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AR TH U R C. CLAR KE STAN LE Y KU B R I CK 2 0 0 1: OD I SSE A N E LLO SP AZI O (20 0 1: A Space Odissey, 1968) Rom anzo © 20 11 by SLY70 E D I TR I CE N O R D – 2– COSMO Classici della fantascien za – Volum e n. 20 0 – Marzo 20 0 3 Pubblicazione periodica registrata al Tribunale di Milano in data 2/ 2/ 1980 , n. 53 Direttore respon sabile: Gianfranco Viviani Titolo origin ale: 20 0 1: A SPACE ODYSSEY Tradu zione di Brun o Oddera per gentile con cessione della Casa Editrice Longanesi & C. Codice libro 12 20 0 CO ISBN 88-429-1248-4 © 1968 by Arthur C. Clarke and Polaris Production , Inc. © 20 0 3 by Casa Editrice Nord Srl. Via Rubens, 25 - 20 148 Milano Indirizzo Internet: h ttp: / / www.nord.fantascienza.it Indirizzo li Mail: n ord@fantascienza.it Stampalo dalla S. A. T. E. Srl, Zin gonia (BG) – 3– I N TR OD U ZI ON E ODISSEA NELLO SPAZIO I MONDI PERDUTI DI 20 0 1 di Riccardo Valla Che cos’è la scim m ia per l’uom o? Un oggetto di riso e di dolorosa vergogna. E così è l’uom o per il superuom o: un oggetto di riso e di dolorosa vergogna. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra Fin dall’inizio, 20 0 1: Odissea nello spazio trasm ette un senso di m istero. Nella colonna sonora del film , la prima a levarsi è una lun ga nota dell’organo e dei contrabbassi, che pare voler descrivere la serenità im perturbata del cosm o, seguita da un sem plice m otivo in do m aggiore delle trom be, che an nun cia l’arrivo di qualcosa che ancora non conosciam o, e dal m artellare dei tim pani accom pagnato dagli archi. Tre volte le trom be ripetono il loro m otivo, ma in fine sono cancellate da un perentorio colpo di piatti che, solo, colm a di echi tutto lo spazio. E l’alba: il sole è sorto. Il bran o musicale così carico di aspettativa è il prim o m ovim ento di Così parlò Zarathustra, poem a sin fonico (o m eglio “Ottim ism o sinfonico in form a fin-de-siècle dedicato al XX secolo”) di Richard Strauss, scritto nel 1896. Lo stesso Strauss –4– in titolò questo prim o m ovim ento “Dell’enigm a dell’universo”; di solito si ritiene che descriva il sorgere del sole, allorché l’astro, al pari di quell’im m enso colpo di piatti, spazza via bruscam ente tutti i turbam enti della notte. Analogam ente, dall’enigm a dell’universo, ossia dall’esistenza dell’uom o, posto – com e voleva un altro Zarathustra, quello di Nietzsche – tra la scim mia e il superuom o, prende le m osse an che il rom anzo di Arthur C. Clarke basato sul soggetto originale, che presenta nelle prim e pagin e il m istero dell’origine dell’um anità. È però discutibile che la parola “basato” che com pare nel frontespizio dell’edizione originale possa esprim ere il com plesso rapporto in stauratosi tra scrittore e regista durante la preparazione di 20 0 1. Sotto un certo aspetto, in fatti, è venuto prim a il rom an zo del film : non tanto perché rom an zo e soggetto sono stati scritti dal solo Clarke, essendo stato lui, e non Kubrick, a m ettersi alla m acchina per scrivere, a scegliere le sin gole frasi e le sin gole parole, m a perché nel caso di 20 01 la collaborazione tra lo scrittore e il regista è stata assai più profonda di quan to si verifica abitualm ente. Quasi quotidianam ente, Kubrick ha pianificato con Clarke, pagina per pagina, i vari episodi, approvando o rifiutando le soluzioni che lo scrittore gli forniva, suggerendogli i punti da am pliare e spingendolo a cercare nuovi sviluppi. Al punto che lo stesso Clarke scrive: “Dopo due an ni di collaborazion e, comin ciavo a dirm i che 20 0 1 doveva portare la dicitura: romanzo di Clarke e Kubrick, basato sul soggetto cinem atografico di Kubrick e Clarke.” In genere, la critica cinem atografica ritiene che il finale del film sia più “aperto” di quello del rom anzo e che il romanzo cancelli tutto il “m istero” del film , com e se Clarke avesse voluto com unicare dalla porta le spiegazioni che Kubrick allontanava dalla finestra, ma in realtà la stesura di 20 0 1, rom anzo e film , si è svolta in parallelo, lungo un arco di vari anni, e il rom anzo è cresciuto insiem e con il film . Il rom an zo di Clarke è perciò un ’attendibile guida al film di Kubrick e, anzi, per quanto riguarda l’origine delle idee espresse – 5– nel film , è forse la sola guida. Occorre però tenere presente che, com e tutte le opere che hann o richiesto una lun ga gestazione, la versione definitiva del rom anzo si spiega m eglio confrontandola con quelle precedenti; nel caso di 20 0 1, questo è in gran parte possibile. L’in tenzione con cui eran o partiti i due autori era suggerire l’esistenza di un ’umanità del futuro (o di una corrispondente razza aliena) altrettanto diversa dall’attuale, quanto l’uom o di oggi lo è dai suoi predecessori an tropoidi: forse Clarke e Kubrick pensavano a com e la biologia e la m edicina si riprom ettono di trasformare la natura fisica dell’uom o ad esem pio prolun gandone la vita, perm ettendogli di potenziare le sue facoltà m entali ecc. L’in venzione dei prim i utensili, essi dicono, ha perm esso all’uom o di dominare ogni anim ale; l’invenzione della scienza lo porterà a vin cere ogni rim an ente limite naturale. Tuttavia, al di là dell’ipotesi che ci potrà essere un cam biam ento, nessuno può onestam ente prevedere le caratteristiche fisiche e m entali dell’uom o del futuro. A voler descrivere il superuom o si rischia di arenarsi nella banalità o nel ritratto di qualche fum ettistico Superm an: di conseguenza, il rom anzo si lim ita a dirci che il protagonista diventa qualcosa di diverso e il film si lim ita a m ostrarci un embrione che galleggia nello spazio. È stata una decisione m olto sofferta, poiché fino all’ultim o m om ento Clarke e Kubrick hanno cercato altre soluzioni che perm ettessero di presentare, senza barare, un plausibile ritratto del superuom o. Gli episodi centrali, che descrivono i viaggi sulla Luna e a Saturno (Giove, nel film ), sono un esem pio del tipo di narrazione che ha reso celebre Clarke nel cam po della fan tascienza: la storia di vera e propria an ticipazione scientifica, l’equivalente odierno dei rom anzi profetici di Verne del secolo scorso. Clarke ha sem pre prestato m olta attenzione alla verosim iglianza delle ipotesi scientifiche su cui basava i suoi rom anzi, e Kubrick ha approfittato di questa caratteristica del suo coautore per seguire alcuni suoi personali in teressi. Da un lato, con una sorta di frecciata contro i film di fantascienza degli anni –6– cinquan ta, i due autori ci m ostrano com e la conquista dello spazio non riservi ai suoi protagonisti l’avventura, bensì sia solo noia, straniam ento e tecnologia. Rientra in questo filone la nota ironica con cui Kubrick accom pagna con la m usica del Dan ubio blu la lenta rivoluzione della stazione spaziale, com e se fosse la gran de ruota del viennese Prater. Dall’altro lato, Kubrick in tende esplorare gli aspetti form ali della futura tecnologia che Clarke gli ipotizza: perciò studia ogni in quadratura com e se si trattasse di una foto da pubblicare su una rivista di arte fotografica. Nasce così una serie di sequenze a cui hanno attin to tutti i film di fan tascienza girati in seguito: per fare un solo esem pio, al passaggio della Discovery davan ti all’obiettivo, allorché la vediam o per la prima volta, si è ispirato Lucas per le in quadrature in iziali di Guerre stellari. Con le sue luci, con i suoi m odellin i e con i suoi m ovim enti di m acchina, Kubrick ha virtualm ente m onopolizzato il film di fantascienza degli anni seguenti; per trovare idee altrettan to valide visivam ente, che non risentano dell’in fluenza di 20 0 1, occorre aspettare le scenografie costruite dal pittore Giger per l’astronave extraterrestre del film Alien. A partire dalla scoperta della prim a arma, la tecnologia ha dunque esorcizzato il mistero, m a esso ritorna nell’episodio finale, dopo la fine del viaggio della Discovery . Rispondendo a chi gli chiedeva il sign ificato del finale del film , Kubrick autorizzava a basarsi sulle parole del rom an zo, ossia sulla spiegazione che l’episodio si svolge in un superlaboratorio scientifico di una razza extraterrestre. Ma è chiaro che non è tutta la spiegazion e. A proposito di questo finale, Clarke riferisce in fatti di avere proposto, in sede di stesura del soggetto, tutta una serie di sequenze dedicate alla descrizione degli alieni; ogni volta, Kubrick dapprim a le ha approvate, m a in seguito ha deciso di non realizzarle. La lavorazione del film è riferita da Clarke in un libro, The Lost W orlds of 20 0 1, in cui parla della collaborazione tra lui e Kubrick: una collaborazion e che si protrasse per quattro anni – 7– esatti. Il film fu proiettato nell’aprile 1968, m a Kubrick iniziò a parlarne con Clarke fin dall’aprile del 1964: si m ise in contatto con lui perché intendeva girare un film sul rapporto tra l’uom o e l’universo. Cercava una storia m itica e simbolica che gli perm ettesse di giocare con le sim m etrie della tram a. E probabile che Kubrick avesse in m ente alcuni film del decenn io precedente: Uom ini sulla Luna, La conquista dello spazio e Il pianeta proibito. I primi due eran o stati realizzati dal produttore George Pal in m odo alquanto im pegnativo, ricorrendo alla consulenza di esperti com e lo scrittore Heinlein, il pittore Boneystell e perfino il m itico Wernher von Braun. Il terzo riusciva a trasm ettere un senso di sgom ento di fronte alle realizzazioni di un ’antica razza extraterrestre. Seguendo l’esem pio di Pal, an che Kubrick si rivolse a un afferm ato scrittore di fantascienza per studiare con lui il soggetto. Clarke, che era nato in Inghilterra nel 1917 e che dal 1956 abitava a Ceylon, era il più im portante scrittore in glese specializzato, era uno scienziato e un giornalista scientifico. Era noto per varie raccolte di racconti e per alcuni rom anzi: Le sabbie di Marte e Preludio allo spazio, che descrivono la colonizzazione dei pianeti del sistem a solare; La città e le stelle, storia ambientata nel lontanissim o futuro; Le guide del tram onto, storia di contatto con gli extraterrestri. In questi due ultimi rom anzi dimostrava di essere tendenzialm ente portato alle riflessioni sul destino che, a lun ga scadenza, poteva toccare all’uom o e alla sua scienza; in uno com pare una città che rappresenta il punto più alto della tecnologia, nell’altro c’è l’ipotesi di una futura evoluzione della m ente umana: entram bi si arm onizzavano bene con l’esigenza di Kubrick di presentare un a storia m itica e sim bolica. Dopo essere stato chiam ato da Kubrick, Clarke prese alcuni spun ti già contenuti in suoi racconti degli anni precedenti e propose al regista una prim a versione del soggetto. Al centro del film doveva esserci la storia narrata nel racconto La sentinella, in cui si parla del ritrovam ento, sulla Luna, di una costruzione lasciata laggiù da esseri di un altro sistem a solare. Passato il –8– prim o periodo di m eraviglia, l’uom o che l’ha scoperta com in cia però ad avere un sospetto: forse è una sorta di segnale d’allarm e, con lo scopo di avvertire qualche ign ota razza aliena del fatto che i terrestri orm ai sono in grado di lasciare il loro pian eta. E il sospetto è in quietante perché quegli alieni “forse vogliono aiutare la nostra civiltà an cora bambina, ma devono essere m olto vecchi e spesso i vecchi sono assurdam ente gelosi dei giovani.” Un altro dei racconti accettati in origine da Kubrick era intitolato Spedizione alla Terra; Clarke ne scrisse l’adattam ento e Kubrick, in un prim o tempo, lo incluse tutto nella sceneggiatura, m a in seguito ne elimin ò varie parti. Parlava di un extraterrestre chiam ato Clindar, esteriormente m olto sim ile a un uom o, che nel lontan o passato era sceso sul nostro pian eta con la sua astronave, aveva fatto am icizia con una tribù di an tropoidi e aveva insegnato loro a utilizzare i prim i utensili. Nella stesura definitiva non com pariranno né l’extraterrestre, né l’am icizia tra l’uom o-scim m ia e il superuom o. Per soddisfare Kubrick, Clarke abbandonò l’idea di far vedere direttam ente un extraterrestre e spostò il centro dell’attenzione sull’invenzion e della prim a arm a: la prim ordiale invenzione da cui deriva tutto il successivo sviluppo dell’uom o. Oggi l’ipotesi che il prim o uomo sia stato un Cain o è giudicata alquanto sem plicistica, m a ha goduto di una certa diffusion e negli anni sessanta, dopo la scoperta che l’australopiteco africanus, più piccolo, m a capace di usare com e m azza un osso di an tilope, aveva soppiantato il cugin o robustus, vegetarian o e non aggressivo. Curiosam ente, il m assim o divulgatore di questa ricostruzione era stato non uno scienziato, ma un giornalista e com m ediografo, Robert Ardrey, in un libro intitolato, nell’edizione italiana, L’istinto di uccidere; com unque, l’idea della natura fondam entalm ente omicida dell’uom o aveva trovato consenziente anche Konrad Lorenz. –9– Clarke riferisce nel suo diario di essere stato m olto colpito da una frase del libro di Ardrey, il cui titolo originale è Genesi africana: 2 ottobre 1964. Term inato di leggere African Genesis di Robert Ardrey. Ho in contrato una frase che m i ha colpito e che potrebbe suggerirci un possibile titolo per il film : “Perché gli antenati dell’uom o non si sono estinti nelle profondità del Pliocene? (…) sappiam o che soltanto grazie a un dono delle stelle, soltanto grazie all’accidentale collisione tra raggio e gene, l’intelligenza n on è andata perduta su qualch e dim en ticata prateria dell’Africa.” Certo, Ardrey parla di m utazioni dovute ai raggi cosm ici, m a la frase “Un dono delle stelle” m i pare straordinariam ente adatta alla storia che stiam o scrivendo. Clarke riporta in Lost W orlds of 20 0 1 le varie proposte scartate da Kubrick e m olti brani del suo diario, che rivela com e sia avvenuta la stesura del libro. Per esem pio: 28 m aggio 1964. Suggerisco a Stanley (Kubrick) che “quelli” potrebbero essere m acchin e intelligenti che considerano la vita organica com e un’orribile m alattia. Stanley dice che l’idea è buona e che bisogn a ten erla presente. 12 luglio 1964. Adesso abbiam o tutto, eccetto la storia. 28 luglio 1964. Stanley: “Ciò che vogliam o è un tem a sconvolgente, di m itica gran dezza.” 1 agosto 1964. Il Ranger VII si è schian tato sulla superficie lunare. Stanley si preoccupa per le annunciate sonde m arziane: e se scoprissero qualcosa che dà il colpo di grazia alla nostra storia? (Più tardi Stanley s’inform ò presso i Lloyd se fossero disposti ad assicurarlo.) 6 agosto 1964. Stanley suggerisce che il com puter sia di sesso fem m inile e che si chiam i Athen a. 17 agosto 1964. Fin alm en te abbiam o anche il n om e del protagonista: Alex Bowm an. Urrah! 6 ottobre 1964. Un’idea che m i pare cruciale. L’altro sistem a stellare è abitato da uom ini prelevati sulla Terra centom ila anni fa, e perciò virtualm ente identici a noi. 17 ottobre 1964. A Stanley è ven uta in m ente un’idea pazza: dei robot un po’ checche, che h anno costruito un am biente in stile vittoriano a beneficio dei nostri er oi per evitare che si spaventin o. – 10 – 10 dicem bre 1964. Stanley m i chiam a dopo avere visto N el 20 0 0 guerra o pace; dice che n on si farà m ai più proiettare un film raccom andato da m e. Alla fin e del 1964 la sceneggiatura e il romanzo erano com pleti. In un prim o tempo, il film doveva chiam arsi Viaggio oltre le stelle; altri titoli proposti: Universo, Tunnel verso le stelle e Discesa planetaria. “Dovevano passare un dici m esi” scrive Clarke “e si doveva giungere all’aprile 1965, prim a che Stanley scegliesse quello definitivo. A quanto ricordo, l’idea fu soltanto sua.” La produzione iniziò, m a man cava an cora il finale. Clarke annota nel diario: 25 agosto 1965. H o capito com e deve assolutam ente finire la storia: con Bowm an ferm o accanto alla n ave aliena. 1 ottobre 1965. Stanley m i ha telefonato per com unicarm i un altro fin ale. 3 ottobre 1965. Stanley m i h a telefonato: è ancora preoccupato per il fin ale. Gli ho riferito le ultim e idee che m i sono ven ute in m ente, e, senza che m e l’aspettassi, una gli è piaciuta m oltissim o. Bowm an regredisce fin o all’infanzia e n oi lo vediam o sotto form a di un neonato che orbita nello spazio. Stanley m i ha richiam ato più tardi: era ancora entusiasta. Sper o che n on sia un falso ottim ism o. 5 ottobre 1965. H o trovato un m otivo logico perché Bowm an appaia com e un neonato in orbita. È l’im m agine che, giunto a quello stadio di sviluppo, Bowm an ha di se stesso. E, chissà, forse la Coscienza Cosm ica ha il senso dello hum our! L’ho telefonato a Stanley. Non m i è parso particolarm ente colpito da queste osservazioni, m a adesso m i sento tranquillo. 