1940
– 2020
Der Ausstellungskatalog leistet die erstmalige
historische Aufarbeitung des brisanten Materials.
Darüber hinaus setzt er den so verkitschten wie
verstörenden Visionen völkischer Zukunft die
zeitgenössische Ästhetik des Künstlers Riccardo
Giacconi entgegen, dessen Zyklus Tingierung von
2019 eine zusätzliche Brechung und Verfremdung
des Materials bietet.
Ottanta anni fa il drammatico percorso che portava alle Opzioni sudtirolesi giungeva al culmine.
Per l’occasione la mostra allestita a Castel Tirolo
presenta al pubblico materiali della propaganda
nazionalsocialista di cui prima d’ora si ignorava
l’esistenza, ideati per promuovere l’emigrazione
compatta della popolazione sudtirolese nel grande
Reich germanico. I bozzetti provengono dal lascito
di Josef Dorfmann (1921-1944), un membro sudtirolese delle SS, ed erano indirizzati al Volksgruppenführer Peter Hofer. In essi vengono valorizzati con
forza aspetti visuali a cui prima d’ora non si era
prestata nessuna attenzione. Gli artefatti apologetici si rivolgevano soprattutto alle élite giovanili
che si andavano costituendo nel Völkischer Kampfring Südtirols (VKS – Fronte patriottico sudtirolese)
o negli ambienti filonazisti che ruotavano attorno
a esso. I bozzetti propagandistici sono di diverse
mani, solo parzialmente identificabili. Tuttavia, la
regia d’insieme di Dorfmann li ha trasformati in
un impressionante documento d’insieme del totalitarismo völkisch. Pur promuovendo l’emigrazione
compatta nel Reich germanico, i bozzetti evidenziano anche gli aspetti ambivalenti di questa cocciuta insistenza, che possono essere colti soltanto
tenendo a mente che esistevano stati d’animo profondamente contraddittori.
Il catalogo della mostra presenta una prima contestualizzazione storica di questo materiale “scottante”, le cui visioni kitsch e alienanti di un futuro
völkisch sono contrastate anche dall’estetica contemporanea dell’artista Riccardo Giacconi, che nel
suo ciclo Tingierung del 2019 ne offre un’ulteriore
rifrazione e straniamento.
„GROSSDEUTSCHLAND RUFT!“
“LA GRANDE GERMANIA CHIAMA!”
80 Jahre ist es her, seit die Vorgänge der Südtiroler
Option ihren dramatischen Höhepunkt erreicht
haben. Aus diesem Anlass zeigt die Ausstellung
auf Schloss Tirol bislang völlig unbekanntes nationalsozialistisches Propagandamaterial, das für
die geschlossene Abwanderung der Südtiroler
Bevölkerung in das Großdeutsche Reich warb. Die
Entwürfe stammen aus dem Nachlass des Südtiroler SS-Mitglieds Josef Dorfmann (1921–1944) und
waren an den „Volksgruppenführer“ Peter Hofer
adressiert. In ihnen kommen verstärkt visuelle
Aspekte zum Tragen, die bisher noch kaum in den
Blick geraten sind. Die apologetischen Artefakte
richteten sich bevorzugt an jugendliche Eliten,
die sich im Völkischen Kampfring Südtirols (VKS)
oder in seinem pronazistischen Umfeld formierten. Die Propagandazeichnungen stammen von
unterschiedlichen Händen, die nur teilweise zugewiesen werden können. Aufgrund von Dorfmanns
Gesamtregie bilden sie aber ein eindrucksvolles
Gesamtdokument des völkischen Totalitarismus.
Obwohl die Entwürfe für die geschlossene Abwanderung in das Deutsche Reich warben, geben
sie auch ambivalente Momente der Beharrung zu
erkennen. Diese sind nur vor dem Hintergrund
widersprüchlicher Emotionen zu erschließen.
Hannes Obermair
„GROSSDEUTSCHLAND
RUFT!“
“LA GRANDE GERMANIA
CHIAMA!”
Südtiroler NS-Optionspropaganda
und völkische Sozialisation
La propaganda nazionalsocialista
sulle Opzioni in Alto Adige e la
socializzazione völkisch
Katalog zur Ausstellung
Südtiroler Landesmuseum für Kultur- und Landesgeschichte Schloss Tirol
September–November 2020
Catalogo della mostra
Castel Tirolo – Museo storico-culturale della Provincia di Bolzano
settembre–novembre 2020
Riccardo Giacconi
TINGIERUNG
Es liegt auf der Linie der historisch-politischen Ausstellungen des Südtiroler Landesmuseums Schloss Tirol, ästhetische Gegenpositionen zu belastetem historischen Material
zu bieten. Der Weg wurde mit der Ausstellung „Mythen
der Diktaturen – Kunst in Faschismus und Nationalsozialismus“ im Frühjahr 2019 erfolgreich vorgezeichnet und wird
aus Anlass des Optionsthemas als Gestus zeitgenössischer Distanznahme wiederholt. Neben die diskursivreflexive Aufarbeitung des apologetischen NS-Propagandamaterials in Ausstellung und Katalog tritt damit wiederum eine künstlerische Bearbeitung des Themas und seiner
bestimmenden Motive. Die Reprise des Materials und
dessen Verfremdung machen den autoritären Kern des
historischen Prozesses sichtbar. Dieser Ansatz verdankt
sich dem Künstler Riccardo Giacconi.
Riccardo Giacconi wurde 1985 in San Severino Marche
(Macerata) geboren. Er studierte Bildende Kunst an der
IUAV – Universität Venedig und setzte seine Studien in
Lyon und Poitiers fort. Seine Arbeiten wurden in verschiedenen Ausstellungen präsentiert, unter anderem im Grazer Kunstverein (Graz), ar/ge kunst (Bozen), MAC (Belfast),
WUK – Kunsthalle Exnergasse (Wien), FRAC – Champagne-Ardenne (Frankreich), tranzitdisplay (Prag), Fondazione
Sandretto Re Rebaudengo (Turin) und auf der Internationalen Biennale für junge Kunst in Moskau. Er war artist
in residence im Künstlerhaus Büchsenhausen (Innsbruck),
im Centre international d’art et du paysage (Vassivière,
Frankreich), in Lugar a Dudas (Cali, Kolumbien), in La Box
(Bourges, Frankreich) und im MACRO – Museo di Arte
Contemporanea in Rom. Im Jahr 2016 erhielt er den
Videoproduktionspreis ArteVisione, vergeben von Sky
Arte und Careof.
Er präsentierte seine Filme auf mehreren Festivals, darunter das New Yorker Filmfestival, das Internationale Filmfestival Rotterdam, das Filmfestival von Venedig, Visions
du Réel, das Turiner Filmfestival und FID Marseille, wo er
2015 den Großen Preis des internationalen Wettbewerbs
gewann. Im Jahr 2007 war er Mitbegründer des Kollektivs
Blauer Hase, mit dem er für die periodische Publikation
Paesaggio und das Festival Helicotrema verantwortlich ist.
Giacconi hat seinen Werkzyklus Tingierung ursprünglich für
den Steirischen Herbst (Graz 2019) entworfen.
Er orientiert sich darin eng an den Ereignissen zwischen
1939 und 1943, als die deutschsprachige Bevölkerung
Südtirols vor die Wahl gestellt wurde, entweder in das
benachbarte nationalsozialistische Österreich (und andere
Gebiete des Dritten Reiches) auszuwandern oder im faschistischen Italien zu verbleiben und zwangsweise in den
italienischen Kulturkreis integriert zu werden. Die erzwungene Wahl beruhte auf einem Abkommen zwischen den
beiden Diktatoren Mussolini und Hitler, die damit zum Vorteil beider agierten – Mussolini wurde die Brennergrenze
zugesichert, Hitler bekam die deutschsprachige Bevölkerung als willkommene „Verschiebemasse“ zugesprochen,
zumal im bereits vom Zaun gebrochenen Weltkrieg.
È in linea con le mostre storico-politiche del Museo provinciale di Castel Tirolo offrire contrappunti estetici a materiale
storico contaminato. Un siffatto approccio è stato tracciato
con successo con la mostra “Miti delle dittature – L’arte nel
fascismo e nel nazionalsocialismo” allestita nella primavera
del 2019 e viene qui ripreso in occasione del tema delle
Opzioni come gesto di distanza contemporanea. Oltre alla
rivalutazione riflessiva del materiale di propaganda apologetica nazista presente in mostra e nel catalogo, il tema
e i motivi che lo definiscono saranno nuovamente trattati
artisticamente. La ripresa del materiale e la sua alienazione
rendono visibile il nucleo autoritario del processo storico.
Questo approccio lo si deve all’artista Riccardo Giacconi.
Riccardo Giacconi è nato a San Severino Marche (Macerata) nel 1985. Ha studiato Arti Visive presso l’Università
IUAV di Venezia, proseguendo gli studi a Lione e a Poitiers.
Il suo lavoro è stato presentato in varie esposizioni, tra
le quali Grazer Kunstverein (Graz), ar/ge kunst (Bolzano),
MAC (Belfast), WUK Kunsthalle Exnergasse (Vienna), FRAC
Champagne-Ardenne (Francia), tranzitdisplay (Praga), Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (Torino) e International
Biennale for Young Art di Mosca. È stato artista in residenza presso Künstlerhaus Büchsenhausen (Innsbruck), Centre international d’art et du paysage (Vassivière, Francia),
Lugar a Dudas (Cali, Colombia), La Box (Bourges, Francia)
e MACRO – Museo di Arte Contemporanea di Roma. Nel
2016 ha ricevuto il premio di produzione video ArteVisione,
a cura di Sky Arte e Careof. Ha presentato i suoi film in
diversi festival, fra cui il New York Film Festival, l’International Film Festival Rotterdam, la Mostra del Cinema di
Venezia, il Visions du Réel, il Torino Film Festival e il FID
Marseille, dove ha vinto il Grand Prix della competizione
internazionale nel 2015. Nel 2007 ha co-fondato il collettivo
Blauer Hase con cui cura la pubblicazione periodica Paesaggio e il festival Helicotrema.
Giacconi ha progettato Tingierung per la rassegna dello
Steirischer Herbst che si è tenuto a Graz nel 2019. In questo
ciclo di lavori l’artista segue da vicino gli eventi succedutisi
tra il 1939 e il 1943, quando la popolazione di lingua tedesca
della Provincia di Bolzano si trovò di fronte alla scelta imposta dalle dittature di emigrare nella vicina Austria nazista (e
in altre zone del Terzo Reich) oppure di rimanere nell’Italia
fascista e di essere completamente integrata nella cerchia
culturale e sociale italiana. La scelta forzata si basava su un
accordo tra i due dittatori Mussolini e Hitler, che agivano
così a vantaggio di entrambi – a Mussolini fu assicurato il
confine del Brennero, a Hitler fu concessa la popolazione
di lingua tedesca come una gradita “massa di sfollati” da
essere utilizzata per gli scopi aggressivi del regime, peraltro
già in guerra.
Tingierung crea collegamenti tra questi motivi – e il modo
in cui sono stati utilizzati nel discorso linguistico e visivo
dell’epoca dell’accordo sulle Opzioni – e il loro uso nei
discorsi politici europei contemporanei. In questo senso,
il progetto artistico non è emerso come un’indagine storica, sebbene attinga a materiale storico ricombinandolo e
alienandolo. Si tratta piuttosto di un commento al discorso
politico europeo contemporaneo, visto attraverso la lente
di un evento drammatico del passato.
Vor diesem Hintergrund hinterfragt Giacconis Projekt
unsere gegenwärtigen Vorstellungen von Staatsbürgerschaft, Grenzen, Identität, Sprachgemeinschaft, Heimat,
Nativismus, Minderheit und Migration. Die Optionsvereinbarung und ihre Folgewirkungen zeigen nachdrücklich auf,
wie bevölkerungspolitische Maßnahmen von politischer
Macht konstruiert, manipuliert, instrumentalisiert, fiktionalisiert und widerrufen werden – und wie solche Zwangsmaßnahmen zu dramatischen und unauslöschlichen Konsequenzen für die davon betroffenen Menschen führen.
Tingierung stellt Verbindungen zwischen diesen Motiven –
und der Art und Weise, wie sie im sprachlichen und visuellen Diskurs der Zeit des Optionsabkommens verwendet
wurden – und ihrer Verwendung in zeitgenössischen
politischen Diskursen Europas her. In diesem Sinne ist das
Kunstprojekt nicht als eine historische Untersuchung entstanden, obwohl sie auf historisches Material zurückgreift
und dieses neu kombiniert und verfremdet. Es versteht
sich vielmehr als Kommentar des heutigen europäischen
politischen Diskurses, gesehen durch die Linse eines dramatischen Ereignisses der Vergangenheit.
Riccardo Giacconi, Aus der Serie / dal ciclo Tingierung (2019).
„GROSSDEUTSCHLAND RUFT!“
Südtiroler NS-Optionspropaganda
und völkische Sozialisation
ab Seite 12
“LA GRANDE GERMANIA CHIAMA!”
La propaganda nazionalsocialista sulle Opzioni
in Alto Adige e la socializzazione völkisch
da pagina 76
Hannes Obermair
VORWORT
Bildpropaganda und Option sind ein durchaus neu vorzustel‑
lendes Binom, welches es in der Ausstellung im Bergfried zu
erörtern gilt. Die hier erstmals ausgestellten Aquarellentwür‑
fe mit eindeutigen politpropagandistischen Inhalten konnten
als Faszikel im letzten Jahr erworben werden. Ihre bislang
unbekannten Ikonografien lehnen sich auffallend an die
NS‑Propaganda an. Bislang war man im Kontext der Option
von einer bildarmen Propaganda ausgegangen. Wenngleich
es für eine Vervielfältigung der Motive keinerlei Belege gibt,
so legen die dilettierenden Entwürfe bruchlos das Gedanken‑
gut frei, unter dem sie entstanden. Mit der unter der Feder‑
führung von Hannes Obermair und Carl Kraus konzipierten
Themenausstellung „Mythen der Diktaturen“ eröffnete das
Südtiroler Landesmuseum Schloss Tirol 2019 den Themenbe‑
reich einer vertiefenden Auseinandersetzung mit der bildme‑
dialen Sprengkraft faschistischer und nationalsozialistischer
Chiffren. Der offene Zugang zu den Inhalten verlangt nach
einer kritischen Aufarbeitung, die für die vorliegende Ausstel‑
lung von Hannes Obermair geleistet wird, der sich akribisch
mit dem mikrohistorischen Umfeld der Propaganda‑Ikono‑
grafien auseinandersetzt und dabei ihre Einbettung in das
weite Feld nationalsozialistischer Kampfstrategien vornimmt.
Über den Bildquellen einer folgenreichen Entscheidung der
Option zeigt sich uns Heutigen der mahnende Fingerzeig, der
sich gegen Wiederholung und Wiederbetätigung stellt. Die
Ausstellung „Großdeutschland ruft!“ ereignet sich 80 Jahre
nach dem Vollzug des Umsiedlungsunternehmens und darf
als mahnendes Erinnern verstanden werden.
PREFAZIONE
In der Konzeption der Propagandachiffren dominieren ein‑
deutige Botschaften, welche letztlich in der Bildbearbeitung
der Abtrennung Südtirols nach dem Ersten Weltkrieg wur‑
zeln. Hier konterkariert die statische Bergwelt die mobile
Haltung der Auswanderer, die vor dem Deutschen Reich ihre
Schwurhand heben und gewissermaßen mit gesprengter
Fessel zum Gang über die Berge ansetzen. Die eindeutige Be‑
setzung mit nationalsozialistischen Bannern und Feldzeichen
verortet die Bildregie eindeutig in den Aktionen des „Völki‑
schen Kampfrings“. Auch ist die gelegentliche Verwendung
der Kurrentschrift ein untrügliches Kennzeichen des poli‑
tischen Bekenntnisses. Der Bedeutungsmaßstab verschiebt
eigenartigerweise die Perspektive zugunsten der Optanten,
indem Gebäude, wie etwa der Bozner Pfarrturm, oder die au‑
thentische Gebirgswelt nur mehr als Kulisse wahrgenommen
werden. Die Signalfarbe Rot finden sich zuhauf auch an den
Plakaten des Deutschen Reiches, so wie die kraftprotzende
Männlichkeit der Arbeiter und Bauern und die geschlossene
Vorstellung von Familie die Entscheidung zum „Gehen“ auto‑
ritär zu verordnen scheinen.
Den Besucher*innen der Ausstellung mag der kalte Schauer
zuträglich sein, der einem die Vorstellung der Massen‑
agitation nachvollziehen lässt, die im Südtiroler „Volk“
verankert war.
10
Leo Andergassen
Direktor des Landesmuseums Schloss Tirol
Il binomio propaganda iconografica e Opzioni che si può
esplorare nella mostra allestita nel mastio è nuovo e del tutto
inedito. I bozzetti ad acquerello dai contenuti esplicitamente
propagandistici, qui esposti per la prima volta e di cui prima
d’ora nulla si sapeva, sono stati acquisiti l’anno scorso rilegati
nella forma del fascicolo e sono chiaramente riferibili alla
propaganda nazionalsocialista. Finora si era dato per sconta‑
to che la propaganda sulle Opzioni non si fosse servita esten‑
sivamente dello strumento dell’immagine. Pur non essendoci
prove a sostegno del fatto che tali soggetti iconografici siano
stati effettivamente moltiplicati e diffusi, questi bozzetti dal
carattere dilettantesco si mostrano in assoluta continuità con
il patrimonio ideologico di cui sono il frutto. A partire dal
2019, con la mostra tematica Miti delle dittature, ideata e curata
da Hannes Obermair e Carl Kraus, il Museo provinciale di
Castel Tirolo ha avviato un percorso di confronto diretto e
serrato con la forza e la potenza dei simboli fascisti e nazio‑
nalsocialisti. Porgere questi contenuti alla libera fruizione
esige tuttavia un approccio critico, che in questo caso è stato
approntato da Hannes Obermair, il quale ha indagato e ri‑
costruito con puntiglio microstorico gli ambienti che hanno
originato l’iconografia propagandistica e l’ha inserita nel più
ampio contesto delle strategie di dominio nazionalsocialiste.
Sulla esposizione delle fonti iconografiche relative a una
scelta così gravida di conseguenze come quella delle Opzioni
aleggia, come monito per noi contemporanei, un messaggio
di opposizione al suo ripetersi e riattivarsi. La mostra “La
grande Germania chiama!”, quindi, vede la luce ottanta anni
dopo il compiersi del trasferimento in massa, di cui vuol
essere al tempo stesso ricordo e monito.
L’ideazione dei simboli della propaganda veicola messaggi
chiari e semplici che affondano le loro radici nell’elaborazio‑
ne visiva della cessione del Sudtirolo all’Italia dopo la Grande
Guerra. Allo statico mondo della montagna fa da contraltare
la mobile postura di coloro che si accingono a emigrare, i
quali alzano la mano all’indirizzo del Reich germanico in
segno di giuramento e, spezzate le catene, si apprestano a
valicare i monti. La plateale presenza di bandiere e insegne
militari naziste non lascia spazio a dubbi circa la regia del
progetto, che rientrava fra le azioni messe in atto dal Völkischer Kampfring, il fronte patriottico sudtirolese di matrice
nazista. Anche l’occasionale impiego della scrittura gotica
corsiva è un inconfutabile segno di fede politica. Per quanto
riguarda l’aspetto della rilevanza, è curiosamente privilegiato
il punto di vista degli optanti, in quanto gli edifici, si pensi ad
esempio al campanile del duomo di Bolzano, o l’autentico
mondo della montagna restano sullo sfondo come quinte. Il
rosso vivo abbonda anche sui manifesti del Reich germanico
e la nerboruta virilità di operai e contadini così come la fa‑
miglia, immaginata come un’entità chiusa, sembrano decre‑
tare d’imperio la decisione di “partire”.
Il brivido che coglie il visitatore della mostra può essere
d’aiuto nel comprendere fino in fondo come il progetto di
agitazione delle masse affondasse le sue radici nell’idea di
“popolo” sudtirolese.
11
Leo Andergassen
direttore del Museo provinciale di Castel Tirolo
„GROSSDEUTSCHLAND RUFT!“
Südtiroler NS-Optionspropaganda
und völkische Sozialisation
12
Die Propaganda für die Option der Südtiroler Bevölkerung zugunsten des
nationalsozialistischen Deutschlands um die Jahreswende 1939/40 wurde
zumeist verbal transportiert. Sie erfolgte durch (halb-)öffentliche Reden, private
Überzeugungsgespräche und propagandistische Flugzettel, mit Slogans und
markigen Parolen, um auf diese Weise breite Überzeugungskraft zu entfalten.
Auch rituelle Elemente wie Aufmärsche, Treueschwüre und gemeinsame
Abstimmungspraktiken kamen zum Zuge. Dies waren an breite Bevölkerungsgruppen adressierte Überzeugungsmuster, die auch in bisherigen Forschungen
vorrangig thematisiert wurden. In den mit dieser Ausstellung erstmalig
dokumentierten Materialien kommen hingegen verstärkt visuelle Aspekte
zum Tragen, die noch kaum in den Blick geraten sind.* Die bisher unbekannten
Artefakte richteten sich bevorzugt an jugendliche Eliten, die sich im Völkischen
Kampfring Südtirols (VKS) oder in seinem Umfeld formierten. Das Südtiroler
SS-Mitglied Josef Dorfmann, der in diesem Zusammenhang als entscheidender
Akteur wirkte, ist ein eindrücklicher Repräsentant und Handlanger des
völkischen Totalitarismus. Die Propagandazeichnungen stammen von
unterschiedlichen Händen, bilden aber aufgrund von Dorfmanns Gesamtregie
eine handlungsleitende Einheit. Obwohl für die geschlossene Abwanderung in
das Deutsche Reich werbend, geben die Entwürfe auch eine paradoxe Ebene
der Beharrung zu erkennen, die sich entscheidungslogisch nicht auflösen lässt
und nur vor dem Hintergrund antagonistischer Emotionen zu erschließen ist.
Der reale Verwendungszusammenhang des Gesamtmaterials war vermutlich
ephemer, doch ermöglicht es eine neue Kontextualisierung der OptionsPropaganda und des Options-Geschehens. Hierzu trägt auch der Umstand bei,
dass die Artefakte mit ihrem finalen Adressaten Peter Hofer an den führenden
Exponenten des Südtiroler NS-Bewegung gerichtet waren.
*
Für Materialbeschaffung danke ich Alessandro Campaner, Harald Toniatti (beide Bozen), Christoph Haidacher (Innsbruck), Robert C. Balsam (Berlin).
Hans Heiss (Brixen) und Michael Wedekind (Bremen) gilt mein besonderer Dank für ihr kritisches Lektorat dieser Ausführungen.
13
EINE HOHENWERFENER
EINSTIMMUNG
14
Im November 1940 – mitten im Krieg – fand auf der Festung
Hohenwerfen im Salzburger Land ein „Führerlager“ für
Südtiroler Mitglieder der Hitler‑Jugend, der Jugend‑ und
Nachwuchsorganisation des Nationalsozialismus, statt. Zen‑
tral innerhalb der im Frühjahr 1938 vom Deutschen Reich
annektierten „Ostmark“ gelegen, war Hohenwerfen seit März
1939 zur Gauschulungsburg aufgerückt.1 Salzburgs Gaulei‑
ter Friedrich Rainer hatte die zur Stätte der Indoktrination
umfunktionierte, markante Burg‑ und Festungsanlage am
5. März als Ausbildungsstätte inauguriert, NSDAP‑Mitglied
Ingo Ruetz war deren erster Leiter geworden.2 Hier fanden
zumeist einwöchige Lehrgänge für nationalsozialistische
Kreis‑ und Ortsschulungsleiter, Bürgermeister, Schullehr‑
kräfte sowie weitere Multiplikatoren in zahlreichen Forma‑
tionen und angeschlossenen Kaderverbänden des NS‑Staates
statt. Seit dem plebiszitären Südtiroler Optionsentscheid der
Jahreswende 1939/40 waren vermehrt auch TeilnehmerInnen
von südlich des Brenners in Hohenwerfen zu Gast, um die
Verhaltensmaximen der deutschen Volksgemeinschaft zu
verinnerlichen und die NS‑Tugenden von Kameradschaft,
Befehl und Gehorsam, Disziplin und Selbstaufopferung
einzuüben.3 „Volksgemeinschaft“ musste hergestellt werden,
sie war nicht schon voraussetzungslos vorhanden, und der
seltene Einblick, den die Salzburger Vorgänge bieten, ist
praxeologisch aufschlussreich für die reaktionäre Schaffung
einer scheinbar sprachlich‑kulturell bestimmten Schick‑
salsgemeinschaft.4 Ethnos statt Demos, dieses Konzept einer
überstaatlichen Willensgemeinschaft im Zeichen von „Blut“
und „Herkunft“ gegenüber einer ungeliebten staatlichen
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10
Zugehörigkeit, musste gerade für Südtiroler Rezipienten
attraktiv wirken, die damit die Ambiguität von italienischer
Staatsnation und deutscher Kulturnation ein Stück weit auf‑
heben, wenn nicht gänzlich überwinden zu können glaubten.
Der Südtiroler Schulungskurs im November 1940 erstreckte
sich gar über drei Wochen: Nach dem Beginn der Unterwei‑
sungen in Innsbruck wurden die männlichen und weiblichen
Kursteilnehmer von Burghauptmann Ruetz empfangen und
von Untergauführerin Inge Mühlhofer und Bannführer Alf
Schopper, den beiden „Lagerführern“, zur Betreuung über‑
nommen. Ruetz starb noch im Mai 1941 im Kriegseinsatz
und wurde umgehend öffentlich vom NS-Fanatiker Karl
Springenschmid, dem vom Regime berufenen Leiter des
Salzburger Schulwesens und Hauptinitiator der Salzburger
Bücherverbrennung vom 30. April 1938, als leuchtendes Vor‑
bild nationalsozialistischer Gesinnung gefeiert.5 Inge Mühl‑
hofer war Führungskraft des Bundes Deutscher Mädel, des
weiblichen Zweiges der HJ; sie publizierte schon 1940/41 zwei
apologetische Berichte über ihre Aktivitäten und wirkte ab
1941 im Obergau Tirol.6
Die Südtiroler NS‑Volksgruppenführung war im VKS bzw.
in dessen Nachfolgeorganisation, der Arbeitsgemeinschaft
der Optanten für Deutschland (AdO), organisiert.7 Unter den
Akten von VKS und AdO, die im Südtiroler Landesarchiv ver‑
wahrt werden,8 hat sich auch ein offiziöser Rückblick erhal‑
ten; er wurde von Mühlhofer und Schopper angefertigt und
von diesen den KursteilnehmerInnen offenbar anlässlich des
Kursendes überreicht.9 Aus dem Tonfall des Berichts geht
die Emphase hervor, die die nationale Erhebung nach dem
für das Deutsche Reich erfolgreichen Westfeldzug gegen
Frankreich und während der lange Zeit unentschiedenen
Luftschlacht um Großbritannien – erster Wendepunkt des
ganzen Krieges – bestimmte und durchzog.10 Das undatierte,
Über die allgemeine Struktur der Gauschulungsburgen und ihre organisatorisch‑administrativen Rahmenbedingungen informiert Kraas 2004. Zum NS-Gau
Salzburg einschlägig HaniscH 1997.
Zu Gauleiter Rainer vgl. Klee 2005, S. 477, sowie ausführlich Williams 2005.
Zur Hitlerjugend allgemein Buddrus 2003 und Kater 2005.
Vgl. zum Topos der „Volksgemeinschaft“ BajoHr/Wildt 2012; zur Forschungsdebatte KersHaW 2011.
springenscHmid 1941. Zu Springenschmids Rolle bei der Salzburger „Bücherverbrennung“ Hettegger/Holl/laHner 2008, S. 103.
müHlHofer 1940; dies. 1941. Zu Mühlhofer s. raucHegger-fiscHer 2018, S. 35, und Hopster/josting/neuHaus 2001, Sp. 834–835.
Zu VKS bzw. AdO s. WedeKind 2007 und ders. 2009 (jeweils mit weiterer Literatur) sowie egger 2018.
titton 2007. Der Archivbestand befand sich über Jahrzehnte im Keller des 1967 in Bozen im Sinne eines restaurativen Kulturprogramms errichteten Kultur‑
hauses Walther von der Vogelweide und wurde erst 2005 nach mühevollen Anläufen von den Organen des Südtiroler Kulturinstituts an das Landesarchiv abge‑
treten. Die einschlägige Studie von mittermair 2002 konnte daher das Material noch nicht benutzen, in die neuere Arbeit von egger 2018 floss es hingegen ein.
Südtiroler Landesarchiv, Archiv des VKS/AdO, Position 42, Bl. 4 („HJ-Führerlager Südtirol“); da es sich um einen maschinschriftlichen Matritzenabzug handelt,
ist mit einer ursprünglich größeren Verteilung zu rechnen.
Zum besonderen historischen Moment des Jahres 1940 KersHaW 2016, S. 476ff.; WinKler 2016, S. 907ff.
zweifellos aber Ende November 1940 hergestellte Hohen‑
werfener Protokoll ist an die namentlich nicht genannten
„Kameraden“ und „Kameradinnen“ der Südtiroler NS‑Bewe‑
gung, also die Vertrauensmänner und ‑frauen, Gebietsleiter
und Kreisleiter der AdO, gerichtet. Die Aufzeichnung führt
u. a. aus: „21 Tage gemeinsamer Arbeit liegen hinter uns,
Tage, in denen wir alle wohl kaum einmal zum Verschnaufen
gekommen sind! Im äusseren [!] Erlebnis war die Zeit ein
Fortschreiten aus der notdürftigen Unterbringung in Inns‑
bruck11 zur Geschlossenheit und einzigartigen Erlebniskraft
der Burg. Nehmt das Bild des ragenden Felsen, auf dem kühn
unser Hohenwerfen thront, mit in Euere Heimat; nehmt die
Kraft des Bildes, vor dem wir jeden Morgen und Abend an
der Fahne standen und die scharfen Grate und Gipfel herbst‑
verschneiter Berge grüßten, mit in die schicksalsschweren
Tage der Zukunft, da die Berge Euerer Heimat zu wanken
beginnen.“ Nach der Anrufung „deutscher Frömmigkeit“,
einer religiös durchwirkten völkischen Gesinnung, mündet
der Text in die Worte: „Geht hart und entschlossen auf Euere
Posten zurück! Und wenn finstere Tage kommen, die Euch
zerbrechen wollen, dann lasst aus den Nebeln die Burg [Ho‑
henwerfen, Anm. d. V.] ins Sonnenlicht treten, auf der unsere
Fahne, die nun auch Euere ist, wehte und richtet Euch auf an
der Gewissheit des Führerwortes: ‚Deutschland ist größer als
jede einzelne Not!ʻ“.
Eröffnung der Gauschulungsburg Hohenwerfen am 5. März 1939 durch Salzburgs
Gauleiter Friedrich Rainer, umringt von nationalsozialistischen Funktionären
(Österreichische Nationalbibliothek Wien, OEGZ S 251/578)
Mit diesen so pathetischen wie bildhaften Worten war die
dramatische, von außen oktroyierte Staatsbürgerschafts‑
option direkt angesprochen und als kollektiver Befehl
verinnerlicht. Zur Jahreswende 1939/40 hatte sich die über‑
wältigende Mehrheit von Südtirolern und Südtirolerinnen
für die Annahme der deutschen Staatsbürgerschaft und eine
geschlossene Abwanderung in das nationalsozialistische
Deutsche Reich ausgesprochen und diesem nebenbei einen
späten außenpolitischen Prestigeerfolg, mitten im schon
11
Der Beginn der Schulung wurde vielleicht im Lager Mühlau b. Innsbruck abgehalten, einem nur notdürftig eingerichteten Barackenlager für Südtiroler
Umsiedler.
15
begonnenen Weltkrieg, verschafft.12 So gut die plebiszitären
Vorgänge der Südtiroler Umsiedlung auch erforscht sein
mögen, so wenig wissen wir über die näheren kommunikati‑
ven Prozesse Bescheid, die das Votum begleitet und dessen so
eindeutigen prodeutschen Ausgang determiniert haben.
Wie kam es, dass so viele der deutsch‑ und ladinischsprachi‑
gen Landesbewohner jenes orange Formular ausgefüllt und
unterzeichnet hatten, mit denen sie „unwiderruflich und
förmlich“ erklärten, „die deutsche Reichsangehörigkeit an‑
nehmen und in das Deutsche Reich abwandern zu wollen“?13
Die historische Forschung hat sich in der Zwischenzeit auf
eine reale Zustimmungsquote von ca. 84–86% geeinigt, ein
beeindruckendes Kontingent, das die vom VKS noch An‑
fang 1940 verbreiteten 90,7% nur geringfügig unterschreitet.14
Der vom VKS gleich nach der am 31. Dezember 1939 offiziell
beendeten Abstimmung angeführte 90‑prozentige Abwande‑
rungsentscheid war im Übrigen eine überdeutliche Anspie‑
lung an das mit 90,73% dokumentierte Ergebnis der Saar-Ab‑
stimmung vom Januar 1935, dessen Ausgang auch in Südtirol
mit nationaler Hochstimmung aufgenommen worden war
und neue Hoffnungen auf eine Revision der Brennergrenze
befeuert hatte.15 „Heute die Saar – wir übers Jahr“ wurde
in der Südtiroler Grenzregion zum geflügelten Wort16 – die
spektakulären Erfolge der aggressiven nationalsozialistischen
Revanchepolitik ließen den NS‑Staat immer deutlicher als
jene Kraft erscheinen, der auch die Lösung der Südtirolfrage
im großdeutschen Sinn zuzutrauen war.17 Und dies im An‑
gesicht der unumstößlichen Tatsache, dass Hitler selbst in
seiner Programmschrift Mein Kampf auf territoriale Forde‑
rungen gegenüber Italien verzichtet und dem italienischen
Bündnispartner im Kontext des Achsenbündnisses noch
1938, zumindest in offiziellen Verlautbarungen, die Brenner‑
grenze verbürgt hatte.18
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Dies dämpfte die zügellosen Hoffnungen der Südtiroler Be‑
völkerung keineswegs. Stärker noch als nach dem Saar‑Re‑
ferendum schlug das historische Momentum nach dem so‑
genannten „Anschluss“ Österreichs an das „Dritte Reich“ im
März‑April 1938 durch.19 Nachdem Hitler die Einverleibung
der „Ostmark“ in das deutsche Staatsgebiet mit einer pro‑
pagandistisch perfekt inszenierten Scheinabstimmung auch
öffentlich legitimieren hatte lassen, schien die deutsche Au‑
ßenpolitik im mitteleuropäischen Raum keinerlei Schranken
mehr zu kennen.20 Die Parolen „ein Reich“, „ein Volk“ und
„Deutschlands Größe“ beherrschten den Sprachgebrauch
aller großdeutsch Gesinnten, die – im offenen Bruch der
Bestimmungen der Friedensverträge von Versailles – in ihren
völkisch grundierten pangermanischen Großreichsvisionen
bestärkt wurden. Insbesondere intellektuelle Eliten schwenk‑
ten auf diesen Kurs willig ein und lieferten die nötigen
Legitimationsfiguren für die geplante ethnozentrische Neu‑
ordnung Europas.21 Der militärische Ausgriff erschien einer
solchen Gesinnung nur noch als bloßer Vollzug des volks‑
tumsideologisch längst Vorgedachten und Herbeigesehnten.
