ANNO
VI
ISSN 2421-4191
DOI: 10.6092/2421-4191/2020.6.195-247
2020
DAVIDE COLOMBO
«VEDILA LÀ CON UN COLTELLO IN MANO»
GIRALDI CINTHIO E STENDHAL*
1. L’exemplum del Cenacolo di Leonardo
Una delle primissime citazioni di Giraldi nell’opera di
Stendhal, se non la prima in assoluto, risale al 1817. L’Histoire
de la peinture en Italie dello scrittore di Grenoble traduce un
lungo brano dei Discorsi intorno al comporre dell’umanista di Ferrara. Si tratta di un racconto relativo al Cenacolo di Leonardo
da Vinci, che Giraldi dice di aver appreso dal proprio padre.
A Santa Maria delle Grazie Leonardo sta per terminare
l’opera: gli manca la testa di Giuda, ma non procede oltre. I
frati predicatori del convento domenicano scambiano l’apparente interruzione per disimpegno: se ne lamentano con il
committente, il duca Ludovico il Moro, che a sua volta ne
chiede conto all’artista. In prima battuta Leonardo spiega che
all’Ultima cena lavora più di due ore al giorno. Se così fosse
avrebbe già finito, replicano i frati, mentre non si fa vedere da
più di un anno. Di nuovo interrogato dal duca, Leonardo
ammette che sì, da tempo non si reca al refettorio del convento, ma aggiunge che lavora comunque al dipinto: è solito inL’autore desidera ringraziare per aiuti e consigli di vario tipo Francesco Spera, Sebastiano Valerio e Cristina Zampese. Uno speciale ringraziamento spetta al personale del Centro Stendhaliano della Biblioteca
Comunale Centrale Sormani di Milano, in particolare a Donatella Cantele.
*
DAVIDE COLOMBO, «Vedila là con un coltello in mano». Giraldi Cinthio e Stendhal,
«Studi giraldiani. Letteratura e teatro», VI (2020), pp. 195-247.
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fatti frequentare i bassifondi di Milano in cerca di modelli di
scelleratezza convenienti al volto di Giuda. In caso non ne
trovasse uno adatto, disegnerà quello del molesto priore dei
frati: la conclusione del maestro toscano soddisfa e rallegra il
Moro. Poco tempo dopo Leonardo scorge il volto che fa al
caso suo, lo abbozza su un taccuino, ne combina i lineamenti
con quelli di altri soggetti. Condotta con successo la ricerca
fisiognomica, può ripresentarsi al convento, dove da ultimo
raffigura il volto di Giuda come tipo ideale di traditore1.
L’Histoire de la peinture è la seconda opera di Stendhal che
abbia avuto esito editoriale, agli inizi di agosto del 1817, dopo
una gestazione lunga e discontinua. Alla prima fase elaborativa risale quasi certamente la conoscenza parziale e mediata
dei Discorsi giraldiani, sulla spinta di divergenti sollecitazioni
culturali. Il 19 settembre 1811, otto giorni dopo aver veduto
per la prima volta il Cenacolo a Milano, Stendhal compra per
104 franchi quattro opere, che descriviamo con la guida di
Victor Del Litto2:
- la terza edizione della Storia pittorica della Italia
dell’antiquario, storico e linguista Luigi Lanzi, corretta ed accresciuta nel 1809 in sei volumi. Quest’opera – reputata da Roberto Longhi il capolavoro della storiografia artistica italiana e
1 Histoire de la peinture en Italie. Par M.B.A.A, Paris, Didot, 1817, tomo
pp. 192-96; da confrontare (ma il legame non è diretto, come si vedrà)
con i Discorsi di m. Giovambattista Giraldi Cinthio nobile ferrarese intorno al comporre de i romanzi, delle comedie, e delle tragedie, e di altre maniere di poesie, Venezia, Giolito, 1554, pp. 193-96. Dei Discorsi sono da vedere il commento
parziale a cura di L. BENEDETTI, G. MONORCHIO e E. MUSACCHIO, Bologna, Millennium, 1999, pp. 213-15; e soprattutto l’ed. critica e commentata (con addenda e corrigenda di Giraldi) a cura di S. VILLARI, Messina,
Centro Interdipartimentale di Studi Umanistici, 2002, pp. 201-02.
2 V. DEL LITTO, La vie intellectuelle de Stendhal: genèse et évolution de ses
idées (1802-1821), Genève, Slatkine reprints, 1997, pp. 430-31.
I,
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segnalata da Pier Vincenzo Mengaldo per l’esemplarità della
prosa – nomina sì Giraldi come autore dell’Orbecche e dell’Egle,
ma non riporta l’exemplum di Leonardo. Esso è una tappa non
prevista, una deviazione in un percorso elaborativo già di per
sé accidentato: infatti il primitivo progetto di Stendhal, che
prevedeva una traduzione-parafrasi della Storia dell’abate ex
gesuita, si trasformò in corso d’opera in «une histoire brûlante, délibérément de plus en plus engagée»3;
- le Vite di Giorgio Vasari, la fonte prima di Lanzi, che la
Società tipografica de’ classici italiani andava pubblicando dal
1807. Tra i volumi disponibili al momento dell’acquisto, il settimo rende nota a Stendhal un’altra versione del racconto sul
Cenacolo. A quella riportata da Giraldi nei Discorsi (1554) aveva fatto sèguito l’assai più breve adattamento di Vasari introdotto nella Giuntina delle Vite (1558). Le versioni dei Discorsi e delle Vite differiscono in sostanza per due motivi: Vasari da un lato elimina la figura del padre di Giraldi, sicché
non configura la sua storia come una narrazione di secondo
grado; dall’altro estende l’incertezza di Leonardo alla raffigurazione del volto di Cristo, che alla fine rimane imperfetto4.
Sebastiano Valerio rimarca la letterarietà delle due versioni
riconducendole al tÒpoj dell’ineffabilità, motivo rinascimentale d’ascendenza classica. È indubbio, d’altra parte, che la versione di Giraldi rifletta consuetudini reali del Leonardo storico: questi prescrive al pittore di appuntare su un taccuino geY. ANSEL, L’Histoire de la peinture en Italie: pamphlet de Dominique,
«L’Année Stendhalienne», VI (2007), pp. 69-99: 73. Lanzi è antologizzato
da P. V. MENGALDO, Attraverso la prosa italiana. Analisi di testi esemplari,
Roma, Carocci, 2008, pp. 138-42 (a p. 140 per il giudizio di Longhi).
4 Vite de’ più eccellenti pittori scultori e architetti scritte da GIORGIO VASARI,
Milano, Società tipografica de’ classici italiani, vol. VII, 1809, pp. 50-51
(versione di Vasari), pp. 85-88 (versione di Giraldi, tratta dal secondo
tomo dell’ed. Pagliarini delle Vite del 1759).
3
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sti e fisionomie còlti mentre s’aggira per la città. «Il suo strumento prediletto di lavoro per questa ricerca quotidiana», osserva Carlo Vecce, è appunto «il piccolo taccuino tascabile del
formato dei codici Forster o del codice H, quadernetti che
Leonardo stesso si costruiva». Del resto il diario di viaggio del
canonico Antonio De Beatis, ben noto agli studiosi vinciani,
conferma che le figure dell’Ultima cena sarebbero il ritratto
dal vero di cortigiani sforzeschi e di Milanesi comuni5;
- la princeps anonima della Nuova guida di Milano del 1787.
L’autore, il Segretario di Brera Carlo Bianconi, riduce
l’exemplum giraldiano a «storiella [...] adottata dal Vasari amante di spargere baje nelle sue Vite». Tale posizione liquidatoria
rischia di assurgere a communis opinio della Milano napoleonica,
poiché viene ribadita con diversi argomenti dal priore del
Convento delle Grazie Domenico Pino, dal bibliotecario
dell’Ambrosiana Carlo Amoretti, dall’abate Aimé Guillon di
foscoliana memoria6;
La letterarietà dell’episodio, rilevata a ragione da Sebastiano Valerio
(Il volto di Cristo e il volto di Giuda: un topos tra pittura e poetica nella Vita di Leonardo di Vasari, «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia», XLIV, 2001,
pp. 291-306), andrebbe forse bilanciata con l’appunto 571 trascritto in The
Notebooks of Leonardo Da Vinci, compiled and edited from the original manuscripts by J.P. RICHTER, New York, Dover Publications, 1970, I, p. 287.
Cfr. infine C. VECCE, Leonardo, Roma, Salerno Editrice, 1998, p. 156.
6 Il racconto giraldiano è una «storiella» sia nella Nuova guida di Milano
per gli amanti delle belle arti e delle sacre, e profane antichità milanesi, Milano, Sirtori, 1787, p. 332; sia, ripetutamente, nella Storia genuina del Cenacolo [...]
pubblicata dal padre maestro DOMENICO PINO, Milano, Malatesta, 1796,
pp. 78-80. Lo definisce «une fable» anche Aimé Guillon (Le Cénacle de
Léonard de Vinci [...], Milan-Lyon, Dumolard-Artaria-Maire, 1811, p. 113,
nota 2). Alla Storia di Pino rimandano le Memorie storiche su la vita gli studj e
le opere di Lionardo da Vinci scritte da CARLO AMORETTI, Milano, Gaetano
Motta, 1804, pp. 62-63, nota 2.
5
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- il ponderoso in folio di Giuseppe Bossi, Del Cenacolo di Leonardo da Vinci libri quattro, una novità editoriale fresca di stampa
sebbene edita sotto il millesimo 1810. I rapporti fra lo scrittore
grenoblese e il pittore bustocco sono già stati quasi compiutamente indagati, a partire dalla copia del libro di Bossi annotata da Stendhal e conservata presso la Raccolta vinciana del
Castello sforzesco. Una deduzione che Bossi trae dal racconto di Giraldi, relativa forse ai tempi di lavoro di Leonardo,
viene in un primo tempo rifiutata da Stendhal: il quale, in una
postilla a minutissimo carattere alla sua copia del libro di Bossi, lo definisce «archibête». Questo e altri giudizi sferzanti –
sia quelli privati, consegnati ai vivagni del cimelio sforzesco,
sia quelli pubblici, presenti nell’Histoire e relativi alla copia pittorica del Cenacolo eseguita da Bossi – non impediscono a
Stendhal di saccheggiare l’in folio bossiano per tutta la sezione
leonardesca dell’Histoire7.
Lanzi, Vasari, Bianconi, Bossi: ecco i saggisti e i critici d’arte
– prosatori «al servizio d’altro» li chiamerebbe Contini – ai quali nel 1811 Stendhal s’è rivolto per intendere alla luce d’una misurata estetica classicistica il dipinto parietale, allora spento e
alterato, che ha appena visto. È facile capire perché Lanzi e
7 G. BOSSI, Del Cenacolo di Leonardo da Vinci libri quattro, Milano, Stamperia reale, 1810, pp. 28-31. Su Stendhal e Bossi si veda la bibliografia
ordinata da A. COLOMBO, «I lunghi affanni ed il perduto regno». Cultura letteraria, filologia e politica nella Milano della Restaurazione, Besançon, Presses Universitaires de Franche-Comté, 2007, pp. 45-46, nota 14. Per l’esemplare
della Raccolta vinciana, cfr. Il Genio e le Passioni. Leonardo e il Cenacolo. Precedenti, innovazioni, riflessi di un capolavoro, a cura di P. C. MARANI, pref. di
E. H. GOMBRICH, Milano, Skira, 2001, p. 413. Bossi possedeva diverse
cinquecentine di Giraldi (Hecatommithi, Ercole, Orbecche), ma non i Discorsi,
stando almeno al Catalogo della libreria del fu cavaliere Giuseppe Bossi pittore
milanese la di cui vendita al pubblico incanto si farà il giorno 12 febbrajo 1818, Milano, Bernardoni, 1817, p. 94.
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Bianconi contino poco o nulla ai fini di un inquadramento critico dell’exemplum vinciano: il primo non ne parla, il secondo ne
dà un giudizio liquidatorio. È più difficile stabilire la ragione
per cui Stendhal abbia preferito la versione di Giraldi, mediata
da Bossi, a quella di Vasari. Questi elimina la figura del padre di
Giraldi, quindi depotenzia lo spessore narratologico e il significato euristico dell’aneddoto. Il personaggio di Giraldi senior trasforma il materiale narrativo in un reperto di secondo grado (e
si vedrà quanto ciò conti agli occhi di Stendhal). La sua funzione narrativa consiste nell’attribuire al racconto un significato
didattico in linea con le finalità normative dei Discorsi8.
Il significato didattico è accentuato dalla cornice esplicativa
entro cui Bossi nel 1811 colloca il racconto cinthiano del
1554. Spiega Bossi che «il costume poi di Leonardo, qui proposto dal Giraldi in esempio agli scrittori, non si può abbastanza raccomandare agli studiosi del disegno». Non è Leonardo stesso un disegnatore, il più prolifico della sua epoca, e
insieme un letterato, per quanto fosse accusato del contrario?
Cesare Segre ha elevato a casi esemplari di confronto fra discorso letterario e discorso figurativo diversi scritti vinciani
dedicati al Cenacolo9. A inizio Ottocento l’analisi non è ancora così sofisticata, ma si fonda su un’idea centrale anche nella
Storia pittorica di Lanzi, ossia sul connubio oraziano tra pittura
Nel racconto di Leonardo la figura di Cristoforo Giraldi, esperto di
humanae litterae e attento all’educazione del figlio, corrisponde a quella che
emerge dai documenti biografici compulsati da S. VILLARI, Le più antiche
biografie giraldiane, «Studi giraldiani. Letteratura e teatro», I (2015), pp. 1760, alle pp. 38-39. Riguardo a Giraldi senior, Stendhal avrebbe potuto
leggere questa frase nella Biographie universelle, ancienne et moderne, Paris,
L. G. Michaud, XVII, 1816, p. 443: «on dit que le père de Cintio, nommé
Christophe, était homme de lettres».