15 ottobre 1965. Stanley ha deciso di far m orire tutto l’equipaggio della Discovery , in m odo che Bowm an resti solo. Un po’ drastico, m a m i pare giusto. Dopotutto, Ulisse fu il solo superstite. Le riprese com in ciarono alla fine dell’an no e per tutta la lavorazione, racconta Clarke, Kubrick continuò a chiedergli nuove proposte per il finale. L’idea della Sentinella, consistente nel suggerim ento che gli alieni fossero ostili, era stata scartata fin dall’inizio e si voleva soprattutto dare il senso di un’intelligenza enorm em ente più progredita dell’uom o. – 11 – Com e riferisce Clarke, eran o state prese in esam e m olte classiche ipotesi della fantascienza (la civiltà dei robot, la tribù um ana perduta), m a Kubrick le aveva scartate. Prim a che Kubrick arrivasse a scegliere la versione definitiva, Clarke suggerì altri possibili finali: nel prim o di essi, quel m edesim o Clindar che era stato sulla Terra tre m ilioni di anni prima (e che era im m ortale grazie alla sua scienza) accoglieva sul suo pian eta l’equipaggio della Discovery . In un’altra version e scartata, il m onolito in orbita attorno a Giove non era una porta su altre dim ensioni fisiche e m entali, m a un contenitore: in esso c’era Clindar, che dorm iva da milioni di anni e che si risvegliava all’arrivo dei terrestri. In altre proposte successive, sviluppate da Clarke dopo che Kubrick aveva deciso di eliminare il resto dell’equipaggio, Bowman , alla fine del viaggio, trovava creature estrem a-m ente diverse dall’uom o, oppure atterrava su un pianeta disabitato, poiché i costruttori del m onolito si erano estinti e sopravvivevano solo le loro m acchin e program mate. Di tutti questi suggerim enti, quali sono stati approvati per la versione definitiva? Bowm an esce con la capsula a osservare il m onolito orbitan te attorno a Giove e si trova catapultato attraverso lo spazio tra le stelle. En tra in orbita attorno a un pian eta diverso dalla Terra e, quando la navicella si arresta, scopre di trovarsi in una cam era di tipo terrestre. In quell’am biente ha l’esperienza della m orte e al m om ento della m orte viene trasform ato in un ’entità non più soggetta ai vincoli materiali. (Nel film , al m om ento della m orte ricom pare il m onolito, che con la sua presenza trasforma Bowm an in qualcosa di diverso dall’uom o, così com e aveva trasform ato in qualcosa di diverso dall’anim ale gli uomini scimm ia.) L’aspetto più singolare delle parti di 20 0 1 che si svolgono nell’ambiente di tipo terrestre – che nel film è la stanza in stile settecentesco – è però un altro, ossia il fatto che an ch’esse sono un luogo comun e della fan tascienza, non diversam ente dai robot, dagli alieni im mortali e dalle tribù prelevate in blocco dai dischi volanti. – 12 – Infatti l’intera sequenza ha una forte affinità con quanto accade in un fam oso romanzo fan tascientifico, The W eapon Makers di A. E. van Vogt, pubblicato nel 1943 e certo noto a A.C. Clarke, essendo apparso in un periodico a cui collaborava egli stesso. Verso la m età del rom anzo di van Vogt, il protagonista Hedrock fugge dalla Terra a bordo di una piccola astronave sperim entale, capace di viaggiare più veloce della luce, e perde i sensi a causa dell’accelerazione al decollo. Mentre si allontana, privo di conoscenza, nello spazio interstellare, la sua nave è catturata da alcune entità extraterrestri che eseguon o uno studio della razza umana e della sua em otività. Quando si risveglia, Hedrock scopre che la sua navicella è atterrata in un ambiente-fan toccio costruito dagli extraterrestri per saggiare le sue reazioni: una scenografia che è la ricostruzione esatta della sua città, così com ’era prim a che lui la lasciasse. Esce dall’abitacolo e dapprim a trova una copia di se stesso, in una navicella uguale alla sua. Poi entra in un edificio e vi scorge un uom o in tento a leggere una lettera. (L’uom o è un suo conoscente, un tale Neelan , e la lettera contiene certe inform azioni cercate da Hedrock.) A questo pun to, gli extraterrestri trasferiscono la m ente di Hedrock nel corpo di Neelan per dargli m odo di leggere la lettera; in seguito, finché proseguirà l’“esperim ento” – Hedrock resterà nel corpo dell’altro. Com e si vede, le an alogie tra l’episodio di van Vogt e quello di 20 0 1 sono troppo num erose perché si tratti solo di una concom itanza accidentale: in entram bi com paion o il viaggio a una velocità superiore a quella della luce, l’atterraggio in ambientefan toccio uguale a quello terrestre m a sottilm ente diverso, le varie copie della stessa persona e il passaggio della coscienza da un corpo all’altro. Curiosam ente, Clarke non accenna m ai a van Vogt nel suo libro di ricordi, com e se avesse rim osso dalla sua m ente il ricordo dell’episodio. Si ha il sospetto che dopo avere proposto a Kubrick spun ti tratti dai suoi racconti, dopo essere passato a quelli – 13 – degli autori da lui apprezzati, alla fine sia giunto a proporgli an che quelli di autori che non gli piacevan o m inim am ente: per esem pio van Vogt, che per la scienza non ha mai avuto alcun rispetto. La m entalità di Clarke, che scrive nel suo diario che non sarebbe stato tranquillo finché non avesse trovato una giustificazione razionale dell’im m agin e conclusiva del film , è agli an tipodi di quella di van Vogt, autore che non si è m ai curato della verosim iglianza scientifica e che si van tava di scrivere i romanzi a braccio. Ma Kubrick cercava evidentem ente i suggerim enti intuitivi e non le razionalizzazioni: per tutta la lavorazione cercò di far oltrepassare a Clarke i lim iti del rigore scientifico e dell’osservanza della logica. Nel tracciare il bilancio della sua esperienza con Kubrick, Clarke dà l’im pressione di essersi alquan to seccato a causa dell’in decision e del regista, che gli chiedeva infiniti rifacim enti e che, se da un lato era facile a entusiasm arsi, dall’altro cam biava facilm ente idea. Leggiam o in Lost W orlds of 20 0 1 che il romanzo doveva essere pubblicato nel 1966, m a che Kubrick, all’ultim o m om ento, quando il libro era già in tipografia, ferm ò la pubblicazione: “Nessun o poteva prevedere che dovevano an cora passare due anni prima che uscisse nell’estate del 1968, m esi dopo il film .” Alla fine, tutto si sistem ò, com e Stanley aveva predetto, scrive Clarke. E conclude: “Ma ci sono m odi più tran quilli di guadagnarsi la vita.” Tuttavia, nonostante queste recrim inazioni, colui che ha tratto m aggiori vantaggi dalla collaborazione è stato senza dubbio Clarke. Kubrick gli ha im posto i suoi standard di qualità e, an che se Clarke non lo dice, gli ha in segnato a non avere paura dell’am biguità e delle narrazioni aperte. Dopo essere stato con Kubrick, i romanzi di Clarke m ostrano chiaram ente l’influsso di 20 0 1. Lavoran do con Kubrick, Clarke ha im parato a elim inare le pagin e di cui non era soddisfatto, in vece di cercare di salvarle a tutti i costi. – 14 – A iniziare dal rom anzo 20 0 1, le opere di Clarke sono assai più com patte di quelle precedenti. Soprattutto, lo scritto che m ostra com e abbia tratto profitto dalla collaborazione con Kubrick è la sua più im portan te opera: Incontro con Ram a. In questo rom anzo si descrive l’incontro tra l’um anità e un a misteriosa com eta artificiale (chiamata Rama), che, nella sua traiettoria, si avvicina per qualche tempo al Sole per poi scomparire di nuovo nello spazio. Assistiamo all’arrivo di questo corpo astronomico, al suo progressivo disgelo, al risveglio dei m eccanism i in esso contenuti. Riprende a funzionare e rivela chiaram ente la sua natura di habitat artificiale, m a le sue attività sono indifferenti alla presenza dell’uom o e non offrono alcun indizio sui suoi costruttori. La sensazion e com plessiva che resta nel lettore alla fin e di Incontro con Ram a è di stupore per il m istero dell’universo, che è in fatti il vero protagonista del rom anzo. Lo stesso tipo di enigm a cosmico che in 20 0 1 era rappresentato dall’arcana com parsa di qualche in telligenza superiore e a cui, nel film , rimandava la musica di Strauss. Riccardo Valla – 15 – P R E M E SS A Dietro ogni uom o oggi vivente stanno trenta spettri, poiché questo è il rapporto con il quale i m orti superano il num ero dei vivi. Dagli albori del tempo, grosso m odo cento m iliardi di esseri um ani hann o cam m inato sul pianeta Terra. Orbene, è questo un num ero in teressante, in quan to, per una coin cidenza bizzarra, esistono approssim ativam ente cento m iliardi di stelle nel nostro universo locale, la Via Lattea. Così, per ogni uom o che abbia vissuto, in questo universo splende un a stella. Ma ognuna di queste stelle è un astro, spesso di gran lunga più brillan te e lum inoso della piccola stella a noi vicina che chiamiam o il Sole. E m olti, la maggior parte, forse, di questi astri estran ei hanno pianeti che ruotano in torno ad essi. Così, quasi certam ente, esistono abbastan za terre nel firm am ento per offrire a ciascun com ponente della specie umana, tornan do in dietro nel tempo fin o al prim o uom o-scim mia, il suo paradiso, o il suo inferno, personale, grande com e il nostro m ondo. Non abbiam o alcun m odo di supporre quanti di questi potenziali inferni e paradisi siano attualm ente abitati, e da quale specie di creature; il più prossim o è un m ilione di volte più lontano di Marte o di Venere, le m ete an cor rem ote della prossima generazione. Ma le barriere della distanza stann o crollando; un giorno incontrerem o i nostri pari, o i nostri padroni, tra le stelle. Gli uomini hanno tardato ad affrontare tale prospettiva; alcuni sperano ancora che possa non avverarsi m ai. Ma altri, in num ero sem pre più grande, si stanno doman dando: «Perché – 16 – questi incontri non si sono già determ in ati, dato che noi stessi siam o sul pun to di avventurarci n ello spazio?» Perché no, infatti? Ecco una possibile risposta a questo interrogativo ragionevolissim o. Ma, vi prego di ricordarlo: il libro è soltanto frutto dell’im maginazione. La verità, com e sem pre, sarà di gran lun ga più strana. A. C. C. – 17 – CAP I TOLO P R I M O N OTTE P R I M E VA LA VI A D E LL’E STI N ZI ON E La siccità si protraeva orm ai da dieci m ilioni di anni, e il regno delle terribili lucertole era finito da m olto tempo. Lì, sull’Equatore, nel contin ente che un giorno sarebbe stato chiam ato Africa, la lotta per la vita aveva raggiun to un nuovo diapason di ferocia, e il vincitore ancora non si in travedeva. In quella terra sterile e arida soltan to le creature piccole o fulmin ee o feroci potevan o prosperare, o appena sperare di sopravvivere. Gli uom ini-scim mia del veldt non possedevano alcuna di queste caratteristiche e non stavano prosperando; si trovavan o an zi già m olto avanti sulla via dell’estinzione della razza. Una cinquan tina di loro occupava un gruppo di caverne che dominavano una valletta riarsa, percorsa da un pigro torrente alim entato dalle nevi delle m ontagne trecentoventi chilom etri più a nord. Nei tempi cattivi il torrente svaniva del tutto, e la tribù viveva all’om bra della sete. Erano sem pre affam ati, gli uom ini-scim mia, e ora stavano m orendo di fam e. Quando il prim o tenue chiarore dell’alba si in sinuò nella caverna, Guarda-la-Luna vide che suo padre era m orto durante la notte. Ignorava che il Vecchio fosse suo padre, poiché un sim ile rapporto di parentela era com pletam ente al di là dalle sue capacità di com prensione, m a, m entre contem plava – 18 – il corpo em aciato, provò un’inquietudine vaga, l’antenata della tristezza. I due piccoli già uggiolavan o chiedendo cibo, m a tacquero quando Guarda-la-Luna rin ghiò contro di loro. Una delle madri, per difendere il poppante che non riusciva ad allattare a sufficienza, ringhiò a sua volta irosamente; a lui m ancò la forza an che soltanto di percuoterla per la sua presunzione. Orm ai faceva abbastanza chiaro per an darsene. Guarda-laLuna sollevò il cadavere avvizzito e lo trascin ò dietro di sé, m entre si chinava sotto la bassa volta della caverna. Una volta fuori, si caricò il corpo sulle spalle e assunse una posizione eretta… l’unico anim ale in quel m ondo che ne fosse capace. Tra le creature della sua razza, Guarda-la-Luna era quasi un gigante, alto forse un m etro e m ezzo, e, sebbene assai denutrito, pesava più di cinquanta chili. Il suo corpo peloso e muscoloso era una via di m ezzo tra la scim mia e l’uom o, ma la testa si avvicinava m olto di più a quella dell’uom o che a quella della scim m ia. La fronte era bassa, con sporgenze ossee sopra le orbite, eppure egli possedeva in equivocabilm ente nei propri geni la prom essa dell’um anità. Mentre contem plava, fuori dalla caverna, il m ondo ostile del Pleistocene, v’era già qualcosa nel suo sguardo che trascendeva le capacità di qualsiasi scim mia. In quegli occhi scuri, profondam ente infossati, si celava una nascente consapevolezza… i primi barlum i di un’intelligenza cui an cora per epoche non sarebbe stato possibile estrinsecarsi, e che presto si sarebbe potuta estinguere per sem pre. Non si vedeva alcun indizio di pericolo, e così Guarda-laLuna incomin ciò a strisciare giù per il pendio quasi verticale fuori dalla caverna, ostacolato soltan to in m odo trascurabile dal suo fardello. Quasi avessero aspettato il suo segnale, gli altri della tribù sbucarono fuori dai loro rifugi, più in basso sulla parete rocciosa, e in com inciarono ad affrettarsi verso le acque m elm ose del torrente per l’abbeverata m attutina. Guarda-la-Luna spinse lo sguardo oltre la valle per vedere se gli Altri fossero visibili, m a non se ne scorgeva traccia. Forse non erano ancora usciti dalle loro caverne, oppure stavano già – 19 – foraggiando più avanti, lungo il fian co della collina. Poiché rim an evano in visibili, Guarda-la-Luna li dim enticò; era incapace di crucciarsi per più di una cosa alla volta. Anzitutto doveva sbarazzarsi del Vecchio, ma questo era un problem a che richiedeva poca riflessione. Vi eran o state m olte m orti in quella stagione, una di esse nella sua caverna; doveva soltanto lasciare il cadavere dove aveva abban donato l’ultim o piccolo, all’ultim o quarto di luna, e le iene avrebbero fatto il resto. Già eran o in attesa, ove la valletta si apriva a ventaglio nella savana, quasi avessero saputo che lui stava arrivan do. Guardala-Luna lasciò il cadavere sotto un piccolo cespuglio (tutte le ossa di prim a erano già scomparse) e si affrettò a tornare in dietro per raggiungere la tribù. Non doveva pensare m ai più a suo padre. Le sue due fem m ine, gli adulti delle altre caverne, e quasi tutti i giovani stavano foraggiando tra gli alberi resi stenti dalla siccità, più a m onte nella valle, in cerca di bacche, di radici succulente e di foglie, non ché, occasionalm ente, di inaspettati colpi di fortuna com e piccole lucertole o roditori. Soltan to i piccoli e i più deboli tra i vecchi venivano lasciati nelle caverne; se al term in e delle ricerche di un’intera giornata fosse avanzato del cibo, avrebbero potuto sfam arsi. Altrim enti, ben presto, le iene sarebbero state fortunate una volta di più. Ma quel giorno era propizio, anche se, non serbando alcun vero ricordo del passato, Guarda-la-Luna non poteva paragonare un periodo di tempo con l’altro. Egli aveva trovato un alveare nel tronco di un albero m orto, e si era così goduto la suprem a ghiottoneria che il suo popolo potesse m ai conoscere; seguitava a leccarsi le dita, di tanto in tanto, nel tardo pom eriggio, guidando il gruppo verso la caverna. Naturalm ente, gli era toccato an che un bel num ero di punture, m a quasi non ci aveva badato. Si trovava adesso tanto vicin o al com pleto soddisfacim ento quanto forse non lo sarebbe mai più stato; infatti, sebbene fosse an cora affam ato, non era effettivam ente indebolito dalla fam e. – 20 – Questo era il m assim o cui un uom o-scim mia potesse m ai aspirare. La sua contentezza svanì quando giunse al torrente. Gli Altri eran o là. Vi si trovavan o ogni giorno, ma non per questo la cosa sem brava m eno esasperante. Erano una trentina circa, e sarebbe stato im possibile distinguerli dagli appartenenti alla tribù di Guarda-la-Luna. Vedendolo sopraggiungere, in comin ciarono a danzare, ad