Wie lässt sich also Südtirols außergewöhnlicher Konsens für
die Abwanderung und die damit verknüpfte implizite An‑
erkennung der nationalsozialistischen Gesellschaftsordnung
erklären? Dies lief doch immerhin auf das Verlassen der
bisherigen, als Heimat beschworenen Wohngebiete hinaus
und schien beinahe bedenkenlos alle Unwägbarkeiten einer
Umsiedlung in Kauf zu nehmen. Bisherige Untersuchungen
haben zu Recht geltend gemacht, dass sich hier mehrere
Ebenen überlagert und das so eindeutige Ergebnis begüns‑
tigt haben.22 Zum einen war der Prozess der Entheimatung
der Optanten bzw. „Geher“ durch die nun schon über 15 Jahre
andauernden Italienisierungsmaßnahmen des faschistischen
Regimes vorgeprägt.23 Das Ende oder auch nur eine Milde‑
rung der Majorisierungsbestrebungen waren nicht in Sicht,
Grundlegend hierzu: stuHlpfarrer 1985; ferner steurer 1980, S. 362–390; Tiroler Geschichtsverein Bozen 1989; eisterer/steininger 1989; lill 1991; alexander/
lecHner/leidlmair 1993; WedeKind 2009; pallaver/steurer 2011; pallaver/steurer/verdorfer 2019 (mit weiterer Literatur). Eine kompakte Darstellung bietet der
Aufriss von Heiss 2014.
Das Formular ist abgebildet in Tiroler Geschichtsverein Bozen 1989, S. 149.
stuHlpfarrer 1985, Bd. 2, S. 541ff.; steurer 1989; messner 1989; WedeKind 2009, S. 72; pallaver/steurer 2011, S. 20; Heiss 2014, S. 21.
Tiroler Geschichtsverein Bozen 1989, S. 121.
grote 2007, S. 151.
Tiroler Geschichtsverein Bozen 1989, S. 121.
stuHlpfarrer 1985, Bd. 1, S. 21f. und 34ff.
stuHlpfarrer 1985, Bd. 1, S. 30ff.; WedeKind 2007, S. 417f.
Berger Waldenegg 2003.
Eindrucksvoll dokumentiert im Handbuch von faHlBuscH/Haar/pinWinKler 2017; vgl. auch oBerKrome 1993.
pallaver/steurer 2011, S. 159ff.
Hierzu lecHner 2005; Bonoldi/oBermair 2006; solderer 2000, S. 40ff.
was das mit der Annexion von 1919/20 verbundene traumati‑
sche Empfinden vieler SüdtirolerInnen verstärkte. Im Gegen‑
teil, die Tonart der italienischen Machthaber verschärfte sich
seit der Mitte der 1930er Jahre im Sog der innen‑ und außen‑
politischen Erfolge des charismatischen Mussolini‑Regimes,
das zwischen 1935 und 1939 auf dem Höhepunkt gesellschaft‑
lichen Konsenses stand.24
Die soziale Desillusionierung und fortschreitende Aus‑
grenzung aus den durchaus vorhandenen Versprechungen
des „Neuen Italiens“ machten die deutsch‑ und ladinisch‑
sprachigen Minderheiten besonders anfällig für die Ver‑
heißungen des nationalsozialistischen Deutschlands.25 Über
das Gewaltpotential der NS‑Herrschaft wusste man zwar im
Wesentlichen Bescheid, nahm das Totalitäre seiner inneren
und äußeren Politik aber stillschweigend, vielfach auch
billigend und bewundernd in Kauf. Die mangelnde demo‑
kratische Übung der Südtiroler Bevölkerung, ihre vielfach
autoritäre Ausrichtung durch jahrhundertelange katholische
Bevormundung und ihre paternalistische Grundorientierung
bildeten geradezu ideale Voraussetzungen, um den Mythos
der Volksgemeinschaft auf breiter Basis zu aktivieren.26 Zur
kulturellen Superioritätshaltung und einem stark defizitären
Demokratieverständnis kam die italienisch‑faschistische
Sozialisierung in den Schul‑ und Freizeitsystemen als wich‑
tige Vorerfahrung und verstärkende autoritäre Werthaltung
nur noch hinzu. Einer solchen Disposition bot sich der Topos
vom Grenz‑ und Auslandsdeutschtum als Triebrad der eth‑
nischen Mobilisierung förmlich an. Wie konnten antieman‑
zipatorische Bedürfnisse besser bedient werden als mit der
Wahl des „richtigen“ Faschismus, des deutschen statt des ita‑
lienischen, den man als oktroyiert noch zurückweisen konn‑
te?27 Hierbei konnte die Vorstellung einer Schicksalsgemein‑
schaft im Zeichen von Sprache und Kultur auf eine lange
Tradition zurückgreifen; sie wurzelt letztlich im völkischen
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Nationalismus des nachrevolutionären 19. Jahrhunderts.28 Mit
diesem sympathisierte noch über die Mitte der 1930er Jahre
hinaus ein so einflussreicher Exponent der Südtiroler Öffent‑
lichkeit wie der Journalist und Priester Michael Gamper.29
Dieser unterhielt mit dem Volksbund für das Deutschtum im
Ausland (VDA), einer NS‑Organisation unter der Leitung des
alldeutschen Kärntners Hans Steinacher, enge Kontakte und
ließ sein Notschulprogramm von diesem mit finanzieren.30
Schon in einer der ersten Ausgaben der von Gamper heraus‑
gegebenen und redigierten Wochenzeitung Volksbote hatte
dieser eifrig die Dolchstoßlegende bedient, wonach „eine
Gruppe Juden und Sozialdemokraten“ die für die besiegten
Mittelmächte so ungünstigen Pariser Friedensverhandlungen
bestimmt hätten und „das Volk nichts mehr zu sagen hat und
der Jude alles“.31 1927 bekundete er gegenüber dem völkischen
Aktivisten und Exponenten des Deutschen Schulvereins
Wilhelm Rohmeder, ihm sei „die national‑sozialistische Par‑
tei gerade so schlecht oder so recht wie eine andere Partei“.32
Gamper hatte zunächst durchaus mit dem Antisemitismus
und Antikommunismus der NS‑Bewegung sympathisiert und
deren Ordnungs‑ und Ausgrenzungsvorstellungen geteilt.
Als seit 1935 jedoch die antiklerikalen Orientierungen des
Deutschen Reichs immer stärker hervortraten, wandte sich
Gamper vom Nationalsozialismus ab und wurde – gerade im
Kontext der Option – zu einem Hauptexponenten Südtiroler
NS‑Gegnerschaft.33
Doch was ließ kollektive Ermächtigungsfantasien bei Figu‑
ren wie Gamper so massiv erstarken? Wenn wir nochmals
den Blick auf das Hohenwerfener Treffen richten, treten uns
hier weitere Motive entgegen. Vom 21. November 1940 datiert
ein Bericht des „Gebietsführers“ Otto Weber, dem Gründer
der HJ innerhalb der Vorarlberger SA und späteren Jugend‑
gebietsführer im Gau Tirol‑Vorarlberg.34 Er bezeichnet sich
darin als denjenigen, der maßgeblich „am Zustandekommen
scHieder 2010, S. 69ff; de felice 1981.
stuHlpfarrer 1985, Bd. 2, S. 499f.
Zum Mythos der Volksgemeinschaft ausführlich scHmiecHen-acKermann 2012.
Zu diesem blinden Fleck eines vorgeblichen Südtiroler Antifaschismus verdorfer 1990, S. 25ff.
Vgl. lutHer 2004; pointierter faHlBuscH/Haar 2010.
HilleBrand 1996, S. 57ff.; esposito 2012.
elste 1997, S. 157f. Zu Steinacher retteratH 2017.
gamper 1919, S. 1.
HilleBrand 1996, S. 60.
HilleBrand 1996, S. 59ff.; lamprecHt 2019, S. 249. Hagiografisch angelegt und lückenhaft hingegen steininger 2017.
Südtiroler Landesarchiv, Archiv des VKS/AdO, Position 42, Bl. 11. Zu Webers Karriere im Nationalsozialismus stoppel 2004, S. 16ff.
17
18
dieses Lagers beteiligt“ gewesen sei, und ruft den Teilneh‑
menden in Erinnerung, dass sie – als sie „über den Brenner
gefahren“ seien – damit „zum ersten Mal das nationalsozia‑
listische deutsche Reich“ erleben konnten und erstmalig
auch „das braune Kleid“ hätten tragen dürfen. Durch diesen
Initiationsritus seien die SüdtirolerInnen angekommen „in
einer Gemeinschaft, in der ihr offen marschieren könnt und
euch frei als Jugend des Führers bezeichnen dürft“. Gerade
die Einkleidung in die paramilitärischen, braunen Unifor‑
men der HJ, deren Erscheinungsbild sich an die Braunhem‑
den der SA anlehnte, verhieß Zugehörigkeit zu der neuen
Machtelite und signalisierte Gleichheit bei gleichzeitiger
Unterordnung unter ein radikales Programm.35 Als visuelles
Politiksymbol, dies musste den Südtiroler Anwärtern bereits
von den faschistischen Kampfbünden der Provinz Bozen
her vertraut gewesen sein, verkörperte die neue erdfarbene
Einheitskleidung einen machtvollen Aktionsstil, der Unbe‑
siegbarkeit zur Schau stellen sollte und durch Gangart und
Akustik effektvoll unterstrichen wurde.36 Weber bediente
in seinen weiteren Ausführungen geschickt den kollektiven
Narzissmus der neuen Adepten, indem er ihnen auch eine
ehrenvolle Aufgabe zuwies:37 „Ihr habt nun die Aufgabe,
die Menschen in eurer Heimat zu Nationalsozialisten zu
machen.“ Und er fügte warnend hinzu: „Wenn sie sich auch
äußerlich Nationalsozialisten nennen und sich durch ihr ‚Jaʻ
zum Führer bekannt haben, damit ist [!] zwar ein äußerliches
nat.soz. Bekenntnis abgelegt, aber die innere Umwandlung
ist noch nicht vollzogen worden.“ Hier schlugen wohl auch
die Erfahrungen mit dem österreichischen Mitläufertum
durch, das zwar zunächst total erschien, aber mit Kriegs‑
beginn mehr und mehr Ernüchterungssymptome zeigte.38
Dagegen beschwor Weber das quasireligiöse, selbstheili‑
gende Erlösungspotential, das mit dem Eintritt in die Volks‑
gemeinschaft verbunden sei; der Angliederungsvorgang der
Südtiroler Umsiedler sei als entscheidender Übertritt in die
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Zeitgenossenschaft mit dem Führer zu betrachten, und dabei
sei „der Krieg […] nicht das Wesentlichste und Entscheidens‑
te. Adolf Hitler ist nicht zuerst Feldherr des deutschen Vol‑
kes, sondern zuerst Politiker und der Führer des deutschen
Volkes.“ Die Betonung der Liminalität der Hohenwerfener
Erfahrung hebt zugleich auf die Unwiderruflichkeit und
das Ritualhafte des NS‑Bekenntnisses der Optanten ab.39 Sie
erfuhren gleichsam ein politisches Coming-of-Age im Sinne
einer als naturwüchsig gedachten ethnischen Vorbestim‑
mung, der sich niemand entziehen dürfe.
Eine solche „Volkwerdung“ im Zeichen des Hakenkreuzes
hatten intellektuelle Ingenieure des Sprechens von rechts,
Geografen, Philosophen und Geschichtsforscher, auf breiter
Front vorgedacht.40 Erinnert sei hier beispielsweise an den
prominenten Historiker Theodor Schieder, der 1930 den
schillernden Volks-Begriff auf folgende Weise definierte: „Es
ist das Gesicht einer überindividuellen Verbundenheit, die er
[das Individuum, Anm. d. V.] in der Familie, in den verschie‑
densten Vereinen, denen er angehört, in den Organisationen
seiner Klasse, in ländlicher Lebenssphäre vielleicht noch in
der Dorfgemeinde tagtäglich erlebt.“41 Und er fügte hinzu,
beinahe so, als hätte er dabei die Südtiroler Verhältnisse im
Blick gehabt: „Nur da, wo im Grenzkampfe die ein Volk ver‑
bindenden Güter, wie Sprache, Sitte, an ihrem Gegensatze,
dem fremden Volkstum, zum Bewußtsein des Einzelnen
kommen, […] ist Volk Wirklichkeit.“ In den Pathosformeln
von Volk und Gemeinschaft schwang der Gedanke einer
bizarren Gleichheit mit, die nicht mehr auf den universalisti‑
schen Idealen der Französischen Revolution oder der Ame‑
rikanischen Unabhängigkeitserklärung beruhte, sondern
essentialistisch auf ein gemeinsames „Blut“ rekurrierte.42
Eine solche zwiespältige Gleichförmigkeit, die sich auch als
repressiver Egalitarismus bestimmen lässt, war auf Kriterien
von Ausschluss und Vernichtung der Anderen gegründet.
Zur ritualisierten Kleiderordnung der SA s. longericH 1989.
reicHardt 2009, S. 133f.
Zum Konzept eines genuin völkischen Narzissmus römer 2017.
Hierzu grundlegend Bauer 2017, S. 194ff.
Zu den Übergangsriten und ihrer gemeinschaftsstiftenden Funktion aus anthropologischer Sicht turner 1998.
Der Ingenieursbegriff ist übernommen von eilenBerger 2018, S. 282ff., der ihn in seinen Ausführungen allerdings im progressiven Sinne verstanden wissen wollte.
Zitiert bei und kommentiert von mommsen 1999, S. 187. Zu Schieders wichtiger Rolle in der „Ostforschung“ als einer der „Vordenker“ der NS-Vernichtungspolitik
aly 1999 und faHlBuscH/Haar/pinWinKler 2017, S. 714–725.
Vgl. oBerKrome 1993, S. 171ff.
Eine solche Weltsicht wies alle klassischen Attribute einer
Erneuerungsideologie auf, die auf unbedingtem Erlöser‑
glauben, strengen Artikulationsverboten und totaler Gemein‑
schaftssuggestion basierte. Die Faschismusforschung hat für
diese Dispositionen das Konzept einer ultranationalistischen
Palingenese, einer Erfahrung der Wiedergeburt durch totale
Ausrichtung auf einen verherrlichten Führer, in Vorschlag
gebracht.43 Diesem mythischen Kern des deutschen Faschis‑
mus hatte sich auch die Mehrheit der SüdtirolerInnen be‑
reitwillig ergeben. Sie waren vom italienischen Faschismus,
dank jahrelanger Drangsalierungen und lebensbiografischer
Überwältigungen, seinem deutschen Gegenpart förmlich in
die Arme getrieben worden. Aber sie hatten diesen Weg auch
als unvollständige Staatsbürger beschritten, die sich niemals
von ihrem eingefleischten Obrigkeitsglauben emanzipieren
konnten oder wollten und die ihre in das „nationale Bewußt‑
sein gedrungne Bedientenhaftigkeit“ nicht wirklich abgelegt
hatten.44 Ihre kognitiven Haltungen und Lebensrichtungen
waren gleichsam auf Autoritarismus getrimmt, noch ehe sie
die Erweckungsfantasien des Nationalsozialismus als des
„richtigen“, weil die eigene Sprache sprechenden und auf
die eigenen Dispositionen passenden Faschismus zu teilen
begannen.
Koedukation im Nationalsozialismus – die Südtiroler Jugend übt sich in „Volksgemeinschaft“
bei einem Ausflug von VKS-Aktivisten, um 1939 (Südtiroler Landesarchiv, Sammlung Tiroler
Geschichtsverein, Bild Nr. 1221)
19
43
44
griffin 1993, S. 38ff.; ders. 2005. Vgl. auch gentile 2005, Kap. 10.
Die „Bedientenhaftigkeit“ ist die glückliche Formulierung, die Friedrich Engels in seiner Streitschrift Anti-Dühring diagnostisch für das Scheitern aller
deutschen Revolutionsversuche im 19. Jahrhundert verwendet hat; vgl. engels 1975, S. 171.
„VOLKSGRUPPENFÜHRER“
PETER HOFER SPRICHT
20
Am 13. November 1940 nutzte auf Hohenwerfen auch Südti‑
rols nationalsozialistischer Spitzenexponent, Peter Hofer, die
Gelegenheit, das Wort an die Südtiroler Teilnehmenden des
Schulungskurses zu richten.45 Seine Ausführungen verdie‑
nen, vollinhaltlich wiedergegeben zu werden, da mit Hofer
jener Repräsentant greifbar wird, dem eine zentrale Rolle
für die Etablierung und Stabilisierung der NS‑Bewegung in
Südtirol zufiel.46 1905 in St. Michael bei Kastelruth geboren,
war der weichende Hoferbe in Bozen im Schneiderhandwerk
tätig. Seit 1928 war er Mitglied, ab 1931 auch Obmann des
Katholischen Jugendbundes in Bozen, außerdem Aktivist
der deutschnationalen Südtiroler Untergrundjugendgruppe
Nibelung sowie der Arbeitsgemeinschaft der volksdeutschen
Jugend in Südtirol, als Angehöriger von deren Bozner Orts‑
ausschuss; 1931 wurde er als Mitglied des Gau-Jugend-Rates
von den italienischen Polizeiorganen vorübergehend ver‑
haftet. In den Jahren 1933 bis 1935 fungierte Hofer als VKS‑
Kreisführer von Bozen und rückte als linientreuer Charis‑
matiker mit Januar 1935 unter dem Decknamen „Hagen“ zum
Landesführer des VKS auf, den er nach den Vorgaben der
NSDAP streng hierarchisch formte.47 Nachdem Hofer, Träger
des HJ‑Ehrenzeichens, 1939 für Deutschland optierte hatte,
wurde er im Februar 1940 geschäftsführender Leiter der nun
auch seitens der faschistischen Administration offiziell zuge‑
lassenen AdO. Dies gelang auch in gleichsam polykratischer,
wenngleich subalterner Konkurrenz zur zeitgleich begrün‑
deten Amtlichen deutschen Ein‑ und Rückwanderungsstelle
(ADERSt) unter dem in Bozen installierten SS‑Obersturm‑
bannführer Wilhelm Luig, dessen Dienstanweisungen sich
45
46
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48
49
50
51
52
53
Südtiroler Landesarchiv, Archiv des VKS/AdO, Position 42, Bl. 11 (Rückseite).
Zu seiner Biografie WedeKind 2003, S. 133ff.
Ebd., WedeKind 2007, S. 409, und mittermair 2000, S. 175ff.
WedeKind 2007, S. 423; WedeKind 2009, S. 73; fieBrandt 2014, S. 557f.
stuHlpfarrer 1985, Bd. 1, S. 288ff.; WedeKind 2003, S. 136.
stuHlpfarrer 1985, Bd. 1, S. 237ff., bes. S. 247; WedeKind 2003, S. 133.
WedeKind 2003, S. 133; lumans 2003.
Vgl. jacoBsen 1968, S. 245.
Südtiroler Landesarchiv, Archiv des VKS/AdO, Position 42, Bl. 11 (Rückseite).
die AdO dank direkter Fürsprache von Reichsführer‑SS
Heinrich Himmler teilweise entziehen konnte.48 Hofer hatte
damit einen gewissen organisatorischen Führungsanspruch
in den Südtirolbelangen behalten, auch weil er sich vor‑
behaltlos den rassistischen bevölkerungspolitischen und
neokolonialistischen Maßgaben der SS unterzuordnen wuss‑
te.49 Im Nachgang des deutschen Überfalls auf Polen war
Himmler zum Reichskommissar für die Festigung deutschen
Volkstums ernannt worden und hatte in der Folge auch die
Südtirol‑Agenden an sich gezogen.50 Seine Direktiven wurden
über SS‑Gruppenführer Werner Lorenz, den Leiter der 1937
eingerichteten Volksdeutschen Mittelstelle (VoMi) und frühe‑
ren Verbindungsmann zum VKS, an Hofer vermittelt, der im
Übrigen dessen radikalisierte volkstumspolitische Konzep‑
tionen vollständig teilte.51 Mit der Zentralisierung der Volks‑
tumspolitik durch die VoMi war auch der VKS‑AdO gänzlich
unter SS-Einfluss geraten, und Hofer war als „Volksgruppen‑
führer“ in den Rang der von der NS‑Politik anerkannten bzw.
eingesetzten höchsten Repräsentanten volksdeutscher Min‑
derheiten des Auslandes aufgestiegen.52
Entsprechend diesen Maßgaben wird Hofer im bereits zi‑
tierten Hohenwerfener Protokoll als Volksgruppenführer
tituliert.53 In dieser Funktion äußerte er sich gegenüber den
Südtiroler Jugendführern am 13. November wie folgt: „Ich
möchte euch jene Mahnung mitgeben, die ich euch schon in
der Heimat gab, jenen Dienst zu tun, der uns in der Heimat
erwartet. Wir müssen die Tragik unserer Heimat so kraß wie
möglich sehen, an Deutschland aber denken und an die Grö‑
ße des Reiches. Wir wollen unsere ganze Kraft in den Dienst
des Reiches stellen. Wir müssen im Stande sein, zu ermessen,
was es bedeutet, Jugend zu führen, dieser Jugend zu dienen
und ihr ein vorbildliches Leben vorzuleben. Wir müssen als
klare Menschen vor unser Volk und unsere Jugend hintreten.
Es wird eine Zeit kommen, wo wir offen vor unser Volk
hintreten können und es schulen und betreuen und bilden
dürfen. Da können wir dann den Beweis stellen [!], wie wir es
uns in den Jahren 1926/28 gedacht haben. […] Und wir werden
weiter unseren Dienst tun, wo uns der Führer hingestellt hat
und so wie wir unsere Jugend gestalten, so werden wir der‑
einst das Reich haben. Seid euch bewußt über die Größe der
Zeit und über die Verantwortung, dann wird es uns gelingen
diese harte schwere Zeit zu überbrücken und dem deutschen
Volk für alle Zeit zu dienen.“
Bemerkenswert an Hofers Ausführungen ist neben den
Ideologemen von der „großen Zeit“ und dem nationalsozia‑
listischen Ewigkeitsanspruch die ambivalente Verwendung
des Begriffs „Heimat“. Es ist nicht völlig klar, ob Hofer damit
Südtirol oder NS‑Deutschland bezeichnen wollte. Die Un‑
eindeutigkeit entsprach dem historischen Moment und ist
vor dem Hintergrund der auch in der Südtirolproblematik
rivalisierenden, nicht klar abzugrenzenden und tief ineinan‑
dergreifenden Machtstrukturen des Nationalsozialismus zu
sehen.54 Daher waren Hofers Hoffnungen auf die deutsche
„Heimholung“ der Südtiroler Bevölkerung raumgeografisch
nicht definitiv festgelegt. Es ist geradezu ein Lavieren spür‑
bar zwischen der Maximalposition einer sich realhistorisch
bereits vollziehenden massiven Absiedlung der Südtiroler
Optanten und ihrem insgeheim erhofften Verbleib in einer ir‑
gendwann doch noch mittels „Anschluss“ zu sichernden Hei‑
mat. Einer solchen Form ethnopolitischer Resilienz mochten
augenblicklich zwar bündnispolitische Rücksichten auf den
faschistischen „Achsen“-Partner im Wege gestanden haben;55
diese konnten aber auch nur vorübergehend unüberwindlich
scheinen, vor dem Hintergrund einer militärischen Sieges‑
zuversicht des NS‑Staates, dessen europapolitische Pläne zur
Jahreswende 1940/41 vollkommen in Erfüllung zu gehen schie‑
nen.56 Betrachtet man das faschistische Deutschland als dyna‑
mische Diktatur, deren militärische Entfesselungsbereitschaft
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62
und geostrategisches Anpassungspotential im Vergleich zum
italienischen Regime weit stärker ausgeprägt waren, so war
einer solchen Erwartungshaltung eine gewisse Plausibilität
nicht abzusprechen.57 Peter Hofer ließ spätestens seit Sommer
1940 keinen Zweifel an seiner skeptischen Haltung gegenüber
der Umsiedlung; das Optionsergebnis wollte er in zunehmen‑
dem Maß nur als eindeutiges Votum für den NS‑Staat, nicht
aber als Abwanderungsbereitschaft gedeutet wissen.58 Diese
Revisions‑ und Expansionsprogrammatik sollte sich denn
auch kaum drei Jahre später mit dem deutschen Einmarsch
in Italien ab dem 8. September 1943 und der Eingliederung
Südtirols in die NS‑Operationszone Alpenvorland unter dem
großen Jubel der pronazistischen Kreise verwirklichen.59
Hofer hatte in seinen Ausführungen von 1940 wirkungsvoll
das ABC des Völkischen buchstabiert und sich zentraler Ver‑
satzstücke des nationalsozialistischen Agitprops bedient.60 Er
hatte wohl auch auf die Jugendlichkeit der Adressaten selbst
abgestellt, denn die Organisationsstruktur des VKS bzw. der
AdO zeichnete sich nachgerade durch ihre juvenile Grund‑
prägung aus.61 Vor diesem Hintergrund lässt sich der scharfe
Tonfall von Hofer und seinesgleichen auch als markante
Abgrenzung gegen die längst in die Defensive geratenen
traditionellen Südtiroler Eliten begreifen, die im Deutschen
Verband bzw. im antifaschistischen, zum Teil auch katholi‑
schen Milieu organisiert waren.62 Deren Durchschnittsalter
war in der Regel weit höher als jenes der jungen Südtiroler
Adepten des Nationalsozialismus, und man geht nicht fehl,
hier auch das Muster eines Generationenkonflikts zu erken‑
nen. Wenn sich auch die Ablehnung der Option – die Haltung
des „Dableibens“, die nur eine verschwindende Minderheit
der deutsch‑ und ladinischsprachigen Landesbewohner be‑
vorzugt hatte – nicht auf eine Altersfrage reduzieren lässt,
so war die Migrationsbereitschaft zumindest partiell auch
alterphasenbestimmt.
Zur polykratischen Grundstruktur des NS-Apparats rucK 1993.
WedeKind 2019, S. 73f.
Zum historischen Momentum von 1940/41 KersHaW 2018, S. 195–218.
Zum ertragreichen Konzept der „dynamischen Diktatur“ KersHaW 2018, S. 401ff.
WedeKind 2003, S. 408.
WedeKind 2003, S. 70f.
Zu den sprachlichen Dimensionen der NS-Propaganda maas 1984.
oBermair 1990; mittermair 2002.
pallaver/steurer 2011, S. 168ff.
21
„HEIM INS REICH!“
22
Die Volkswanderung der Deutschen: Karte des „Volksbundes für das Deutschtum im Ausland“, Berlin 1940 (gezeichnet „Erik“),
im unteren linken Bildfeld die den deutschen Gruß vollführenden Südtiroler „Heimkehrer“ (Archiv Leopold Steurer)
Der Entscheid für oder gegen eine Deutschland‑Option war
in allerkürzester Zeit zu treffen. Die seit Ende Juni 1939 unter
Vorsitz Himmlers in Berlin geführten deutsch‑italienischen
Umsiedlungsvereinbarungen wurden als „Richtlinien für die
Rückwanderung der Reichsdeutschen und Abwanderung der
Volksdeutschen aus dem Alto Adige in das Deutsche Reich“
am 22. Oktober 1939 in der örtlichen Presse bekannt gemacht
und das Ende der Abstimmungsfrist mit 31. Dezember 1939
festgelegt.63 Die so knapp angesetzten Termine verschärften
nur noch die Dramatik einer ohnehin die gesamte Existenz
berührenden „Wahl“, deren Zwangscharakter unverkenn‑
bar war. Der physische Transfer der Umsiedlungswilligen
sollte während und nach der komplexen Abklärung aller
vermögensrechtlichen Aspekte in den Jahren 1940/41 erfol‑
gen und bis längstens Ende 1942 abgeschlossen sein.64 Die
Exponenten des VKS hatten sich noch im April 1939, als
erste Umsiedlungsgerüchte in Umlauf geraten waren, gegen
solche Planungen gegenüber der „Volksdeutschen Mittel‑
stelle“ schriftlich verwehrt und sich auf die „unzertrenn‑
liche Einheit von Blut und Boden“ und damit auf einen der
Leitsätze nationalsozialistischer Weltanschauung berufen.65
Nach kurzer Schockstarre und angesichts der Entschlossen‑
heit der deutschen Reichsführung hatten die völkischen
Kreise noch im Juli einen raschen Schwenk vollzogen und
sich vollständig in den Dienst der Optionslösung gestellt; es
ging dem VKS nun darum, den Südtiroler „Volkskörper“ zu
einem überwältigenden prodeutschen Entscheid zu veran‑
lassen, Teil der vom NS‑Staat propagandistisch ausgerufenen
„großzügigsten Umsiedlungsaktion der Weltgeschichte“66 zu
werden und die nationalsozialistische Führung mit ethno‑
politischer Geschlossenheit zu beeindrucken.67 Der Zeitzeuge
63
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Friedl Volgger, einer der Begründer des widerständigen Andreas-Hofer-Bundes, der aufgrund seiner Haltung im März 1944
in das KZ Dachau deportiert wurde, hinterließ in seinen 1984
veröffentlichten Memoiren ein eindrückliches Stimmungs‑
bild: „[…] wer nicht zum Führer ins Reich heimkehren wollte,
der wurde bald als Verräter gebrandmarkt. Der VKS verfügte
im Lande über eine festgefügte Organisation, von der man
festen Gebrauch machte, als im Oktober die Propagandala‑
wine für das ‚Heim ins Reich’ losbrach. […] Die Werbung für
die Option wurde im besten Stil des Reichs‑Propagandami‑
nisters Dr. Joseph Goebbels geführt.“68
Volgger hat damit im späten Rückblick eine relativ präzise
Lagebeschreibung abgegeben. In den Schlussmonaten des
Jahres 1939 brach sich eine nicht zu steigernde Dramatik
Bahn, die zweifellos eine Südtiroler Epochenzäsur markiert.69
Auch die jahrzehntelang verzögerte erinnerungskulturelle
Thematisierung des Optionsdramas in der Südtiroler
Nachkriegsgesellschaft belegt dies nachdrücklich. Der
deutsch- und ladinischsprachigen Diskursgemeinschaft fiel
es ungemein schwer, die eigenen Verstrickungen in „Führer“‑
Glauben und NS‑Sympathie anzuerkennen – sie bevorzugte
kollektives Schweigen und insistierte auf der Opferthese, ehe
in mühsamen Debatten, insbesondere dank der bahnbre‑
chenden Bozener Ausstellung „Option – Heimat – Opzioni“
von 1989, die eigene Mitverantwortung zur Sprache gebracht
wurde.70 Volggers konzise Momentaufnahme enthält aber
auch den treffenden Hinweis auf die zentrale Institution
der NS‑Propaganda, das von Goebbels geführte Reichsmi‑
nisterium für Volksaufklärung und Propaganda (RMVP).71
Nirgendwo waren die Sektoren Propaganda, Politik und
Krieg enger verflochten und zusammengedacht als in dieser
Reichsbehörde mit ihrem monumentalen Apparat und ihren
vielfältigen Kompetenzen.
stuHlpfarrer 1985, Bd. 1, S. 140ff.
stuHlpfarrer 1985, Bd. 1, S. 152f., und Bd. 2, S. 426.
volgger 1984, S. 53f.; ähnlich pfanzelter 2014, S. 27.
Dies verkündete eine NS‑Propagandakarte von 1940 mit Bezug auf den sog. „Warthegau“ und die in dem nach dem „Polenfeldzug“ annektierten Gebiet rund
um Posen vorgenommenen Umsiedlungsaktionen, vgl. Deutsches Bundesarchiv Koblenz, R 49 Bild-0705; auf der Karte sind auch die „Süd-Tiroler“ markiert.
Zum Gesamtzusammenhang Broszat 2010, S. 85ff.
Heiss 2014, S. 20.
volgger 1984, S. 33.
Prägnant hierzu Heiss 2009 und ders. 2014, S. 16f.
steurer 1980; Tiroler Geschichtsverein Bozen 1989; messner 1989; Heiss 2014, S. 16.
Vgl. Krings 2005; müHlenfeld 2006.
23
Die Südtiroler Bildentwürfe, die im Folgenden zu präsen‑
tieren sind, waren für das Propagandaministerium, vermut‑
lich wohl zur Vorlage, bestimmt, wie die fast durchgängigen
Rückvermerke der Zeichnungen mit den Siglen RMVP oder
auch RMVuP belegen. Als Material der „geistigen Mobilma‑
chung“ – so die dem Ministerium offiziell zugewiesene Kern‑
aufgabe72 – waren die Bilder, hätten sie je in Umlauf oder
doch in konkrete Verwendungszusammenhänge gebracht
werden sollen, genehmigungspflichtig. Vor allem aber waren
sie Teil eines gesamteuropäischen Gewaltzusammenhangs,
der mit den im Kontext des Krieges anlaufenden „Umvolkun‑
gen“, als Bevölkerungstransfers unter Zwang, gegeben war.
