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Ricercare. Il “nuovo” in musica. Come? Con chi?1 Un invito al molteplice. Politicamente corretto. Non dico ancora che si stia affermando, ma penso che si stia consolidando e diffondendo sempre più l’idea che la musica sia un campo articolato e complesso, multidimensionale, e che quindi sia corretto teoricamente (e sì, anche politicamente) parlare di musiche al plurale, riservando il singolare a quelle affermazioni molto generali che possono essere applicate senza contraddirsi (e sì, anche senza essere offensivi) alla totalità delle attività, delle pratiche, delle collettività, delle culture musicali. Solo una ventina d’anni fa, in un dibattito sull’innovazione in musica, la musica senza aggettivi sarebbe stata solo quella cosiddetta eurocolta: e non solo nelle parole di un docente di Conservatorio oscurantista, di un burocrate, di un funzionario ligio alle norme (ricordo un intervento esemplare in un convegno dell’allora Sovrintendente del Teatro alla Scala, Badini); chi vuole, vada a rileggersi un’opera dal titolo illuminante come Oltre l’avanguardia. Un in1 Questo intervento è stato scritto dietro sollecitazione di Mario Zanzani e Massimo Simonini, in occasione del Festival Internazionale di Musica AngelicA 1997, per un volume collettivo (Testa & Timpano ) nel quale compaiono anche interventi di Stefano Zorzanello, Marcello Lorrai, Giampiero Cane, Giordano Montecchi, Mario Baroni, Chris Cutler, Veniero Rizzardi. Sono grato a Mario e Massimo per avermi fornito lo spunto per queste riflessioni, che alla luce della temporanea " crisi" di governo dell'ottobre 1997 e dell'ondata ideologica che l'ha accompagnata considero quanto mai attuali. Ricercare. Il “nuovo” in musica. Come? Con chi? 2 vito al molteplice, di un musicista sensibile, aperto e moderato (nel senso migliore) come Armando Gentilucci, per verificare che nel 1980 “la musica” doveva intendersi (secondo lui) come la musica colta di matrice europea (anche se praticata in continenti extraeuropei), e all’interno delle sue articolazioni poteva essere rintracciato il “molteplice” di cui al titolo. Poi, “fuori” (o “extra”), c’era la “musica di consumo”, “tuttora” (e inspiegabilmente) fedele alla tonalità. Punto. L’odierno riconoscimento della molteplicità e della pari dignità delle musiche, che in qualche modo – vent’anni dopo – accoglie l’invito di Gentilucci ben oltre le sue intenzioni, mi fa molto piacere: primo, per l’affetto che mi lega a un caro amico che non c’è più, storico avversario in discussioni sulla pertinenza dei metodi tradizionali di analisi applicati alle canzoni; secondo, perché è più o meno dagli stessi vent’anni che cerco di dare alle affermazioni sulla molteplicità delle musiche una base teorica (il mio primo articolo sui generi musicali è dello stesso anno del libro di Gentilucci)2; terzo, perché se il dibattito al quale sto partecipando si limitasse alla musica eurocolta, e sottintendesse che ci dobbiamo occupare per l’ennesima volta delle avanguardie, dei neoromantici, dei “giovani” compositori (che, beati loro, restano tali anche a vent’anni di distanza), non sarei minimamente interessato. La dialettica innovazione/conservazione, infatti, riguarda molte musiche, forse tutte, forse riguarda proprio la musica, intesa come l’iperspazio nel quale le singole musiche coesistono. Se non in termini puramente esemplificativi (fossero anche davvero esemplari), riferirsi a un solo genere, per quanto evidentemente afflitto da una crisi di quella dialettica, non può portare lontano. E però, mi sembra di poter dire che quella dialettica “conti” di più in alcune musiche che in altre: detto nei miei soliti termini, ci sono generi nella cui strutturazione gerarchica delle norme costitutive la dialettica innovazione/conservazione si trova in una posizione più dominante che in altri, e di questo terrò conto. Non sono un seguace di Derrida e dei suoi epigoni, e trovo di volta in volta patetici, irritanti o comici (e spesso tutti questi at2 Per una formulazione ampliata, v. Fabbri 1996. Ricercare. Il “nuovo” in