agitare le braccia e a strillare, dal loro lato del torrente, e il popolo di Guarda-la-Luna rispose nello stesso m odo. Non accadde altro. Sebbene gli uom ini-scim m ia si battessero e lottassero spesso gli uni con gli altri, le loro dispute davano luogo m olto di rado a gravi ferite. Non possedendo artigli né denti canini per battersi, ed essendo ben protetti dal pelo, non potevano farsi un gran male a vicenda. In ogni caso, avevano ben poca energia in sovrappiù per un com portam ento così im produttivo; ringhiare e m inacciarsi era una m aniera assai più efficiente per far valere i loro punti di vista. Il confronto si protrasse per circa cinque minuti; poi l’esibizione cessò rapidam ente com e era com inciata, e tutti bevvero a sazietà l’acqua m elm osa. Il senso dell’onore era stato appagato; ciascun gruppo aveva afferm ato i suoi diritti sul proprio territorio. Un a questione così im portante essendo stata risolta, la tribù proseguì lun go il suo lato del torrente. Il pascolo più vicino si trovava adesso a oltre un chilom etro e m ezzo dalle caverne, ed essi dovevano condividerlo con un branco di grosse bestie sim ili ad an tilopi, le quali a m alapena tolleravano la loro presenza. Non potevano essere scacciate, poiché erano arm ate con pugnali feroci sulla fronte: arm i naturali che gli uom iniscim m ia non possedevano. Così Guarda-la-Luna e i suoi compagni m asticavano bacche e frutta e foglie e scacciavan o le fitte della fam e, m entre tutto intorno a loro, in com petizione con loro per lo stesso cibo, esistevano riserve di viveri superiori a quanto avrebbero m ai potuto sperare di m an giare. Eppure, le m igliaia di tonnellate di carne succulenta che vagabondavano nella savana e attraverso la bo- – 21 – scaglia non erano soltanto di là dalla loro portata, m a anche di là dalla loro im m aginazion e. In piena abbondanza, essi stavan o lentam ente m orendo di fam e. La tribù tornò alle caverne senza alcun in cidente nell’ultima luce del giorno. La fem m ina ferita rim asta al riparo tubò di piacere, m entre Guarda-la-Luna le dava il ram o coperto di bacche, che aveva portato sin lì, e in cominciò ad attaccarlo fam elica. Il nutrim ento era ben scarso, m a le avrebbe consentito di sopravvivere fino a quando la ferita infertale dal leopardo non si fosse cicatrizzata, consentendole di tornare per suo conto in cerca di foraggio. Sulla valle stava sorgendo la luna piena, e un vento gelido soffiava dai m onti lontani. Avrebbe fatto molto freddo, quella notte… ma il freddo, com e la fam e, non era causa di gravi preoccupazioni; era soltanto un aspetto dell’am biente in cui si svolgeva la loro esistenza. Guarda-la-Luna si m osse appena quando udì gli urli e gli strilli riecheggiati dal versante della m ontagna e provenienti da una delle caverne più in basso; non aveva bisogno di sentire i ringhi saltuari del leopardo per rendersi esattam ente conto di quanto stava accadendo. Laggiù nelle tenebre, il vecchio Pelo Bianco e la sua famiglia stavan o com battendo e m orendo, e l’idea che egli avrebbe potuto aiutarli in qualche modo non balenò nem m eno per un attim o nella m ente di Guarda-la-Luna. La logica feroce della sopravvivenza escludeva tali fan tasticherie, e non una voce si levò per protestare dal fianco in ascolto dell’altura. In ogni caverna regnava il silenzio, per non attrarre il disastro anche da quella parte. Il tumulto cessò, e di lì a poco Guarda-la-Luna udì il fruscio di un corpo trascinato sulle rocce. Si protrasse soltanto per pochi secondi, poi il leopardo riuscì ad afferrare saldam ente la preda; non causò altri rum ori m entre si allontanava silenziosam ente sulle zam pe di velluto, portando senza fatica la vittima tra le m ascelle. Per un giorno o due, non vi sarebbero stati nuovi pericoli lì, m a potevano esservi altri nem ici in giro, approfittan do di quel – 22 – Piccolo Sole freddo che splendeva soltanto duran te la notte. Se v’era un preavviso sufficiente, i predatori più piccoli potevano a volte essere spaventati e allontanati con urla e strilli. Guarda-laLuna strisciò fuori dalla caverna, si arram picò su un grosso macigno accanto all’im boccatura e là si accosciò a sorvegliare la valle. Tra tutte le creature che avevano cam m inato fin o a quel giorno sulla Terra, gli uomini-scim m ia eran o i prim i a contem plare costantemente la luna. E sebbene non potesse ricordarlo, Guarda-la-Luna, quando era stato molto giovane, aveva cercato a volte di protendersi e di toccare quella faccia spettrale che saliva nel cielo sopra i m onti. Non vi era mai riuscito, e ormai aveva abbastanza anni per capire perché. Anzitutto, naturalmente, doveva trovare un albero sufficientem ente alto sul quale arram picarsi. A volte osservava la valle e a volte osservava la luna, m a sem pre rim aneva in ascolto; una o due volte si appisolò, m a il suo sonno era leggerissimo, e il minim o suono lo avrebbe disturbato. Nell’avanzatissima età di venticin que anni, possedeva an cora appieno tutte le sue facoltà; se la fortuna avesse continuato a essergli propizia, e se fosse riuscito a evitare incidenti, malattie, anim ali da preda e la m orte per fam e, avrebbe potuto sopravvivere per altri dieci anni. La notte continuò a trascorrere, gelida e lim pida, senza altri allarm i e la luna salì adagio tra costellazioni equatoriali che nessuno sguardo um ano avrebbe mai veduto. Nelle caverne, tra periodi di sonno interm ittente e di tim orosa attesa, nascevano gli in cubi di generazioni di là da venire. E per due volte un pun tino luminoso abbacinante, più vivido di ogni stella, attraversò adagio il cielo, salendo fino allo zenit e discendendo poi a oriente. – 23 – LA N U OVA P I E TR A A notte alta, Guarda-la-Luna im provvisam ente si destò. Esausto dopo le fatiche e i disastri della giornata, aveva dorm ito più profondam ente del solito, eppure fu istan tan eam ente all’erta al prim o fioco raschio giù nella valle. Si drizzò a sedere nella fetida oscurità della caverna, tendendo i propri sensi verso l’esterno, verso la notte, e la paura si insinuò adagio nell’anim a sua. Mai nel corso della sua esistenza, già due volte più lun ga di quan to potessero aspettarsi quasi tutti gli appartenenti alla specie, aveva udito un suono com e quello. I gran di felini si avvicinavano silenziosi e la sola cosa che li tradisse era un raro franare di terriccio, o lo schianto occasionale di un ram o. Ma questo era un suono scricchiolante e inin terrotto, che an dava divenendo sem pre più forte. Si sarebbe detto che qualche anim ale enorm e si stesse m uovendo nella notte, senza tentare in alcun m odo di nascondersi, e ign orando tutti gli ostacoli. A un certo m om ento, Guarda-la-Luna udì il rumore inequivocabile di un cespuglio sradicato; gli elefanti e i dinoterii sradicavano abbastanza spesso cespugli, ma, a parte questo, si m uovevano silenziosam ente com e i felini. E poi vi fu un suono che Guarda-la-Luna non avrebbe potuto riconoscere, perché non era m ai stato udito prim a nella storia del m ondo. Era un cozzare del m etallo contro la pietra. Guarda-la-Luna venn e a trovarsi faccia a faccia con la Nuova Pietra quando guidò la tribù giù al fium e nella prima luce dell’alba. Aveva quasi dim enticato i terrori di quella notte, perché nulla era accaduto dopo lo strepito iniziale, per cui egli non associò neppure la stran a cosa con il pericolo o la paura. Essa non aveva, in fin dei conti, alcunché di allarm ante. Si trattava di un m onolito rettangolare, tre volte più alto di lui, m a stretto abbastanza perché potesse cingerlo con le braccia, ed era fatto di un materiale com pletam ente trasparente; in vero, non fu facile scorgerlo, tranne quando il sole nascente – 24 – scintillò sui suoi spigoli. Poiché Guarda-la-Luna non aveva mai veduto il ghiaccio, e nemm eno acqua lim pida com e cristallo, non esistevano oggetti naturali ai quali egli potesse paragonare questa apparizione. Era senz’altro piuttosto allettante, e sebbene egli fosse prudentem ente circospetto di fronte a quasi tutte le cose nuove, non esitò a lun go prim a di avvicinarsi. Poiché non accadeva nulla, sporse una m ano e tastò una superficie fredda e dura. Dopo parecchi minuti di in tense riflessioni, pervenne a una spiegazion e brillan te. Era una pietra, naturalm ente, e doveva essere cresciuta durante la notte. Esistevano m olte pian te che facevan o altrettan to… piante bianche, carnose, dalla forma di ciottoli, che sembravano crescere durante le ore di oscurità. Si trattava di piante piccole e rotonde, questo sì, m entre la pietra era gran de e aveva orli affilati; m a filosofi più grandi e più tardi di Guarda-la-Luna sarebbero stati disposti a ignorare eccezioni altrettan to notevoli alle loro teorie. Questo esem pio davvero superbo di pensiero astratto condusse Guarda-la-Luna, dopo tre o quattro m inuti appena, a una deduzione che egli m ise im m ediatam ente alla prova. Le pian teciottoli bianche e rotonde erano molto saporite (sebbene alcune di esse provocassero violenti m alesseri); forse quest’altra, così alta…? Alcun e leccatin e e alcuni m orsi esitan ti lo disillusero rapidam ente. Non ci si poteva nutrire con la Nuova Pietra; e pertan to, da uom o-scim m ia ragionevole, egli proseguì il cam min o fin o al torrente e dim enticò ogni cosa del m onolito cristallin o duran te la routine quotidiana degli strilli contro gli Altri. La ricerca di foraggio quel giorno rese pochissim o, e la tribù dovette allontan arsi di parecchi chilom etri dalle caverne per trovare un po’ di cibo. Durante la calura spietata del m ezzogiorno, una delle fem m ine più deboli crollò, lontan o da ogni possibile rifugio. Le com pagne le si riun irono attorno, squittendo e gem endo com prensive, m a nessun o poteva far niente. Se gli uom iniscim m ia fossero stati m eno spossati avrebbero potuto traspor- – 25 – tarla con loro, m a non esistevano energie in eccesso per sim ili atti di bontà. La fem mina dovette essere lasciata in dietro a ristabilirsi, possibilm ente, con le proprie risorse. Tornando alle caverne, quella sera, passarono accan to allo stesso luogo; non si vedeva nem meno più un osso. Nell’ultim a luce del giorno, guardandosi attorno ansiosam ente, tim orosi dei primi predatori, bevvero frettolosam ente al torrente e in com inciarono l’ascesa verso le caverne. Si trovavano ancora a cento m etri dalla Nuova Pietra quando il suono incom inciò. Era appena percettibile, eppure li in dusse a im m obilizzarsi, per cui rim asero com e paralizzati sulla pista, con le mascelle pendule. Sem plice vibrazione che si ripeteva in m odo esasperante, il suono pulsava fuori dal cristallo, e ipnotizzava chiun que venisse a trovarsi entro il suo incantesim o. Per la prima volta, e l’ultim a duran te tre m ilioni di anni, il suono dei tamburi venn e udito in Africa. La pulsazione divenne più forte, più in sistente. Di lì a poco gli uomini-scim mia incomin ciarono ad avanzare, com e sonnambuli, verso la sorgente di quel suono coercitivo. A volte eseguivano piccoli passi di danza, mentre il loro san gue reagiva a ritm i che i loro discendenti non avrebbero creato an cora per epoche. Com pletam ente estasiati, si riunirono in torno al m onolito, dim enticando le privazioni della giornata, i pericoli del crepuscolo imm inente, e la fam e che avevano nel ventre. Il tam bureggiare divenn e più forte, la notte si fece più scura. E m entre le om bre si allungavan o e la luce dileguava dal cielo, il cristallo com inciò a splendere. Perdette dapprim a la propria trasparenza, e si soffuse di una lum inescenza pallida e lattea. Fantasm i allettanti, mal definiti, si muovevano sulla sua superficie e nelle profondità. Si fusero in fasci di luce e d’ombra, poi formarono disegni in tersecati, raggiati, che incomin ciarono adagio a ruotare. Sem pre e sem pre più rapide girarono le ruote di luce, e il pulsare dei tam buri accelerò con esse. Orm ai del tutto ipnotizzati, gli uom ini-scim mia potevano soltan to fissare, con le m ascelle – 26 – pendule, quello stupefacente sfoggio pirotecnico. Avevano già dim enticato gli istinti dei progenitori e le lezioni di un’intera vita; non uno di essi, norm alm ente, sarebbe rim asto così lontano dalla caverna, a un ’ora così tarda della sera. Poiché la boscaglia circostante era piena di form e im m obili e di occhi fissi, m entre le creature della notte sospendevan o la loro attività per vedere che cosa sarebbe accaduto an cora. A questo punto le turbinanti ruote di luce in comin ciarono a fondersi e i raggi si unirono form ando fasci lumin osi che adagio in dietreggiarono in lontananza, ruotando intanto sui loro assi. Si suddivisero a coppie, e la conseguente serie di linee in com inciò a oscillare, una linea sull’altra, diagonalm ente, m utan do adagio gli angoli di in tersezion e. Form e geom etriche fan tastiche, fuggevoli, apparivano e scomparivano baluginanti, m entre le splendenti griglie si in trecciavano e si districavano; e gli uom ini-scim m ia stettero a guardare, prigionieri ipnotizzati del cristallo lumin oso. Non avrebbero m ai potuto supporre che le loro m enti venivano sondate, i loro corpi disegnati, le loro reazioni studiate, le loro capacità potenziali valutate. A tutta prim a l’intera tribù rim ase sem i accosciata forman do un im m obile quadro, quasi fosse eternata nella pietra. Poi l’uom o-scim m ia più vicin o al m onolito im provvisam ente si riscosse. Non m odificò la propria posizione, m a il suo corpo perdette la rigidità da stato di tran ce e si anim ò com e se fosse stato un burattino azionato da fili invisibili. La testa si voltò da un lato e dall’altro; la bocca silenziosam ente si aprì e si richiuse; le m ani si strinsero a pugno e tornarono ad aprirsi. Poi si chinò, strappò un lungo stelo d’erba e, con dita goffe, cercò di formare un nodo. Sem brava una creatura posseduta, in lotta contro uno spirito o un dem onio che avesse assunto il dom inio del suo corpo. Ansim ava, respirando a stento, e aveva gli occhi colm i di terrore, m entre cercava di costringere le proprie dita a com piere m ovim enti più com plessi di ogni altro m ai tentato prima. – 27 – Nonostante tutti i suoi tentativi, riuscì soltanto a fare a pezzi lo stelo d’erba. Mentre i fram m enti cadevan o al suolo, l’influsso che lo dom in ava lo abbandonò, ed egli tornò a irrigidirsi nell’im m obilità. Un altro uom o-scimm ia si riscosse, ed eseguì gli stessi gesti. Questo era un esem plare più giovan e, più duttile; riuscì là ove il più vecchio aveva fallito. Sul pianeta Terra, il prim o rozzo nodo era stato formato… Altri fecero cose più stran e e an cor più inutili. Alcuni tennero le m ani in avanti, a braccia tese, e tentarono di accostare la pun ta delle dita… dapprim a con tutti e due gli occhi aperti, poi con un occhio chiuso. Altri furono costretti a fissare disegni quadrettati nel cristallo, disegni che si suddivisero sem pre più m inutam ente, fin ché le lin ee non si furono confuse in una chiazza grigia. E tutti udirono singoli e puri suoni di timbro variabile, che rapidam ente calavano al di sotto della soglia di udibilità. Quando venne la volta di Guarda-la-Luna, egli si sentì ben poco im paurito. La più intensa delle sue sensazioni fu un vago risentim ento, m entre i suoi m uscoli si contraevano e le sue m em bra si m uovevano ubbidendo a ordini che non erano del tutto suoi. Senza sapere perché, si chinò e prese un piccolo sasso. Quando si raddrizzò vide che nel m onolito di cristallo v’era una nuova im magine. Le griglie e i disegni danzanti in movim ento erano scom parsi. Si vedeva ora, invece, una serie di circoli concentrici, intorno a un piccolo disco nero. Ubbidendo agli ordini silenziosi del suo cervello, egli lan ciò il sasso con un m ovim ento goffo del braccio dall’alto. Man cò il bersaglio di parecchie decin e di centim etri. Riprova, disse l’ordine. Egli cercò in torno a sé finché non ebbe trovato un altro ciottolo. Questa volta colpì il m onolito con una vibrazion e squillan te, da campana. Era an cora lontano dal bersaglio, m a la mira stava m iglioran do. Al quarto tentativo, colpì a pochi centim etri appena dal centro del bersaglio. Una sensazione indescrivibile di piacere, quasi – 28 – sessuale tan to era intensa, gli pervase la m ente. Poi l’influsso che lo dom in ava cessò; egli non sentì più alcun im pulso di fare qualcosa, trann e che riman ere in piedi e aspettare. A uno a un o, tutti gli appartenenti alla tribù furono fuggevolm ente posseduti. Alcuni riuscirono, altri fallirono