Der Konnex der Südtiroler Option mit der radikal‑rassisti‑
schen Bevölkerungspolitik im Rahmen des „Generalplans
Ost“ ist bisher noch zu wenig erkannt und herausgearbeitet
worden.73 Eine Bewertung der regionalen Vorgänge kann
nicht davon absehen, auch die Südtiroler Migrationen von
1940/41 als Teil der rassenpolitischen Neuordnungsplan‑
ungen der NS‑Eliten zu sehen. Dies hieße aber auch anzu‑
erkennen, dass sich das Optionsgeschehen nicht auf ein,
wenn auch bestimmendes, Ereignis der Geschichte Südtirols
reduzieren lässt, sondern dass es vielmehr implizit mit dem
Vertreibungs‑ und Vernichtungsgeschehen verknüpft war,
als dessen Subjekte wie Profiteure auch die umzusiedelnden
Südtiroler „Volksdeutschen“ vorgesehen waren. Die Südtiro‑
ler Umsiedlung war auf diese Weise bevölkerungspolitischen
Ordnungsvorstellungen unterworfen, die unverkennbar im
Aufbau des nationalsozialistischen Rassenstaates zu verorten
sind und damit in einen gewalttätigen Kontext biopolitischer
Homogenisierung eingeordnet waren.74
24
Aber wie lassen sich solche Zusammenhänge konkretisieren?
Auf diese Frage bietet eine beschreibende und erklärende
Einordnung der Südtiroler Bildentwürfe zur Option einige
Antworten.
72
73
74
75
MATERIAL
UND PROVENIENZ
Felderer, bekannt vor allem als Verfasser des populären Bozner Bergsteigerlieds („Wohl ist die Welt so groß und weit…“)
von 1926, hatte bereits 1938 den „Anschluss“ Österreichs mit
Inbrunst lyrisch verklärt. Sein Gedicht März 1938 kulminierte
in den religiös eingefärbten Schlusszeilen:
Im Jahr 2019 konnte das Südtiroler Landesmuseum für
Kultur‑ und Landesgeschichte auf Schloss Tirol in zwei
Tranchen bislang völlig unbekanntes, originales Propaganda‑
material aus dem Kontext der Südtiroler Option antiquarisch
erwerben. Es handelt sich um insgesamt 12 einzelne Blätter,
die allesamt in Mischtechnik, großteils mehrfarbig ausge‑
führte Bildentwürfe darstellen. Ihre Motive sind eindeutig:
Die sehr konventionell gehaltenen, wiewohl pathetisch auf‑
geladenen Szenen zeigen vorwiegend Männer, Frauen und
Kinder, zumeist in Südtiroler Tracht, die vor dem Hinter‑
grund heimatlicher Bergkulissen (Schlern und Rosengarten‑
gruppe) eine skurrile Abschiedszeremonie vollführen und
mit dem deutschen Gruß, der erhobenen rechten Hand,
zugleich die „deutsche Treue“ beschwören. Immer wieder
ist die wehende Hakenkreuzfahne vertreten, zweimal frei‑
lich in spiegelverkehrter Abbildung. Die ganz unzweideutig
nationalsozialistischen Darstellungen illustrieren förmlich
eine gewisse Lyrik ihrer Zeit, namentlich das apologetische
Gedicht Aufbruch des Südtiroler Autors Karl Felderer (1895–
1989), das die Metaphorik der blutroten Geranie („brennende
Lieb“) mit der Abwanderungsbereitschaft assoziierte:
„Bald läuten die Glocken das Osterfest ein, /
Und Auferstehung wird wieder sein. /
Dann schauen wir dankbar zum Herrgott auf, /
Verzagen nicht und bauen darauf, /
Die Frauen, die Kinder, die Männer, /
Denn heute steht Deutschland am Brenner.“76
„So reißet vom sonnigen Erker / Die letzte brennende Lieb; /
Die Treue zu Deutschland war stärker, / Das Heiligste, was
uns blieb. /
Wir nehmen sie mit im Herzen, / Für and’re dereinst Symbol, /
Sie stille des Heimweh’s Schmerzen: /
Leb wohl, du mein Südtirol.“75
syWotteK 1976, S. 23.
Zu den NS-Raumplanungen in Osteuropa rössler/scHleiermacHer/tollmien 1993 und Heinemann 2003. Ein Konnex mit der Südtiroler Option ist angedeutet in
corni 2014.
Eindringlich hierzu WedeKind 2009, S. 78ff. Zur NS-Biopolitik Braun/linzner/KHairi-taraKi 2017.
Opfergang und Bekenntnis 1940, S. 50. Das Gedicht wurde auch als Druck unter dem Foto eines geraniengeschmückten bäuerlichen Fensters in Umlauf
gebracht; es ist abgebildet in Tiroler Geschichtsverein Bozen 1989, S. 164, und in Kraus/ oBermair 2019, S. 210. Zum Text foppa 2003, S. 47 u. S. 94, sowie
pumBerger 2015, S. 175.
Noch 1986 steuerte Felderer ein „Geleitwort“ zu den Memoi‑
ren des ehemaligen Südtiroler SS‑Mitglieds Willy Acherer
bei.77 Dem Optionsgedicht Felderers lässt sich weitere Ten‑
denzliteratur von Südtiroler Zeitgenossen wie Erich Kofler,
Hubert Mumelter, Carl Zangerle und Franz Sylvester Weber
an die Seite stellen. Diese hatten 1940 im Eigenverlag einen
Gedichtband unter dem sinnfälligen Titel Opfergang und
Bekenntnis herausgebracht, in dem neben einschlägiger „Blut‑
und‑Boden“‑Lyrik auch eine Art Chronik der Ereignisse ent‑
halten ist, die das dichte Geschehen vom 29. Juni 1939 („Tag
des Schicksals“) bis zum 1. Januar 1940 („Das Volk ist geret‑
tet“) aus der Sicht des VKS im Licht des plebiszitären Op‑
tionsentscheids verklärt.78 Der annalistische Durchlauf legt
alle Motivlagen offen, die die VKS-Akteure als eine „Gene‑
ration des Unbedingten“ sozialpsychologisch bestimmten.79
Da ist die Rede von der „Botschaft des Reiches im Angesicht
des uralten Feindes“ (d. h. Italiens), von den „Waffen eines
zwanzigjährigen Volkstumskampfes“, von „völkischer Ver‑
pflichtung“ zur Abwanderung in das Deutsche Reich, von der
„Stimme des deutschen Blutes“, vom „schwersten Opfer eines
ewigen Heimwehs“ und von einer „Rettung“ durch „Pflicht‑
erfüllung“ – die „Vorsehung“ habe dank des überwältigenden
76
77
78
79
80
81
Optionsentscheids das „stolze und wunderbare Volk von
Südtirol einer deutschen Zukunft erhalten“.80 Gerade die
Berufung auf eine „Vorsehung“ war eine beliebte Vokabel des
NS‑Jargons, der damit die durch und durch voluntaristische
Grundhaltung nationalsozialistischer Politik mit dem
Verweis auf Prädestination, auf eine vorab bestimmte Stoß‑
und Entwicklungsrichtung, zu legitimieren trachtete.81 Die
messianische Kategorie der Vorherbestimmung diente im
Optionskontext deutlich erkennbar dazu, die offenkundige
Aporie und Irrationalität einer Bewahrung durch Abwan‑
derung, eines Erhalts durch Aufgabe, zu überwinden. Sie
gewährleistete den Akteuren die gestaffelte Teilhabe an
einem sakralen Diskurs völkischer Totalität und entlastete sie
psychisch vor dem paradoxen Hintergrund des kollektiven
Heimatverzichts, den die Umsiedlung letztlich bedeutete.
Exakt dieselbe Motivik bricht sich im Propagandamaterial
des VKS Bahn. Die Prädestinationslehre des Nationalsozia‑
lismus hätte besser nicht illustriert werden können als in
den werbenden Entwürfen, die zur Südtiroler Option für
Deutschland aufrufen. Die folgende Aufstellung beschreibt
die Bildinhalte und bietet eine Übersicht über die sonstigen
Informationen hinsichtlich Ausführenden und Empfängern,
die das Material bereithält:
Tiroler Geschichtsverein Bozen 1989, S. 123.
acHerer 1986; zu Acherer, Mitglied der Spezialeinheit der „Brandenburger“, s. casagrande 2015, S. 110–113.
Opfergang und Bekenntnis 1940, S. 39–48.
Ich rekurriere hier auf Wildt 2015, der mit dieser Charakterisierung das Führungskorps des Reichssicherheitshauptamtes einprägsam bezeichnete.
Opfergang und Bekenntnis 1940, S. 48.
Hierzu schon Klemperer 1990, S. 144f.; vgl. auch maas 1984, S. 144.
25
INV.-NR.
SCHLOSS TIROL
702504
(Entwurf Nr. 1)
702505
(Entwurf Nr. 2)
BILDMOTIV
Ein Wehrmachtssoldat mit geschultertem Maschinen‑
gewehr und ein Schütze mit geschultertem Gewehr‑
stutzen, jeweils über der rechten Schulter, schreiten
im Gleichschritt nach links, vor dem Hintergrund
des Schlern und der beiden Spitzen von Santner und
Euringer, hinter denen eine Hakenkreuzsonne hervor‑
leuchtet. Daneben der Schriftzug „Für Führer und
Vaterland!“
Eine sechsköpfige, winkende und lächelnde Familie
vor dem Schlernmassiv aus nördlicher Richtung,
neben sich die im Wind flatternde NS-Reichsflagge mit
spiegelverkehrt gezeichnetem Hakenkreuz, umgeben
von den Schriftzügen „Großdeutschland ruft!“ und
„Heim ins Reich!“
SIGNATUR DES
AUSFÜHRENDEN
MASSE
RMVP 18950-VKS
An den Landesführer des VKS Peter Hofer
Müller
(zwischen den Beinen
des Schützen)
35×50 cm
An den Landesführer des VKS Herrn
Peter Hofer PERSÖNLICH überbringen durch
SS-Obersturmbannführer Josef Dorfmann
TEXT RÜCKSEITE
702510
(Entwurf Nr. 7)
Waffen-SS – Leibstandarte Adolf Hitler
[Rundstempel] / Genehmigt Heiner
Junge (mit Schulranzen) und Mädchen, beide nord‑
wärts blickend und mit ihrer rechten Hand den deut‑
schen Gruß vollführend, vor Schlern und Santner‑Eu‑
ringer‑Spitzen und dem Schriftzug „Heim ins Reich!“
Lieblein
(an der Wade des
Jungen)
35,5×24,8 cm
RMVP 19873-OZAV VORENTWURF 2/III
Als Reklamebeilage und Wandzeitung
Als Wandzeitung / Originalentwurf von
E. Müller nach einer Zeichnung von Luis Alton
AdO [in hellblauer Farbe unten rechts]
Persönlich übergeben durch SS-Obersturmbannführer J. Dorfmann
Persönlich: Landesführer Peter Hofer VKS
durch SS-Obersturmbannführer J. Dorfmann
Waffen-SS – Leibstandarte Adolf Hitler
[Rundstempel] / Genehmigt Heiner
RMVP 19475
702511
(Entwurf Nr. 8)
Eine junge Frau, in einfachem Sommerkleid, vor der
Rosengartengruppe mit der linken Hand die Heimat
verabschiedend unter dem Schriftzug „Heim ins
Reich!“
z. Ktn. Gunther Langes Bozner Tagblatt
EDDY
(an der linken Schulter
der Frau)
18,2×42,8 cm
35×50 cm
Entwurf für Werbebanner und Wandzeitung
An den Landesführer des VKS Herrn Peter Hofer
PERSÖNLICH überbringen durch
SS-Oberscharführer Josef Dorfmann
AdO [unten links in hellblauer Farbe]
Persönlich! Herrn Peter Hofer (VKS), St.
Michael/Kastelruth
Überbringer: SS-Obersturmbannführer
[über getilgter Funktionsbezeichnung]
J. Dorfmann
AdO [in hellblauer Farbe, am rechten
unteren Rand]
RMVP 19967-OZAV
702506
(Entwurf Nr. 3)
Ein annähernd wie ein Mitglied der Hitlerjugend
gekleideter Jugendlicher zerschlägt mit einem erho‑
benen Vorschlaghammer einen rotweißen Grenzbal‑
ken, hinter sich das Rosengartenmassiv mit einer als
Hakenkreuz stilisierten Sonne und den Schriftzügen
„Großdeutschland ruft!“ und „Heim ins Reich!“
Waffen-SS – Leibstandarte Adolf Hitler
[Rundstempel] / Genehmigt i. V. Herbert
35×50 cm
(links neben der Figur)
26
702508
(Entwurf Nr. 5)
702509
(Entwurf Nr. 6)
Vier im Wind flatternde NS-Reichsflaggen vor einem
Reichsadler und der Pfarrkirche Bozen
Unter dem Schriftzug „Heim ins Reich!“ ein Mann mit
einem Jungen im Arm vor einem Weinstock, einem
Krug und einer Hofanlage, nach Norden blickend
mit deutender Hand und roten Blumen (Geranien),
im Hintergrund hinter Gebirgszug aufgehende
Hakenkreuzsonne
Dem Betrachter abgewandtes männlich‑weibliches
Paar in Tracht, ein Kleinkind im Arm, auf die hinter
dem Gebirgsstock des Rosengartens aufgehenden
Hakenkreuzsonne blickend; rechts davon der Schrift‑
zug „Heim ins Reich!“
Ferrari – Bz
35×50 cm
(an der zweiten Flagge)
(mittig tief,
zwischen den Beinen
des Mannes)
Waffen-SS – Leibstandarte Adolf Hitler
[Rundstempel]
34,5×24,5 cm
(links auf Hüfthöhe
des Hitlerjungen)
42,5×32,5 cm
Waffen-SS – Leibstandarte Adolf Hitler
[Rundstempel] / [unleserliche Paraphe]
RMVuP
Genehmigt Heiner
702564
(Entwurf Nr. 10)
Aufgehende Hakenkreuzsonne (spiegelverkehrt), ge‑
rahmt von Bozner Stadtwappen (links) und Reichsad‑
ler (rechts), darunter Schriftzug „Deutsches Geschäft“
702565
(Entwurf Nr. 11)
Ein rechter Arm, zum deutschen Gruß erhoben,
zugleich eine um das Handgelenk gelegte Kette
sprengend. Dahinter das Meraner Stadtwappen (im
Schild roter Tiroler Adler auf dreitoriger Stadtmauer
aufsitzend)
Überbringer: SS-Obersturmbannführer
J. Dorfmann
(unsigniert)
20,8×29,5 cm
[ohne Vermerke]
Herrn Peter Hofer St. Michael/Kastelruth
Persönlich überbringen!!!
HG.
34×25,5 cm
(über dem Armansatz)
durch SS-Hauptsturmbannführer
J. Dorfmann
gez. Heiner
Waffen-SS – Leibstandarte Adolf Hitler
[Rundstempel] / Genehmigt Heiner
RMVuP „Heim ins Reich“ / 18389-VKS
An den Herrn Landesführer Peter Hofer, VKS
RMVP 19301-OZAV
A-S-I
(davor n.; am linken
unteren Bildrand)
E. Müller
Flugblatt / Entwurf Sommerzeltlager Jungvolk
und HJ
AdO [in hellblauer Farbe, am rechten
unteren Rand]
Persönlich Herrn Peter Hofer,
St. Michael/Kastelruth
Sparer
Hitlerjunge im Profil, in eine Fanfare mit abhängen‑
dem NS‑Wimpel auf rotweißrotem Grund blasend, im
Vordergrund das Stadtwappen Bozens, im Mittelgrund
fünf helle Zelte, im Hintergrund die Rosengartengrup‑
pe; Schriftzug: „Sommer-Zeltlager / der Hitlerjugend“
Herrn Peter Hofer St. Michael/Kastelruth
PERSÖNLICH durch SS-Obersturmbannführer
J. Dorfmann
AdO [in hellblauer Farbe, am rechten
unteren Rand]
702507
(Entwurf Nr. 4)
702512
(Entwurf Nr. 9)
Originalentwurf als Wandzeitung und Beilage
S. Walch
Waffen-SS – Leibstandarte Adolf Hitler
[Rundstempel] / Genehmigt Heiner
RMVP – 18997-OZAV
Originalentwurf Wandzeitung und Banner
N. Hürbel
Waffen-SS – Leibstandarte Adolf Hitler
[Rundstempel] / Genehmigt Stofner
29,2×20,5 cm
Waffen-SS – Leibstandarte Adolf Hitler
[Rundstempel] / Heiner
Wandzeitung und Annonce
AdO [rechts unten in hellblauer Farbe]
702566
(Entwurf Nr. 12)
Eine dem Betrachter abgewandte Frau, mit Kleinkind
im linken Arm und mit der Rechten ein Tuch schwin‑
gend, grüßt zum Abschied den Schlern mit Santner‑
und Euringerspitze (also von Norden), zu ihren Füßen
ein weiteres abgewandtes Mädchen; Schriftzüge in rot:
„Der Führer ruft!“ und „Heim ins Reich!“
Klause
(unterhalb des Rocks
der Frau)
40×29,5 cm
[gesamte Rückseite grauschwarz übermalt,
ohne Vermerke]
27
Die lineare Provenienz des in der bisherigen Optionsliteratur
völlig unbekannten Materials gibt keinerlei Anlass, an dessen
Authentizität zu zweifeln. Die Skizzen wurden 2019 aus dem
spät gesichteten, aber ohne Unterbrechungen in Familien‑
besitz befindlichen Nachlass eines 1944 an seinen Kriegsver‑
letzungen verstorbenen Südtiroler SS‑Mitglieds über den
örtlichen Antiquariatshandel an das Landesmuseum Schloss
Tirol veräußert. Aufgrund des Nachlasscharakters sind die
Zeichnungen demnach als zeitgeschichtliches Archivgut zu
betrachten.82 Bei dem Urheber des Nachlasses handelt es sich
um Josef Dorfmann; fast alle Entwürfe sind rückseitig mit
seinem Namen versehen, wobei man nur vermuten kann,
dass die mit schwarzer Tinte ausgeführten Annotationen
eigenhändig vorgenommen worden sind.83
28
Die rückseitigen Vermerke auf Entwurf Nr. 1
82
83
Zur archivwissenschaftlichen Definition s. stumpf 2018, S. 57ff.
Von seiner Hand liegt als Vergleichsprobe nur die Unterfertigung des Optionsformulars vor, was für einen zweifelsfreien grafologischen Abgleich keine
hinreichende Grundlage darstellt.
JOSEF DORFMANN
(1921–1944)
Wer war SS-Obersturmbannführer Josef Dorfmann? Zu
seinen Lebensdaten liegen verwertbare Informationen im
Optionsbestand des Staatsarchivs Bozen, in den Akten der
Dienststelle Umsiedlung Südtirol (DUS) des Tiroler Landes‑
archivs in Innsbruck sowie in der Zentralen Personenkartei
der Deutschen Dienststelle (WASt) des Bundesarchivs in Ber‑
lin vor – sowohl die italienischen wie die deutschen Dienst‑
stellen zeichneten sich durch einen aufgeblähten bürokrati‑
schen Verwaltungsapparat aus, dessen Schriftgut in breiter
Streuung überliefert ist.84 Nach den vorliegenden Akten wur‑
de Dorfmann am 7. April 1921 in Neustift bei Brixen (heutige
Gemeinde Vahrn) geboren. Seine Eltern waren der gleichna‑
mige Josef Dorfmann und Kreszenz geb. Huber; als Wohnad‑
resse wird „Neustift Nr. 35“ angegeben, des Weiteren sind als
„Beruf: Student“, als „Glaubensbekenntnis: katholisch“ und
als „Volkszugehörigkeit: deutsch“ festgehalten.85 Über Dorf‑
manns Schulzeit sind keinerlei Angaben zu eruieren (wobei
die Vermutung nahe liegt, dass er die nahegelegene Neu‑
stifter Stiftsschule besucht hat)86, sein Lebensweg gewinnt
aber mit dem am 7. Dezember 1939 von ihm unterzeichneten
Antrag auf „Genehmigung zur Abwanderung ins Deutsche
Reich“ deutlichere Konturen.87 Mit diesem Ansuchen hatte
er – im Sinne der deutsch‑italienischen Optionsvereinbarung
vom 23. Juni 1939 – auch „die Entlassung aus dem Italieni‑
schen Staatsverband und Wehrpflichtsverhältnis sowie die
Einbürgerung im Deutschen Reich“ beantragt. Ebenso er‑
klärte er mit dem Formular, dass ihm „keinerlei Tatsachen
bekannt sind, die einen Zweifel an meiner und meiner
Familienangehörigen arischen Abstammung bestehen“.
84
85
86
87
88
89
90
Dorfmann entsprach damit geradezu idealtypisch dem Profil
jener „jungen Wilden“, deren deutschnational grundierte
Kriegsbegeisterung sie – unmittelbar nach dem deutschen
Überfall auf Polen am 1. September 1939 – zu frühen Frei‑
willigen der Wehrmacht und SS machte.88 Es handelte sich
um männliche Jugendliche, die im Herbst/Winter 1939 ihren
italienischen Militärdienst entweder schon ableisteten oder
ihre rasche Einberufung erwarten mussten und es vorzogen,
in das deutsche Heer einzutreten, da der „politische Kom‑
pass ihres Handelns und Kampfes“ (Leopold Steurer) an den
Großmachtvisionen NS‑Deutschlands ausgerichtet war. Der
Elan und Vitalitätsüberschuss dieser Generation, die sich von
ihrer noch unter dem habsburgischen Österreich sozialisier‑
ten Elterngeneration ostentativ absetzte, war durchdrungen
von den Denkmustern des Volkstumskampfes und der Volks‑
gemeinschaft – ihre Lebensziele waren von den völkischen
Kategorien des Grenz‑ und Auslandsdeutschtums durchwirkt
und vor dem Hintergrund der eigenen, in der italienisch
gewordenen Heimat düsteren Zukunftsperspektiven darauf
gepolt, alles auf die „deutsche Karte“ zu setzen und ihre Res‑
sentiments in ideologische Radikalisierung zu verwandeln.89
Das psychologisch‑mentale Naheverhältnis zum National‑
sozialismus war auch bei Dorfmann, so dürfen wir vermuten,
gleichermaßen von den Push‑Faktoren der faschistischen
Entnationalisierungspolitik in Südtirol wie von der weltan‑
schaulichen Programmatik des VKS bestimmt, die besonders
im Ende November 1939 popularisierten „Lied der Kriegs‑
freiwilligen“ ihren Ausdruck fand. Dabei handelte es sich um
die Adaption eines aus dem Ersten Weltkrieg stammenden
Kriegsliedes von Berthold Funke nach einer Melodie des
NS‑Propagandisten Gerhard Pallmann, deren Text nun mit
der Südtirol‑bezogenen Liedzeile „Wir sind der Südmark
Jungmannschaft“ eingeleitet wurde.90 Typisch für solches
Liedgut ist die strukturelle Nähe zur völkischen Jugend‑ und
Zur stabilisierenden Funktion der Bürokratie in beiden Faschismen BacH/Breuer 2010. Die zahllosen, kaum zu über blickenden Archivfonds im Umfeld der
Südtiroler Option erfasst lutt 2016.
Tiroler Landesarchiv Innsbruck, Dienststelle Umsiedlung Südtirol (DUS), Stammbogen Josef Dorfmann (Kennnummer 303.405). Im Folgenden nur noch
DUS‑Akte Josef Dorfmann, TLA.
In Dorfmanns erhaltenem Optionsakt wird er als „studente ginnasiale“, also als Gymnasialschüler bezeichnet: Staatsarchiv Bozen, Optionsakten, Optionsgesuch
Josef Dorfmann, Akt Nr. 74632. Im Folgenden nur noch Optionsakt Josef Dorfmann, Staatsarchiv Bozen.
DUS‑Akte Josef Dorfmann, TLA.
steurer 2011, S. 55ff.
steurer 2011, S. 56. Zur Konzeptualisierung politischer Radikalisierung s. griffin 2005 und Kundnani 2012.
Die Notation des Lieds ist abgebildet bei steurer 2011, S. 62; hier auch ausführlich zu dessen Funktionalisierung im Umfeld der Südtiroler Rekruten für
Wehrmacht und SS.
29
Burschenschaftsbewegung, deren Körperkonzepte und Tüch‑
tigkeitsideale auch die Südtiroler Jungfreiwilligen teilten.91
30
Dorfmann war, als er um die deutsche Staatsbürgerschaft an‑
suchte, gerade 18 Jahre alt, hatte also die Volljährigkeit noch
nicht erreicht, die nach damaliger italienischer wie deutscher
Rechtslage mit 21 Jahren angesetzt war. Am 3. Januar 1940
beantragte er bei der Präfektur Bozen, der zu dieser Zeit mit
Giuseppe Mastromattei ein Faschist der ersten Stunde vor‑
stand, die Ausstellung eines für zwei Monate gültigen Reise‑
passes, um in das Deutsche Reich zu verziehen.92 Als Minder‑
jähriger musste er hierfür auch den schriftlichen Konsens
seines Vaters (vom 2. Januar 1940) beibringen, der nach
herrschender Rechtslage sein gesetzlicher Vormund war. Der
Antrag wurde am 27. März 1940, laut Protokollstempel dem
18. Jahr der faschistischen Zeitrechnung, administrativ erle‑
digt und die Abwanderung mit der undatierten Aufstempe‑
lung Trasferitosi in Germania („nach Deutschland verzogen“)
dokumentiert.93 Die Majorennitätsregel galt allerdings nicht
für die Wehrpflicht: Laut dem von der nationalsozialistischen
Reichsregierung am 21. Mai 1935 verkündeten „Wehrgesetz“,
mit dem die von den Friedensvertragsbestimmungen unter‑
sagten Wiederaufrüstungspläne demonstrativ verletzt wur‑
den, war „jeder deutsche Mann […] arischer Abstammung“
mit vollendetem 18. Lebensjahr wehrpflichtig.94 Der Stamm‑
bogen von Dorfmanns Umsiedlungsakt gibt als erwünschten
Zeitpunkt der Abwanderung die Monate März/April 1940
sowie als gewünschten Zielort Innsbruck an.95 Er habe weder
Grundbesitz noch sonstigen beweglichen Besitz. Die ge‑
wünschte Tätigkeit am Zielort wird mit „Prüfungen ablegen
und weiterstudieren“ angegeben. Der Antrag ging am 11. Ja‑
nuar 1940 beim Arbeitsamt Innsbruck ein, wie eine entspre‑
chende Abstempelung dokumentiert. Zum 20. Februar 1940
liegt eine Inskription in den Gaustudentenbund vor, womit
wohl die an der Innsbrucker „Deutschen Alpenuniversität“
auf ihrer Vorderseite mit dem auffälligen roten Stempel Rückgewanderter Südtiroler versehen, wobei „Rückwanderung“
der NS‑Sprachregelung für die „Heimholung der Volksdeut‑
schen“ entsprach – zugleich belegen die weiteren Wehrmel‑
deangaben, dass Dorfmann sofort der Waffen-SS zugeteilt
wurde bzw. den Eintritt in den militärischen Kampfverband
vermutlich auch selbst angestrebt hatte.
ab 1938 eingerichtete NS‑Vereinigung der Studierenden
gemeint ist.96 Die militante Organisation war hier wie an
anderen Universitäten des Deutschen Reichs, im Wechsel‑
spiel mit dem Gaudozentenbund, für Gesinnungskontrolle
und Gleichschaltung der Studierenden zuständig.97 Freilich
wissen wir nicht, welchen Studienzweig Dorfmann gewählt
haben mag, ebenso wenig ist klar, ob er ein etwaiges Studium
je aufgenommen hat – bestenfalls hätte er noch im Sommer‑
semester damit beginnen können.98 Vom 9. bzw. 11. März
datiert die administrative Abarbeitung seiner Einbürgerungs‑
urkunde durch die dem Landeshauptmann von Tirol und
Vorarlberg zugeordnete Abteilung Umsiedlung Südtirol/
Abteilung IV – das Formular enthält den stereotypen Druck‑
vermerk, wonach der Antragssteller zu dieser Zeit „noch in
Italien“ lebe.99 Mit 5. Juni 1940 ist Dorfmann im Lager Mühlau
bei Innsbruck nachgewiesen, einer Notunterkunft für jene
Umsiedler, denen noch kein Wohnraum zugewiesen werden
konnte. An diesem Tag wird ihm die vom Reichsstatthalter
in Tirol und Vorarlberg (auftragshalber gezeichnet Dr. Kne‑
ringer) namens des Deutschen Reichs beglaubigte Einbürge‑
rungsurkunde („Reichsangehörigkeit“) ausgehändigt.100 Am
Vortag hatte die Zweigstelle Brixen der ADERSt eine „Ab‑
schlussmeldung“ ausgestellt, verbunden mit der Freigabe der
Abreise Dorfmanns am 1. Juni und der Bereitstellung eines
offenbar provisorischen, für den Grenzübertritt benötigten
„Italienischen Sonderpasses“ durch den Quästor von Bozen.
Dieselbe Meldung hält unter „Bemerkungen“ fest: „Freiwilli‑
ger: Innsbruck Heeressammelstelle“.101
Er war damit Teil der ersten Rekrutierungswelle von SS‑Frei‑
willigen aus Südtirol, die in den Jahren 1939/41 und damit in
der Anfangsphase des Zweiten Weltkriegs in vergleichsweise
hoher Zahl die Aufnahme in die sich selbst als Elite und
Speerspitze des deutschen Heeres verstehende Militäreinheit
anstrebte.103 Das soziale Profil dieser Freiwilligenkontingente
wurde von Thomas Casagrande im Detail untersucht und
ausführlich dargestellt.104 Insbesondere ist ihm der statisti‑
sche Nachweis gelungen, dass Südtiroler Jungmänner, ge‑
messen an der überschaubaren Gesamtbevölkerungszahl
der Region, überproportional in der Waffen-SS vertreten
waren.105 Ebenso hat Casagrande das sozialpsychologische
Profil der Rekruten herausgearbeitet, die zumindest in ihrer
ersten Welle von einer männerbündischen Desperado‑Men‑
talität erfüllt waren, die sich selbstredend auch mit einem
gesteigerten Aggressionspotential und einer hohen Tötungs‑
bereitschaft verband.106 Südtiroler SS‑Mitglieder waren an
Kriegsverbrechen beteiligt und in den Wachmannschaften
von Vernichtungslagern wie Mauthausen und Auschwitz‑
Birkenau vertreten.
Mit dieser Notiz ist der zentrale Übergang Dorfmanns von
seiner zivilen in die militärische Existenz benannt. Noch
am 4. Juni, am Vortag der Verleihung der deutschen Staats‑
bürgerschaft, beantragte er in Innsbruck den Wehrpass und
absolvierte am 7. Juni im dortigen Wehrbezirkskommando
die militärische Musterung.102 Die militärische Suchkarte ist
Natürlich teilten sie diesen Verstrickungs‑ und Verblen‑
dungszusammenhang mit anderen „Volksdeutschen“ (wie
den Sudetendeutschen, den Banater Schwaben, den Elsäs‑
sern, den Siebenbürger Sachsen oder den Memeldeutschen).
Ihnen allen galt im Übrigen das besondere Augenmerk
des sogenannten Ergänzungsamtes im SS‑Hauptamt unter
Das Übersichtsblatt von Josef Dorfmanns Umsiedlungsakt
mit zwei Passfotos (Tiroler Landesarchiv, DUS 303.405)
91
103 Zum Profil der SS bzw. Waffen-SS s. Wegner 1997; roHrKamp 2010; scHulte/lieB/Wegner 2014.
92
104 casagrande 2015.
Zu den Körperpraktiken der deutschnationalen Jugendbewegungen s. den forschungsgeschichtlichen Überblick bei siemens 2007.
Optionsakt Josef Dorfmann, Staatsarchiv Bozen. Zu Mastromattei esposito 2012, S. 47–50.
93 Optionsakt Josef Dorfmann, Staatsarchiv Bozen.
94 Reichsgesetzblatt 1935, I, S. 369–375; dazu frevert 2001, S. 317ff.
95 DUS‑Akte Josef Dorfmann, TLA.
96 Zur Faschisierung der Innsbrucker Universität ab 1938 s. oBerKofler/goller 1996, S. 315ff.
97 grüttner 2004; scHoltysecK/studt 2008, S. 115ff.
98 In den Universitätsmatrikeln 1934–1946 scheint J. Dorfmann jedenfalls nicht auf (frdl. Auskunft Peter Goller vom Universitätsarchiv Innsbruck).
99 DUS‑Akte Josef Dorfmann, TLA.
100 DUS‑Akte Josef Dorfmann, TLA.
101 DUS‑Akte Josef Dorfmann, TLA.
102 Bundesarchiv Berlin, Zentrale Personenkartei der Deutschen Dienststelle (WASt), Wehrmeldekarte Josef Dorfmann. Im Folgenden nur noch WASt‑Suchkarte
Josef Dorfmann, Bundesarchiv.
105 casagrande 2015, S. 32f. und S. 172.
106 casagrande 2015, S. 133f.
31
dessen Chef, SS‑Brigadeführer Gottlob Berger, der unter die‑
sen Bevölkerungsgruppen besonders aktiv um Zugänge warb
und um die Jahreswende 1939/40 mit SS‑Obersturmbannfüh‑
rer Walter Rehder einen eigenen Beauftragten hierfür nach
Bozen entsandte.107 Die Maßnahmen waren äußerst erfolg‑
reich: Über den gesamten Kriegsverlauf gerechnet, konnte
Casagrande über 2.000 Südtiroler SS‑Rekruten nachweisen,
beginnend mit jenen frühen Aufgenommenen, zu denen
Dorfmann zählt.108 Zu diesen Freiwilligen gehörten viele
Aktivisten der früheren Jugendbewegung des VKS, wie etwa
Willy Acherer, Walter Pernter und Otto Casagrande; ebenso
meldete sich die erste Führungsriege des VKS mit Karl
Nicolussi‑Leck, Otto Robert Waldthaler, Michael Tutzer und
Robert Helm geschlossen zur Waffen-SS.109
32
Selbstzeugnisse dieser Personengruppen, vor allem die dank
der faschistischen Postzensur überlieferten Korresponden‑
zen, geben deutlich zu erkennen, dass viele der Südtiroler
SS‑Freiwilligen von einem rassisch‑politischen Überlegen‑
heitsgefühl und Elitebewusstsein der eigenen Volksgruppe
getragen waren.110 Als deutlicher Attraktionsfaktor auf die
jungen Soldaten wirkte vor allem das Kriegsgeschehen in
Osteuropa, wo Hitler am radikalsten und aus nationalsozia‑
listischer Sicht zunächst überaus erfolgreich seine europäi‑
schen Neuordnungspläne in die Tat umzusetzen versuchte.
