ISSN 1826-3534
19 MAGGIO 2021
Sicurezza e frontiere: le politiche
migratorie nell’emergenza europea e
italiana
di Giulia Santomauro
Dottoranda di ricerca in Diritto pubblico, comparato e internazionale
Sapienza Università di Roma
Sicurezza e frontiere: le politiche migratorie
nell’emergenza europea e italiana*
di Giulia Santomauro
Dottoranda di ricerca in Diritto pubblico, comparato e internazionale
Sapienza Università di Roma
Abstract [It]: L’intento del contributo è esplorare l’impatto delle accresciute istanze securitarie derivanti da
situazioni emergenziali sulla disciplina delle frontiere, con particolare riferimento alle ripercussioni sui diritti dei
migranti e dei richiedenti asilo. A tal fine, la questione sarà analizzata in considerazione della “crisi migratoria
europea” e, soprattutto, dell’emergenza pandemica da Covid-19, prestando maggiore attenzione all’esperienza
dell’Italia.
Abstract [En]: The aim of the essay is to explore the impact of the increased demands for security arising from
situations of crisis on the governance of border controls, with particular reference to the implications for the rights
of migrants and asylum seekers. For this purpose, the issue will be analyzed considering the “European migration
crisis” and especially the emergency of the Covid-19 pandemic, paying more attention to Italy’s experience.
Parole chiave: sicurezza; frontiere; immigrazione; asilo; pandemia
Keywords: security; borders; immigration; asylum; pandemic
Sommario: 1. Introduzione. 2. La valenza “ambivalente” dei confini nello spazio europeo. 3. La reintroduzione
dei controlli alle frontiere interne nell’area Schengen nella “crisi dei rifugiati”. 4. Frontiere e emergenza da Covid19. 4.1. Contenimento della diffusione del coronavirus e gestione delle frontiere: le azioni attuate dall’Unione
Europea. 4.2. Le misure adottate dall’Italia per le politiche migratorie al tempo della pandemia. 5. Osservazioni
conclusive: dignità, proporzionalità e “doveri di solidarietà” come potenziali chiavi di volta.
1. Introduzione
L’esigenza di sicurezza sanitaria causata dalla pandemia da Covid-19 ha spinto nell’ambito europeo il
riemergere di confini su diversa scala, nonostante questi sembrassero ormai soppressi e relegati ai caratteri
tipici dello Stato-nazione: sono riscontrabili tentativi di stabilire divieti all’ingresso degli stranieri
extracomunitari e limitazioni alla libertà di movimento degli stessi cittadini entro il territorio degli Stati,
ovvero tra Regioni1. A questo si è aggiunta la circostanza per cui diversi Paesi membri dell’UE si sono
avvalsi nuovamente della facoltà di ripristinare controlli alle persone presso le frontiere interne dell’area
Articolo sottoposto a referaggio. Il contributo prende le mosse dall’intervento svolto al convegno “The Global Summit”,
organizzato dalla School of Law dell’University of Texas at Austin e tenutosi dal 12 al 16 gennaio 2021.
1 Ci si riferisce alle misure relative al divieto di spostamento tra diverse Regioni o province autonome sull’intero territorio
nazionale italiano, salvo comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute, come
stabilito fino al d.l. 1° aprile 2021, n. 44. Recentemente, per mezzo del d.l. 22 aprile 2021, n. 52 è stato deciso che sono
consentiti gli spostamenti tra Regioni diverse identificate come “zona bianca” e “gialla”. Peraltro, coloro che sono muniti
della “certificazione verde” sono autorizzati a spostarsi anche tra le Regioni e le Province autonome in “zona arancione”
o “rossa”.
*
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Schengen2. Le restrizioni alla libertà di circolazione per motivi di tutela sanitaria hanno posto, dunque, il
tema dei confini e dei controlli alle frontiere in termini più ampi e dirompenti rispetto al passato e alla
lettura consueta che è stata data, nel corso di questi anni, a quello della sicurezza dello Stato3 per quanto
concerne la gestione dei flussi migratori.
Vi è da chiedersi, quindi, se tale nuovo imperativo di sicurezza sanitaria, che a sua volta innesca una
accresciuta richiesta di protezione sociale ed economica dei cittadini, abbia inciso e in che termini rispetto
al settore, già di per sé problematico, delle politiche di immigrazione e asilo nell’ambito del diritto
eurounitario e interno. Come si evidenzierà in seguito, è manifesto che oggi i confini siano da considerarsi
perlopiù “porosi” con riferimento all’impossibilità, in alcuni contesti “immateriali”, di operare un
controllo su di essi4; o anche, se non porosi, certamente “fragili” rispetto, invece, a pressioni “materiali”
rappresentate da ondate migratorie sempre più ardue da fronteggiare, in particolare per i Paesi
maggiormente esposti geograficamente proprio per le caratteristiche dei loro stessi confini, come Grecia,
Spagna e Italia.
Già da tempo si è riflettuto sull’intreccio che chiaramente si determina tra le risposte che i singoli Paesi
possono fornire rispetto all’amministrazione di tali flussi migratori e la capacità dell’Unione di essere
protagonista di nuove strategie condivise, mostrando un’evoluzione rispetto alla sua originaria natura
Il “sistema Schengen” consiste in un insieme di norme e disposizioni, integrate nel diritto dell’Unione europea, che
mira a garantire l’assenza di frontiere interne tra gli Stati aderenti alla Convenzione di Schengen e può considerarsi come
un tassello chiave del più ampio progetto di creare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia ai sensi dell’art. 3, comma
2 TUE e del Titolo V TFUE. Il “sistema” trae origine dall’accordo firmato il 14 giugno 1985 tra Belgio, Francia,
Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi e dalla Convenzione di applicazione del 1990, il quale, assieme ad una pluralità di
norme elaborate dal Consiglio dell’UE e di regole ad esso collegato, formano l’acquis di Schengen che è integrato nel
diritto eurounitario tramite il Protocollo n. 19. Nello specifico, il Codice frontiere Schengen è entrato in vigore nel 2006
tramite il reg. (CE) n. 562/2006 ed è stato poi riformato nel 2013 con il reg. (UE) n. 1051 e nel 2016 con il reg. (UE) n.
399 che prevede un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone.
Attualmente i Paesi che aderiscono allo spazio Schengen sono 26, di cui 22 Stati membri dei 27 dell’UE (ad eccezione
di Bulgaria, Croazia, Cipro, Irlanda e Romania) e quattro Paesi che non fanno parte dell’Unione (ossia Islanda,
Liechtenstein, Norvegia e Svizzera). La base legale del Codice frontiere Schengen è rinvenibile all’art. 77, §§ 1, a) e 2, e)
del TFUE ove si assicura “l’assenza di qualsiasi controllo sulle persone, a prescindere dalla nazionalità, all’atto
dell’attraversamento delle frontiere interne”. Inoltre, il Codice trova il suo fondamento giuridico nell’art. 26, § 2 TFUE
relativamente al mercato interno privo di frontiere interne e all’art. 77, § 2, b) TFUE per quanto concerne l’adozione di
una politica comune con oggetto “i controlli ai quali sono sottoposte le persone che attraversano le frontiere esterne”.
Per un approfondimento sul Codice frontiere Schengen si rinvia a S. PEERS – E. GUILD – J. TOMKIN, EU Immigration
and Asylum Law (Text and Commentary): Second Revised Edition, Brill, Leiden – Boston, 2012, p. 251 e ss.
3 Per un inquadramento generale sul tema della sicurezza dello Stato nel diritto costituzionale si rimanda a L. DURST,
Introduzione al ruolo della “sicurezza” nel sistema dei diritti costituzionali, Aracne, Roma, 2019, p. 46 e ss.
4 Cfr. S. CASSESE, Territori e potere. Un nuovo ruolo per gli Stati?, Il Mulino, Bologna, 2016, p. 73. In tal senso, v. anche F.
GIUFFRÈ, Tra territorio e spazio: un invito alla riflessione sulle prospettive dell’ordinamento costituzionale, in Dir. reg. Riv. di diritto
delle autonomie territoriali, n. 3/2018, p. 4, il quale afferma che a fronte del progresso tecnologico e di una visione
“postmoderna” dei rapporti tra autorità e libertà «lo spazio tende ad assorbire integralmente il territorio, i cui confini
vengono percepiti come liquidi, tendendo – in alcune visioni a maggiore carica utopistica – ad evaporare, sino a svanire
del tutto».
2
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esclusivamente economica e non anche politica5. Tali risposte, già prima della crisi sanitaria, apparivano,
invero, vacillanti e incerte, con la conseguenza di aver isolato diversi Paesi dell’Unione rispetto a questioni
di innegabile urgenza e drammaticità.
Si ritiene rilevante osservare, allora, se la richiamata emergenza pandemica abbia mostrato o meno i primi
segnali di un’inversione di tendenza rispetto alle mancanze riscontrate a livello europeo in precedenti fasi
di crisi ovvero se in parte ancora si evidenziano e con quali ricadute. Il contributo aspira, pertanto, ad
approfondire l’impatto delle situazioni eccezionali sulla rilevanza assunta dai confini nazionali e,
specialmente, sulla disciplina delle frontiere dell’UE relativamente alla questione migratoria. Nelle
riflessioni che seguiranno, infatti, emergerà come la gestione delle frontiere dell’Unione abbia
evidentemente una valenza anche sotto il profilo del diritto costituzionale. Più nel dettaglio, saranno
messe in evidenza le possibili carenze delle politiche migratorie nazionali e il difficile bilanciamento che
lo Stato è chiamato autonomamente a ricercare tra la necessità di non incidere negativamente sulla
sicurezza interna, sanitaria ed economica dei propri cittadini e degli stranieri regolari presenti sul territorio
e, al tempo stesso, quella di non comprimere alcuni dei valori caratterizzanti l’ordinamento democratico
contemporaneo, tra cui quello della dignità di ciascun individuo. Si tenterà, dunque, di comprendere se il
rafforzamento dei confini nazionali e la reintroduzione dei controlli alle frontiere derivanti da istanze di
maggiore sicurezza in situazioni emergenziali possano comprimere eccessivamente alcuni diritti
fondamentali dei migranti e dei richiedenti asilo. Contestualmente, saranno avanzate delle brevi
osservazioni circa l’eventualità che la portata del progetto europeo di garantire uno spazio di libera
circolazione e una politica comune per l’asilo e l’immigrazione possa ritenersi debilitata. Appare
necessario interrogarsi su questa materia partendo dal delineare il quadro delle politiche dell’UE per
passare, poi, a focalizzarsi, in particolare, sul caso italiano. Nello specifico, la “crisi dei rifugiati” del 20156
e quella dell’epidemia da Covid-197 forniranno uno spunto per indagare le modalità e le conseguenze del
potere di controllo dello Stato sui propri confini e della gestione delle frontiere dell’Unione.
2. La valenza “ambivalente” dei confini nello spazio europeo
In via preventiva, bisogna sottolineare che, in questa sede, seppure non sia possibile dare conto
dell’evoluzione interpretativa del concetto di territorio come uno dei tre elementi fondativi dello Stato
Sulle possibili perplessità circa l’Europa come una “realtà territorialmente unitaria”, anche alla luce delle nuove sfide
derivanti dalla crisi pandemica, cfr. A.M. POGGI, Dove va l’Europa al tempo del Covid 19: riflessioni in tema di territorio dell’UE,
in federalismi.it, n. 19/2020, p. 440 e ss.
6 Infra, § 3.
7 Infra, §§ 4, 4.1, 4.2.
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accanto al popolo e alla sovranità8, conviene quantomeno fare alcune specificazioni definitorie. Anzitutto,
deve essere chiarito che per “confine” si intende la delimitazione giuridica della sovranità territoriale,
ossia il perimetro di una delle componenti identitarie della persona giuridica statale moderna di origine
“vestfaliana”9, su cui il diritto dell’Unione non interviene ai sensi dell’art. 77, § 4 TFUE 10. Secondo il
diritto internazionale consuetudinario, difatti, ogni Stato mantiene la prerogativa di decidere chi
ammettere sul proprio territorio11, come è stato ribadito in diverse occasioni anche dall’Assemblea
generale delle Nazioni Unite12 e dalla Corte Edu13. A tal fine, può essere richiamato il conflitto quasi
endemico che esiste, anzi, si potrebbe dire persiste, tra lo ius migrandi e la sovranità territoriale dello Stato.
Difatti, da un lato, vi è la libertà di emigrare che è riconosciuta come diritto fondamentale, sia dalle
Convenzioni internazionali14, sia dalla Costituzione italiana che all’art. 16, comma 2 proclama la libertà di
espatrio e all’art. 35, comma 4 quella di emigrazione “salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse
generale”. Dall’altro, però, questa libertà non comporta uno speculare diritto a emigrare nel territorio
italiano, dal momento che il fenomeno dell’immigrazione può subire vincoli significativi. Per
l’immigrazione, in realtà, la logica è ribaltata proprio in virtù della sovranità territoriale e del fatto che lo
8
Sul concetto di territorio dello Stato nel diritto pubblico v. ex multis P. BISCARETTI DI RUFFÌA, Territorio dello Stato,
in Enc. Dir., Giuffrè, Milano, 1992, vol. 44, pp. 333-354; M. MANETTI, Territorio I), Territorio dello Stato, in Enc. Giur.,
XXXI, Treccani, Roma, 1994, pp. 1-7; A. DI MARTINO, Il territorio. Dallo Stato-nazione alla globalizzazione. Sfide e prospettive
dello Stato costituzionale aperto, Giuffrè, Milano, 2010, pp. 191-198; I. CIOLLI, Il territorio rappresentato. Profili costituzionali,
Jovene, Napoli, 2010, pp. 57-60.
9 Sul concetto di confine nel diritto internazionale, si rimanda a R. ZAIOTTI, Cultures of Border Control. Schengen and the
Evolution of European Frontiers, The University of Chicago Press, Chicago – London, 2011, p. 45 e ss.; D.-E. KHAN,
Territory and Boundaries, in B. FASSBENDER-A. PETERS (eds.), The Oxford Handbook of the History of International Law,
Oxford University press, Oxford, 2012, p. 225 e ss.
10 L’articolo in questione afferma che resta impregiudicata “la competenza degli Stati membri riguardo alla delimitazione
geografica delle rispettive frontiere, conformemente al diritto internazionale”.
11 Sul concetto dello Stato come modello della soggettività nel diritto internazionale, da cui deriva la sua capacità di
esercitare stabilmente ed esclusivamente i poteri tipici della sovranità sul proprio territorio, cfr. A. CASSESE, Individuo
(diritto internazionale), in Enc. Dir., XXI, Giuffrè, Milano, 1971, p. 184 e ss.
12 V. Assemblea generale delle Nazioni Unite, Protection of Migrants, 19 dicembre 2006, ris. A/RES/61/165, §7; COMEX
UNHCR, International Protection of Refugees, Conclusione n. 97 (LIV), 2003.
13 A questo riguardo, risultano particolarmente rilevanti alcune decisioni della Corte Edu, tra cui, ad esempio, la sentenza
Amuur c. Francia, 20 maggio 1996, n. 19776/92, nella quale al § 41 si afferma che i «contracting States have the undeniable
sovereign right to control aliens’ entry into and residence in their territory», ma al contempo si evidenzia che «this right
must be exercised in accordance with the provisions of the Convention, including Article 5». Inoltre, la Corte di
Strasburgo ha ribadito più volte che il potere di controllo dell’ingresso, del soggiorno e dell’allontanamento degli stranieri
deve essere inteso «as a matter of well-established international law and subject to their treaty obligations» (v., ad
esempio, Moustaquim c. Belgio, 18 febbraio 1991, n. 12313/86, § 43; Boujlifa c. Francia, 21 ottobre 1997, n. 25404/94, § 42;
Nunez c. Norvegia, 28 giugno 2011, n. 55597/09, § 66).
14 La libertà di emigrare è garantita nel contesto internazionale a partire dall’art. 13 della Dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo del 1948, il quale stabilisce che “ognuno è libero di lasciare qualsiasi Paese, compreso il proprio”. La
formula è, poi, stata ripresa da diverse convenzioni, tra cui, ad esempio, dall’art. 2, § 2 del Protocollo n. 4 della Cedu e
dall’art. 8 della Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle
loro famiglie del 1990.
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Stato non riconosce un vero e proprio ius migrandi15. In altre parole, la libertà di emigrare non implica, al
converso, che l’ordinamento sia obbligato ad accogliere indistintamente gli stranieri che desiderino fare
accesso nel territorio nazionale.
Concetto diverso, invece, è quello della “gestione dei controlli alle frontiere”, la quale pur essendo parte
integrante del potere di governo dello Stato, può essere soggetta a limiti di varia natura ai sensi del diritto
costituzionale, internazionale e dell’Unione. È rilevante ricordare, infatti, che il cittadino di un Paese terzo
genericamente inteso sarebbe titolare solamente di un “interesse” ad attraversare le frontiere nazionali,
fuorché quando invochi il diritto di chiedere asilo, il quale, invece, è dotato di esplicita copertura
costituzionale ai sensi dell’art. 10, comma 316 e per cui vige il divieto di non-refoulement17, ormai assimilato
a norma di jus cogens18, oltre che richiamato anche nel diritto dell’UE19. Nell’Unione, in particolare, le
15
La questione viene esaminata recentemente da O. SPATARO, Fenomeno migratorio e categorie della statualità. Lo statuto
giuridico del migrante, Giappichelli, Torino, 2020, pp. 44-53.
16 Il presupposto secondo cui, ai sensi dell’art. 10, comma 3 Cost., gli stranieri che non hanno subito la negazione
dell’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione nel Paese di origine possono aspirare
esclusivamente ad un mero “interesse legittimo” a fare accesso nel territorio nazionale, mentre i richiedenti asilo
sarebbero titolari di una “pretesa” ad effettuare l’ingresso ed il soggiorno, è condiviso, ad esempio, da E. BERNARDI,
Asilo politico, in Digesto delle discipline pubblicistiche, Utet, Torino, 1987, vol. 1, p. 427; A. CALIGIURI, Art. 10, 3° co., in R.
BIFULCO – A. CELOTTO – M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, Utet, Torino, 2006, vol. 1, p. 254;
A. COSSIRI, Art. 10 Cost., in S. BARTOLE-R. BIN (a cura di), Commentario breve alla Costituzione, Cedam, Padova, 2008,
p. 86; P. BONETTI – L. NERI, Il diritto di asilo, in B. NASCIMBENE (a cura di), Diritto degli stranieri, Cedam, Padova,
2004, p. 1140.
17 Il principio di non-refoulement, è esplicitamente riconosciuto all’art. 33, § 1 della convenzione di Ginevra del 28 luglio
1951. Tale principio, inoltre, è stato garantito in via interpretativa dalla Corte Edu sulla base del contenuto dell’art. 3
Cedu, per il quale non sono ammesse deroghe, come esplicitato per la prima volta nella sentenza Soering c. Regno Unito, 7
luglio 1989, n. 14038/88, § 88. In tal senso, la Corte di Strasburgo, pur non potendo rinvenire norme che nella Cedu
sanciscano espressamente il diritto di asilo e il principio di non respingimento, ha ritenuto nella sua giurisprudenza di
assicurare il divieto di allontanamento di un individuo verso il Paese da cui è fuggito nel caso in cui possa essere vittima
di atti di tortura o di trattamenti inumani e degradanti. In queste circostanze, il divieto di espulsione deve considerarsi
valido persino qualora la condotta del migrante sia ritenuta socialmente pericolosa (v. ad esempio Saadi c. Italia, 28
febbraio 2008, n. 37201/06) ovvero nei casi di c.d. “refoulement indiretto”, ossia qualora sia ravvisato il pericolo che un
Paese terzo, non conformando la propria legislazione in materia di asilo alle norme convenzionali, possa respingere il
migrante in un territorio a rischio (v. ad esempio M.S.S. c. Belgio e Grecia [GC], 21 gennaio 2011, n. 30696/09). Sui casi
riguardanti il principio di non respingimento nella giurisprudenza della Corte Edu, cfr. F. DE WECK, Non-refoulement
under the European convention on Human Rights and the UN Convention against Torture: the Assessment of Individual Complaints by
the European Court of Human Rights under Article 3 ECHR and the United Nations Committee against Torture under Article 3 CAT,
Brill, Leiden – Boston, 2016.