9 C. SEGRE, La pelle di san Bartolomeo. Discorso e tempo dell’arte, Torino,
Einaudi, 2003, pp. 22-23 e 88-89.
8
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e scrittura, arti sorelle al livello profondo dell’immaginazione
creatrice. Nella trattazione di Bossi «il costume di Leonardo»
ammaestra riguardo all’espressione e al bello ideale, due paradigmi speculativi prontamente recepiti ma diversamente sviluppati da Stendhal in funzione dei suoi ideali letterari:
- «l’espressione degli affetti [...] è la vera vita dell’arte», scrive
Bossi a commento del racconto; «l’expression est tout l’art», ribadisce Stendhal nell’Histoire a proposito di Masaccio. Il postulato dell’espressione come anima della pittura è un tÒpoj accademico diffuso almeno dal XVII secolo, sicché di certo tra Bossi e Stendhal il rapporto sarà interdiscorsivo più che intertestuale. Expression in effetti è un termine così ambiguo e inflazionato da caricarsi di significati diversi a seconda dell’uso che
ne venga fatto. L’estetica di Stendhal prescrive non l’aderenza
alla realtà effettuale, a ciò che Primo Levi nella Tregua definisce il «mondo delle cose che esistono», bensì l’espressione
emotiva come frutto di uno sforzo di idealizzazione. «A mes
yeux la première qualité […] est d’être expressif», ripete Stendhal nei più tardi Ricordi d’egotismo10.
- Bossi aggiunge che nel racconto giraldiano «ognuno
scorge finamente sviluppato il principio del bello ideale». Il
sesto libro dell’Histoire si occupa di questa nozione classica, di
cui Leonardo stesso sarebbe massimo interprete moderno insieme a Raffaello e a Correggio. Secondo Stendhal i grandi
pittori del Rinascimento italiano rinunciano a fare dei loro dipinti dei «miroirs fidèles», poiché imitano una natura sublimata, nel senso che selezionano i tratti della natura in sintonia
L’ultima cit. è tratta da M. P. CHABANNE, L’Histoire de la peinture en
Italie: pour une archéologie de l’esthétique stendhalienne, in Écrire la peinture entre
XVIII et XIX siècles: actes du colloque du Centre de recherches révolutionnaires et romantiques, Clermont-Ferrand, Presses Universitaires Blaise Pascal, 2003,
pp. 265-76: 272.
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con il loro animo. Leonardo è appunto «un des cinq ou six
grands hommes qui ont traduit leur âme au public par les
couleurs». Una «rappresentazione degli animi» è l’arte anche
per Bossi, il quale però riporta il racconto giraldiano a una diversa chiave di lettura, capace di conciliare il canone
dell’imitatio con quello dell’electio. A detta di Bossi il racconto
leonardiano di Giraldi insegna al poeta a raffigurare il tipo ideale che preesiste nella sua mente astraendo da molteplici individui particolari. Nel Rinascimento tale principio euristico è illustrato dall’exemplum del pittore greco Zeusi di Eraclea, il quale
armonizzò le parti migliori di cinque tra le più belle ragazze di
Crotone al fine di rendere la bellezza assoluta di Elena. Lo
stesso significato è attribuito al racconto giraldiano dall’ultimo
articolo di Bossi, uscito postumo sulla «Biblioteca italiana» nel
1816, che elegge Michelangelo, Leonardo e Raffaello a maestri del bello ideale11.
La rilettura ottocentesca del racconto giraldiano ad opera
di Bossi conferma la secolare «preminenza del codice pittorico nella mimesis letteraria» (R. Barthes). Quella rilettura risulta
però fuorviante una volta che il racconto venga ricucito nel
contesto complessivo dei Discorsi. Prima di trattare del Cenacolo Giraldi prescrive al letterato di consultarsi con gli esperti
11
Sul significato di espressione e di bello ideale, cfr. da ultimo la miscellanea Stendhal et Winckelmann, Grenoble, UGA, 2017. Il paradigma concettuale di Zeusi – su cui cfr. E. DI STEFANO, Zeusi e la bellezza di Elena, «Fieri.
Annali del Dip. di Filosofia, Storia e Critica dei Saperi», Università degli
Studi di Palermo, n. 1 (giugno 2004), pp. 77-86 – è esplicitamente richiamato sia da Giraldi in una postilla al suo esemplare dei Discorsi (ed. Villari,
pp. 43-44), sia da GIOVANNI BATTISTA ARMENINI nel trattato De’ veri precetti della pittura, Ravenna, Tebaldini, 1587, pp. 74-75. L’art. postumo di
Bossi s’intitola Del tipo dell’arte della pittura, «Biblioteca italiana», tomo IV,
anno primo, 1816, pp. 437-56 (Giraldi cit. alla p. 455); un’ed. moderna è
G. BOSSI, Scritti sulle arti, Firenze, SPES, 1982, vol. I, p. 166.
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delle arti che sta per affrontare, medici, astrologi, soldati, e
così via. È un’idea dello Ione platonico. In quel dialogo Socrate dimostra con la sua dialettica eristica che i versi omerici che
presuppongono una τέχνη vanno giudicati via via dall’auriga,
dal medico, dal pescatore, i soli in grado di valutare se quei
versi siano riusciti o meno. Se ne deduce che il pittore può insegnare qualcosa al letterato soltanto nel proprio specifico
campo di competenza. A differenza di Bossi e in parte di
Stendhal, Giraldi non sottopone l’espressione linguistica a
quella visuale secondo la parola d’ordine dell’ut pictura poesis12.
Chi volesse spingersi oltre tale evasiva constatazione dovrebbe abbandonare il piano della bibliografia e intraprendere
la strada della microstilistica. A questo livello la riscrittura della storia di Leonardo è riconducibile al gusto stendhaliano per
la brevitas. Sono tre i mezzi con cui essa viene perseguìta: omissione di dettagli esornativi o già riferiti, ad esempio soggetto e ubicazione del Cenacolo; laconismo diffuso, che ricorre a iperonimi («canaille» subentra alla lunga ipotiposi giraldiana, «le vili ed ignobili persone e per la maggior parte malvage e scellerate») e a termini concreti (per Stendhal Giuda è
semplicemente un «coquin», un traditore, mentre per Giraldi,
come già per Vasari, egli esprime al massimo grado l’idea del
tradimento); affinamento dei dialoghi, in accordo a una pratica enunciativa che combina «sobrietà tipografica classica e rarefazione moderna degli incisi»13. Stendhal infatti elimina
Su Platone nei Discorsi intorno al comporre, cfr. la nota 3 dell’ed. Villari, p. LXXII. La cit. di ROLAND BARTHES è tratta da S/Z. Una lettura di
Sarrasine di Balzac, Torino, Einaudi, 1973, p. 55. Cfr. anche C. LUCAS
FIORATO, Appunti sulle immagini negli scritti di Giraldi Cinthio, «Studi giraldiani. Letteratura e teatro», V (2019), pp. 265-93: 273.
13 C. REGGIANI, Les discours directs libres dans la prose narrative de Stendhal,
in Congrès Mondial de Linguistique Française, Paris, Institut de Linguistique
Française, 2010, pp. 1203-14: 1211.
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prima una battuta del duca (replica delle accuse fratesche), poi
alcune didascalie («con viso turbato», «quasi ridendo»), infine
due verba dicendi («disse il duca», «allora il Vinci rispose»). È
vero in definitiva che per certi versi Stendhal «a abrégé toute
l’histoire», ma la frase di Paul Arbelet coglie soltanto un risvolto marginale della riscrittura del Grenoblese14.
Essa è governata da una strategia letteraria più sottile. Pare
che Stendhal abbia mantenuto come testo-base «l’histoire» giraldiana, ma che nel contempo abbia provveduto a dislocare
alcune tessere narrative, o introdotte ex novo o nate dalla contaminazione con fonti già note. In dettaglio:
- ha una consistenza diversa la figura del padre di Giraldi,
assente in Vasari. Stendhal attribuisce al padre («Mon père,
homme fort curieux de ces sortes de détails») quegli interessi
artistici che Bossi accredita al figlio («Giraldi dilettossi o della
pittura o del conversar co’ pittori»). In altre parole nei Discorsi
Cristoforo discute «sovente» col Cinthio «del comporre», ovvero della scrittura letteraria; nell’Histoire gli racconta «mille fois»
del metodo leonardesco «pour son fameux tableau de Milan»;
- da Giraldi a Stendhal il priore e i frati si scambiano ruoli e
motivazioni. Nei Discorsi i frati si lamentano di Leonardo, che
alla fine evita di attribuire a uno di loro le fattezze di Giuda
«per non gli far vergognar di lor medesimi». Nell’Histoire a lamentarsi è il priore (nel testo di volta in volta «le prieur,
l’abbé, le père prieur»), particolare già presente nella versione
di Vasari; a sua volta Leonardo non assegna al priore i lineamenti di Giuda perché non vuole ridicolizzarlo nel suo stesso
P. ARBELET, L’Histoire de la peinture en Italie et les plagiats de Stendhal,
Paris, Calmann-Lévy, 1913, p. 236. Sui limiti dell’impostazione di Arbelet, e sull’opportunità di una nuova lettura dell’Histoire de la peinture, cfr.
l’Introduction di D. GALLO a Stendhal, historien de l’art, Rennes, Presses Universitaires de Rennes, 2012, pp. 7-12.
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convento («j’hésitais depuis longtemps à le tourner en ridicule
dans son propre couvent»).
Stendhal s’appropria di un testo altrui, lo domina, lo riduce
a immagine della propria natura, lo riscrive con l’intenzione di
spingerne la verità espressiva più prossima ai limiti di sé stessa.
Sul lungo periodo nella cultura francese quella riscrittura abrégée
mette fuori gioco la versione vasariana e si sovrappone, almeno
in parte, all’originale del 1554, di cui peraltro ignora le implicazioni platoniche15. Anche se i Discorsi intorno al comporre escono
dall’orizzonte culturale di Stendhal, il suo crescente interesse
per Giraldi si mantiene funzionale ai meccanismi dell’inventio.
2. Giraldi vs. Sismondi
La Bibliothèque Municipale di Grenoble conserva, alla collocazione V.23845 Rés, un esemplare della princeps delle Promenades dans Rome, par M. de Stendhal (Paris, Delaunay, 1829, 2
vol.), denominato «Serge André» dal nome del giornalista che
lo acquistò nel 1919. L’esemplare è impreziosito da postille
autografe d’autore, depositate sia sui margini delle pagine a
stampa, sia su quaderni rilegati all’inizio e alla fine di ciascun
volume, grazie alle quali monsieur de Stendhal, alius idemque,
Nella sua biografia di Leonardo compresa nella prima serie di Italiens et Flamands (Paris, Lévy, 1860, p. 209), Alexandre Dumas padre riporta sì il racconto di Giraldi, ma ammette di averlo tratto da Stendhal.
Scrittori meno scrupolosi quanto a ricontrollo delle fonti – un regesto
incompleto: A. HOUSSAYE, Histoire de Léonard de Vinci, Paris, Didier et C.,
1869, pp. 97-100; G. SÉAILLES, L’esthétique et l’art de Léonard de Vinci, «Revue des Deux Mondes», CXI (1892), p. 314; F. BÉRENCE, Léonard de Vinci, Paris, A. Somogy, 1965, pp. 125-26; ecc. – asseriscono di trascrivere la
versione di Giraldi, mentre in realtà stanno citando la riscrittura di Beyle.
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conversa con sé stesso in una pratica paratestuale sospesa tra
lettura e scrittura16.
La seguente postilla all’esemplare André è indice di un netto salto di qualità nella conoscenza di Giraldi:
Voir dans Giraldi Cinthio l’anecdote des brigands que le chef
de la maréchaussée d’Adria (Florence) fait attaquer avec des
chiens dans les bois voisins de Rome […].
Je regarde comme vraies la plupart des anecdotes dont Cinthio
fait ses cent nouvelles. Le Pecorone, les nouvelles de Bandello me
semblent également historiques. Bandello raconte l’art di novellare
et dit expressément qu’il faut recueillir des anecdotes vraies. J’ai
moins de foi dans Boccace que est littérateur de profession et non
pas un vrai bonhomme comme l’évêque d’Agen.
J’ai cru bien faire de supprimer ces sortes des preuves, mais le
siècle est pédant et emphatique. Les badauds disent que je manque
de gravité. Un globule exagérerait Cinthio et en ferait deux pages17.
La versione italiana di Massimo Colesanti esemplifica
quanto diceva Giovanni Orlandi18, ossia che la traduzione è
C. MEYNARD, L’exemplaire «Serge André» des Promenades dans Rome:
Stendhal critique de Stendhal, in Enquêtes sur les Promenades dans Rome, a cura di
X. BOURDENET e F. VANOOSTHUYSE, Grenoble, UGA, 2011, pp. 97-114.
17 STENDHAL, Voyages en Italie, textes établis, présentés et annotés par
V. DEL LITTO, Paris, Gallimard, 1973, p. 1728. Il secondo paragrafo della postilla fu pubblicato, se non erro per la prima volta, da C. STRYIENSKI - P. ARBELET, Soirées du Stendhal club. Deuxième série: documents inédits,
Paris, Mercure de France, 1908, pp. 172-73. «Cent nouvelles», in quanto
titolo al pari di «Le Pecorone», si potrebbe scrivere in corsivo e con
l’iniziale maiuscola, visto che gli Hecatommithi sono le Cento Novelle di
M. Giovanbattista Giraldi Cinthio Nobile Ferrarese. «Cento Novelle» è il titolo
che compare sul dorso dell’esemplare degli Hecatommithi posseduto e annotato da Stendhal (cfr. infra, par. 4 e fig. 3).