Die Südtiroler Mitglieder der Waffen-SS waren von Beginn
an aktiv an der Eroberung „neuen Lebensraumes“ beteiligt,
eines Raumes, der in den biopolitischen Planungen der SS
auch für die in Aussicht gestellte „geschlossene Ansiedlung“
der eigenen Volksgruppe vorgesehen war.111 Ein bisher un‑
beachtetes Zeugnis für den damit verbundenen mentalen
Habitus verdankt sich den Tagebuchaufzeichnungen von
Fritz Nagele, eines 1917 in Bozen geborenen SS‑Untersturm‑
führers der SS‑Division „Totenkopf“.112 Er nahm ab Juni 1941
am deutschen Überfall auf die Sowjetunion teil und verstarb
an den Folgen einer schweren Kampfverwundung Anfang
Juli 1942 im Raum Demjansk.113 Sein Bruder, der VKS‑Funk‑
tionär Hans Nagele, hat die ihm überantworteten Feldnotate
als Privatdruck im August 1943 in Bozen in geringer Stückzahl
herausgebracht.114 Die Aufzeichnungen sind durchzogen von
Formulierungen der Landsersprache, dem heroisierenden
Beschreiben des Angriffskriegs, in das sich neben Berufun‑
gen auf die eigene „Teufelswut“ und den „furor teutonicus“
entgrenzende Wendungen wie „Über den Haufen schießen“
oder „Uns kann nichts erschüttern“ mischen. Es ist die Spra‑
che jenes faschistoiden Männertypus’, den Klaus Theweleit
historisch‑psychoanalytisch als hochgradig systemfunk‑
tionalen und zugleich emotional befriedigten Tätertypus
eingeordnet hat.115 Das Vorwort des Nagele‑Tagebuchs
Wehrmelde-Suchkarte Josef Dorfmann vom Juni 1940 mit der Zuteilung
zur Waffen-SS (Bundesarchiv Berlin, Zentrale Personenkartei der WASt)
107 Casagrande/sChvarC/spannenberger/TrașCă 2016; steurer 2011, S. 76.
beschwört das „gewaltige Kriegsgeschehen“, das den Optan‑
ten Nagele dazu motiviert habe, „bereits im Frühjahr 1940
von seinen geliebten Bergen Abschied“ zu nehmen und sich
in München als Kriegsfreiwilliger zur Waffen-SS zu melden.116
Ganz ähnliche Motivlagen dürften bei Dorfmann entschei‑
dend gewesen sein. Bei ihm verfügen wir allerdings nur über
die nüchternen Verwendungsdaten. Er rückte mit 10. Juni
1940 zunächst zu der in Graz stationierten SS‑Division „Der
Führer“ im Anfangsrang eines Panzergrenadiers ein.117 Das
SS‑Panzergrenadier‑Regiment 4 unter SS‑Ober‑ bzw. Briga‑
deführer Georg Keppler wurde ab Mai 1940 im Westfeldzug
in den Niederlanden, Belgien und Frankreich eingesetzt, wo
es gemeinsam mit Einheiten der „Leibstandarte Adolf Hit‑
ler“ und SS‑Totenkopfverbänden operierte. Es kam sodann
am Balkan und – wie schon Fritz Nageles Division – im Kon‑
text des „Unternehmens Barbarossa“ in Russland zum Ein‑
satz.118 Dorfmann dürfte an den jeweiligen Kampfhandlungen
beteiligt gewesen sein, nur unterbrochen von Phasen der
Hospitalisierung bzw. des Fronturlaubs. So erteilte am 6. Fe‑
bruar 1941 der Leiter der Hauptabteilung VI der ADERSt‑
Hauptstelle Bozen (gezeichnet Vollmer) in einem Schreiben
an den Gauleiter und Reichsstatthalter/Umsiedlung Südtirol
ein positives Gutachten zum Urlaubsgesuch, das „Wehr‑
machtsurlauber“ Josef Dorfmann zwecks Einreise nach Süd‑
tirol eingereicht hatte, und ersuchte zugleich die Innsbrucker
Stelle „um Beschaffung der Sichtvermerke zur Einreise“.119
Dorfmann wird sich vermutlich im Spätwinter 1941 in Südti‑
rol, aller Wahrscheinlichkeit nach an seinem Heimatort Neu‑
stift, aufgehalten haben.
Die nächste Nachricht ist mit 17. Oktober 1941 datiert: An die‑
sem Tag wird Dorfmann als vom „SS Alpenland KH“ zurück‑
gekehrt gemeldet.120 Der Wehrkreis SS‑Oberabschnitt Alpen‑
land war in Salzburg disloziert; KH dürfte „Krankenhaus“
bedeuten, was auf einen Genesungsaufenthalt nach einer
im Kriegseinsatz zugezogenen Verwundung hindeutet. Dies
dürfte wohl während des Balkanfeldzugs geschehen sein,
als Wehrmachts‑ und SS‑Einheiten, gemeinsam mit italieni‑
schen, ungarischen und bulgarischen Regimentern, ab April
1941 die beiden Königreiche Jugoslawien und Griechenland
angegriffen und überrollt hatten,121 oder bereits im ab Ende
Juni tobenden deutsch‑sowjetischen Krieg, dessen Ver‑
nichtungscharakter alle bis dahin gekannten Dimensionen
sprengte.122 Eine weitere Beurlaubung datiert vom 2. Dezem‑
ber 1942.123 Nach einer neuerlichen Verwundung („Durch‑
schuss“), die Dorfmann im „Reserve‑Lazarett Ostrow“ (bei
Cottbus?) im Februar 1943 ausheilte, wurde er am 15. März
1943 zum 1. Panzergrenadier‑Regiment der „Leibstandarte
SS Adolf Hitler“ versetzt.124 Angehörige dieses Truppenver‑
bandes waren in besonderer Weise an Kriegsverbrechen und
Judenverfolgungen beteiligt, sowohl an der West‑ wie an der
Ostfront. Dorfmann kämpfte mit seiner Einheit im Südab‑
schnitt der antisowjetischen Operationen, wo die deutschen
Militäreinheiten nach der Niederlage von Stalingrad im
Frühjahr 1943 eine breit angelegte Gegenoffensive starteten
und in der Schlacht bei Charkow einen letzten, propagan‑
distisch breit ausgeschlachteten Teilerfolg gegen die Rote
Armee errangen. Dorfmanns Einheit unterstand dabei SS‑
Oberst‑Gruppenführer Josef Dietrich, einem nach Kriegsen‑
de mehrfach verurteilten Kriegsverbrecher.125 Auch bei diesen
Kampfhandlungen wurde Dorfmann verwundet, wie eine
weitere Hospitalisierung im Reservelazarett Dresden von
Ende März 1943 bezeugt. Inzwischen zum Unterscharführer
befördert, rückte er im Mai 1943 zum Oberscharführer der
Waffen-SS innerhalb der „SS-Panzerdivision Hitlerjugend,
Begleitkompanie 12“ auf.126 Im SS‑Ranggefüge entsprach
dieser Dienstgrad dem Rang eines Feldwebels bzw. eines
Unteroffiziers, der mit nachgeordneter Befehlsgewalt ausge‑
stattet war. Bei der 12. SS‑Division „Hitlerjugend“ hingegen,
116 nagele 1943, S. 5.
108 casagrande 2015, S. 22ff. Dorfmann ist in der Arbeit allerdings nicht namentlich genannt.
117 DUS-Akte Josef Dorfmann, TLA; WASt-Suchkarte Josef Dorfmann, Bundesarchiv.
110 Die Korrespondenzen sind auszugsweise in steurer 2011, S. 61ff., vorgeführt und erläutert; zu ihren Werthaltungen vgl. auch WedeKind 2009, S. 73. Weiteres
119 DUS‑Akte Josef Dorfmann, TLA.
109 casagrande 2015, S. 25; steurer 2011, S. 59.
Material von Militärs wie von Zivilisten findet sich auch in der ausführlichen Dokumentation von Hartungen/miori/rosani 2006.
111 steurer 2011, S. 59; zum Gesamtkomplex der deutschen Ostplanungen corni 2005.
112 Zu den Einsatzorten und den zahllosen Kriegsverbrechen dieser Division s. sydnor 2000.
113 Zum deutschen Aggressionskrieg im Osten s. ueBerscHär/Wette 1991 und Hartmann 2011.
118 Zur Einheit aus militärgeschichtlicher Sicht Hastings 1981.
120 WASt‑Suchkarte Josef Dorfmann, Bundesarchiv.
121 Zum militärischen Geschehen des Balkanfeldzugs vogel 1984; zu dessen genozidalen Dimensionen Berger/leWin/scHmid/vassiliKou 2017.
122 Hierzu eindrücklich Heer/naumann 1995.
123 WASt‑Suchkarte Josef Dorfmann, Bundesarchiv.
114 nagele 1943.
124 WASt‑Suchkarte Josef Dorfmann, Bundesarchiv.
115 tHeWeleit 2015.
125 Zu Dietrich s. clarK 2003 und allBritton/mitcHam 2011.
126 Zentrale Personenkartei B 563, D-953/355 Josef Dorfmann, Bundesarchiv Berlin. Im Folgenden nur Personenkartei Josef Dorfmann, Bundesarchiv.
33
in der mindestens 15 Südtiroler dienten,127 handelte es sich
nach Einschätzungen des Militärhistorikers Peter Lieb um
einen der am meisten brutalisierten und nationalsozialistisch
indoktrinierten deutschen Militärverbände; er führt dies
auf die besonders radikalisierte Mischung aus älteren, er‑
fahrenen Soldaten und jungen, fanatisierten Mitgliedern der
HJ als perfekte Grundlage für einen rücksichtslos geführten
NS‑Weltanschauungskrieg zurück.128
Gemäß einem weiteren Eintrag vom 5. Mai wurde Dorfmann
nach einem „Oberschenkel‑Durchschuss“ zunächst im „SS‑
Feldlazarett in Charkow“ notversorgt und dann wiederum
nach Dresden verlegt, wo er ein Aneurysma erlitt.129 Laut
einer Stabsleitermeldung (gezeichnet Mayerbrucker) vom
29. Juli 1943 an den Oberbürgermeister der Gauhauptstadt
Innsbruck befand sich Dorfmann im Reserve‑Lazarett I in
der Dresdner Marienallee, wohin ihm seine „Lohnsteuerkar‑
te […] für den Bezug seiner Kriegsbesoldung“ nachgeschickt
werden möge.130 Wenig später ist er im Reserve‑Lazarett
Bärenfels nachgewiesen, wohl dem ehemaligen Kurort
Bärenfels im Osterzgebirge, einem heutigen Ortsteil der
ca. 30 km südlich Dresden gelegenen Stadt Altenberg in
Sachsen. Dorfmanns Gesundheitszustand muss sich merk‑
lich verschlechtert haben, was – zu einem nicht bekannten
Zeitpunkt – seine logistisch aufwändige Verlegung in das
Reserve‑Lazarett Bensberg bedingt haben wird. Hier, im
Militärlazarett von Bensberg131, einem heutigen Stadtteil
von Bergisch Gladbach im Bergischen Land, verstarb Josef
Dorfmann am 9. September 1944 an einer infolge seiner
schweren Verletzungen aufgetretenen bakteriellen Infektion
(„Gasbrand“); der medizinische Totenbericht der Wehrmel‑
dekarte hält hierzu folgenden Befund fest: „Zertrümmerung
der rechten Hand, ausgedehnte Weichteilverletzung [am]
linken Oberschenkel, des Scrotum und des Penis, Gas‑
brand.“ Der Verstorbene sei in „Bensberg, Ehrenfriedhof,
Grab 22“ bestattet worden.132 Die Todes‑ und Bestattungs‑
meldung wurde in den Folgejahren mehrfach bestätigt, ehe
man sie 1955 in eine beiliegende Gräberkartei übertrug und
zusätzlich vermerkte, dass die Beisetzung am 12. September
1944 erfolgt, diese am 22. Oktober 1948 vom Bürgermeister
von Bensberg133 amtlich eingesehen worden sei134 und die
Kriegsgräberfürsorge Wehrkreiskommando VI die Obhut
übernommen habe.135 Die Akte wurde am 5. Oktober 1960
geschlossen.136
35
34
127 casagrande 2015, S. 82.
128 lieB 2007, S. 158f.; s. auch casagrande 2015, S. 83.
129 Personenkartei Josef Dorfmann, Bundesarchiv.
130 DUS‑Akte Josef Dorfmann, TLA.
131 Das Lazarett war im früheren, auf der Emilienhöhe in Bensberg gelegenen katholischen Priesterseminar, dem heutigen Kardinal‑Schulte‑Haus, nach dessen
1941 erfolgten Beschlagnahme durch die Gestapo im Jahr 1944 eingerichtet worden; s. staHl 2014.
132 Personenkartei Josef Dorfmann, Bundesarchiv. Der Bensberger Soldatenfriedhof besteht heute als „Kriegsgräberstätte Bergisch Gladbach‑Bensberg“ am
133
134
135
136
Bensberger Milchhornberg mit einer Gesamtbelegung von 225 Soldatengräbern und wird vom „Volksbund Deutsche Kriegsgräberfürsorge e. V.“ betreut.
Laut Onlineauskunft der Gräberdatenbank des Volksbundes liegt der Bestattete Josef Dorfmann nach wie vor in der Anlage begraben und zwar in „Grab 201“
(https://kriegsgraeberstaetten.volksbund.de/).
Es muss sich hierbei um das frühere Mitglied der Deutschen Zentrumspartei Jean Werheit handeln, der – nachdem er während der
N S-Zeit öffentlicher
Funktionen enthoben worden war – von 1946 bis 1956 Bensberger Bürgermeister war.
Ebd., Aktenzeichen II 686/11, lfd. Nr. 11.
Das „Wehrkreiskommando VI“ war in Münster/Westfalen angesiedelt, seine behördlichen Unterlagen werden im Bundesarchiv in Freiburg im Breisgau,
Abt. Militärarchiv, verwahrt.
Personenkartei Josef Dorfmann, Bundesarchiv.
Titelseite der Südtiroler Tageszeitung Dolomiten vom 6. März 1943 mit triumphalistischen militärischen Erfolgsmeldungen
von der deutschen Ostfront aus dem Führerhauptquartier (Landesbibliothek Dr. Friedrich Teßmann, Teßmanndigital)
DIE ZEICHNUNGEN:
ENTSTEHUNG UND AKTEURE
Die zwölf Artefakte aus dem Dorfmann‑Nachlass sind, ob‑
wohl undatiert, einem präzisen historischen Zeitpunkt zuzu‑
ordnen. Ihr „Sitz im Leben“ ist die unmittelbar dem taxativen
Optionsentscheid vom 31. Dezember 1939 voraufgehende
knappe Zeitspanne. Nur in diesen dramatischen Wochen
und Monaten ergaben die Bilder als ein die Abwanderungs‑
bereitschaft verstärkendes Propagandamaterial handlungs‑
leitenden Sinn. Der VKS war Mitte Juli 1939 auf eine Linie
der Nibelungentreue umgeschwenkt und hatte die Umsied‑
lung als unumstößliche Tatsache vollinhaltlich bejaht.137 Eine
neuerliche Zustimmung zur Umsiedlungsbereitschaft des
VKS gegenüber Heinrich Himmler erfolgte am 2. August und
wurde umgehend vom Reichsführer-SS mit der Zusicherung eines „geschlossenen“ Ansiedlungsgebiets honoriert.
Für die VKS‑Führung bedeutete der Gesamtvorgang nun
aber auch die Gelegenheit, darauf hat Karl Stuhlpfarrer auf
überzeugende Weise hingewiesen, „ihre eigenen Macht‑
positionen in einem Siedlungsgebiet deutscher Observanz
unter neuen und verbesserten Bedingungen zu sichern und
ihr angestrebtes Ziel, die Nazifizierung Südtirols, wenn schon
nicht in Südtirol selbst, so doch im neuen Siedlungsgebiet zu
erreichen.“138
36
Damit waren die Ausgangsbedingungen für den weiteren
Gang der Dinge einigermaßen abgesteckt. Die italienisch‑
faschistischen Behörden ihrerseits sanktionierten in dieser
Phase jegliche aktive Optionspropaganda und schreckten
auch vor Verhaftungen von prodeutschen Aktivisten
nicht zurück, wie aus einem besorgten Lagebericht des SS‑
Standartenführers Otto Bene, Generalkonsuls des Auswärti‑
gen Dienstes in Mailand und deutschen Beauftragten für die
Südtiroler Umsiedlung, vom 18. August 1939 hervorgeht.139 Die
Ereignisse überschlugen sich in der Folge: Der deutsch‑sow‑
jetische Nichtangriffsvertrag vom 23. August 1939, dessen ge‑
heimes Zusatzprotokoll die entscheidende Voraussetzung für
den deutschen Überfall auf Polen vom 1. September 1939 sein
sollte, schürte in Südtirol die irrwitzigen Hoffnungen auf eine
Wende; vielleicht würde die Region zu einem Unterpfand der
Bündnistreue Italiens werden und die Umsiedlungsaktion
noch eingestellt.140 Vor diesem Hintergrund verschärfte der
VKS seine Bemühungen um eine möglichst totale „Rück‑
wanderung“ in das Deutsche Reich und startete mit Ende
September eine massierte Aktion der propagandistischen
Indoktrination, um dem „Willen des Führers“ landauf, land‑
ab zum Durchbruch zu verhelfen.141
Die Zeichnungen sind auf ihrer Rückseite mehrheitlich mit
der finalen Destinatärsangabe „Landesführer des VKS“ ver‑
sehen. Erst mit Januar 1940, wie schon erwähnt, wurde der
VKS in die AdO überführt – auch dies ein Hinweis auf die
Zeitstellung des Materials. Dieses ist demnach im Kontext der
totalen Mobilisierung der Südtiroler Bevölkerung entstanden,
vielleicht mit Blick auf die unzähligen, in den Augen der ita‑
lienischen Behörden illegalen Versammlungen, die das Land
überzogen. Die Organisationsstruktur des VKS war zu diesem
Zeitpunkt so kapillar wie effizient und mühelos imstande,
noch den kleinsten Weiler mit werbenden Aktionen zu er‑
reichen. Dies blieb der faschistischen Geheimpolizei nicht
verborgen, wie vertrauliche Meldungen über sogenannte
Volksdeutsche Feste vom Oktober 1939 veranschaulichen.142
Die italienischen Behörden begannen nun sogar, gegenpropa‑
gandistische Maßnahmen zu fördern, etwa über die offiziöse
Tageszeitung Dolomiten, die beruhigende Stellungnahmen
des Präfekten Mastromattei lancierte. Die Dolomiten waren
seit ihrer Wiederzulassung Ende 1926, abgesehen von ihrer
katholisch‑staatskirchlichen Grundausrichtung, der sie ihren
Schutzraum verdankte, zu einem dezidiert profaschistischen
Verlautbarungsorgan mit einem freilich stets üppigen und
unverfänglichen Lokalteil geworden. Freilich konnten die für
eine Italien‑Option ins Werk gesetzten Maßnahmen den Ent‑
scheidungsprozess kaum noch beeinflussen, da ihnen, aber
auch dem traditionell meinungsbildenden Südtiroler Klerus
sowie wohlhabenden Wirtschaftskreisen der größeren Städte
– beide Gruppierungen waren tendenziell Gegner der Absied‑
lung – wenig öffentliche Glaubwürdigkeit verblieben war.143
Verwendung gelangt sind. Das ist auch deshalb plausibel,
weil einerseits die strenge italienische Kontrolle eine Verbrei‑
tung des Materials zwar nicht prinzipiell unmöglich machte,
aber doch das hohe Risiko der scharf geahndeten deutschen
„Fremdpropaganda“ bestand. Andererseits fielen durch die
sich immer stärker abzeichnende Bereitschaft zur Massenab‑
wanderung je länger, desto deutlicher entscheidende Gründe
für eine weitere Intensivierung der Optionspropaganda fort.
Vielleicht waren aber auch einfach die materiellen
Ein an den faschistischen Meraner Amtsbürgermeister
Raffaele Casati gerichteter Denunziantenbericht vom 14.
November 1939 stellte fest: „Continua la propaganda a favore
dell’esodo di massa.“144 Italiens Außenminister Galeazzo
Ciano hielt in einem Tagebucheintrag vom 21. November fest,
dass die Dinge im „Hochetsch“ aus italienischer Sicht einen
äußerst ungünstigen Verlauf nähmen und ein „vero e proprio
plebiscito“ der „tedeschi“ und damit eine erhebliche außen‑
politische Blamage zu befürchten seien.145 Laut einem ver‑
traulichen Bericht für das römische Innenministerium vom
21. Dezember agiere die „propaganda nazista“ in der Provinz
Bozen, auch dank der Anstrengungen der von Wilhelm Luig
geleiteten deutschen Dienststellen, überaus effizient und äh‑
nelte in ihrer Durchschlagskraft den tschechoslowakischen
Vorgängen (womit wohl vor allem die sogenannte Sudeten‑
krise bzw. deren gezielte Eskalierung durch die deutsche
Seite gemeint war).146
Weder die deutsche noch die italienische Seite nahmen je‑
doch in diesen und weiteren Stimmungs‑ und Lageberichten
Bezug auf visuelles Propagandamaterial des VKS. Dies legt
den Schluss nahe, dass die Entwürfe letztlich unter Ver‑
schluss blieben und kaum je, wenn überhaupt, zu konkreter
137 Ausführlich hierzu stuHlpfarrer 1985, Bd. 1, S. 184ff.
143 stuHlpfarrer 1985, Bd. 1, S. 190ff.
138 stuHlpfarrer 1985, Bd. 1, S. 185.
144 Hartungen/miori/rosani 2006, Bd. 2, S. 66.
„Ferienlager“ des VKS auf einer Alm, vermutlich dem Salten, um 1939/40
(Südtiroler Landesarchiv, Sammlung Tiroler Geschichtsverein, Bild Nr. 1319)
139 stuHlpfarrer 1985, Bd. 1, S. 187. Zu Otto Bene, insbesondere zu seiner aktiven Rolle im Zusammenhang mit den jüdischen Deportationen in den ab Mai 1940
145 ciano 1971, S. 189f.; der Passus wird zitiert bei stuHlpfarrer 1985, Bd. 1, S. 197, und Hartungen/miori/rosani 2006, Bd. 2, S. 83.
besetzten Niederlanden, conze/frei/Hayes/zimmermann 2010, S. 240.
140 stuHlpfarrer 1985, Bd. 1, S. 187f. Zum Hitler-Stalin-Pakt zuletzt WeBer 2019.
141 stuHlpfarrer 1985, Bd. 1, S. 188f.
142 Hartungen/miori/rosani 2006, Bd. 1, S. 240f., dokumentieren ein solches „Volksfest“, welches am 1. Oktober 1939 auf der Fragsburg bei Meran mit
Teilnehmenden aus dem Passeiertal und dem Vinschgau, aus Ulten, Lana und der Bozner Gegend abgehalten wurde.
146 Hartungen/miori/rosani 2006, Bd. 2, S. 128.
37
Um diesen bemerkenswerten Hiatus innerhalb des rassisti‑
schen Diskurses zu erklären, lassen wir für einen Moment
die Banalität der propagandistischen Inhalte außer Acht und
befragen die Entwürfe nach kulturalistischen Gesichtspunk‑
ten. Folgt man etwa dem Kommunikationsmodell von Stuart
Hall, so lassen sich Medien nach ihrem dominanten und
ihrem rezessiven Bedeutungsgehalt dekodieren.159 In dieser
Hinsicht ist der Kampf um Bedeutung stets auch ein Kampf
um Diskurs und Deutungshoheit, wobei die Bedeutungen
nie völlig vom Sender fixiert oder determiniert werden kön‑
nen. Auch das Südtiroler Material ist Ergebnis einer Signi‑
fikationspolitik, deren ausgehandelte Lesart zu allererst die
Legitimität der hegemonialen Definition anerkennt, also die
kollektive Umsiedlung nach völkischen Grundsätzen pro‑
pagiert. Auf einer begrenzten Ebene allerdings werden auch
eigene Sinnsysteme aufgestellt, die die Primärbedeutungen
partiell unterlaufen.
42
Die augenscheinliche Paradoxie der Südtiroler Umsiedlung
bestand darin, dass sie dem völkischen Imperativ der „Schol‑
lengebundenheit“ im Kern zuwiderlief. Die Option unter‑
strich geradezu die Unmöglichkeit autarken Handelns im
Rahmen eines zur idée-force gewordenen, handlungsleitenden
Grundgedankens nationaler Geschlossenheit. Der Vorgang
lässt sich daher in gesellschaftswissenschaftlichen Begriffen
der sozialen Entropie beschreiben.160 In dieser Perspektive
ist die totalitäre Ausrichtung auf ein einziges Ziel, in die‑
sem Fall auf den völkischen Staat, Ergebnis einer radikalen
Reduzierung von alternativer Information, also Ausdruck
eines – teilweise selbst verschuldeten – Informationsverlusts.
Die Paradoxie tritt in der ambivalenten Tiefenstruktur der
Bildentwürfe zu Tage: Dienen die Bergkulissen als Elemente
des Beharrens und Verbleibens, so fungieren die ritualisierte
Abschiednahme bzw. der Gruß- und Zeigegestus der dar‑
gestellten Personen als Elemente der völkisch motivierten
Abwanderungsbereitschaft. Die VKS‑Entwürfe waren auf
vorbewusste Weise als Double-bind‑Bilder angelegt und ver‑
mutlich deswegen für die NS‑Praxis kaum redundanzfrei
gebrauchbar. Wie sollte man auch 1939/40 Hakenkreuzfahnen
über Bozen flattern lassen und zugleich einen geschlossenen
Bevölkerungstransfer einfordern? Diese Bipolarität löst sich
nur dann ein Stück weit auf, wenn hinter der propagierten
Abwanderungsbereitschaft die Hoffnung verborgen lag, ein
siegreiches NS‑Deutschland werde dereinst, auch in Aner‑
kennung der völkischen Hingabebereitschaft der Südtiroler
Optanten, das Land „heimholen“ – nach erfolgter Rückkehr
würden die Flaggen über dem „befreiten“ Landstrich wehen.
Doch ließ sich die innere Widersprüchlichkeit der Inszenie‑
rungen auch durch die persuasiven Parolen der Bildbeschrif‑
tungen nicht gänzlich bändigen. Die kontradiktorischen
Referenzen von „Heim ins Reich!“ und den diesem Befehl
entgegengesetzten raumgeografischen Markern (klar er‑
kennbare Berge, Stadtwappen von Meran und Bozen) sind
Ergebnis einer antagonistischen Soziologie der Emotionen.161
Diese Kollision von Wunsch und Wirklichkeit war 1939/40
nicht mehr auflösbar und sie griff der Besetzung Südtirols
durch die Wehrmacht ab dem 8. September 1943 symbolisch
voraus.162
Als model of agency eines aus den Fugen geratenen NS‑Migra‑
tionsdiskurses dienten wesentlich sprachliche Markierungen
aus dem politischen Atlas des Großdeutschen Reiches.163 Die
semantische Gleichschaltung bildete das Korsett sozialer
Identitätskonstruktionen des rassisch‑völkischen Staates – sie
wird in den Südtiroler Bildentwürfen durch uniformiertes
Kleidungsverhalten und stereotypierte Familienkonstella‑
tionen unterstrichen. Besonders augenfällig wird dies im
Trachtenpaar (Entwurf Nr. 6), das mit seinem ethnischen Klei‑
dungsmarker auch auf eine Genealogie völkischer Herkunft
159 Hall 1997.
160 Grundlegend Bailey 1990.
161 Eine theoretische Ausformulierung der sozialen Emotionstheorie leisten gerHards 1988 und mesquita/marKus 2004.
162 Dazu WedeKind 2003.
163 Exemplarisch untersucht in der antifaschistischen Sprachkritik von Klemperer 1990 und maas 1984; vgl. auch leniger 2006 und fiscHer/lorenz 2015, S. 32ff.
Links: Der Reichsadler vor wehenden Hakenkreuzfahnen und die Bozner Stadtpfarrkirche, Entwurf Nr. 4 (gezeichnet „Ferrari – Bz“)
Rechts: Nach 1945 entnazifizierter Reichsadler des NS-Senders Dobl in der Steiermark über dem Haupteingang (Wikicommons)
und inszenierter Ursprünglichkeit zurückgreift. Das kultur‑
konservative Folkloremotiv der Tracht war einer der zentralen
Teil‑ und Besitzhabediskurse des Nationalsozialismus, der mit
dessen Hilfe gerade im Tiroler Raum die deutsch‑tirolische
Identität auf ausgrenzende Weise für sich zu reklamieren und
abzugrenzen suchte.164
Die Transformation politischer Dispositionen ist aber auch
in die hoch emotionalisierte Naturmythologie der Bilder ein‑
gegangen. Anschaulich wird dies an der wiederholt ins Bild
gesetzten Machtressource der als aufgehende Sonne kon‑
zipierten Swastika (Entwürfe Nr. 1, 3, 5–6). Der faschistische
Sonnenkult war bereits aus Anlass der Annexion Österreichs
propagandistisch eingesetzt worden.165 In diesem nationalen
Erlösermotiv gewann der Topos der „Neuen Zeit“ Gestalt, der
mit der Natur auch die gesamte gesellschaftlich‑politische
Ordnung zu transformieren versprach. Als Übertragungs‑
konzept zwischen Natur und Gesellschaft angelegt, steht
die über dem Dolomitengebirge leuchtende Sonne des
Nationalsozialismus für die Faschisierung von Naturgeschich‑
te, für die Naturalisierung völkischer Politik.166 Archäologische
Autodidakten wie der aus Bozen stammende technische
Ingenieur Georg Innerebner, ab 1940 Mitarbeiter des SS‑Ah‑
nenerbes für die Südtiroler Arbeitsgruppe Geschichte und
Geographie, lieferten hierzu mythologisierende Interpreta‑
tionen, die sie an vor‑ und frühgeschichtlichen „Wallburgen“
164 Hierzu Hagen 2017. Die völkische Ideologie des Trachtendiskurses ist in Südtirol niemals abgerissen, wie der einschlägige Band von rizzolli 2007 mit seinem
normativen Subtext der Exklusion („Leitfaden zum Tragen und Anfertigen unserer [!] Tiroler Volkstrachten“) belegt.
165 Das entsprechende Plakat ist abgebildet in Tiroler Geschichtsverein Bozen 1989, S. 123.
166 Zur sozialen Logik solcher Übertragungskonzepte Willer/Weigel/jussen 2013.
43
und siedlungsgeschichtlich orientierenden „Sonnenmittel‑
punkten“ festmachten.167
Das scheinbar Naturwüchsige des völkischen Nationalismus
verband körperlichen Elan, Jugend, Sonne und Biologie zu
einem unentwirrbaren Compositum mixtum des „Gesunden“,
dem es normative Kraft einhauchte. Die Vorgänge der Südti‑
roler Option waren in eine biologische Auslese eingebunden,
die in der Praxis der Ariernachweise in den „Ahnenpässen“
zum Vorschein kommt. Dieses bisher kaum bearbeitete Feld
der Südtiroler Zeitgeschichte ist direkter Ausfluss der auf Aus‑
grenzung (und Vernichtung) zielenden Erbekonzeption des
NS‑Staates, die die völkische Tradition zugleich nationalisier‑
te und biologisierte. Auf den Südtiroler Entwürfen sind daher
nur stromlinienförmige Menschen zu sehen. Sie sind Rechts‑
subjekte der Neuen Ordnung des völkischen Staates. Was sie
in das Deutsche Reich einbringen sollten, war bereits vorab
futurisiert für die anvisierte Herrschaftsordnung und die
totalitäre Praxis eines vom Nationalsozialismus beherrschten
Europas. Der Südtiroler Umsiedlung lag eine erbbiologische
Zurichtung zugrunde, die auf rassistischen Überlegenheits‑
konzepten beruhte und die Diskriminierung des minder‑
wertigen Anderen stets miteinschloss. Rassismus ist immer
auch ein Prozess der Konstruktion von Bedeutungen.168 Ihre
Willkürlichkeit liegt zwar auf der Hand, sie war aber funk‑
tional für den totalitären Staat und eine der unerlässlichen
Voraussetzungen für die nationale Passung seiner Mitglieder
und Profiteure. Die psychobiologisch gedachte „Blutsgemein‑
schaft des deutschen Volkes“, der sich die Südtiroler Optan‑
ten eingliederten, war als essentialistisches Kollektiv von
Menschen mit angeborenen Gemeinsamkeiten imaginiert.
Die Kehrseite dieser Praxis war der Ausschluss des Anderen,
welcher sich zur Vernichtung steigerte.169 Eine eigene Bozener
Sippenkanzlei, vom Genealogen Franz Sylvester Weber ge‑
leitet, stellte während der Options‑ und Kriegszeit zahllose
Ahnenpässe und ‑urkunden aus, um die „blutsmäßige“ Eig‑
nung der Umsiedler zwar nicht flächendeckend, aber doch
mehr als stichprobenartig zu überprüfen.170 Die wichtigste
Voraussetzung zur Teilhabe an der Volksgemeinschaft waren
jedoch die Merkmale der autoritären Persönlichkeit. Wer in
Ethnozentrismus und Antisemitismus ohne Vorbehalte, also
konformistisch einwilligte, identifizierte sich auch mit den
totalitären Machthabern und ihren expansionistischen poli‑
tischen Zielen, und dies umso mehr, als dieser Identifikation
– wie im Südtiroler Beispiel – tieferliegende Motive nationaler
Enttäuschung und Erlösungserwartung zugrundelagen.171
45
44
167 Zu Innerebner, 1949 erster Obmann des „Landesverbandes für Heimatpflege in Südtirol“ und Ehrenmitglied des „Südtiroler Künstlerbundes“, s. WedeKind 2019,
S. 62 u. 80.
168 miles 1999, S. 9.