nei com piti loro affidati e tutti furono opportunam ente retribuiti con spasim i di piacere o di dolore. Orm ai non rim aneva che un bagliore un iform e e senza caratteristiche nel gran de m onolito, per cui esso si levava sim ile a un blocco di luce sovrapposto alla circostante oscurità. Cose se si fossero destati da un sonno profondo, gli uomini-scim mia scossero la testa, e di lì a poco ripresero a m uoversi lungo la pista verso il loro rifugio. Non voltarono la testa a guardarsi in dietro, né si m eravigliarono della strana luce che li stava guidando verso le caverne… e verso un avvenire an cora ignoto, an che alle stelle. ACCAD E M I A Guarda-la-Luna e i suoi com pagni non ricordarono affatto quanto avevano veduto, dopo che il cristallo ebbe cessato di esercitare l’incan tesim o ipnotico sulle loro m enti e di effettuare esperim enti con i loro corpi. Il giorno dopo, uscendo in cerca di cibo, gli passarono accan to senza quasi ripensarvi; faceva orm ai parte dello sfondo in osservato della loro esistenza. Non potevano cibarsene, né esso poteva divorare loro; per conseguenza non rivestiva alcuna im portanza. Giù al fium e, gli Altri fecero le consuete, inefficaci minacce. Il loro capo, un uom o-scimm ia con un solo orecchio, della stessa statura e della stessa età di Guarda-la-Luna, ma in condizioni peggiori di lui, osò persino una breve in cursione verso il territorio della tribù, strillando forte e agitan do le braccia nel tentativo – 29 – di spaventare il nem ico e di chiam are a raccolta il proprio coraggio. L’acqua del torrente non era in alcun punto più profonda di trenta centim etri, m a quanto più avanti si portava UnOrecchio, tanto più diveniva incerto e in quieto. Ben presto rallentò fin o a ferm arsi, e infine tornò in dietro, con dignità, per riunirsi ai suoi com pagni. Per il resto, non vi fu alcun mutam ento nella normale routine. La tribù raccolse quel tanto di cibo che le bastava per sopravvivere un altro giorno e nessuno perì. E quella sera il m onolito di cristallo era ancora in attesa, circondato dalla sua aureola pulsante di luce e di suono. Il program m a che aveva escogitato, però, fu ora diverso in m odo sottile. Alcuni degli uom ini-scim mia ignorarono del tutto il cristallo, quasi che esso stesse concentrandosi sui soggetti più prom ettenti. Uno di costoro era Guarda-la-Luna; una volta di più egli sentì viticci indagatori in sinuarsi nei meandri inutilizzati del suo cervello. E, di lì a poco, incom inciò ad avere visioni. Sarebbero potute essere nell’interno del blocco di cristallo; oppure esclusivam ente nella sua m ente. In ogni m odo, per Guarda-la-Luna furono del tutto reali. Eppure, in qualche m odo, il consueto, autom atico im pulso di scacciare gli in vasori del suo territorio era stato placato e ridotto all’acquiescenza. Egli stava contem plando un pacifico gruppo familiare, che differiva per un solo aspetto dalle scene a lui note. Il m aschio, la fem m ina e i due piccoli apparsi m isteriosam ente dinanzi a lui eran o ingozzati e satolli, con la pelle liscia e lustra… ed era questa una condizione di vita che Guarda-la-Luna non aveva mai im m aginato. Inconsciam ente, egli tastò le proprie costole sporgenti; le costole di quelle creature eran o celate da pieghe di grasso. Di quando in quan do si muovevan o pigram ente, m entre riposavano tranquillam ente accanto all’imboccatura di una caverna, apparentem ente in pace con il m ondo. Ogni tan to, il grosso m aschio em etteva un rutto m onum entale di soddisfacim ento. – 30 – Non vi fu alcun ’altra attività, e, dopo cinque minuti, la scena im provvisam ente svanì. Il cristallo non era più che un baluginante profilo nelle tenebre. Guarda-la-Luna si riscosse, com e destandosi da un sogno, capì bruscam ente dove si trovava, e ricondusse la tribù alle caverne. Non serbò alcun ricordo conscio di ciò che aveva veduto; m a quella notte, m entre sedeva rimuginando all’imboccatura del rifugio, le orecchie sin tonizzate sui rum ori del m ondo circostante, sentì i prim i lievi frem iti d’una nuova e potente em ozione. Era una sensazione vaga e diffusa di in vidia… di insoddisfazion e per la propria vita. Non aveva la benché m inima idea di ciò che la causava, e tan to m eno del m odo di guarirla; m a lo scontento era entrato nell’anim a sua, ed egli aveva m osso un piccolo passo verso l’um anità. Una sera dopo l’altra, lo spettacolo di quei quattro uom iniscim m ia ben pasciuti si ripeté, fino a divenire una causa di affascinata esasperazione, che contribuiva ad accrescere l’eterna, torm entosa fam e di Guarda-la-Luna. Quanto vedevano i suoi occhi non sarebbe bastato a causare questo effetto; occorreva un appoggio psicologico. Vi furono vuoti, a questo punto, nella vita di Guarda-la-Luna che egli non avrebbe m ai ricordato, in cui gli atom i stessi del suo sem plice cervello venivano costretti a nuove aggregazioni. Se egli fosse sopravvissuto, queste aggregazioni sarebbero diventate eterne, poiché i suoi geni le avrebbero trasm esse alle generazioni future. Fu un processo lento e tedioso, ma il m onolito di cristallo era paziente. Né esso, né i m onoliti identici dispersi in una m età del globo, si aspettavan o di riuscire con tutte le decine di gruppi in teressati all’esperim ento. Cento insuccessi n on avrebbero avuto im portanza, se un solo successo poteva mutare il destin o del m ondo. Quando giun se la fase della successiva luna nuova, la tribù aveva assistito a una nascita e a due m orti. Una di queste ultim e era stata causata dalla fam e; l’altra si era determ inata durante il rito serale, quando un uom o-scimm ia era stram azzato, im prov- – 31 – visam ente, tentando di battere due fram m enti di pietra, delicatam ente, l’uno contro l’altro. Subito il cristallo aveva perduto la propria luminosità, e la tribù era stata liberata dall’incantesim o. Ma l’uom o-scimm ia caduto non si era più m osso; e la mattina dopo, naturalm ente, il cadavere era scom parso. La sera seguente non accadde nulla; il cristallo stava ancora an alizzando il proprio errore. La tribù gli sfilò accanto, nel crepuscolo che dilagava, ignorandone com pletam ente la presenza. Ma, la sera dopo, il m onolito era di nuovo pronto per loro. I quattro uom ini-scim mia ben pasciuti tornarono, e questa volta fecero cose straordin arie. Guarda-la-Luna incom inciò a trem are in modo incontrollabile: gli parve che il cervello stesse per scoppiargli e volle distogliere lo sguardo. Ma lo spietato dom inio m entale non allentava la presa; fu costretto a seguire la lezione fino all’ultim o, an che se tutti i suoi istinti si ribellavano contro di essa. Quegli istin ti avevano ben servito i suoi progenitori, nei tem pi delle tiepide piogge e di una lussureggiante fertilità, quando il cibo aspettava ovun que di essere raccolto. Ora i tempi erano cam biati, e la saggezza ereditata dal passato era diventata pura follia. Gli uom ini-scimm ia dovevano adattarsi a m orire com e i più grossi anim ali scomparsi prim a di loro e le cui ossa giacevano orm ai racchiuse nelle colline di arenaria. Così Guarda-la-Luna fissava senza batter ciglio il m onolito di cristallo, m entre il suo cervello restava aperto alle an cora in certe m anipolazioni della nuova pietra. Spesso era assalito dalla nausea, m a sem pre si sentiva affam ato; e di tan to in tanto le m ani di lui si strin gevano in consciam ente nei gesti che avrebbero determ inato il suo nuovo sistema di vita. *** Mentre la fila di facoceri attraversava, annusan do e grugn endo, la pista, Guarda-la-Luna si ferm ò di colpo. Facoceri e uom ini-scim mia si erano sem pre ign orati a vicenda, in quanto non – 32 – esisteva alcun contrasto di interessi tra loro. Come quasi tutti gli anim ali che non gareggiavano per lo stesso cibo, essi si lim itavano a tenersi lontani gli uni dagli altri. Eppure adesso Guarda-la-Luna rim ase imm obile a guardarli, titubando, avanzando e indietreggiando in certo, m entre veniva sferzato da im pulsi che non riusciva a capire. Poi, com e in sogno, com inciò a cercare al suolo… pur non essendo in grado di spiegare che cosa an che se fosse stato capace di esprim ersi. Avrebbe riconosciuto la cosa non appena l’avesse veduta. Era un sasso pesante, appuntito, lun go circa quindici centim etri, e, sebbene non si adattasse perfettam ente alla sua man o, poteva an dare. Facendo oscillare il braccio, interdetto dal peso im provvisam ente accresciuto della man o, provò una sensazione piacevole di potenza e di autorevolezza. Incomin ciò a m uoversi verso il facocero più vicino. Era un anim ale giovane e stupido, anche in base all’esiguo m etro dell’in telligenza dei facoceri. Pur avendo osservato Guarda-la-Luna con la coda dell’occhio, lo prese sul serio soltanto di gran lunga troppo tardi. Perché avrebbe dovuto sospettare quelle creature innocue d’una qualsiasi cattiva in tenzione? Continuò a strappare erba fino a quando il sasso appuntito non lo privò del suo barlum e di coscienza. Gli altri com ponenti del bran co continuarono a pascolare senza allarm arsi, perché l’uccision e era stata fulm inea e silenziosa. Tutti gli altri uom ini-scim mia del gruppo si eran o ferm ati a guardare, e ora si raccolsero in torno a Guarda-la-Luna e alla sua vittima con am m irato stupore. Di lì a poco uno di essi raccattò l’arm a imbrattata di sangue e prese a vibrarla sul facocero m orto. Gli altri lo imitarono con tutti i bastoni e i sassi che riuscirono a trovare, finché la loro preda non fu m aciullata. Poi si ann oiarono; alcuni si allontanarono, m entre gli altri rim anevan o esitanti intorno alla carogna irriconoscibile… e il futuro del m ondo dipendeva dalla loro decision e. Passò un in tervallo di tempo sorprendentem ente lungo prima che una delle fem m ine che allattavano incom inciasse a leccare il sasso in sanguinato che aveva tra le dita. – 33 – E occorse ancora più tempo prima che Guarda-la-Luna, nonostante tutto ciò che gli era stato m ostrato, si rendesse realm ente conto di non dover m ai più soffrire la fam e. I L LE OP AR D O Le arm i e gli utensili che secondo il program m a dovevano im piegare erano abbastanza sem plici, e ciò non ostante avrebbero potuto cam biare il m ondo e fare degli uom ini-scim mia i suoi padroni. L’arm a più primitiva era il sasso tenuto nella m ano, che m oltiplicava di parecchie volte la potenza di un colpo. Veniva poi la clava d’osso, che consentiva di colpire più da lontano e poteva servire da difesa contro le zanne o gli artigli di animali fam elici. Ma occorrevan o loro altri m ezzi, poiché i denti e le un ghie non potevano sm em brare rapidam ente niente di più grosso di un coniglio selvatico. Fortunatamente, la natura aveva fornito loro gli utensili perfetti, che richiedevan o soltanto l’astuzia di raccattarli. Anzitutto v’era un rozzo, ma efficientissimo coltello, o sega, di un modello che avrebbe risposto bene allo scopo per i successivi tre m ilioni di anni. Si trattava sem plicem ente della m ascella in feriore di un ’an tilope, con i denti ancora al loro posto; non vi sarebbero stati perfezion am enti sostanziali fino alla scoperta del ferro. V’era poi un punteruolo, o un pugnale, sotto forma di un corno di gazzella, e infine un attrezzo per raschiare, ricavato dalla m ascella com pleta, o quasi com pleta, di ogni piccolo anim ale. La clava, la sega fatta di denti, il pugnale ricavato da un corno, il raschietto d’osso… queste eran o le invenzioni m eravigliose che occorrevano agli uomini-scim m ia per sopravvivere. Ben presto avrebbero riconosciuto in esse quei simboli del potere – 34 – che rappresentavano, m a m olti mesi dovevano trascorrere prim a che le loro goffe dita avessero acquisito la capacità, o la volontà, di servirsene. Forse, col tempo, sarebbero potuti pervenire di loro in iziativa al gran dioso e brillante concetto di adoperare arm i naturali com e attrezzi artificiali. Ma le probabilità erano tutte contro di loro, e an che adesso rim anevano in num erevoli possibilità di in successo nelle epoche a venire. Agli uom ini-scim mia era stata offerta la loro prim a occasione. Non ve ne sarebbe stata una seconda; ora avevano in pugno, letteralm ente, il proprio avvenire. *** Le lun e continuarono a crescere e a calare; piccoli venn ero al m ondo e talora vissero; vecchi di trent’anni, deboli e sdentati, m orirono; il leopardo im poneva il proprio pedaggio la notte; gli Altri lanciavano m inacce ogni giorno dalla riva opposta del torrente… e la tribù prosperava. Nel corso di un solo ann o, Guarda-la-Luna e i suoi com pagni eran o cambiati in m odo quasi irriconoscibile. Avevano im parato bene la lezione; ora riuscivano a m an eggiare tutti gli strum enti ch’eran o stati loro rivelati. Il ricordo stesso della fam e an dava dileguandosi dalla loro m ente; e sebbene i facoceri stessero diventando diffidenti, esistevano gazzelle e an tilopi e zebre a innum erevoli m igliaia sulle pianure. Tutti questi animali e altri eran o caduti preda degli apprendisti cacciatori. Adesso che non erano più quasi storditi dall’inedia, gli uom ini-scim mia avevano tempo sia per i piaceri, sia per i prim i rudim enti del pensiero. Il loro nuovo sistem a di vita veniva orm ai accettato con noncuranza, ed essi non lo collegavano in alcun m odo con il m onolito ancora ritto accan to alla pista che conduceva al torrente. Se per caso si fossero sofferm ati a considerare la situazion e, avrebbero forse potuto vantarsi di essere riusciti a – 35 – m igliorare la loro situazion e con i propri sforzi: in realtà, avevano già dim enticato ogni altro m odo di vivere. Ma nessuna utopia è perfetta, e questa presentava due in convenienti. Il prim o consisteva nel leopardo razziatore, la cui passion e per gli uom ini-scim mia sem brava essere divenuta ancor più irresistibile adesso che erano m eglio nutriti. Il secondo consisteva nella tribù all’altro lato del torrente; gli Altri, in fatti, eran o riusciti in qualche m odo a sopravvivere, rifiutandosi caparbiam ente di m orire di fam e. Il problem a del leopardo venn e risolto in parte dal caso, in parte in seguito a un errore grave, quasi fatale, anzi, di Guardala-Luna. Eppure, sul m om ento la sua idea era sembrata così brillante da in durlo a danzare di gioia, e forse difficilm ente si sarebbe potuto rim proverarlo per aver ign orato le conseguenze. Alla tribù toccavano an cora di quando in quan do giornate sfavorevoli, sebbene esse non ne m inacciassero più la sopravvivenza stessa. Un giorno, verso il crepuscolo, essa non era riuscita a uccidere alcuna preda; si scorgevan o già le caverne, m entre Guarda-la-Luna guidava gli stanchi e m alcontenti com pagni verso i rifugi. E là, quasi sulla soglia delle caverne, trovarono un o dei rari e preziosi doni della natura. Un ’an tilope adulta giaceva sulla pista. Aveva una zam pa, anteriore fratturata, m a le riman eva an cora abbastanza spirito com battivo e gli sciacalli che l’accerchiavano si tenevano a rispettosa distanza dalle sue corna simili a pugnali. Potevano perm ettersi di aspettare; sapevano che il m om ento opportuno sarebbe giunto. Ma si erano dim enticati di avere dei concorrenti, e indietreggiarono con ringhi irosi quan do gli uom ini-scimm ia arrivarono. Anche questi ultim i circondarono con circospezione l’antilope, tenendosi di là dalla portata di quelle corna pericolose; poi andarono all’attacco con clave e sassi. Non fu un attacco m olto efficiente e coordinato. Prim a che la povera bestia fosse liberata dalla m orte, la luce era quasi scomparsa… e gli sciacalli stavano ritrovando il coraggio. Guarda-laLuna, com battuto fra la paura e la fam e, si rese conto a poco a – 36 – poco che tutte quelle fatiche sarebbero potute essere vane. Era troppo pericoloso trattenersi lì ancora a lungo. Poi, non per la prim a o l’ultim a volta, dim ostrò di essere un genio. Con uno sforzo imm enso dell’im m aginazion e, si raffigurò l’antilope m orta… nella sicurezza della sua caverna. Incom inciò a trascinarla verso il dirupo della collina; di lì a n on m olto gli altri capirono le sue intenzioni e presero ad aiutarlo. Se avesse saputo quanto sarebbe stata difficile l’im presa, non l’avrebbe m ai tentata. Soltanto la sua grande forza e l’agilità ereditata dagli antenati arboricoli gli consentirono di trasportare la carcassa su per il ripido versante. Più volte, in lacrim e per la frustrazione, quasi abbandonò la preda, m a una cocciutaggin e profondam ente radicata quan to la fam e continuò a sostenerlo. A volte gli altri lo aiutavan o, a volte