18 Secondo alcuni Autori il principio di non-refoulement gode di carattere cogente e può essere assimilato ad una norma di
diritto internazionale consuetudinario. A questo riguardo, tra gli altri, v. G. GOODWIN-GILL – J. MCADAM, The
refugee in international law, Oxford University press, Oxford, 2007, p. 345 e ss.; J. ALLAIN, The jus cogens nature of nonrefoulement, in International journal of refugee law, vol. 13/2001, p. 533.
19 V. l’art. 78 TFUE, ove si afferma che la politica comune in materia di asilo deve “garantire il rispetto del principio di
non respingimento” ed “essere conforme alla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e al protocollo del 31 gennaio
1967 relativi allo status dei rifugiati, e agli altri trattati pertinenti”. Peraltro, la CGUE ha precisato nella sentenza Bolbol,
17 giugno 2010, C-31/09, §§ 12 e 37, che il principio di non-refoulement sancito dalla convenzione di Ginevra costituisce
«la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati». V., inoltre, gli artt. 18 e
19 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (CDFUE), i quali, rispettivamente, garantiscono il diritto di asilo in
conformità con la Convenzione di Ginevra e le previsioni del TFUE; e la protezione in caso di allontanamento, di
espulsione e di estradizione dello straniero, riprendendo al §1 il contenuto dell’art. 4 del Protocollo n. 4 Cedu sul divieto
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politiche relative ai controlli alle frontiere sono regolate dalle disposizioni al capo II del Titolo V del
TFUE, il quale mira a realizzare “uno spazio di libertà, sicurezza, e giustizia nel rispetto dei diritti
fondamentali nonché dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati
membri”20.
Deve, poi, essere operata un’ulteriore differenziazione tra il regime dei “confini interni” e quello dei
“confini esterni” dell’Unione: nel primo caso, i Trattati UE fissano l’abolizione dei controlli sulle persone
alle frontiere21, fornendo la base normativa per il c.d. acquis di Schengen22; per i secondi, sono istituiti un
sistema integrato di gestione delle frontiere e politiche comuni per il trattamento degli stranieri
di espulsioni collettive, comprendendo, così, qualunque forma di respingimento alla frontiera o di allontanamento
forzato dal territorio che non consenta un esame individuale della richiesta di protezione internazionale, e al § 2 quello
dell’art. 3 Cedu relativo al divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti. Sull’evoluzione dell’interpretazione della
CDFUE precedentemente e successivamente il Trattato di Lisbona, cfr. F. DI MAJO – A. RIZZO, Commento alla Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in A. TIZZANO (a cura di), Trattati dell’Unione europea, II ed., Giuffrè, Milano,
2014, p. p. 2591 ss. Sulla rilevanza della CDFUE, anche innovativa rispetto alla Cedu, cfr. P. MORI, Il valore aggiunto della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in AISDUE, n. II/2020, p. 9 ss.
20 V. l’art. 67 del TFUE.
21 V. gli artt. 2 e 3, § 2 del TUE, nonché gli artt. 67, § 2 e 77, §§ 1, a) e 2, e) del TFUE.
22 Supra, § 1, nt. 2.
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extracomunitari, sia richiedenti protezione internazionale23, sia migranti24. Per quanto riguarda il controllo
dell’ingresso degli stranieri extracomunitari nell’Unione riveste un ruolo chiave altresì l’Agenzia europea
V. gli artt. 3, 2, TUE e, soprattutto, l’art. 78 TFUE ai sensi del quale “L’Unione sviluppa una politica comune in
materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta ad offrire uno status appropriato a qualsiasi
cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale” e che attualmente costituisce la base giuridica per
lo sviluppo del Common European Asylum System (CEAS). Originariamente, una delle spinte maggiori per la formazione
del CEAS è stata rinvenuta dalla dottrina proprio nell’abolizione dei controlli alle frontiere interne, dalla quale sarebbe
derivata una necessità di compensazione individuata dalle istituzioni europee nel rafforzamento dei controlli alle
frontiere esterne e in una maggiore cooperazione in materia di asilo e immigrazione, affinché si potessero evitare
movimenti secondari indesiderati di richiedenti asilo. Il CEAS teoricamente persegue, tuttavia, obiettivi ben più
ambiziosi della semplice cooperazione o della definizione di criteri per l’attribuzione dello status di rifugiato e dei diritti
ad esso collegati come stabilito dalla convenzione di Ginevra del 1951. In particolare, mentre nella sua “prima fase” di
sviluppo – avviata con le c.d. conclusioni di Tampere del 1999 – si prevedeva solo la definizione di norme minime
comuni, nella “seconda fase” di armonizzazione – iniziata di fatto con l’European Pact on Immigration and Asylum adottato
dal Consiglio dell’UE nel 2008 e il Programma di Stoccolma del 2009 – sono stati approvati una serie di strumenti di
diritto derivato per stabilire una procedura unica in materia d’asilo e uno status uniforme per coloro che ottengono la
protezione internazionale. Tra questi strumenti vengono compresi: il c.d. regolamento Dublino (Regolamento (UE) n.
604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013); la c.d. direttiva procedure (2013/32/UE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013); la c.d. direttiva accoglienza (2013/33/UE del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013); la c.d. direttiva qualifiche (2011/95/UE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 13 dicembre 2011); e il c.d. regolamento Eurodac (Regolamento (UE) n. 603/2013 del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013). Sull’evoluzione e le criticità del CEAS, si rimanda a V. CHETAIL, The
Common European Asylum System: Bric-à-brac or System?, in V. CHETAIL, – P. DE BRUYCKER – F. MAIANI (eds.),
Reforming the common European asylum system: The new European refugee law, Brill, Leiden – Boston, 2016, p. 4 e ss; A. DEL
GUERCIO, La protezione dei richiedenti asilo nel diritto internazionale ed europeo, Editoriale Scientifica, Napoli, p. 242 e ss. Si
segnala, difatti, che a causa di una serie di problematiche del CEAS, acuitisi duranti la “crisi migratoria” del 2015 e
derivanti principalmente dal meccanismo del “sistema Dublino” (infra, § 5, nt. 173), un insufficiente grado di
armonizzazione relativo al trattamento dei richiedenti asilo da uno Stato membro all’altro, la durata delle procedure di
asilo e le condizioni di accoglienza dei migranti, la Commissione ha presentato un programma globale di riforma nel
2016 (COM(2016) 197 final), il quale però si è rivelato un sostanziale fallimento ed è stato solo in parte ripreso dal nuovo
Patto sulla migrazione e l’asilo del 23 settembre 2020 (infra, § 5). Sulle difficoltà derivanti dall’applicazione del
“regolamento di Dublino III” e le divergenze tra Stati membri in termini di standard applicativi del CEAS, si sono
pronunciate in diverse occasioni sia la Corte Edu (v. ad es. M.S.S. c. Belgio e Grecia, supra nt. 17; Tarakhel c. Svizzera [GC],
4 novembre 2014, n. 29217/12; Sharifi c. Italia e Grecia, 21 ottobre 2014, n. 16643/09), sia la CGUE (v. ad es. N.S. e M.E.
e A., C- 411/10 e C-493/10, 21 dicembre 2011). In particolare, per quanto concerne la giurisprudenza della Corte di
Straburgo e quella di Lussemburgo circa le criticità del sistema di protezione internazionale italiano rispetto ai vincoli di
diritto dell’UE e diritto internazionale, si rimanda a P. MORI, Il sistema italiano d’asilo alla luce della giurisprudenza della Corte
europea dei diritti dell’uomo e della Corte di giustizia dell’Unione europea, in Ordines, n. 2/2018, p. 309 e ss. Sulle possibili revisioni
del CEAS, invece, cfr. P. MORI, La proposta di riforma del sistema europeo comune d’asilo: verso Dublino IV?, in Eurojus.it, 7
settembre 2016; C. DI STASIO, La crisi del “Sistema Europeo Comune di Asilo” (SECA) fra inefficienze del sistema Dublino e
vacuità del principio di solidarietà, in Il Diritto dell’Unione europea, n. 2/2017, p. 209 ss.; T.M. MOSCHETTA, I criteri di
attribuzione delle competenze a esaminare le domande d’asilo nei recenti sviluppi del l’iter di riforma del regime di Dublino, in Federalismi.it,
n. 5/2018; M. MARCHEGIANI, La riforma del sistema comune europeo di asilo: verso una procedura comune e uno status uniforme?,
in Diritto Pubblico, n. 1/2020, pp. 79-96.
24 V. in particolare l’art. 79 TFUE §§ 1 e 2, ai sensi dei quali “l’Unione sviluppa una politica comune dell’immigrazione
intesa ad assicurare, in ogni fase, la gestione efficace dei flussi migratori, l’equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi
regolarmente soggiornanti negli Stati membri e la prevenzione e il contrasto rafforzato dell’immigrazione illegale e della
tratta degli esseri umani” e il Parlamento e il Consiglio possono adottare misure, secondo la procedura legislativa
ordinaria, nei seguenti settori: “a) condizioni di ingresso e soggiorno e norme sul rilascio da parte degli Stati membri di
visti e di titoli di soggiorno di lunga durata, compresi quelli rilasciati a scopo di ricongiungimento familiare; b) definizione
dei diritti dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti in uno Stato membro, comprese le condizioni che
disciplinano la libertà di circolazione e di soggiorno negli altri Stati membri; c) immigrazione clandestina e soggiorno
irregolare, compresi l'allontanamento e il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare; d) lotta contro la tratta degli
esseri umani, in particolare donne e minori”. L’Unione, peraltro, ai sensi del § 3 del medesimo articolo, nel
23
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per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri, meglio conosciuta
come Frontex. L’operato di tale Agenzia, seppure sia risultato fortemente controverso fin dalla sua
istituzione nel 200525 per via del delicato settore in cui interviene, il quale coinvolge questioni legate sia
ai diritti umani di richiedenti asilo e migranti, sia al presidio dei confini dei Paesi membri coincidenti con
le frontiere esterne dell’Unione26, è stato progressivamente rafforzato ed ampliato da parte delle istituzioni
europee a seguito dell’incremento delle pressioni migratorie27.
Dunque, l’integrazione europea ha evidentemente determinato un mutamento nell’autonoma capacità
dello Stato di disciplinare l’ingresso, il soggiorno e l’allontanamento degli stranieri. La parziale cessione
di sovranità dei Paesi membri a favore dell’Unione, infatti, ha prodotto un ridimensionamento di quella
funzione di promozione e protezione originariamente assunta dai confini. Segnatamente, con l’istituzione
progressiva del “sistema” Schengen28, è stato evidenziato in dottrina come sia stata anteposta la
“dimensione individualista” della libertà di movimento dei cittadini europei alla “dimensione
comunitaria” del limite, rendendo in qualche modo anacronistico l’ideale di singoli territori delimitati da
confini sorvegliati, così come è tradizionalmente associato allo Stato-nazione29.
Tuttavia, deve essere precisato che la “comunitarizzazione” delle politiche in materia di immigrazione e
asilo non ha mai intaccato del tutto il potere degli Stati membri di controllare le frontiere esterne
dell’Unione, o meglio “i confini di Schengen”, e di decidere sul volume di accesso al territorio nazionale
perseguimento dei predetti obiettivi può concludere accordi con gli Stati terzi, anche ai fini del rimpatrio. Per un
approfondimento cfr. L. MANCA, Commento all’art. 79 TFUE, in C. CURTI GIALDINO (a cura di), Codice dell’Unione
europea operativo, Napoli, Simone, 2012, p. 863 e ss.
25 L’Agenzia è istituita in attuazione del regolamento (CE) n. 2007/2004 del Consiglio del 26 ottobre 2004.
26 Per un approfondimento sull’impatto di Frontex sulle politiche di controllo delle migrazioni a livello europeo, si
rimanda a G. CAMPESI, Politica della frontiera. Frontex e la produzione dello spazio europeo, DeriveApprodi, Roma, 2015.
27 In sintesi, si segnala che con il regolamento (UE) n. 656/2014 il mandato di Frontex è stato esteso agli interventi di
ricerca e soccorso che si rendono necessari nel corso delle operazioni di sorveglianza anche nelle zone pre-frontiera.
Successivamente, con il regolamento n. 1624/2016 si istituisce una Guardia di frontiera e costiera europea che sostituisce
e amplia ulteriormente il mandato di Frontex in risposta alla “crisi dei rifugiati”. Da ultimo con il regolamento (UE) n.
1896/2019 pare si delinei un quadro “realmente” integrato della protezione delle frontiere esterne dell’Unione a livello
sovranazionale e nazionale, nell’ambito del quale, tra le diverse innovazioni, si prevede l’istituzione di un corpo
permanente operativo. Sui punti maggiormente salienti e le questioni ancora aperte relative alle ultime riforme che hanno
coinvolto l’Agenzia, cfr. M. FANTINATO, The European Border and Coast Guard Agency 2.0: the existing search and rescue gap
in the central Mediterranean and States’ responsibilities, in L. SALVADEGO – M. SAVINO – E. SCOTTI (a cura di), Migrazioni
e vulnerabilità. La rotta del Mediterraneo centrale. Atti del II Doctoral Colloquium dell’Accademia Diritto e migrazioni (Macerata, 56 dicembre 2019), Giappichelli, Torino, 2021, p. 31 e ss.
28 Supra, § 1, nt. 2.
29 Cfr. M. SAVINO, La crisi dei confini, in Riv. trim. dir. pubbl., n. 3/2016, p. 741.
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dei c.d. migranti economici provenienti da Paesi terzi30 in base all’art. 79, § 5 TFUE31. Del resto,
nonostante, come accennato, sia stato istituito un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne
basato sull’applicazione di criteri uniformi per i controlli all’ingresso di “cittadini non-Schengen” e i Paesi
membri debbano attenersi a vincoli di carattere umanitario derivanti dal diritto internazionale e
eurounitario, soprattutto per la tutela dei richiedenti asilo e dei rifugiati32, gli Stati detengono ancora le
competenze relative al mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza interni33 ai sensi dell’art. 72
TFUE34. Invero, come affermato dalla stessa Corte costituzionale nell’ordinanza n. 353 del 1997, lo Stato
«non può abdicare al compito, ineludibile, di presidiare le proprie frontiere»35.
In tal senso, l’esigenza di preservare la sicurezza e l’ordine pubblico, a cui nell’attuale emergenza
pandemica si aggiunge quella della salute, presumibilmente può implicare la limitazione della libertà di
movimento e degli attraversamenti di frontiera. Tale tendenza, dall’inizio del XXI secolo circa, è stata
rinsaldata ulteriormente dalla richiesta di un potenziamento della sicurezza interna dovuta alla minaccia
del terrorismo internazionale di matrice jihadista36 che inevitabilmente si intreccia con la problematica
delle migrazioni di massa dirette verso l’Unione e con gli spostamenti interstatali dei cittadini europei.
Queste istanze difensive si sono tradotte anche nell’innalzamento di barriere fisiche militarizzate da parte
30
Su questo aspetto cfr. C. RISI, Alcune note sulla dimensione esterna dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia dopo il Consiglio
europeo di giugno 2017, in Freedom, Security & Justice: European Legal Studies, n. 2/2017, pp. 136-138; B. CARAVITA, Quanta
Europa, cit., pp. 169-170; T. CERRUTI, Libertà di circolazione e pandemia: servirà un passaporto-covid per attraversare i confini
dell’Unione Europea, in Rivista AIC, n. 2/2021, pp. 3-4.
31 Il suddetto articolo stabilisce che lo sviluppo di una politica comune in materia di immigrazione “non incide sul diritto
degli Stati membri di determinare il volume di ingresso nel loro territorio dei cittadini di paesi terzi, provenienti da paesi
terzi, allo scopo di cercarvi un lavoro dipendente o autonomo”.
32 Ci si riferisce, in particolare, per ciò che attiene il diritto internazionale, al principio di non-refoulement, al divieto di
tortura e trattamenti inumani e degradanti ai sensi dell’art. 3 Cedu e al divieto di espulsioni collettive di stranieri ai sensi
dell’art. 4 del Protocollo n. 4 Cedu (supra, §1, nt. 17 e nt. 18); mentre, per quanto riguarda il diritto dell’UE alle previsioni
contenute all’art. 78 TFUE relativo a una politica comune in materia di asilo, all’esplicito riconoscimento del diritto di
asilo all’art. 18 della CDFUE e alla protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione prevista all’art.
19 della medesima Carta (supra, §1, nt. 19). Sul tema cfr. P. BONETTI, I diritti dei non cittadini nelle politiche dell’immigrazione
e dell’asilo dell’Unione europea, in C. PANZERA - A. RAUTI - C. SALAZAR - A. SPADARO (a cura di), Metamorfosi della
cittadinanza e diritti degli stranieri. Atti del Convegno internazionale di studi. Reggio Calabria, 26-27 marzo 2015, Editoriale
scientifica, Napoli, 2016, p. 152 e ss.
33 Cfr. C. SALAZAR, Territorio, confini, “spazio”: coordinate per una mappatura essenziale, in Associazione italiana dei
costituzionalisti, Di alcune grandi categorie del diritto costituzionale. Sovranità, rappresentanza, territorio. Atti del XXXI Convegno
annuale Trento, 11-12 novembre 2016, Jovene, Napoli, 2017, p. 598.
34 Sull’art. 72 TFUE esiste giurisprudenza della CGUE rilevante in relazione alla questione migratoria. V. le seguenti
sentenze: Melki e Abdel, C‑188/10 e C‑189/10, 22 giugno 2010; Adil, C‑278/12 PPU, 19 luglio 2012; A, C 9/16, 21
giugno 2017; Slovacchia e Ungheria c. Consiglio, C‑643/15 e C‑647/15, 6 settembre 2017; Commissione c. Polonia e Altri (C
715/17, C718/17 e C719/17), 2 aprile 2020; Commissione c. Ungheria, C-808/18, 17 dicembre 2020.
35 Corte cost., 21 novembre 1997, n. 353, in Giur. cost., fasc. 6, 1997, pp. 3457-3460.
36 Sul punto cfr. M. SAVINO, La crisi, cit., p. 739.
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degli Stati37, come quelle costruite lungo le enclaves spagnole di Ceuta e Melilla in Marocco38 o quelle al
confine fra Grecia e Turchia, tra Bulgaria e Turchia, tra Ungheria e Serbia, tra Austria e Slovenia ovvero,
quelle, più ridotte, al porto di Calais in Francia e tra Norvegia e Russia39.
Come noto, poi, tale scenario è divenuto tanto più complesso non solo a causa del progressivo accrescersi
del fenomeno migratorio, derivante a sua volta da un susseguirsi di crisi geopolitiche40, ma anche per
l’avanzare della globalizzazione che ha moltiplicato le sfide per il controllo territoriale dello Stato. Si pensi,
ad esempio, all’utilizzo dilagante di internet e del digitale, il quale ha evidentemente reso lo spazio fisico
di ogni Stato più “penetrabile”41.
In considerazione del quadro così delineato, può essere osservato, però, che alla globalizzazione non pare
in realtà affiancarsi un vero e proprio processo di “deterritorializzazione” come sostenuto da alcuni
studiosi42, giacché la sovranità statale con riferimento al territorio si rivela tuttora cruciale per diversi
ambiti politici e giuridico-costituzionali43.
37 Il significato difensivo di concenzione schmittiana del “muro” è richiamato ad esempio da L. ANTONINI, Alla ricerca
del territorio perduto: anticorpi nel deserto che avanza, in Associazione italiana dei costituzionalisti, Di alcune grandi categorie del
diritto costituzionale. Sovranità, rappresentanza, territorio. Atti del XXXI Convegno annuale Trento, 11-12 novembre 2016, Jovene,
Napoli, 2017, p. 529.