169 Hierzu essner 2002 und eHrenreicH 2007.
170 Zur Rolle Webers und seiner „Sippenkanzlei“ WedeKind 2003, S. 231; zur Ideologie der NS-Ahnenforschung Weiss 2010.
171 Die Merkmale der antidemokratisch‑autoritären Persönlichkeit wurden wegweisend untersucht von adorno/frenKel-BrunsWiK/levinson/sanford 1950/73, die
zur Feststellung des Faschismusprofils von Individuen die „F-Skala“ entwarfen (dazu müller-doHm 2011, S. 439ff.); für Aktualisierungen s. lederer 1983 und
oesterreicH 1998.
Oben: Entwurf Nr. 6 mit dem Südtiroler
Trachtenpaar (gezeichnet „A-S-I“)
Unten: Aus der Karte des „Volksbundes
für das Deutschtum im Ausland“,
Berlin 1940 (Ausschnitt)
46
DER ADRESSAT
der Einrichtung der NS‑Operationszone Alpenvorland ab
dem 13. September 1943 unter „Hauptschriftleiter“ Gunther
Langes.
Wie bereits ausgeführt, sind die zwölf Propagandabilder
zur Südtiroler Option aller Wahrscheinlichkeit nach in der
zweiten Jahreshälfte bzw. Ende 1939 entstanden, vielleicht
im Kontext eines jugendlichen Schulungslagers von VKS
oder HJ. Sie scheinen niemals aktiv zur Verwendung ge‑
langt zu sein und tragen dementsprechend auch nur geringe
Gebrauchsspuren. Mit Ausnahme der Entwürfe Nr. 10 und
Nr. 12 weisen alle Artefakte rückseitige Überbringervermer‑
ke sowie die Abstempelung, teilweise auch an der Vordersei‑
te, mit einem Rundstempel der „Waffen-SS – Leibstandarte
Adolf Hitler“ auf. Ein gewisses chronologisches Problem
wirft dabei, zumindest auf den ersten Blick, die nicht ein‑
heitliche Binnenstruktur der Angaben auf, doch lassen sich
die Widersprüche durch die Annahme einer erst sekundä‑
ren Beschriftung auflösen. Als Sender fungiert durchgehend
Josef Dorfmann, der fast immer als SS‑Obersturmbann‑
führer firmiert.172 Die Zeichnungen seien „persönlich“ dem
„Landesführer des VKS Peter Hofer“ zu übergeben, und
zwar an dessen Domizil in St. Michael bei Kastelruth.173 Auf
mehreren Rückseiten ist aber auch die Sigle AdO ange‑
bracht, was eine Anbringung der Vermerke erst nach Januar/
Februar 1940 vermuten lässt (als der VKS bereits zur AdO
aufgerückt war). Nun kann man problemlos annehmen, dass
Dorfmann auch zu einem späteren Zeitpunkt auf die AdO
noch unter der Bezeichnung VKS Bezug genommen und an
der ihm vertrauten alten Funktionsbezeichnung zumindest
partiell festgehalten hat. Einer der protokollarischen Ver‑
merke hingegen, die Angabe „z. Kts. Gunther Langes Bozner
Tagblatt“ am Entwurf Nr. 8, zwingt freilich zu einer anderen
Chronologie. Das nationalsozialistische Bozner Tagblatt er‑
schien erst nach der deutschen Besetzung Südtirols und
Diese Umstände legen nahe, dass Josef Dorfmann in der Zeit
seines Lazarettaufenthaltes in Bensberg‑Bergisch Gladbach
(von dem er sich nicht mehr erholte und wo er im September
1944 an den Folgen seiner Verletzungen verstarb) die irgend‑
wie mitgeführten Zeichnungen an Peter Hofer adressiert hat.
Dieser war mit der Übernahme der Südtiroler Verwaltung
durch die NS‑Behörden am 21. September 1943 zum Kommis‑
sarischen Präfekten der Provinz Bozen avanciert, kam aber
bereits am 2. Dezember 1943 bei einer Inspektionsfahrt durch
Bozen bei einem alliierten Luftangriff ums Leben.174 Bereits
im Oktober 1943 schließlich war die AdO in Deutsche Volks‑
gruppe Südtirol umbenannt worden.175 Vorausgesetzt, Dorf‑
mann verfügte im Lazarett über aktualisierte Informationen,
engen die Chronologie der Ereignisse bzw. die wandelnden
Funktionsbezeichnungen die geplante Übergabe des Materi‑
als an Peter Hofer in den Herbst 1943 ein. Weitere rückseitige
Angaben, wie etwa die Nennung des Innsbrucker Kunstma‑
lers Luis Alton (Entwurf Nr. 1), bieten keine tragfähige Basis
für eine weitergehende Feinchronologisierung.176 Alton hatte
1939 im Wiener Künstlerhaus an der regimekonformen Schau
„Berge und Menschen der Ostmark“ sowie von 1940 bis 1944
an den Innsbrucker Gau‑Kunstausstellungen teilgenommen.
Auch die mehrfache rückseitige Nennung des von Goebbels
geleiteten Reichsministeriums für Volksaufklärung und Pro‑
paganda (als RMVP oder RMVuP) trägt zur zeitlichen Ein‑
reihung nicht bei, legt aber immerhin den Legitimationshin‑
tergrund bzw. die geplanten Verwendungszusammenhänge
des Materials frei. Es sollte als „Wandzeitung“ und „(Werbe)
Banner“, als „(Reklame)Beilage“ oder „Annonce“ (im Bozner
Tagblatt ?) verwendet werden. Dies alles unterblieb freilich,
und es ist äußerst zweifelhaft, wenn nicht unwahrscheinlich,
172 Nur einmal wird diese Rangbezeichnung mit der Angabe „SS‑Hauptsturmbannführer“ variiert (Entwurf Nr. 11). Laut Dorfmanns Wehrstammkarte war er
173
174
175
176
allerdings über den Rang eines Oberscharführers nicht hinausgelangt; entweder war also seine weitere Beförderung im Lazarett erfolgt oder sein SS-Rang
wurde irrig überhöht (was dann gegen Eigenhändigkeit der Rückvermerke spräche).
Hierbei muss es sich um den Malsinerhof in St. Michael bei Kastelruth handeln, vgl. Gemeinde Kastelruth 1983, S. 216. Für diesbezügliche Auskünfte danke ich
Peter Fulterer (Bozen).
Zu den Ereignissen des Luftkriegs im Südtiroler Bereich eingehend alBricH 2014.
WedeKind 2003, S. 143.
Zu Alton vgl. Kraus 1999, S. 244.
dass Präfekt und Volksgruppenführer Hofer das Material
überhaupt je zu Gesicht bekommen hat.
„Wir schliessen die Reihen, der Kampf geht weiter“ – das
bekundeten die „Kameraden der Deutschen Volksgruppe“
in der offiziellen Parte, die am 4. Dezember 1943 im Bozner
Tagblatt in großer Aufmachung publiziert wurde. Die an ihn
adressierten Zeichnungen gelangten hingegen wohl direkt
in den Besitz der Brixener Angehörigen von Josef Dorfmann,
bis sie 2019 – 80 Jahre nach ihrer Entstehung – wiederum
an das Tageslicht gelangt sind und einen Teil jener Verfüh‑
rungsgeschichte erzählen, der auch Südtiroler willig erlegen
waren.
Offizielle Beileidsbekundungen für Peter Hofer im nationalsozialistischen Bozner Tagblatt
vom 4. Dezember 1943 (Wikicommons)
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51
53
52
702504
Entwurf Nr. 1, Südtiroler Landesmuseum Schloss Tirol
Bozzetto n. 1, Museo provinciale di Castel Tirolo
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Entwurf Nr. 2, Südtiroler Landesmuseum Schloss Tiroll
Bozzetto n. 2, Museo provinciale di Castel Tirolo
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Entwurf Nr. 3, Südtiroler Landesmuseum Schloss Tirol
Bozzetto n. 3, Museo provinciale di Castel Tirolo
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702507
Entwurf Nr. 4, Südtiroler Landesmuseum Schloss Tirol
Bozzetto n. 4, Museo provinciale di Castel Tirolo
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Entwurf Nr. 5, Südtiroler Landesmuseum Schloss Tirol
Bozzetto n. 5, Museo provinciale di Castel Tirolo
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Entwurf Nr. 6, Südtiroler Landesmuseum Schloss Tirol
Bozzetto n. 6, Museo provinciale di Castel Tirolo
65
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Entwurf Nr. 7, Südtiroler Landesmuseum Schloss Tirol
Bozzetto n. 7, Museo provinciale di Castel Tirolo
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Entwurf Nr. 8, Südtiroler Landesmuseum Schloss Tirol
Bozzetto n. 8, Museo provinciale di Castel Tirolo
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Entwurf Nr. 9, Südtiroler Landesmuseum Schloss Tirol
Bozzetto n. 9, Museo provinciale di Castel Tirolo
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Entwurf Nr. 10, Südtiroler Landesmuseum Schloss Tirol
Bozzetto n. 10, Museo provinciale di Castel Tirolo
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Entwurf Nr. 11, Südtiroler Landesmuseum Schloss Tirol
Bozzetto n. 11, Museo provinciale di Castel Tirolo
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Entwurf Nr. 12, Südtiroler Landesmuseum Schloss Tirol
Bozzetto n. 12, Museo provinciale di Castel Tirolo
“LA GRANDE GERMANIA CHIAMA!”
La propaganda nazionalsocialista
sulle Opzioni in Alto Adige
e la socializzazione völkisch
76
La propaganda messa in moto alla svolta del 1939-40 con lo scopo di indurre la
popolazione sudtirolese a optare in favore della Germania nazionalsocialista fu
prevalentemente di tipo verbale. Si concretizzò in discorsi (semi) pubblici, suadenti dialoghi privati e volantini riempiti di slogan e motti incisivi, capaci di dispiegare
una potente forza di persuasione. Entrarono in gioco anche elementi rituali quali
marce, giuramenti di fedeltà e pratiche plebiscitarie. Si trattava di modelli propagandistici indirizzati a vasti gruppi di popolazione, già oggetto di ricerche in lavori
precedenti a questo. Per contro, i materiali visibili per la prima volta in questa mostra tendono a dare maggiore enfasi ad aspetti visuali che finora sono stati piuttosto trascurati.* Gli artefatti in questione avevano come target preferenziale le
élite giovanili che andavano formandosi nel Völkischer Kampfring Südtirols (VKS –
Fronte patriottico sudtirolese) o negli ambienti che gravitavano intorno a esso.
Josef Dorfmann, membro sudtirolese delle SS, fu uno degli attori decisivi in tale
contesto ed è uno straordinario rappresentante e servo del totalitarismo völkisch.
I disegni propagandistici sono di mano diversa, ma grazie alla regia d’insieme
architettata da Dorfmann diventano un efficace corpo unico. Pur reclamizzando
l’emigrazione compatta nel Reich germanico, i bozzetti evidenziano anche un paradossale piano di perseveranza, che non si lascia sciogliere prasseologicamente
e che può essere compreso soltanto se inserito in un ambiente di emozioni antagonistiche. Il vero contesto d’utilizzo di tutto questo materiale era probabilmente
effimero, tuttavia esso consente di contestualizzare in modo nuovo la propaganda
sulle Opzioni e gli eventi e i quadri mentali che le caratterizzarono. Contribuisce a
ciò anche la considerazione che tali artefatti, unitamente al loro destinatario ultimo, il futuro prefetto nazista di Bolzano Peter Hofer, si rivolgevano agli esponenti
di punta del movimento nazionalsocialista sudtirolese.
*
Per il reperimento dei materiali ringrazio Alessandro Campaner, Harald Toniatti (entrambi di Bolzano), Christoph Haidacher (Innsbruck), Robert C. Balsam (Berlino).
A Hans Heiss (Bressanone) e a Michael Wedekind (Brema) va un grazie particolare per l’attenta lettura e revisione critica di queste pagine.
77
PREPARAZIONE SPIRITUALE
A HOHENWERFEN
78
Nel novembre 1940 – in piena guerra – alla fortezza di Ho‑
henwerfen, nella regione di Salisburgo, si svolse un “campo
guide” per i membri sudtirolesi della Gioventù hitleriana,
l’organizzazione giovanile e delle nuove leve del nazionalso‑
cialismo. Ubicata al centro della “Marca orientale” (Ostmark)
annessa al Reich germanico nella primavera del 1938, Hohen‑
werfen era stata promossa a Gauschulungsburg, ossia a centro
di formazione del Partito nazista nel marzo 1939.1 Il 5 marzo
Friedrich Rainer, Gauleiter di Salisburgo, aveva inaugurato
la struttura, vale a dire il centro di indottrinamento ricavato
negli ambienti della poderosa fortezza‑castello, Ingo Ruetz,
membro della NSDAP, il Partito nazionalsocialista tedesco
dei lavoratori, era stato nominato suo primo responsabile.2
Qui si svolgevano corsi settimanali per responsabili di circolo
e dell’addestramento locale, borgomastri, insegnanti e altre
casse di risonanza di svariate formazioni e annesse associa‑
zioni di quadri dello Stato nazista. Da quando era stato deci‑
so che le Opzioni dei sudtirolesi avrebbero avuto luogo alla
svolta del 1939-40, Hohenwerfen ospitò più volte anche parte‑
cipanti ai corsi provenienti dall’area a sud del Brennero, per
interiorizzare le massime comportamentali della comunità di
popolo tedesca e far pratica delle virtù nazionalsocialiste di
cameratismo, ordine e obbedienza, disciplina e abnegazione.3
Bisognava costituire una “comunità di popolo”, che non era
data in modo incondizionato, e lo spaccato offerto sul modo
di procedere nella regione di Salisburgo è, oltre che raro,
anche prasseologicamente eloquente riguardo alla creazione
reazionaria di una comunità di destino fondata su lingua e
cultura.4 Ethnos al posto di demos, l’idea di una comunità del
1
2
3
4
5
6
7
8
9
volere, posta al di sopra dello Stato, nel segno di “sangue” e
“origine”, la quale veniva contrapposta a una appartenenza
statale poco amata doveva apparire seducente proprio ai
partecipanti sudtirolesi, che così pensavano di eliminare in
buona parte, se non superare del tutto, l’ambiguità di essere
Stato nazionale italiano e nazione culturale tedesca.
Il corso di formazione per i sudtirolesi del novembre 1940
durò ben tre settimane: ottenute le prime istruzioni a Inns‑
bruck, i partecipanti, sia uomini che donne, furono accolti dal
capitano della fortezza, Ruetz, e affidati alle due “guide del
campo”, la Untergauführerin Inge Mühlhofer e il Bannführer
Alf Schopper. Ruetz morì in guerra nel maggio 1941 e non tar‑
dò a essere pubblicamente acclamato come luminoso esem‑
pio di spirito nazionalsocialista da Karl Springenschmid, un
nazista fanatico, responsabile nazionalsocialista del sistema
scolastico di Salisburgo e principale artefice in quella città
del rogo di libri avvenuto il 30 aprile 1938.5 Inge Mühlhofer
era una dirigente del Bund Deutscher Mädel, il ramo femmi‑
nile della Gioventù hitleriana, sulle cui attività pubblicò due
resoconti apologetici già nel 1940-41; a partire dal 1941 fu attiva
nell’Obergau Tirol.6
I responsabili politici sudtirolesi del nazionalsocialismo
erano organizzati nel VKS e nell’organismo succeduto‑
gli, la Arbeitsgemeinschaft der Optanten für Deutschland
(AdO – Comunità di lavoro degli optanti per la Germania).7
Tra i documenti di VKS e AdO conservati nell’Archivio pro‑
vinciale di Bolzano8 si ritrovano anche memorie e sguardi
retrospettivi non ufficiali; furono redatti da Mühlhofer e
Schopper e, a quanto pare, consegnati ai partecipanti al corso
al momento del congedo.9 Dal tono del resoconto traspare
l’enfasi che caratterizzò e pervase la sollevazione nazionale
dopo la vittoriosa campagna militare contro la Francia e du‑
rante la battaglia aerea sopra i cieli della Gran Bretagna, per
Sulla struttura generale delle Gauschulungsburg, o centri di formazione del partito nazista, e sulla loro natura organizzativo‑amministrativa cfr. Kraas 2004.
Sul Gau di Salisburgo cfr. l’esauriente HaniscH 1997.
Sul Gauleiter Rainer cfr. Klee 2005, p. 477, così come in dettaglio Williams 2005.
Sulla Gioventù hitleriana in generale cfr. Buddrus 2003, e Kater 2005.
Sul luogo comune della “comunità di popolo” cfr. BajoHr/Wildt 2012; sul dibattito storiografico cfr. KersHaW 2011.
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müHlHofer 1940; Id. 1941. Su Mühlhofer cfr. raucHegger-fiscHer 2018, p. 35, e Hopster/josting/neuHaus 2001, coll. 834‑835.
Su VKS e AdO cfr. WedeKind 2007 e Id. 2009 (con ampia bibliografia) così come egger 2018.
titton 2007. Il fondo d’archivio è rimasto per decenni nelle cantine della Casa della cultura Walther von der Vogelweide, una struttura realizzata per sviluppare
un programma culturale restauratorio ed è stato ceduto all’Archivio provinciale di Bolzano solo nel 2005, dopo faticosi tentativi avviati dagli organi del Südtiroler
Kulturinstitut. Lo studio di mittermair 2002 non ha quindi potuto tenere conto del materiale, che ha invece arricchito il più recente lavoro di egger 2018.
Archivio provinciale di Bolzano, Fondo VKS/AdO, posizione 42, f. 4 [«HJ-Führerlager Südtirol» (Campo guide Gioventù hitleriana)]; trattandosi di copia
dattiloscritta di matrici, bisogna mettere in conto una maggiore distribuzione originaria.
lungo tempo incerta, che rappresentò la prima svolta nella
guerra.10 Il verbale di Hohenwerfen, non datato ma senza
dubbio redatto a fine novembre 1940, è rivolto ai «camerati»
e alle «camerate», di cui non viene mai fatto il nome, del
movimento nazionalsocialista sudtirolese, cioè agli uomini e
donne di fiducia, ai responsabili territoriali e di circolo della
AdO. Il testo recita, tra le altre cose: «Abbiamo alle spalle
21 giorni di lavoro insieme, giorni in cui ciascuno di noi è
riuscito a mala pena a tirare il fiato! Nel suo coinvolgimento
esteriore questo tempo è stato un evolvere dalla semplice
sistemazione di Innsbruck11 alla compattezza e straordinaria
potenza dell’esperienza della fortezza. Portatevi con voi nel
rientrare in patria l’immagine della roccia torreggiante su cui
svetta audace la nostra Hohenwerfen; portatevi con voi nei
fatidici giorni del futuro, quando le montagne della vostra
terra cominceranno a vacillare, la forza dell’immagine davan‑
ti alla quale tutte le mattine e tutte le sere sostavamo accanto
alla bandiera, salutando gli aspri crinali e le cime dei monti
coperti dalla neve autunnale.» Dopo aver invocato la «devo‑
zione tedesca», un sentimento völkisch pervaso di religiosità, il
testo approda a queste parole: «Tornate duri e determinati ai
vostri posti! E quando vengono giorni bui, che vogliono spez‑
zarvi, fate affiorare dalla nebbia ed emergere alla luce del sole
la fortezza [Hohenwerfen, N.d.A.] su cui svettava la nostra
bandiera, che ora è anche la vostra e risollevatevi confidando
nel verbo del Führer: «la Germania è più grande di ogni pena
individuale!».
Inaugurazione della Gauschulungsburg Hohenwerfen, in data 5 marzo 1939, da parte
del Gauleiter di Salisburgo Friedrich Rainer, circondato da funzionari nazionalsocialisti
(Österreichische Nationalbibliothek Wien, OEGZ S 251/578)
Con tali parole, tanto patetiche quanto metaforiche, si chia‑
mavano direttamente in causa le opzioni sulla cittadinanza,
imposte dall’esterno e interiorizzate come ordine collettivo.
Alla svolta del 1939‑40 la stragrande maggioranza dei sud‑
tirolesi e delle sudtirolesi si era espressa a favore dell’ac‑
quisizione della cittadinanza tedesca e di una migrazione
compatta nel Reich nazionalsocialista, procurando tra l’altro
10
11
Sul particolare momento storico del 1940 cfr. KersHaW 2016, pp. 476 sgg. (trad. it., pp. 359 sgg.); WinKler 2016, pp. 907 sgg.
È probabile che la fase iniziale dell’addestramento si sia svolta nel campo di Mühlau vicino Innsbruck, un semplice campo di baracche allestito per accogliere
i migranti sudtirolesi.
79
a quest’ultimo, a guerra ormai iniziata, un tardivo successo in
fatto di prestigio in politica estera.12 Per quanto si sia scavato a
fondo nel ricostruire i procedimenti plebiscitari del trasferi‑
mento dei sudtirolesi, poco si sa sui più cogenti processi di co‑
municazione che hanno accompagnato il voto e che ne hanno
determinato lo schiacciante esito in favore della Germania.
Come si è giunti al punto che tanti abitanti di lingua tedesca
e ladina della Provincia hanno compilato e firmato il modulo
arancione con cui dichiaravano «formalmente e irrevocabil‑
mente di voler accettare di fare parte del Reich germanico e
di trasferirsi» in esso? 13 Gli storici si sono frattanto accordati
su una quota di adesione reale dell’84/86 per cento circa, un
contingente impressionante, di poco inferiore a quel 90,7 per
cento diffuso dal VKS all’inizio del 1940.14 Quel 90 per cento
di persone disposte a emigrare, dato diffuso dal VKS subito
al termine della consultazione ufficialmente conclusa il 31
dicembre 1939, alludeva peraltro in modo più che palese al
risultato della consultazione nella Saar, documentato al 90,73
per cento, il cui esito era stato accolto anche in Alto Adige con
giubilo nazionale e aveva alimentato nuove speranze di una
revisione del confine del Brennero.15 «Heute die Saar – wir
übers Jahr» (Oggi la Saar – domani noi) divenne una parola
d’ordine nella regione di confine altoatesina16 – i successi spet‑
tacolari dell’aggressiva politica revanscista del nazionalsocia‑
lismo fecero apparire con sempre maggiore nitidezza lo Stato
nazista come la forza capace anche di risolvere la questione
sudtirolese in senso pangermanico.17 E ciò nonostante l’incon‑
trovertibile fatto che lo stesso Hitler, nel suo programmatico
Mein Kampf, aveva rinunciato a rivendicazioni territoriali nei
confronti dell’Italia e ancora nel 1938, nel contesto dell’allean‑
za dell’Asse, si era reso garante, almeno attraverso dichiarazio‑
ni ufficiali, del confine del Brennero verso l’alleato italiano.18
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Tutto ciò non attenuò minimamente le speranze irrefrenabili
della popolazione sudtirolese. Ancor più che dopo il referen‑
dum della Saar, l’importanza storica del momento fu avverti‑
ta dopo il cosiddetto “Anschluss” dell’Austria al “Terzo Reich”
nel marzo‑aprile 1938.19 Dopo che Hitler ebbe fatto legittimare
anche pubblicamente, mediante un voto fantoccio perfetta‑
mente inscenato sul piano propagandistico, l’inglobamento
della “Marca orientale” (Ostmark) nel territorio dello Stato
tedesco, la politica estera tedesca non sembrò più conoscere
limiti nell’area dell’Europa centrale.20 Espressioni quali «un
Reich», «un popolo» e «la grandezza della Germania» domi‑
navano il linguaggio di coloro che credevano nella grande
Germania, i quali – contravvenendo alle norme dei trattati di
pace di Versailles – vennero incoraggiati nelle loro visioni da
grande Reich pangermanico sottese dall’ideologia völkisch.
In particolare le élite intellettuali aderirono di buon grado a
questo corso e fornirono le necessarie figure di legittimazione
per il previsto nuovo ordine etnocentrico dell’Europa.21 A
quanti la pensavano così l’intervento militare non sembrò
che il naturale compimento di quanto da lungo tempo era
stato immaginato e auspicato nell’ideologia della cultura
nazionale.
Come si spiega dunque lo straordinario consenso del Sud‑
tirolo per l’emigrazione e il conseguente implicito ricono‑
scimento dell’ordine sociale nazionalsocialista? Dopotutto
si trattava di lasciare i territori abitati e fino ad allora consi‑
derati la propria terra e sembrava quasi che si fosse disposti
ad accettare senza esitazioni tutte le imponderabilità di un
trasferimento. Le ricerche finora effettuate hanno giustamen‑
te posto in evidenza il sovrapporsi, a tale riguardo, di piani
diversi, che hanno favorito quel risultato così univoco.22 Da
un lato, il processo di espatrio degli optanti o “Geher” era in
certo qual modo fatale per via delle misure di italianizzazio‑
ne del regime fascista in vigore da oltre quindici anni.23 Non
Fondamentale a riguardo stuHlpfarrer 1985; cfr. anche steurer 1980, pp. 362-390; Tiroler Geschichtsverein Bozen 1989; eisterer/steininger 1989; lill 1991;
alexander/lecHner/leidlmair 1993; WedeKind 2009; pallaver/steurer 2011; pallaver/steurer/verdorfer 2019 (con ricca bibliografia). Una ricostruzione sintetica
è offerta da Heiss 2014.
Il modulo è riprodotto in Tiroler Geschichtsverein Bozen 1989, p. 149.
stuHlpfarrer 1985, vol. II, pp. 541 sgg.; steurer 1989; messner 1989; WedeKind 2009, p. 72; pallaver/steurer 2011, p. 20; Heiss 2014, p. 21.
Tiroler Geschichtsverein Bozen 1989, p. 121.
grote 2007, p. 151.
Tiroler Geschichtsverein Bozen 1989, p. 121.
stuHlpfarrer 1985, vol. I, pp. 21 sg. e 34 sgg.
stuHlpfarrer 1985, vol. I, pp. 30 sgg.; WedeKind 2007, pp. 417 sg.
Berger Waldenegg 2003.
Efficacemente documentato nel manuale di faHlBuscH/Haar/pinWinKler 2017; cfr. anche oBerKrome 1993.
pallaver/steurer 2011, pp. 159 sgg.
A riguardo cfr. lecHner 2005; Bonoldi/oBermair 2006; solderer 2000, pp. 40 sgg.
si intravvedeva la fine, o anche soltanto una mitigazione, dei
tentativi di messa in minoranza, il che rafforzava la trauma‑
tica esperienza vissuta da tanti uomini e donne sudtirolesi al
momento dell’annessione nel 1919‑20. Per contro, i toni degli
italiani al potere si inasprirono a partire dalla metà degli anni
Trenta, a seguito dei successi in politica interna ed estera del
carismatico regime mussoliniano, che fra il 1935 e il 1939 toccò
l’apice del consenso sociale.24
La disillusione sociale e la progressiva estromissione dalle
promesse indubbiamente esistenti della “nuova Italia” rese‑
ro la minoranza di lingua tedesca e ladina particolarmente
sensibile alle lusinghe della Germania nazionalsocialista.25
Pur non ignorando sostanzialmente il potenziale di violenza
della dominazione nazista, la natura totalitaria della sua
politica interna ed estera veniva tuttavia data tacitamente per
scontata, e per più di un verso perfino approvata e ammirata.
La scarsa pratica democratica della popolazione sudtirolese,
la sua inclinazione per tanti versi autoritaria dovuta a secoli
di imposizioni cattoliche e il suo orientamento di fondo
paternalistico costituivano addirittura presupposti ideali
per attivare su ampia base il mito della comunità di popo‑
lo.26 All’atteggiamento di superiorità culturale e alla scarsa
dimestichezza con la democrazia si aggiunse, quale impor‑
tante esperienza pregressa e atteggiamento valoriale teso a
rafforzare l’autoritarismo, la socializzazione italo-fascista
nel sistema scolastico e nel tempo libero. A una disposizione
di questo tipo, il luogo comune dei tedeschi di frontiera o
dei tedeschi all’estero diveniva addirittura la forza motrice
della mobilitazione. Come soddisfare al meglio esigenze
antiemancipatorie se non con la scelta del “giusto” fascismo,
il tedesco anziché l’italiano, il quale, essendo stato imposto,
poteva essere rigettato?27 A tale proposito, l’idea di una co‑
munità di destino fondata su lingua e cultura poteva rifarsi
a una lunga tradizione, affondando da ultimo le sue radici
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nel nazionalismo völkisch dell’Ottocento postrivoluzionario.28
Con quest’ultimo simpatizzava ancora dopo la metà degli
anni Trenta un influente esponente dell’opinione pubblica
sudtirolese, il giornalista e sacerdote Michael Gamper.29
Costui intratteneva stretti rapporti con il Volksbund für das
Deutschtum im Ausland (VDA – Lega popolare dei tedeschi
all’estero), una organizzazione nazionalsocialista capeggiata
dal pangermanista carinziano Hans Steinacher, dalla quale
fece cofinanziare il suo programma di scuole per l’insegna‑
mento della lingua tedesca, le cosiddette Notschulen.30 Già
in uno dei primi numeri del settimanale Volksbote, redatto
ed edito da Gamper, il canonico si era piegato con zelo alla
leggenda della pugnalata alle spalle, stando alla quale «un
gruppo di ebrei e di socialdemocratici» avrebbe deciso le
sorti degli infausti negoziati di pace di Parigi e «il popolo non
p[oteva] che tacere mentre il giudeo p[oteva] decidere tutto».31
Nel 1927 il canonico dichiarò a Wilhelm Rohmeder, attivista
völkisch ed esponente del Deutscher Schulverein, l’associazione
delle scuole tedesche, che per lui «il partito nazionalsocialista
non era né meglio né peggio di qualsiasi altro partito».32 Gam‑
per in un primo tempo aveva indubbiamente simpatizzato
con l’antisemitismo e l’anticomunismo del movimento nazio‑
nalsocialista e condiviso le idee di ordine ed emarginazione
di quest’ultimo. Ma quando, dopo il 1935, vennero sempre
più chiaramente in primo piano gli orientamenti anticlericali
del Reich germanico, voltò le spalle al nazionalsocialismo
e – proprio nel contesto delle Opzioni – divenne uno dei prin‑
cipali esponenti del movimento sudtirolese di opposizione al
nazismo.33
Tuttavia, che cosa fece sì che in figure come Gamper le fan‑
tasie di delega collettive si consolidassero a tal punto? Se
torniamo a concentrarci sull’incontro a Hohenwerfen, ci
imbattiamo in motivi ulteriori. Reca la data del 21 novembre
1941 un rapporto del “responsabile territoriale” Otto Weber,
scHieder 2010, pp. 69 sgg.; de felice 1981.
stuHlpfarrer 1985, vol. II, pp. 499 sg.
Sul mito della comunità di popolo cfr. l’esaustivo scHmiecHen-acKermann 2012.
Su tale zona d’ombra del presunto antifascismo sudtirolese cfr. verdorfer 1990, pp. 25 sgg.
Cfr. lutHer 2004; più acuto faHlBuscH/Haar 2010.
HilleBrand 1996, pp. 57 sgg.; esposito 2012.
elste 1997, pp. 157 sg. Su Steinacher cfr. retteratH 2017.
gamper 1919, p. 1.
HilleBrand 1996, p. 60.
HilleBrand 1996, pp. 59 sgg.; lamprecHt 2019, p. 249. Agiografico nell’impianto e lacunoso invece steininger 2017.
81
82
fondatore della Gioventù hitleriana delle SA del Vorarlberg e
futuro responsabile del settore giovanile nel Gau Tirol‑Vorarl‑
berg.34 In quel documento, parlando di sé, dice di avere «con‑
tribuito» in maniera determinante «alla realizzazione di que‑
sto campo» e rammenta ai partecipanti che – nel momento in
cui «hanno valicato il Brennero» – hanno «per la prima volta»
potuto fare l’esperienza del «Reich germanico nazionalso‑
cialista» e indossare «la divisa bruna». Attraverso tale rito di
iniziazione i sudtirolesi erano approdati «in una comunità
in cui potete marciare apertamente e definirvi liberamente
come gioventù del Führer». Proprio il fatto di indossare le
brune uniformi paramilitari della Gioventù hitleriana, il cui
aspetto intendeva ricordare le camice brune delle SA, preco‑
nizzava l’appartenenza alla nuova élite al potere ed era segno
di uguaglianza e al contempo di asservimento a un program‑
ma radicale.35 Come simbolo politico d’immagine, questo gli
aspiranti sudtirolesi dovevano averlo imparato già dai Fasci di
combattimento della Provincia di Bolzano, la nuova uniforme
color terra incarnava uno stile d’azione potente, che mirava a
esibire invulnerabilità, efficacemente sottolineata dal modo
di incedere e di farsi sentire.36 Weber, nei suoi discorsi, faceva
abilmente leva sul narcisismo collettivo dei nuovi adepti,
assegnando loro anche un compito onorevole:37 «Ora avete il
compito di fare della gente nella vostra terra dei nazionalso‑
cialisti.» E a mo’ di monito aggiunse: «Se anche esteriormente
si chiamano nazionalsocialisti e hanno riconosciuto il Führer
con il loro ‘sì’, così facendo si sono per la verità [!] esterior‑
mente professati naz. soc., tuttavia la trasformazione interiore
non si è ancora compiuta.» Queste parole rivelavano senz’al‑
tro l’esperienza fatta con i fiancheggiatori austriaci del movi‑
mento, un’adesione inizialmente sembrata totale, ma che con
lo scoppio della guerra aveva cominciato a evidenziare sem‑
pre più sintomi di disincanto.38 Per scongiurare tale effetto,
Weber invocò il quasi religioso, autosantificante potenziale di
redenzione connesso all’ingresso nella comunità di popolo;
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il processo di adesione dei migranti sudtirolesi andava inteso
come passaggio decisivo alla contemporaneità con il Führer
e a tale proposito «la guerra non» era «l’aspetto sostanziale e
decisivo. Adolf Hitler non è in primo luogo il condottiero del
popolo tedesco, ma è anzitutto politico e Führer del popolo
tedesco.» L’enfasi posta sulla liminalità dell’esperienza di
Hohenwerfen dà al contempo risalto al carattere definitivo e
alla dimensione rituale dell’adesione al nazionalsocialismo
degli optanti.39 Essi sperimentarono, per così dire, un rag‑
giungimento della maggiore età politica, inteso come una
predestinazione etnica immaginata come spontanea, a cui
nessuno poteva sottrarsi.