musica. Come? Con chi? 3 tributi insieme) gli eccessi del politically correct anglosassone3. Ma so di vivere in un paese nel quale un uomo politico importante può chiamare dei pensionati “vecchietti” (e non affettuosamente) senza che alcuno – compresi i suoi oppositori – alzi la mano per ricordargli, perlomeno, la buona educazione. E mi sembra come minimo beneducato ricordare e far ricordare che il privilegio di innovare, di elaborare un “pensiero musicale”, di riflettere una visione del mondo o lo stato delle cose non è solo dei musicisti cosiddetti “colti”. L’innovazione. Un genere? Si potrebbe citare un discreto numero di termini che descrivono generi musicali o sottogeneri o insiemi di generi (alcuni tuttora esistenti), e anche tendenze stilistiche, manifesti, organizzazioni, che implicano un predominio ideologico della nozione di innovazione, in un senso piuttosto ampio ma comunque – credo – riconducibile agli aspetti più recenti della dialettica con la conservazione. Dalla Neue Musik al progressive jazz, dall’avanguardia contemporanea4 al rock d’avanguardia, al rock progressivo, alle musiche di frontiera5 o di ricerca. C’è stato perfino un progressive folk, e oggi c’è il (o la?) progressive, sottogenere della house music. Il New della New Age music non si riferisce necessariamente anche alla musica, ma non si può dimenticare che prima che questo genere si ipercodificasse verso un’identità stilistica più ristretta si chiamava New Age anche la musica di Brian Eno, di Laurie Anderson, di Peter Gabriel. La canzone d’autore non contiene riferimenti diretti all’innovazione, ma certamente in un 3 Per una guida ironica ma politicamente corretta, v. Beard, Cerf, 1992 e 1994. 4 In questo elenco ci sono probabilmente dei sinonimi. Ma non sarei sicuro che musica d’avanguardia, musica contemporanea e Neue Musik siano proprio la stessa cosa. 5 La nozione di frontiera implica uno spingersi ai limiti e, nell’interpretazione kennedyana, è anche politicamente innovativa. Ricordo che, se i generi sono insiemi, per loro vale il concetto di frontiera come “insieme dei punti in ogni intorno dei quali esistono punti interni e punti esterni all’insieme”. Preferisco il termine di frontiera a quello di confine, che incoraggia a pensare ai generi come a insiemi bidimensionali. Ricercare. Il “nuovo” in musica. Come? Con chi? 4 periodo determinato il programma dei cantautori fu quello di rinnovare la canzone (e non solo in Italia). I convegni del Club Tenco si intitolarono, per un certo periodo, Nuova Canzone, sotto l’influenza della Nueva Canciòn Chilena. La rinascita della canzone popolare, folklorica, in Italia è legata all’attività del Nuovo Canzoniere Italiano, e questo potrebbe essere un punto di aggancio per i numerosi generi, tendenze, organizzazioni il cui collegamento con l’innovazione è o era mediato dalla politica (sottintesa come politica progressista, o di rinnovamento sociale, o contro la conservazione o la reazione, anche in musica): Rock In Opposition, Rock Against Racism, per non dire del free jazz, e così via. I miei esempi si limitano a considerare le musiche più conosciute e frequentate anche dal pubblico italiano, ma credo che l’elenco potrebbe arricchirsi in tutti i continenti. E’ interessante osservare il processo che ha portato alla formazione di questi generi, perché sembra implicare che l’innovazione musicale non possa affermarsi se non creando attorno a sé una comunità (un pubblico, dei musicisti, degli organizzatori, dei critici, tutte le figure che costituiscono quella che definisco “collettività musicale”) diversa, ambienti e relazioni spaziali diverse, diverse forme organizzative, diversi rituali. Insomma, come se (almeno nel secolo che sta per finire) la musica nuova potesse emergere e definirsi rispetto alla musica – chiamiamola così – non-nuova non solo in forza di qualche caratteristica musicale in senso stretto, relativa all’organizzazione interna dei suoni, ma anche esigendo relazioni sociali differenti, nel senso più ampio possibile. Instaurando, così, un meccanismo di scambio metaforico tra cambiamento musicale e