38 Si segnala che la pratica del respingimento di migranti che tentano di oltrepassare la barriera confinaria costruita
attorno all’enclave spagnola di Melilla in Marocco, da cui è stata coniata l’espressione “devolusiones en caliente”, è stata
denunciata dal Consiglio d’Europa per violazione del principio di non-refoulement e dell’art. 3 Cedu nel Report to the Spanish
Government on the visit to Spain carried out by the European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment
or Punishment (CPT) from 14 to 18 July 2014, 9 aprile 2015, pp. 19-24, testo consultabile sul sito del Consiglio d’Europa.
La questione, peraltro, è stata oggetto di scrutinio da parte della Corte Edu. In particolare, sul caso N.D. e N.T. c. Spagna,
ric. n. 8675/15 e 8697/15, si è espressa, in un primo momento, la Terza Sezione, la quale ha rinvenuto la violazione
dell’art. 4 del Protocollo n. 4 Cedu sul divieto di espulsioni collettive di stranieri e dell’art. 13 Cedu sul diritto a un ricorso
effettivo in combinato con la precedente disposizione. Successivamente, invece, la Grande Camera nella sentenza del
13 febbraio 2020 ha ribaltato il giudizio precedente, affermando che non vi sarebbe alcuna infrazione degli articoli
suddetti poiché l’espulsione degli stranieri da parte delle autorità spagnole è giustificata sulla base della condotta
irregolare dei richiedenti asilo nell’attraversamento del confine terrestre e della presenza di vie legali alternative per la
presentazione delle domande di protezione internazionale. Per un commento alla sentenza, la quale è stata alquanto
dibattuta, cfr. F.L. GATTA, Recenti sviluppi nelle politiche di controllo migratorio in Europa, in Eurojus, n. 1/2020, pp. 132-138;
A. BUFALINI, Ancora a margine del caso N.D. & N.T. c. Spagna: la retorica dell’invasione si fa largo a Strasburgo?, in Blog ADiM.
Editoriale, luglio 2020.
39 Sulla questione v. UNHCR, Border fences and internal border controls in Europe, marzo 2017, testo consultabile sul sito di
refworld; A. RUIZ BENEDICTO – P. BRUNET, Building walls. Fear and securitization in the European Union, 2018, pp. 2324, testo consultabile sul sito di tni; LIBE, Il futuro dello spazio “Schengen”: sviluppi e sfide recenti nel quadro della governance di
“Schengen” dal 2016, 2018, pp. 27-35, testo consultabile sul sito del Parlamento europeo.
40 Per una visione d’insieme delle principali rotte di migranti che recentemente si dirigono verso l’Europa si rinvia a B.
CARAVITA, Quanta Europa c’è in Europa? Percorsi e prospettive del federalizing process europeo, Giappichelli, Torino, 2020,
pp. 170-173.
41 Cfr. S. CASSESE, cit., p. 73.
42 Cfr. B. BADIE, La fine dei territori. Saggio sul disordine internazionale e sulla utilità sociale del rispetto, Asterios, Trieste, 1996,
pp. 161-164; A. BALDASSARRE, Globalizzazione contro democrazia, Laterza, Roma-Bari, 2003, p. 63.
43 Cfr. I. CIOLLI, Il territorio rappresentato, cit., pp. 66-67; E. GIANFRANCESCO, Il ruolo insostituibile dell’elemento territoriale
negli ordinamenti politici, in Diritti regionali. Rivista di diritto delle autonomie territoriali, n. 3/2018, p. 2 e ss.
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In questa prospettiva, nel caso italiano, come emerso in letteratura, le materie dell’immigrazione e
dell’asilo sono associate quasi sistematicamente alla sicurezza44. Invero, la lettura delle politiche migratorie
prevalentemente attraverso una lente emergenziale e securitaria, piuttosto che programmatica e di lungo
periodo, ha fatto sì che la “naturale espressione giuridica” di questo settore divenisse la decretazione
d’urgenza45. L’impiego frequentissimo del decreto-legge, però, non è sempre stato ritenuto
sufficientemente motivato nel dibattito politico e accademico, in quanto, spesso non si sarebbero
riscontrate le effettive condizioni di necessità ed urgenza ai sensi dell’art. 77 Cost.46. Al contempo, è stato
evidenziato che il suo utilizzo, in ultima analisi, determinerebbe modifiche permanenti nell’assetto
normativo47 che talvolta hanno suscitato anche dubbi di legittimità costituzionale, come nel caso della
sentenza n. 194 del 201948 che aveva ad oggetto cinque ricorsi regionali avversi a molteplici disposizioni
del “decreto sicurezza” del 2018, sulla base di diversi parametri sia competenziali che extra-competenziali.
Pertanto, la volontà di implementare una politica comune in materia di asilo ai sensi dell’art. 78 TFUE e
dell’immigrazione ai sensi dell’art. 79 TFUE, non si è tradotta nella rinuncia definitiva della sfera
decisionale nazionale. Al contrario, l’autonomia politica e giuridica statuale si sarebbe perfino rafforzata
nella prevenzione dell’ingresso di stranieri extraeuropei, giustificata dal bisogno di mantenere la sicurezza
entro il territorio nazionale ed in nome di crescenti “pretese sovraniste”49.
È stato evidenziato, in particolare, che tra i soggetti maggiormente colpiti da questo trend “securitario” rientrerebbero
certamente i non cittadini e, soprattutto, gli stranieri “clandestini”, verso i quali si è intervenuto anche per mezzo dello
strumento penale. In tal senso, può essere ricordata la circostanza dell’aggravante di clandestinità (art. 61, n. 11-bis c.p.)
introdotta con il d.l. 92/2008 e poi dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale nella sent. 8 luglio 2010, n. 249 per
contrasto con gli artt. 3 e 25, comma 2 Cost. Altrettanto esemplificativo risulta essere l’art. 14, co. 1, lett. d) del d.l. n.
113/2018 che inserisce l’art. 10-bis alla legge del 5 febbraio 1992, n. 91, prevedendo la revoca della cittadinanza solamente
per coloro che, dopo averla ottenuta per ius soli, abbiano subito una condanna definitiva per taluni gravissimi delitti
contro la sicurezza e l’ordine pubblico. Tra i contributi più recenti sul tema si rimanda a L. RISICATO, Diritto alla
sicurezza e sicurezza dei diritti: un ossimoro invincibile?, Giappichelli, Torino, 2019, pp. 25-48; O. SPATARO, Fenomeno
migratorio, cit., pp. 82-88.
45 A questo proposito è possibile ricordare che, solo negli ultimi anni, la decretazione d’urgenza è intervenuta in materia
dapprima con il “piano Minniti” (d.l. n. 13/2017, conv. con mod. nella l. n. 46/2017) e, poco dopo, con il “decreto
sicurezza” (d.l. n. 113/2018, conv. con mod. dalla l. n. 132/2018) e il “decreto sicurezza-bis” (d.l. n. 53/2019 conv. con
mod. dalla l. n. 77/2019) e, infine, con il “decreto Lamorgese” (d.l. n. 130/2020, conv. con mod. dalla l. n. 173/2020).
46 In tal senso, è opportuno fare riferimento alle circostanze durante le quali è stato adottato il “decreto sicurezza”,
giacché il numero di richiedenti asilo alla prima domanda registrato nel 2018 nell’UE-27 risultava di gran lunga inferiore
(548 955) a quello rilevato durante il picco della “crisi dei rifugiati” nel 2015 (1 216 280). Cfr. Statistiche in materia di asilo
– Statistics Explained, testo consultabile sul sito di Eurostat. Sul punto v. anche A. RAUTI, Il decreto sicurezza di fronte alla
Consulta. L’importanza (e le incertezze) della sentenza n. 194 del 2019, in Forum quad. cost., n. 1/2020, pp. 340-341.
47 Cfr. O. SPATARO, Fenomeno migratorio, cit., p. 83.
48 Corte cost., 24 luglio 2019, n. 194, in Giur. cost., fasc. 4, 1997, pp. 2186-2241. Per un commento della sentenza, v. C.
PADULA C., Le decisioni della Corte costituzionale del 2019 sul decreto sicurezza, in Consulta Online, 2019, pp. 377-384; D.
TEGA, I ricorsi regionali contro il decreto sicurezza: la ridondanza dalla difesa delle competenze allo scontro sui diritti, in Forum quad.
cost., n. 2/2019, pp. 413-416.
49 Cfr. M. SAVINO, La crisi, cit., p. 742, il quale definisce la recente propensione di alcuni ordinamenti europei a
rafforzare i controlli ai loro confini con il fine di limitare l’afflusso di migranti come un “sussulto di sovranità”.
44
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In effetti, la conferma del rilievo del territorio è rinvenibile in maniera tangibile anche nelle situazioni di
“ritorno al localismo”50 che hanno avuto origine ora per esprimere il senso di appartenenza dell’identità
nazionale di una certa comunità in contrapposizione all’omologazione data della globalizzazione, ora per
dare voce a sentimenti di rivendicazione per la formazione di uno Stato proprio rispetto ad altri gruppi
nazionali51. A ciò, si affianca l’ascesa di movimenti “nazionalisti”, i quali, potenziatesi a seguito dell’esito
positivo del referendum del Regno Unito sulla cosiddetta Brexit52, hanno reinterpretato i confini quali
markers of identity53. Specificatamente per quanto concerne l’immigrazione, i partiti nazional-populisti e
euroscettici di estrema destra, di cui è stata registrata un’ascesa a partire dal biennio 2014-2015 nel centro
e nel nord dell’Unione54, seppur non siano assimilabili da un’unica ideologia ma presentino differenze
anche significative tra loro55, nel complesso hanno senz’altro tutti messo in risalto la “pericolosità” di
flussi incontrollati di stranieri irregolari diretti verso l’Unione56, reclamando una politica maggiormente
restrittiva e autonoma a livello nazionale.
Da queste riflessioni iniziali, emerge, perciò, che i confini assumono accezioni mutevoli e, per certi versi,
contradditorie nello “spazio” europeo, il quale de facto potrebbe definirsi come il risultato dei territori
nazionali degli Stati membri anziché come uno autonomo57. Difatti, da una parte, i confini sono divenuti
B. CARAVITA - M. CONDINANZI – A. MORRONE – A.M. POGGI, Dove va l’Europa? Percorsi e prospettive del
federalizing process europeo, in federalismi.it, n. 7/2019, pp. 9-10; A.M. POGGI, Unione europea e territorio: problemi e prospettive,
in federalismi.it, n. 31/2020, p. vi.
51 Cfr. G. FERRAIUOLO, Transizione e persistenza. Note su Stato-nazione e processo di integrazione europea, in federalismi.it, n.
31/2020, p. 21. L’Autore si riferisce specialmente alle spinte secessioniste – come quella della Catalogna dalla Spagna o
della Scozia dal Regno Unito – che si fondano su concreti elementi di diversità consolidatisi nel processo storico.
52 Per un inquadramento giuridico del processo di recesso del Regno Unito dall’Unione europea e il suo impatto
sull’integrazione europea, si rimanda, tra gli altri, a C. MARTINELLI (a cura di), Il referendum Brexit e le sue ricadute
costituzionali, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2017; F. FABBRINI (a cura di), The Law and Politics of Brexit, Oxford
University Press, Oxford, 2017; C. SCLOSA (ed.), Secession from a Member State and Withdrawal from the European Union,
Cambridge University press, Cambridge, 2017; P. MARIANI, Lasciare l’Unione europea. Riflessioni giuridiche sul recesso nei
giorni di Brexit, Egea, Milano, 2018; J. HILLMAN-G. HORLICK (eds.), Legal Aspects of Brexit. Implications of the United
Kingdom’s Decision to Withdraw from the European Union, Institute of International Economic Law, Washington D.C., 2017;
F. SAVASTANO, Uscire dall’Unione europea. Brexit e il diritto di recedere dai Trattati, Giappichelli, Torino, 2019; B.
CARAVITA, Quanta Europa, cit., p. 215 e ss.
53 Cfr. C. SALAZAR, Territorio, cit., p. 598.
54 Ci si riferisce, tra gli altri, all’Unione Civica Ungherese (Fidesz), a Diritto e Giustizia (PiS) in Polonia, al Partito della
Libertà (FPÖ) in Austria o al Raggruppamento Nazionale (RN) in Francia.
55 Sul punto v. G. VALDITARA, Sovranismo. Una speranza per la democrazia, BookTime, Milano, 2017, pp. 14-15, il quale
evidenzia la frammentazione dei partiti europei aderenti al fronte “sovranista”, soprattutto se comparati a quelli
confluenti in una corrente definita “globalista” che, al contrario, sarebbero più uniformi sia sotto il profilo ideologico
che delle proposte politiche.
56 Cfr. L. FROSINA, La crisi “esistenziale” dell’Unione europea tra deriva intergovernativa e spinte centrifughe, in Nomos. Le attualità
nel diritto, n. 2/2018, pp. 11-12; M.G. RODOMONTE, Il “populismo sovranista” e l’Europa. A proposito di crisi della democrazia
e del processo di integrazione europea, in Nomos. Le attualità nel diritto, n. 2/2019, pp. 7-8.
57 Sulla complessa definizione della delimitazione dei confini dell’Unione e le motivazioni per cui è preferibile discutere
di “spazio” europeo anziché di “territorio” nel senso classico del termine v. C. BERTOLINO, Le politiche europee in tema
di controlli delle frontiere, asilo e immigrazione, a dieci anni dal Trattato di Lisbona, in federalismi.it, n. 19/2020, p. 375; I. CIOLLI,
Il territorio europeo tra processi federali e spinte neofeudali, in federalismi.it, n. 31/2020, pp. 29-32. Inoltre, cfr. A.M. POGGI, Dove
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in gran parte “permeabili” per quanto concerne lo scambio di merci, capitali (spesso digitalizzati) o flussi
di lavoratori e studenti nel contesto del mercato unico58, a cui si affianca l’esercizio dei diritti di
cittadinanza europea59 e di quelli derivanti dalla creazione dello spazio di libertà sicurezza e giustizia
dell’Unione. Dall’altra parte, vi sarebbe la propensione a intenderli come “linee di chiusura” del territorio
statale per rendere l’accesso invalicabile o, comunque, più difficoltoso dall’esterno a certe categorie di
stranieri60. Pertanto, il confine oscillerebbe dall’assumere il significato di limes, ovvero una sorta di
“barriera” escludente e divisiva, a quello di limen, cioè una “soglia” attraverso la quale è concesso
transitare61. Verosimilmente, come sarà indagato nei paragrafi che seguono, questo dilemma tra ius
migrandi e fortificazione dei confini si acuisce nelle situazioni di crisi.
3. La reintroduzione dei controlli alle frontiere interne nell’area Schengen nella “crisi dei
rifugiati”
La questione della reintroduzione dei controlli alle frontiere interne in alcuni Paesi membri nel corso della
“crisi migratoria” che ha colpito l’Unione a partire dal 201462 certamente meriterebbe una trattazione a
sé63. Risulta opportuno, ciononostante, ricordarne i tratti salienti come termine di paragone con le
dinamiche verificatesi durante l’attuale emergenza epidemiologica.
In estrema sintesi, si ricorda innanzitutto che, secondo le regole dell’area Schengen, gli Stati membri
possono introdurre controlli alle frontiere interne per un tempo limitato come extrema ratio se esiste una
grave minaccia all’ordine pubblico o alla sicurezza interna. Specificatamente, il Codice frontiere Schengen
li ammette in tre tipi di scenari: il primo riguarda eventi “prevedibili” e contempla che sia data notifica
va l’Europa, cit., p. 443, la quale evidenzia come tra gli internazionalisti emerga l’opportunità di discutere più
specificatamente di applicazione territoriale dei Trattati istitutivi o meglio di «sfera spaziale di applicazione dei Trattati,
composta dalla somma dei territori degli Stati membri (con l’esclusione di eventuali parti) nella quale l’Unione esercita
le competenze che le sono state attribuite dagli Stati membri per conseguire gli obiettivi comuni».
58 V. nel Titolo I TFUE, relativo al mercato interno, l’art. 26, § 2 che comporta “uno spazio senza frontiere interne, in
cui è assicurata la libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali”; e l’art. 45 TFUE che assicura la libertà di
circolazione ai lavoratori all’interno dell’Unione, ma che al § 3 prevede la possibilità di limitare tale prerogativa per motivi
di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica.
59 Sui diritti dei cittadini europei v. gli artt. 20-25 del TFUE e l’art. 15, § 2 CDFUE.
60 Cfr. S. CASSESE, Territori, cit., pp. 77, 87-88.
61 Cfr. C. SALAZAR, Territorio, cit., pp. 598-599-6. In tal senso cfr. anche B. BADIE, La fine, cit. 167, il quale riferendosi
a questa doppia azione dello Stato relativamente al controllo del territorio, utilizza l’efficace espressione di
“deterritorializzazione selettiva”.
62 Per “crisi migratoria europea” si intende il notevole incremento di flussi migratori diretti verso l’UE che è stato
registrato a partire dal 2014, con un picco di oltre un milione di sbarchi giunti via mare nel 2015, soprattutto da parte di
cittadini originari della Siria, dell’Afghanistan e dell’Iraq. Per ulteriori informazioni sul tema cfr. il report dell’Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Global Trends. Forced displalcement in 2015, 20 giugno 2016, testo
consultabile sul sito di UNHCR.
63 Sull’argomento si rinvia, ad esempio, a A. ROMANO, La rinascita delle frontiere interne: il declino (reversibile?) di Schengen, in
M. SAVINO (a cura di), La crisi migratoria tra Italia e Unione europea: diagnosi e prospettive, Editoriale scientifica, Napoli, 2017,
pp. 249-278.
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agli altri Stati e alla Commissione con congruo preavviso e che i controlli possano durare per un periodo
di 30 giorni o per la durata prevedibile della minaccia grave, prorogabile fino a un massimo di 6 mesi 64; il
secondo si riferisce a eventi che richiedono “un’azione immediata”, senza preavviso, salvo l’obbligo di
informarne la Commissione e gli altri Stati membri, per un periodo limitato di massimo dieci giorni,
prorogabile fino a un massimo di due mesi65; il terzo concerne “circostanze eccezionali che mettono a
rischio il funzionamento globale dello spazio senza controllo alle frontiere interne” – nello specifico
“carenze gravi relative al controllo delle frontiere esterne” – e prevede il ripristino dei controlli per un
periodo di sei mesi, prorogabile non più di tre volte fino ad un massimo di due anni66. Quest’ultima
procedura reca che sia il Consiglio a raccomandare a uno o più Stati di ripristinare il controllo di frontiera
“come misura volta a proteggere gli interessi comuni nello spazio senza controllo alle frontiere interne”.
A partire dal 2015, taluni Stati dell’Europa settentrionale e centro-orientale67, hanno qualificato come
“minacce gravi all’ordine pubblico e alla sicurezza interna” l’afflusso massiccio di migranti e richiedenti
64
V. artt. 25-27, reg. (UE) 2016/399.
V. art. 28, reg. (UE) 2016/399.
66 V. art. 29, reg. (UE) 2016/399.
67 Ci si riferisce in particolare a Svezia, Danimarca, Norvegia, Germania, Austria e Slovenia. Deve essere segnalato,
tuttavia, che, nel corso della “crisi migratoria europea”, la Norvegia, la Svezia e soprattutto la Germania, oltre ad essersi
impegnate nel programma di ricollocazioni, hanno accolto le più alte percentuali di richiedenti protezione internazionale.
A questo riguardo, v. Relocaction and Resettlement – State of Play, 16 maggio 2017, testo consultabile sul sito della
Commissione europea; Asylum applicants and first instance decisions on asylum applications: fourth quarter 2015, giugno 2016, p.