Un “divenire popolo” nel segno della croce uncinata di questo
tipo era stato ideato su ampia scala da intellettuali a tutti gli
effetti, ingegneri del discorso, geografi, filosofi e studiosi di
storia.40 Si pensi ad esempio all’eminente storico Theodor
Schieder, che nel 1930 così definì lo sfaccettato concetto di
popolo: «È il volto di un legame che sta al di sopra [dell’indi‑
viduo, N.d.A.], che questi sperimenta quotidianamente nella
famiglia, nelle più diverse associazioni a cui aderisce, nelle
organizzazioni della sua classe sociale e, in un contesto di vita
rurale, forse ancora nella comunità di villaggio.»41 E, quasi
pensasse alla situazione sudtirolese, aggiunse: «Soltanto là
dove nella battaglia per i confini i beni che uniscono un po‑
polo quali lingua e costumi affiorano alla coscienza del singo‑
lo in quanto ciò che a lui si contrappone, la cultura nazionale
straniera, […] il popolo è realtà.» Nelle formule, cariche di
pathos, di popolo e comunità riecheggiava il pensiero di una
bizzarra uguaglianza che non si reggeva più sugli ideali uni‑
versalistici della Rivoluzione francese o della Dichiarazione
d’indipendenza americana, ma ricorreva invece in termini
essenzialistici a un “sangue” comune.42 Tale uniformità ambi‑
valente, che si può definire anche in termini di egualitarismo
repressivo, si reggeva su criteri di esclusione e annientamento
Archivio provinciale di Bolzano, Fondo VKS/AdO, posizione 42, f. 11. Sulla carriera di Weber nel nazionalsocialismo cfr. stoppel 2004, pp. 16 sgg.
Sul codice di abbigliamento ritualizzato delle SA cfr. longericH 1989.
reicHardt 2009, pp. 133 sg.
Sull’idea di un genuino narcisismo völkisch cfr. römer 2017.
A riguardo fondamentale Bauer 2017, pp. 194 sgg.
Sui riti di passaggio e la loro funzione di collante della comunità in un’ottica antropologica cfr. turner 1998.
Il concetto di ingegnere è ripreso da eilenBerger 2018, pp. 282 sgg., che tuttavia lo utilizzava in un’accezione di progresso.
Citato e commentato in mommsen 1999, p. 187. Sull’importante ruolo di Schieder negli “studi sull’Est” in veste di “precursore” della politica di sterminio nazista
cfr. aly 1999, e faHlBuscH/Haar/pinWinKler 2017, pp. 714‑725.
Cfr. oBerKrome 1993, pp. 171 sgg.
degli altri. Una visione del mondo di questo tipo evidenziava
tutti i classici attributi di una ideologia del rinnovamento
basata su fede incondizionata nel salvatore, severi divieti di
pluralismo e suggestione comunitaria totale. Gli studi sul
fascismo hanno proposto per questo genere di disposizioni
l’idea di una palingenesi ultranazionalistica, di una esperien‑
za di rinascita attraverso l’adesione totale a una guida idola‑
trata.43 A tale nucleo mitico del fascismo tedesco aveva ceduto
anche la maggioranza degli uomini e donne sudtirolesi. Il
fascismo italiano, nella misura in cui li aveva tormentati per
anni e si era impadronito delle loro vite, li aveva letteralmente
spinti nelle braccia del suo corrispettivo tedesco. Ma questo
cammino lo avevano percorso anche da cittadini di uno Stato
di cui non si sentivano parte a tutti gli effetti, che non erano
mai riusciti a emanciparsi, o mai avevano voluto farlo, da un
atteggiamento di obbedienza incondizionata all’autorità che
gli era stato inculcato e che non si erano mai veramente scrol‑
lati di dosso lo «stato servile penetrato nella coscienza nazio‑
nale».44 L’autoritarismo era stato, per così dire, inculcato nelle
loro condotte e direzioni di vita cognitive ancor prima che
cominciassero a condividere le fantasie di risveglio del nazio‑
nalsocialismo, ritenuto il fascismo “giusto”, perché quello che
parlava la loro lingua e si sposava con le loro disposizioni.
Coeducazione nel nazionalsocialismo – la gioventù sudtirolese si esercita alla “comunità di
popolo” in occasione di una gita di attivisti del VKS, 1939 circa (Archivio provinciale di Bolzano,
Sammlung Tiroler Geschichtsverein, foto n. 1221)
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45
griffin 1993, pp. 38 sgg.; Id. 2005. Cfr. anche gentile 2005, cap. 10.
«Stato servile» è una felice espressione coniata da Friedrich Engels per dare conto, nel suo Anti-Dühring, del fallimento di tutti i tentativi di rivoluzione tedeschi
nell’Ottocento; cfr. engels 1975, p. 171.
Archivio provinciale di Bolzano, Fondo VKS/AdO, posizione 42, f. 11 (verso).
LA PAROLA AL
“VOLKSGRUPPENFÜHRER”
PETER HOFER
84
Il 13 novembre 1940 anche l’esponente di punta del nazio‑
nalsocialismo sudtirolese, Peter Hofer, sfruttò l’occasione di
rivolgersi ai partecipanti sudtirolesi del corso di formazione
tenuto a Hohenwerfen.45 Le sue osservazioni meritano di
essere riportate per intero, essendo Hofer il politico cui spettò
svolgere un ruolo cruciale nell’affermazione e consolidamen‑
to del movimento nazionalsocialista in Alto Adige.46 Nato
nel 1905 a San Michele, frazione di Castelrotto, dopo aver
ereditato e ceduto il maso familiare, lavorò a Bolzano come
sarto. Nel 1928 aderì al Katholische Jugendbund di Bolzano,
l’organizzazione giovanile cattolica di cui fu nominato re‑
sponsabile nel 1931; fu altresì attivista del gruppo clandestino
sudtirolese Nibelung, organizzazione giovanile di matrice
tedesco‑nazionale, così come della Arbeitsgemeinschaft der
volksdeutschen Jugend, la comunità di lavoro della gioventù
tedesca in Sudtirolo, di cui era membro del comitato locale di
Bolzano; nel 1931 fu arrestato dalla polizia italiana in quanto
membro del Gau-Jugend-Rat, il consiglio giovanile del Gau.
Dal 1933 al 1935 Hofer fu responsabile di circolo del VKS di
Bolzano e il carisma dimostrato nel seguirne la linea politica
gli valse, nel gennaio 1935 con il nome di battaglia “Hagen”, la
promozione a responsabile provinciale del VKS, cui conferì
una struttura fortemente gerarchica, secondo le direttive
della NSDAP.47 Hofer ottenne l’onorificenza della Gioventù
hitleriana. Dopo aver optato per la Germania nel 1939, nel
febbraio 1940 fu nominato responsabile amministrativo della
AdO, la Comunità di lavoro degli optanti per la Germania,
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che l’amministrazione fascista aveva frattanto autorizzato
ufficialmente a operare. L’ascesa della sua organizzazione fu
l’esito di una competizione policratica: benché fosse sub‑
alterna alla coeva Amtliche deutsche Ein- und Rückwanderungsstelle (ADERSt – Ufficio generale germanico per l’immigrazione e il rimpatrio), a capo della quale si trovava a Bolzano
l’Obersturmbannführer delle SS Wilhelm Luig, la AdO poté
sottrarsi in parte al loro coordinamento per via della diretta
intercessione del comandante supremo delle SS Heinrich
Himmler.48 Hofer aveva conservato un certo diritto alla ge‑
stione organizzativa delle questioni sudtirolesi, anche perché
sapeva assecondare in maniera incondizionata le misure
razziste e neocolonialiste della politica demografica delle
SS.49 Dopo l’aggressione tedesca alla Polonia Himmler era
stato nominato Commissario del Reich per il rafforzamento
dell’etnia germanica, e successivamente aveva avocato a sé
anche le competenze sul Sudtirolo.50 Le sue direttive venivano
trasmesse a Hofer, il quale peraltro ne condivideva appieno le
radicali concezioni di etnopolitica, dal Gruppenführer delle SS
Werner Lorenz, il responsabile della Volksdeutsche Mittelstelle
(VoMi – Ufficio centrale per il rimpatrio dei tedeschi etnici),
istituita nel 1937, e un tempo intermediario con il VKS.51 Con
la centralizzazione dell’etnopolitica ad opera della VoMi,
anche VKS e AdO erano venute a trovarsi sotto il diretto con‑
trollo delle SS, e Hofer, in qualità di “Volksgruppenführer”,
era assurto al rango di massimo rappresentante delle mino‑
ranze tedesche all’estero fra gli esponenti riconosciuti o inse‑
diati dalla politica nazionalsocialista.52
In linea con tali criteri, già nel succitato verbale di Hohenwer‑
fen Hofer viene indicato come Volksgruppenführer.53 In questa
sua funzione il 13 novembre rivolse queste parole alle guide
giovanili sudirolesi: «Vorrei invitarvi a fare ciò che vi invitai
già a fare in patria, fare il dovere che in patria ci attende. La
tragicità della nostra terra la dobbiamo vedere nel più crudo
Sulla sua biografia cfr. WedeKind 2003, pp. 133 sgg.
Ibid., WedeKind 2007, p. 409, e mittermair 2000, pp. 175 sgg.
WedeKind 2007, p. 423; WedeKind 2009, p. 73; fieBrandt 2014, pp. 557 sg.
stuHlpfarrer 1985, vol. I, pp. 288 sgg.; WedeKind 2003, p. 136.
stuHlpfarrer 1985, vol. I, pp. 237 sgg., in particolare p. 247; WedeKind 2003, p. 133.
WedeKind 2003, p. 133; lumans 2003.
Cfr. jacoBsen 1968, p. 245.
Archivio provinciale di Bolzano, Fondo VKS/AdO, posizione 42, f. 11 (verso).
dei modi, ma pensando alla Germania e alla grandezza del
Reich. Vogliamo mettere al servizio del Reich tutta la nostra
forza. Dobbiamo essere in grado di comprendere ciò che
significa guidare la gioventù, servirla e proporle un modello
tangibile di vita esemplare. Dobbiamo presentarci al nostro
popolo e alla nostra gioventù come uomini cristallini. Verrà
un tempo in cui auspichiamo di poterci presentare al nostro
popolo e di poterlo educare, assistere e formare. Potremo
allora dar prova [!] di come l’avevamo pensato negli anni
1926‑28. […] E continueremo a fare il nostro dovere là dove il
Führer ci ha messi, e allo stesso modo in cui organizziamo
la nostra gioventù, un giorno avremo il Reich. Se avrete
coscienza della grandezza dei tempi e della responsabilità,
riusciremo a superare questi momenti bui e servire per sem‑
pre il popolo tedesco.»
Al di là degli ideologemi della «grandezza dei tempi» e
all’aspirazione nazionalsocialista all’eternità, nelle argo‑
mentazioni di Hofer colpisce l’impiego ambivalente del
concetto di «patria» o «nostra terra». Non è chiaro infatti se
egli alludesse all’Alto Adige o alla Germania nazionalso‑
cialista. La mancanza di univocità rispecchiava il momento
storico e va inquadrata nell’ambito delle strutture di potere
del nazionalsocialismo, non chiaramente delimitabili, tese
anzi a sovrapporsi, e volte a rivaleggiare anche riguardo alla
problematica sudtirolese.54 Perciò le speranze riposte da
Hofer nel “rimpatrio” tedesco della popolazione sudtirolese
non riguardano uno spazio geografico stabilito una volta per
tutte. Si avverte perfino un tentativo di barcamenarsi fra la
posizione in favore di una emigrazione in massa degli optanti
sudtirolesi, che era ormai sul punto di compiersi, e il loro tut‑
to sommato auspicato rimanere in una patria che bisognava
mettere al sicuro mediante una “annessione”. All’epoca erano
molto probabilmente di ostacolo a tale forma di resilienza
etnopolitica considerazioni sulle alleanze, un’attenzione agli
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“assi” fascisti;55 ma è vero anche che tali ostacoli potevano
sembrare insuperabili solo temporaneamente, tenuto conto
della certezza di vittoria militare dello Stato nazionalsociali‑
sta, i cui piani politici sull’Europa sembravano realizzarsi alla
svolta del 1940‑41.56 Se si considera la Germania fascista una
dittatura dinamica, la cui inclinazione alle azioni militari e
il cui potenziale di adattamento geostrategico erano di gran
lunga superiori rispetto a quelli del regime italiano, è difficile
non riconoscere una certa plausibilità a simili aspettative.57
A partire dall’estate 1940 Peter Hofer non nascose le sue
perplessità riguardo al trasferimento; nell’esito della consul‑
tazione popolare volle vedere soltanto un voto inequivocabile
a favore dello Stato nazionalsocialista, non una disponibilità
a lasciare la propria terra.58 Tale prospettiva revisionista ed
espansionista avrebbe infatti trovato realizzazione a distanza
di poco più di tre anni, con l’invasione tedesca dell’Italia,
cominciata l’8 settembre 1943, e l’inserimento dell’Alto Adige
nella Zona di operazioni delle Prealpi per la gioia degli am‑
bienti favorevoli ai nazisti.59
Nelle sue dichiarazioni del 1940 Hofer aveva elencato in
modo efficace l’abc della dottrina völkisch ricorrendo a ele‑
menti retorici caratteristici dell’Agitprop nazionalsocialista.60
Inoltre aveva cercato di adattare il suo messaggio alla giovane
età dei destinatari, dal momento che la struttura organiz‑
zativa del VKS e della AdO si distingueva giustappunto per
l’impronta giovanile che avevano saputo darle.61 Tenuto conto
di tutto ciò, i toni aggressivi di Hofer e dei suoi pari possono
essere intesi anche come decisa presa di distanza rispetto alle
tradizionali élite sudtirolesi, da tempo arroccate su posizioni
di difesa, le quali erano organizzate nel Deutscher Verband e
in ambienti antifascisti, talora anche cattolici.62 L’età media di
queste persone era in genere di gran lunga superiore a quella
dei giovani adepti sudtirolesi del nazionalsocialismo, e non si
sbaglia a voler vedere in ciò anche lo schema di un conflitto
Sulla struttura policratica dell’apparato nazista cfr. rucK 1993.
WedeKind 2019, pp. 73 sg.
Sul momento storico del 1940‑41 cfr. KersHaW 2018, pp. 195‑218 (trad. it., pp. 153‑169).
Sul fecondo concetto di “dittatura dinamica” cfr. KersHaW 2018, pp. 401 sgg. (trad. it., pp. 303 sgg.).
WedeKind 2003, p. 408.
WedeKind 2003, pp. 70 sg.
Sugli aspetti linguistici della propaganda nazionalsocialista cfr. maas 1984.
oBermair 1990; mittermair 2002.
pallaver/steurer 2011, pp. 168 sgg.
85
generazionale. Sebbene il rifiuto delle Opzioni – la posizione
del “restare”, propugnata soltanto da una infima minoranza
di sudtirolesi di lingua tedesca e ladina – non sia riducibile a
una mera questione anagrafica, la propensione a migrare era
tuttavia, almeno in parte, correlata alle classi di età.
86
«RITORNO NEL REICH!»
La scelta a favore o contro il trasferimento in Germania anda‑
va fatta nel più breve tempo possibile. Gli accordi sul trasferi‑
mento, negoziati tra tedeschi e italiani a Berlino sotto la pre‑
sidenza di Himmler a partire dalla fine di giugno 1939, furono
resi noti attraverso la stampa locale il 22 ottobre 1939 come
«Direttive per il rimpatrio dei tedeschi del Reich ed emigra‑
zione dei tedeschi etnici dall’Alto Adige al Reich germanico»
e il 31 dicembre 1939 fu indicato come l’ultimo giorno utile
per manifestare la propria volontà attraverso un voto.63 I ter‑
mini di scadenza così ravvicinati accentuarono la drammati‑
cità di una “scelta”, dall’innegabile carattere coercitivo, che di
fatto investiva tutta l’esistenza di una persona. Il trasferimen‑
to fisico delle persone disposte a emigrare doveva avvenire,
durante e dopo la complessa definizione di tutte le questioni
patrimoniali, negli anni 1940‑41 e concludersi al massimo
entro il 1942.64 Ancora nell’aprile 1939, quando cominciarono
a circolare le prime voci sul trasferimento, gli esponenti del
VKS si erano opposti a tale progetto e avevano scritto alla
Volksdeutsche Mittelstelle appellandosi all’«unità inscindibile
di sangue e suolo» e, quindi, a uno dei «principi guida della
concezione del mondo nazionalsocialista».65 Metabolizzato lo
shock iniziale e tenuto conto della determinazione delle auto‑
rità del Reich germanico, le cerchie völkisch nel mese di luglio
avevano cambiato parere in quattro e quattr’otto e si erano
poste interamente al servizio della battaglia in favore delle
Opzioni; ciò che ora importava al VKS era far sì che il “corpo
del popolo” sudtirolese si pronunciasse in maniera schiac‑
ciante a favore del Reich, diventando così parte integrante
di quella che la propaganda dello Stato nazionalsocialista
aveva definito la «maggiore operazione di trasferimento della
storia universale»66 e riuscendo con la propria compattezza
63
64
Die Volkswanderung der Deutschen [La migrazione dei tedeschi]: carta del Volksbund für das Deutschtum im Ausland, Berlin 1940
(firmata «Erik»), nel quadrante in basso a sinistra i “rimpatriati” sudtirolesi che fanno il saluto nazista (Archivio Leopold Steurer)
65
66
67
68
69
70
71
etnopolitica a impressionare la dirigenza nazionalsocialista.67
Il testimone dell’epoca Friedl Volgger, uno dei fondatori
dell’organizzazione di resistenza Andreas-Hofer-Bund, che per
via delle sue posizioni fu deportato nel marzo 1944 nel campo
di concentramento di Dachau, tracciò nelle sue memorie,
pubblicate nel 1984, un efficace quadro dell’atmosfera che
allora regnava: «[…] chi non voleva tornare a casa nel Reich
dal Führer, non tardò a essere stigmatizzato come traditore. Il
VKS disponeva in provincia di una solida organizzazione, cui
si ricorse in modo sistematico quando, nel mese di ottobre,
partì la valanga propagandistica in favore del ’Ritorno a casa
nel Reich’. […] Il battage per le Opzioni fu condotto nello
stile caratteristico del ministro della Propaganda del Reich, il
dottor Joseph Goebbels.»68
Volgger, ritornando ai fatti di quell’epoca alla fine del Nove‑
cento, ha reso una descrizione piuttosto precisa di quella che
era la situazione. Negli ultimi mesi del 1939 si fece strada una
drammaticità esasperata, che senza dubbio segnò una cesura
epocale in Alto Adige.69 Lo dimostra chiaramente anche il
rinvio pluridecennale della messa a tema del dramma delle
Opzioni nella cultura della memoria della società sudtiro‑
lese del dopoguerra. La comunità di lingua tedesca e ladina
fece una fatica incredibile ad ammettere la propria implica‑
zione in termini di fede nel “Führer” e simpatie per il nazi‑
smo – privilegiò un silenzio collettivo e batté sulla tesi dell’es‑
sere stata vittima prima che, a seguito di impegnativi dibattiti
e soprattutto grazie alla pionieristica mostra di Bolzano
Option – Heimat – Opzioni del 1989, venisse sollevata la questio‑
ne della propria corresponsabilità.70 Ma la concisa istantanea
di Volgger contiene anche un rimando calzante all’istituzione
cruciale della propaganda nazionalsocialista, il Reichsministerium für Volksaufklärung und Propaganda (RMVP), cioè ministe‑
ro del Reich per la Pubblica Istruzione e la Propaganda, retto
da Goebbels.71 Non c’era luogo in cui i settori di propaganda,
stuHlpfarrer 1985, vol. I, pp. 140 sgg.
stuHlpfarrer 1985, vol. I, pp. 152 sg., vol. II, p. 426.
volgger 1984, pp. 53 sg.; simile pfanzelter 2014, p. 27.
È quanto annunciava una carta della propaganda nazionalsocialista riferendosi al cosiddetto “Warthegau” e alle operazioni di trasferimento nel territorio
annesso intorno a Posen dopo la “campagna militare contro la Polonia”; cfr. Deutsches Bundesarchiv Koblenz, R 49 Bild-0705; la carta riporta anche i
«Süd-Tiroler». Sul contesto complessivo cfr. Broszat 2010, pp. 85 sgg.
Heiss 2014, p. 20.
volgger 1984, p. 33.
Conciso a tale proposito Heiss 2009, e Id. 2014, pp. 16 sg.
steurer 1980; Tiroler Geschichtsverein Bozen 1989; messner 1989; Heiss 2014, p. 16.
Cfr. Krings 2005; müHlenfeld 2006.
87
88
politica e guerra fossero più strettamente intrecciati e organi‑
camente ideati come in questa istituzione del Reich con il suo
apparato monumentale e le sue molteplici competenze.
MATERIALE E PROVENIENZA
trasfigurato liricamente l’“annessione” dell’Austria. La sua
poesia März 1938 terminava con le seguenti strofe pervase di
religiosità:
Le composizioni pittoriche sudtirolesi che di seguito presen‑
teremo erano destinate al ministero della Propaganda per
fungere probabilmente da modelli, come dimostrano le sigle
RMVP o RMVuP, quasi onnipresenti sul retro dei disegni.
In quanto materiale di “mobilitazione spirituale” – questo il
compito essenziale ufficialmente assegnato al ministero72 – le
immagini, nel caso fossero state diffuse o utilizzate in contesti
concreti – erano soggette ad autorizzazione. Ma erano
soprattutto parte di un clima di violenza diffuso a livello euro‑
peo, esistente nell’ambito delle Umvolkungen, o metamorfosi
etniche, avviate con la guerra quali trasferimenti coatti di po‑
poli. Il nesso fra le Opzioni sudtirolesi e la politica demografi‑
ca radical-razzista del “Piano generale per l’Est” è stato finora
colto ed evidenziato troppo poco.73 Una valutazione dei modi
di agire sul piano regionale non può prescindere dall’inserire
anche le migrazioni sudtirolesi del 1940‑41 nei piani di un
nuovo ordine incentrato sulle politiche della razza delle élite
nazionalsocialiste. Ma ciò equivarrebbe ad ammettere anche
che la vicenda delle Opzioni non può essere ridotta a un
evento, seppur determinante, della storia dell’Alto Adige, ma
piuttosto che essa va implicitamente connessa con la vicenda
delle espulsioni e degli stermini, in cui i sudtirolesi tedeschi
da trasferire erano previsti sia come oggetti che come benefi‑
ciari. Il trasferimento dei sudtirolesi dipendeva quindi da un
ordine di politiche demografiche, indubbiamente riferibile
alla costruzione dello Stato nazionalsocialista fondato su
una gerarchia di razze e, quindi, inquadrabile in un contesto
violento di omogeneizzazione biopolitica.74 Ma come dare
concretezza a simili connessioni? Alcune risposte a tale do‑
manda le può dare una collocazione descrittiva ed esplicativa
dei bozzetti sudtirolesi sulle Opzioni.
Nel 2019 il Museo storico‑culturale della Provincia di Bol‑
zano che ha sede a Castel Tirolo è riuscito ad acquistare in
due tranche presso una libreria antiquaria del materiale
di propaganda originale, mai visto prima, riguardante le
Opzioni del Sudtirolo. Si tratta di 12 fogli raffiguranti boz‑
zetti eseguiti con tecniche miste, perlopiù a colori. I soggetti
sono inequivocabili: le scene estremamente convenzionali,
ancorché cariche di pathos, mostrano uomini, donne e bam‑
bini, perlopiù in costume sudtirolese, che davanti allo scena‑
rio dei monti patri (Sciliar e gruppo del Catinaccio) stanno
compiendo una strana cerimonia d’addio e nel contempo,
mediante il saluto tedesco con la mano destra sollevata,
giurano «fedeltà alla Germania». La bandiera con la croce
uncinata che si agita al vento ricorre a più riprese, in due casi
è raffigurata invertita. Le rappresentazioni innegabilmente
nazionalsocialiste illustrano in modo cerimonioso una certa
lirica del tempo, in particolare la poesia apologetica Aufbruch
di Karl Felderer (1895–1989), un autore sudtirolese che asso‑
ciava il metaforismo del geranio rosso sangue («brennende
Lieb») alla disponibilità a emigrare:
«Bald läuten die Glocken das Osterfest ein, / Und Auferstehung
wird wieder sein. / Dann schauen wir dankbar zum Herrgott
auf, / Verzagen nicht und bauen darauf, / Die Frauen, die Kinder,
die Männer, / Denn heute steht Deutschland am Brenner.»76
72
73
74
75
«So reißet vom sonnigen Erker / Die letzte brennende Lieb; /
Die Treue zu Deutschland war stärker, / Das Heiligste, was
uns blieb. /
Wir nehmen sie mit im Herzen, / Für and’re dereinst Symbol, /
Sie stille des Heimweh’s Schmerzen: / Leb wohl, du mein
Südtirol.»75
Felderer, noto soprattutto come autore del popolare Bozner
Bergsteigerlied, il canto degli scalatori di Bolzano («Wohl ist
die Welt so groß und weit…») del 1926, già nel 1938 aveva
syWotteK 1976, p. 23.
Sulle pianificazioni territoriali dei nazionalsocialisti in Europa orientale cfr. rössler/scHleiermacHer/tollmien 1993, e Heinemann 2003. corni 2014 accenna a un
nesso con le Opzioni sudtirolesi.
Incisivo a riguardo WedeKind 2009, pp. 78 sgg. Sulla biopolitica nazista cfr. Braun/linzner/KHairi-taraKi 2017.
Opfergang und Bekenntnis 1940, p. 50 («Strappate dal bovindo assolato / L’ultimo fiammeggiante amor; / Più forte fu la fedeltà alla Germania, / Quanto di più
sacro ci rimase. / Con noi la portiamo nel cuore, / Per altri un tempo simbolo, / Silenzioso dolor di nostalgia: / Addio, mio Sudtirolo»). La poesia fu diffusa anche
in una versione a stampa, sotto la fotografia di una finestra contadina decorata da gerani; è riprodotta in Tiroler Geschichtsverein Bozen 1989, p. 164, e in Kraus/
oBermair 2019, p. 210. Sul testo cfr. foppa 2003, pp. 47 e 94, e pumBerger 2015, p. 175.
Nel 1986 Felderer scrisse una “presentazione” al volume
di memorie di Willy Acherer, un sudtirolese che era stato
membro delle SS.77 Alla poesia sulle Opzioni di Felderer
possiamo accostare altri testi letterari tendenziosi di autori
sudtirolesi coevi, quali Erich Kofler, Hubert Mumelter, Carl
Zangerle e Franz Sylvester Weber. Nel 1940 costoro avevano
dato alle stampe, pagando il tipografo di tasca propria, un
volume di poesie dall’inequivocabile titolo di Opfergang und
Bekenntnis (Sacrificio e professione di fede) in cui, accanto a
liriche sul tema di “sangue e suolo”, figura anche una specie
di cronaca degli eventi volta a trasfigurare le dense vicende
occorse fra il 29 giugno 1939 («Tag des Schicksals», cioè giorno
del destino) e il primo gennaio 1940 («Das Volk ist gerettet»,
cioè il popolo è salvo) nell’ottica del VKS alla luce della scelta
plebiscitaria sulle Opzioni.78 La rassegna annalistica rivela
tutte le posizioni e motivazioni che in termini di psicologia
sociale trasformarono gli attori del VKS in una «generazione
dell’assolutamente necessario».79 Ecco allora che si parla del
«messaggio del Reich faccia a faccia con il nemico di sempre»
(cioè l’Italia), delle «armi di una ventennale lotta per la cultu‑
ra nazionale di un popolo», di «impegno völkisch» a emigrare
nel Reich germanico, della «voce del sangue tedesco», del
«sacrificio maggiore di un’eterna nostalgia» e di un «salvatag‑
gio» dovuto all’«adempimento del proprio dovere» – grazie
all’esito schiacciante delle Opzioni, la «provvidenza» avrebbe
«tenuto in serbo un futuro tedesco al fiero e meraviglioso
76
77
78
79
80
81
popolo del Sudtirolo».80 Proprio l’appello alla «provvidenza»
tirava in ballo un termine caro al gergo nazionalsocialista,
che in tal modo cercava di legittimare l’atteggiamento di
fondo, affatto volontaristico, della politica nazionalsocialista
con il rimando alla predestinazione, a una linea d’azione e
di sviluppo preventivamente determinata.81 Nel contesto
delle Opzioni la categoria messianica della predetermi‑
nazione era in tutta evidenza funzionale al superamento
della palese aporia e irrazionalità di un mantenimento
attraverso l’emigrazione, di una conservazione attraverso
un abbandono. Essa consentiva agli attori la partecipazio‑
ne differenziata a un discorso sacrale di totalità völkisch e li
sollevava psichicamente dal paradossale background della
rinuncia collettiva alla propria terra, significato ultimo del
trasferimento.
È proprio questo insieme di motivi a imporsi nel materiale
propagandistico della VKS. Niente avrebbe saputo
illustrare meglio la dottrina della predestinazione del
nazionalsocialismo dei bozzetti pubblicitari che incitavano
i sudtirolesi a optare per la Germania. La seguente compila‑
zione descrive i contenuti delle immagini e consente di farsi
un quadro generale delle altre notizie relative a esecutori e
destinatari contenute nel materiale:
Tiroler Geschichtsverein Bozen 1989, p. 123 («Presto suonano a festa le campane pasquali, / E sarà ancora Risurrezione. / Allora gli occhi leveremo grati al Signore, /
Non disperano e in essa confidano, / Le donne, i bambini, gli uomini, / ché oggi al Brennero c’è la Germania.»).
acHerer 1986; su Acherer, membro dell’unità scelta dei “Brandeburghesi”, cfr. casagrande 2015, pp. 110‑113.
Opfergang und Bekenntnis 1940, pp. 39‑48.
Mi rifaccio qui a Wildt 2015, che in tal modo definì in maniera incisiva il corpo di comando della Direzione generale per la sicurezza del Reich.
Opfergang und Bekenntnis 1940, p. 48.
A riguardo cfr. Klemperer 1990, pp. 144 sg. (trad. it., pp. 144 sg); cfr. anche maas 1984, p. 144.
89
N. INV.
CASTEL TIROLO
702504
(bozzetto n. 1)
702505
(bozzetto n. 2)
SOGGETTO
Un soldato della Wehrmacht con il mitra in spalla
e uno Schütze con il fucile a canna corta in spalla,
entrambi sulla spalla destra, avanzano all’unisono
verso sinistra, con sullo sfondo lo Sciliar e le due
punte, Santner e Euringer, dietro le quali risplende
un sole a forma di croce uncinata. Accanto la scritta
«Für Führer und Vaterland!» (Per il Führer e la
madrepatria!)
Famiglia di sei membri, sorridente e intenta a
salutare davanti al massiccio dello Sciliar, visto da
nord, accanto a loro la bandiera nazionalsocialista
che si muove al vento con disegnata sopra la croce
uncinata, invertita, circondata dalle scritte
FIRMA
DELL’ESECUTORE
DIMENSIONI
RMVP 18950-VKS
Al Landesführer del VKS Peter Hofer
Müller
(fra le gambe dello
Schütze)
35×50 cm
702506
(bozzetto n. 3)
90
702507
(bozzetto n. 4)
Quattro bandiere nazionalsocialiste del Reich che
si muovono al vento davanti a un’aquila imperiale
e alla parrocchiale di Bolzano
702508
(bozzetto n. 5)
Sotto la scritta «Heim ins Reich!» (Ritorno nel
Reich!) un uomo che regge tra le braccia un bimbo
davanti a un vitigno, una brocca e un maso, lo
sguardo rivolto a nord, direzione che indica con la
mano, e dei fiori rossi (gerani), sullo sfondo un sole
a forma di croce uncinata che sorge dietro la catena
montuosa
702509
(bozzetto n. 6)
In disparte, coppia di uomo e donna in costume
con in braccio un bimbo piccolo e lo sguardo rivol‑
to al sole a forma di croce uncinata che sorge dietro
il Catinaccio; davanti a loro sulla destra la scritta
«Heim ins Reich!» (Ritorno nel Reich!)
702510
(bozzetto n. 7)
Timbro tondo delle «Waffen-SS – Leibstandarte Adolf
Hitler» / Autorizzato da Heiner
Giovinetto (con cartella a zaino) e fanciulla,
entrambi con lo sguardo rivolto a nord e intenti
a compiere il saluto tedesco con la mano destra,
davanti al Catinaccio e alle punte Santner e
Euringer e alla scritta «Heim ins Reich!» (Ritorno
nel Reich!)
Consegnare PERSONALMENTE al Landesführer
del VKS, signor Peter Hofer, tramite l’Obersturmbannführer delle SS Josef Dorfmann
Lieblein
(sul polpaccio
del giovinetto)
35,5×24,8 cm
Come inserto pubblicitario e giornale murale
AdO [in celeste in basso a destra]
Personalmente: Landesführer Peter Hofer VKS
tramite l’Obersturmbannführer delle SS J.
Dorfmann
Consegnato personalmente tramite l’Obersturmbannführer
delle SS J. Dorfmann
Timbro tondo delle «Waffen-SS – Leibstandarte Adolf
Hitler» / Autorizzato da Heiner
RMVP 19475
N. Hürbel
35×50 cm
702511
(bozzetto n. 8)
Bozzetto originale, giornale murale e banner
Una giovane donna, con indosso un semplice abito
estivo, davanti al gruppo del Catinaccio saluta con
la mano destra la sua terra sotto la scritta «Heim
ins Reich!» (Ritorno nel Reich!)
per conoscenza Gunther Langes Bozner Tagblatt
EDDY
(sulla spalla sinistra
della donna)
18,2×42,8 cm
Bozzetto per banner pubblicitario e giornale
murale
AdO [in basso a sinistra in celeste]
AdO [in celeste, sul margine inferiore destro]
RMVP 19967-OZAV
(a sinistra accanto
alla figura)
Timbro tondo delle «Waffen-SS – Leibstandarte Adolf
Hitler» / Autorizzato da i.v. Herbert
35×50 cm
Bozzetto originale per giornale murale e inserto
Al signor Peter Hofer S. Michele/Castelrotto PERSONALMENTE tramite l’Obersturmbannführer delle SS J.
