carenti di ogni giustificazione”.
(12) Cass. Pen., SS.UU., 25 ottobre 2007, n. 10281, in Ced., rv.
238658.
(13) Cass. Pen., SS.UU., 30 novembre 2017, n. 111, cit.
Diritto penale e processo 8/2019
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Giurisprudenza
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non è configurabile il reato di reato di violazione degli
obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, previsto
dall’art. 75 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159”.
Facendo applicazione di tali coordinate ermeneutiche nel caso di specie, in relazione al quale non è
possibile applicare ratione temporis la novella
L. n. 161/2017, alla luce dell’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa vigente all’epoca dei fatti, la detenzione del sottoposto è stata
comunque ritenuta di lunga durata e, per l’effetto, la
fase esecutiva della misura doveva essere preceduta
da una nuova valutazione della pericolosità del proposto ad opera del giudice competente (tale non
potendosi ritenere il Tribunale di sorveglianza),
invece mancata. Per l’effetto, la sentenza impugnata
è stata annullata senza rinvio perché il fatto ascritto
all’imputato non sussiste.
Osservazioni conclusive
Valorizzando l’esigenza di un accertamento dell’attualità della pericolosità, necessario presupposto sul piano costituzionale e convenzionale
dell’applicazione delle misure di prevenzione personali, la soluzione interpretativa offerta dalle
Sezioni Unite è quella più coerente tanto con
la sentenza della Corte costituzionale n. 291 del
2013 quanto con la novella del codice antimafia
apportata con L. n. 161/2017.
La Consulta, invero, non ha affermato esplicitamente che la sospensione della misura venga
meno con la rivalutazione dell’attuale pericolosità; nondimeno, postulandola in relazione alla
fase esecutiva della misura, essa suggeriva già
tale opzione.
Parimenti dicasi per l’art. 14, comma 2 ter, D.Lgs.
n. 159/2011, che pur non stabilendo espressamente
che la sospensione della misura perduri fino alla riconsiderazione della pericolosità del proposto a valle dell’espiata detenzione, di fatto ne subordina l’esecuzione
all’emissione di apposito decreto del giudice della prevenzione contenente siffatta valutazione, facendo
decorrere il termine della misura dalla comunicazione
di quest’ultimo decreto all’interessato.
La soluzione opposta, disattesa dalle Sezioni Unite,
oltre che incoerente con l’orizzonte costituzionale e
convenzionale ove si staglia oggi la materia della
prevenzione, si risolverebbe nell’attribuire rilievo
penale alla violazione dell’art. 75, D.Lgs. n. 159/
2011 per ragioni meramente formali e, quindi, in
assenza di concreta offensività per l’oggettività giuridica tutelata.
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La stessa interpretazione intermedia, secondo cui la
rivalutazione della pericolosità potrebbe essere condotta incidentalmente dallo stesso giudice chiamato
a giudicare dell’imputazione di cui al citato art. 75,
non garantisce al prevenuto le garanzie di prevedibilità delle conseguenze penali della propria condotta, poiché manchevole del provvedimento del
giudice della prevenzione che ne ordina l’esecuzione
a seguito della scarcerazione e della relativa comunicazione all’interessato.
La sentenza in commento, dunque, va reputata
pienamente condivisibile nel risultato ermeneutico
raggiunto, ancorché perda l’occasione di pronunciarsi esplicitamente, altresì, sull’attigua ipotesi
della misura di prevenzione applicata a valle della
detenzione dovuta a misura cautelare custodiale,
parimenti sottoposta nell’ordinanza di rimessione
della Prima sezione.
E invero, la motivazione della pronuncia, ricalcando
tanto la lettera dell’art. 14, D.Lgs. n. 159/2011
quanto la pronuncia della Corte costituzionale
n. 291 del 2013, non postula che il giudizio di rivalutazione della pericolosità intervenga, altresì, in
ipotesi di avvenuta scarcerazione del sottoposto a
seguito di una prolungata sottoposizione a custodia
cautelare in carcere.
Di talché, in relazione a tale casistica, non può che
evidenziarsi l’oscurità del decisum delle Sezioni
Unite, che formalmente dichiarano di aderire al
primo orientamento tra quelli rassegnati (che
estende la rivalutazione alla custodia cautelare intramuraria di lunga durata) e sostanzialmente omettono
di farne menzione nel principio di diritto sancito,
finendo così col gettare un’ombra di incertezza sui
futuri risvolti applicativi.