9, testo consultabile sul sito di Eurostat. Diversamente, i Paesi del c.d. gruppo di Visegrád (ossia Polonia, Repubblica
Ceca, Slovacchia e Ungheria) si sono sistematicamente opposti ad una gestione concertata dell’asilo nell’Unione,
ostacolando duramente i tentativi di redistribuzione dei richiedenti protezione internazionale (infra, § 5), opponendosi
alla proposta di riforma del CEAS nel 2016 (supra, § 2, nt. 23) e più recentemente al Patto sulla migrazione e l’asilo del
2020 (sul punto cfr. C. GENTILI, Nuovo “patto sull’immigrazione”: primi dubbi tra i Paesi dell’Est Europa, in Sicurezza
internazionale, 24 settembre 2020). L’Ungheria, peraltro, ha adottato misure giudicate illegittime dalla stessa CGUE circa
il rispetto dei diritti dei migranti e dei richiedenti protezione internazionale nelle “zone di frontiera”. Relativamente a
quest’ultima problematica, risulta rilevante specialmente la sentenza della CGUE Commissione c. Ungheria del 17 dicembre
2020, C-808/18, concernente le misure restrittive attuate presso le “zone di transito” istituite dallo Stato ungherese al
confine con la Serbia. Più nel dettaglio, la Corte di Lussemburgo, riprendendo l’orientamento di una sua precedente
pronuncia nell’ambito di un rinvio pregiudiziale sottoposto da un giudice ungherese (v. sentenza del 14 maggio 2020,
Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság, C-924/19 PPU e C-925/19 PPU), ha stabilito che tale
Stato membro non ha rispettato una serie di obblighi previsti dal diritto dell’UE per ciò che attiene diverse questioni,
vale a dire: l’accesso effettivo dei richiedenti asilo alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale; il
regime di trattenimento attuato nelle “zone di transito”; le procedure di rimpatrio impiegate nei confronti dei cittadini
di Paesi terzi irregolarmente soggiornanti; il diritto dei richiedenti protezione internazionale di rimanere nel territorio di
un Paese membro anche a seguito di rigetto della domanda, fino alla scadenza del termine previsto per la presentazione
di un ricorso avverso al diniego o all’adozione di una decisione in caso di ricorso già presentato. Per un commento alla
sentenza cfr. E. CELORIA, Stranieri trattenuti alle frontiere esterne dell’Unione: il quadro di garanzie individuato dalla Corte di
Giustizia e le sfide del nuovo Patto sulle migrazioni e l’asilo, in European papers, vol. 5, n. 3/2020, p. 1385 e ss.; E. COLOMBO,
La Corte di Giustizia condanna (nuovamente) l’Ungheria per l’inadeguatezza della normativa sull’asilo, in Eurojus.it, 6 gennaio 2021.
Si segnala, infine, che, attualmente, è in corso un’ulteriore procedura di infrazione da parte della Commissione nei
confronti dell’Ungheria per via di una riforma approvata nel contesto pandemico che istituisce nuove restrizioni alla
possibilità dei richiedenti protezione internazionale di presentare domanda di asilo. Le disposizioni introdotte sono
ritenute contrarie alla “direttiva procedure”, interpretata alla luce della CDFUE, come si legge nel comunicato Migration:
65
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asilo e, soprattutto, “significativi movimenti secondari” di stranieri irregolari e non documentati,
unitamente all’ipotesi che tra i bona fide richiedenti asilo avrebbero potuto essere presenti anche estremisti,
con conseguente rischio di atti terroristici68. Peraltro, è stata richiamata direttamente o indirettamente la
mancata solidarietà da parte degli Stati di primo arrivo, specialmente dell’Italia e della Grecia, causata
dalle carenze dei sistemi nel processo di registrazione degli stranieri in entrata69. Gli Stati suddetti70, quindi,
hanno implementato sia misure d’urgenza, sia misure – almeno inizialmente – fondate su
raccomandazioni adottate dal Consiglio ai sensi dell’art. 29 del Codice frontiere Schengen71, attivando
questa modalità per la prima volta al fine di protrarre i controlli al confine. Tuttavia, una volta che la
Commissione e il Consiglio non erano più legittimati ad invocare il suddetto art. 29 del Codice, si sono
susseguite una serie di decisioni per mezzo delle quali gli Stati interessati hanno prorogato i controlli,
continuando ad addurre – secondo la Commissione in maniera non del tutto legittima72 –
l’argomentazione della “crisi migratoria e i conseguenti movimenti secondari di migranti irregolari e non
documentati”, passando da una procedura all’altra73.
In tal modo, con una prassi la cui legittimità è apparsa discutibile, quantomeno relativamente ai requisiti
di necessità e proporzionalità che dovrebbero rispettare simili provvedimenti74, i controlli alle frontiere
interne sono stati mantenuti per oltre quattro anni consecutivi da diversi Stati membri. Alla presunta
Commission calls on HUNGARY to allow access to the asylum procedure in line with EU law, 30 ottobre 2020, consultabile sul
sito della Commissione europea.
68 Cfr. F. IPPOLITO, La ‘tragedia’ delle frontiere europee, in European Papers, vol. 1, n. 2/2016, p. 657.
69 Cfr. A. ROMANO, La rinascita, cit., pp. 263-264.
70 Supra, § 3, nt. 67.
71 V. la Decisione di esecuzione (UE) 2016/894 del Consiglio, del 12 maggio 2016, recante una raccomandazione per un controllo
temporaneo alla frontiera interna in circostanze eccezionali in cui è a rischio il funzionamento globale dello spazio Schengen, pp. 8-11, nella
quale si autorizzavano Austria, Germania, Danimarca, Svezia e Norvegia a mantenere i controlli temporanei alle
rispettive frontiere interne per un periodo supplementare massimo di sei mesi, vale a dire fino al 12 novembre 2016.
Successivamente, la procedura ai sensi dell’art. 29 del Codice frontiere Schengen è stata attivata nuovamente dal
Consiglio per periodi di tre e sei mesi tramite le seguenti decisioni: Decisione di esecuzione (UE) 2016/1989 del Consiglio,
dell'11 novembre 2016, recante raccomandazione per la proroga del controllo temporaneo alle frontiere interne in circostanze eccezionali in
cui è a rischio il funzionamento globale dello spazio Schengen, pp. 13-15; Decisione di esecuzione (UE) 2017/246 del Consiglio, del 7
febbraio 2017, recante una raccomandazione per la proroga del controllo temporaneo alle frontiere interne in circostanze eccezionali in cui è
a rischio il funzionamento globale dello spazio Schengen, pp. 59-61; Decisione di esecuzione (UE) 2017/818 del Consiglio, del 11 maggio
2017, recante una raccomandazione per la proroga del controllo temporaneo alle frontiere interne in circostanze eccezionali in cui è a rischio
il funzionamento globale dello spazio Schengen, pp. 73-75.
72 V. Commissione europea, Questions & Answers: Preserving and strengthening the Schengen area, MEMO/17/3408, Brussels,
27 settembre 2017, in cui si afferma che «At the expiry of the current internal border controls in November, following the third and
final prolongation legally possible authorised by the Council for Austria, Germany, Denmark, Sweden and Norway (pursuant to Article 29
of the Schengen Borders Code) in May this year, the exceptional circumstances resulting from the context of the unprecedented migratory and
refugee crisis which started in 2015, the deficiencies in the external border management by Greece and the secondary movements resulting from
these deficiencies can no longer be invoked to justify reintroduction or prolongation of internal border controls».
73 Cfr. LIBE, Il futuro, cit., pp. 13-16.
74 Cfr. A. ROMANO, La rinascita, cit., p. 268.
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“crisi di Schengen”75, le istituzioni hanno risposto avviando un processo di riforma del regime dal 2017
che tenesse maggiormente in considerazione la verifica delle “minacce attuali” alla sicurezza e all’ordine
pubblico76. È significativo osservare, però, che in quel contesto le “minacce” che giustificavano il ritorno
dei controlli alle frontiere interne erano direttamente connesse alla questione dei flussi di cittadini di Paesi
terzi77, mentre le motivazioni avanzate a questo scopo durante l’emergenza sanitaria da Covid-19
interessano solo indirettamente il fenomeno migratorio, il quale al momento si potrebbe dire che sia
divenuto, piuttosto, un “problema collaterale” rispetto alla tutela della salute pubblica.
4. Frontiere e emergenza da Covid-19
Con la diffusione della pandemia si potrebbe affermare che i confini nello spazio europeo sono stati,
ancora una volta, direttamente coinvolti nello “scontro” tra due contrapposte esigenze giuridiche, ossia
quella securitaria – la quale include, ovviamente, anche gli aspetti di sicurezza sanitaria che ad oggi
riguardano la lotta contro il coronavirus – e quella di implementare politiche migratorie che assicurino i
diritti fondamentali degli stranieri e, in particolare, il diritto di asilo78.
A tale dilemma, si affianca la questione relativa alla chiusura delle frontiere esterne ed interne dell’Unione
che, come nella “crisi dei rifugiati”, perlomeno nella fase preliminare, non ha seguito un approccio
75
Sulla questione relativa alla cosiddetta crisi di Schengen v. tra gli altri S.C. COLOMBEAU, Crisis of Schengen? The effect
of two ‘migrant crises’ (2011 and 2015) on the free movement of people at an internal Schengen border, in Journal of Ethnic and Migration
Studies, n. 46/2020, pp. 2258-2274; B. WASSENBERG, The Schengen Crisis and the End of the “Myth” of Europe Without
Borders, in Borders in Globalization Review, vol. 1/2020, pp. 30-39.
76 V. Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) 2016/399 per quanto riguarda le
norme applicabili al ripristino temporaneo del controllo di frontiera alle frontiere interne, COM/2017/0571 final - 2017/0245 (COD).
A questa è seguita la Risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 4 aprile 2019 sulla proposta di regolamento del Parlamento
europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) 2016/399 per quanto riguarda le norme applicabili al ripristino temporaneo del
controllo di frontiera alle frontiere interne, COM/2017/0571 – C8-0326/2017 – 2017/0245 (COD), nella quale il Parlamento
ha adottato la sua posizione in prima lettura che può essere riassunta nella volontà di ridurre il periodo iniziale dei
controlli alle frontiere dai sei mesi attuali a due mesi e di limitare l'eventuale proroga a un periodo massimo di un anno,
invece che a due anni. Infine, si evidenzia che nel nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo del 23 settembre 2020 è stata
annunciata la creazione di un Forum di Schengen che riunirà membri del Parlamento europeo e i ministri degli affari
interni in incontri periodici col fine di promuovere una più stretta cooperazione operazionale per affrontare le sfide
odierne. Il 30 novembre la Commissione ha convocato il primo Forum Schengen, focalizzando la discussione su cinque
aspetti chiave: il miglioramento del meccanismo per valutare l’implementazione delle regole Schengen; trovare una
modalità per procedere alla revisione del Codice frontiere Schengen; una miglior gestione delle frontiere esterne
dell’Unione; dare uno stimolo per accrescere la cooperazione della polizia e lo scambio di informazioni; rafforzare la
governance nell’area Schengen. V. First Schengen Forum: Towards a stronger and more resilient Schengen area, comunicato stampa
del 30 novembre 2020, testo consultabile sul sito della Commissione europea.
77 Cfr. A. MANEGGIA A., Le “nuove” minacce al sistema Schengen in tempo di Covid-19 e il ruolo della Commissione Europea, in
dirittifondamentali.it, n. 3/2020, p. 198.
78 Cfr. M. TUOZZO, I percorsi migratori e la pandemia. Come cambiano le emergenze, in Dir. Imm. Citt., n. 3/2020, p. 62. Sul
ruolo centrale prevedibilmente assunto dai confini nella lotta alla pandemia, in quanto “potent symbols” di cui i governi
avrebbero usufruito negli ultimi anni come segnale di potere politico, cfr. D. THYM – J. BORNEMANN, Schengen and
free movement law during the first phase of the Covid-19 pandemic: of symbolism, law and politics, in European papers, vol. 5, n. 3/2020,
pp. 1144-1145.
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integrato. Questa condotta ha trovato fondamento nelle norme del Regolamento Schengen a cui gli Stati
membri hanno variamente fatto riferimento per legittimare le restrizioni alle frontiere, ricorrendo
dapprima alla procedura di urgenza ex art. 28 del Codice – dunque per periodi iniziali di dieci e quindici
giorni successivamente prorogati – e, in seguito, anche alla procedura “ordinaria” ex artt. 25-26, con
misure adottate per un periodo di un mese e reiterabili. La tendenza è sembrata, quindi, quella che i singoli
Stati si adoperassero per tutelare ciascuno i propri interessi anziché quelli dell’intero spazio Schengen 79,
incidendo inevitabilmente sulla libertà di movimento dei cittadini europei ed extra-europei in maniera
differenziata. Come è stato evidenziato da alcuni in dottrina, questo trend metterebbe in luce la “fragilità
costituzionale” dell’impianto che si pone alla base dell’idea di territorio europeo, il quale sarebbe, in effetti,
privo di una vera e propria “forza unificante” tra i Paesi membri80.
Poco dopo, d’altronde, le istituzioni europee pare si siano attivate per tentare di implementare azioni
coordinate in maniera più risoluta rispetto alla “crisi dei rifugiati”, seppur nei limiti consentiti dal TFUE
per la materia sanitaria che rimane, comunque, di competenza degli Stati81.
4.1. Contenimento della diffusione del coronavirus e gestione delle frontiere: le azioni attuate
dall’Unione Europea
Il primo provvedimento a livello europeo rispetto alla gestione delle frontiere è stato preso il 16 marzo
2020 dalla Commissione che ha adottato una comunicazione82 in cui si raccomandava di attivare una
misura senza precedenti per la storia dell’Unione83, giacché era anche la prima volta per il sistema
Schengen che una “minaccia grave per l'ordine pubblico o la sicurezza interna” fosse ravvisata nel rischio
Sul punto v. A. MANEGGIA A., Le “nuove” minacce, cit., p. 199.
Cfr. A.M. POGGI, Dove va l’Europa, cit., p. 445.
81 Difatti ai sensi dell’art. 6 TFUE le competenze dell’Unione nel settore della “tutela e miglioramento della salute
umana” sono limitate ad “azioni intese a sostenere, coordinare o complementare l’azione degli Stati membri”. Inoltre,
al Titolo XIV in materia di “sanità pubblica”, ai sensi dell’art. 168 TFUE, § 7 si stabilisce che “l’azione dell’Unione
rispetta le responsabilità degli Stati membri per la definizione della loro politica sanitaria e per l’organizzazione e la
fornitura di servizi sanitari e di assistenza medica. Le responsabilità degli Stati membri includono la gestione dei servizi
sanitari e dell’assistenza medica e l’assegnazione delle risorse loro destinate”. Per un approfondimento sulla competenza
dell’Unione europea in materia di salute pubblica e gli strumenti eurounitari per contrastare le catastrofi e le emergenze
a carattere transfrontaliero v. F. ROLANDO, La tutela della salute nel diritto dell’Unione europea e la risposta dell’UE
all’emergenza Covid-19, in Eurojus, n. speciale: L’emergenza sanitaria Covid-19 e il diritto dell’Unione europea. La crisi, la cura, le
prospettive, maggio 2020, pp. 3-8.
82 V. Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio. Covid-19: restrizione temporanea dei
viaggi non essenziali verso l'UE, (COM(2020) 115 final), 16 marzo 2020, p. 1. La misura è stata concordata il giorno dopo
dal Consiglio e da allora tutti gli Stati membri, ad eccezione dell’Irlanda e gli Stati associati Schengen, hanno adottato
decisioni nazionali in tal senso. La restrizione è stata, poi, prorogata due volte su invito della Commissione, esplicitato
rispettivamente nelle comunicazioni di follow-up COM(2020) 148 dell'8 aprile 2020 e COM(2020) 222 dell'8 maggio 2020.
83 Sulle possibili ripercussioni problematiche dei divieti di viaggi non essenziali e le chiusure dei confini sui cittadini
europei v. D. THYM, Travel Bans in Europe: A Legal Appraisal (Part I), in EU Migration Law blog, 18 marzo 2020.
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di contagio epidemico84. Si trattava, cioè, di applicare una restrizione temporanea coordinata, per la durata
di un mese, di tutti i viaggi non essenziali dai Paesi terzi verso la zona UE+ in quanto le frontiere esterne
dell'UE dovevano «fungere da perimetro di sicurezza per tutti gli Stati Schengen»85.
La Commissione ha, inoltre, accordato agli Stati la possibilità di rifiutare alle proprie frontiere l’ingresso
di cittadini di Paesi terzi non residenti «se presentano sintomi compatibili con il virus o se sono stati
particolarmente esposti al rischio di infezione e sono da considerarsi un rischio per la salute pubblica»86.
Per quanto riguarda il ripristino dei controlli alle frontiere interne, invece, la Commissione, riconosce
cautamente tale facoltà agli Stati nel caso in cui sia necessario «far fronte al rischio rappresentato da una
malattia contagiosa» e in conformità alle condizioni del Codice frontiere Schengen87. Al contempo, però,
nella medesima comunicazione di cui sopra, la Commissione esplicita che dette misure, se prese in
autonomia, oltre a non risultare efficaci, «rischiano di avere gravi ripercussioni sul funzionamento del
mercato unico, in quanto l'UE e lo spazio Schengen sono caratterizzati da un livello elevato di
integrazione, con milioni di persone che attraversano ogni giorno le frontiere interne»88. In effetti, i
controlli alle frontiere interne, oltre ad essere stati applicati a partire dall’11 marzo 2020 da alcuni Stati
limitrofi all’Italia, che è stato il primo Paese membro ad essere investito dal Covid-19, sono stati poi
notificati anche da molti altri ordinamenti89.
Nondimeno, l’asincronia tra i Paesi membri a questo riguardo è stata evidenziata anche nella Risoluzione
del Parlamento europeo del 17 aprile 2020 ove si recita che «finora la risposta dell'UE alla pandemia di
Si riporta che ai sensi dell’art. 2, § 21 del Codice frontiere Schengen la “minaccia per la salute pubblica” è definita
come “qualunque malattia con potenziale epidemico ai sensi del regolamento sanitario internazionale
dell’Organizzazione mondiale della sanità e altre malattie infettive o parassitarie contagiose che siano oggetto di
disposizioni di protezione applicabili ai cittadini degli Stati membri”.
85 Con “zona UE+” ci si riferisce a tutti gli Stati appartenenti all’area Schengen, compresi Bulgaria, Croazia, Cipro e
Romania, e i quattro paesi associati Schengen, nonché l’Irlanda e il Regno Unito qualora questi ultimi decidessero di
allinearsi.
86 V. Comunicazione della Commissione, Covid-19: Orientamenti relativi alle misure per la gestione delle frontiere destinate a tutelare la
salute e garantire la disponibilità di beni e servizi essenziali, 2020/C 86 I/01, 16 marzo 2020, punto 15
87 Orientamenti, 2020/C 86 I/01, punto 18. A questo riguardo cfr. M. BORRACCETTI, La gestione delle frontiere ai tempi del
coronavirus, in Quad. cost., n. 2/2020, p. 433 e ss., il quale si interroga rispetto alla legittimità dei provvedimenti restrittivi
della libera circolazione con il fine di contrastare minacce alla salute pubblica nel contesto pandemico, poiché, seppur la
tutela della sanità rientrerebbe tra le motivazioni adducibili per il rispristino dei controlli alle frontiere interne, in questi
casi il Regolamento Schengen non prevedrebbe una procedura ad hoc.
88 COM(2020) 115 final, p. 2.
89 Prima che venisse pubblicata la comunicazione della Commissione del 16 marzo 2020, Austria e Svizzera hanno
annunciato i controlli alle frontiere con l’Italia, rispettivamente dall’11 marzo 2020 e dal 13 marzo 2020 (inizialmente
per la durata di 10 giorni poi prorogati), a cui si sono aggiunti numerosi Paesi membri, tra cui: Ungheria per le frontiere
al confine con Austria e Slovenia; Repubblica Ceca per le frontiere al confine con Austria e Germania; Danimarca per
le frontiere al confine con la Svezia; Polonia per le frontiere al confine con Repubblica Ceca, Slovacchia, Germania e
Lituania; Lituania per tutte le sue frontiere interne. Per informazioni esaustive in merito, v. Full list of Member States'
notifications of the temporary reintroduction of border control at internal borders pursuant to Article 25 et seq. of the Schengen Borders Code,
testo consultabile sul sito della Commissione europea.