18 P. CHIESA, Il “lavoro lento” del filologo, «Atti della Accademia nazionale dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Rendiconti»,
CDXV (2018), pp. 439-52 (in part. pp. 448-50).
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un atto filologico indispensabile per comprendere a fondo un
testo scritto in una lingua diversa dalla propria:
Si veda in Giraldi l’episodio dei briganti che il comandante della
polizia di Adria (Firenze) fa attaccare con i cani nei boschi vicini a
Roma [...].
Ritengo che la maggior parte dei fatti da cui Cinthio ha tratto le
sue cento novelle siano veri. Il Pecorone, le novelle di Bandello sono
per me fatti storici. Bandello ci spiega l’arte di novellare e dice espressamente che bisogna raccogliere episodi veri. Credo meno a Boccaccio, letterato di professione e non brav’uomo come il vescovo di
Agen.
Ho creduto di far bene sopprimendo questa specie di prove, ma
il nostro tempo è pedante ed enfatico. Gli stupidi dicono che manco di serietà. Un collaboratore del «Globe» porterebbe alle stelle Cinthio e ci scriverebbe sopra due pagine19.
Il primo paragrafo richiede un rilievo di tipo ecdotico. In
luogo del toponimo Adria (Florence) presente nel testo della
Pléiade e transitato nella traduzione di Colesanti, andrebbe introdotto l’antroponimo Adrien (Florent). Stendhal allude invero
alla nona novella della settima deca degli Hecatommithi: il bargello (maréchaussée) di papa Adriano VI Florent ricorre ai cani
per stanare i briganti che infestano la campagna romana. Il ricorso ai cani sembra un dettaglio marginale, se non fosse che
i briganti sono a loro volta paragonati ad animali in una sorta
di fraseologia diegetica. Nei Mémoires sur Napoléon Stendhal osserva che i dettagli più minuti conferiscono al racconto l’autenticità del reale. È questa la ragione per cui l’Histoire de la
STENDHAL, Passeggiate romane, a cura di M. COLESANTI, nuova ed.
riv., Milano, Garzanti, 1983, pp. 492-93. A causa del «riflesso di sinonimizzazione» che Milan Kundera (I testamenti traditi, Milano, Adelphi,
2000, p. 112) imputa a quasi tutti i traduttori, in particolare a quelli francesi di Kafka, la versione di Colesanti neutralizza però la triplice ripetizione della parola chiave della postilla, anecdote(s).
19
207
DAVIDE COLOMBO
peinture accredita a Giraldi senior la curiosità per i dettagli relativi alla realizzazione del Cenacolo. Di una «hypertrophie du
détail» ha parlato Brigitte Diaz per la più tarda Vita di Henry
Brulard, «comme si seul le détail, cristallisé en une image, pouvait être vecteur de vérité»20.
Anche la postilla in esame celebra la verità del dettaglio,
linfa vitale della narrativa. Dai dettagli cristallizzati di una novella di Giraldi («l’anecdote des brigands») si passa infatti ad
affermarne la quasi generale attendibilità («Je regarde comme
vraies la plupart des anecdotes dont Cinthio fait ses cent nouvelles»). Malgrado tale apertura di credito, l’autore delle Promenades ha creduto opportuno non menzionarvi gli Hecatommithi, ma ora si rammarica di non averlo fatto. È stato infatti disapprovato a causa di quella mancanza di serietà che
l’Avertissement delle Promenades rivendica invece come un pregio; al Cinthio avrebbe dedicato sin troppo spazio un «globule», un articolista del «Globe».
Simili pensieri paiono obbedire all’immediatezza e alla
sconnessione tipiche della scrittura privata currenti calamo. In
realtà la menzione del periodico parigino è strettamente legata
all’accusa di scarsa o nulla serietà. Che di questa difettassero
20 Maréchaussée d’Adrien (Florent) è la lezione di altre edd. delle Promenades (Paris, Le Divan, 1931, p. 122, nota 1; Genève, Editions Cercle du
Bibliophile, s. d., III, p. 420). Tra Sette e Ottocento due antologie comprendono la novella dei briganti braccati dai cani: Novelliero italiano, Venezia, Pasquali, 1754, III, pp. 52-58; Novelle scelte dei più celebri scrittori italiani
antichi e moderni, Vienna, Heubner e Volre, 1818, pp. 131-38. Oggi l’ed. di
riferimento è curata da S. VILLARI, Roma, Salerno Editrice, 2012 (III, pp.
1399-1404, per la novella). La cit. finale, come il precedente rimando ai
Mémoires sur Napoléon, spetta a B. DIAZ, Stendhal “Narcisse historien”, «Recherches & Travaux», XC (2017), p. 6. Della «rimozione di ogni particolare che non abbia una immediata funzionalità narrativa» parla S. CARAPEZZA, Milano negli Hecatommithi, in questo stesso fascicolo di «Studi giraldiani», pp. 67-94: 68.
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«VEDILA LÀ CON UN COLTELLO IN MANO». GIRALDI CINTHIO E STENDHAL
le Promenades, che in sostanza fossero frivole e non sempre attendibili, era rilievo comune ai primi recensori. Proprio quello
del «Globe» l’aveva confermato il 24 di ottobre del 1829:
bien que le mot lui répugne, il y a dans ses recherches de la
conscience et de la gravité. Le Globe [del 16 settembre] a cité
quelques fragments de son livre, ceux qui se prêtaient le plus à être
détachés. Mais il ne faut pas croire que tout soit sur ce ton.
La stessa reazione era stata vissuta da Stendhal in prima
persona. Egli racconta nella lettera del 10 settembre 1834 che
non v’è triste famiglia inglese che visiti Roma senza consultare le Promenades, aggiunge che gliene hanno parlato senza sapere che fosse lui l’autore, conclude che «ces bêtes trouvent
que cela manque de gravité». Vale la pena d’indugiare sulla citazione per mettere in rilievo l’effetto d’eco rispetto sia a «les
badauds disent que je manque de gravité», sia all’epiteto archibête affibbiato un tempo a Bossi21.
Quest’esame minuzioso potrebbe sembrare pedantesco e a
conti fatti irrilevante. Esso tuttavia suggerisce che, anche grazie
a Giraldi, nella postilla all’esemplare André Stendhal riflette sugli esiti delle proprie strategie d’autore. Tale riflessione si sviluppa lungo due linee espositive, l’una convergente nell’altra.
La prima linea riguarda la ricezione, l’orizzonte d’attesa dei
lettori. L’audacia di uno scrittore fuori dagli schemi che non si
Le prime reazioni alle Promenades sono discusse in STENDHAL, Voyages en Italie, pp. 1599-1601. La rec. del «Globe» si legge nel to. VII, n. 85,
24 ottobre 1829, pp. 675-77: 676. Per un’estensione dell’indagine è di
prammatica il ricorso a V. DEL LITTO, Stendhal sous l’œil de le presse contemporaine (1817-1843), Paris, Honoré Champion, 2001. Non è l’unico caso
in cui Stendhal, per colpa del «secolo pedante», intende ripristinare una
nota soppressa nelle bozze delle Promenades: si veda ad es. la giunta
all’esemplare André riportata nell’ed. cit. dei Voyages, pp. 1679-81.
21
209
DAVIDE COLOMBO
sia premunito blandendo i loro gusti suscita quasi sempre
sconcerto e irritazione. Le Promenades avevano sì preso in esame l’alternativa fra «travailler pour le gros public ou pour the
happy few», ma l’avevano risolta a favore del secondo termine.
Dedicata a pochi, felici fortunati, quell’opera era però finita tra
le mani del grosso pubblico, gitanti e gazzettieri che non riuscivano ad apprezzare né il tono della narrazione, improntato a
signorile sprezzatura, né la dispositio idiosincratica dei materiali
narrativi, distinti da salti, discontinuità, dissolvenze tra primi
piani e sfondi, secondo il magistero dell’amatissimo Ariosto.
La seconda linea espositiva riguarda la produzione, in particolare l’inventio, già al centro del brano su Leonardo. La postilla
all’esemplare André si riferisce a un passo delle Promenades relativo al brigantaggio in Italia. Stando ai commenti di Del Litto e
di Caraccio, Stendhal ha elaborato quel passo a partire dall’Histoire des républiques italiennes du Moyen Age dello storico e critico letterario ginevrino Simonde de Sismondi; quindi ne ha ripresi temi e motivi all’inizio della Badessa di Castro, forse la più
famosa delle Cronache italiane pubblicata nel 1839. Da Sismondi
alle Promenades, dalle Promenades alla Badessa di Castro, dunque.
Qual è il ruolo di Giraldi in questa mappa genetica?22
Le due linee espositive s’intrecciano sino a coincidere nella
parte iniziale della Badessa di Castro, quando il reperimento di
temi e materiali attinenti al brigantaggio è vincolato alla competenza letteraria del lettore, anzi alla sua educazione come lettore di narrativa. A differenza dei briganti che s’oppongono al
potere costituito, gli storici di professione – in nota sono elencati Giovio, Aretino, Roscoe, Robertson, Guicciardini – ne suLa mappa genetica è riassunta da COLESANTI nella sua ed. delle
Passeggiate, p. 492, nota 217. Una lettura intertestuale dell’opera di Stendhal è propugnata dalla Dissertation di F. MEIER, Leben im Zitat. Zur Modernität der Romane Stendhals, Tübingen, Gunter Narr Verlag, 1993.
22
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«VEDILA LÀ CON UN COLTELLO IN MANO». GIRALDI CINTHIO E STENDHAL
biscono a tal punto i condizionamenti da perdere credibilità agli occhi di un lettore avvertito. A causa della diffidenza verso
gli «scrittori generalmente approvati», il narratore dichiara
d’aver tradotto o consultato testi sconosciuti e inaccessibili, ossia un manoscritto italiano, uno fiorentino, e otto volumi in folio: fonti di prima mano, a suo dire attendibili quanto le raccolte di documenti curate da Ludovico Antonio Muratori23.
Iniziare un racconto con la storia della sua genesi e pubblicazione è un modo convenzionale per spingere i lettori a sospendere l’incredulità, a prestar fede a quanto stanno per leggere. In questo caso, però, l’espediente del manoscritto anonimo cela una vicenda più complessa sebbene non del tutto
chiarita. Nel 1833 Stendhal aveva davvero scoperto una quarantina di «relazioni tragiche» manoscritte, storie sanguinarie
di omicidi, vendette, tradimenti. Le aveva fatte trascrivere e
rilegare in quattordici volumi, quindi aveva sottoposto alcune
di esse a un procedimento di trasfigurazione giocato su diversi gradi d’impegno e complessità, dalla semplice riscrittura sino al rifacimento radicale. Da quei «racconti in forma di cronaca» avrebbero preso spunto non soltanto la Badessa di Castro, ma altresì la Certosa di Parma24.
23 Pietro Aretino pare una presenza incongrua nell’elenco di storici,
non soltanto perché egli non lo è, ma anche perché viene considerato da
Stendhal un oppositore al potere politico sia nell’Histoire de la peinture
(p. 378, nota 1), sia in nota nelle Promenades (Voyages, p. 640).
24 Gli specialisti di Stendhal e di Giraldi hanno più volte preso in esame la varia e a volte discorde commistione di “reale” e inventato, con
conseguenti riflessioni sui limiti elastici tra “verità” e invenzione. Spiccano per finezza le analisi di L. ROSCIONI, La Badessa di Castro. Storia di uno
scandalo, Bologna, il Mulino, 2017 (da cui è tratta la definizione di «racconti in forma di cronaca»), e di E. MENETTI, La realtà come invenzione.
Forme e storia della novella italiana, Milano, FrancoAngeli, 2015.
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DAVIDE COLOMBO
Gli apografi dei racconti ritrovati nel ’33 sono oggi custoditi
a Parigi presso il Département des Manuscrits della Biblioteca nazionale di Francia. Al primo manoscritto in ordine di segnatura, l’Italien 169, Stendhal ha premesso di suo pugno alcuni appunti in vista di una prefazione alle Cronache italiane. Giraldi vi è
nominato in due occasioni.
Les Romans suivis nous manquent pour peindre les mœurs de
l’Italie de 1300 à Goldoni 1750. Ces recits, ceux de Bandello, de
Giraldi Cintio donnent la peinture des Mœurs. En y ajoutant les
annales de Muratori on a une idée juste de l’Italie.
Questa prima pericope (fig. 1) è rifusa qualche carta più
avanti in una versione più elaborata – ma visibilmente ancora
provvisoria – rivolta au curieux (fig. 2):
Les récits que voici, ceux de Bandello et de Geraldi [sic] Cintio de
Bto Cellini Soutenus par la lecture des Annales de Muratori, [et
par le mépris pour mm. Sismondi, Roscoe, Botta et autres déclamateurs payés par un parti ou par un King,] donnent une idée parfaitement juste de l’Italie de l’an 1300 à 175025.