lo ostacolavano; quasi sem pre lo in tralciavano. Ma infine l’im presa riuscì; la malconcia an tilope venn e trascinata oltre l’im boccatura della caverna, m entre gli ultim i bagliori rossi del tram onto dileguavano dall’orizzonte; e il ban chetto com inciò. Alcun e ore dopo, ingozzato fin o alla sazietà, Guarda-la-Luna si destò. Senza sapere perché, si drizzò a sedere nelle tenebre, tra i corpi proni dei suoi com pagni altrettan to sazi, e tese le orecchie verso la notte. Non si udiva alcun suono tran ne i respiri grevi in torno a lui; il m ondo in tero sembrava addorm entato. Le rocce oltre l’im boccatura della caverna splendevan o bianche com e ossa calcin ate nella luce vivida della luna, in quel m om ento m olto alta nel cielo. Ogni pensiero di pericolo sem brava infinitam ente rem oto. Poi, da m olto lontano, giunse il suono di un ciottolo che rotolava. Tim oroso, m a al contem po in curiosito, Guarda-la-Luna strisciò fuori, sulla sporgenza rocciosa davan ti alla caverna, e scrutò, in basso, la parete del dirupo. Quello che vide lo lasciò talm ente paralizzato dal terrore che per lun ghi secondi non riuscì a muoversi. Sei m etri appena più in basso, due splendenti occhi gialli lo stavan o fissando; lo ipnotizzarono a tal punto con la paura, che quasi non vide il corpo – 37 – flessibile e striato dietro di essi scivolare vellutato e silenzioso di roccia in roccia. Mai, prima di allora, il leopardo era salito così in alto. Aveva ignorato questa volta le caverne più in basso, pur sapendo benissim o dei loro abitatori. Ora cercava altra preda; stava seguendo la traccia del sangue su per il dirupo inondato di luce lunare. Alcuni secondi dopo, la notte fu resa orrenda dagli strilli di allarm e degli uom ini-scim m ia nella sovrastan te caverna. Il leopardo ebbe un ringhio infuriato, m entre si rendeva conto di non poter più contare sul fattore sorpresa. Ma non per questo smise di avanzare, in quanto sapeva di non aver nulla da tem ere. Giunse sulla sporgenza rocciosa e riposò un m om ento nell’angusto spazio aperto. L’odore del san gue aleggiava tutto attorno, colm ando il suo cervello piccolo e feroce di un unico travolgente desiderio. Senza esitare entrò a passi vellutati nella caverna. E là com m ise il suo prim o sbaglio, poiché, m entre si lasciava alle spalle il chiaro di luna, anche i suoi occhi superbam ente adattati alla notte venn ero a trovarsi in m om entan eo svantaggio. Gli uom ini-scim mia riuscirono a scorgerlo, profilato in parte contro l’im boccatura della caverna, più chiaram ente di quanto esso potesse vedere loro. Erano atterriti, m a non più del tutto in difesi. Rin ghiando e sferzando la coda con arrogante fiducia, il leopardo avanzò in cerca del tenero cibo che bramava. Se avesse in contrato la preda all’aperto, non vi sarebbero state difficoltà; m a ora che gli uom ini-scim mia erano intrappolati, la disperazione aveva dato loro il coraggio di tentare l’im possibile. E, per la prim a volta, disponevano dei mezzi con cui riuscirvi. Il leopardo si accorse che accadeva qualcosa di insolito quan do sentì sul cran io un urto così forte da sentirsi stordito. Colpì fulmin eo con una delle zam pe anteriori e udì un urlo di sofferenza, m entre i suoi artigli laceravan o soffice carne. Poi sentì un dolore lancinante, m entre qualcosa di affilato gli penetrava nei fianchi… una volta, due, e un a terza volta an cora. Piroettò per colpire le om bre che strillavan o e dan zavano da ogni lato. – 38 – Di nuovo vi fu un colpo violento, m entre qualcosa gli veniva vibrato sul muso. Fece scattare le zanne su una confusa chiazza bianca in m ovim ento… ma soltanto per sentirle raschiare su un osso nudo e inutile. E ora, ultim a e in credibile indegnità, si sentì tirare la coda dalle radici. Girò su se stesso, scaraventando contro le pareti della caverna i suoi aguzzini follem ente audaci. Ma, qualun que cosa facesse, non riusciva a sottrarsi alla gragnola di colpi inflittigli con rozze arm i im pugnate da m ani goffe eppur potenti. E poi com mise il secondo sbaglio, perché, n ello stupore e nella paura, aveva dim enticato dove si trovava. O forse era stato stordito o accecato dai colpi che gli piovevano sulla testa; com unque stessero le cose, balzò bruscam ente fuori dalla caverna. Si udì un urlo orribile m entre precipitava, girando su se stesso, nel vuoto. Secoli dopo, parve, si udì un tonfo m entre piombava su un affioram ento di rocce a m età del dirupo; in seguito, il solo rum ore fu un franare di pietre sm osse, che si spense nella notte. Per m olto tempo, in ebriato dalla vittoria, Guarda-la-Luna rim ase in piedi a danzare, em ettendo grida in intelligibili, all’imboccatura della caverna. Intuiva giustam ente che tutto il suo m ondo era m utato e che egli non era più una vittim a im potente delle forze circostanti. Poi rientrò nella caverna e, per la prim a volta in vita sua, ebbe una notte di sonno inin terrotto. *** Al m attin o, trovarono la carcassa del leopardo ai piedi del dirupo. Anche nella m orte, trascorse qualche tempo prima che un o di loro osasse avvicinare il mostro sconfitto, ma, di lì a non m olto, lo circondarono, con i loro coltelli e le loro seghe d’osso. Fu un lavoro m olto faticoso, e quel giorno non cacciarono. – 39 – I N CON TR O ALL’ALBA Mentre guidava la tribù verso il torrente nella luce fioca dell’alba, Guarda-la-Luna si sofferm ò incerto in un luogo familiare. Qualcosa, lo sapeva, m ancava; ma non riuscì a ricordare che cosa fosse. Non sciupò energie m entali per risolvere l’enigm a, poiché quel m attino aveva in m ente cose più im portanti. Simile al tuono e al fulm ine, alle nubi e alle eclissi, il grande blocco cristallino era scom parso misteriosam ente com ’era venuto. Essendo svanito nel passato inesistente non turbò mai più i pensieri di Guarda-la-Luna. Guarda-la-Luna non avrebbe saputo che cosa gli avesse fatto; e nessuno dei suoi com pagni si dom an dò, m entre gli rim anevano attorno nella bruma m attutina, perché egli si fosse sofferm ato per un m om ento proprio lì, andando al torrente. *** Sul loro lato del corso d’acqua, nella sicurezza m ai violata del loro territorio, gli Altri scorsero per la prim a volta Guarda-laLuna e una dozzina di maschi della sua tribù com e un fregio in m ovim ento contro il cielo dell’alba. Subito com inciarono a lanciare la loro sfida quotidiana; ma, questa volta, non vi fu risposta. Costantem ente, deliberatam ente… soprattutto, silenziosam ente, Guarda-la-Luna e la sua ban da discesero il basso poggio che dom inava il fium icello; e, m entre si avvicinavan o, gli Altri divenn ero im provvisam ente silenziosi. La loro furia rituale defluì, per essere sostituita da un crescente tim ore. Erano vagam ente consci del fatto che qualcosa era accaduto, e che quell’incontro differiva da tutti gli altri precedenti. Le clave e i coltelli d’osso dei quali era munito il gruppo di Guarda-la-Luna non li allarmarono, poiché non ne capivano lo scopo. Sapevano – 40 – soltanto che i m ovim enti dei loro rivali eran o adesso im pregnati di decisione e di m inaccia. Il gruppo si ferm ò sull’orlo dell’acqua, e per un m om ento il coraggio degli Altri tornò a rivivere. Guidati da Un-Orecchio, essi ripresero a m alin cuore il canto di battaglia. Si protrasse soltanto per pochi secondi prima che un a visione terrifican te li facesse am mutolire. Guarda-la-Luna levò alte le braccia, rivelando il carico che fino a quel m om ento era stato celato dai corpi irsuti dei suoi com pagni. Reggeva un ram o robusto, e im palata su di esso si trovava la testa insanguinata del leopardo. Un bastoncello teneva spalancata la bocca, e le lun ghe zanne scintillavano di un bianco spettrale, nei prim i raggi del sole. Quasi tutti gli Altri rim asero troppo paralizzati dalla paura per potersi m uovere; m a alcuni di essi iniziarono una ritirata lenta e in cespican te. A Guarda-la-Luna non occorreva alcun altro in coraggiam ento. Sem pre reggendo alto sopra il capo il trofeo m utilato, in comin ciò ad attraversare il torrente. Dopo un attim o di esitazione, i suoi com pagni sguazzarono dietro di lui. Quando Guarda-la-Luna giunse sulla riva opposta, UnOrecchio m an teneva ancora il terreno. Forse era troppo coraggioso o troppo stupido per fuggire; forse non riusciva a convincersi che quell’oltraggio stesse davvero accadendo. Vile o eroe, nulla m utò, in ultim o, quando il ringhio paralizzato dalla m orte gli piombò sul capo incapace di capire. Urlando di paura, gli Altri si dispersero nella boscaglia; m a di lì a non m olto sarebbero tornati, e ben presto avrebbero dim enticato il loro capo perduto. Per qualche secondo, Guarda-la-Luna rim ase incerto accan to alla sua nuova vittim a sforzandosi di capire lo stran o e m irabile fatto: il leopardo m orto poteva uccidere an cora. Adesso era il padrone del m ondo, e non sapeva affatto che cosa fare in seguito. Ma avrebbe pensato qualcosa. – 41 – ASCE SA D E LL’U OM O Un nuovo anim ale vagava sul pianeta, diffondendosi adagio dal cuore del continente african o. Era ancora così raro che un censim ento frettoloso avrebbe potuto ignorarlo tra i brulicanti m iliardi di creature in m ovim ento sulla terra e nel m are. Nulla dim ostrava, an cora, che avrebbe prosperato, o sarebbe an che soltanto riuscito a sopravvivere: in quel m ondo ove tanti altri anim ali più possenti si erano estinti, la sua sorte continuava a essere in precario equilibrio. Nel corso dei centom ila anni trascorsi da quando i cristalli eran o calati sull’Africa, gli uomini-scim mia non avevano inventato nulla. Ma avevan o incomin ciato a m utare, ed eran o riusciti ad acquistare capacità che nessun altro animale possedeva. Le loro clave d’osso avevan o aum entato la portata delle braccia e m oltiplicato la forza di cui disponevano; adesso gli uominiscim m ia non erano più indifesi tra i predatori con i quali dovevano gareggiare. Potevano scacciare dalle loro prede i carnivori più piccoli; e riuscivan o per lo m eno a scoraggiare i più grossi, e talora a m etterli in fuga. I loro denti m assicci crescevan o più piccoli, perché n on erano più essenziali. Le pietre affilate utilizzabili per estrarre radici o per tagliare e segare la carne e le fibre, avevano in com inciato a sostituirli con conseguenze non determ inabili. Gli uom iniscim m ia non erano più m inacciati dalla fam e quando i loro denti si guastavano o si consum avano; an che gli utensili più rozzi potevano aggiungere parecchi anni alle loro esistenze. E, m an m an o che i denti an davan o rim picciolendosi, la forma della faccia in com inciò a m odificarsi; il grugn o si portò più in dietro, la m ascella massiccia divenne più delicata, la bocca riuscì a em ettere suoni più sottili. Mancava ancora un m ilion e di anni alla parola articolata, m a i prim i passi in questa direzione erano stati com piuti. – 42 – E poi il m ondo incom inciò a mutare. In quattro gran di ondate successive, in tervallate l’una dall’altra da duecentom ila anni, le ere glaciali dilagarono, lascian do il loro segno su tutto il globo. Di là dai tropici, i ghiacciai uccisero coloro che avevano prem aturam ente abbandonato le loro sedi ancestrali; e dappertutto eliminarono le creature che non riuscirono ad adattarsi. Quando i ghiacci scomparvero, an che gran parte della vita precedente sul pianeta era scomparsa… com presi gli uom iniscim m ia. Ma, a differenza di m olti altri, essi avevano lasciato discendenti; anziché estinguersi, sem plicem ente, si eran o trasform ati. I costruttori di utensili eran o stati rinnovati dai loro stessi attrezzi. Poiché, servendosi di clave e di selci, le loro mani avevan o finito con l’acquisire una destrezza che non si riscontrava in alcun’altra specie del regno anim ale, e avevan o consentito agli uom ini-scimm ia di costruire strum enti ancora m igliori, i quali, a loro volta, eran o riusciti a perfezionare ulteriorm ente le loro m em bra e la loro m ente. Fu un processo sem pre più veloce e cum ulativo, e al suo term ine venne a trovarsi l’uom o. I prim i veri uom ini possedevano arm i e utensili soltanto un poco m igliori di quelli dei loro antenati di un milione d’anni prim a, ma sapevan o servirsene con un’abilità di gran lun ga m aggiore. E a un certo m om ento, nei secoli tenebrosi trascorsi precedentem ente, avevan o inventato lo strum ento più essenziale d’ogni altro, sebbene non potesse essere n é veduto né toccato. Avevano im parato a parlare, conquistando così la prima loro gran de vittoria sul Tem po. Ora le conoscenze di una generazione potevano essere tram an date a quella successiva, per cui ogni epoca era in grado di profittare di quelle passate. A differenza dagli animali, che conoscevan o soltanto il presente, l’uom o aveva acquisito un passato; e incom inciava a bran colare verso il futuro. Stava im parando, in oltre, a imbrigliare le forze della natura; dom an do il fuoco, aveva gettato le basi della tecnica, e si era lasciato m olto in dietro le proprie origini anim alesche. La pietra fu sostituita dal bronzo, e poi dal ferro. Alla caccia seguì – 43 – l’agricoltura. La tribù divenne il villaggio, il villaggio la cittadina. La parola diventò eterna, grazie a certi segni sulla pietra, sull’argilla e sul papiro. Dopo non m olto tempo, l’uom o in ventò la filosofia e la religione. E popolò il cielo, non del tutto a torto, di dèi. Mentre il suo corpo diventava sem pre più indifeso, i suoi m ezzi di offesa si facevano sem pre più spaventosi. Con la pietra e il bronzo e il ferro e l’acciaio aveva percorso la gam m a di tutto ciò che poteva penetrare e tagliare, e m olto presto era riuscito a im parare il m odo di abbattere le sue vittim e da lontano. La lancia, l’arco, l’arm a da fuoco e in fin e il m issile teleguidato gli avevano dato armi di portata infinita e di un a quasi infinita potenza. Senza queste arm i, anche se le utilizzò non di rado contro se stesso, l’uom o non avrebbe mai conquistato il proprio m ondo. In esse aveva posto il cuore e l’anim a, e per epoche intere ne era stato servito bene. Ma ora, finché esistevan o, egli viveva un tempo preso a prestito. – 44 – CAP I TOLO SE CON D O AM T-1 VOLO SP E CI ALE Per quante volte si potesse abbandonare la Terra, pensò il dottor Heywood Floyd, l’orgasm o non si placava m ai del tutto. Egli era stato una volta su Marte, tre volte sulla Lun a, e più volte di quante riuscisse a ricordare sulle diverse basi spaziali. Eppure, m entre il m om ento del lancio si avvicinava, fu conscio di una tensione crescente, di una sensazion e di portento e di tim ore reverenziale e, sì, anche di nervosism o, alla maniera di qualsiasi novellin o sul pun to di ricevere il battesim o dello spazio. L’aviogetto lo aveva portato fulm in eam ente sin lì da Washington, dopo le istruzioni im partitegli a m ezzanotte dal Presidente, e stava ora scendendo verso un o dei paesaggi più familiari e al contem po più entusiasman ti del m ondo. Là, su trentadue chilom etri della costa della Florida, si stendevan o i risultati delle prim e due generazioni dell’era spaziale. A Sud, delineate da am m iccanti luci rosse di avvertim ento, si ergevan o le gigan tesche torri di lancio dei razzi di Saturno e Nettun o, che avevano posto gli uom ini in traiettoria per i pian eti e che eran o orm ai passate alla storia. In prossimità dell’orizzonte, lucente torre argentea illuminata da riflettori, si levava l’ultim o dei Saturno V, da quasi vent’anni m onum ento nazionale e m eta di pellegrinaggi. Non lontan o, profilata contro il cielo com e una m ontagna – 45 – creata dall’uom o, c’era la m ole in credibile dell’Edificio Montaggio Veicoli, tuttora la più grande struttura esistente al m ondo. Ma queste cose appartenevano orm ai al passato ed egli stava volan do verso il futuro. Mentre si in clinavan o in virata, il dottor Floyd poté vedere sotto di sé un labirinto di edifici, quindi una gran de pista di atterraggio, poi una larga, rettilinea cicatrice, sul piatto paesaggio della Florida… le rotaie m ultiple di una gigantesca ram pa di lancio. All’estrem ità di quest’ultima, circondato da veicoli e da in castellature, si trovava un aereo spaziale scintillante in una pozza di luce, m entre fervevan o i preparativi per il suo balzo tra le stelle. Per un improvviso venir m eno del senso della prospettiva, causato dalle rapide variazioni di velocità e di quota, parve a Floyd di guardare un a piccola falena argentea, illuminata dal fascio di luce d’una lam padina tascabile. Poi le m inuscole sagom e che si