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Covid-19 è stata caratterizzata da una mancanza di coordinamento tra gli Stati membri in termini di
misure di sanità pubblica, in particolare per quanto riguarda le restrizioni imposte alla circolazione delle
persone a livello nazionale e transfrontaliero e la sospensione di altri diritti e norme»90.
Le istituzioni europee, allora, in una seconda fase, facendo leva sul fatto che la necessaria riapertura delle
frontiere esterne dovesse avvenire gradualmente e in maniera concertata, hanno sostenuto che questo
sarebbe stato possibile solo se prima fosse ripristinato lo spazio di libera circolazione interna91. A tal fine,
il 15 aprile 2020 la presidente della Commissione europea e il presidente del Consiglio europeo hanno
presentato la “Tabella di marcia comune europea” (la cosiddetta Roadmap), la quale prevedeva, appunto,
che dapprima vi fosse la revoca progressiva dei controlli alle frontiere interne sulla base di un approccio
condiviso e, in secondo luogo, la riapertura delle frontiere esterne dell’UE92.
Successivamente, il 13 maggio 2020, la Commissione ha divulgato una comunicazione93 nella quale si
precisa l’iter e il meccanismo di coordinamento del processo di revoca di restrizioni e controlli alle
frontiere interne e, soprattutto, i parametri che dovrebbero guidarlo, basati sulla considerazione della
situazione epidemiologica in tutta Europa e in ciascuno Stato membro, rimarcando che «tale base
obiettiva è fondamentale per garantire che le restrizioni siano eliminate in modo non discriminatorio». Al
momento in cui si scrive, d’altra parte, la situazione sembra essersi solo in parte ridimensionata e i
controlli alle frontiere interne Schengen nel quadro dell’emergenza Covid-19 risultano istituiti
temporaneamente ancora da Ungheria, Austria, Francia, Islanda, Finlandia, Norvegia e Danimarca94.
Il Consiglio il 30 giugno 2020 ha, poi, adottato una raccomandazione95 nella quale sollecita la revoca
graduale della restrizione temporanea dei viaggi non essenziali verso l'UE, invitando gli Stati membri a
valutare per quali Paesi terzi abolire tale misura sulla base dei criteri comuni contenuti nella
comunicazione della Commissione dell’11 giugno 202096.
90
V. Risoluzione del Parlamento europeo del 17 aprile 2020 sull'azione coordinata dell'UE per lottare contro la pandemia di Covid-19 e
le sue conseguenze (2020/2616(RSP)), P9_TA(2020)0054, considerando E), 17 aprile 2020.
91 Cfr. A. MANEGGIA A., Le “nuove” minacce, cit., pp. 204-2015.
92 V. Tabella di marcia comune europea verso la revoca delle misure di contenimento della Covid-19, 15 aprile 2020, pp. 12-13, testo
consultabile sul sito della Commissione europea.
93 V. Comunicazione della Commissione, Covid-19: verso un approccio graduale e coordinato per il ripristino della libera circolazione e la
revoca dei controlli alle frontiere interne, C(2020) 3250 final, 13 maggio 2020, par. III, p. 3.
94 Si riporta che lo Stato danese ha istituito restrizioni a tutti i suoi confini per un periodo maggiormente prolungato
rispetto agli altri Stati di cui sopra, ossia fino all’11 maggio 2021, ma prevede di revocarle non appena le condizioni
pandemiche lo consentiranno. Le misure di reintroduzione dei controlli alle frontiere interne a causa del Covid-19 sono
consultabili sul sito della Commissione europea.
95 V. Raccomandazione (UE) 2020/912 del Consiglio del 30 giugno 2020 relativa alla restrizione temporanea dei viaggi non essenziali
verso l’UE e all’eventuale revoca di tale restrizione, L 208 I/1, 1° luglio 2020.
96 V. Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio. Terza valutazione dell'applicazione
della restrizione temporanea dei viaggi non essenziali verso l'UE, COM(2020) 399 final, 11 giugno 2020.
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In considerazione del quadro descritto, può essere rilevato che la chiusura delle frontiere esterne ha inciso
in modo più severo su alcuni gruppi di migranti maggiormente vulnerabili, come i richiedenti asilo. Difatti,
sebbene la Commissione avesse chiarito già in una comunicazione del 30 marzo 2020 che le restrizioni
alle frontiere esterne dell’UE non dovessero tangere quantomeno quel “servizio minimo” riservato al
trattamento delle domande di visto presentate da specifiche categorie di richiedenti97, alcuni Stati membri
hanno agito indipendentemente riducendo le garanzie a loro favore. Più nel dettaglio, certi Paesi – come
Francia, Italia e Grecia – hanno sospeso parzialmente o interamente le procedure di riconoscimento
dell’asilo98, impedendo l’ingresso sul loro territorio o disponendo il confinamento in centri di accoglienza
di vario genere, inducendo, così la Commissione il 17 aprile 2020 a pubblicare nuove linee guida99. Italia
e Malta, altresì, hanno dichiarato i propri porti non sicuri per lo sbarco di immigrati, mentre la Grecia ha
chiuso le frontiere con la Turchia operando respingimenti di massa per mezzo delle forze armate e ha
sospeso per due mesi l’esame delle domande di asilo, oltre ad attivare un processo di modifica della
legislazione in materia in senso più restrittivo100.
4.2. Le misure adottate dall’Italia per le politiche migratorie al tempo della pandemia
Si intende ora focalizzarsi sugli interventi elaborati dall’Italia durante la crisi pandemica per la gestione
del fenomeno migratorio. Specificatamente, a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza deciso
97
V. Comunicazione della Commissione, Covid-19: linee guida concernenti l'attuazione della restrizione temporanea dei viaggi non essenziali
verso l'UE, la facilitazione delle modalità di transito per il rimpatrio dei cittadini dell'UE e gli effetti sulla politica in materia di visti,
2020/C 102 I/02, 30 marzo 2020.
98 Cfr. C. CORSI, Migranti e immigrati di fonte all’emergenza coronavirus: tra vecchie e nuove fragilità, in Dir. pubbl., n. 3/2020, pp.
903-905. L’Autrice sottolinea come l’impossibilità di presentare domanda di protezione internazionale abbia inciso anche
sull’opportunità per gli stranieri di non essere destinatari di un provvedimento espulsivo, così come sulla loro facoltà di
accedere alle misure di accoglienza previste per i richiedenti asilo.
99 V. Comunicazione della Commissione, Covid-190: linee guida sull'attuazione delle disposizioni dell'UE nel settore delle procedure di
asilo e di rimpatrio e sul reinsediamento, 2020/C 126/02, 17 aprile 2020, ove alla sezione 1.1. sulle procedure di asilo, in
particolare, si afferma che «l’articolo 6, paragrafo 5, della direttiva procedure consente agli Stati membri di prorogare il
termine per la registrazione delle domande di dieci giorni lavorativi qualora le domande simultanee da parte di un numero
elevato di cittadini di paesi terzi o apolidi rendano molto difficile all'atto pratico il suo rispetto. Considerato che la
normativa vigente non prevede le circostanze specifiche risultanti da una pandemia, gli Stati membri dovrebbero poter
applicare tale norma derogatoria per un periodo limitato quando le loro autorità nazionali trovano molto difficile all'atto
pratico rispettare il termine di tre o sei giorni per la registrazione in seguito alla situazione della Covid-19, che potrebbe
avere un impatto analogo, alla luce dell'obiettivo generale della normativa e degli interessi in gioco, a quello di una
difficoltà derivante da un numero elevato di domande simultanee. In ogni caso, qualsiasi ulteriore ritardo nella
registrazione delle domande non dovrebbe incidere sui diritti dei richiedenti a norma della direttiva accoglienza, che si
applicano a partire dalla presentazione della domanda».
100 Sul punto cfr. G. MORGESE, Solidarietà di fatto ... e di diritto? L’Unione europea allo specchio della crisi pandemica, in Eurojus,
n. speciale: L’emergenza sanitaria Covid-19 e il diritto dell’Unione europea. La crisi, la cura, le prospettive, maggio 2020, pp. 97-99.
V. anche M. TUOZZO, I percorsi, cit., p. 61, la quale fa notare come il riconoscimento da parte della Commissione agli
Stati della facoltà di non ammettere alle proprie frontiere cittadini di Paesi terzi che presentano sintomi compatibili con
il virus o che sono stati particolarmente esposti al rischio di infezione e rappresentano un rischio per la salute pubblica
((2020/C 86 I/01), punto 15), avrebbe avuto come ripercussione negativa quella di ridurre la portata di alcune tutele
fondamentali spettanti ai richiedenti asilo.
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dal Consiglio dei ministri n. 27 del 31 gennaio 2020, sono due le misure che risultano di maggiore interesse
per quanto concerne le potenziali ripercussioni della chiusura dei confini e del restringimento della libertà
di movimento sui diritti dei migranti e dei richiedenti asilo.
La prima si riferisce al decreto interministeriale del 7 aprile 2020, n. 50, il quale all’art. 1 dispone che “per
l’intero periodo di durata dell’emergenza sanitaria nazionale derivante dalla diffusione del virus Covid19, i porti italiani non assicurano i necessari requisiti per la classificazione e definizione di Place of Safety
(POS, “luogo sicuro”), in virtù di quanto previsto dalla Convenzione di Amburgo, sulla ricerca e
salvataggio marittimo, per i casi di soccorso effettuati da parte di unità navali battenti bandiera straniera
al di fuori dell’area SAR italiana”101. La principale motivazione della misura consta la salvaguardia della
“funzionalità delle strutture nazionali sanitarie, logistiche e di sicurezza dedicate al contenimento della
diffusione del contagio e di assistenza e cura ai pazienti Covid-19”102. A questo, presumibilmente, si
aggiunge l’intenzione di “responsabilizzare” lo Stato di bandiera delle navi che effettuano il salvataggio,
poiché, effettivamente, in più di un’occasione, è accaduto che il Paese di volta in volta coinvolto non
abbia osservato pienamente gli obblighi internazionali a cui avrebbe dovuto rispondere103.
Invero, il decreto interministeriale sembra perseguire il percorso tracciato dal c.d. d.l. sicurezza-bis104 che
ai sensi dell’art. 1 aggiunge ai poteri di coordinamento del Ministro dell’Interno la facoltà di emanare
provvedimenti che possano legittimarlo a chiudere i porti (ad eccezione dei navigli militari) “per motivi
di ordine e sicurezza pubblica” o nel caso di “passaggio non inoffensivo” di una nave ai sensi dell’art. 19,
§ 2, lett. g della Convenzione UNCLOS, di concerto con il Ministro della difesa e il Ministro delle
L’adozione del provvedimento sembra rinvenibile nella richiesta della nave “Alan Kurdi”, battente bandiera tedesca,
di poter sbarcare 150 migranti soccorsi il 6 aprile 2020 nell’area Sar libica presso il porto italiano di Lampedusa,
individuato come “luogo sicuro” più vicino a seguito dell’operazione di salvataggio.
102 Vengono evidenziate perplessità in ordine alle ragioni della chiusura dei porti del decreto per quanto concerne
soprattutto il principio di non respingimento, ad esempio, da S. NICOLOSI, Non-refoulement During a Health Emergency,
in Ejil: Talk!, 14 maggio 2020; C. CORSI, Migranti, cit., pp. 923-924.
103 Sul punto v. F. MUNARI, Il decreto interministeriale per gestire l’emergenza covid-19 nell’ambito degli obblighi dell’Italia ai sensi
della convenzione Sar: l’insostenibile “intermittenza” del luogo sicuro per i migranti diretti verso l’Italia, in Sidi Blog, 16 aprile 2020. Ci
si riferisce, ad esempio, ai contesi casi di sbarchi di migranti che hanno coinvolto le navi Lifeline e Sea Watch 3, entrambe
battenti bandiera olandese e di proprietà di ONG tedesche, avvenuti dopo diversi giorni di attesa in acque internazionali,
rispettivamente a giugno 2018 e giugno 2019. In tali circostanze, infatti, le autorità governative olandesi, sebbene in base
al diritto internazionale non dovessero accogliere i migranti nel proprio territorio, risultavano, però, tenute ad obbligare
il comandante della nave che batteva la propria bandiera a prestare soccorso alle persone in pericolo di vita ai sensi
dell’art. 98, § 1 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (infra, § 4.2., nt. 122). Tuttavia, il governo
olandese non si è mostrato particolarmente interessato circa la ricerca di un porto sicuro in cui si potesse concludere
l’operazione di salvataggio dei naufraghi, sottovalutando così le problematiche di carattere umanitario soggiacenti in tali
vicende. Su questi aspetti v. I. PAPANICOLOPULU, Immigrazione irregolare via mare, tutela della vita umana e organizzazioni
non governative, in Dir. Imm. Citt., n. 3/2017, pp. 9-11; P. DE SENA – M. STARITA, Navigare tra istante “Stato-centriche” e
“cosmopolitiche”: il caso “Sea-Watch” in una prospettiva conflittuale, in Sidi Blog, 14 luglio 2019.
104 Cfr. A. M. PELLICONI – M. GOLDONI, La banalità dei porti chiusi per decreto. Osservazioni sui profili di legittimità del
decreto interministeriale 150/2020, in Dir. Imm. Citt., n. 2/2020, p. 2020.
101
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infrastrutture e dei trasporti105. Tra gli aspetti maggiormente problematici del decreto interministeriale è
stata evidenziata la mancanza di proporzionalità e temporaneità106, attuata, per di più, per mezzo di un
atto amministrativo di rango secondario107.
Relativamente al profilo della proporzionalità ci si riferisce soprattutto al rischio che il decreto, nel
tentativo di evitare che gli arrivi dei migranti soccorsi in mare rechino danno alla sicurezza e alla salute
collettiva, possa ledere alcuni importanti obblighi di diritto internazionale e principi di diritto
costituzionale. Per quanto concerne i primi ci riferisce al già menzionato obbligo di non respingimento
proclamato dall’art. 33 della convenzione di Ginevra e divieto di espulsioni collettive degli stranieri
previsto ai sensi dell’art. 4 del Protocollo 4 della Cedu108, recepiti entrambi dal diritto euronitario109; sul
piano interno, si intende specialmente il diritto di asilo ex art. 10, comma 3 Cost. e il diritto alla salute che
è l’unico ad essere esplicitamente definito come “fondamentale” in Costituzione ed è esteso a tutti gli
individui, perlomeno nel suo “nucleo essenziale”, ai sensi dell’art. 32 Cost.110.
Rispetto al criterio della temporaneità, invece, è stato rimarcato in dottrina come la scelta di estendere la
chiusura dei porti per l’intera durata della pandemia potrebbe rivelarsi in contrasto con l’approccio
“casistico” che dovrebbe orientare la ricerca di un “porto sicuro” nelle operazioni di salvataggio111 e con
Sul “decreto sicurezza-bis”, cfr. A. NATALE, A proposito del decreto sicurezza-bis, in Questione Giustizia, 20 giugno 2019;
S. CALABRIA, I respingimenti in mare dopo il cd. decreto sicurezza-bis (ed in particolare alla luce del comma 1-ter dell’art. 11 del d.lgs.
n. 286, 1998), in Questione giustizia, 29 luglio 2019; S. ZIRULIA, Decreto sicurezza-bis: una riforma è urgente (benché l’arma sia
ormai spuntata), in ADiM Blog. Analisi & Opinioni, febbraio 2020. Si segnala, comunque, che con il d.l. n. 130/2020 la
disposizione è stata solo parzialmente modificata, con risultati applicativi non grandemente dissimili dal quadro
normativo precedente. Per un’analisi preliminare della riforma cfr. F. VENTURI, La gattopardesca riforma della disciplina
delle operazioni di soccorso in mare ad opera dell’art. 1, comma 2, del d.l. n. 130/2020, in Forum quad. cost., n. 1/2021, pp. 87-110.
106 Sul punto cfr. M. TUOZZO, I percorsi, cit., pp. 63-68.
107 Cfr. A. M. PELLICONI – M. GOLDONI, La banalità, cit. pp. 221-222. Nel saggio, peraltro, vengono esposte
perplessità in merito alle ragioni contenute nel decreto interministeriale a giustificazione della previsione sui “porti
chiusi”. Sul punto si rimanda anche a F. P. MODUGNO, A volte ritornano (i porti chiusi): la Cassazione sul caso Sea Watch
alla prova del Covid-19, in Giurisprudenza penale web, n. 4/2020, p. 30.
108 Si riporta, tra l’altro, che sull’applicabilità del principio di non-refoulement alle frontiere marittime si è espressa la Corte
Edu nel noto caso Hirsi Jamaa e altri c. Italia [GC], 23 febbraio 2012, n. 27765/09, stabilendo che questo deve essere
osservato anche in condizioni di pressione migratoria, in qualsiasi area in cui lo Stato esercita la propria giurisdizione,
incluse le aree marittime, come il mare territoriale, la zona contigua e l’alto mare nel corso di operazioni di salvataggio,
nei casi in cui vi sia il rischio concreto che i migranti, se respinti, possano subire trattamenti inumani e degradanti e
espulsioni collettive. Deve essere rilevato, infine, che ai sensi dell’art. 2, comma 1 del Testo Unico sull’Immigrazione
(t.u.i., d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286) “allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono
riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni
internazionali in vigore e dai princìpi di diritto internazionale generalmente riconosciuti”.
109Supra, §1, nt. 19.
110 Sul punto, A. M. PELLICONI – M. GOLDONI, La banalità, op. cit., p. 221. Gli Autori, in particolare, evidenziano
le criticità concrete nel poter assicurare a lungo termine gli aspetti fondamentali del diritto alla salute ai migranti nel caso
in cui essi vengano trasferiti dalla nave che ha operato il salvataggio ad una nuova imbarcazione.
111 Su questo aspetto cfr. P. BONETTI, Gli effetti giuridici della pandemia del Coronavirus sulla condizione degli stranieri, in
federalismi.it – Osservatorio emergenza Covid-19, 20 maggio 2020, p. 10, il quale sottolinea come il decreto, presupponendo
che tutti i porti italiani non rispettino i necessari requisiti per la classificazione e definizione di POS fino alla fine
dell’emergenza nazionale, sia in contrasto con la nozione di “porto sicuro” che dovrebbe essere interpretata, invece, in
105
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il presupposto, emerso anche in sede europea, di poter stabilire restrizioni alle frontiere sulla base di un
monitoraggio costante della crisi epidemiologica, soggetta ad andamenti interni mutevoli più o meno
gravi112.
Ad ogni modo, bisogna dare conto che, in senso contrario, il TAR Lazio, respingendo una richiesta
cautelare urgente presentata dall’Arci Roma, ha deciso che il provvedimento interministeriale del 7 aprile
2020 «non può essere sospeso […] dovendosi escludere, in considerazione di un bilanciamento degli
interessi contrapposti tipico della fase cautelare, che sussistano i requisiti di estrema gravità ed urgenza,
poiché l’atto impugnato è motivato mediante argomentazioni non implausibili circa l’attuale situazione di
emergenza da Covid-19, e la conseguente impossibilità di fornire un “luogo sicuro”, senza
compromettere la funzionalità delle strutture nazionali sanitarie, logistiche e di sicurezza dedicate al
contenimento della diffusione del contagio e di assistenza e cura ai pazienti Covid-19»113. Viene comunque
ribadito dai magistrati «l’obbligo di garantire assistenza sanitaria e socio-assistenziale alle persone
eventualmente soccorse in mare assicurando l’assenza di minaccia per le loro vite, il soddisfacimento delle
necessità primarie e l’accesso a servizi fondamentali sotto il profilo sanitario, logistico e trasportistico».
Sebbene vi sia chi evidenzia che il decreto interministeriale nella sostanza porrebbe a rischio altri diritti
parimenti inderogabili, quali quelli di presentare domanda di asilo, di non essere respinti verso situazioni
di pericolo e di essere sbarcati in un porto sicuro dopo il salvataggio in mare114.