Siffatto materiale grezzo è comunque rispondente a un
netto discrimine di valori sviluppato già dalle Promenades con
una buona dose di rigidità programmatica: «sur toutes ces choÈ possibile un accesso diretto al ms. 169 grazie alla sua versione digitalizzata (https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b10036804g/f1.item): per questo
azzardiamo una possibile trascrizione, qui e sempre conservativa, che si
differenzia in questo o quel dettaglio da altre proposte (STENDHAL,
Chroniques italiennes, Paris, Le Divan, 1929, I, pp. XIV-XV; STENDHAL,
Mélanges intimes et marginalia, Paris, Le Divan, 1936, II, p. 175; CARLO
CORDIÈ, Ricerche stendhaliane, Napoli, Morano, 1967, pp. 508 e 516;
STENDHAL, Chroniques italiennes, Genève, Editions Cercle du Bibliophile, 1968, II, p. 9; STENDHAL, Œuvres romanesques complètes, Paris, Gallimard, 2007, II, p. 1018).
25
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«VEDILA LÀ CON UN COLTELLO IN MANO». GIRALDI CINTHIO E STENDHAL
ses», scrive Stendhal al culmine di una riflessione dedicata alla
tarda antichità romana, «cinquante pages des auteurs originaux
en apprennent plus que cinq cents lues dans les écrivains modernes, presque tous vendus au pouvoir ou à un système»26.
Allo stesso discrimine di valori, che lo porta a preferire gli autori antichi agli scrittori moderni, quasi tutti venduti al potere o
a un sistema (pagati da un partito o da un re), Stendhal accenna
nel 1825 in un articolo del «London Magazine»:
People who have studied the history of the middle ages in the
manuscripts of the Florentine libraries, and not in Mr. Sismondi’s
book [scilicet l’Histoire des républiques italiennes du Moyen Age], know
that most of the tales of Pecorone, of Cintio, Giraldi, Bandello, &c.
&c. are relations of events which actually happened in the eleventh
and twelfth centuries27.
«La maggior parte dei racconti» del Pecorone, di Giraldi e di
Bandello sono relazioni di fatti davvero accaduti. Nella postilSTENDHAL, Voyages, p. 1110.
Letters from Paris, by Grimm’s Grandson, no. XII, «London Magazine»,
New Series, XII (1 dec. 1825), pp. 541-50: 548. Il commento alla versione
francese di questo brano ad opera di C. DÉDÉYAN, Stendhal et Carlo Porta,
in Stendhal e Milano. Atti del XIV Congresso internazionale stendhaliano
(Milano, 19-23 marzo 1980), Milano, Olschki, 1982, vol. I, p. 310, ignora
l’equivoco onomastico Cintio, Giraldi anziché Cintio Giraldi. Se non erro
alcune edizioni critiche degli articoli di Stendhal o non intervengono, o
distinguono Cintio da Giraldi, quasi fossero due autori. Cfr. ad es. STENDHAL, Courrier anglais. London Magazine, Athenaeum, Paris, Le Divan, 1936,
pp. 267-68 (ma l’errata corrige della Table alphabétique, Paris, Le Divan,
1937, I, p. 71, prescrive la lezione Cinthio Giraldi); oppure STENDHAL,
Paris-Londres. Chroniques, Stock, 1997, p. 594. Si tratta però non di un errore d’autore per consuetudine o ignoranza, da preservare (Stendhal aveva già scritto la Storia della pittura e la Vita di Rossini: conosceva sia il nome di Giraldi sia, non si sa quanto a fondo, almeno due sue opere, i Discorsi e gli Hecatommithi), bensì o di un refuso non corretto, da emendare,
o di un errore d’autore per distrazione, anch’esso da emendare.
26
27
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DAVIDE COLOMBO
la Stendhal cita allo stesso modo «la plupart des anecdotes» di
Giraldi (qui Cintio Giraldi, prima Geraldi Cintio), e nomina gli
stessi scrittori: l’autore del Pecorone è sostituito da Benvenuto
Cellini soltanto nell’abbozzo di prefazione alle Cronache italiane. Per quanto lontani nel tempo e dissimili per occasione, natura e finalità, grazie a tali rispondenze interne ed esterne i
passi citati s’illuminano a vicenda, tanto che permettono di
spiegare Stendhal con Stendhal a dispetto di qualche forzatura. In definitiva «les écrivains modernes» sono gli storici al
soldo del potere politico, gli «scrittori generalmente approvati» della Badessa di Castro, i «déclamateurs payés par un parti ou
par un King» dell’abbozzo di prefazione. Di contro gli «auteurs originaux» sono quelli editi da Muratori, sono alcuni
novellieri italiani, sono le relazioni tragiche scoperte nel ’3328.
Lo schema argomentativo giocato sull’antitesi fra letteratura (novellistica in particolare, vera perché dettagliata) e storiografia (non vera perché a libro paga dei potenti), è pericolosamente simile a una collaudata generalizzazione, che da una
sequenza cronologica d’autori trae una conseguenza logica,
ovvero che i più antichi sarebbero i più veritieri. Pur conscio
del rapporto problematico fra la realtà e chi la narra, sia esso
storico o letterato, Stendhal sembra ancorato a un’immagine
intenzionalmente monodimensionale di Giraldi, a tal punto
che non esita a manipolare con premeditata disinvoltura
l’Histoire di Sismondi, una fonte privilegiata che potrebbe offrire un quadro diverso e più articolato.
Le accuse che Stendhal muove a Sismondi, di essere venduto al potere politico, Sismondi le aveva rivolte a Giraldi.
Sull’omologia fra anecdotes, gli episodi veri di cui sono intessute le
novelle di Giraldi, e historiettes, i racconti sanguinari da cui derivano le
Cronache italiane, si veda la conclusione dell’articolo di G. RANNAUD,
Stendhal et la tentation de l’histoire, «Romantisme», CVII (2000), pp. 5-22.
28
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«VEDILA LÀ CON UN COLTELLO IN MANO». GIRALDI CINTHIO E STENDHAL
Stando all’Histoire questi sarebbe uno storico cortigiano la cui
credibilità è pregiudicata dalla protezione politica ricevuta dagli Estensi. In particolare nel De Ferraria et Atestinis principibus
commentariolum, uscito a Ferrara nel 1556 e volgarizzato nello
stesso anno, Giraldi «dissimule les événements» relativi alla
congiura di Giulio e Ferrante d’Este ai danni dei fratelli Ippolito e Alfonso. Un altro esempio d’interessata e colpevole reticenza è la ricostruzione storica del complotto ordito da papa
Leone X per assassinare il duca Alfonso. Sismondi lo denuncia nella seguente nota bibliografica:
Muratori, Annali d’Italia, ad ann. 1520. T. XIV, p. 164. – Fr. Guicciardini, Lib. XIII, p. 171, qui supprime du complot le projet d'assassinat, auquel il est possible qu’il n’eût pas participé. Giraldi et
Paul Jove se taisent sur cet événement odieux, et M. Roscoe se
fonde sur leur silence pour le révoquer en doute. Vie de Léon X.
Ch. XXIII, t. III, p. 524, trad.29.
L’accesso diretto ai documenti originali conservati negli archivi estensi è una garanzia dell’autenticità di Muratori. Stendhal nelle Promenades non può che sposare questo punto di vista, visto che più volte insiste sui vantaggi d’interrogare senza
intermediari le fonti primarie:
Là, Muratori, l’homme qui a le mieux connu l’histoire d’Italie et
qui était prêtre, en a pris connaissance. Guichardin se garde bien
Histoire des Républiques italiennes du Moyen Age. Par J.C.L. SIMONDE DE
SISMONDI, Paris, Treuttel et Würtz, 1818, XIV, p. 463. Su Giraldi storico
dissimulatore, cfr. il to. XIII, p. 329 della stessa opera. Se non ho visto male, queste sono le uniche citazioni dirette di Giraldi nell’ed. dell’Histoire nota a Stendhal. L’ardua aspirazione alla verità da parte dello storico vincolato al potere politico è il tema della lettera di Giraldi a Giovanni Manardi
antologizzata dalla Crestomazia di Leopardi e oggi disponibile nel Carteggio
giraldiano a cura di S. VILLARI, Messina, Sicania, 1996, pp. 116-20.
29
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d’avouer dans son histoire le projet d’assassinat; cette réticence a
suffi pour le nier à un pauvre panégyriste anglais (M. Roscoë, Vie
de Léon X); vous voyez que, lorsqu’on veut savoir quelque chose, il
faut lire les originaux30.
Questo paragrafo è due volte paradossale. Nel momento
stesso in cui asserisce la necessità di leggere recta via gli originali, Stendhal rimaneggia notizie di seconda mano, perdipiù
traendole dall’Histoire di Sismondi, a parole messa in quarantena, nei fatti eletta a repertorio di dati. In tal senso l’opera di
Sismondi non è diversa dal trattato di Bossi su Leonardo.
Tuttavia il gusto per la brevitas che governa la riscrittura di
Bossi non basta a spiegare l’omissione della frase relativa a
Giraldi e Giovio, i quali, diceva Sismondi, «se taisent sur cet
événement odieux». Stendhal ha indirettamente conosciuto il
Giraldi storico dell’arte e il Giraldi epitomatore estense, eppure continua a considerarlo un letterato, per meglio dire un
novelliere, e in quanto tale necessariamente veritiero, visto
che esiste una “verità di genere” che spetta alla novella31.
30 È un dato acquisito che le Promenades raccontano la congiura e il
complotto sulla scorta dell’Histoire di Sismondi, di cui però obliterano
ogni rinvio a Giraldi: cfr. STENDHAL, Voyages, pp. 949-51 e 1027 (è il
brano appena citato); note alle pp. 1709 e 1727. Già prima delle Promenades Stendhal raccomanda la lettura di documenti originali: «Prends pour
maxime de ne lire que les originaux et que les historiens contemporains»,
scrive il 15 nov. 1816 (STENDHAL, Correspondance générale, Paris, Champion, 1998, vol. II, p. 734).
31 Manipolazioni disinvolte sino alla falsificazione sono state ravvisate
nell’Histoire de la peinture: cfr. A. AUF DER HEYDE, Voix hors champ: Stendhal
historien de l’art contemporain dans l’Histoire de la peinture en Italie (1817), in
Stendhal, historien de l’art, pp. 43-57.
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«VEDILA LÀ CON UN COLTELLO IN MANO». GIRALDI CINTHIO E STENDHAL
3. Bandello e la tradizione della narratio brevis
Stendhal ha beneficiato dell’impegno testuale e critico sul
canone dei novellieri italiani condotto dalla ricerca antiquaria
a cavallo tra i secoli XVIII e XIX. Un recente saggio di Amedeo
Quondam sul tema – l’«invenzione retrospettiva» della lunga
tradizione della narratio brevis a partire dalla sua esplosione ottocentesca – assume come testo di riferimento la bibliografia
Delle novelle italiane in prosa del bassanese Bartolomeo Gamba
(princeps 1833). Un’opera (o il tomo di un’opera) di Gamba era
presente nella biblioteca romana di Stendhal, ma non è dato
sapere se si tratti proprio di quel repertorio, che Quondam
definisce la «prima descrizione analitica di una biblioteca virtuale della tradizione novellistica»32.
Siamo invece più informati su quali e quanti novellieri
Stendhal conservasse nella sua biblioteca reale. I libri di sua
proprietà a Roma e a Civitavecchia sono in parte confluiti nel
Fondo Stendhaliano Bucci della Biblioteca Comunale Centrale Sormani di Milano. Vi sono comprese svariate edizioni di
novellieri: tra di esse non soltanto i summentovati Bandello e
Fiorentino, ma altresì Parabosco, Grazzini e Sacchetti fanno
parte della medesima collezione di libri economici color mattone, la Raccolta de’ novellieri italiani, pubblicata in piccolo forA. QUONDAM, La vittoria del Novellino nella tradizione delle forme narrative brevi, «Carte Romanze», VII, 1 (2019), pp. 195-253: 221. Gamba compare nell’inventario riportato da F. BOYER, La bibliothèque de Stendhal à
Rome (1842), Paris, Editions du Stendhal-Club, 1923, p. 12. Se davvero
Stendhal avesse conosciuto il repertorio di B. GAMBA, Delle novelle italiane
in prosa. Bibliografia, Venezia, dalla tip. di Alvisopoli, 1833, avrebbe potuto
imbattersi in un parere relativo a Giovanni Fiorentino («le novelle del Pecorone sono per lo più vere storie»: p. 32), che ne giustificherebbe forse il
ripetuto accostamento a Giraldi e Bandello appunto nel segno della verità dei fatti narrati.
32
217
DAVIDE COLOMBO
mato dall’editore milanese Giovanni Silvestri come prima sezione della Biblioteca scelta di opere italiane antiche e moderne33.
La Raccolta de’ novellieri fu inaugurata il 5 agosto 1813 dalle
Novelle di Matteo Bandello. Il suo rilievo per Stendhal è da tempo agli atti. Armand Caraccio lo definisce allievo di Bandello:
in lui il Grenoblese ha trovato «une leçon d’observation, une
méthode d’exposition, une leçon de style», oltreché una fonte
d’ispirazione per l’incompiuto progetto teatrale Francesca Polo34. L’edizione Pléiade delle Promenades fa tesoro delle indagini
di Caraccio, tanto da rilanciarle con nuove proposte interpretative. Due sembrano utili ai nostri fini:
- in primis Bandello e Giraldi sono uniti dal nome di Giuseppe Bossi. Dal già citato libro del pittore bustocco sul Cenacolo di Leonardo, Stendhal ha tratto una prima parziale cognizione dei due novellieri, trascrivendo nella sua Storia della
pittura non soltanto l’exemplum vinciano da cui siamo partiti,
Le postille stendhaliane ai libri del Fondo Stendhaliano Bucci disponibili on line (http://www.digitami.it/stendhal/) non sono del tutto fruibili a causa di problemi informatici indipendenti dalla volontà dei benemeriti curatori (cito soltanto Zinaida Yurovskaya, alla quale si devono la revisione e trascrizione delle postille agli Hecatommithi). La biblioteca digitale stendhaliana – da completare con V. DEL LITTO, Les bibliothèques de Stendhal, Paris, Champion, 2001 – ha rappresentato comunque
un imprescindibile strumento di lavoro per la presente ricerca. Su Giovanni Silvestri: E. MARAZZI, Silvestri, Giovanni, in Dizionario biografico
degli Italiani, vol. XCII, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana Treccani, 2018 (http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-silvestri_(Dizionario-Biografico)/).