Dorfmann
702512
(bozzetto n. 9)
AdO [in celeste, sul margine inferiore destro]
Ferrari – Bz
(sulla seconda
bandiera)
35×50 cm
Timbro tondo delle «Waffen-SS – Leibstandarte Adolf
Hitler»
AdO [in celeste, sul margine inferiore destro]
34,5×24,5 cm
702564
(bozzetto n. 10)
702565
(bozzetto n. 11)
Un braccio destro, sollevato nel saluto tedesco, che
nel contempo spezza una catena stretta intorno al
polso. Dietro di esso lo stemma della città di Mera‑
no (sullo stemma la rossa aquila tirolese siede sulle
mura cittadine con le tre torri)
702566
(bozzetto n. 12)
In disparte una donna che regge un neonato col
braccio sinistro e con la destra sventola un faz‑
zoletto salutando lo Sciliar e le punte Santner ed
Euringer (viste dunque da nord); ai suoi piedi una
fanciulla, anch’essa in disparte. Scritte in rosso:
«Der Führer ruft!» (Il Führer chiama!) e «Heim ins
Reich!» (Ritorno nel Reich!)
RMVuP “Heim ins Reich” / 18389-VKS
Al signor Landesführer Peter Hofer, VKS
RMVP 19301-OZAV
A-S-I
(preceduta da n.;
sul margine inferiore
sinistro)
Timbro tondo delle «Waffen-SS – Leibstandarte Adolf
Hitler» / Autorizzato da Heiner
29,2×20,5 cm
Timbro tondo delle «Waffen-SS – Leibstandarte Adolf
Hitler» / Heiner
Giornale murale e annuncio
AdO [in basso a destra in celeste]
Personalmente! Al signor Peter Hofer (VKS),
S. Michele/Castelrotto
latore: Obersturmbannführer delle SS [sopra
l’impiego cancellato] J. Dorfmann
E. Müller
(a sinistra all’altezza
dell’anca del giovane
appartenente alla
Gioventù hitleriana)
42,5×32,5 cm
Timbro tondo delle «Waffen-SS – Leibstan‑
darte Adolf Hitler» / [timbro con sigla illegi‑
bile] RMVuP
Volantino / bozzetto di campo estivo giovani e
Gioventù hitleriana
Autorizzato da Heiner
latore: Obersturmbannführer delle SS J. Dorfmann
(in posizione centrale,
in basso, fra le gambe
dell’uomo)
Giovane appartenente alla Gioventù hitleriana
ritratto di profilo, intento a suonare una tromba
da cui pende un gagliardetto nazionalsocialista
su fondo rosso‑bianco, in primo piano lo stemma
della città di Bolzano, in posizione mediana cinque
tende chiare, sullo sfondo il gruppo del Catinaccio
Scritta: «Sommer-Zeltlager / der Hitlerjugend»
(Campo estivo della Gioventù hitleriana)
Il sorgere di un sole a forma di croce uncinata
(invertita), posto tra lo stemma della città di Bolza‑
no (a sinistra) e l’aquila imperiale (a destra), sotto la
scritta «Deutsches Geschäft» (Compito tedesco)
Personalmente al signor Peter Hofer, S. Michele/Castelrotto
Sparer
Timbro tondo delle «Waffen-SS – Leibstan‑
darte Adolf Hitler» / Autorizzato da Heiner
RMVP – 18997-OZAV
Da consegnare PERSONALMENTE al Landesführer del
VKS signor Peter Hofer tramite l’Oberscharführer delle SS
Josef Dorfmann
S. Walch
Timbro tondo delle «Waffen-SS – Leibstan‑
darte Adolf Hitler» / Autorizzato da Stofner
RMVP 19873-OZAV VORENTWURF 2/III
Come giornale murale / Bozzetto originale di E. Müller
secondo un disegno di Luis Alton
«Großdeutschland ruft!» (La grande Germania
chiama!) e «Heim ins Reich!» (Ritorno nel Reich!)
Un giovane, vestito grosso modo come un membro
della Gioventù hitleriana, fa a pezzi con un martel‑
lo da fabbro una sbarra rosso‑bianca che segna il
confine, alle sue spalle il massiccio del Catinaccio
con un sole stilizzato a forma di croce uncinata
e le scritte «Großdeutschland ruft!» (La grande
Germania chiama!) e «Heim ins Reich!» (Ritorno
nel Reich!)
TESTO SUL RETRO
(non firmato)
20,8×29,5 cm
[senza annotazioni]
Al signor Peter Hofer S. Michele/Castelrotto
HG.
(sopra l’attaccatura
del braccio)
Da consegnare personalmente!!!
34×25,5 cm
Tramite l’Hauptsturmbannführer delle SS J.
Dorfmann
firmato: Heiner
Klause
(al di sotto della gonna
della donna)
40×29,5 cm
[tutto il retro coperto di colore grigio‑nero,
senza annotazioni]
91
La provenienza lineare del materiale, di cui gli studi sulle
Opzioni prima d’ora ignoravano completamente l’esistenza,
non dà adito a dubbi circa la sua autenticità. Provenienti
dal lascito di un sudtirolese appartenente alle SS morto nel
1944 per le ferite riportate in guerra, i bozzetti, che sono stati
visionati in epoca recente, ma che sono rimasti sempre in
possesso della famiglia del testatore, sono arrivati al Museo
provinciale di Castel Tirolo nel 2019 attraverso il mercato an‑
tiquario locale. Dato il loro carattere di lascito, i disegni sono
da considerarsi alla stregua di materiali d’archivio riguardan‑
ti la storia contemporanea.82 Il testatore del lascito era Josef
Dorfmann; quasi tutti i bozzetti recano sul retro il suo nome,
il che induce a ipotizzare che le annotazioni a inchiostro nero
siano di suo pugno.83
92
Annotazioni sul retro del bozzetto n. 1 (Museo provinciale di Castel Tirolo, n. inv. 702504)
82
83
Sulla definizione dei materiali d’archivio cfr. stumpf 2018, pp. 57 sgg.
Di suo pugno ci è giunta, a titolo di confronto, soltanto la firma apposta in calce al modulo delle Opzioni, un elemento a tutti gli effetti insufficiente per effettuare un
confronto grafologico.
JOSEF DORFMANN
(1921–1944)
Chi era l’Obersturmbannführer delle SS Josef Dorfmann?
Informazioni utili sulla sua vita si trovano nel fondo Opzioni
dell’Archivio di Stato di Bolzano, tra i fascicoli della Dienststelle Umsiedlung Südtirol (DUS – Ufficio per il trasferimento
degli emigranti sudtirolesi) del Tiroler Landesarchiv di
Innsbruck, così come nello schedario nominativo centrale
della Deutsche Dienststelle (WASt) del Bundesarchiv Berlin.
Gli uffici, tanto italiani che tedeschi, si caratterizzavano per
un apparato amministrativo burocraticamente pletorico,
i cui documenti e atti sono conservati in archivi sparsi un
po’ dappertutto.84 Stando al materiale d’archivio esaminato,
Dorfmann nacque il 7 aprile 1921 a Neustift/Novacella, vicino
Bressanone, oggi parte del Comune di Varna. I suoi genitori
erano l’omonimo Josef Dorfmann e Kreszens Huber; era
residente a «Neustift n. 35»; altri dati riportati riguardano la
«professione: studente», la «confessione religiosa: cattolico»
e l’«appartenenza etnica: tedesco».85 Sugli anni di scuola non
si trovano notizie (anche se è probabile che abbia frequen‑
tato la vicina scuola dell’abbazia di Novacella)86, ma la sua
biografia assume forme più chiare a seguito della domanda
da lui presentata il 7 dicembre 1939 per ottenere «l’autoriz‑
zazione a emigrare nel Reich germanico».87 Contestuale alla
presentazione di tale domanda era – ai sensi dell’accordo
italo‑tedesco del 23 giugno 1939 sulle Opzioni – la richiesta di
«perdita della cittadinanza italiana e di congedo dagli obbli‑
ghi di leva così come la concessione della cittadinanza del
Reich germanico». Nel modulo egli dichiarava altresì di non
«essere a conoscenza del fatto che sussistessero dubbi circa
la discendenza ariana sua e dei membri della sua famiglia».
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Dorfmann corrispondeva con ciò in maniera idealtipica al
profilo di quei giovani esaltati il cui entusiasmo per la guer‑
ra, riconducibile a convinzioni tedesco‑nazionali – subito
dopo l’aggressione tedesca della Polonia del 1° settembre
1939 –, non tardò a farne dei volontari della Wehrmacht e
delle SS.88 Si trattava di giovani uomini che nell’autunno‑
inverno 1939 o avevano già prestato il servizio di leva italiano
o erano in attesa di essere chiamati e preferirono entrare
nelle fila dell’esercito tedesco, dal momento che la «bussola
politica delle loro azioni e battaglie» (Leopold Steurer) era
orientata sulle visioni da grande potenza della Germania
nazista. Lo slancio e l’eccesso di vitalità di questa generazio‑
ne, che ci teneva a smarcarsi da quella dei genitori entrati
in società nell’Austria asburgica, erano permeati da modelli
di pensiero imbevuti della lotta per la cultura nazionale e
della comunità di popolo – i suoi obiettivi esistenziali erano
pervasi dalle categorie völkisch della germanicità di frontiera
e della cultura dei tedeschi etnici e, date le buie prospettive
per il futuro in una terra diventata italiana, tendevano a
puntare tutto sulla “carta tedesca” e a trasformare i propri
rancori in radicalizzazione ideologica.89
Possiamo ipotizzare che anche in Dorfmann il rapporto di
vicinanza psicologico‑mentale al nazionalsocialismo fos‑
se determinato in egual misura dai fattori di spinta della
politica fascista di snazionalizzazione in Alto Adige e dai
programmi ideologici del VKS, che trovarono espressione
soprattutto nel Lied der Kriegsfreiwilligen, il canto dei volon‑
tari di guerra, divenuto popolare alla fine di novembre 1939.
Si trattava dell’adattamento di un canto della Grande Guerra
di Bertold Funke a una melodia di Gerhard Pallmann, un
artefice della propaganda nazista; il testo era ora introdotto
dalla strofa alludente all’Alto Adige e recitante: «Wir sind
der Südmark Jungmannschaft».90 Tipica di questi canti
è la vicinanza strutturale al movimento giovanile e delle
Sulla funzione stabilizzante della burocrazia in tutti e due i fascismi cfr. BacH/Breuer 2010. Un elenco dei numerosi fondi d’archivio riguardanti le Opzioni
sudtirolesi, di cui è pressoché impossibile avere un quadro d’insieme, si ritrova in lutt 2016.
Tiroler Landesarchiv Innsbruck [d’ora innanzi TLA], Dienststelle Umsiedlung Südtirol (DUS), Stammbogen Josef Dorfmann (Kennnummer 303.405) [Modulo
anagrafico di Josef Dorfmann (n. di matricola 303.405)]. Di seguito il fondo verrà indicato come DUS-Akte Josef Dorfmann [Fascicolo della DUS su Josef Dorfmann].
Nel “Fascicolo Opzioni” Dorfmann è chiamato «studente ginnasiale»: Archivio di Stato di Bolzano, Opzioni, Domanda di opzione Josef Dorfmann, fasc. n. 74632.
Di seguito indicato come Fascicolo Opzioni Josef Dorfmann.
TLA, DUS‑Akte Josef Dorfmann [Fascicolo della DUS su Josef Dorfmann].
steurer 2011, pp. 55 sgg.
steurer 2011, p. 56. Sul concetto di radicalizzazione politica cfr. griffin 2005 e Kundnani 2012.
«Siamo la squadra dei giovani della Marca meridionale». La notazione del canto è riprodotta in steurer 2011, p. 62, il quale approfondisce anche il discorso
sulla sua funzionalizzazione negli ambienti delle reclute sudtirolesi della Wehrmacht e delle SS.
93
confraternite völkisch, di cui anche i giovani volontari sudti‑
rolesi condividevano il culto del corpo e gli ideali di bravura.91
Frontespizio del fascicolo di trasferimento di Josef
Dorfmann con due foto tessera (Tiroler Landesarchiv,
DUS 303.405)
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95
Quando presentò domanda per l’ottenimento della cittadi‑
nanza tedesca, Dorfmann aveva appena compiuto diciotto
anni, non aveva, quindi, ancora raggiunto la maggiore età
che all’epoca, secondo il diritto tedesco, si conseguiva a ven‑
tuno anni. Il 3 gennaio 1940 fece domanda alla Prefettura
di Bolzano, a capo della quale si trovava allora Giuseppe
Mastromattei, un fascista della prima ora, di un passaporto
valido due mesi per potersi trasferire nel Reich germanico.92
Essendo ancora minorenne, dovette allegare anche un con‑
senso scritto del padre (datato 2 gennaio 1940), suo tutore
legale secondo il diritto italiano. L’iter della pratica ammini‑
strativa giunse a termine il 27 marzo 1940, come evidenziano
il timbro in calce che indica Anno XVIII E. F. (Era Fascista),
e il suo espatrio, di cui dà conto il timbro senza data che
recita «Trasferitosi in Germania».93 Il raggiungimento della
maggiore età non era richiesto per svolgere il servizio di leva:
secondo il Wehrgesetz (legge sul servizio militare) varato il
21 maggio 1935 dal governo nazionalsocialista del Reich, in
aperta violazione delle condizioni del trattato di pace che
vietava i piani di riarmo, «ogni uomo tedesco […] di discen‑
denza ariana» era soggetto agli obblighi di leva al compimen‑
to dei diciotto anni.94 Il modulo anagrafico del fascicolo sul
trasferimento di Dorfmann indica come termine auspicato
dell’espatrio i mesi di marzo‑aprile 1940 e come luogo auspi‑
cato Innsbruck.95 Da quel documento apprendiamo anche
che Dorfmann non possedeva né terreni né altri beni mobili.
«Dare esami e continuare a studiare» è ciò che indicò come
attività auspicata nel luogo di destinazione. La domanda
venne presentata l’11 gennaio 1940 all’Ufficio di collocamento
di Innsbruck, come evidenzia il timbro dell’ufficio. Reca la
data del 20 febbraio 1940 l’iscrizione alla Lega studentesca
del Gau (Gaustudentenbund), termine che indica senza dubbio
Sul culto del corpo dei movimenti giovanili tedesco-nazionali cfr. la rassegna storiografica in siemens 2007.
Archivio di Stato di Bolzano, Fascicolo Opzioni Josef Dorfmann. Su Mastromattei cfr. esposito 2012, pp. 47‑50.
Archivio di Stato di Bolzano, Fascicolo Opzioni Josef Dorfmann.
“Reichsgesetzblatt”, 1935, I, pp. 369-375; a riguardo cfr. frevert 2001, pp. 317 sgg.
TLA, DUS‑Akte Josef Dorfmann [Fascicolo della DUS su Josef Dorfmann].
l’associazione nazionalsocialista degli studenti, istituita nel
1938 presso la “Deutsche Alpenuniversität” di Innsbruck.96
Qui come in altri atenei del Reich germanico, tale organiz‑
zazione militante, unitamente alla Lega dei docenti del Gau
(Gaudozentenbund), era responsabile del controllo ideologico
e del mantenimento dell’ordine fra gli studenti.97 Nulla sap‑
piamo del corso di studi scelto da Dorfmann, né se sia stato
ammesso a seguire delle lezioni – nella migliore delle ipotesi
avrebbe potuto cominciare nel semestre estivo.98 La sua pra‑
tica amministrativa di naturalizzazione fu esaminata dalla
Abteilung Umsiedlung Südtirol/Abteilung IV, la ripartizione IV,
competente per il trasferimento dei sudtirolesi, del Capita‑
nato regionale di Tirolo e Vorarlberg, in data 9‑11 marzo – sul
modulo compare un timbro indicante che all’epoca il richie‑
dente viveva «ancora in Italia».99 A partire dal 5 giugno 1940 la
presenza di Dorfmann è documentata nel campo di Mühlau,
vicino Innsbruck, una sistemazione di fortuna per i migranti
a cui non era stato ancora assegnato un alloggio. Quel giorno
gli viene consegnato il certificato di naturalizzazione (Reichsangehörigkeit) convalidato a nome del Reich germanico dal
governatore del Reich di Tirolo e Vorarlberg (e recante la
firma del dottor Kneringer).100 Il giorno precedente l’ufficio di
Bressanone della ADERSt aveva steso un «rapporto conclu‑
sivo» riguardante lo sblocco della partenza di Dorfmann, il
1° giugno, e il rilascio da parte del questore di Bolzano di un
«passaporto speciale italiano», emesso a titolo provvisorio,
necessario per recarsi oltre confine. Alla voce «osservazioni»
sul documento si legge: «Volontario: punto di raccolta dell’e‑
sercito a Innsbruck».101
Viene così descritto il fondamentale passaggio di Dorfmann
dalla vita civile a quella militare. Il 4 giugno, la vigilia del
conferimento della cittadinanza tedesca, egli richiese il li‑
bretto di servizio a Innsbruck e il 7 passò la visita di leva nel
locale comando del distretto militare.102 Il Foglio matricolare
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militare reca sulla prima pagina il vistoso timbro rosso con la
scritta «Rückgewanderter Südtiroler», cioè sudtirolese rimpa‑
triato, laddove nel linguaggio nazionalsocialista il “rimpatrio”
indicava il “ritorno in patria dei tedeschi etnici” – gli altri dati
riportati sul documento indicano che Dorfmann venne subi‑
to assegnato alle Waffen SS, il corpo al quale probabilmente
lui stesso aveva chiesto di essere assegnato.
Fece così parte della prima ondata di reclutamento di vo‑
lontari delle SS sudtirolesi che negli anni 1940‑41 e, quindi,
nella fase iniziale della Seconda guerra mondiale aspirarono
numerosi a essere ammessi nell’unità militare che si consi‑
derava l’élite e la punta di diamante dell’esercito tedesco.103 Il
profilo sociale di tale contingente di volontari è stato indagato
nel dettaglio e ampiamente ricostruito da Thomas Casagran‑
de.104 Lo storico tedesco è riuscito in particolare a dimostrare
statisticamente che i giovani sudtirolesi, rispetto all’insieme
degli abitanti della regione, erano sovrarappresentati nelle
Waffen-SS.105 Casagrande ha altresì elaborato un profilo
socio‑psicologico delle reclute che, almeno nella prima on‑
data, evidenziarono una mentalità da avventurieri tipica dei
legami di solidarietà maschile, che ovviamente andava di
pari passo con un maggiore potenziale di aggressività e una
elevata disponibilità a uccidere.106 Membri sudtirolesi delle
SS si macchiarono di crimini di guerra e fecero parte dei
corpi di guardia di campi di sterminio quali Mauthausen e
Auschwitz‑Birkenau.
Naturalmente essi condividevano questo insieme di implica‑
zioni e abbacinamenti con altri “tedeschi etnici” (ad esempio
i tedeschi dei Sudeti, gli svevi del Banato, gli alsaziani, i
sassoni della Transilvania o i tedeschi della regione di Klai‑
pėda). Tutti costoro del resto erano tenuti d’occhio in modo
particolare dal cosiddetto Ergänzungsamt (ufficio di comple‑
mento) presso l’Ufficio centrale delle SS, a capo del quale
Sulla fascistizzazione dell’ateneo di Innsbruck a partire dal 1938 cfr. oBerKofler/goller 1996, pp. 315 sgg.
grüttner 2004; scHoltysecK/studt 2008, pp. 115 sgg.
J. Dorfmann non figura comunque tra le matricole dell’ateneo negli anni 1934-1946 (gentile comunicazione di Peter Goller, dell’Archivio dell’Università di Innsbruck).
TLA, DUS‑Akte Josef Dorfmann [Fascicolo della DUS su Josef Dorfmann].
TLA, DUS‑Akte Josef Dorfmann [Fascicolo della DUS su Josef Dorfmann].
TLA, DUS‑Akte Josef Dorfmann [Fascicolo della DUS su Josef Dorfmann].
Bundesarchiv Berlin, Zentrale Personenkartei der Deutschen Dienststelle (WASt), Wehrmeldekarte Josef Dorfmann [Foglio matricolare di Josef Dorfmann].
Di seguito il fondo sarà indicato come WASt‑Suchkarte Josef Dorfmann [Foglio matricolare di Josef Dorfmann presso la WASt].
Sul profilo delle SS o Waffen-SS cfr. Wegner 1997; roHrKamp 2010; scHulte/lieB/Wegner 2014.
casagrande 2015.
casagrande 2015, pp. 32 sg., 172.
casagrande 2015, pp. 133 sg.
95
c’era il Brigadeführer delle SS Gottlob Berger, molto attivo nel
procurarsi accesso a questi gruppi di popolazione, tanto da
inviare a Bolzano a questo scopo, alla svolta del 1939‑40, un
incaricato speciale, l’Obersturmbannführer delle SS Walter
Rehder.107 Le misure messe in atto ebbero grande successo:
per il periodo relativo alla durata della guerra Casagrande
è riuscito a individuare oltre 2.000 reclute sudtirolesi delle
SS, a partire da quel primo drappello di cui faceva parte an‑
che Dorfmann.108 Tra questi volontari c’erano molti attivisti
dell’ex movimento giovanile del VKS, quali ad esempio Willy
Acherer, Walter Pernter e Otto Casagrande; pure i membri
del primo gruppo dirigente del VKS, Karl Nicolussi‑Leck,
Otto Robert Waldthaler, Michael Tutzer e Robert Helm, chie‑
sero in massa di essere ammessi nella Waffen-SS.109
96
Foglio matricolare militare di Josef Dorfmann del giugno 1940 con l’assegnazione alle Waffen-SS (Bundesarchiv Berlin, Zentrale Personenkartei
der WASt [Schedario nominativo centrale della WASt])
Le dichiarazioni rese da questo gruppo di persone, soprattut‑
to i carteggi che ci sono giunti grazie alla censura postale fa‑
scista, evidenziano chiaramente che molti volontari sudtiro‑
lesi delle SS erano sostenuti da un senso di superiorità e dalla
consapevolezza di appartenere come gruppo etnico a un’élite
razziale e politica.110 Tra i fattori che in tutta evidenza attras‑
sero i giovani soldati ci fu l’andamento della guerra nell’Est
Europa, dove Hitler cercò di attuare i suoi piani di un nuovo
ordine europeo nel più radicale dei modi e, inizialmente,
con grande successo dal punto di vista nazionalsocialista. I
membri sudtirolesi delle Waffen-SS presero fin dal principio
attivamente parte alla conquista del “nuovo spazio vitale”,
uno spazio che nei progetti biopolitici delle SS era destinato
anche al previsto “insediamento compatto” del proprio grup‑
po etnico.111 Una testimonianza finora passata inosservata
riguardo all’abito mentale di questi soldati ci è giunta grazie
alle annotazioni nel diario di Fritz Nagele, Untersturmführer
delle SS della divisione “Totenkopf ” nato a Bolzano nel 1917.112
Nel giugno 1941 costui partecipò all’assalto tedesco all’Unione
Sovietica e morì ai primi di luglio 1942, nell’area di Demjansk,
per le profonde ferite riportate sul campo.113 Suo fratello, il
funzionario del VKS Hans Nagele, fece stampare in proprio
a Bolzano nell’agosto 1943 un piccolo numero di copie del
diario di campo che gli era stato consegnato.114 Le annotazioni
sono disseminate di modi di dire tipici del linguaggio del
soldato semplice e di descrizioni volte a trasfigurare in ter‑
mini eroici la guerra di aggressione, in cui accanto ad appelli
alla propria «ira bestiale» e al «furor teutonicus» si ritrovano
espressioni smodate tipo «far fuori sparando» oppure «niente
ci può sconvolgere». È il linguaggio di quel genere d’uomo
fascistoide che Klaus Theweleit ha inquadrato, dal punto di
vista storico e psicoanalitico, come l’autore di reati massima‑
mente funzionale al sistema e nel contempo soddisfatto sul
piano emozionale.115 Nella prefazione al diario di Nagele ven‑
gono evocati i «violenti eventi bellici» che «fin dalla primavera
107 Casagrande/sChvarC/spannenberger/TrașCă 2016; steurer 2011, p. 76.
108 casagrande 2015, pp. 22 sgg. Tuttavia nel testo non viene fatto il nome di Dorfmann.
109 casagrande 2015, p. 25; steurer 2011, p. 59.
110 Stralci dei carteggi sono presentati e spiegati in steurer 2011, pp. 61 sgg.; sulle loro posture valoriali cfr. anche WedeKind 2009, p. 73. Altro materiale, tanto di civili
che di militari, si trova nell’esaustiva documentazione di Hartungen/miori/rosani 2006.
111 steurer 2011, p. 59; sull’insieme dei piani tedeschi per l’Est cfr. corni 2005.
112 Sui luoghi di impiego e i numerosi crimini di guerra di tale divisione cfr. sydnor 2000.
del 1940» avevano spinto l’optante Nagele «a congedarsi dalle
sue amate montagne» e ad arruolarsi a Monaco come volon‑
tario nelle Waffen-SS.116
Motivazioni analoghe hanno probabilmente ispirato anche
la scelta di Dorfmann. Nel suo caso tuttavia disponiamo sol‑
tanto di dati oggettivi di impiego al fronte. Il 10 giugno 1940 fu
inquadrato nella divisione SS “Der Führer”, di stanza a Graz,
nel rango iniziale di granatiere corazzato.117 Il 4° reggimento
SS‑Panzergrenadier al comando dell’Oberführer o Brigadeführer SS Georg Keppler fu impiegato a partire dal maggio
1940 nei Paesi Bassi, in Belgio e in Francia, dove operò insie‑
me ad unità della “Leibstandarte Adolf Hitler” e “Totenkopf”
delle SS. Dopodiché fu spedito nei Balcani e – come già la
divisione di Fritz Nagele – mandato a combattere in Russia
nel quadro dell’“Operazione Barbarossa”.118 È probabile che
Dorfmann abbia preso parte a diverse operazioni militari,
interrotte soltanto da periodi di ospedalizzazione e di licenza
dal fronte. Il 6 febbraio 1941 il responsabile dell’Ufficio cen‑
trale VI della sede centrale di Bolzano della ADERSt (che si
firmava Vollmer), in un documento indirizzato al Gauleiter e
governatore del Reich / Umsiedlung Südtirol, espresse parere
favorevole alla domanda di permesso presentata dal «soldato
della Wehrmacht in licenza» Josef Dorfmann per potersi
recare in Alto Adige e chiese nel contempo all’ufficio di
Innsbruck di «occuparsi dei visti d’ingresso».119 È probabile
che Dorfmann abbia passato in Alto Adige parte del tar‑
do inverno 1941, verosimilmente nel suo luogo di origine,
Novacella.
La notizia successiva reca la data del 17 ottobre 1941: quel
giorno Dorfmann viene segnalato di ritorno dal «KH Al‑
penland delle SS».120 Il distretto militare SS‑Oberabschnitt
Alpenland era dislocato a Salisburgo; KH dovrebbe stare
per «Krankenhaus» ossia ospedale, il che indica un periodo
di convalescenza dopo essersi ferito al fronte. È probabile
che Dorfmann sia rimasto ferito durante la campagna dei
Balcani, quando nell’aprile 1941 unità della Wehrmacht e
delle SS insieme a reggimenti italiani, ungheresi e bulgari,
avevano attaccato e travolto i Regni di Jugoslavia e Grecia,121
oppure durante la guerra tedesco‑sovietica che infuriava già
alla fine di giugno e il cui carattere devastatore superò tutte le
dimensioni conosciute prima di allora.122 Una nuova licenza
reca la data del 2 dicembre 1942.123 Dopo essere rimasto nuo‑
vamente ferito («colpo perforante») ed essere stato costretto
a rimettersi in sesto nel febbraio 1943 nell’«ospedale nelle
retrovie di Ostrow» (vicino Cottbus?), il 15 marzo di quell’an‑
no Dorfmann fu trasferito al 1° reggimento Panzergrenadier
della “Leibstandarte SS Adolf Hitler”.124 Gli appartenenti a
quel reparto furono coinvolti più di altri in crimini di guerra
e persecuzioni di ebrei, tanto sul fronte occidentale quanto
su quello orientale. Dorfmann combatté con la sua unità nel
settore sud delle operazioni antisovietiche, dove le unità mili‑
tari tedesche, dopo la disfatta di Stalingrado nella primavera
1943, diedero il via a una controffensiva su vasta scala e nella
battaglia di Kharkov riportarono un’ultima parziale vittoria,
ampiamente sbandierata dalla propaganda, sull’Armata ros‑
sa. Al comando dell’unità di Dorfmann c’era l’Oberst-Gruppenführer delle SS Josef Dietrich, un criminale di guerra con‑
dannato più volte dopo il 1945.125 Dorfmann fu ferito anche
durante queste operazioni militari, come evidenzia un nuovo
ricovero nell’ospedale nelle retrovie di Dresda a fine marzo
1943. Promosso frattanto Unterscharführer, nel maggio 1943
ottenne i gradi di Oberscharführer delle Waffen-SS all’interno
della «SS-Panzerdivision Hitlerjugend, Begleitkompanie
12».126 Nella struttura gerarchica delle SS questo grado di
servizio corrispondeva al rango di un maresciallo o di un
sottufficiale con un’autorità di comando subordinata. Quan‑
to alla XII divisione delle SS “Hitlerjugend”, in cui c’erano
almeno quindici sudtirolesi,127 si trattava invece, stando alle
116 nagele 1943, p. 5.
117 TLA, DUS-Akte Josef Dorfmann [Fascicolo della DUS su Josef Dorfmann]; Bundesarchiv Berlin, WASt-Suchkarte Josef Dorfmann [Foglio matricolare
di Josef Dorfmann presso la WASt].
118 Sull’unità in un’ottica di storia militare cfr. Hastings 1981.
119 TLA, DUS‑Akte Josef Dorfmann [Fascicolo della DUS su Josef Dorfmann].
120 Bundesarchiv Berlin, WASt‑Suchkarte Josef Dorfmann [Foglio matricolare di Josef Dorfmann presso la WASt].
121 Sulle vicende militari della campagna dei Balcani cfr. vogel 1984; sulle dimensioni da genocidio della medesima cfr. Berger/leWin/scHmid/vassiliKou 2017.
113 Sulla guerra di aggressione tedesca nell’Est cfr. ueBerscHär/Wette 1991, e Hartmann 2011.
122 A riguardo l’esaustivo Heer/naumann 1995.
114 nagele 1943.
123 Bundesarchiv Berlin, WASt‑Suchkarte Josef Dorfmann [Foglio matricolare di Josef Dorfmann presso la WASt].
115 tHeWeleit 2015.
124 Bundesarchiv Berlin, WASt‑Suchkarte Josef Dorfmann [Foglio matricolare di Josef Dorfmann presso la WASt].
125 Su Dietrich cfr. clarK 2003, e allBritton/mitcHam 2011.
126 Bundesarchiv Berlin, Zentrale Personenkartei B 563, D-953/355 Josef Dorfmann [Schedario nominativo centrale B 563, D-953/355 Josef Dorfmann]. D’ora in poi:
Personenkartei Josef Dorfmann [Schedario nominativo Josef Dorfmann].
127 casagrande 2015, p. 82.
97
valutazioni dello specialista di storia militare Peter Lieb, di
uno dei corpi tedeschi maggiormente brutalizzati e indot‑
trinati sotto il profilo nazionalsocialista; caratteristiche che
Lieb riconduce al mix particolarmente radicalizzato fatto di
soldati più anziani ed esperti e di giovani e fanatizzati appar‑
tenenti alla Gioventù hitleriana, il quale sarebbe stato la base
ideale per una guerra di sterminio ideologica combattuta
inesorabilmente.128
Secondo una nuova annotazione del 5 maggio 1943 Dorf‑
mann, dopo un «colpo perforante alla coscia», ricevette in un
primo tempo i primi soccorsi medici all’«ospedale delle SS a
Charkow» e fu poi trasferito nuovamente a Dresda, dove fu
colpito da un aneurisma.129 Stando a una comunicazione del
responsabile dell’ospedale militare (firmata Mayerbrucker)
del 29 luglio 1943 al capo borgomastro del capoluogo del Gau
Innsbruck, Dorfmann si trovava nell’ospedale nelle retrovie
di Marienallee a Dresda, dove si chiedeva gli fosse spedita la
sua «Lohnsteuerkarte», il documento rilasciato dal Comune
del lavoratore dipendente che serve per il calcolo dell’impo‑
sta sul reddito, «per la riscossione del suo soldo di guerra».130
Poco tempo dopo si ha notizia della sua presenza nell’ospe‑
dale nelle retrovie, molto probabilmente l’ex località di cura
98
Bärenfels nei Monti Metalliferi orientali, oggi una frazione
della città sassone di Altenberg, che sorge a circa 30 km a
sud di Dresda. È probabile che le condizioni di Dorfmann
siano peggiorate visibilmente, tanto da richiederne il
trasferimento – in data sconosciuta e logisticamente
oneroso – nell’ospedale nelle retrovie di Bensberg. Qui,
nell’ospedale militare di Bensberg,131 oggi un quartiere di
Bergisch Gladbach nella regione di bassa montagna del
Bergisches Land, Josef Dorfmann morì il 9 settembre 1944 a
causa di una infezione batterica («cancrena gassosa») insorta
a seguito delle gravi ferite riportate; la relazione medica sul‑
le cause della morte riportata sul Foglio matricolare recita:
«Frantumazione della mano destra, estesa ferita delle parti
molli [su] coscia sinistra, scroto e pene, cancrena gassosa.» Il
defunto venne sepolto a «Bensberg, cimitero d’onore, tomba
22».132 La comunicazione riguardante morte e sepoltura fu
confermata più volte negli anni successivi, prima che nel 1955
venisse riportata in un annesso schedario di tombe unita‑
mente all’annotazione che la sepoltura aveva avuto luogo il 12
settembre 1944, che il sindaco di Bensberg133 ne aveva ufficial‑
mente preso nota il 22 ottobre 1948134 e che la manutenzione
della tomba era stata affidata alla Kriegsgräberfürsorge Wehrkreiskommando VI.135 Il fascicolo fu chiuso il 5 ottobre 1960.136
99
128 lieB 2007, pp. 158 sg.; cfr. anche casagrande 2015, p. 83.
129 Bundesarchiv Berlin, Personenkartei Josef Dorfmann [Schedario nominativo Josef Dorfmann].
130 TLA, DUS‑Akte Josef Dorfmann [Fascicolo della DUS su Josef Dorfmann].
131 L’ospedale militare era stato allestito nel 1944 nell’ex seminario cattolico ubicato sulla Emilienhöhe a Bensberg, oggi Kardinal‑Schulte‑Haus, sequestrato dalla
Gestapo nel 1941; cfr. staHl 2014.