Il secondo provvedimento che integra e, in qualche modo, “sana” quello appena illustrato consiste nel
decreto del Capo Dipartimento della Protezione Civile n. 1287 del 12 aprile 2020115, il quale all’art. 1
individua nel Ministero dell’Interno un “soggetto attuatore” che deve assicurare il rispetto delle misure
di isolamento fiduciario e di quarantena adottate per contrastare la diffusione epidemiologica da Covid19. Prevede, segnatamente, che il “soggetto attuatore”, nel rispetto dei protocolli condivisi con il
Ministero della salute, possa fare ricorso alle “navi quarantena” per lo svolgimento del periodo di
sorveglianza sanitaria delle persone soccorse in mare da parte di unità navali battenti bandiera straniera
al di fuori dell’area Search And Rescue (SAR) italiana e per le quali non è possibile indicare il POS,
avvalendosi della Croce Rossa Italiana quale struttura operativa del Servizio nazionale. In attuazione del
senso flessibile nella dimensione sia temporale che spaziale e sulla base delle condizioni del caso concreto.
Analogamente, cfr. F. P. MODUGNO, A volte ritornano, cit., pp. 30-31.
112 V. C(2020) 3250 final, 13 maggio 2020, par. III, pp. 4-6.
113 TAR Lazio, sez. III, 22 aprile 2020, d. n. 3066. Si rileva che il TAR Lazio, sez. III, ha poi confermato il suo
orientamento nell’ord. 20 maggio 2020, n. 02855.
114 Sulle suddette decisioni del TAR Lazio cfr. A. M. PELLICONI – M. GOLDONI, La banalità, p. 231.
115 Cfr. P. BONETTI, Gli effetti, cit., p. 10, il quale, pur ritenendo che la soluzione delle “navi quarantena” possa
rappresentare un punto di equilibrio accettabile tra le diverse esigenze in gioco, non trascura di rappresentare alcune
criticità legate a questa misura.
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decreto del Capo della Protezione Civile, il Ministero dell’Interno e il Ministero delle Infrastrutture e
Trasporto hanno, quindi, siglato dei contratti di noleggio con compagnie private116.
In merito a questa procedura, anzitutto, si è tornato a discutere del concetto di POS, giacché l’accesso ad
esso sembra inevitabilmente posticipato alla luce del trasferimento dei migranti dalla nave che effettua il
salvataggio ad una nuova imbarcazione dove svolgere la sorveglianza sanitaria. Benché sulle modalità
della sua individuazione il regime internazionale non fornisca indicazioni inequivocabili, sulla base delle
linee guida adottate dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM)117 e condivise dall’Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (United Nations High Commissioner for Refugees,
UNHCR)118 si ricava perlomeno che l’imbarcazione di salvataggio non può considerarsi, se non
temporaneamente, un “luogo sicuro”. Conseguentemente, il “porto sicuro” necessita di essere
identificato con la terraferma, ossia un luogo dove “la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non è più
minacciata; le necessità umane primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte;
e può essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale”119.
Questo orientamento è stato accolto recentemente dalla Cassazione120 sul caso della nave “Sea Watch 3”,
battente bandiera olandese e appartenente alla omonima ong tedesca. In breve, si fa presente che a giugno
2019 la comandante dell’imbarcazione decideva di approdare nel porto di Lampedusa in ragione del
peggioramento delle condizioni psico-fisiche dei naufraghi presenti a bordo, urtando una motonave della
Guardia di Finanza durante le manovre di ormeggio. Ciò avveniva, peraltro, dopo che le autorità italiane
avevano prestato assistenza ai soggetti maggiormente vulnerabili, ma vietavano l’ingresso della nave nel
mare territoriale con un provvedimento interministeriale formalizzato ai sensi del d.l. n. 53/2019, entrato
in vigore poco prima. La comandante veniva, allora, arrestata in flagranza per i reati di resistenza o
violenza contro nave da guerra (art. 1100 c. nav.) e di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) e,
separatamente, le si contestava il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ai sensi dell’art.
12 t.u.i. e la violazione del divieto di ingresso in acque nazionali121. Ciononostante la Suprema Corte ha
Il primo traghetto impiegato è stato il “Raffaele Rubattino”, ad un miglio al largo del porto di Palermo, su cui sono
stati trasferiti i naufraghi soccorsi dalla nave “Alan Kurdi” il 17 aprile 2020 (supra, § 3, nt. 101) e dalla nave “Aita Mari”
il 19 aprile 2020. Successivamente, è stata noleggiata l’imbarcazione “Moby Zazà” e attualmente ve ne sono cinque attive
(“Adriatico”, “Allegra”, “Azzurra”, “Rhapsody”, “Suprema”) ormeggiate in diversi porti siciliani.
117 V. OIM, Resolution MSC.167(78), Guidelines on the Treatment of Persons Rescued At Sea, 20 May 2004, § 6.13, p. 8, testo
consultabile sul sito di refworld.
118 V. UNHCR, Rescue at Sea. A guide to Principles and Practice as Applied to Refugees and Migrants, 2015, p. 13, testo consultabile
sul sito di refworld.
119 OIM, Resolution MSC.167(78), cit., § 6.12, p. 8.
120 V. Cass., sez. III pen., 20 febbraio 2020, n. 6626.
121 Per una ricostruzione più dettagliata e un’analisi maggiormente approfondita della vicenda della nave “Sea Watch 3”,
cfr. C. DI STASIO, Crisi migratoria e “porti chiusi”: ancora un vulnus ai diritti umani dei migranti, in dirittifondamentali.it, n.
2/2019, pp. 6-12; F. P. MODUGNO, A volte ritornano, cit., pp. 4-10; C. RUGGIERO, Dalla criminalizzazione alla
116
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giudicato illegittimo l’arresto della comandante, rigettando il ricorso del p.m. avverso l’ordinanza del g.i.p.
di Agrigento che ne aveva respinto la convalida, affermando che il “dovere di soccorso” 122 è da ritenersi
scriminato ex art. 51 c.p.123. Tale dovere, secondo i giudici, copre l’intera operazione di salvataggio dei
naufraghi, la quale non può dirsi conclusa con il loro trasbordo su una nave e permanenza su di essa, ma
solo al momento dello sbarco dei migranti soccorsi in un “porto sicuro”, inteso nella definizione delle
sopradette linee guida dell’OIM. Viene, così, puntualizzato dalla Cassazione che tali requisiti non sono
rispettati da «una nave in mare che, oltre ad essere in balia degli eventi metereologici avversi, non consente
il rispetto dei diritti fondamentali delle persone soccorse»124. In aggiunta, nella pronuncia viene tracciata
una stretta connessione tra lo sbarco dei naufraghi a terra e l’effettivo esercizio del diritto di asilo 125. I
giudici specificano, difatti, che «tali persone hanno diritto a presentare domanda di protezione
internazionale secondo la Convenzione di Ginevra del 1951, operazione che non può certo essere
effettuata sulla nave»126. Non sono mancati in dottrina, però, coloro che si sono interrogati criticamente
prima sulla decisione del g.i.p. di Agrigento127 e, poi, su quella della Suprema Corte che conferma il
ragionamento di quest’ultimo, specialmente rispetto alla possibilità che un simile precedente giudiziario,
nei termini in cui è stato esposto, sia impiegato in episodi analoghi128. Si sottolinea, in particolare, la
necessità di valutare la scriminante in concreto, rendendo conto dell’effettivo bilanciamento degli interessi
in gioco caso per caso, dal momento che una presunzione astratta della condizione di pericolo, la quale è
però direttamente associata dalle stesse convenzioni internazionali in materia al dovere di soccorso,
giustificazione delle attività di ricerca e soccorso in mare. Le tendenze interpretative più recenti alla luce dei casi Vos Thalassa e Rackete,
in Dir. Imm. Citt., n. 1/2020, pp. 196-214.
122 Si evidenzia che il “dovere di soccorso” è riconosciuto sia nel diritto internazionale consuetudinario, sia da diverse
convenzioni, quali: l’art. 98, § 1, della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Convenzione UNCLOS),
adottata il 10 dicembre 1982 a Montego Bay (UNTS vol. 1833, p. 3) e resa esecutiva in Italia dalla legge n. 689/1994; la
Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare (Convenzione SOLAS) che è stata stipulata a Londra il
1° novembre 1974 (UNTS vol. 1184, p. 2) e resa esecutiva in Italia con legge n. 313/1980; la Convenzione internazionale
sulla ricerca e il salvataggio marittimo (Convenzione SAR) che è stata adottata ad Amburgo il 27 aprile 1979 (UNTS vol.
1405) e resa esecutiva in Italia con legge n. 47/1989; la Convenzione internazionale sul salvataggio (Convenzione Salvage)
che è stata adottata a Londra il 28 aprile 1989 (UNTS vol. 1953) e resa esecutiva in Italia con legge n. 129/1995. Sul
tema si rinvia, tra gli altri, a S. TREVISANUT, Search and Rescue Operations in the Mediterranean: Factor of Cooperation or
Conflict?, in The International Journal of Marine and Coastal Law, 25, 2010, p. 523 ss.; M. STARITA, Il dovere di soccorso in mare
e il “diritto di obbedire al diritto” (internazionale) del comandante della nave privata, in Diritti umani e dir. int., 1, 2019, pp. 5-47.
123 Sulla sentenza in esame cfr. S. ZIRULIA, La Cassazione sul caso Sea Watch: le motivazioni sull’illegittimità dell’arresto di
Carola Rackete, in Sistema Penale, 24 febbraio 2020; F. P. MODUGNO, A volte ritornano, cit., p. 10 e ss.
124 Cass., sez. III pen., 20 febbraio 2020, n. 6626, p. 12.
125 Cfr. R. BIN, Il “caso Rackete”: una sentenza importante della Cassazione, in laCostituzione.info, 1° marzo 2020; M. TUOZZO,
I percorsi, cit., p. 78.
126 Cass., sez. III pen., 20 febbraio 2020, n. 6626, p. 12
127 Cfr. L. MELICA, Riflessioni sul caso SeaWatch: adempimento di un dovere e valutazioni opinabili del giudice, in laCostituzione.info,
8 luglio 2019.
128 Cfr. F. PARISI, La decisione della Cassazione sul caso Carola Rackete: note a margine, in Il foro it., fasc. 5, 2020, pp. 313-316.
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risulterebbe illegittima poiché in contrasto con le norme del codice penale italiano129. Ulteriori riserve
sono state formulate anche circa il “diritto-dovere” del comandante della nave di condurre sulla
terraferma le persone soccorse come evidenziato dai giudici, giacché nel diritto internazionale, ad ogni
modo, non si individua chiaramente l’obbligo in capo agli Stati di autorizzare lo sbarco entro il proprio
territorio130, fuorché non siano dimostrabili lesioni all’incolumità personale dei naufraghi o sia ravvisabile
per gli individui a bordo il pericolo di essere respinti in Paesi in cui si perpetuano gravi violazioni dei
diritti fondamentali131.
In considerazione di tale vicenda, l’uso delle “navi quarantena” impiegate per lo svolgimento del periodo
di sorveglianza sanitaria, da una parte, pare abbia la ratio di contenere il fenomeno migratorio per
salvaguardare la tenuta del sistema sanitario. Dall’altra, tuttavia, tale strumento pone dubbi di legittimità
sia circa la fonte di diritto utilizzata132, sia, perlomeno, relativamente alle modalità di permanenza previste
su tali imbarcazioni. Occorre riflettere, dunque, se queste navi consentano realmente di offrire ai migranti
un’adeguata assistenza medica e socio-assistenziale durante l’isolamento sanitario133, oltre a poter
129 Cfr. L. MELICA, Riflessioni, cit. L’Autore, peraltro, vaglia la ratio delle convenzioni richiamate (supra, § 4.2., nt. 121),
sottolineando che queste sono state emanate in un periodo storico che non era investito dalla questione delle migrazioni
di massa e il cui scopo originario si riferiva, in realtà, all’eventualità molto più infrequente di dover prestare soccorso a
coloro che avevano incontrato difficoltà nella navigazione, ma non propriamente a migranti che desideravano stanziarsi
nel territorio di un altro Stato.
130 Cfr. F. PARISI, La decisione, cit., p. 314.
131 In tal senso, si rinvia a R. FONTI – V. VALENTINI, Il caso Sea Watch 3 e il gioco delle tre carte: una decisione che non si
condivide (proprio perché la si comprende), in Archivio pen., n. 1/2020, p. 9 e ss. La questione, inoltre, potrebbe essere ampliata
facendo riferimento alla questione della sindacabilità dell’atto politico, il quale, nel caso di merito, consisterebbe nel
suddetto provvedimento interministeriale di “divieto di ingresso, transito e sosta della nave” in attuazione del c.d. decreto
sicurezza-bis. A questo proposito, ex multis, cfr. P. BARILE, Atto di governo (e atto politico), in Enc. Dir., Giuffrè, Milano,
1959, vol. 4., p. 220 e ss.; E. CHELI, Atto politico e funzione di indirizzo politico, Giuffrè, Milano, 1961; F. CORVAJA, Il
sindacato giurisdizionale sugli atti politici, in P. BONETTI – A. CASSATELLA, F. CORTESE – A. DEFFENU – A.
GUAZZAROTTI (a cura di), Giudice amministrativo e diritti costituzionali, Giappichelli, Torino, 2012, p. 74 e ss.; A. FONZI,
Il ruolo della Corte Costituzionale fra discrezionalità politica e tutela dei diritti fondamentali. La "vexata quaestio" della sindacabilità delle
decisioni politiche, in dirittifondamentali.it, 2020, fasc. 2, p. 835 e ss.
132 Deve essere specificato, infatti, che la restrizione di tali diritti è avvenuta con provvedimento amministrativo, sia pure
sulla base della fonte primaria rappresentata dal d.l. A tale proposito, si segnala che lo stesso decreto interministeriale
del 7 aprile 2020 ha richiamato il d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, recante “Misure urgenti in materia di contenimento e
gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”, conv. con mod. dalla l. 5 marzo 2020, n. 13 e il d.l. 25 marzo
2020, n. 19, recante “Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19”. Per una riflessione
critica sull’uso reiterato di provvedimenti governativi di rango secondario durante la crisi pandemica cfr., tra gli altri,
G.L. GATTA, I diritti fondamentali alla prova del coronavirus. Perché è necessaria una legge sulla quarantena, in Consulta online,
1/2020, 6 aprile 2020, p. 202 e ss.; CIVININI M.G. – SCARSELLI G., Emergenza sanitaria. Dubbi di costituzionalità di un
giudice e di un avvocato, in Questione giustizia, 14 aprile 2020.
133 Per un approfondimento su alcuni aspetti problematici delle “navi quarantena” si rimanda al documento sottoscritto
da circa 150 associazioni ed enti intitolato Criticità del sistema navi-quarantena per persone migranti: analisi e richieste, 10 dicembre
2020, testo consultabile sul sito di meltingpot. Nel documento si riportano, tra l’altro, gli episodi di due minori migranti
deceduti in ospedali siciliani dopo i periodi di quarantena per malesseri aggravatesi a bordo delle navi governative. Le
vicende si riferiscono, in particolare, ad uno straniero proveniente dalla Somalia morto il 15 settembre 2020 e a quello
di un migrante originario della Costa d’Avorio morto il 5 ottobre 2020 su cui la procura di Palermo ha aperto
un’inchiesta.
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garantire loro una esaustiva informazione tramite l’ausilio di mediatori culturali circa i propri diritti e la
possibilità di chiedere asilo dopo il termine della quarantena134. Questi, del resto, si qualificano come
diritti degli individui e doveri dello Stato che non potrebbero essere circoscritti da decreti dell’esecutivo,
ma tutt’al più, solo parzialmente dalla legge formale, la quale incontra, comunque, dei limiti imposti dai
principi fondamentali dell’ordinamento interno e sovranazionale che devono essere osservati anche in
condizioni emergenziali135.
In questa prospettiva, il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, ha
inizialmente espresso alcune preoccupazioni rispetto a questa forma di contenimento136, ravvisando che
«la realizzazione delle misure di quarantena in luoghi straordinari ed eccezionali non può comportare una
situazione di “limbo”: le persone migranti sono sotto la giurisdizione dello Stato italiano ai fini delle
misure sanitarie loro imposte, ma al contempo non hanno la possibilità – e per un periodo di tempo non
indifferente – di esercitare i diritti che il nostro Paese riconosce e tutela. Non possono chiedere asilo, non
sono di fatto – e quanto meno temporaneamente – tutelati in quanto vittime di tratta o minori stranieri
non accompagnati, né possono tempestivamente accedere alle procedure per il ricongiungimento
familiare ai sensi del Regolamento Dublino»137.
Parimenti, a livello europeo, è opportuno sottolineare che la “direttiva accoglienza” ammette che in casi
debitamente giustificati gli Stati stabiliscano in via eccezionale modalità diverse alle condizioni materiali
di accoglienza di regola previste, ma “per un periodo ragionevole e di durata più breve possibile”138. Tali
requisiti sono stati rimarcati nel frangente pandemico dalla Commissione, la quale ha rammentato che
simili misure eccezionali sono plausibili esclusivamente se «necessarie, proporzionate e non
discriminatorie»139.
Per le “navi quarantena”, invero, si aggiungono perplessità proprio in ordine al rispetto del principio di
non discriminazione, giacché tali rimedi sono stati previsti esclusivamente per i migranti soccorsi da navi
battenti bandiera straniera. In effetti, pare si operi, così, una distinzione sulla base dello Stato di
appartenenza dell’imbarcazione e dello status del migrante, dal momento che tali atti non sono indirizzati
134
Questo aspetto è evidenziato da C. CORSI, Migranti e immigrati, cit., pp. 928-929. Inoltre, sulla necessità di assicurare
la possibilità di presentare domanda di asilo a potenziali richiedenti protezione internazionale in entrata, anche in
condizioni emergenziali di risposta al Covid-19, cfr. UNCHR, Key Legal Considerations on access to territory for persons in need
of international protection in the context of the COVID-19 response, 15 marzo 2020, testo consultabile sul sito di refworld.
135 Cfr. A. ALGOSTINO, Lo stato di emergenza sanitaria e la chiusura dei porti: sommersi e salvati, in Questione Giustizia, 21 aprile
2020.
136 Sul punto v. P. BONETTI, Gli effetti, cit., p. 11; G. MENTASTI, Migranti e detenzione amministrativa in tempo di Covid-19:
i bollettini del garante dei detenuti pubblicati durante l’epidemia, in Sistema penale, 23 giugno 2020.
137 Bollettino 28: Il Garante nazionale nei giorni dell’emergenza Covid-19, 28 aprile 2020, testo consultabile sul sito del Garante
nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale.
138 V. art. 18 della direttiva 2013/33/UE.
139 V. 2020/C 126/02, 17 aprile 2020, sezione “Asilo”.
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ad altre tipologie di stranieri che desiderano valicare i confini nazionali, quasi in virtù di una presunzione
di maggiore pericolosità in termini di diffusione del contagio dei soli naufraghi che non sembra
ragionevole.
È stato fatto notare, inoltre, che le modalità di trattenimento sulle “navi quarantena”, potrebbero tangere
non semplicemente la libertà di circolazione che può essere limitata dalla legge ordinaria ai sensi dell’art.
16, comma 1 Cost. per motivi di sanità e sicurezza140, ma restringere anche la libertà personale dei
migranti141. Nello specifico, la libertà personale potrebbe ritenersi intaccata a causa dell’intensità e della
lunga durata delle misure142, in parte assimilabili al controverso “sistema hotspot”143. Va menzionato, altresì,
l’argomento per cui i protocolli seguiti a bordo delle navi non appaiono interamente esplicitati, mentre i
centri di accoglienza sulla terraferma dovrebbero teoricamente conformarsi alle normative nazionali ed
eurounitarie che regolamentano lo stato di questi luoghi144.