Sulla Raccolta de’ novellieri, cfr. M. BERENGO, Intellettuali e librai nella Milano
della Restaurazione, Milano, FrancoAngeli, 2012, pp. 133-34.
34 A. CARACCIO, Variétés stendhaliennes, Grenoble, Arthaud, 1947,
pp. 30-50 (la cit. a p. 44), a mia conoscenza l’unico contributo in parte
dedicato a Giraldi e Stendhal, da integrare con A. BOTTACIN, Ombre veneziane in «Francesca Polo», in EAD., Saggi stendhaliani, Moncalieri, C.I.R.V.I.,
2013, pp. 67-78.
33
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«VEDILA LÀ CON UN COLTELLO IN MANO». GIRALDI CINTHIO E STENDHAL
ma altresì la dedica di una novella di Bandello d’argomento
leonardiano, la LVIII della prima parte;
- in secundis «les renseignements biographiques» a Bandello
nelle Promenades sarebbero derivati dagli Scrittori d’Italia dell’erudito bresciano Giammaria Mazzuchelli. In effetti i suoi
medaglioni biografici sono esaltati da una pagina delle Promenades fittiziamente datata 19 agosto 1827: «le comte Mazzuchelli a laissé d’excellentes notices sur la plupart des Italiens
célèbres du Moyen Âge»35.
Le due proposte meritano d’essere discusse partitamente.
- Chappuy è uno dei tanti pseudonimi di Henry Beyle, il
quale però non sembra aver conoscenza diretta e accertata di
Gabriel de Chappuys, traduttore di Giraldi e Bandello. È Bossi ad aver avvicinato per la prima volta Stendhal ai due novellieri accomunati da una lunga eclissi editoriale. Vincenzo Bandello, priore del convento delle Grazie coprotagonista del racconto di Giraldi, era zio del futuro novelliere Matteo, allora
giovane novizio domenicano. Questi, nella dedica riportata da
Bossi, racconta che da adolescente aveva avuto modo di vedere «più volte» Leonardo giungere di buon mattino nel refettorio, issarsi sui ponteggi e mettersi al lavoro. Dunque Matteo
Bandello e Giraldi senior possono raccontare come dipingeva
Leonardo poiché ne sono stati – poiché dicono di esserne stati
– testimoni autoptici. Il riscontro testimoniale dei fatti è un
espediente tipico della novellistica che consente di aumentare
STENDHAL, Voyages, pp. 620, nota (la lode a Mazzuchelli), e 162223 (le proposte interpretative derivate da Caraccio). Su Stendhal e Bandello, cfr. ora la tesi di dottorato di Nicolas Allard (Le récit court stendhalien,
discussa alla Sorbonne Nouvelle - Paris III, sotto la direzione di Paolo
Tortonese, il 2 giugno 2017). L’ultimo art. su Mazzuchelli è di L. SILVANO, Una pagina inedita degli «Scrittori d’Italia» del Mazzuchelli: la biografia
dell’umanista bresciano Ubertino Posculo, «Giornale storico della letteratura
italiana», CXCV, 649 (2018), pp. 76-89.
35
219
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l’effetto di realtà, nel senso che è vero ciò che viene presentato come tale. A questa modalità narrativa sembra alludere un
passaggio della prima postilla esaminata, ossia che «Bandello
raconte l’art di novellare et dit expressément qu’il faut recueillir
des anecdotes vraies».
L’espediente della adtestatio rei visae o auditae conduce al cuore dell’arte narrativa stendhaliana. Stando a quanto riferisce la
Prefazione, la Certosa di Parma nasce dal racconto del nipote di un
canonico padovano. Successive redazioni di quella Prefazione,
registrate fra le Notes et variantes dell’edizione Martineau, ruotano tutte attorno a rimandi a Bandello, sull’esempio del quale
l’io narrante afferma di volersi attenere all’ostensione documentaria quale garanzia massima di veridicità e autenticità. «Imiterò il vostro antico novelliere Bandello, vescovo di Agen»,
si legge ad esempio nell’edizione del 1853, «che si sarebbe fatto
scrupolo di trascurare un solo particolare vero o d’aggiungerne
di nuovi»36.
- Non persuade invece l’altra proposta critica, che Mazzuchelli avrebbe fornito a Stendhal le notizie su Bandello presenti nelle Promenades. Quel che i paleografi chiamano il “colpo d’occhio” basta di per sé a evidenziare che il rimando agli
36
STENDHAL, Romans et nouvelles, édition établie et annotée par
H. MARTINEAU, Paris, Gallimard, 1989, II, pp. 1375-76. Queste convenzioni rappresentative, tra cui il ricorso al racconto in prima persona o il
riscontro testimoniale dei fatti, risentono dell’interferenza fra scrittura
della storia e scrittura del romanzo: sono proprie cioè sia della letteratura
(non soltanto della novellistica: cfr. J. HERMAN - M. KOZUL, Il romanzo
legittimato, o la retorica della prefazione, in Il Romanzo, a cura di F. MORETTI,
vol. IV. Temi, luoghi, eroi, Torino, Einaudi, 2003, pp. 133-54), sia della storiografia (l’elemento testimoniale caratterizza i memoriali pubblicati in
Francia fra 1820 e 1840, cui s’attiene lo stesso Stendhal: cfr. C. MARIETTE, Pour Stendhal, quelle histoire?, «Recherches & Travaux», XC, 2017
[http://journals.openedition.org/recherchestravaux/917]).
220
«VEDILA LÀ CON UN COLTELLO IN MANO». GIRALDI CINTHIO E STENDHAL
Scrittori d’Italia è fuorviante. I novellieri del Fondo Stendhaliano Bucci offrono una soluzione più economica: la pagina delle Promenades fittiziamente datata 19 agosto 1827 riscrive in
larga parte la Prefazione dell’ed. Silvestri di Bandello. Il confronto tra le Promenades e la Prefazione di Silvestri sarà condotto in modo dettagliato poiché getta luce indiretta su Stendhal lettore di Giraldi37.
La preminenza letteraria non ancora riconosciuta di Bandello è convinzione comune a Silvestri (che lo definisce «insigne scrittore [...], il più raro di tutti») e a Stendhal (secondo
cui Bandello, «excellent romancier [...], ne jouit pas de la réputation dont il est digne», quasi a conferma del gusto corrotto
del grosso pubblico). Su questa base Stendhal attribuisce al
solo Bandello due peculiarità complementari che Silvestri riconosce a tutti i novellieri, ossia il realismo e la rappresentazione dei costumi. A detta di Silvestri «le Novelle, almeno per
la massima parte, contengono avvenimenti reali», poiché «dipingono, quasi in altrettanti piccioli quadri, i costumi degli
uomini e de’ popoli». Nella sua copia delle Novelle bandelliane,
Stendhal evidenzia la prima frase con due righe perpendicolari, riassume la seconda con la postilla a lapis Miroir des moeurs
sul margine superiore. «Il n’invente rien, ses nouvelles sont
fondées sur des faits vrais», traduce poi nelle Promenades, visto
che vede appunto rappresentati in quelle novelle «les mœurs
du quinzième siècle». La riscrittura avviene dunque sul filo
dell’analogia, ma non esclude il contrasto. Silvestri afferma
che chi legge le novelle non è sempre in grado di spogliarsi
dei propri «pregiudizi»; Stendhal osserva al contrario che proprio Bandello è in grado di guarirci dai «préjugés» indotti dagli
37 Dalla Correspondance générale, III, p. 659, risulta che Stendhal stava
leggendo Bandello agli inizi del 1828.
221
DAVIDE COLOMBO
storici contemporanei Botta, Sismondi, Roscoe (ennesima
versione dell’antitesi stendhaliana fra storici e letterati)38.
La forte permeabilità fra i giudizi su Giraldi e Bandello deriva dalla cultura letteraria di Stendhal, che li inquadra grazie
al trattato di Bossi sul Cenacolo e all’edizione Silvestri delle
Novelle. Giraldi e Bandello sono ambedue scrittori attendibili,
poiché riportano ciò che hanno visto o che è stato loro raccontato. La loro è un’attendibilità narratologica più che fattuale: essi ricorrono a codici convenzionali accettati per buoni, socialmente riconosciuti nella loro capacità di formalizzare
l’esperienza del reale. Abbiamo visto che di uno di quei codici, l’adtestatio rei visae o auditae, Stendhal s’appropria in prima
persona. Ora possiamo aggiungere che l’adtestatio ha una ricaduta stilistica, nel senso che chi è presente come testimone agli eventi che narra si guadagna ipso facto un’autenticità lessicale. Ciò che Marie-Pierre Chabanne ha rilevato riguardo
all’Histoire de la peinture, ossia che l’italiano potrebbe essere
considerato la lingua originaria di quell’opera, andrebbe forse
ribadito per le Promenades.39 Un altro degli addenda all’esemplare André recita:
38
I loci paralleli si rinvengono in STENDHAL, Voyages, pp. 620-21; e
nella Prefazione degli Editori a Novelle di MATTEO BANDELLO, Parte Prima.
Volume Primo, Milano, per Giovanni Silvestri, 1813 (Fondo Stendhaliano Bucci, 0331), pp. V-XIV (a p. VII per la postilla). A sua volta Silvestri
riecheggia la Notizia de’ novellieri italiani di A. M. BORROMEO, Bassano,
Remondini, 1794, p. XV: «il novelliero del Bandello è quasi come un magico quadro, che ci rappresenta squisitamente gli usi, e i costumi delle
nobili famiglie del sec. XVI». Una lettera del 1831 offre una nuova versione dell’antitesi storici vs. letterati: cfr. STENDHAL, Correspondance générale, IV, pp. 78-79.
39 M. P. CHABANNE, Les langues étrangères dans l’Histoire de la peinture en
Italie, in Stendhal à Cosmopolis. Stendhal et ses langues, a cura di M. R. CORREDOR, Grenoble, UGA, 2007, pp. 83-94: 83.
222
«VEDILA LÀ CON UN COLTELLO IN MANO». GIRALDI CINTHIO E STENDHAL
De même, on veut voir une fille, on monte chez elle. En Italie,
vers 1500, les courtisanes avaient des amants, on n’entrait pas
chez elles ainsi de but en blanc (Giraldi Cinthio, 53). II fallait lui
faire la cour. Il y avait incertitude, donc beaucoup plus de possibilité
à l’amour. Il paraîtrait, d’après Giraldi Cinthio, que le mot de courtisane n’a commencé à être employé en Italie qu’un peu avant
l'époque où il écrivait40.
La parentetica «Giraldi Cinthio, 53» è un rinvio alla pagina
53 del primo tomo degli Hecatommithi del 1608, in particolare
all’inizio della terza novella dell’Introduzione alla prima parte,
la novella di Nina e del siciliano. Stendhal ha in mente questa
pagina quando postilla che le cortigiane del Rinascimento italiano «hanno degli amanti», e che «non si entra da loro di punto in bianco». In effetti più lo status della donna pubblica era
prossimo a quello della dama di corte, più l’accesso al suo
boudoir era appannaggio di una clientela ridotta e rigidamente
selezionata. Ma il rinvio alla novella di Giraldi suggerisce
d’intendere che per Stendhal la difficoltà è legata non allo status sociale della prostituta, bensì alla sua legittima vita affettiva. La novella dimostra appunto che l’amour fou di Nina la
Bionda per un avaro siciliano omosessuale, una passione totalizzante ma all’inizio non ricambiata, cancella almeno temporaneamente ogni possibilità di successo erotico per qualunque
altro cliente-pretendente.
La stessa novella contiene un riferimento metalinguistico al
neologismo cortigiana:
oggidì il mondo, avedutosi con che maniera si debba regger
l’uomo nell’essere con queste donne publiche, ha lor dato convenevolmente nome di cortegiane, quasi che ci abbia egli voluto moSTENDHAL, Œuvres intimes, édition établie par V. DEL LITTO, Paris,
Gallimard (Bibliothèque de la Pléiade), 1982, t. II, p. 171 (corsivi nel testo).
Correggo in De même il refuso iniziale Dc même.
40
223
DAVIDE COLOMBO
strare che il fingere con esse, che son tutte finte, sia il rimedio di
ripararsi alle loro insidie.
Visto che tra cortigiani domina la finzione, è appropriato
chiamare cortigiane donne che simulano e con le quali fingere
è necessario. Rispondere alla finzione con la finzione è
l’autodifesa che Giraldi, memore della lezione ariostesca, prescrive all’uomo di corte protagonista del suo trattato edito nel
156941.