affrettavano qua e là al suolo gli fecero capire quali fossero le dim ensioni reali della nave spaziale. Da un’estrem ità all’altra della stretta V delle ali doveva essere larga sessanta m etri. E quell’enorm e veicolo, si disse Floyd con una certa in credulità, m a anche con orgoglio, sta aspettan do m e. A quanto gli risultava, era la prima volta che si organizzava un’intera m issione per portare un solo uom o sulla Luna. Sebbene fossero le due del m attino, un gruppo di giornalisti e di operatori cinem atografici lo ferm ò m entre si dirigeva verso la nave spaziale Orione III illuminata dai riflettori. Ne conosceva di vista parecchi perché, com e presidente del Consiglio nazionale dell’astronautica, la conferenza stam pa faceva parte del suo sistem a di vita. Non erano quelli né il m om ento né il luogo per una conferenza stam pa, né egli aveva qualcosa da dire; m a era im portan te non offendere i signori dei m oderni m ezzi di com unicazione. «Il dottor Floyd? Son o J im Forster dell’Associated N ew s. Potrebbe dirci qualche parola su questo suo volo?» «Sono spiacentissim o… non posso dir nulla.» «Ma si è incontrato con il Presidente nelle prim e ore di ieri sera?» dom an dò una voce familiare. – 46 – «Oh… salve, Mike. Ho paura che l’abbiano tirata giù dal letto per niente. Decisam ente “no comm ent”.» «Può alm eno conferm are o negare che un ’epidem ia di qualche genere è scoppiata sulla Luna?» doman dò un telecronista, riuscendo a farsi avanti e a inquadrare Floyd nella telecam era in m iniatura. «Mi dispiace», disse Floyd, scuotendo la testa. «E la quarantena?» dom andò un altro giornalista. «Per quanto tem po sarà man tenuta?» «Continuo a non aver niente da dire.» «Dottor Floyd», doman dò una giornalista m olto piccola di statura e m olto decisa, «quale giustificazione può esservi per questo veto totale sulle notizie dalla Luna? Ha forse qualcosa a che vedere con la situazione politica?» «Quale situazione politica?» doman dò Floyd, asciutto. Si udì qualche risatina e qualcuno gridò: «Buon viaggio, dottore!» m entre egli si dirigeva verso il san tuario della torre di salita. Sin da quando riusciva a ricordare, non si era trattato tanto di una «situazion e» quan to di una crisi perm anente. A partire dagli anni Settan ta, il m ondo era stato dom in ato da due problem i che, ironicam ente, tendevano ad annullarsi a vicenda. Sebbene il controllo delle nascite fosse econom ico, sicuro e approvato da tutte le religion i più im portan ti, esso era stato attuato troppo tardi; la popolazione m ondiale am m ontava ormai a sei m iliardi di individui… un terzo dei quali nell’im pero cinese. In alcuni Stati autoritari erano state addirittura approvate leggi che im ponevano alle famiglie due soli figli, m a la loro applicazione aveva dim ostrato di essere im possibile. Per conseguenza, i viveri scarseggiavano in ogni paese; persino negli Stati Uniti v’eran o giorni in cui non si poteva acquistare carne, e si prevedeva un a diffusa carestia entro quindici anni, nonostan te gli eroici tentativi di coltivare il m are e di produrre alim enti sin tetici. Sebbene la necessità della collaborazione internazionale fosse più urgente che m ai, riman evan o tan te frontiere quante in ogni epoca precedente. In un m ilione di anni, il genere um ano – 47 – aveva perduto ben pochi dei suoi istinti aggressivi; lungo confini simbolici visibili soltanto agli uomini politici, le trentotto potenze nucleari si sorvegliavan o a vicenda con an sia bellicosa. Tra tutte, possedevano un m egatonnellaggio sufficiente a elim inare l’intera crosta superficiale del pianeta. E anche se, m iracolosam ente, nessuno aveva im piegato arm i atom iche, una sim ile situazione difficilm ente si sarebbe potuta protrarre in eterno. E ora, per loro m otivi im perscrutabili i cinesi stavano offrendo alle più piccole nazioni una com pleta capacità nucleare di cinquan ta testate belliche e di altrettan ti m issili. Il costo era in feriore ai duecento m ilioni di dollari, e potevan o essere concesse facilitazioni di pagam ento. Forse cercavano soltanto di puntellare la loro barcollante econom ia, tramutan do in liquidità sistem i di armam enti superati, com e avevan o supposto taluni osservatori; o forse avevano scoperto sistem i di guerra così progrediti da non avere più alcuna necessità di sim ili giocattoli; si era parlato di radio-ipnosi m ediante trasm ittenti su satelliti, di virus potenziati, e di ricatto per m ezzo di m alattie sin tetiche, delle quali essi soli possedevano l’antidoto. Queste idee in cantevoli eran o quasi certam ente propaganda o pura fantasia, ma non sem brava prudente non tenerne affatto conto. Ogni volta che Floyd si allontanava dalla Terra, si doman dava se l’avrebbe trovata an cora al mom ento del ritorno. La lin da hostess lo salutò m entre entrava nella cabina. «Buongiorno, dottor Floyd. Sono Miss Sim m ons… vorrei darle il benvenuto a bordo a nom e del com an dante Tynes e del nostro copilota, il prim o ufficiale Ballard.» «Grazie», disse Floyd con un sorriso, dom andandosi perché le hostess dovessero sem pre esprim ersi com e robot dei giri turistici in com itiva. «Il decollo avrà luogo tra cinque m inuti», ella continuò, m ostran do con un gesto la cabina deserta per venti passeggeri. «Può occupare qualsiasi posto preferisce, m a il capitano Tynes le raccom an da il prim o posto a sinistra dalla parte del finestrino, se vuole osservare le operazioni di attracco.» – 48 – «Farò così», egli disse, andando verso il posto in dicategli. La hostess si affaccendò intorno a lui ancora qualche m om ento, poi si diresse verso il suo cubicolo in fondo alla cabina. Floyd sedette, regolò le cinture di sicurezza intorno alla vita e alle spalle, e assicurò la borsa di cuoio sul sedile adiacente. Un attim o dopo l’altoparlante entrò in azione con un som m esso suono schioccante. «Buon giorno», disse la voce della sign orina Simm ons. «Questo è il volo speciale 3, dal cosm odrom o Kennedy alla base spaziale Uno.» Era decisa, sem brava, a rispettare l’intera procedura per il suo unico passeggero, e Floyd non seppe resistere alla tentazione di un sorriso, m entre ella continuava inesorabilm ente. «Il volo avrà una durata di cinquantacinque minuti. La m assim a accelerazione sarà di due g, e rim arrem o in assenza di peso per trenta m inuti. La prego di non lasciare il suo posto fin o a quando non sarà accesa la spia di sicurezza.» Floyd voltò la testa e gridò: «Grazie». Intravide un sorriso un po’ im barazzato, m a incantevole. Si appoggiò alla spalliera del sedile e si rilassò. Quel viaggio, calcolò, sarebbe costato ai contribuenti un po’ più di un milione di dollari. Se fosse risultato in giustificato, egli avrebbe perduto il posto; m a gli sarebbe sempre stato possibile tornare all’università e agli studi interrotti sulla formazion e dei pian eti. «Via al sistem a autom atico di conteggio alla rovescia», disse la voce di Tynes dall’altoparlante, con la cullante cantilena tipica delle conversazioni per radio. «Decollo tra un m inuto.» Com e sem pre, il decollo parve più lun go di un ’ora. Floyd divenn e acutam ente consapevole delle forze gigan tesche avvolte a spirale intorno a lui e in attesa di essere sprigionate. Nei serbatoi di carburante della nave spaziale e nel serbatoio di energia della ram pa di lancio era com pressa la stessa potenza di un a bomba nucleare. Ed essa sarebbe stata im piegata per condurlo ad appena trecentosessanta chilom etri dalla Terra. Non vi fu più nulla dell’an tiquato sistem a di conteggio alla rovescia, CINQUE-QUATTRO-TRE-DUE-UNO-ZERO, così nocivo al sistema nervoso um ano. – 49 – «Lancio tra quindici secondi. Si sentirà più a suo agio se com in cerà a respirare profondam ente.» Questa era utile psicologia e utile fisiologia. Floyd si sentì ben saturato di ossigeno, e pronto ad affrontare qualunque cosa quando la ram pa di lancio in com inciò a scaraventare sull’Atlantico il suo carico. Non fu facile capire quan do si sollevarono dalla ram pa e iniziarono il volo, m a non appena il rom bo dei razzi raddoppiò a un tratto la propria furia, e Floyd si sorprese ad affondare sem pre e sem pre più nei cuscini del sedile, capì che i m otori del prim o stadio erano stati m essi in m oto. Si augurò di poter guardare fuori dal finestrino, ma era uno sforzo an che soltanto voltare la testa. Eppure non si provava alcun disagio; anzi, la pression e dell’accelerazione e del rom bo travolgente dei m otori produceva una straordinaria euforia. Con le orecchie ronzanti e il san gue pulsan te nelle vene, Floyd si sentì più vivo di quan to gli fosse accaduto da anni. Era di nuovo giovane, avrebbe voluto cantare a gran voce… il che era senz’altro possibile, in quan to nessuno sarebbe riuscito a udirlo. Lo stato d’anim o passò rapidam ente, m entre egli si rendeva conto che stava abbandonan do la Terra e tutto ciò che avesse m ai amato. Laggiù si trovavano i suoi tre figli, rim asti orfani della m adre da quando sua m oglie era partita con quel fatale volo per l’Europa dieci an ni prim a. (Dieci anni? Im possibile! Eppure era così…) Forse, nel loro in teresse, avrebbe dovuto riam m ogliarsi… Aveva quasi perduto la sensazion e del tempo quando la pression e e il rom bo dim inuirono bruscam ente, e l’altoparlante della cabina annunciò: «Ci prepariam o al distacco del prim o stadio. Via.» Vi fu un lieve sussulto; e a un tratto Floyd ricordò una citazione di Leonardo da Vinci, che aveva visto in corniciata in un ufficio della NASA: Il Grande Uccello volerà sul dorso del grande uccello, arrecando gloria al nido – 50 – ove n acque. Bene, il Grande Uccello stava volan do adesso, di là da tutti i sogni di Leonardo da Vinci, e il suo esausto com pagno tornava sulla Terra. Dopo un arco di sedicim ila chilom etri, il prim o stadio vuoto avrebbe planato nell’atm osfera, rinuncian do alla velocità per la distanza, m entre si dirigeva verso il cosm odrom o Kennedy. Di lì a poche ore, revision ato e rifornito di carburante, sarebbe stato nuovam ente pronto a sollevare un altro com pagno verso il silenzio splendente che non avrebbe mai potuto raggiungere. Ora, pensò Floyd, siam o autonom i, più che a m età strada dall’orbita. Quando l’accelerazione tornò a farsi sentire, m entre entravano in azione i razzi del secondo stadio, la spinta fu assai più dolce: in vero, egli non senti più della gravità normale. Ma sarebbe stato im possibile cam minare, dato che «l’alto» si trovava direttam ente verso la parte anteriore della cabina. Se egli fosse stato così sciocco da lasciare il suo posto, sarebbe an dato a schiacciarsi imm ediatam ente contro la parete posteriore. Questo effetto era un po’ sconcertan te, in quan to si sarebbe detto che la nave spaziale fosse ritta sulla propria coda. A Floyd, seduto nell’estrem ità anteriore della cabina, tutti i sedili apparivano fissati a una parete che scendeva a perpendicolo sotto di lui. Stava facendo del suo m eglio per ign orare questa spiacevole illusion e, quan do l’alba esplose fuori dalla nave spaziale. In pochi secondi saettarono attraverso veli crem isi e rosei e dorati e azzurri fin o al bianco accecante del giorno. Sebbene i finestrini fossero in tensam ente anneriti per attenuare il bagliore, i sondanti fasci di luce solare che adesso si in clinavano adagio nella cabina lasciarono Floyd quasi cieco per parecchi minuti. Si trovava nello spazio, eppure era im possibile riuscire a scorgere le stelle. Si fece scherm o agli occhi con le m ani e cercò di scrutare attraverso il finestrino accanto a lui. Là fuori, l’ala reclin ata all’indietro della nave spaziale splendeva com e m etallo in candescente nella luce solare riflessa; tutto attorno a essa regnava la – 51 – più fitta oscurità, e quell’oscurità doveva essere colm a di stelle… m a era im possibile scorgerle. Il peso stava lentamente defluendo; i razzi venivano gradualm ente spenti, m entre la nave spaziale si collocava in orbita. Il tuon o dei m otori si ridusse a un rombo soffocato, poi a un sibilo dolce, quindi si spense nel silenzio. Se non fosse stato per le cinghie che lo trattenevano, Floyd avrebbe galleggiato fuori dal sedile; sem brava, in ogni m odo, che il suo stomaco fosse sul pun to di fare proprio questo. Sperò che le pillole in gerite m ezz’ora prima e sedicim ila chilom etri più indietro producessero gli effetti previsti. Aveva sofferto di nausea spaziale una sola volta nel corso della sua carriera, ed era an che troppo. La voce del pilota suonò ferm a e fiduciosa uscendo dall’altoparlante della cabina. «Prego rispettare tutti i regolam enti relativi a Zero-g. Attraccherem o alla Base Spaziale Uno tra quarantacinque minuti esatti.» La hostess si avvicinò risalendo lo stretto passaggio a destra dei sedili m olto vicini l’uno all’altro. V’era un che di lievem ente m olleggiato nei suoi passi e i piedi di lei si staccavano dal pavim ento con riluttanza, com e se fossero in vischiati in un o strato di colla. Seguiva la striscia di tappeto Velcro, giallo acceso, che rivestiva per tutta la lun ghezza il pavim ento… e il soffitto. Il tappeto, com e le suole dei suoi sandali, era coperto di miriadi di m inuscoli ganci che aderivano gli uni agli altri. Questo espediente per cam m inare in assenza di peso riusciva a rassicurare im m ensam ente i passeggeri disorientati. «Gradirebbe un caffè o un tè, dottor Floyd?» ella dom an dò allegram ente. «No, grazie», sorrise lui. Si sentiva sem pre com e un neonato quando doveva succhiare da uno di quei tubi di plastica. La hostess continuò a rim anergli accanto ansiosam ente, m entre Floyd apriva la borsa di cuoio e si accin geva a toglierne le carte. «Dottor Floyd, posso farle una dom an da?» «Ma certo», le rispose, guardandola al di sopra degli occhiali. – 52 – «Il m io fidanzato è geologo a Clavius», disse la signorina Simm ons, misurando cauta le parole, «e non ho sue notizie da più di una settimana.» «Sono dolente di saperlo; forse è lontan o dalla sua base e nell’im possibilità di m ettersi in contatto.» Ella scosse la testa. «Mi avverte sem pre quando questo sta per accadere. E può im m aginare quanto sono preoccupata… con tutte queste voci. È proprio vero quello che dicono, di un ’epidemia sulla Luna?» «Anche se fosse vero, non è il caso di allarm arsi. Ram m enti, vi fu una quarantena nel 1998, per quella m utazione del virus in fluenzale. Molti si am malarono, m a nessun o m orì. E non posso dirle altro, davvero», concluse con ferm ezza. La signorina Sim m ons sorrise affabile e si raddrizzò. «Bene, grazie lo stesso, dottore. Scusi se l’ho disturbata.» «Non è stato affatto un disturbo», disse lui, galante, ma non m olto sin cero. Poi si calò n ei suoi in term inabili rapporti tecnici, in un disperato assalto dell’ultim o m om ento ai soliti arretrati. Non avrebbe avuto il tempo di leggere un a volta arrivato sulla Luna. AP P U N TAM E N TO I N OR B I TA Mezz’ora dopo, il pilota annunciò: «Prenderem o contatto tra dieci m inuti. Prego controllare le cin ture di sicurezza.» Floyd ubbidì e m ise via le carte. Significava andare in cerca di guai leggere durante il gioco di destrezza celeste che si svolgeva durante gli ultimi cinquecento chilom etri; m eglio chiudere gli occhi e rilassarsi, m entre la nave spaziale veniva spostata di poco avanti e indietro m ettendo brevem ente in azione i razzi. Pochi m inuti dopo, in travide per la prim a volta la Base Spaziale Uno, a pochi chilom etri appena di distanza. La luce solare – 53 – veniva riflessa con scintillanti bagliori dalle levigate superfici m etalliche del disco, del diam etro di trecento m etri, in lenta rotazione. Non lontano, alla deriva sulla stessa orbita, vi era un aereo spaziale Titov-V dalle ali a freccia e, nelle sue vicinanze, un Aries-1B quasi sferico, il cavallo da tiro dello spazio, con le quattro tozze gam be dei suoi amm ortizzatori d’urto per l’atterraggio lunare che sporgevan o da un lato. La nave spaziale Oriente III si stava abbassando da un’orbita superiore, e ciò rese la Terra spettacolarm ente visibile dietro la Base. Dall’altezza di trecentoventi chilom etri, Floyd poteva vedere gran parte dell’Africa e dell’oceano Atlantico. V’era una coltre di nuvole notevolm ente estesa, m a riuscì ugualm ente a scorgere i profili azzurro-verdi della Costa d’Oro. L’asse centrale della Base Spaziale, con le sue braccia d’attacco protese, stava ora nuotando adagio verso di loro. Diversam ente dalla struttura dalla quale scaturiva, non stava ruotando… o m eglio, girava nella