Pertanto, anche a fronte di una spesa pubblica elevata che comporta il loro noleggio145, appare lecito
domandarsi se si poteva alternativamente destinare quegli stessi fondi ad un miglioramento dei precari
standard in cui versano gli hotspot, i centri di prima accoglienza (CPA) e accoglienza straordinaria (CAS),
140
Rispetto alla possibilità di porre legittimamente limitazioni alla libertà di circolazione, si deve richiamare altresì quella
dottrina che vede nell’art. 16 Cost. una riserva relativa di legge, oltre che rinforzata, ammettendo, quindi, anche
l’intervento dell’esecutivo. In tal senso, cfr. M. MAZZIOTTI, Circolazione (libertà di), in Enc. dir., Giuffrè, Milano, vol. vii,
p. 22; U. DE SIERVO, Soggiorno, circolazione, emigrazione (libertà di), in Nov. dig. It., Utet, Torino, 1970, vol. XVII, p. 820.
Tra coloro che si pongono, invece, a favore di una riserva assoluta di legge, cfr. A. BARBERA, I principi costituzionali della
libertà personale, Giuffrè, Milano, 1967, p. 174; A. PACE, Problematica delle libertà personali. Parte speciale, Cedam, Padova,
1992, p. 283. Per un’analisi critica sul tema in relazione ai provvedimenti adottati durante l’emergenza pandemica, cfr.
A. CANDIDO, Poteri normativi del Governo e libertà di circolazione al tempo del COVID-19, in Forum quad. cost., n. 1/2020, p.
420 e ss.
141 Cfr. M. TUOZZO, I percorsi, cit., p. 79; C. CORSI, Migranti, cit., p. 926, nt. 89. Per una riflessione in termini generali
sull’ipotesi della quarantena come restringimento della libertà personale, cfr. G.L. GATTA, I diritti, cit., p. 201 e ss.
142 Cfr. M. TUOZZO, I percorsi, op. cit., pp. 79-85, che esamina la differenza tra restrizione alla libertà di circolazione e
privazione della libertà personale facendo riferimento alla giurisprudenza rilevante della Corte Edu. Viene sottolineato,
inoltre, che l’art. 5, comma 1, lett. e) Cedu prevede che un individuo può essere privato della propria libertà se è
suscettibile di propagare una malattia contagiosa, ma, ai sensi del comma 4 del medesimo articolo, è anche assicurato il
diritto a ricorrere a un tribunale. In tal senso, si rileva che nel contesto della “crisi dei rifugiati” l’Italia è stata condannata
dalla Corte Edu nel caso Khlaifia e altri c. Italia [GC], 15 dicembre 2016, n. 16483/12, proprio per violazione dell’art. 5,
comma 1 Cedu a causa del trattenimento di stranieri tunisini a bordo di imbarcazioni attraccate nel porto di Palermo.
Sul punto cfr. anche G. MENTASTI, Migranti, cit.
143 Sulle criticità relative all’approccio hotspot v., ex multis, A. CIERVO, Ai confini di Schengen. La crisi dell’Unione europea tra
“sistema hotspot” e Brexit, in Costituzionalismo.it, n. 3/2016, pp. 85-98; L. MASERA – G. SAVIO, La “prima” accoglienza, in
M. SAVINO (a cura di), La crisi migratoria tra Italia e Unione europea: diagnosi e prospettive, Editoriale scientifica, Napoli, 2017,
pp. 49-62; S. PENASA, L’approccio ‘hotspot’ nella gestione delle migrazioni: quando la forma (delle fonti) diviene sostanza (delle
garanzie). Efficientismo e garantismo delle recenti politiche migratorie in prospettiva multilivello, in Rivista AIC, n. 2/2017, p. 1 e ss.;
M. BENVENUTI, Gli hotspot come chimera. Una prima fenomenologia dei punti di crisi alla luce del diritto costituzionale, in Dir. Imm.
Citt., n. 2/2018, p. 1 e ss.
144 Nello specifico, le condizioni di accoglienza per i richiedenti protezione internazionale sono disciplinate dal d.lgs. n.
142/2015, recentemente modificato dal d.l. n. 130/2020, che recepisce la direttiva 2013/33/UE.
145 Cfr. F. GRECO, Quanto costano allo Stato le navi quarantena per i migranti, in Agi, 15 luglio 2020.
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nonché i centri di permanenza per il rimpatrio (CPR)146, fin dalla situazione ordinaria pre-pandemia147.
Non può essere tralasciato, in effetti, che queste stesse strutture sono state giudicate da taluni in dottrina
gravemente carenti sia per le generiche condizioni di accoglienza previste, sia, più nello specifico, per
fronteggiare l’emergenza da Covid-19 in termini di misure di distanziamento e tutela della salute148, pure
con riferimento alle difficoltà di accesso ai servizi territoriali sanitari e sociali che gli stranieri ospitati o
detenuti riscontrerebbero149.
5. Osservazioni conclusive: dignità, proporzionalità e “doveri di solidarietà” come potenziali
chiavi di volta
Concludendo, alla luce dell’analisi esposta, emerge che recentemente la reazione degli Stati alle migrazioni
di massa nello spazio europeo sia stata quella di tendere ad una valorizzazione dei propri diritti
territoriali150. In particolare, le risposte fornite dall’Italia durante la crisi pandemica per la gestione del
fenomeno migratorio pare abbiano privilegiato, perlomeno inizialmente, la natura “escludente” dei
confini e non siano state del tutto adeguate circa il rispetto di alcuni diritti fondamentali dei migranti e
dei richiedenti asilo151.
Bisogna porre in rilievo, però, anche un altro aspetto della questione, strettamente connesso alle
restrizioni relative all’accoglienza degli immigrati che giungono, ad ogni modo, per vie illegali e che lo
146
Appare significativo che si esprima in tal senso lo stesso Garante per la libertà personale con riferimento alle
condizioni dei migranti a bordo della nave “Rhapsody” nel Comunicato del 17 settembre 2020, ove si afferma che «la
complessiva sensazione di dignità della sistemazione riscontrata e di professionalità degli operatori rende per le persone
migranti l’attuale situazione non comparabile con precedenti sistemazioni provvisore in hotspot superaffollati». Si
aggiunge, inoltre, che «ovviamente, tale valutazione va considerata nel contesto dell’eccezionalità e va sempre configurata
l’effettiva possibilità che sarà successivamente offerta ai migranti di accedere, qualora ne siano accertati i requisiti, a tutte
le modalità protettive e di aiuto all’inserimento che il nostro ordinamento prevede». Testo consultabile sul sito del
Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale.
147 Sulle criticità delle condizioni dei centri di accoglienza per l’immigrazione nel periodo 2014-2018 si rinvia a Amnesty
International Italia, I sommersi dell’accoglienza. Conseguenze del decreto legge 113/2018 sul sistema di accoglienza italiano, novembre
2019, testo consultabile sul sito di immigrazione.it. Sui potenziali profili di illegittimità costituzionale determinati dal d.l.
n. 113/2018 sul sistema di accoglienza cfr. N. VETTORI, Servizio pubblico di accoglienza e diritti fondamentali dei richiedenti
asilo. Profili di illegittimità della riforma introdotta dal d.l. n. 113/2018, in Dir. Imm. Citt., n. 3/2019, p. 135 ss. In merito alle
innovazioni introdotte dal d.l. n. 130/2020 all’impianto normativo riguardante l’accoglienza dei richiedenti e dei titolari
protezione internazionale cfr. F. BIONDI DAL MONTE, Il sistema di accoglienza e integrazione e i diritti dei minori stranieri.
Riflessioni sulla disciplina introdotta dal d.l. n. 130/2020, in Forum quad. cost., n. 1/2021, pp. 120-135.
148 Cfr. M. D’ONGHIA, Gli immigrati resi ancora più invisibili dal Coronavirus: una vita sospesa tra emergenza sanitaria e lockdown,
in ADiM Blog. Analisi & Opinioni, aprile 2020, pp. 4-5.
149 Cfr. C. CORSI, Migranti e immigrati, cit., pp. 909-910.
150 Cfr. O. SPATARO, Fenomeno migratorio, cit., p. 69.
151 A tale proposito, il rapporto 2020 della Fondazione Iniziative e Studi sulla Multietnicità (ISMU) rivela che le restrizioni
alla mobilità adottate da diversi Stati europei al fine di contenere la pandemia hanno determinato una riduzione non solo
delle migrazioni regolari, ma anche delle richieste di protezione internazionale, pure a fronte di una ripresa degli sbarchi
via mare nel secondo semestre 2020 rispetto al 2019. V. G.C. BLANGIARDO – L. ELISA ORTENSI, Gli aspetti statistici,
in Fondazione ISMU, Ventiseiesimo Rapporto sulle migrazioni 2020, FrancoAngelo, Milano, 2021, pp. 73 e ss.
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Stato non è tenuto ad ammettere in maniera indiscriminata. Nello specifico, non può essere tralasciato
che le predette misure provvisorie e eccezionali adottate dall’ordinamento, quali le “navi quarantena”,
intervengono in un momento di crisi sanitaria senza precedenti per tutti i Paesi dell’Unione, tra cui risalta
tristemente l’Italia. Una crisi che sul piano interno ha messo gravemente a rischio non solamente la tutela
della salute dei singoli e della collettività, ma anche altri diritti fondamentali degli stessi cittadini, nonché
di tutti coloro che risiedono stabilmente sul territorio italiano pur essendo stranieri152. Si suppone, perciò,
possa essere più opportuno riflettere non tanto nei termini della legittimità o meno delle soluzioni
proposte, quanto secondo un ragionamento che si muove entro i cardini di una serie di principi, quali
quello della dignità, della proporzionalità e della solidarietà. Posto che i singoli Paesi hanno la facoltà di
determinare gli strumenti tramite cui assicurare la pubblica sicurezza entro il proprio territorio, il vero
quesito da porsi e che rimane in una certa misura aperto, sarebbe, allora, se tali rimedi possono reputarsi
quelli maggiormente rispettosi del necessario bilanciamento da raggiungere tra le diverse esigenze
costituzionalmente protette; ovvero, se, contrariamente, il potere politico sarebbe potuto giungere a
compromessi giuridici più equilibrati e sorretti da motivazioni ulteriormente solide nel contenimento dei
diritti, come il principio di proporzionalità costringe a evidenziare.
Dal punto di vista del diritto costituzionale, peraltro, una strada percorribile per attenuare il conflitto
tradizionalmente “insanabile” tra immigrazione e sovranità – che nella circostanza pandemica si declina
fondamentalmente nel potere di determinare la sicurezza sanitaria – e incidere, quindi, in maniera più
contenuta sui diritti degli stranieri, potrebbe essere quella di disgiungere la categoria del territorio dalla
sua dimensione meramente materiale e conferire risalto ad una concezione maggiormente rispettosa del
principio personalista. Rifacendosi, in altre parole, ad un’idea di territorialità che includa anche l’aspetto
etico-valoriale, così come sostenuto in precedenza da alcuni in letteratura153, verrebbero in rilievo tutta
una serie di principi che sono propri dello Stato costituzionale. Tra questi, oltre a quelli sopra richiamati,
sarebbero altrettanto essenziali la ragionevolezza e la non discriminazione, rinvenibili, rispettivamente,
agli articoli 2 e 3 Cost. Nondimeno, come accennato, il valore della dignità umana e il principio di
proporzionalità potrebbero e dovrebbero, verosimilmente più di ogni altro, rappresentare un faro per
Cfr. F. P. MODUGNO, A volte ritornano, cit., p. 29 e ss., il quale ritiene che la soluzione delle “navi quarantena”, a
differenza del decreto interministeriale del 7 aprile 2020, non si ponga in contrasto né con la disciplina interna né con
quella internazionale relativa al soccorso di persone in mare. L’Autore, peraltro, sostiene che tale misura, sebbene sia in
parte confliggente con i parametri sanciti dalla Cassazione sulla richiamata decisione del caso “Sea Watch-3”, «può in
astratto rappresentare un possibile esito del processo rafforzato ed integrato di bilanciamento degli interessi in gioco,
che tenga conto anche delle esigenze contingenti, di pari rango costituzionale, legate alla gestione dell’emergenza Covid19». Sul punto, cfr. anche C. CORSI, Migranti, cit., p. 928.
153 Cfr. P. HÄBERLE, Stato costituzionale, in Enc. Giur., vol. XXX, Treccani, Roma, 2000; A. BARBERA, Dalla Costituzione
di Mortati alla Costituzione della Repubblica, in A. BARBERA – C. MORTATI, Una ed indivisibile, Giuffrè, Milano, 2007, p.
37 e ss.; I. CIOLLI, Il territorio rappresentato, cit., pp. 59; O. SPATARO, Fenomeno migratorio, cit., p. 71.
152
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guidare l’autonomia degli Stati in scelte politiche concernenti la gestione dei flussi di stranieri provenienti
da Paesi terzi e le condizioni di accoglienza degli immigrati, pure ove si presentino problematiche relative
alla sicurezza e all’ordine pubblico o in scenari di crisi154. Una prospettiva del territorio come sintesi dei
valori soggiacenti dell’ordinamento, che si riflette anche su quella di confine, sembra d’altronde quella più
aderente al testo costituzionale. Infatti, una nozione di territorio subordinata solamente al decentramento
amministrativo e al rapporto Stato-Regioni ai sensi dell’art. 5 Cost., o alla ripartizione delle competenze
legislative ai sensi dell’art. 117 Cost., o alla tutela del paesaggio ai sensi dell’art. 9 Cost., finirebbe per
avallare una visione di tipo kelseniano che lo riduce ad ambito spaziale ove vengono applicate le norme155.
Non si dovrebbe tralasciare, piuttosto, che lo Stato, sia nella sua accezione di apparato che di comunità,
nell’esercizio della propria sovranità territoriale, è tenuto a conformare l’ordinamento e quindi il quadro
giuridico sui diritti con gli obblighi costituzionali, europei e internazionali. In tal senso, lo stesso territorio
dovrebbe essere inteso non semplicemente come spazio fisico di convivenza tra le persone su di esso
stanziate, ma anche come luogo connesso all’esercizio dei diritti fondamentali, essendo, al tempo stesso,
la sede ove si formano e si consolidano i legami che attingono all’adempimento dei doveri inderogabili di
solidarietà economica, politica e sociale156. Questa impostazione sarebbe giustificabile anche in
154
Per una ricostruzione sui margini di bilanciamento che potrebbero essere applicati per la dignità umana in rapporto
ad altri diritti fondamentali secondo il costituzionalismo europeo, cfr. P. RIDOLA, La dignità dell’uomo e il “principio di
libertà” nella cultura costituzionale europea, in R. NANIA (a cura di), L’evoluzione costituzionale delle libertà e dei diritti fondamentali.
Saggi e casi di studio, Giappichelli, Torino, 2012, p. 97 e ss.
155 Cfr. H. KELSEN, Das Problem der Souveränität und die Theorie des Völkerrechts. Beitrag zu einer Reinen Rechtslehre, Mohr,
Tubingen, 1920, trad. it. A. CARRINO (a cura di), Il problema della sovranità e la teoria del diritto internazionale, Giuffrè,
Milano, 1989, p. 105. Sul punto si rimanda, tra gli altri, a C. BERTOLINO, Territori e appartenenze territoriali: alla ricerca di
una ricomposizione di sistemi ‘scomposti’, in federalismi.it, n. 2/2018, p. 2 e ss.
156 Cfr. C. SALAZAR, Territorio, cit., pp. 602-603; A. RUGGERI, Territorio, persone, Costituzione, in Dir. reg. Riv. di diritto
delle autonomie territoriali, n. 3/2018, p. 22 e ss.; F. GIUFFRÈ, Alle radici dell’ordinamento: la solidarietà tra identità e integrazione,
in Rivista AIC, n. 3/2019, pp. 555-556; O. SPATARO, Fenomeno migratorio, op. ult. cit., p. 72. Si reputa rilevante, peraltro,
fare accenno ad un tentativo di concretizzazione dei “doveri di solidarietà” sociale a favore di coloro che sono presenti
a vario titolo sul territorio dello Stato italiano, rinvenibile durante l’emergenza da coronavirus. Si tratta della misura delle
c.d. prestazioni di solidarietà alimentari, ossia “buoni spesa utilizzabili per l’acquisto di generi alimentari presso gli esercizi
commerciali contenuti nell’elenco pubblicato da ciascun comune nel proprio sito istituzionale” e di “generi alimentari o
prodotti di prima necessità”. Tali prestazioni sono state istituite con ordinanza del Capo del Dipartimento della
protezione civile del 29 marzo 2020, n. 658 e i fondi sono stati ripartiti in base a specifici criteri tra i comuni italiani,
conferendo loro ampia discrezionalità per individuare la platea dei potenziali beneficiari. Questo margine si è, però,
tradotto in scelte da parte dei Comuni di Roma, di Bonate Sopra e di Ferrara reputate discriminatorie nei confronti di
alcune categorie di stranieri e contro di esse sono stati presentati ricorsi cautelari ex art. 700 c.p.c. In merito si sono
espressi, rispettivamente, il Trib. di Roma con il decreto del 22 aprile 2020, il Trib. di Brescia con il decreto del 28 aprile
2020 e il Trib. di Ferrara con l’ordinanza del 30 aprile 2020, ritenendo che i requisiti di accesso ai buoni di spesa
alimentare dovessero rinvenirsi nel quadro delle prestazioni sociali “emergenziali” tese a garantire il soddisfacimento di
esigenze primarie di ciascun individuo maggiormente vulnerabile durante l’emergenza sanitaria in atto. La misura di
“solidarietà sociale”, dunque, non dovrebbe essere concessa esclusivamente ai soggetti bisognosi che sono in possesso
dello status civitatis o in virtù di uno specifico status dello straniero, poiché attiene a quel “nucleo irriducibile” di diritti,
quali l’alimentazione, che si pongono a fondamento di una vita dignitosa della persona umana. Sulla questione, cfr. F.
BIONDI DAL MONTE, Cittadini, stranieri e solidarietà alimentare al tempo del coronavirus, in Questione giustizia, 27 aprile 2020;
C. CORSI, Migranti, cit., p. 915 e ss.
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considerazione dell’evoluzione delle categorie giuridiche dello Stato democratico contemporaneo, in cui
si consta un’elevazione del binomio popolo/sovranità rispetto al territorio come risultato della
costituzionalizzazione della sovranità popolare157.
In questo contesto, d’altra parte, l’emergenza sanitaria, la quale si è sommata alla precedente crisi
migratoria, benché abbia inflitto un’ennesima frattura dalle conseguenze politico-sociali ancora da
determinare nel medio e lungo periodo, non avrebbe debilitato in maniera definitiva il “sistema
Schengen”. Segnatamente, in questa occasione, lo spazio europeo sembra essere stato retto da
un’amministrazione europea più solida, proprio a testimonianza che, in realtà, nonostante una diffusa
percezione di mancanza di “unione” e il persistere di resistenze nazionali, «c’è molta Europa, molta di
più di quanta ne immaginiamo»158. Il funzionamento dell’area Schengen, cioè, rimarrebbe coerente con la
logica di non incidere eccessivamente sulla facoltà degli Stati membri di poter determinare ciò che
rappresenta una “minaccia all’ordine pubblico”. Al contempo, si prende atto dello sforzo da parte delle
istituzioni europee, e soprattutto della Commissione, di far convogliare questo potere sovrano a livello
nazionale verso un obiettivo comune159. Non può essere negato, in altre parole, che questo organo,
tramite atti di soft law, si sia adoperato per precisare i criteri e orientare la prassi statale verso misure meno
impattanti possibili sulla libera circolazione. Potrebbe aver sortito un effetto positivo sugli Stati aderenti
al “sistema” Schengen, inoltre, il fatto che la presidente della Commissione Ursula von der Leyen abbia
avuto l’intuizione di spostare l’accento nei suoi discorsi politici dalla questione migratoria agli interessi di
tipo economico e alla necessità di un pieno ripristino del mercato interno che sono necessariamente
connessi alla libertà transfrontaliera, diversamente da quanto era stato fatto dalla presidenza Junker nel
2018 con la “crisi dei rifugiati”160.
Tuttavia, permangono delle criticità da sollevare anche sotto il profilo del diritto eurounitario.