cambiamento sociale, che è proprio (specialmente nell’acquisizione di autoconsapevolezza) delle avanguardie artistiche del Novecento. Ma che non necessariamente le musiche alle quali ho accennato hanno “imparato” dalle avanguardie musicali “colte”. Il processo, comunque, non è privo di contraddizioni. In molti dei generi che ho citato si è sviluppata, almeno in una certa fase, una dialettica fra sostenitori della specificità e fautori del confronto aperto: cantautori che si trinceravano nel circuito della “canzone d’autore” e altri che si proclamavano autori di “canzonette”, musicisti colti favorevoli ai festival e alle rassegne di mu- Ricercare. Il “nuovo” in musica. Come? Con chi? 5 sica contemporanea e altri che miravano all’inserimento nella programmazione ordinaria, jazzisti e rockisti “di ricerca” al confine tra concerti d’élite e megafestival. Credo che possa essere utile notare – ai fini della nostra discussione – che l’interpretazione comune collocava i primi a “sinistra” e i secondi a “destra” dello schieramento musical-politico. A maggior riprova del fatto che il senso comune all’interno di quei generi considerava l’innovazione musicale, priva di un contesto adeguato, meno significativa e destinata a spegnersi. L’innovazione. Una categoria del processo musicale? Ma ben prima che lo stesso concetto di avanguardia artistica venisse inventato, l’innovazione ha fatto parte del processo musicale. Non c’è bisogno di ripercorrere pedantemente le storie delle musiche (quelle che conosciamo), né di riflettere sulla stessa nozione di storia, casomai qualche anima bella ci volesse convincere che siamo alla fine della storia, e quindi proprio per questo l’innovazione langue. La dialettica conservazione/innovazione fa parte dell’esperienza personale, di vita, dei musicisti, probabilmente al di sopra delle epoche e delle culture (ma aspetto graditissimi controesempi): imparare il canto, o uno strumento, significa confrontarsi con una tradizione, percepirne l’estensione, i limiti; esprimersi musicalmente significa adeguarsi, o creare uno scarto. Proprio qui le culture musicali si differenziano, nella tolleranza di quello scarto, nella possibilità di spostare i limiti, di creare il nuovo. La musica è “trovare”, la musica è “ricercare”. In questo senso, come non dar ragione agli avversari della nozione di avanguardia, secondo i quali l’attività musicale in sé è innovativa, e dunque non ci sarebbe ragione per fondare circoli di innovatori (e, potremmo aggiungere, enunciare manifesti, creare generi, organizzare festival)? Ma qui sta il punto. Non è vero. L’attività musicale, come ogni attività artistica, probabilmente, è in sé anche innovativa, ma non è pacificamente innovativa. L’innovazione è soggetta a una negoziazione sociale. La comunità potrebbe negare valore a una certa innovazione. Una parte potrebbe accettarla, e un’altra no. L’in- Ricercare. Il “nuovo” in musica. Come? Con chi? 6 novazione potrebbe implicare – presto o tardi – modi diversi di partecipazione, di organizzazione degli eventi musicali; l’effetto di innovazioni ulteriori potrebbe essere ridotto o amplificato da questi cambiamenti, che a loro volta potrebbero implicare o determinare innovazioni. Non pretendo di fornire uno schema metafisico adattabile a ogni situazione. Ma ognuno può provare ad immaginarsi un contesto o un’innovazione, dalla Camerata dei Bardi alla canzone popolare araba a metà del nostro secolo, dall’invenzione del crooning all’elettrificazione della musica nisiotiki, dallo Sprechgesang alle “stonature” dei Sex Pistols, e verificare mentalmente se sia possibile scindere il processo musicale innovativo dalle trasformazioni del contesto, e ipotizzare che quelle trasformazioni siano a loro volta legate al processo musicale in modo immediato, meccanico, pacifico. Salvo rari casi, innovazione e trasformazione sono occasioni di confronto, di conflitto, di lotta. Le ideologie? Vive e vegete. Ma quale conflitto, quale lotta, sembra di sentir dire, se stiamo assistendo al tramonto delle ideologie? E come sarà questo tramonto delle ideologie? Lo dobbiamo dare per