direzione opposta, a una velocità che controbilanciava esattam ente la rotazione della Base. Così una nave spaziale in arrivo poteva essere accoppiata a esso, per il trasferim ento dei passeggeri o del carico, senza essere disastrosam ente coinvolta nel m oto rotatorio. Con il più m orbido degli urti, astronave e Base entrarono in contatto. Si udirono all’esterno rum ori m etallici, raschianti, poi il sibilo breve dell’aria m entre le pressioni si portavano allo stesso valore. Pochi secondi dopo, il portello della cam era d’equilibrio si aprì, e un uom o che in dossava i leggeri, aderenti calzoni e la camicetta dalle maniche corte che costituivan o quasi l’uniforme del personale della Base Spaziale entrò nella cabina. «Lieto di conoscerla, dottor Floyd. Son o Nick Miller, Base di Sicurezza; devo occuparmi di lei fino alla partenza della “navetta”.» Si scambiarono una stretta di man o, poi Floyd sorrise alla hostess e disse: «La prego di fare le m ie congratulazioni al capitano Tynes e di ringraziarlo per il piacevole viaggio. Forse la rivedrò al m io ritorno.» – 54 – Con m olta cautela (era trascorso più di un ann o dall’ultim a volta che si era trovato in assenza di peso, e sarebbe occorso qualche tempo prim a che ritrovasse l’elasticità occorrente alle gam be nello spazio) si issò, una m an o dopo l’altra, attraverso il portello, nella vasta cam era circolare contenuta entro l’asse della Base Spaziale. Era un locale abbondantem ente imbottito, con le pareti ricoperte di appigli incassati; Floyd afferrò saldam ente un o di essi, m entre la cam era incom in ciava a ruotare, fino a raggiungere la stessa velocità rotatoria della Base. Man mano che acquistava velocità, deboli e fantomatiche dita gravitazionali com inciarono ad afferrarlo, ed egli an dò adagio alla deriva verso la parete circolare. Adesso era in piedi e oscillava adagio avan ti e indietro, com e alghe m arine nei m ovim enti di m area, su quello ch’era diventato m agicam ente un pavim ento curvo. La forza centrifuga della rotazione della Base si era im padronita di lui; la si sentiva m olto debolm ente in quel pun to, così vicino all’asse, ma sarebbe diventata costan temente più forte m an man o che egli si fosse spostato verso l’esterno. Dalla cam era centrale di passaggio, seguì Miller giù per una scala a chiocciola. A tutta prim a il suo peso era così scarso che dovette quasi spingersi in giù reggendosi a uno dei corrim ani. Soltanto quando fu giun to nel salone passeggeri, contro la superficie esterna del gran de disco in rotazione, aveva acquistato abbastanza peso per m uoversi quasi normalm ente. Il salone era stato rim esso a nuovo, dall’ultima volta che egli lo aveva visto, e offriva nuove com odità. Oltre alle solite poltrone, ai tavolini, al ristorante e all’ufficio postale, vi si trovavano adesso un negozio di souvenir ove si vendevan o fotografie e diapositive di paesaggi lunari e planetari, nonché framm enti garantiti autentici di Lunik, Ranger e Survey or, tutti m ontati in plastica e tutti a prezzi esorbitan ti. «Posso procurarle qualcosa m entre aspettiam o?» dom andò Miller. «Saliam o a bordo tra una trentina di m inuti.» «Mi andrebbe un caffè forte, con due zollette di zucchero, e vorrei chiam are al telefono la Terra.» – 55 – «Benissim o, dottore… le porterò il caffè… i telefoni sono da quella parte.» Le pittoresche cabin e telefoniche si trovavan o a pochi m etri appena da una recinzione con due ingressi accanto ai quali v’eran o targhe con la scritta BENVENUTI NEL SETTORE AMERICANO E BENVENUTI NEL SETTORE SOVIETICO. Sotto queste targhe figuravano avvisi in inglese, russo, cinese, francese, tedesco e spagnolo. PREGASI DI TENER PRONTI: Il passaporto Il visto Il certificato m edico Il perm esso di trasporto La dichiarazione del peso V’era un simbolism o alquanto piacevole nel fatto che, non appena varcata la recinzione, in entrambe le direzioni, i passeggeri eran o liberi di tornare a riunirsi. La divisione aveva scopi puram ente am ministrativi. Floyd, dopo essersi accertato che il num ero di codice per gli Stati Uniti continuava a essere 81, form ò il proprio num ero di telefono com posto di dodici cifre, lasciò cadere nella fessura la carta di credito un iversale in plastica, e ottenn e la com unicazione dopo trenta secondi. Washington era an cora im m ersa nel sonn o, poiché man cavano parecchie ore all’alba, m a lui non avrebbe disturbato nessuno. La sua governante avrebbe avuto la comunicazione dal registratore, non appena si fosse destata. «Miss Flem m ing… parla il dottor Floyd. Mi dispiace di esser dovuto partire così in fretta e furia. Telefoni, per favore, al m io ufficio e chieda di an dare a ritirare la macchina. Si trova all’aeroporto Dulles e le chiavi le ha il sign or Bailey, il controllore di volo. Subito dopo, telefoni al Circolo di Cam pagna Chevy Chase e lasci una comunicazione per il segretario. Non potrò assolutam ente partecipare al torneo di tennis il prossim o wee- – 56 – kend. Faccia le m ie scuse… temo che avessero fatto conto su di m e. Poi telefoni alla Downtown Electronics e dica loro che se il video nel mio studio non sarà stato riparato entro… oh, m ercoledì… potran no riprendersi il dannato aggeggio.» Si interruppe per riprendere fiato e cercò di farsi venire in m ente altre difficoltà o altre crisi che potessero determ in arsi in futuro. «Se rimarrà a corto di soldi, si rivolga all’ufficio; potranno trasm etterm i le com unicazioni urgenti, ma può darsi che io sia troppo occupato per rispondere. Dica ai ragazzi del m io affetto; tornerò non appena possibile. Oh, diavolo… c’è qui qualcuno con il quale non voglio parlare… richiam erò dalla Luna, se possibile. Arrivederla.» Floyd cercò di uscire in osservato dalla cabina telefonica, ma era troppo tardi; l’uom o lo aveva già visto. Dall’uscita del settore sovietico si stava precipitando verso di lui il dottor Dim itri Moisevic, dell’Accadem ia delle scienze dell’URSS. Dim itri era uno dei m igliori amici di Floyd, e proprio per questo m otivo si trattava dell’ultim a persona al m ondo con la quale egli volesse parlare, lì e in quel m om ento. N AVE TTA LU N AR E L’astronom o russo era alto, snello e bion do e il viso liscio sm entiva i suoi cinquantacin que anni, gli ultimi dieci dei quali eran o stati im piegati per costruire il gigantesco osservatorio radio sull’em isfero opposto della Luna, ove trem ilaseicento chilom etri di roccia com patta lo scherm avano dal tum ulto elettronico della Terra. «Ehilà, Heywood», egli disse, stringendogli energicam ente la m an o. «È piccolo l’universo. Come stai… e com e stanno i tuoi in cantevoli figlioli?» – 57 – «Stiam o tutti bene», rispose Floyd, cordiale, m a con un ’aria lievem ente distratta. «Parliam o spesso delle giornate m eravigliose che ci facesti trascorrere l’estate scorsa.» Gli dispiacque di non potersi esprim ere in un tono più sincero; si eran o goduti davvero la settim ana di vacanza a Odessa con Dim itri, durante una delle puntate del russo sulla Terra. «E tu… presum o che tu stia per salire sulla Luna?» dom andò Dim itri. «Ehm … sì. Il m io volo parte tra m ezz’ora», rispose Floyd. «Conosci il sign or Miller?» Il funzionario del servizio segreto si era avvicinato e rim aneva a rispettosa distanza, tenendo in m ano una tazzina di plastica colm a di caffè. «Certo. Ma la prego, posi quella tazza, signor Miller. È l’ultima opportunità del dottor Floyd di bere qualcosa di civilizzato, non sciupiam ogliela.» Seguirono Dim itri dal salone prin cipale al settore dell’osservatorio, e ben presto sedevano a un tavolo sotto una fioca lam pada, osservando il panoram a in m ovim ento delle stelle. La Base Spaziale Un o com piva un intero giro al minuto, e la forza centrifuga generata da questa lenta rotazion e produceva una gravità artificiale pari a quella della Luna. Ciò, era stato scoperto, costituiva un com prom esso accettabile tra la gravità e l’assenza di gravità; in oltre, consentiva ai passeggeri diretti verso la Luna la possibilità di assuefarsi. All’esterno delle finestre quasi invisibili, la Terra e le stelle m arciavano in silenziosa processione. Sul m om ento, quel lato della Base era reclin ato e nascosto al sole; altrim enti sarebbe stato im possibile guardar fuori, in quanto il locale sarebbe stato in ondato di luce abbacinante. Anche così, la lum inosità della Terra, che colm ava una m età del firm am ento, spegneva tutte le stelle, tran ne le più splendenti. Ma la Terra an dava scomparendo, perché la Base orbitava verso il lato in ombra del pianeta; di lì a pochi minuti esso non sarebbe stato altro che un enorm e disco nero, pun teggiato dalle – 58 – luci delle m etropoli. E allora il cielo sarebbe appartenuto alle stelle. «Ebbene», disse Dimitri, dopo aver rapidam ente vuotato il prim o bicchiere e m entre si stava trastullando con il secondo, «che cosa sono tutte queste voci su un’epidem ia nel settore am ericano? Volevo recarm i laggiù nel corso di questo viaggio. “No, professore”, m i han no detto. “Siam o dolentissim i, ma è stata im posta una severa quarantena fino a nuovo avviso.” Ho m an ovrato tutte le leve che potevo; niente da fare. Adesso dimm i tu che cosa sta succedendo.» Floyd gem ette dentro di sé. Ecco che ci risiam o, si disse. Quanto più presto m i troverò su quella navetta, diretto verso la Luna, tan to più sarò contento. «La… ehm … la quarantena… è soltanto una misura precauzionale di sicurezza», rispose con cautela. «Non siam o nemm eno ben certi che sia necessaria, ma vogliam o evitare di correre rischi.» «Ma che cos’è la malattia… quali sono i sin tom i? Non potrebbe essere di origine extraterrestre? Vuoi la collaborazion e dei n ostri servizi m edici?» «Mi dispiace, Dim itri… Siam o stati pregati di non dire nulla per il m om ento. Grazie dell’offerta, m a possiam o risolvere la situazion e.» «Hmm m m m», fece Moisevic, ovviam ente per nulla persuaso. «Mi sem bra strano che proprio tu, un astronom o, debba essere m an dato sulla Luna a studiare un ’epidem ia.» «Sono soltanto un ex astronom o; da anni non eseguo più vere ricerche. Attualm ente m i considerano un esperto scientifico; questo significa che non so assolutam ente niente di tutto.» «Allora sai che cosa significa AMT-1?» Miller parve sul punto di essere soffocato da quan to stava bevendo, m a Floyd era di una più dura tempra. Guardò negli occhi il vecchio am ico e disse calm o: «AMT-1? Che sigla bizzarra! Dove l’hai sentita?» «Lascia stare», replicò il russo. «Non riesci ad abbindolarm i. Ma se vi siete im battuti in qualcosa che non riuscite a controlla- – 59 – re, non aspetterete, spero, che sia troppo tardi prim a di invocare aiuto.» Miller guardò significativam ente l’orologio. «Deve trovarsi a bordo tra cin que m inuti, dottor Floyd», disse. «Sarebbe bene andare, credo.» Pur sapendo che rim anevan o ancora alm eno venti m inuti, Floyd si affrettò ad alzarsi. Troppo frettolosam ente, poiché aveva dim enticato la gravità ridotta a un sesto. Si afferrò al tavolo appena in tem po per im pedire un decollo. «È stato un piacere in contrarti, Dim itri» disse, non proprio sin ceram ente. «Spero che tu faccia buon viaggio fin o alla Terra. Non appena di ritorno, ti telefonerò.» Mentre uscivano e attraversavano la recinzione degli Stati Uniti, Floyd osservò: «Pfui… ci è m an cato un pelo. Grazie per averm i tratto in salvo.» «Sa, dottore», disse il funzionario dei servizi di sicurezza, «spero che non abbia ragione.» «Ragione a quale proposito?» «A proposito del fatto che ci siam o imbattuti in qualcosa di in controllabile.» «Questo», rispose Floyd con determ in azione, «è quanto in tendo accertare.» Quaran tacinque m inuti dopo, il trasporto lunare Aries-1B si staccò dalla Base. Non vi furono affatto la potenza e la furia del decollo dalla Terra… soltanto un sibilo quasi im percettibile e rem oto, m entre i reattori al plasm a a bassa spinta lan ciavano nello spazio i loro flussi elettrizzati. La dolce propulsione si protrasse per più di quin dici minuti, e la m odesta accelerazione non avrebbe im pedito a nessuno di m uoversi nella cabina. Ma quando la propulsione cessò, la nave spaziale non era più legata alla Terra, com e quando accom pagnava an cora la Base. Aveva spezzato i vincoli della gravità e adesso era un pianeta libero e in dipendente che girava attorno al Sole seguendo una sua orbita. La cabina che Floyd aveva adesso tutta per sé era stata progettata per trenta passeggeri. Fu strano, e lo fece sentire alquan- – 60 – to solo, vedere tutti quei sedili vuoti intorno a lui, ed essere l’unico oggetto delle attenzioni del cam eriere e della hostess… per non parlare del pilota, del copilota e dei due tecnici. Dubitò che qualsiasi uom o nella storia del m ondo avesse m ai ricevuto un servizio così esclusivo, e ritenn e m olto im probabile che a qualcun altro potesse accadere la stessa cosa in avvenire. Ricordò la cinica osservazione di un o dei pontefici m eno rispettabili: «Adesso che abbiam o il papato, godiam ocelo». Bene, si sarebbe goduto quel viaggio, e l’euforia dell’assenza di peso. Con la perdita della gravità si era, alm eno tem poran eam ente, liberato dalla m aggior parte dei suoi crucci. Qualcuno aveva detto un a volta che si poteva essere atterriti nello spazio, m a non essere assillati dai crucci. Era verissim o. La hostess e il cam eriere, a quanto pareva, eran o decisi a farlo m an giare per tutte le venticinque ore del viaggio, ed egli non faceva altro che rifiutare pasti indesiderati. Mangiare con gravità zero non costituiva una vera difficoltà, contrariam ente alle nere previsioni dei prim i astronauti. Egli sedeva a un normale tavolo, al quale i piatti eran o fissati, com e a bordo delle navi con il m are in tempesta. Tutte le portate avevan o una certa vischiosità, in m odo che non potessero staccarsi dal piatto e an dare a vagabondare per la cabina. Così una bistecca veniva incollata al piatto da una salsa densa, e l’in salata era tenuta sotto controllo da condim ento adesivo. Con un po’ di abilità e di cautela, eran o ben pochi i cibi che non potessero essere gustati tran quillam ente; le sole cose vietate eran o le m in estre calde e la pasticceria troppo friabile. Per le bevande, inutile dirlo, le cose stavano diversam ente; tutti i liquidi dovevano essere contenuti in tubi di plastica che si sprem evano. Ricerche condotte da un’intera generazione di eroici ma non celebrati volontari erano state utilizzate per costruire la toletta, che veniva ora considerata più o m eno sicura, anche per gli inesperti. Floyd la m ise alla prova non appena la caduta libera ebbe inizio. Venn e a trovarsi in un piccolo cubicolo, con tutti gli im pian ti igienici di una norm ale toletta da aereo, illuminato però da una luce rossa m olto forte e sgradevole per gli occhi. Un av- – 61 – viso in grandi lettere an nunciava: IMPORTANTISSIMO! PER IL VOSTRO COMFORT SIETE PREGATI DI LEGGERE ATTENTAMENTE QUESTE ISTRUZIONI! Floyd sedette (si tendeva an cora a farlo, anche in assenza di peso) e lesse le istruzioni parecchie volte. Quan do fu certo che non vi eran o state m odifiche dall’ultim o suo viaggio, prem ette il pulsante con l’indicazione avvio. Nei pressi im m ediati un m otore elettrico com in ciò a ronzare, e Floyd sentì che stava m uovendosi. Com e lo avevan o consigliato di fare le istruzioni, chiuse gli occhi e aspettò. Dopo un m inuto una cam panella suon ò som m essam ente ed egli si guardò attorno. La luce era adesso passata a un rasserenan te rosa-biancastro; m a, quel che più contava, egli si trovava di nuovo in condizioni di gravità. Soltan to una debolissim a vibrazione rivelava che si trattava di una gravità spuria, causata dalla rotazione tipo giostra dell’in tero cubicolo della toletta. Floyd prese un a saponetta e la osservò cadere con un m ovim ento lento; ritenne che la forza centrifuga equivalesse a circa un quarto della gravità normale. Ma era più che sufficiente; bastava a far sì che ogni cosa si muovesse nella direzione giusta, nell’unico luogo in cui la cosa rivestiva un ’im portanza essenziale. Prem ette il pulsante con l’indicazione STOP PER USCITA, e di nuovo chiuse gli occhi. Il peso defluì adagio m entre la rotazione cessava, la cam panella suonò due volte, e la luce rossa di avvertim ento si riaccese. La porta si aprì poi nella posizione opportun a per consentirgli di scivolar fuori e ritornare nella cabina ove aderì il più rapidam ente possibile al tappeto. La novità dell’assenza di peso si era esaurita già