132 Bundesarchiv Berlin, Personenkartei Josef Dorfmann [Schedario nominativo Josef Dorfmann]. Il cimitero militare di Bensberg sorge oggi col nome di
133
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136
“Kriegsgräberstätte Bergisch Gladbach-Bensberg” sul Bensberger Milchhornberg e ospita 225 tombe di soldati; la gestione del luogo è affidata al Volksbund
Deutsche Kriegsgräberfürsorge e.V. Stando alle notizie reperibili online sulla banca dati delle tombe del Volksbund, i resti di Dorfmann sono tuttora sepolti nel
cimitero, nella «tomba 201» (https://kriegsgraeberstaetten.volksbund.de/).
Stiamo parlando verosimilmente di Jean Werheit, ex membro della Deutsche Zentrumspartei, il partito di Centro tedesco, che – dopo essere stato destituito in
epoca nazionalsocialista dalle sue cariche pubbliche – fu sindaco di Bensberg dal 1946 al 1956.
Ibid., Aktenzeichen II 686/11, lfd. n. 11.
Il Wehrkreiskommando VI (comando del distretto militare VI) si trovava a Münster in Westfalia, i suoi documenti ufficiali sono conservati nella sezione
Militärarchiv del Bundesarchiv di Friburgo in Brisgovia.
Bundesarchiv Berlin, Personenkartei Josef Dorfmann [Schedario nominativo Josef Dorfmann].
Prima pagina del quotidiano sudtirolese Dolomiten del 6 marzo 1943, in cui si riportano trionfalistici comunicati di successi militari
sul fronte orientale tedesco provenienti dal quartier generale del Führer (Biblioteca provinciale Dr. Friedrich Teßmann, Teßmanndigital)
I DISEGNI: GENESI E ATTORI
I dodici artefatti del lascito Dorfmann, sebbene non datati, ri‑
salgono a un preciso momento storico. Il loro “posto nel mon‑
do” è il breve lasso temporale immediatamente precedente
alle Opzioni del 31 dicembre 1939. Un senso quelle immagini
lo ebbero soltanto in quelle drammatiche settimane e mesi,
in quanto materiale di propaganda finalizzato a rafforzare
la disponibilità a emigrare. A metà luglio 1939 il VKS aveva
cambiato opinione sposando una linea di nibelungica fedeltà
e aveva approvato pienamente il trasferimento, dichiaran‑
dolo un dato di fatto ineludibile.137 Il 2 agosto fu ribadita a
Heinrich Himmler la disponibilità al trasferimento del VKS
e il comandante supremo delle SS rispose immediatamente,
garantendo ai sudtirolesi un’area di insediamento “chiusa”.
Per il gruppo dirigente del VKS tutta questa procedura co‑
stituiva pertanto anche l’opportunità, come ha giustamente
fatto notare Karl Stuhlpfarrer, «di garantire le proprie posi‑
zioni di potere in un’area di insediamento di osservanza te‑
desca a condizioni nuove e migliori e di conseguire il proprio
obiettivo, nazificare il Sudtirolo, se non nel Sudtirolo stesso,
comunque nella nuova area di insediamento.»138
100
Con ciò furono fissate a grandi linee le condizioni di partenza
per il futuro svolgimento del percorso. Quanto alle autori‑
tà fasciste italiane, in questa fase sanzionarono ogni attiva
propaganda pro Opzioni, non lesinando nemmeno arresti di
attivisti filotedeschi, come emerge da un preoccupato rappor‑
to sulla situazione dello Standartenführer delle SS Otto Bene,
console generale del servizio estero a Milano e incaricato
tedesco del trasferimento dei sudtirolesi, datato 18 agosto
1939.139 Successivamente gli eventi si susseguirono incalzanti:
il patto tedesco‑sovietico di non aggressione del 23 agosto
1939, la cui segreta clausola aggiuntiva doveva essere il pre‑
supposto decisivo per l’assalto tedesco alla Polonia del 1°
settembre 1939, accese in Alto Adige bizzarre speranze di una
svolta: forse la regione sarebbe divenuta pegno della fedeltà
dell’alleato italiano e si sarebbe rinunciato alle operazioni di
trasferimento.140 A fronte di tutto ciò il VKS accentuò gli sforzi
in vista di un “rimpatrio” possibilmente totale nel Reich ger‑
manico e avviò alla fine di settembre un’imponente operazio‑
ne di indottrinamento propagandistico per contribuire a far sì
che la “volontà del Führer” si affermasse in tutta la regione.141
decisamente filofascista, pur continuando a dedicare grande
ma non minacciosa attenzione ai fatti locali. Naturalmente,
le misure messe in campo per una opzione a favore dell’Italia
non furono in grado di influenzare minimamente il processo
decisionale, dal momento che esse, come del resto anche
il clero sudtirolese, tradizionalmente capace di orientare le
opinioni e gli ambienti economici benestanti delle città mag‑
giori – entrambi questi schieramenti erano tendenzialmente
contrari all’emigrazione – avevano smarrito gran parte della
loro credibilità pubblica.143
La maggior parte dei disegni riportano sul retro l’indicazione
del loro destinatario ultimo, il «Landesführer del VKS», ossia
il capo regionale dell’organizzazione. La trasformazione del
VKS nella AdO – come è già stato ricordato – risale soltanto
al gennaio 1940, e anche questo dato ci aiuta nell’inqua‑
dramento temporale del materiale. Tale materiale ha visto
la luce nel contesto della mobilitazione generale della po‑
polazione sudtirolese, forse a supporto delle innumerevoli
assemblee, illegali agli occhi delle autorità italiane, che si
svolsero in tutta la regione. All’epoca la struttura organizza‑
tiva del VKS era tanto capillare quanto efficiente e in grado
di raggiungere senza problemi con le sue operazioni di pro‑
paganda il più piccolo casale. La cosa non passò inosservata
agli occhi della polizia segreta fascista, come evidenziano
i rapporti riservati sulle cosiddette feste popolari tedesche
nell’ottobre 1939.142 Le autorità italiane cominciarono perfino
a promuovere misure di contro‑propaganda, servendosi ad
esempio del quotidiano ufficioso Dolomiten, che divulgava le
tranquillizzanti prese di posizione del prefetto Mastromattei.
Se si prescinde dal suo orientamento fondamentalmente
cattolico ed espressione della Chiesa di Stato, che lo poneva
per così dire al riparo, il quotidiano di lingua tedesca Dolomiten, da quando aveva potuto riprendere la pubblicazione
alla fine del 1926, era diventato un organo di comunicazione
Il rapporto di un delatore, indirizzato al sindaco fascista di
Merano, Raffaele Casati, in data 14 novembre 1939 constatava:
«Continua la propaganda a favore dell’esodo di massa.»144 Il 21
novembre il ministro degli Esteri Galeazzo Ciano annotò nel
suo diario che in Alto Adige le cose stavano prendendo una
piega estremamente infausta dal punto di vista italiano e che
c’era da temere un «vero e proprio plebiscito» dei «tedeschi»
e, quindi, una notevole figuraccia in politica estera.145 Stando
a un rapporto riservato per il ministero degli Interni a Roma
del 21 dicembre, nella Provincia di Bolzano la «propaganda
nazista», anche grazie agli sforzi degli uffici tedeschi diretti da
Wilhelm Luig, agiva con grandissima efficacia e somigliava
nella sua forza di persuasione ai metodi cecoslovacchi (ter‑
mine che indicava anzitutto la cosiddetta crisi dei Sudeti o,
meglio, la sua mirata escalation voluta dal nazismo).146
Né da parte tedesca né da parte italiana si faceva tuttavia rife‑
rimento, in questo e altri rapporti sulla situazione e sugli stati
d’animo, al materiale di propaganda visivo del VKS, il che ci
induce a pensare che i bozzetti siano rimasti sotto chiave e
non siano approdati a un impiego concreto. Ciò risulta plau‑
sibile anche tenuto conto che i severi controlli italiani, pur
non impedendo in via di principio la diffusione del materiale,
accrescevano tuttavia il rischio che correva la “propaganda
137 A riguardo l’esaustivo stuHlpfarrer 1985, vol. I, pp. 184 sgg.
143 stuHlpfarrer 1985, vol. I, pp. 190 sgg.
138 Ibid., p. 185.
144 Hartungen/miori/rosani 2006, vol. II, p. 66.
139 Ibid., p. 187. Su Otto Bene, in particolare sul suo ruolo attivo nelle deportazioni di ebrei a partire dal maggio 1940 nei Paesi Bassi occupati, cfr. conze/frei/Hayes/
zimmermann 2010, p. 240.
140 stuHlpfarrer 1985, vol. I, pp. 187 sg. Sul patto Hitler‑Stalin cfr. da ultimo WeBer 2019.
141 stuHlpfarrer 1985, vol. I, pp. 188 sg.
142 Hartungen/miori/rosani 2006, vol. I, pp. 240 sg., danno conto di una “festa popolare” di questo tipo, svoltasi il 1° ottobre 1939 a Castel Fragsburg vicino Merano
con partecipanti giunti dalla Val Passiria e dalla Val Venosta, dalla Val d’Ultimo, da Lana e dalla zona di Bolzano.
straniera” tedesca di essere severamente punita. Inoltre, per
via del delinearsi di una crescente disponibilità all’emigra‑
zione in massa, vennero a mancare sempre più chiaramente i
motivi che spingevano a intensificare ulteriormente la propa‑
ganda per le Opzioni.
Ma forse, più semplicemente, furono le condizioni materiali
della loro genesi a far sì che i bozzetti, in quanto per così dire
apologetici esercizi grafici, finissero in un cassetto e riaffioras‑
sero solo a distanza di ottanta anni. A giudicare dai motivi do‑
minanti di gruppi montuosi (bozzetti nn. 1‑3, 5‑8, 12) o di am‑
bienti in cui montare le tende di un campo (bozzetto n. 9), i
disegni riflettono le esperienze di un campo estivo o autunna‑
le del VKS o della Gioventù hitleriana e sono stati realizzati o
durante o immediatamente dopo i corsi che lì si sono tenuti.
Corsi di formazione di questo tipo, simili a quello svoltosi a
Hohenwerfen, si tennero numerosi anche in Alto Adige dopo
l’accordo italo‑tedesco sulle opzioni e furono dichiarati cam‑
pi guida della Gioventù hitleriana, campi di addestramento
per responsabili di gruppi locali o per la sezione femminile
delle giovani della AdO.147 L’immagine n. 9 del corpus mostra
un «campo estivo della Gioventù hitleriana» con sullo sfondo
il gruppo del Catinaccio – un’annotazione sul retro del foglio
definisce l’immagine un «Entwurf [für] Sommerzeltlager,
Jungvolk und HJ», vale a dire uno schizzo per un campo esti‑
vo di giovani maschi e della Gioventù hitleriana. Il soggetto
al centro del bozzetto, un giovinetto («Pimpf») della Gioventù
hitleriana o di altra organizzazione giovanile, è perfettamente
in linea con le messinscene ufficiali del Reich germanico, an‑
che se in questo caso lo stemma della città di Bolzano, in po‑
sizione centrale, gli conferisce una connotazione territoriale.
La direzione dello sguardo corrisponde grosso modo a quella
che si ha ammirando il Catinaccio dall’altipiano del Salto.
145 ciano 1971, pp. 189 sg.; il passo è citato in stuHlpfarrer 1985, vol. I, p. 197, e Hartungen/miori/rosani 2006, vol. II, p. 83.
146 Hartungen/miori/rosani 2006, vol. II, p. 128.
147 Cfr. Archivio provinciale di Bolzano, Fondo VKS/AdO, posizioni 42 e 68 (con esempi derivanti dalla Val Gardena e dal maso Reichrieglerhof sul Guncina sopra
Bolzano‑Gries degli anni 1940‑42).
101
106
programma della NSDAP concepito nel 1920.155 Dopo l’“An‑
schluss” dell’Austria le autorità nazionalsocialiste vietarono
tuttavia alla stampa di continuare a usare concetti quali
«volksdeutsch» (di tedesco etnico) e «großdeutsch» (di grande
Germania), evidentemente per celare all’opinione pubblica
ulteriori latenti aspirazioni territoriali. Soltanto a partire dal‑
la metà di maggio 1939, il che coincide con le formule ufficiali
del materiale sudtirolese, i termini “grande Reich” e “grande
Germania” usati come sinonimi per indicare il Reich germa‑
nico e il Terzo Reich vennero nuovamente legittimati dall’alto
e imposti con forza.156«Forse hai saputo che i nostri ragazzi
devono già votare. I nostri di Laion sono stati particolarmente
audaci, hanno marciato per il paese cantando e portando una
bandiera con la croce uncinata», scriveva il 19 ottobre 1939
una donna di Chiusa, tale Lisl, a Leo Neumann, residente a
Monaco.157 La notizia intercettata dalla censura postale fa‑
scista illustra il tenore psicogeografico dei bozzetti. In essi lo
slancio, dettato dalle circostanze, di “andare”, è contrapposto
all’immutabile staticità delle montagne, inserendo così un
sottotesto carico di tensione nelle immagini. In una sorta di
caparbietà non suscettibile di riduzione ulteriore, colgono
così le fortissime ambivalenze e imponderabilità dell’opzio‑
ne – all’etnicizzazione della natura vista come una patria
immutabile si contrappongono i gesti ostentati dell’addio e
dell’adesione al nazionalsocialismo. I paesaggi montani dello
Sciliar fiancheggiato dalle due torri Euringer e Santner così
come il caratteristico gruppo del Catinaccio si snodano lungo
tutto il corpus di immagini assumendo la valenza di impoten‑
ti motivi di resilienza, tanto più che le montagne difficilmente
potevano andarsene insieme agli uomini. Illustrano piuttosto
un kitsch naturale, impregnato di ideologia della razza e cari‑
cato di darwinismo sociale, che era il fondamento spirituale
dell’ideologia di sangue e suolo.158 Nei bozzetti sudtirolesi è
soprattutto il “sangue” a parlare, meno il “suolo”, che si era
dichiarato di essere disposti ad abbandonare.
Per spiegare questo significativo iato all’interno del discorso
razziale, tralasciamo per un momento la banalità dei conte‑
nuti della propaganda ed esaminiamo i bozzetti in cerca di
punti di vista culturalistici. Seguendo ad esempio il modello
di comunicazione di Stuart Hall, i media sono decodificabili
in base al loro contenuto semantico dominante e recessivo.159
In questo senso, la battaglia semantica è sempre anche una
battaglia per il discorso e la sovranità interpretativa, tenendo
però a mente che i significati non possono essere mai stabiliti
o determinati interamente dal mittente. Anche il materiale
sudtirolese è l’esito di una politica semantica, la cui interpre‑
tazione frutto di un negoziato riconosce anzitutto la legittimi‑
tà della definizione egemonica, promuove cioè il trasferimen‑
to collettivo secondo principi völkisch. Su un piano limitato,
tuttavia, vengono disposti anche propri sistemi semantici, che
eludono in parte i significati primari.
L’evidente paradosso del trasferimento dei sudtirolesi era
dato dal fatto che in fondo esso contraddiceva l’imperativo
völkisch dell’“attaccamento alla terra”. Le Opzioni eviden‑
ziarono addirittura l’impossibilità di un agire autarchico nel
quadro di un’idea di fondo di chiusura nazionale, divenuta
una idea-forza capace di guidare le azioni. Il processo può
quindi essere descritto attraverso concetti sociologici di entro‑
pia sociale.160 In quest’ottica l’orientamento totalitario punta
a un unico obiettivo, in questo caso allo Stato völkisch, esito di
una radicale riduzione di informazioni alternative, e dunque
espressione di una – imputabile in parte a sé stessi – perdita
di informazione. Il paradosso affiora nell’ambivalente struttu‑
ra profonda dei bozzetti: se la cornice delle montagne funge
da elemento del perseverare e del rimanere, l’addio o il gesto
di saluto e la mano indicante ritualizzati delle persone ritratte
sono elementi della disponibilità a emigrare motivata in ter‑
mini völkisch. I bozzetti del VKS erano stati inconsciamente
ideati come immagini a doppio legame e probabilmente per
155 eitz/stötzel 2007, pp. 278 sg.
156 eitz/stötzel 2007, p. 280.
157 Citato e commentato in steurer 2011, pp. 66-67. – Leo Neumann, di Brunico, era figlio di un mercante di libri della Transilvania. Membro di un gruppo
studentesco brissinese (nome in codice “Walther”), fu espulso dall’Italia nel 1935 e da allora lavorò presso l’editore Langen Müller di Monaco di Baviera,
fungendo da intermediario dei sudtirolesi (gentile comunicazione di Michael Wedekind).
158 Su tale elemento cruciale dell’ideologia nazista cfr. corni/gies 1994, e BramWell 2003.
159 Hall 1997.
160 A riguardo fondamentale Bailey 1990.
questo motivo giudicati praticamente inservibili senza retori‑
ca per la prassi nazionalsocialista. Com’era possibile del resto
nel 1939–40 far sventolare una bandiera con la croce uncinata
sopra Bolzano e chiedere al tempo stesso un trasferimento
in massa della popolazione? Tale bipolarismo trova in certo
qual modo una soluzione solo se dietro la propagandata
disponibilità a emigrare resta celata la speranza che una
Germania nazista vittoriosa un giorno, anche in segno di
riconoscimento della devozione völkisch degli optanti sudtiro‑
lesi, avrebbe “riportato a casa” la regione – a rientro avvenuto
si sarebbero viste le bandiere sventolare sopra la regione
“liberata”.
Tuttavia, neanche gli suadenti slogan che accompagnavano
le immagini riuscirono a eliminare del tutto l’intrinseca con‑
traddittorietà delle scene ritratte. I riferimenti contraddittori
di «Ritorno nel Reich!» e degli elementi dello spazio geogra‑
fico tesi a contraddire tale ordine (monti chiaramente ricono‑
scibili, stemmi cittadini di Merano e Bolzano) sono l’esito di
una sociologia delle emozioni antagonista.161 Nel 1939‑40 non
era più possibile sciogliere questo contrasto fra desiderio e re‑
altà, ed esso anticipò simbolicamente l’occupazione dell’Alto
Adige da parte della Wehrmacht dopo l’8 settembre 1943.162
Segnali linguistici tratti dall’atlante del grande Reich ger‑
manico funsero sostanzialmente da model of agency di un
discorso nazionalsocialista sulle migrazioni fuori controllo.163
La normalizzazione semantica era la spina dorsale delle co‑
struzioni identitarie sociali dello Stato razzista e völkisch – nei
bozzetti sudtirolesi è evidenziata da un abbigliamento
uniformato e da universi familiari stereotipati. Tali aspetti
saltano all’occhio in modo particolare nella coppia in
costume (bozzetto n. 6) che con il suo evidenziatore etnico
dell’abito si rifà anche a una genealogia di origine völkisch e a
una autenticità inscenata. Il motivo folcloristico del costume,
culturalmente conservatore, era un elemento chiave dei
discorsi cruciali su partecipazione e possesso del nazionalso‑
cialismo. Esso, proprio nell’area tirolese, lo sfruttò appieno
per delimitare l’identità tedesco‑tirolese e appropriarsene
facendo leva sull’esclusione.164
Ma la trasformazione delle disposizioni politiche è entrata
anche nella mitologia naturale fortemente emozionalizzata
delle immagini. Lo si capisce osservando il ripetuto uso che
viene fatto di una risorsa di potere, quale la svastica, con‑
cepita come sole che sta sorgendo (bozzetti nn. 1, 3, 5‑6). Al
culto fascista del sole la propaganda aveva fatto ricorso già in
occasione dell’annessione dell’Austria.165 In questo motivo di
redenzione nazionale prese corpo il topos della “nuova epo‑
ca”, che insieme alla natura prometteva di trasformare anche
l’intero ordine politico‑sociale. Usato come idea di trasmis‑
sione fra natura e società, il sole del nazionalsocialismo che
splende sopra le Dolomiti simboleggia la fascistizzazione
della storia naturale e la naturalizzazione della politica völkisch.166 Archeologi autodidatti come l’ingegnere tecnico Ge‑
org Innerebner, originario di Bolzano, dal 1940 collaboratore
dell’Ahnenerbe delle SS per il gruppo di lavoro sudtirolese su
storia e geografia, fornirono a questo riguardo interpretazioni
mitologizzanti, che ricondussero a “fortificazioni” e “punti al
centro del sole” in cui sorgevano insediamenti umani di epo‑
ca preistorica e protostorica.167
La dimensione apparentemente naturale del nazionalismo
völkisch univa slancio corporeo, giovinezza, sole e biologia in
un inestricabile compositum mixtum del “sano”, cui insufflava
forza normativa. I processi delle Opzioni sudtirolesi erano
inseriti in una selezione biologica, che viene alla luce nella
prassi della dimostrazione di essere ariani dell’Ahnenpass, il
certificato genealogico. Questo ambito finora trascurato della
storia contemporanea sudtirolese discende in linea diretta
161 Una formulazione teorica della teoria delle emozioni sociali si trova in gerHards 1988, e in mesquita/marKus 2004.
162 A riguardo cfr. WedeKind 2003.
163 Indagato in modo esemplare dalla critica linguistica antifascista di Klemperer 1990, e maas 1984; cfr. anche leniger 2006 e fiscHer/lorenz 2015, pp. 32 sgg.
164 A riguardo cfr. Hagen 2017. L’ideologia völkisch del discorso pubblico in costume non è mai venuta meno in Alto Adige, come dimostra l’esaustivo volume di
rizzolli 2007 con il suo sottotesto normativo di esclusione («Guida per indossare e confezionare i nostri [!] costumi popolari tirolesi»).
165 Il manifesto è riprodotto in Tiroler Geschichtsverein Bozen 1989, p. 123.
166 Sulla logica sociale di tali concetti di trasmissione cfr. Willer/Weigel/jussen 2013.
167 Su Innerebner, nel 1949 primo presidente del Landesverband für Heimatpflege in Südtirol e membro onorario del Südtiroler Künstlerbund, cfr. WedeKind 2019,
pp. 62, 80.
107
Sopra: bozzetto n. 6 con la coppia sudtirolese in
costume (firmato «A-S-I»); sotto: dalla carta del
Volksbund für das Deutschtum im Ausland, Berlin
1940 (particolare)
A sinistra: l’aquila imperiale con davanti svettanti bandiere con la croce uncinata, accanto la chiesa parrocchiale
di Bolzano, bozzetto n. 4 (firmato «Ferrari – Bz»); a destra: aquila imperiale, denazificata dopo 1945, sovrastante
l’ingresso principale del trasmettitore Dobl in Stiria (Wikicommons)
108
dal modo di concepire l’eredità dello Stato nazionalsocialista,
una concezione mirante all’emarginazione (e all’annienta‑
mento), che nazionalizzava e al tempo stesso biologizzava la
tradizione völkisch. Sui bozzetti sudtirolesi si vedono quindi
solo persone aerodinamiche. Sono soggetti giuridici del
Nuovo Ordine dello Stato völkisch. Il loro apporto al Reich
germanico era stato preventivamente futurizzato per la
struttura di potere a cui si mirava e per la prassi totalitaria
dell’Europa dominata dal nazionalsocialismo. Alla base del
trasferimento dei sudtirolesi c’era una preparazione genetica,
che si reggeva su idee di superiorità razziale e includeva sem‑
pre anche la discriminazione dell’Altro giudicato inferiore.
Il razzismo è sempre anche un processo di decostruzione di
significati.168 Pur essendo la sua arbitrarietà evidente, tuttavia
essa era funzionale allo Stato totalitario e rappresentava un
presupposto indispensabile all’accoppiamento nazionale
dei suoi membri e profittatori. La “comunità di sangue del
popolo tedesco”, pensata in termini psico‑biologici, in cui si
inserivano gli optanti sudtirolesi era immaginata come una
comunità essenzialistica di persone con connaturati tratti in
comune. Il rovescio della medaglia di questa prassi era l’e‑
sclusione dell’Altro, culminata nello sterminio.169 A Bolzano
un apposito studio genealogico, diretto da uno specialista
di genealogie, Franz Sylvester Weber, rilasciò durante il pe‑
riodo delle Opzioni e della guerra innumerevoli certificati e
documenti genealogici per accertare l’idoneità «di sangue»
degli emigranti attraverso indagini che, pur non essendo
capillari, avevano una dimensione più ampia di un’indagine
a campione.170 Ma il principale presupposto per far parte
della comunità di popolo era il fatto di presentare i caratteri
della personalità autoritaria. Chi approvava l’etnocentrismo
e l’antisemitismo senza riserve, ossia in modo conformista, si
identificava anche con i totalitari detentori del potere e le loro
mire politiche espansionistiche, e ciò tanto più in quanto
alla base di tale identificazione – come nel caso sudtirolese –
c’erano motivi più profondi di delusione e aspettative di
redenzione nazionale.171
109
168 miles 1999, p. 9.
170 Sul ruolo di Weber e del suo “studio genealogico” cfr. WedeKind 2003, p. 231; sull’ideologia della genealogia nazionalsocialista cfr. Weiss 2010.
169 A riguardo cfr. essner 2002, ed eHrenreicH 2007.
171 I caratteri della personalità antidemocratico‑autoritaria sono stati indagati in maniera innovativa da adorno/frenKel-BrunsWiK/levinson/sanford 1950/73, i quali
hanno ideato la “scala F” per tracciare il profilo fascista degli individui (a riguardo cfr. müller-doHm 2011, pp. 439 sgg.); per attualizzazioni cfr. lederer 1983,
e oesterreicH 1998.
IL DESTINATARIO
110
Come già detto, i dodici bozzetti propagandistici sulle Op‑
zioni sudtirolesi hanno in tutta evidenza visto la luce nella
seconda metà o verso la fine del 1939, forse all’interno di un
campo di addestramento giovanile del VKS o della Gioventù
hitleriana. Non sembra siano mai stati concretamente impie‑
gati, ragion per cui evidenziano scarse tracce di utilizzo. Ad
eccezione dei bozzetti numero 10 e 12, gli artefatti evidenziano
sul retro annotazioni relative al latore e timbri che a volte
figurano anche sul lato anteriore del foglio, in particolare
un timbro circolare della «Waffen-SS – Leibstandarte Adolf
Hitler». Un qualche problema cronologico solleva, almeno
a prima vista, l’assenza di una intrinseca struttura unitaria
dei dati, tuttavia, ammettendo che le annotazioni siano state
apportate in un secondo tempo, le contraddizioni si risolvo‑
no da sé. L’unico mittente risulta Josef Dorfmann, che firma
quasi sempre come Obersturmbannführer delle SS.172 I disegni
dovevano essere consegnati «di persona» al «responsabile
provinciale del VKS Peter Hofer» e precisamente al suo domi‑
cilio di San Michele di Castelrotto.173 Sul retro di diversi fogli
figura tuttavia anche la sigla AdO, il che ci porta a supporre
che le annotazioni sul retro siano state apposte solo dopo
gennaio‑febbraio 1940 (quando il VKS era ormai diventato
AdO). Si può tranquillamente ipotizzare che Dorfmann
abbia continuato a riferirsi all’AdO usando la sigla VKS
anche in un secondo tempo e che, almeno in parte, abbia
mantenuto la vecchia definizione per lui usuale. Per contro,
una delle annotazioni in forma protocollare, l’indicazione
«z. Kts. Gunther Langes Bozner Tagblatt» (per conoscenza
Gunther Langes Bozner Tagblatt), che figura sul bozzetto
n. 8, obbliga a immaginare un’altra cronologia. Il quotidiano
nazionalsocialista Bozner Tagblatt cominciò a uscire solo dopo
l’occupazione tedesca dell’Alto Adige e la creazione da parte
dei nazisti della Zona d’operazioni delle Prealpi, a partire
dunque dal 13 settembre 1943 sotto la direzione del caporedat‑
tore «Gunther Langes».
«inserto (pubblicitario)» o «annuncio» (nel Bozner Tagblatt?).
Tutto ciò non ebbe luogo, ed è estremamente dubbio se non
improbabile, che il prefetto e Volksgruppenführer Hofer abbia
mai visto il materiale.
Tali circostanze suggeriscono che Josef Dorfmann, all’epoca
del suo ricovero all’ospedale militare di Bensberg‑Bergisch
Gladbach (dal quale non si riprese e dove nel settembre 1944
morì a seguito delle ferite riportate), abbia in qualche modo
destinato i disegni che aveva con sé a Peter Hofer. In seguito
al passaggio dell’amministrazione altoatesina alle autorità
nazionalsocialiste il 21 settembre 1943, Hofer era stato pro‑
mosso prefetto commissariale della Provincia di Bolzano,
ma durante un giro di ispezione attraverso Bolzano perse
la vita il 2 dicembre 1943 in occasione di un raid aereo alle‑
ato.174 Nell’ottobre 1943, infine, la AdO era stata ribattezzata
Deutsche Volksgruppe Südtirol.175 Premesso che Dorfmann,
quand’era ricoverato nell’ospedale militare, disponesse di
informazioni attualizzate, la cronologia degli eventi o il nuo‑
vo inquadramento di Peter Hofer restringono la programma‑
ta consegna del materiale a quest’ultimo all’autunno 1943.
Non contribuiscono ad affinare ulteriormente la cronologia
altre annotazioni sul retro dei fogli, ad esempio il nome del
pittore di Innsbruck Luis Alton (bozzetto n. 1).176 Certo, nel
1939 questi aveva partecipato alla Künstlerhaus di Vienna alla
mostra Berge und Menschen der Ostmark, voluta dal regime,
così come dal 1940 al 1944 alle esposizioni del Gau a Inns‑
bruck. Neppure la menzione, ricorrente più volte sul retro
dei fogli, del nome del ministero del Reich per la Pubblica
Istruzione del popolo e la Propaganda (Reichsministerium für
Volksaufklärung und Propaganda, indicato con le sigle RMVP
o RMVuP), concorre all’inquadramento temporale, ma svela
comunque il retroscena legittimante o il contesto d’impiego
previsto per il materiale. Doveva essere usato come «gior‑
nale murale» o «dazebao» e «banner (pubblicitario)», come
«Serriamo le fila, la battaglia continua» – questo è quanto i
«camerati del gruppo etnico tedesco» dichiararono con enfa‑
si nel necrologio ufficiale, pubblicato il 4 dicembre 1943 nel
Bozner Tagblatt. I disegni a lui indirizzati finirono invece di‑
rettamente in mano ai familiari brissinesi di Josef Dorfmann,
fino a quando nel 2019 – ottanta anni dopo essere stati realizza‑
ti – non sono riemersi per raccontare una parte di quella storia
di seduzione a cui anche i sudtirolesi cedettero di buon grado.
172 Il grado indicato varia soltanto una volta, con l’indicazione di «Hauptsturmbannführer delle SS» (11). Tuttavia, secondo il Foglio matricolare, Dorfmann non era
173
174
175
176
riuscito ad andare oltre il grado di Oberscharführer, per cui o la promozione era avvenuta mentre si trovava nell’ospedale militare o il suo grado nelle SS è stato
innalzato per errore (il che contrasterebbe con la tesi delle annotazioni sul retro stilate di suo pugno).
È probabile che si tratti del maso Malsinerhof a San Michele di Castelrotto, cfr. Comune di Castelrotto 1983, p. 216.
Per queste informazioni ringrazio Peter Fulterer (Bolzano).
Sugli eventi della guerra aerea in Alto Adige, cfr. l’esaustivo alBricH 2014.
WedeKind 2003, p. 143.
Su Alton cfr. Kraus 1999, p. 244.
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SpringenSchmid 1941
Karl SpringenSchmid, Ein Leben für Deutschland.
Ansprache des Parteigenossen Karl Springenschmid
am 11. Mai 1941 beim Appell der politischen Leiter
vor Gauleiter Dr. Friedrich Rainer für den vor dem
Feind gefallenen Parteigenossen Ingo Ruetz, Burghauptmann der Gauburg Hohenwerfen in Salzburg,
Salzburg 1941.
STahL 2014
Herbert STahL, Nur 30 Jahre. Priesterseminar
Bensberg: ein stolzer Bau als „Balkon über der Rheinebene” und seine Bewohner, in Rheinisch Bergischer
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STeurer 1989
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Hintergründe, Akteure, Verlauf, in Reinhold meSSner
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Lehrstück in Zeitgeschichte, München-Zürich 1989,
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STeurer 2011
Leopold STeurer, „Grüße uns alle Kameraden mit
Heil Hitler!“ Südtiroler Kriegsfreiwillige im Optionsgeschehen, in Günther paLLaVer/Leopold STeurer (a
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SToppeL 2004
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STuhLpFarrer 1985
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115
„GROSSDEUTSCHLAND RUFT!“
Südtiroler NS-Optionspropaganda und völkische Sozialisation
“LA GRANDE GERMANIA CHIAMA!”
La propaganda nazionalsocialista sulle Opzioni in Alto Adige e la socializzazione völkisch
Katalog zur Ausstellung
Katalogredaktion / Redazione del catalogo
Südtiroler Landesmuseum für Kultur- und Landesgeschichte Schloss Tirol
18. September – 22. November 2020
Leo Andergassen, Dorothea von Miller
Italienische Redaktion / Redazione italiana
Catalogo della mostra
Sara Di Gesaro
Museo storico-culturale della Provincia di Bolzano Castel Tirolo
18 settembre – 22 novembre 2020
Übersetzungen / Traduzioni
Verantwortlicher Direktor / Direttore responsabile
Leo Andergassen
Verfasser und Ausstellungskurator / Autore dei testi
e responsabile del concetto espositivo
Hannes Obermair
Künstlerische Position / Posizione artistica
Andrea Michler
Ausstellungsaufbau / Allestimento espositivo
Emil Wassler, Walter Hofer, Joachim Fundneider
Druck / Stampa
KARO DRUCK KG l SAS
I-39057 Frangart-o / Pillhof 25
Eppan / Appiano
Riccardo Giacconi
ISBN 978-88-95523-35-4
Ausstellungsassistenz und Organisation /
Assistenza e organizzazione
Dorothea von Miller
Katalog- und Ausstellungsgestaltung /
Grafica e progetto espositivo
116
Lupo Burtscher
(Angelika Burtscher, Daniele Lupo, Victoria Preuer)
© 2020 Schloss Tirol / Castel Tirolo
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