già avvenuto? O è perennemente in corso, più o meno dal 1989, come le notti bianche dell’estate polare? O non sarà come la cometa HaleBopp? Ecco, io penso che sia come la cometa Hale-Bopp. Che a leggere sui giornali doveva essere visibile solo la sera di sabato 5 aprile 1997, anche grazie al concorso di astrofili ecologicamente consapevoli, di radio ultrasollecite, di assessori e sponsor pronti a spegnere le luci, ma che ostinatamente si è fatta vedere da milioni di persone – anche in orari “ragionevoli” – fin da una decina di giorni prima, e ha continuato a farsi vedere per settimane dopo (se mi affacciassi alla finestra mentre scrivo la vedrei),6 nonostante i giornali del 6 aprile avessero mestamente titolato “Addio, 6 Questo intervento è stato scritto intorno al 21 aprile 1997. Ricercare. Il “nuovo” in musica. Come? Con chi? 7 cometa”. E che proprio il 5 aprile si è vista malino, perché nella serata “mediatica” il cielo in alcune zone d’Italia era, ahinoi, nuvoloso. La cometa Hale-Bopp testimonia che viviamo ancora in pieno nell’era delle ideologie, intese sia come sistemi di valori che come falsa coscienza, anzi, come vere e proprie balle. E’ perfino curioso che di fronte a eventi come quelli del 1989 e successivi anche organi di informazione che non dovrebbero avere problemi ad ammettere il proprio orientamento politico di destra usino l’eufemismo del tramonto delle ideologie, al posto dell’annotazione che gli Stati Uniti, e i paesi capitalisti con loro, hanno vinto la Guerra Fredda. L’ideologia del libero mercato domina (non senza contrasti, ovviamente), ed è largamente penetrata anche in quei settori delle società occidentali che erano invece vicini al marxismo. Molti di coloro che erano vicini al marxismo prima del 1989, se interrogati sulla validità delle proprie idee, avrebbero sostenuto fortemente che i limiti dell’attuazione pratica del cosiddetto socialismo reale non erano un ostacolo a propugnare ideali di giustizia sociale e di uguaglianza in Occidente. Ora, avendo quegli stessi limiti (e non altri e ulteriori: quegli stessi ben noti limiti, oggetto di infiniti dibattiti, revisionismi e “strappi”) concorso a determinare il crollo dell’“impero sovietico”, se molte di quelle persone ora aderiscono ad altri sistemi di valori, se ne deve dedurre che la loro vicinanza al marxismo nasceva invece dal sentimento di protezione che la forza militare del blocco socialista reale induceva in loro. Se l’URSS fosse stata annientata da un attacco nucleare, queste persone sarebbero degli squallidi voltagabbana che si sono inchinati a lustrare gli stivali del vincitore. Essendosi l’URSS annientata da sola sotto la spinta della concorrenza economica (e del ricatto) occidentale, ed essendosi consegnata alla mafia, queste persone sono degli attenti testimoni del tramonto delle ideologie. E’ per la mancanza di idee forti, di valori, che la ricerca musicale ha segnato il passo in Italia, e in molti altri paesi europei? Per nulla. E’ perché gli Stati Uniti hanno vinto la guerra fredda, e di conseguenza l’ideologia del libero mercato e le teorie monetariste hanno preso il sopravvento. E non si tratta solo della più che comprensibile timidezza dei musicisti, trovatisi in difficoltà di Ricercare. Il “nuovo” in musica. Come? Con chi? 8 fronte alla ritirata strategica di una parte del loro pubblico, spesso isolati per la prima volta dopo anni in cui il loro lavoro era stato fortemente sostenuto dal contesto. Si tratta, contemporaneamente, dell’azione arrogante di operatori economici e di amministratori pubblici, che hanno fatto piazza pulita di enti, sovvenzioni, organizzazioni, di tutto ciò che nella visione monetarista fa parte di una politica “assistenzialista”. Si tratta della razionalizzazione del sistema dei media, con l’adozione delle cosiddette “sinergie”, per cui i mezzi di informazione diventano veicolo quasi esclusivo per i prodotti editi dalle consociate. Chi ha visto più una recensione di un concerto, di uno spettacolo teatrale, se non è coinvolto in qualche operazione produttiva “di gruppo”? E invece, quante sbrodolate inutili