Benché nella postilla nomini soltanto Giraldi, Stendhal non
ignora che Bandello stesso riflette sullo slittamento semantico
del termine cortigiana in relazione agli ambienti della Curia
pontificia. «Parlerò delle cortigiane, che per dar qualche titolo
d’onestà all’esercizio loro, s’hanno usurpato questo nome di
cortigiane», precisa Bandello nella novella LI della seconda
parte. Nell’esemplare del Fondo Stendhaliano Bucci 0335, sul
margine superiore della stessa pagina che contiene la frase
appena riportata, Stendhal verga a lapis l’annotazione «Cour
de Rome», relativa all’ambientazione della novella. Alla corte
di Roma è utile rifarsi per una più precisa determinazione
cronologica. Che cosa intende Giraldi quando scrive che «oggidì» si usa il termine cortigiana? Si sa che l’orrido comincia41 Il passo degli Hecatommithi si legge nell’ed. Villari, I, p. 131; ivi,
pp. 98 e 110-11, altri riferimenti a cortigiana come giustificabile neologismo. È topico il motivo per cui «l’infingere co’ simulatori è cosa lodevole» (così l’allegoria del canto terzo del Furioso, ed. Valvassori). Sembra però possibile individuare una consonanza anche lessicale fra il trattato di
Giraldi (L’uomo di corte, a cura di W. MORETTI, Modena, Mucchi, 1989,
p. 64: «se averrà che, per ben felice e fortunata sorte, ritrovi uno che sia
vero amico per lunga e certa prova [...], averà egli quel caro, quello amerà, quello onorerà, a quello aprirà i segreti suoi») e l’incipit del quarto canto del Furioso («se, dopo lunga prova, a gran fatica | trovar si può chi ti
sia amico vero, | et a chi senza alcun sospetto dica | e discoperto mostri
il tuo pensiero»).
224
«VEDILA LÀ CON UN COLTELLO IN MANO». GIRALDI CINTHIO E STENDHAL
mento degli Hecatommithi è il Sacco di Roma del 1527. Nella
curia romana la nuova accezione del termine sembra però anteriore d’una ventina d’anni almeno. Al 1498 e al 1502 risalgono infatti le note pagine del diario in cui l’allora maestro di
cerimonie del Papa, Johannes Burckardt (1420-1506), definisce
le cortigiane con l’apparente ossimoro di meretrices honestae42.
Le cortigiane oneste – vale a dire non caste, bensì colte,
compiacenti, dotate di spirito e ingegno, muse di poeti e artisti, a volte, almeno in apparenza, cantanti, musiciste e poetesse in proprio – godevano di uno status socioeconomico così
elevato da distinguersi in automatico dalle numerose colleghe
di basso rango, la più grottesca delle quali fu immortalata dalla lettera di Machiavelli del dicembre 1509. È vero d’altro canto che nei censimenti della popolazione romana del 1511-’18
e del 1527, «cortesane» sono definite molte, moltissime donne
da trivio, probabile indizio del fatto che il termine smise presto d’indicare soltanto un’élite ristretta e privilegiata43.
Stando a DEL LITTO, La vie intellectuelle, p. 488, estratti di Burckardt
figurano nell’introduzione all’Histoire de la peinture grazie alla mediazione
di Roscoe. Un passo del ms. 169 della BNF, «Burchard sur Alexandre VI
(Corpus historicum medii aevi page 1250) me semble vrai», suggerisce
però che Stendhal conoscesse direttamente il diario di Burckardt in
quell’ed. settecentesca, il Corpus historicum Medii Æui, sive scriptores res in orbe
universo [...], Lipsiæ, Gleditschii, II, 1723, col. 2134. Se così fosse, la determinazione cronologica della postilla in esame, «verso il 1500», sarebbe
molto più precisa e ragionata di quel che sembra.
43 Sul significato socioculturale della prostituzione nel Cinquecento,
cfr. da ultimo S. MANTIONI, Cortigiane e prostitute nella Roma del XVI secolo,
Ariccia (RM), Aracne, 2016 (con richiami a Giraldi, bibliografia pregressa
e testo completo dei censimenti citati). La lettera di Machiavelli si legge
nelle Opere a cura di C. VIVANTI, Torino, Einaudi, 1999, II, pp. 205-06.
42
225
DAVIDE COLOMBO
4. L’esemplare degli Hecatommithi annotato da Stendhal
È necessario supporre, fra Stendhal e Giraldi, o meglio
fra Stendhal e un gruppo significativo di conteurs italiens, la
mediazione di svariati filtri storici e culturali, fra i quali sarà
da giudicarsi preminente quello della critica e storiografia artistico-letteraria, da Bossi a Sismondi e a Silvestri. La conoscenza diretta degli Hecatommithi da parte di Stendhal è
senz’altro più tarda: al 1824 risale la prima citazione stendhaliana del centonovelle cinthiano in un’opera a stampa. La
première partie della Vita di Rossini offre infatti un breve ragguaglio bibliografico sull’«antique légende italienne» alla base
dell’Othello di Shakespeare44.
A quest’altezza cronologica Stendhal cita gli Hecatommithi
del 1608, di cui si giova anche come termine di paragone
temporale: annota «Venise, 1607. | Contemporain des hecatomiti di G.di | Cintio» sul recto della carta anteriore di guardia
di un libro del Fondo Stendhaliano Bucci (0872), La famosa
historia di Stella Doro Prencipe d’Inghilterra, uscito appunto a Venezia nel 1607. L’edizione degli Hecatommithi del 1608, presente anche nelle biblioteche di Walter Scott e di Giacomo Leopardi, rimane nella disponibilità di Stendhal ancora per qualche anno: ad essa rimandano infatti le due postille
all’esemplare André delle Promenades in cui è nominato Giraldi. Soltanto in seguito Stendhal deve essersi procurato la
«quarta impressione» degli Hecatommithi del 1580, anch’essi
preservati nella Biblioteca Sormani (Fondo Stendhaliano Bucci 0611). A dire il vero le sale neoclassiche del Centro Stendhaliano custodiscono soltanto il secondo dei due tomi pubVie de Ros[s]ini, par m. de STENDHAL; ornée des portraits de Rossini et de
Mozart. Première partie, Paris, chez Auguste Boulland et C.ie, 1824, p. 276,
nota 1.
44
226
«VEDILA LÀ CON UN COLTELLO IN MANO». GIRALDI CINTHIO E STENDHAL
blicati dai fratelli Fabio e Agostin Zoppini, eredi di Francesco
Rampazetto secondo il colophon del primo tomo datato 1579.
Quel secondo tomo potrebbe provenire dall’ultima dimora
romana di Stendhal. Nell’inventario post mortem dei suoi libri
presenti al numero 48 di Via Condotti, dopo il Decameron e il
Pecorone figura un volume unico genericamente denominato
«Cento Novelle»; così è scritto anche sul dorso degli Hecatommithi del Fondo Stendhaliano Bucci (fig. 3), «Giral: | di. | 100
No: | velle P. S:a | : | 2.» (Giraldi. Cento novelle, parte seconda 2.)45.
Uno dei passati proprietari di quell’esemplare degli Hecatommithi era un certo Costanzo Pellegrini46. Sotto il suo nome,
in posizione centrale sul verso del frontespizio (fig. 4), Stendhal
ha apposto a lapis la firma d’appartenenza in latino «nunc henrici Beyle» (la versione in inglese «to Mr. Beyle.» s’intuisce sulla
metà superiore della copertina anteriore esterna).
Non è possibile accertare quando il signor Beyle sia entrato
in possesso del tomo. Tra le sue annotazioni autografe mistilingui compaiono però tre date: due sulla copertina, ottobre
BOYER, La bibliothèque de Stendhal, p. 11. Per una descrizione bibliologica degli Hecatommithi del 1580 e del 1608, si rimanda alla Nota al testo
dell’ed. Villari, III, pp. 2017-18 e 2023-24. Alla bibliografia sull’esemplare
postillato del 1580 indicata dal sito della biblioteca digitale stendhaliana,
s’aggiunga soltanto DEL LITTO, Les bibliothèques, p. 219. Cfr. infine il Catalogue of the Library at Abbotsford, a cura di J. G. COCHRANE, Edinburgh,
1838, p. 121; e il Catalogo della biblioteca Leopardi in Recanati (1847-1899), a
cura di A. CAMPANA, Firenze, Olschki, 2011, p. 143.
46 Questo Carneade vive soltanto nelle bibliografie. Forse è un contemporaneo di Stendhal (se è lui l’autore di un Volgarizzamento d’alcune odi
di Anacreonte datato 1822 e conservato dalla Biblioteca comunale Aurelio
Saffi di Forlì); forse è vissuto un secolo e mezzo prima (il fondo antico
della Biblioteca Statale di Lucca attribuisce a un autore con quel nome
opere devozionali, ad es. Lilium inter spinas, sive de Virgine Maria Christi matre, Antuerpiae, ex officina Trognesiana, 1691).
45
227
DAVIDE COLOMBO
1832 e 1° gennaio 1840, la terza sui vivagni di una pagina interna (c. 77v): «quel prince | romain aurait | ce courage | en
1841?», appunta Stendhal, a riscontro dell’affermazione spavalda di un personaggio storico comune alla Badessa di Castro e
agli Hecatommithi, Fabrizio Colonna, il quale vorrebbe piuttosto morire che finire nelle mani dei Francesi. La data più alta,
ottobre 1832, colloca il primo incontro di Stendhal con gli
Hecatommithi durante il consolato a Civitavecchia, la «petite
ville» da cui salpano alla volta di Marsiglia i novellatori di Giraldi in fuga dal Sacco di Roma47.
La Tavola della seconda parte de gli Hecatommithi (fig. 5), ovvero
l’indice delle rubriche delle novelle alle cc. A[2]v-A3r, consente di dare uno sguardo d’insieme a Stendhal lettore di Giraldi.
Sul margine inferiore sinistro si allungano due annotazioni a
lapis (fig. 6) contrassegnate dagli stessi numeri incolonnati
lungo il margine interno. La prima annotazione, «1 voila la
nature italienne | impossible ailleurs ca me | semble», si riferisce a una novella amata anche da Cervantes: «Livia ha un solo figliuolo, gliele uccide un giovane a caso, il quale fuggendo
la famiglia del podestà, si nasconde in casa della madre del
morto». La seconda annotazione, «2 Nouvelle | bonne», è
una lode rivolta alla novella successiva, risolta dall’atto di liberalità del conte Costabili. Alla carta di destra tre rubriche sono
affiancate in verticale da parentesi graffe. Le novelle segnalate
sono la sesta (Dante motteggia Cangrande della Scala) e la
nona della settima deca (i briganti braccati dai cani: la novella
richiamata nella prima postilla all’esemplare André); la quarta
dell’ottava deca (la cameriera Matea). Infine sul margine esterno si legge la scritta «Pièce de | Shakspeare» accanto alla
novella di Iuriste alla base di Measure for measure. Questo pri47 Cfr. S. SERANGELI, Il console Stendhal e la “petite ville” di Civitavecchia,
presentazione di Massimo Colesanti, Moncalieri, C.I.R.V.I., 2014.
228
«VEDILA LÀ CON UN COLTELLO IN MANO». GIRALDI CINTHIO E STENDHAL
mo, parziale consuntivo suggerisce che Stendhal ha sfogliato
gli Hecatommithi non tanto in cerca di trame, quanto per saggiare la qualità estetica di novelle che rispecchiano la natura
italiana e che collocano l’autore in un contesto europeo, come
fonte di Shakespeare48.
Nel primo Ottocento la fortuna europea di Giraldi riceve
impulso dal legame privilegiato con Shakespeare. La prima
delle cosiddette Cronache italiane di Stendhal, Vanina Vanini,
appare sulla «Revue de Paris» del dicembre del 1829. Lo stesso numero ospita la traduzione della novella giraldiana del
Moro ad opera di Étienne Jean Delécluze. Questi osserva che
la novella degli Hecatommithi avrebbe ricevuto nuovo interesse
dalla messa in scena parigina dell’Othello tradotto da Alfred de
Vigny. Nel momento stesso in cui contesta l’idea che Giraldi
sia stato un mero collettore di temi e motivi plasmati dal genio
di Stratford, il traduttore italiano di Vigny fa intendere che
quello era il modo diffuso d’impostare la questione, con cui avrebbe dovuto confrontarsi chiunque volesse affrontarla49.
Cfr. da ultimo sul tema I. ROMERA PINTOR, El reflejo de Giraldi Cinthio en la Inglaterra de Shakespeare, «Lingue e linguaggi», XXVII (2018),
pp. 391-410 (con ulteriore bibliografia). Che a Stendhal sia stato mostrato un esemplare degli Hecatommithi pubblicati a Venezia nel 1593 e postillati da Shakespeare, allora residente nella stessa città, è ovviamente una
trovata romanzesca escogitata da chi si nasconde dietro lo pseudonimo
di ELEAS, autore di Otello, Stendhal e il San Carlo, Napoli, Società editrice
napoletana (Ercolano, Buona Stampa), 1986, pp. 25-26.
49 Teatro completo di ALFREDO DI VIGNY. Versione per cura di Gaetano
Barbieri, vol. III, Milano, Vedova di A. F. Stella e Giacomo figlio, 1838
(alle pp. 8-9 il giudizio di Barbieri su Giraldi a parziale rettifica di quello
di Vigny tradotto alle pp. 222-23). Stando allo storico inglese CHARLES
MILLS (1788-1826), The Travels of Theodore Ducas, London, Longman,
Hurst, Rees, Orme, and Brown, 1822, vol. II, p. 322, il deprezzamento
complessivo dell’opera di Giraldi (novelle e tragedie stravaganti per trama e stile) è in parte riscattato dall’alto tono di moralità del novelliere.
48
229
DAVIDE COLOMBO
Una corposa sezione di quel numero della «Revue de Paris»
è tra le carte del Fondo Stendhaliano Bucci50. In particolare il
margine inferiore della prima pagina non numerata di Vanina
Vanini accoglie una lunga postilla autografa a lapis, di lettura
disagevole a causa ora della grafia indecifrabile ora della rifilatura eccessiva. Si riesce comunque a intendere che Stendhal,
forse sollecitato dai riflessi shakespeariani della fortuna di Giraldi, torna su un tema che gli è caro, i meccanismi dell’inventio,
quando scrive tra l’altro nell’angolo inferiore sinistro:
Génie | dit les [illeggibile] | gignere, gigno | en Shakespeare |
c’est plutot féconder. Shak | prend tous ses contes dans Giraldi
Cinthio.