Segnatamente, se è vero, che una delle cause originarie che spinge i Paesi membri ad affrontare i momenti
emergenziali in maniera isolata e parcellizzata risiederebbe nella mancanza di armonizzazione e di intenti
comuni161, riservare margine maggiore ai doveri di solidarietà, come sollecitato da più parti nella “crisi dei
rifugiati”, potrebbe rappresentare un’ulteriore chiave di volta per rendere più solidi i legami politici
dell’Unione anche per l’asilo e l’immigrazione. Un valore quello della solidarietà che nei dibattiti politici
157
Cfr. I. CIOLLI, Il territorio europeo, p. 28.
B. CARAVITA, Quanta Europa, cit., p. 102.
159 Sul ruolo della Commissione europea nell’emergenza pandemica cfr. A. MANEGGIA A., Le “nuove” minacce, cit., pp.
201-202.
160 Sul punto cfr. C. MORTERA-MARTINEZ, Will the coronavirus pandemic deliver a coup de grâce to Schengen?, in CER
Bullettin, issue n. 134, October/November 2020.
161 Cfr. A.M. POGGI, Dove va l’Europa, cit., p. 440-442, la quale riflette sui rischi di una mentalità europea
“intergovernativa” e non “federale” che si intensifica nei momenti di crisi e che può essere ricondotta, tra le altre
motivazioni, all’allargamento territoriale dell’Unione avvenuto nel 2004.
158
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tende a rimanere quasi un semplice auspicio, ma di cui si dimentica, talvolta, il fondamento giuridico da
cui è legittimato e la sua valenza prescrittiva. Il diritto primario, infatti, prevede esplicitamente più di una
previsione a riguardo che assume presupposti e connotati determinati a seconda dei diversi settori in cui
si inserisce. Nello specifico, si ricorda che l’art. 80 del TFUE, collocato al capo II del Titolo V, recita che
le politiche relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione “sono governate dal principio di
solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario.
Ogniqualvolta necessario, gli atti dell’Unione adottati in virtù del presente capo contengono misure
appropriate ai fini dell’applicazione di tale principio”. Secondo alcuni, d’altra parte, la “solidarietà
europea” a causa della sua genericità e, quindi, della difficoltà a ricavarne un significato univoco anche in
sede giurisprudenziale, non si presterebbe a divenire un principio generale di diritto, né potrebbe fungere
da base giuridica per atti derivati o imporrebbe qualche tipo di obbligo di mutuo supporto per gli Stati in
crisi da parte di istituzioni e Paesi membri162. Secondo altri, invece, essendo un valore costitutivo
dell’ordinamento dell’Unione (art. 2 TUE) e principio interpretativo richiamato nei Trattati (artt. 3, 21,
24, 31 TUE e artt. 67, 80, 194 TFUE), assieme al valore della cittadinanza europea, rappresenterebbe
l’unico “antidoto” per uscire dai momenti emergenziali163 ed un fattore connotativo del sistema in
genere164. In ogni caso, usualmente in letteratura vengono riconosciute quattro principali modalità di
implementazione del principio di solidarietà ed equa ripartizione delle responsabilità, ossia quella
legislativa, finanziaria, tecnico-operativa e logistica. Quest’ultima è da sempre la forma più ardua da
attivare e consisterebbe fondamentalmente nella redistribuzione geografica dei richiedenti protezione
internazionale165.
A prescindere dai punti più o meno convincenti dei vari filoni interpretativi, si ritiene, comunque, che un
impiego del principio di solidarietà potrebbe rivelarsi realmente di ausilio finché attenuato da uno
scrutinio più severo rispetto alla sua proporzionalità, la quale torna ad essere, quindi, un parametro
Per un approfondimento di questa tesi cfr. G. MORGESE, Solidarietà, cit., pp. 86-93. L’Autore, motivando
ampiamente le ragioni per cui non ritiene si possa qualificare la “solidarietà europea” come valore in senso stretto, ne
avanza, però, tre diverse declinazioni che permeano l’ordinamento dell’Unione, ossia: quella del “mutuo rispetto da parte
di Istituzioni e Stati del complesso di diritti e obblighi derivanti dall’appartenenza all’UE”; quella della “mutua azione
diretta a riequilibrare le diverse condizioni di partenza o attenuare le difficoltà che possono sorgere dall’applicazione del
diritto UE”; e quella della “mutua assistenza in casi di emergenza”. Quest’ultima, in particolare, varierebbe
considerevolmente a seconda del settore preso in esame, creando tensioni non di poco conto, ad esempio, nell’ambito
migratorio, come dimostrato dalla “crisi dei rifugiati”.
163 Cfr. L.F. PACE, Una nuova crisi che l’Unione deve risolvere, o la crisi dell’Unione?, in AISDUE. Dibattito “Coronavirus e diritto
dell’Unione”, n. 4/2020, p. 21.
164 Cfr. V. MORENO-LAX, Solidarity’s reach: Meaning, dimensions and implications for EU (external) asylum policy, in Maastricht
Journal of European and Comparative Law, 2017, 24 (5), pp. 746-749, che per definire la solidarietà utilizza l’espressione
emblematica di general (meta-)principle.
165 Cfr. P. DE BRUYCKER – E. L. TSOURDI, Building the Common European Asylum System beyond Legislative Harmonisation:
Practical Cooperation, Solidarity and External Dimension, in V. CHETAIL, – P. DE BRUYCKER – F. MAIANI (eds.),
Reforming the common European asylum system: The new European refugee law, Brill, Leiden – Boston, 2016, pp. 501-508.
162
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imprescindibile anche nel diritto eurounitario. Difatti, come osservato, già durante la “crisi dei rifugiati”
esso è stato invocato come giustificazione per la reintroduzione di controlli alle frontiere sulla base di un
onere della prova non pienamente soddisfacente da parte di alcuni Paesi dell’Europa settentrionale e
centro orientale166 che lamentavano i movimenti secondari dei migranti provocati dagli Stati di primo
arrivo – specialmente Italia e Grecia –, i quali non sarebbero stati in grado di adempiere adeguatamente
alla normativa europea sui controlli e le registrazioni da effettuare alle frontiere esterne167. In aggiunta, un
uso del principio di solidarietà di natura prettamente emergenziale ed in senso “orizzontale”, ossia di tipo
intergovernativo e che tenga conto esclusivamente degli interessi degli Stati, senza che venga declinato
pure nel senso di un trattamento rispettoso dei diritti dei richiedenti protezione internazionale, non
sembra pienamente adeguato. Considerando che la solidarietà, oltre ad un imprescindibile profilo
economico, si compone anche di una valenza sostanziale, essa non può, quindi, essere scissa dal rispetto
della dignità umana. Quest’ultima figura, del resto, come uno dei tasselli chiave del mosaico valoriale della
tradizione costituzionale comune dell’intera Unione che dovrebbe esplicarsi in effetti giuridicamente
positivi per quanto riguarda l’attività dei decisori politici168. Dunque, come auspicato da tempo169, si
ipotizza che un uso di meccanismi solidali maggiormente vincolanti e comprensivi pure di una
dimensione “verticale”170 potrebbe, in ultima analisi, fungere da presupposto preferibile per guidare le
politiche di immigrazione e asilo e consentire la eventuale reintroduzione di limitazioni alle frontiere
interne ed esterne esclusivamente in casi reali di extrema ratio. In tal modo, presumibilmente, sarebbe
possibile scongiurare il rischio di un ritorno crescente (o addirittura permanente) alla chiusura dei confini
e ai nazionalismi nella gestione di scenari, come quello migratorio, che coinvolgono diversi ordinamenti
166
Supra, § 3, nt. 67.
Cfr. A. ROMANO, La rinascita, cit., p. 277.
168 Cfr. B. CARAVITA, Quanta Europa, cit., p. 109 e ss. Si ricorda, infatti, che nel diritto primario dell’UE, la dignità
umana è definita come un valore fondamentale. Nello specifico, ai sensi dell’art. 2 del TUE si afferma che “l’Unione si
fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà umana, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di
diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze”; mentre, ancora, ai sensi
dell’art. 1 della CDFUE si dichiara che “la dignità umana è inviolabile”. Peraltro, a tutela dei valori richiamati al suddetto
art. 2, da una parte, è prevista una precisa procedura di garanzia politica ai sensi dell’art. 7 del TUE qualora vi sia un
evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro, che, pur essendo piuttosto complessa, costituisce
uno strumento difensivo importante; dall’altra, tali valori sono certamente coperti da una garanzia giurisdizionale grazie
al ruolo ricoperto dalla Corte di giustizia. Sulla rilevanza del valore della dignità nei trattati dell’UE, inoltre, cfr. L.
FUMAGALLI, Commento all’art. 2 TUE, in A. TIZZANO (a cura di), Trattati dell’Unione europea, II ed., Giuffrè, Milano,
2014, p. 11 e ss.; A. CIRCOLO, Il rispetto dei valori fondanti dell’Unione e l’attivazione della procedura di controllo alla luce delle
recenti vicende di Polonia e Ungheria, in DPCE online, n. 1/2019, p. 19. e ss.
169 Per una lettura del principio di solidarietà nel diritto eurounitario, anche secondo la lente dei diritti dei richiedenti
asilo, si rimanda a V. MITSILEGAS, Solidarity and Trust in the Common European Asylum System, in Comparative Migration
Studies, n. 2/2014, pp. 181-202.
170 Cfr. V. MORENO-LAX, Solidarity’s reach, cit., pp. 761-762, che evidenzia l’importanza di questa dimensione
richiamando diverse disposizioni del diritto primario che fungerebbero da base giuridica per la sua legittimità, tra cui gli
artt. 67, §§ 1 e 2 TFUE, 78 § 1 TFUE e l’art. 18 della CDFUE.
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e piani giuridici, richiedendo, evidentemente, una strategia coordinata e unitaria. L’obiettivo di perseguire
“una solidarietà de facto tra i popoli europei” all’interno di una nuova comunità per prevenire i conflitti tra
le nazioni, del resto, era proprio lo spirito a cui i padri fondatori dell’Unione si ispiravano 171. Questo
orientamento sarebbe ancor più desiderabile dal momento che la diffusione del Covid-19 ha dimostrato
che talune minacce valicano fatalmente i confini territoriali e la ricerca della loro risoluzione è certamente
agevolata dalla cooperazione e il coordinamento internazionale, come incoraggiato anche dalle istituzioni
sovranazionali172.
Invero, il principio di solidarietà ed equa ripartizione delle responsabilità relativamente alle politiche
migratorie è al centro di un acceso dibattito fin dalla “crisi dei rifugiati”. In quel frangente, infatti, si era
manifestata la necessità di attivare una serie di azioni emergenziali col fine di alleggerire la gestione dei
flussi migratori sugli Stati costieri in prima linea che sono state, poi, individuate nell’Agenda europea sulla
migrazione del 2015173. Tra queste misure risultavano centrali le ricollocazioni delle persone con evidente
bisogno di protezione internazionale per mezzo di quote obbligatorie, istituite dalle decisioni (UE)
2015/1523 e (UE) 2015/1601 del Consiglio174, le quali potrebbe dirsi abbiano rappresentano la prima
vera applicazione del principio di solidarietà di tipo logistico. Più nel dettaglio, tali atti normativi di natura
temporanea si ponevano in deroga rispetto all’art. 13, § 1 del c.d. regolamento di Dublino III175 e
rintracciavano il loro fondamentato giuridico nell’art. 78, § 3 TFUE. A questo riguardo non può essere
ignorata la recente sentenza della CGUE del 2 aprile 2020 nel caso della Commissione europea contro
Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca (C 715/17, C718/17 e C719/17), a seguito delle procedure di
infrazione promosse dalla CE nei confronti di questi Stati membri a causa del loro inadempimento del
Sul punto cfr. L.P. VANONI – B. VIMERCATI, Dall’identità alle identity politics: la rinascita dei nazionalismi nel sistema
costituzionale europeo, in Quad. cost., 1/ 2020, p. 41.
172 V. WHO Director-General's opening remarks at the media briefing on COVID-19, 6 agosto 2020, testo consultabile sul sito
della World Health Organization.
173 V. Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato
delle Regioni. Agenda Europea sulla Migrazione, COM(2015) 240 final, 13 maggio 2015. Per un quadro sulle azioni intraprese
nell’ambito dell’Agenda sulla migrazione del 2015 e il nodo di una ricollocazione di emergenza tra Stati membri, cfr. P.
MORI, La decisione sulla ricollocazione delle persone bisognose di protezione internazionale: un irrituale ricorso al metodo intergovernativo?,
in Il Diritto dell’Unione Europea, 2015, p. 1 e ss.
174 V. decisione (UE) 2015/1523 del Consiglio, del 14 settembre 2015, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione
internazionale a beneficio dell'Italia e della Grecia; decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio, del 22 settembre 2015 che istituisce misure
temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell'Italia e della Grecia.
175 Il “sistema” originariamente trovava il suo fondamento giuridico in un trattato internazionale multilaterale firmato a
Dublino il 15 giugno 1990 ed entrato in vigore il 1° settembre 1997, ossia la Convenzione sulla determinazione dello
Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri delle Comunità Europee.
Successivamente, la Convenzione è entrata a far parte dell’acquis communautaire con l’adozione del regolamento
2003/343/CE (c.d. regolamento di Dublino II) che trovava applicazione per tutti gli Stati dell’UE. Quest’ultimo è stato,
poi, riformato con il regolamento 2013/604/CE (c.d. regolamento di Dublino III), il quale all’art. 13 prevede, appunto,
che lo Stato membro responsabile per l’esame della domanda di protezione internazionale è individuato in quello in cui
il richiedente asilo ha registrato il suo primo ingresso sulla base della gerarchia dei criteri enunciata al capo III dello
stesso. Sul punto cfr. B. CARAVITA, Quanta Europa, cit., pp. 175-176.
171
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sistema di ricollocazione obbligatoria per quote di richiedenti asilo. La CGUE ha accertato l’esistenza di
una infrazione degli obblighi europei e, affermando che tali Stati membri non possono invocare né le
loro responsabilità in materia di mantenimento dell’ordine pubblico e di salvaguardia della sicurezza
interna né il presunto malfunzionamento del meccanismo di ricollocamento per sottrarsi all’esecuzione
di tale meccanismo, ha contribuito a chiarire fin dove si possono spingere le prerogative degli Stati
membri nell’ambito delle politiche migratorie di fronte agli impegni comuni176.
Bisogna riportare, però, che al momento i ripensamenti del principio della solidarietà nel Patto sulla
migrazione e l’asilo pubblicato dalla Commissione il 23 settembre 2020177 non sono stati accolti in maniera
particolarmente positiva dalla maggior parte degli studiosi178. Sebbene la solidarietà sia presentata come
uno dei pilastri della riforma179, è stato fatto notare che le principali formule avanzate per le situazioni di
pressione migratoria e di crisi o force majeure, ossia i “ricollocamenti volontari” e la “sponsorizzazione dei
rimpatri”, non permetterebbero di uscire completamente dalla logica della cosiddetta regola del Paese di
primo ingresso del “sistema Dublino”180 e si tradurrebbero in un’asimmetria a sfavore degli stranieri
sprovvisti di documenti e dei richiedenti protezione internazionale181. Queste procedure, seppure facciano
leva su incentivi economici significativi per ogni richiedente asilo o rifugiato ricollocato e “rimpatrio
sponsorizzato” attuati, oltre che su ulteriori iniziative di supporto182, continuerebbero a risultare altamente
complesse e dispendiose per gli Stati di primo arrivo. Di fatto, nonostante il meccanismo di solidarietà
diventi obbligatorio in determinati scenari emergenziali183, una volta che vi sia una valutazione positiva
da parte della Commissione circa la situazione di effettiva “pressione migratoria” e “crisi” a cui sarebbero
176
Per una ricostruzione maggiormente dettagliata delle vicende e un commento della sentenza cfr. C. CORSI,
Commissione c. Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria: il principio di solidarietà nelle politiche in materia di asilo, in Quad. Cost., n.
2/2020, pp. 439-442; A. DIRRI, La Corte di Giustizia torna sul meccanismo di ricollocazione dei migranti tra rivendicazioni identitarie
e tenuta dei valori fondanti dell’Unione Europea, in Osservatorio costituzionale, n. 5/2020, p. 230 e ss.
177 V. COM (2020) 609 final, 23 settembre 2020.
178 V., ad esempio, S. PEERS, First analysis of the EU’s new asylum proposals, in EU Law Analysis, 25 settembre 2020; A. DI
PASCALE, Il nuovo patto per l’immigrazione e l’asilo: scontentare tutti per accontentare tutti, in Eurojus, 28 settembre 2020; C.
FAVILLI, Il patto europeo sulla migrazione e l’asilo: “c’è qualcosa di nuovo, anzi di antico”, in Questione Giustizia, 2 ottobre 2020;
F. MAIANI, A “Fresh Start” or One More Clunker? Dublin and Solidarity in the New Pact, in EU Migration Law blog, 20 ottobre
2020; L. TSOURDI, The New Pact and EU Agencies: an ambivalent approach towards administrative integration, in EU Migration
Law blog, 6 novembre 2020; G. MORGESE, La “nuova” solidarietà europea in materia di asilo e immigrazione: molto rumore per
poco?, in federalismi.it, n. 35/2020, p. 22 e ss.
179 V. Commissione europea, Comunicato stampa. Un nuovo inizio in materia di migrazione: costruire la fiducia e trovare un nuovo
equilibrio tra responsabilità e solidarietà, 23 settembre 2020, testo consultabile sul sito della Commissione europea.
180 Supra, § 5, nt. 175.
181 Cfr. S. CARRERA, Whose Pact? The Cognitive Dimensions of the New EU Pact on Migration and Asylum, in CEPS Policy
Insights, No 2020-22, September 2020, pp. 8-9.
182 V. Proposal for a regulation of the European Parliament and of the Council on asylum and migration management and amending Council
Directive (EC) 2003/109 and the proposed Regulation, COM(2020) 610 final, 23 settembre 2020, pp. 96-98.
183 Ai sensi dell’art. 45 della COM(2020) 610 final, 23 settembre 2020, si tratta dei casi di “migratory pressure” o di “subject
to disembarkations following search and rescue operations”.
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sottoposti certi Stati184, esso concederebbe, comunque, un’eccesiva libertà di manovra agli altri Paesi
membri, rischiando di risultare poco efficace185 e di continuare a porre in secondo piano i diritti delle
persone migranti186. In attesa che il progetto di riforma venga vagliato e approvato dalle altre istituzioni
europee, non resta che attendere se avranno nuovamente la meglio gli “egoismi nazionali” all’interno del
Consiglio o se il Parlamento sarà in grado di contemperare la nuova normativa con i principi indicati dai
Trattati, avvalendosi della “nuova crisi” come un’opportunità di sviluppo anziché di retrocessione187.
184
V. art. 50, COM(2020) 610 final.
Cfr. P. DE PASQUALE, Il patto per la migrazione e l’asilo: più ombre che luci, in AISDUE. Focus “La proposta di Patto su
immigrazione e asilo”, n. 1, 5 ottobre 2020, p. 9.
186 Cfr. D. THYM, European Realpolitik: Legislative Uncertainties and Operational Pitfalls of the ‘New’ Pact on Migration and
Asylum, in EU Migration Law blog, 28 settembre 2020, che, come è rinvenibile dal titolo del contributo, ritiene che la
riforma sia il risultato di una riflessione ispirata al pragmatismo, più che ai principi, tanto che si potrebbe definire
essenzialmente “a piece of realpolitik”. Secondo questa stessa prospettiva, cfr. S. PENASA, Il Nuovo Patto e l’idea di solidarietà:
principio fondativo del sistema europeo di asilo o metodo di allocazione delle responsabilità tra Stati membri?, in ADiM Blog. Analisi &
Opinioni, novembre 2020.
187 Sulla possibilità di evoluzione dell’UE grazie ai momenti di crisi cfr. S. CASSESE, Territori, cit., p. 116 e ss.
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