Inoltre, qualche osservazione merita anche la soluzione cui pervengono le Sezioni Unite circa l’inidoneità, ai fini della reviviscenza della misura di
prevenzione sospesa, della valutazione di attuale
pericolosità effettuata dal Tribunale di sorveglianza
in relazione all’applicazione al medesimo soggetto di
una misura di sicurezza. Tale conclusione, tuttavia,
rischia di porsi in contrasto con lo stesso parallelismo,
recepito dal Supremo collegio, tra misure di prevenzione e di sicurezza, definite letteralmente species di
uno stesso genus, al fine di estendere alle prime il
meccanismo di rivalutazione della pericolosità prevista per le seconde dall’art. 679 c.p.p.; meccanismo
che, se oggi per le misure di prevenzione è stato
positivizzato dalla L. n. 161/2017, per i casi pregressi
(come quello di specie) non è previsto da alcuna
disposizione. Pertanto, alla stregua dell’evocata
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Diritto penale
similitudine tra le misure praeter e post delictum, non
appare pienamente soddisfacente la ritenuta ininfluenza della persistente sociale pericolosità vagliata
dal Tribunale di sorveglianza ai fini della ripresa del
vigore della misura di prevenzione sospesa, come
sancita dalle Sezioni Unite nella fattispecie concreta
esaminata (14).
Non appare superfluo, infine, rilevare che la sentenza
in commento reputa pacifica, ed anzi assume quale
presupposto motivazionale, la possibilità di deliberare
la sorveglianza speciale anche nei confronti di soggetto
ristretto in carcere, già ammessa dalla giurisprudenza
di legittimità (15) e ora codificata dalla L. n. 161/2017.
Tuttavia, deve osservarsi come la lettera degli artt.
14 e 15, D.Lgs. n. 159/2011 non osta a un’interpretazione che pone la detenzione come eventuale
sopravvenienza rispetto alla previa deliberazione
della misura di prevenzione (come, del resto, nella
fattispecie concreta su cui le Sezioni Unite si sono
pronunciate nel caso in esame). Inoltre, va altresì
dato atto che recenti pronunce della giurisprudenza,
ancorché nettamente minoritarie (16), reputano
inapplicabile la misura di prevenzione al soggetto
che debba espirare una pena detentiva di lunga
durata, atteso che la valutazione di pericolosità
del proposto risulterebbe inutilmente data, dovendo
poi essere ripetuta all’esito della scarcerazione: di
talché, sarebbe contraddittorio anticipare il giudizio
di pericolosità in un momento in cui la misura di
prevenzione è destinata ad essere deliberata ma
sospesa per la concomitante detenzione del soggetto, attesa la necessità di ripeterlo alla sua avvenuta liberazione (17).
Una diversa soluzione, dunque, sarebbe suggerita
dall’agile constatazione dell’impraticabilità di formulare un giudizio “attuale” di pericolosità nei confronti
del proposto destinato per lungo periodo ad espirare
una pena detentiva e nei cui confronti, in ogni caso,
tale giudizio dovrebbe essere ripetuto al momento
dell’avvenuta liberazione, attesa la funzione risocializzante che la pena espiata mira a spiegare nei suoi
confronti.
In conclusione, a dispetto dei profili di incertezza
appena evidenziati, deve apprezzarsi positivamente
il risultato interpretativo conseguito. La pronuncia
delle Sezioni Unite, infatti, si iscrive nel percorso
evolutivo che la magmatica materia delle misure di
prevenzione ha ormai da tempo intrapreso, in ossequio tanto ai principi costituzionali quanto al parametro della legalità convenzionale, che la stessa
sentenza in commento evoca espressamente nel ribadire, una volta di più, la necessità di accertare che i
requisiti che giustificano l’iniziale applicazione della
misura - in specie quello della pericolosità del proposto - permangono per tutta la durata della sua
esecuzione (18).
(14) Tanto più che il “diritto vivente” ha oramai riempito la
nozione di pericolosità per la pubblica sicurezza, presupposto
applicativo delle misure di prevenzione, con i contenuti dell’attigua
nozione di pericolosità sociale, propria delle misure di sicurezza,
tanto che anche dal punto di vista nominalistico la seconda locuzione è oramai costantemente utilizzata, nella prassi e nella dottrina, in luogo della prima.
(15) Cass. Pen., SS.UU., 25 marzo 1993, n. 6, in Ced, rv.
194062.
(16) Contra, cfr., ex multis, Cass. Pen., Sez. VI, 27 giugno 2018,
n. 40270, in Ced, rv. 273845, secondo cui la sorveglianza speciale
di pubblica sicurezza è applicabile anche a persona detenuta in
espiazione dell’ergastolo.
(17) Cfr. Trib. Napoli, Sez. misure di prevenzione, decr. del 17
aprile 2018, con nota di F. Mazzacuva, Sorveglianza speciale nei
confronti di soggetto detenuto: nuove indicazioni dalla giurisprudenza in punto di attualità della pericolosità, in Dir. Pen. Cont., 9,
2018, p. 89 ss.
(18) V. Cedu, 6 aprile 2000, sent., Labita c. Italia.
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