Lo sviluppo del pensiero è lineare: prima l’etimologia (genio da gignere), poi una metafora usurata (il libro figlio dell’intelletto), infine un’iperbole (Giraldi unica fonte di Shakespeare). L’inventio presuppone la tradizione culturale e la sua continua reinterpretazione nel presente, come insegna lo stesso
Stendhal autore-rielaboratore dei Discorsi di Giraldi, della prefazione di Silvestri, dei manoscritti alla base delle Cronache italiane. La metafora del féconder in sé è vuota di significato. Quali
sono i criteri che presiedono alla (ri)scrittura di un testo51?
Alcune sue storie sono nuove, altre sono «old favorites of the Italians,
freshly tricked out» (segue il racconto della novella del Moro).
50 Del tome neuvième del 1829 della «Revue de Paris», 258 pagine in tutto,
il Fondo Stendhaliano Bucci 0878 conserva solo le pp. [83]-140, comprendenti Vanina Vanini (pp. 101-25), ma non la traduzione della novella giraldiana (pp. 141-56). L’estratto della «Revue», preceduto e seguito da cc.
bianche, due delle quali annotate, è legato con le Poesie di Vincenzo Monti con
note, Milano, per Antonio Fontana, 1830. Sul dorso in pelle compare il titolo onnicomprensivo «Omero | del Monti | e Vanni», per Vanini.
51 La postilla su Giraldi era già stata decifrata da L. ROYER, Stendhal
imitateur de Scarron, «Mercure de France», CCLV, 872 (15 ottobre 1934),
230
«VEDILA LÀ CON UN COLTELLO IN MANO». GIRALDI CINTHIO E STENDHAL
Un conto è la fecondazione, un altro la superfetazione, si
potrebbe dire in prima battuta. Due tipi di cancellature a lapis,
orizzontali per limitate porzioni di testo, verticali per più righe o paragrafi interi, segnano le cc. [138]v-139r (fig. 7).
Ha ragione Italo Calvino quando sostiene che il metodo di
Stendhal si fonda «sul vissuto individuale nella sua singolarità
irripetibile», e che perciò si contrappone «alla filosofia che
tende alla generalizzazione, all’universalità, all’astrazione, al
disegno geometrico»52. In accordo al gusto per la brevitas che
governa la riscrittura abrégée dei Discorsi, Stendhal cassa le generalizzazioni gnomiche (ad es. «la Fortuna, che a buoni è
contraria, & a malvagi favorevole»), con le quali Giraldi prova
a inquadrare la novella in una cornice moralistica. All’angolo
superiore sinistro campeggia su due righe oblique la spiegazione «J’efface | l’ennuyeux».
Quest’arte del levare si esercita sulla VII novella dell’ottava
deca, quella in cui Semne si vendica del suo stupratore. Vicino
alle ultime battute, dopo aver biffato altre limitate porzioni di
testo («ingratissimo, et», «che degnamente ucciso si giace»),
Stendhal ne traccia il bilancio conclusivo (fig. 8): «ici l’auteur |
est plat | et emphatique. | – | Fait vrai | probabt | arrangé |
par l’auteur» (c. 141v). Lungo il margine esterno dell’indice
delle rubriche lo stesso giudizio sulla stessa novella è ripartito
tra due postille, «plat», e «tous ces faits | me semblent | vrais»
(c. A3v)53.
pp. 251-68: 267. Il libro come figlio dell’intelletto è una metafora topica
diffusa da Platone a Manzoni: cfr. E. R. CURTIUS, Letteratura europea e Medio Evo latino, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1995, pp. 150-54.
52 I. CALVINO, La conoscenza della Via Lattea, in Stendhal e Milano, cit., I,
p. 11.
53 Il testo della novella di Semne si legge nell’ed. Villari, III, pp. 150011; da una variante di stato relativa alla didascalia discussa a p. 2007 risulta che una precedente versione prevedeva il suicidio della protagonista.
231
DAVIDE COLOMBO
Platitude e vérité sono i criteri chiamati in causa, il primo negativo, il secondo positivo. Il criterio negativo sembra più facile da definire. «Plate» è prima di tutto l’odiata città natale di
Grenoble, rileva Armand Hoog: da una posizione topografica
Stendhal ricava un vitium stilistico deprecato per tutta la vita54.
Basterebbe invece ripercorrere le pagine precedenti per accertarsi che il criterio positivo, la verità, ha uno spettro semantico
assai più ampio. L’aspirazione alla verità accomuna gli anecdotes,
gli episodi veri di cui sono intessute le novelle dei vari Giraldi
e Bandello, alle historiettes, i racconti sanguinari da cui derivano
le Cronache italiane. Al criterio di verità si attiene chi racconta le
cose come sono percepite o intese da un punto di vista soggettivo. Scrive Stendhal nell’introduzione a Vittoria Accoramboni che l’autore del manoscritto mai giudica un fatto, mai vi
prepara il lettore, si preoccupa solo di narrare secondo verità, «raconter avec vérité». In base alla stessa logica, a c. 140r,
sotto la frase «questo Ribaldo non si rimanga senza la dicevole pena», Stendhal sottolinea «dicevole» e commenta che
«l’auteur parle | et non le personnage» (fig. 9). Sembra quasi
che l’eclissi del narratore sia finalizzata ad accrescere l’effetto di reale.
Per quanto soggettiva, dunque virtualmente finta, l’invenzione romanzesca non è falsa, nel senso che nasce dalla rielaborazione di un nucleo di realtà. V’è una lettera del 4 maggio
1834 in cui Stendhal raccomanda alla destinataria di pensare
A. HOOG, Vie de Stendhal. 1. Stendhal avant Stendhal: 1783-1821, Paris, Garnier, 1983, p. 46. L’aggettivo plat risulta ulteriormente definito
nell’ambito di dittologie sinonimiche. Giraldi nella novella di Semne sarebbe «plat et emphatique»: secondo la prima postilla all’esemplare André
era enfatico il secolo in cui viveva Stendhal. Nell’illeggibile e nel banale
(«illisible et plat») egli temeva di cadere qualora avesse rielaborato in senso virtuoso la seconda parte della Badessa di Castro (lettera del 16 marzo
1839, in STENDHAL, Correspondance générale, VI, p. 171).
54
232
«VEDILA LÀ CON UN COLTELLO IN MANO». GIRALDI CINTHIO E STENDHAL
sempre all’esperienza reale quando descrive un uomo, una
donna, un luogo. A dire il vero «Stendhal sa benissimo che la
verità ricreata nell’opera d’arte è qualitativamente diversa rispetto a quella del mondo empirico: è una verità dello stile,
l’unica che possa sprigionare quell’“effetto elettrico” a cui sostiene di avere mirato in ogni sua opera»55. Forse per questo è
giudicata «impossible» (c. 141r) la cattura del violentatore di
Semne per mano dei parenti di lei, perché la scena non è sorretta da adeguati mezzi retorici e stilistici, come l’adtestatio rei
visae et auditae di cui abbiamo parlato qualche pagina fa.
Stendhal deve invece aver ritrovato quella «verità dello stile» nella già citata seconda novella della sesta deca, incentrata
sull’atto di reciproca liberalità tra Fabrizio Colonna e Alfonso
II d’Este. Dopo aver scritto, sul margine esterno, «histoire |
de Jules II.», annota più in basso «vraie finesse | et | vrai stile», con una graffa marginale in rispondenza alla postilla (c.
77r). La verità non è extratestuale, non richiede un rinvio al di
fuori della scrittura. Qui il termine verità è un marcatore estetico d’immediatezza e potere mimetico, almeno stando al successivo commento bilingue relativo alla scena decisiva, quella
in cui il duca Alfonso salva Colonna in balìa dei soldati francesi durante la battaglia di Ravenna (c. 77v). «Peinture | frappante | de vérité | evidenza | della pittura», annota Stendhal,
a conferma della «preminenza del codice pittorico» di cui parla Barthes. Un ultimo apprezzamento si legge alla carta successiva, la 78r, «very well».
F. BERTONI, Realismo e letteratura. Una storia possibile, Torino, Einaudi, 2007, p. 176, anche per il rinvio alla lettera del 4 maggio ’34. Come
scrisse B. CROCE, Stendhal, «La Critica», XVII (1919), pp. 329-38, a p. 330:
«Che lo Stendhal sparsamente, e anche, se così piace, in larga misura, noti
fatti reali e osservi aspetti veri, non vuol dir nulla, perché quei fatti e quegli aspetti sono fusi in un complesso, che non è critico ma fantastico».
Ulteriore bibliografia alla nota 24.
55
233
DAVIDE COLOMBO
All’interesse di Stendhal per la storia del papato si ricollegano altre due postille, collocate all’inizio e alla fine
dell’esemplare del Fondo Stendhaliano Bucci. Accanto alla
Professione di fede, ossia all’iniziale dichiarazione programmatica
di adesione ai precetti dell’autorità ecclesiastica, Stendhal riassume: «le Pape avant | l’église» (c. [2]r). Giraldi infatti aveva
scritto di aver voluto rendere onore prima all’autorità del
Pontefice, poi alla dignità della Chiesa. La seconda postilla è
un promemoria bibliografico vergato sul recto della carta di
guardia posteriore:
M Ranque | allemand de Berlin | parfaite veracité des faits | Les
Pa[pes] leur cour | et leur pouvoir | pendant les 16 et 17.e Siècles
| Les Philippe II et III | meilleur encore, dit le Frank (fig. 10).
Stendhal trascrive il cognome dello storico tedesco Leopold Von Ranke (1795-1886), professore all’Università di
Berlino, al quale fa seguire i titoli abbreviati di due sue opere
tradotte in francese. La prima è l’Histoire de la Papauté, pendant
les seizième et dix-septième Siècles; la seconda è L’Espagne sous
Charles-Quint, Philippe II et Philippe III. Stendhal possedeva i
quattro tomi dell’Histoire de la Papauté (Fondo Stendhaliano
Bucci 0631-0634), ma non risulta abbia mai citato Ranke56.
L’allusione alla «parfaite véracité des faits» alla terza riga
della postilla non sembra molto diversa da un’idée reçue su un
autore celebre, la cui frase bloss zeigen wie es eigentlich gewesen aSul significato della Professione di fede degli Hecatommithi, vedi la
nota dell’ed. Villari, I, p. 3. L’ed. posseduta da Stendhal è l’Histoire de la
Papauté, pendant les seizième et dix-septième Siècles, par M. L. RANKE, Professeur
à l’Université de Berlin, tomi I-IV, Paris, Debécourt, 1838. Sulla figura di
Ranke si rimanda almeno a Leopold von Ranke and the Shaping of the Historical Discipline, edited by G. G. IGGERS and J. M. POWELL, Syracuse, Syracuse University Press, 1990.
56
234
«VEDILA LÀ CON UN COLTELLO IN MANO». GIRALDI CINTHIO E STENDHAL
vrebbe fatto scuola, tanto da assurgere a paradigma di quella
che Benedetto Croce definiva «storiografia senza problema
storico». L’Histoire de la Papauté di Ranke si apre con una prefazione dedicata alla Indication des sources consultées par l’auteur.
Da essa risulta che del tutto veri sono i fatti che lo storico
rinviene nelle fonti primarie con cui entra direttamente in
contatto a sèguito di ricerche d’archivio mirate. È questo un
nodo della riflessione stendhaliana sui rapporti fra storiografia
e letteratura. Già sappiamo che più volte Stendhal raccomanda di risalire ai documenti originali, di «remonter à la source
de la vérité historique»; ma sappiamo altresì che dal suo punto
di vista non è possibile rinunciare alla soggettività dell’interprete, limitandosi a far parlare le fonti a colpi di citazioni. In
margine a un paragrafo di Ranke Stendhal non ripeterebbe
mai la postilla apposta alla novella di Semne, ossia che si tratta
di un «fatto vero probabilmente adattato dall’autore». La novella di Semne è un aneddoto, un aneddoto del genere di
quelli raccontati dalle Promenades, appunto «vraies, ou du
moins l’auteur les croit telles»57.
Sul margine del recto del foglio di guardia posteriore, dove ha
scritto a penna la postilla su Ranke, Stendhal ha incollato una
carta disegnata anch’essa a penna. La scena che vi è ritratta l’ha
colpito a tal punto che ha cercato di metterla a fuoco dandone
ben cinque versioni a puro contorno, quattro sul recto, una sul
STENDHAL, Voyages, p. 598. «Remonter à la source de la vérité
historique» è una frase di Stendhal apparsa sul New Monthly Magazine del 1°
marzo 1824 (cit. da DIAZ, Stendhal, pp. 3-4). A parere di C. GINZBURG, Il
filo e le tracce. Vero falso finto, Milano, Feltrinelli, 2006 (in part. pp. 170 e 30708), Stendhal, in sintonia con i grandi romanzieri dell’Ottocento, avrebbe
lanciato agli storici una sfida sul terreno della conoscenza della realtà, affrontando campi d’indagine negletti (dalla microstoria alla storia della
mentalità) con l’ausilio di più raffinati protocolli esplicativi (il discorso
diretto libero nel caso del Grenoblese: cfr. il saggio cit. alla nota 13).
57
235
DAVIDE COLOMBO
verso della carta incollata. Una figura centrale femminile, adulta,
dai lunghi capelli, regge un coltello nella mano destra, mentre
con la sinistra trascina il corpo esanime di un bambino; un secondo bambino giace riverso al suolo in posizione supina e
frontale.