sulle videocassette o sui CD allegati a giornali e riviste. Eccolo, il tramonto delle ideologie. Ed è ovvio che c’entrano – nelle vicende incerte dell’innovazione musicale all’interno di alcuni generi principalmente europei – anche le incomprensioni, le rigidità, l’influenza nefasta dell’adornismo (che si esercitò ben oltre le frontiere della musica contemporanea colta). Il fatto stesso che intellettuali di valore apparentemente indiscutibile prendessero per buone le posizioni di Adorno sul jazz o sulla popular music, senza peritarsi di verificare (una di quelle cose che i professori di università chiedono spesso ai loro allievi) quali fossero le sue fonti, cosa intendesse per “jazz”, se avesse mai ascoltato Ellington, o Parker, o Gillespie, ecco, questo stesso fatto significa che se le avanguardie talvolta sono andate in direzioni sbagliate, le guide avevano mappe fasulle, e il fuoco di copertura avrebbe avuto le cartucce bagnate. Ricercare, ancora. Non ho usato a caso la frusta metafora militarista sulle avanguardie. Il modello era già vecchio, ma il nuovo ordine mondiale lo ha reso del tutto obsoleto. Ancora Gentilucci, nel suo libro citato, ricordava l’inadeguatezza di una concezione secondo la quale al plotone di esploratori segue il grosso, che dovrebbe farne proprie le conquiste. Questo implica che esista un patri- Ricercare. Il “nuovo” in musica. Come? Con chi? 9 monio, un linguaggio comune, che diventa di tutti, dopo essere stato di pochi. Ma ciò è falso. Come è falsa l’idea che la Formula 1 serva a sperimentare le soluzioni che poi tutti troveremo sulle nostre automobili. Può servire come giustificazione per gli eccessi e i rischi di quella specie di circo, ma è palesemente sbagliata. Da qualche anno sono le tecnologie innovative delle grandi Case – che hanno fondi e laboratori per svilupparle – ad essere adottate sulle auto da corsa, non il contrario: esisterebbero comunque strumenti di collaudo molto più sicuri e meno costosi. Similmente, l’industria musicale ha risorse proprie per la sperimentazione, e chi fa ricerca non lo fa per consegnarne i risultati all’industria. Anzi. Credo che nemmeno in questa fase l’innovazione musicale possa sfuggire alla sua dinamica propria, che è quella di sovvertire i contesti, insieme ai linguaggi. In molti paesi del mondo, e in molte culture e generi musicali, il contesto è abbastanza caldo per mantenere un contatto diretto con l’innovazione: non credo che i musicisti rai algerini o i rapper brasiliani si interroghino sul tramonto delle ideologie.7 Nei paesi più industrializzati, non mi sembra casuale che musicisti provenienti da esperienze anche molto diverse e operanti in generi differenti si trovino ad avere a che fare con una tecnologia, il campionamento, che apre almeno altrettante controversie economico-legali con l’industria mondiale dell’intrattenimento e dei media di quante ne apra sul piano strettamente musicale, linguistico. Questa sorta di guerriglia (non amo nemmeno questa metafora militare, ma mi sembra imposta dalla realtà), diffusa in modo semicasuale su tutto il pianeta, combattuta con gli strumenti e i linguaggi appropriati suggeriti dal contesto locale, aperta alle tecnologie più avanzate finché queste stesse restano aperte, mi sembra il territorio, o se mi è concessa l’ultima precisazione linguistica, l’iperspazio n-dimensionale sul quale agirà l’innovazione musicale nel prossimo futuro. ADORNO, T.W., (1974), Dissonanze, Feltrinelli, Milano (Prima ed. 1959). BEARD, H., CERF , C., (1992), The Official Politically Correct Dictionary & Handbook, HarperCollinsPublishers, Londra. 7 Ringrazio Marcello Lorrai per questa annotazione. Ricercare. Il “nuovo” in musica. Come? Con chi? 10 BEARD, H., CERF , C., (1994), Sex And Dating. The Official Politically Correct Guide, HarperCollinsPublishers, Londra. F ABBRI, F., (1996a), Il suono in cui viviamo. Inventare, produrre e diffondere musica, Feltrinelli, Milano. G ENTILUCCI , A., (1980), Oltre l’avanguardia. Un invito al molteplice, Discanto Edizioni, Fiesole, riedito (1991) nella collana Le Sfere, Ricordi Unicopli, Milano.