Le quattro versioni sul recto riprodotte dalle fig. 11-12 differiscono per vari particolari: l’assenza del coltello o del secondo bambino; la lunghezza della veste della donna, fino ai
piedi o fino alle ginocchia; lo sfondo messo in evidenza, una
porta a sinistra e un letto a destra, nell’unica versione contornata su tre lati, quella in basso a sinistra nella fig. 12.
«L’expression est tout l’art», scriveva Stendhal nell’Histoire de
la peinture, sicché la tensione emotiva è affidata alla figura centrale, al suo volto contratto e incorniciato da capelli scarmigliati. Forse Stendhal prevedeva uno specifico montaggio delle quattro immagini, da leggersi in doppia sequenza. Dalla
parte destra del recto la donna pare spostarsi al centro trascinando con sé un unico bambino. Uguale impressione si ricava
a partire dalla versione incorniciata: l’occhio dell’osservatore
fa muovere la donna verso sinistra, la fa uscire dalla cornice
con lo stesso fardello.
Nella versione incorniciata il piede sinistro della donna
poggia sul petto del bambino, la stessa postura adottata sul
verso della carta finale (fig. 13-14). Rosa Ghigo Bezzola aveva
già fatto conoscere questi disegni agli studiosi di Stendhal.
Hélène de Jacquelot ricorda l’abitudine del Grenoblese di
tratteggiare «le contrepoint visuel de ses lectures»; in questo
caso i disegni «semblent illustrer un des récits du recueil»58.
Quale récit? Forse quello della novella di Orbecche? Giraldi è
R. GHIGO BEZZOLA, La postilla. Una forma autobiografica stendhaliana,
Milano, Biblioteca comunale, 1992, pp. 48-49; H. DE JACQUELOT, Les
livres annotés de Stendhal, in Stendhal à Cosmopolis, pp. 353-54.
58
236
«VEDILA LÀ CON UN COLTELLO IN MANO». GIRALDI CINTHIO E STENDHAL
identificato come autore della tragedia omonima sin dai primi
volumi (la Storia pittorica di Lanzi, la Vie et pontificat de Léon X di
Roscoe)59 compulsati da Stendhal alle prese con la stesura
dell’Histoire de la peinture. Se si parte dall’assunto che la figura
femminile sia la protagonista della seconda novella della seconda deca, quasi tutti i particolari si riordinano in unità. Le
cinque versioni fissano per successive approssimazioni un
momento preciso della scena finale della novella, quello in cui
Orbecche «ridusse insieme ambidue i figliuoli», avvicinò i cadaveri dei figli assassinati dal padre di lei Sulmone, ostile sin
dal principio all’unione con Oronte60. Sulla vicinanza fisica e
Stando a DEL LITTO, La vie intellectuelle, p. 439, Stendhal sfoglia la
traduzione francese della Vita di Leone X di William Roscoe il 4 dicembre
1811. Una nota del quarto tomo recita: «celui dont il s’agit au renvoi de
cette note est bien connu pour être, sous le nom de Jean-Baptiste Giraldi
Cinthio, l’auteur des Hecatommithi, ou des Cent Nouvelles à la manière de
Bocace» (Vie et pontificat de Léon X, par WILLIAM ROSCOE, Paris, Le Normant, IV, 1808, p. 218, nota 1). La precisazione che Jean-Baptiste è
l’autore degli Hecatommithi è necessaria, ma forse non sufficiente. Se non
ho visto male Roscoe nel suo libro parla di Giraldi riferendosi sempre
allo zio Lilio Gregorio: un lettore poco esperto (come probabilmente era
Stendhal allora) poteva pensare che Lilio Gregorio avesse scritto
l’Orbecche, citata da Roscoe nel vol. III, p. 261, nota 2.
60 Come nella novella decameroniana di Tancredi e Ghismonda, il
motore della trama è la differenza di classe fra il proletario Oronte e la
principessa Orbecche: questo particolare non poteva non colpire la fantasia di Stendhal, da sempre affascinato dagli amori per donne maggiori
d’età o in più elevata posizione sociale (Julien e Mme de Rénal, Lucien e
Mme de Chasteller, Fabrizio e la Sanseverina). Anche il motivo delle decapitazioni è rilevante. Nella novella di Semne Stendhal sottolinea la frase «gli
levò la testa dal busto» (c. 141r); inoltre, più o meno quando segna sugli
Hecatommithi la data «8.bre 1832.», verga la seguente postilla, «1 donc l’action
de M.lle de la Mole | n’est pas hors de nature: | baiser la tête de son amant
| décapité. 28 8.b 32», sulla p. 161 de I Diporti di Girolamo Parabosco, Milano, Giovanni Silvestri, 1814 (Fondo Stendhaliano Bucci 0327).
59
237
DAVIDE COLOMBO
spirituale ai suoi familiari Orbecche insiste nella versione tragica, ignota a Stendhal salvo prova contraria:
Ben prego, se non è pietà dal mondo
Sbandita in tutto, ch’una grazia almeno
Mi sia concessa in questo estremo punto:
Che così come l’anime congiunte
Saran ne l'altra vita... [...]
Così insieme
In un medesmo luoco sian riposti
I corpi nostri in questa vita ch’ora,
Il petto trafigendomi, abbandono61.
Secondo la rubrica della novella la donna è «vinta da estremo dolore»: Stendhal ha cercato di rendere questa tempesta emotiva mediante la smorfia atroce del volto. Con lo scioglimento della storia è congruente il fondale dell’unica versione incorniciata. La porta potrebbe essere «la soglia della camera reale», dove Oronte viene immobilizzato da due tirapiedi del suocero, la porta che Sulmone stesso chiude a chiave
come se volesse discorrere in segreto con la figlia, in realtà
per mostrarle «l’orribile spettacolo», lo scempio dei figli e del
marito, preludio alla mattanza finale. La didascalia implicita
affidata alle donne di corte della tragedia, «Vedila là con un
GIOVAN BATTISTA GIRALDI, Orbecche, in Teatro del Cinquecento, I, La
tragedia, a cura di R. CREMANTE, Milano-Napoli, Ricciardi, 1988, vv.
3010-14 e 3027-29. Per un primo inquadramento e per l’ampia bibliografia sull’Orbecche si rinvia inoltre a C. CASTORINA, Giovan Battista Giraldi
Cinthio, «Orbecche». Censimento: tragedie cinque-seicentesche, «Studi giraldiani.
Letteratura e teatro», III (2017), pp. 235-62; e, per ulteriori aggiornamenti,
a I. ROMERA PINTOR, Bibliografia giraldiana “vingt ans après”, Madrid, Fundación Updea, 2018 (la bibliografia giraldiana è in costante aggiornamento nella pagina web della rivista «Studi giraldiani. Letteratura e teatro»).
61
238
«VEDILA LÀ CON UN COLTELLO IN MANO». GIRALDI CINTHIO E STENDHAL
coltello in mano», sposta l’attenzione sull’arma con cui nella
novella Orbecche taglia la testa a Sulmone e si toglie la vita62.
Creare è fecondare un testo precedente, come Shakespeare
con Giraldi. Qui il frutto della fecondazione è un’immagine,
una sorta di speciale riscrittura che, seppur condotta con
mezzi diversi rispetto a quelli verbali, presuppone comunque
quell’affinità fra suono della parola e timbro del colore sperimentata da Stendhal lettore di Giraldi Cinthio sin dai tempi
del racconto su Leonardo tradotto nell’Histoire de la peinture63.
GIRALDI, Orbecche, v. 3016. Cfr. V. LOCHERT, L’écriture du spectacle.
Les didascalies dans le théâtre européen aux XVIe et XVIIe siècles, Genève, Librairie Droz, 2009, p. 551.
63 L’ideale prosecuzione della presente ricerca (Balzac lettore di Giraldi grazie alla mediazione di Stendhal) è stata in parte già scritta da
V. BONANNI nella sua tesi di dottorato edita col titolo Archeologie letterarie:
Balzac, Bandello e la tradizione della novella, Padova, Unipress, 2005.
62
239
DAVIDE COLOMBO
Fig. 1. Appunto autografo di Stendhal contenuto in Vita di Urbano VIII
[…], Bibliothèque Nationale de France. Département des manuscrits,
Italien 169, c. A.
Fonte: gallica.bnf.fr / BnF
Fig. 2. Appunto autografo di Stendhal contenuto in Vita di Urbano VIII
[…], Bibliothèque Nationale de France. Département des manuscrits,
Italien 169, c. F.
Fonte: gallica.bnf.fr / BnF
240
«VEDILA LÀ CON UN COLTELLO IN MANO». GIRALDI CINTHIO E STENDHAL
Fig. 3. GIRALDI, Hecatommithi, ed. Venezia,
Fabio e Agostino Zoppini, 1580, dorso;
esemplare conservato a Milano, Biblioteca
Comunale Centrale Sormani, Fondo Stendhaliano Bucci 0611.
Fig. 4. GIRALDI, Hecatommithi, ed. 1580, Fondo Stendhaliano Bucci 0611,
verso del frontespizio: nota autografa di Stendhal.
241
DAVIDE COLOMBO
Fig. 5. GIRALDI, Hecatommithi, ed. 1580, Fondo Stendhaliano Bucci 0611,
Tavola della seconda parte, cc. A[2]v-A3r: postille autografe di Stendhal.
Fig. 6. GIRALDI, Hecatommithi, ed. 1580, Fondo Stendhaliano Bucci 0611,
Tavola della seconda parte, c. A[2]v: particolare con le postille (vd. fig. 5).
242
«VEDILA LÀ CON UN COLTELLO IN MANO». GIRALDI CINTHIO E STENDHAL
Fig. 7. GIRALDI, Hecatommithi, ed. 1580, Fondo Stendhaliano Bucci 0611,
cc. [138]v-139r: cancellature a lapis e postille di Stendhal.
Fig. 8. GIRALDI, Hecatommithi, ed. 1580, Fondo Stendhaliano Bucci 0611,
c. 141v: postilla autografa di Stendhal.
243
DAVIDE COLOMBO
Fig. 9. GIRALDI, Hecatommithi, ed. 1580, Fondo Stendhaliano Bucci 0611,
c. 140r: postilla autografa di Stendhal.
Fig. 10. GIRALDI, Hecatommithi, ed. 1580, Fondo Stendhaliano Bucci
0611: recto della carta di guardia posteriore con nota autografa di
Stendhal.
244
«VEDILA LÀ CON UN COLTELLO IN MANO». GIRALDI CINTHIO E STENDHAL
Fig. 11. GIRALDI, Hecatommithi, ed. 1580, Fondo Stendhaliano Bucci
0611: recto della carta aggiunta posta tra l’ultima carta del volume e il recto
del foglio di guardia posteriore: disegno a penna di Stendhal.
Fig. 12. Disegno della figura 11 ingrandito e ruotato di 90 gradi.
245
DAVIDE COLOMBO
Fig. 13. GIRALDI, Hecatommithi, ed. 1580, Fondo Stendhaliano Bucci
0611, verso della carta aggiunta posta tra l’ultima carta del volume e il recto
del foglio di guardia posteriore: disegno a penna di Stendhal (a destra:
nota sul foglio di guardia: cfr. fig. 10).
Fig. 14. Particolare del disegno della fig. 13.
246
«VEDILA LÀ CON UN COLTELLO IN MANO». GIRALDI CINTHIO E STENDHAL
Abstract
«Vedila là con un coltello in mano». Giraldi Cinthio e Stendhal.
Scopo del presente articolo è mettere a fuoco un episodio finora sconosciuto della fortuna europea di Giraldi Cinthio, ossia la ricezione dei
Discorsi intorno al comporre e degli Hecatommithi da parte di Stendhal. A tal
fine l’articolo compie una ricognizione nella biblioteca del Grenoblese,
sia in quella virtuale (i volumi consultati per la stesura dell’Histoire de la
peinture en Italie), sia in quella reale (il Fondo Stendhaliano Bucci della Biblioteca Comunale Centrale Sormani di Milano). Nell’esemplare degli Hecatommithi (Venezia, Zoppini, 1580) del Fondo Stendhaliano Bucci (0611)
è incollato un disegno che forse rappresenta una scena dell’Orbecche.
Stendhal lettore di Giraldi riflette sui meccanismi dell’inventio, anche in
rapporto ad altri novellieri italiani, come Matteo Bandello.
«Vedila là con un coltello in mano». Giraldi Cinthio and Stendhal.
This article aims to focus on a hitherto unknown episode about the
European success of Giraldi Cinthio, namely Stendhal’s reception of the
Discorsi intorno al comporre and the Hecatommithi. To this end, the article carries out a research in the Grenoblese library, both in the virtual one (the
volumes consulted for the drafting of the Histoire de la peinture en Italie),
and in the actual library (Fondo Stendhaliano Bucci of the Central Municipal Library Sormani of Milan). A drawing that perhaps represents an
Orbecche scene is pasted into the copy of the Hecatommithi (Venice, Zoppini, 1580) in Fondo Stendhaliano Bucci (0611). While reading Giraldi,
Stendhal reflects on the mechanisms of the inventio, also in relation to
other Italian short story writers, such as Matteo Bandello.
Articolo presentato in gennaio 2020. Pubblicato on line in ottobre 2020
© 2020 dall’Autore; licenziatario Studi giraldiani. Letteratura e teatro, Messina, Italia.
Questo è un articolo ad accesso aperto, distribuito con licenza Creative Commons
Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0
Studi giraldiani. Letteratura e teatro, Anno VI, 2020
DOI: 10.6092 / 2421-4191 / 2020.6.195-247
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