da un pezzo per lui, ed egli fu grato alle pan tofole Velcro che gli con sentivan o di cam m inare quasi n ormalm ente. Ebbe tutto il m odo di occupare il proprio tempo, an che se non fece altro che restare seduto e leggere. Quando si stancava dei rapporti ufficiali, dei m em orandum e delle m inute, inseriva lo scherm o-notizie formato foglio protocollo nel circuito inform azioni della nave spaziale e poteva leggere le ultim issim e dalla – 62 – Terra. A un o a un o captava i più diffusi quotidiani elettronici del m ondo; conosceva a m ente i numeri di codice dei più im portanti e poteva fare a m eno di consultare l’elenco dietro lo scherm o. Spostando l’interruttore sulla m em oria a breve term in e dello scherm o, m an teneva ferm a su di esso la prim a pagina, m entre rapidam ente scorreva i titoli e prendeva nota delle notizie che lo in teressavano. Ognuna poteva essere in quadrata da un doppio cursore di riferim ento; spostando quest’ultim o, un rettangolo form ato francobollo si am pliava colm ando com pletam ente lo scherm o e lo poneva in grado di leggere agevolm ente la notizia. Dopo la lettura, tornava alla pagina com pleta e sceglieva un a nuova notizia o un altro articolo da leggere in tegralm ente. Floyd si dom andava a volte se lo scherm o-notizie e la tecnica fan tastica che lo aveva realizzato sarebbero stati l’ultima parola nella ricerca um ana di com unicazioni perfette. Eccolo in un pun to rem oto dello spazio, su una nave spaziale che si allontanava dalla Terra a m igliaia di chilom etri all’ora, eppure in pochi m illesimi poteva esam inare i titoli di qualsiasi quotidiano avesse prescelto. (Questo stesso term ine, «quotidiano», naturalm ente, era un residuo anacronistico nell’epoca dell’elettronica.) I testi venivano aggiornati automaticam ente ogni ora; anche leggendo soltanto le edizioni inglesi, si poteva trascorrere un ’intera esistenza non facendo altro che assimilare il fium e di informazioni sem pre rinnovato trasm esso dai satelliti delle notizie. Era difficile im maginare in qual m odo il sistema potesse essere perfezionato o reso più com odo. Ma, prima o poi, supponeva Floyd, esso sarebbe tram ontato, per venir sostituito da qualcos’altro di inim maginabile come lo sarebbe stato lo stesso scherm o-notizie per Caxton o per Gutenberg. La lettura di un o di quei m inuscoli titoli elettronici induceva spesso a un’altra riflessione. Quanto più erano m iracolosi i m ezzi di comunicazione, tanto più banale, di cattivo gusto e deprim ente sem brava essere il contenuto delle notizie che trasm ettevano. Incidenti, delitti, disastri naturali e causati dall’uom o, minacce di guerra, tetri articoli di fondo… tutte queste cose continuavano a essere il succo dei milioni di parole diffusi nell’etere. – 63 – Eppure Floyd si doman dava altresì se questo fosse, tutto som m ato, un fatto negativo; i quotidiani di Utopia, aveva deciso già da un pezzo, sarebbero stati trem endam ente noiosi. Di quando in quan do il com andante e gli altri dell’equipaggio entravano nella cabina e scambiavano qualche parola con lui. Trattavano con tim ore reverenziale il loro distin to passeggero, e ardevan o senza dubbio dalla curiosità di sapere quale fosse la sua m issione, m a erano troppo corretti per fare dom an de, o an che soltanto per lasciar cadere qualche allusione. Soltanto l’incantevole piccola hostess sembrava com pletam ente a proprio agio alla sua presenza. Com e Floyd scoprì ben presto, veniva da Bali, e aveva portato di là dall’atm osfera terrestre un a parte della grazia e del m istero di quell’isola ancora in vasta m isura non contam inata dal progresso. Un o dei ricordi più bizzarri e più incantevoli di tutto quel viaggio doveva essere la dim ostrazione che ella gli diede, con gravità zero, di alcuni classici m ovim enti di danze balinesi, m entre sullo sfondo si scorgeva la bella falce azzurro-verde della Terra che an dava allontanandosi. Vi fu un periodo di sonno, quando le lam pade nella cabina prin cipale vennero spente e Floyd assicurò le proprie gam be e le proprie braccia con le fasce elastiche che gli avrebbero im pedito di andare a galleggiare nello spazio. Sembrava una sistem azione scomoda… ma lì, con gravità zero, il sedile non imbottito era più com odo del più m orbido materasso sulla Terra. Dopo essersi ancorato con le fasce elastiche, Floyd si appisolò abbastanza rapidam ente, m a si destò a un certo m om ento, in un o stato sonnacchioso di sem icoscienza, e l’ambiente estraneo che lo circondava lo lasciò com pletam ente disorientato. Per un m om ento credette di trovarsi al centro di una lanterna cinese fiocam ente illuminata; fu il tenue bagliore proveniente dagli altri cubicoli in torno a lui a dargli questa im pressione. Poi disse a se stesso, con ferm ezza e con esito positivo: «Addorm entati, figliolo; ti trovi su una norm alissim a “navetta” lunare». Quando si destò la Luna aveva divorato una m età del cielo, e le m anovre di frenaggio stavano per com in ciare. L’am pio arco – 64 – dei finestrini incastrati nella parete ricurva della cabina passeggeri, guardava ora sull’aperto cielo, ora sul globo sem pre più vicino, per cui egli passò nella cabina di com ando. Là, sugli scherm i televisivi pun tati posteriorm ente alla nave spaziale, poté seguire le ultim e fasi della discesa. I m onti lunari che an davano avvicinandosi erano com pletam ente diversi da quelli della Terra; non possedevano le abbacinanti calotte di neve, le vesti verdi e aderenti della vegetazione, le corone di nubi in m ovim ento. Ciò nonostante, i netti contrasti di luce e d’om bra davan o loro una strana e tipica bellezza. Le leggi dell’estetica terrena non si applicavano lì; quel m ondo era stato foggiato e plasmato da forze diverse da quelle terrestri, forze che avevan o agito per ere di tempo ign ote alla Terra giovane e verdeggiante, con le sue fuggevoli ere glaciali, i suoi m ari che rapidam ente si sollevavano e si abbassavan o, le catene m ontuose dissolventisi com e bruma prim a dell’alba. Là si trovava una vecchiaia inconcepibile, m a non la m orte, poiché la Luna non aveva m ai vissuto, fino ad ora. La nave spaziale in discesa era in equilibrio quasi al di sopra della lin ea che divideva la notte dal giorno, e im m ediatam ente sotto di essa si stendeva un caos di om bre frastagliate e di picchi brillanti e isolati che coglievan o la prim a luce della lenta alba lunare. Quella sarebbe stata una zona paurosa per tentarvi un atterraggio, anche con tutti i possibili ausili elettronici; m a se ne stavano allontanando adagio, diretti verso il lato della Luna im m erso nella notte. Floyd vide allora, m an m an o che gli occhi gli si abituavano all’illuminazione più debole, che la superficie nascosta dalla notte non era com pletam ente buia. Irradiava una lum inosità spettrale, nella quale picchi e vallate e pianure rim anevan o chiaram ente visibili. La Terra, luna gigantesca della Luna, inon dava il territorio sottostante con la sua radiosità riflessa. Sul cruscotto del pilota, spie si accesero sopra gli schermi radar, num eri apparvero e scomparvero negli in dicatori delle calcolatrici elettroniche, annun ciando il variare della distanza dalla Luna che si avvicinava. Ne distavano an cora più di m illeseicento – 65 – chilom etri quando il peso tornò, m entre i razzi iniziavano la dolce m a costante decelerazione. Per secoli, parve, la Luna continuò a espandersi adagio nel cielo, il Sole affondò dietro l’orizzonte, e in ultim o un unico cratere gigan tesco colm ò l’intero cam po visivo. La «navetta» stava cadendo verso i suoi picchi centrali… e im provvisam ente Floyd notò che accan to a un o di questi picchi una luce vivida stava lam peggian do con ritm o regolare. Sarebbe potuto essere il faro di un aeroporto sulla Terra, e, fissandola, egli provò un a stretta alla gola. Era la prova del fatto che gli uom ini avevano stabilito un altro punto d’appoggio sulla Luna. Orm ai il cratere si era am pliato a tal pun to che i suoi bastioni stavano scivolando sotto l’orizzonte e più piccoli crateri dai quali era costellato l’interno in cominciavano a rivelare le loro vere dim ensioni. Alcuni di essi, per quanto fossero sem brati minuscoli da lontano nello spazio, avevano un diam etro di parecchi chilom etri e avrebbero potuto inghiottire in tere città. Guidata dai com an di autom atici, la «navetta» scivolava giù nel cielo stellato, verso quel desolato paesaggio baluginante nella luce della gran de Terra gibbosa. Ora una voce stava chiam ando da qualche punto, vincendo il sibilo dei getti e i bip-bip elettronici che andavano e venivano nella cabina di coman do. «Controllo Clavius a Speciale 14, state venendo giù bene. Per favore, procedete a controllo m an uale del blocco dispositivo di atterraggio, della pressione idraulica, del gonfiaggio am m ortizzatore d’urto.» Il pilota azionò svariati interruttori. Spie verdi si accesero ed egli rispose: «Tutti i controlli m anuali com pletati. Blocco dispositivo di atterraggio, pressione idraulica, am m ortizzatore d’urto ok». «Confermato», dissero dalla Luna, e la discesa continuò silenziosam ente. Sebbene vi fosse sem pre un o scambio di num erosissim e com unicazioni, tutto veniva fatto da apposite apparecchiature, che si trasm ettevano a vicenda im pulsi binari con una rapidità mille volte m aggiore di quanto potessero com unicare i loro costruttori, dai lenti processi m entali. – 66 – Alcuni picchi di m ontagne stavano già torreggiando sopra alla nave spaziale; ora la superficie della Luna distava poco più di un migliaio di m etri, e la luce del faro era un a vivida stella, che lam peggiava costantem ente sopra un gruppo di bassi edifici e di bizzarri veicoli. Nella fase finale dell’allun aggio, i getti parvero suonare uno strano m otivo; pulsarono a in term ittenza apportando le ultim e precise regolazioni alla spinta. Bruscam ente, una turbinosa nube di polvere nascose ogni cosa, i getti pulsarono un’ultim a volta e l’Aries-1B oscillò m olto lievem ente, com e una barca a rem i quando passa una piccola onda. Trascorsero alcuni minuti prim a che Floyd riuscisse realm ente ad accettare il silenzio che ora lo avvolgeva e la debole gravità che gli legava le m embra. Aveva com piuto, senza il benché m inim o incidente e in poco più di un giorno, il viaggio incredibile sognato dagli uom ini per duem ila anni. Dopo un volo di norm ale am ministrazione, era sceso sulla Luna. LA BASE CLAVI U S Clavius, con un diam etro di duecentoquaran ta chilom etri, è il secondo cratere in ordine di grandezza sulla faccia visibile della Luna, e si trova al centro degli altipiani m eridionali. È antichissim o; ere di fenom eni vulcanici e di bom bardam enti dagli spazi ne hanno coperto di cicatrici le pareti, butterandone il fondo. Ma dopo l’ultim a era di form azione dei crateri, quando i fram m enti della fascia di asteroidi ancora stavano percuotendo i pian eti interni, aveva conosciuto la pace per circa m ezzo miliardo di an ni. Ora vi eran o nuovi e stran i m ovim enti sulla sua superficie e sotto di essa, poiché lì l’uomo stava organizzando la sua prim a testa di ponte perm anente sulla Luna. La Base Clavius sarebbe – 67 – potuta essere, in una situazione di em ergenza, com pletam ente autonoma. Tutto ciò ch’era necessario alla vita veniva estratto dalle rocce locali, dopo ch’eran o state stritolate, riscaldate e lavorate chim icam ente. L’idrogeno, l’ossigeno, il carbonio, l’azoto, il fosforo… tutti questi elem enti, e quasi tutti gli altri, esistevano sulla Luna, se si sapeva dove cercarli. La Base era un sistem a chiuso, com e un minuscolo m odello funzionan te della Terra stessa, in cui si ristabiliva il ciclo di ogni elem ento chimico della vita. L’atm osfera veniva purificata in una vasta «serra»… un grande ambiente circolare scavato subito sotto la superficie lunare. Illuminati da lam pade accecan ti durante la notte, e dalla luce solare filtrata duran te il giorno, si stendevano ettari di tozze piante verdi, che crescevan o in un ’atm osfera calda e um ida. Si trattava di mutazioni speciali create allo specifico scopo di saturare l’aria di ossigeno, e di fornire verdure com e sottoprodotto. Altri viveri erano prodotti m ediante sistem i di lavorazion e chim ica e coltura delle alghe. Anche se la schiuma verde che circolava attraverso m etri e m etri di tubi di plastica trasparenti non avrebbe certo allettato un buongustaio, i biochim ici riuscivano a trasform arla in braciole e costolette che soltanto un esperto sarebbe riuscito a distinguere da quelle autentiche. I m illecento uom ini e le seicento donn e che form avano il personale della Base eran o, dal prim o all’ultim o, scienziati o tecnici specializzati, selezionati con cura prim a della loro partenza dalla Terra. Sebbene la vita sulla Luna fosse orm ai virtualm ente esente dagli stenti, dagli svantaggi e dagli occasionali pericoli dei prim i tempi, continuava ad essere psicologicam ente difficile e non certo raccom an dabile per chiun que soffrisse di claustrofobia. Poiché era costoso e richiedeva troppo tempo scavare un a vasta base sotterran ea nella solida roccia o nella lava com patta, il «m odulo di vita» stan dard per una singola persona consisteva in una stanza larga soltanto un metro e ottanta circa, lunga tre m etri e alta due m etri e quaranta. Ogni stanza era sim paticam ente arredata e ricordava m olto da vicino la cam era di un buon m otel, con divano-letto, televiso- – 68 – re, piccola radio ad alta fedeltà e videotelefono. Per di più, m ediante un trucco sem plice di decorazione in terna, la sola parete senza aperture poteva essere trasform ata, facendo scattare un in terruttore, in un convincente paesaggio terrestre. Si poteva scegliere tra otto panoram i. Questo tocco di lusso era tipico della Base, sebbene riuscisse difficile a volte spiegarne la necessità alla gente sulla Terra. Ogni uom o e ogni donna di Clavius eran o costati centom ila dollari per l’addestram ento, il trasporto e l’alloggio; valeva la pena di spendere qualcosa in più pur di m an tenere la serenità di spirito. Non si trattava di arte per l’arte, m a di arte nell’interesse della salute psichica. Una delle attrattive della vita nella Base, e sulla Luna in genere, consisteva indubbiam ente nella bassa gravità che determ inava una sensazione di benessere generale. Tuttavia, essa presentava i suoi pericoli, e occorrevano parecchie settim ane prim a che l’em igrante dalla Terra riuscisse ad adattarvisi. Sulla Luna, il corpo uman o doveva im parare tutta una nuova serie di riflessi. Per la prim a volta, doveva distinguere tra la m assa e il peso. Un uom o che pesava ottantun chilogram m i sulla Terra, poteva rim anere deliziato constatan do di pesarne appena tredici e m ezzo sulla Luna. Finché procedeva in lin ea retta e ad andatura uniform e, provava una sensazione m eravigliosa di leggerezza. Ma non appena tentava di cambiare direzione, di voltare gli an goli o di ferm arsi all’im provviso… allora si accorgeva che tutti i suoi ottantun chilogramm i di massa, o di inerzia, erano ancora presenti. La m assa, infatti, rim ane fissa e inalterabile… è sem pre uguale, sulla Terra, sulla Luna, sul Sole o nello spazio vuoto. Prim a che ci si potesse opportunam ente adattare alla vita lunare, pertan to, era essenziale rendersi conto che tutti gli oggetti avevan o adesso un ’in erzia sei volte m aggiore di quan to potesse far credere il loro peso. La lezione veniva im parata di solito a furia di urti e di scontri dolorosi e gli esperti si tenevano a rispettosa distanza dai nuovi arrivati finché questi non eran o riusciti ad assuefarsi. – 69 – Con il suo com plesso di officin e, uffici, m agazzini, centro calcolatore, generatori, rim essa, cucine, laboratori e im pian to per la lavorazione di generi alim entari, la Base Clavius era un m ondo in m iniatura. È, ironico a dirsi, m olte delle tecniche im piegate per costruire questo im pero sotterraneo eran o state perfezionate nel m ezzo secolo di guerra fredda. Chiun que avesse lavorato in una postazion e protetta di m issili, si sarebbe sentito a suo agio a Clavius. Lì sulla Luna si ricorreva alle stesse arti di vita sotterranea e di protezione da un am biente ostile; ma nella Base Clavius queste arti erano state dedicate a scopi pacifici. Dopo diecim ila anni, l’uom o aveva finalm ente trovato qualcosa che lo entusiasmava quanto la guerra. Purtroppo, non tutte le nazioni se ne erano ancora rese conto. *** Le m ontagne che eran o sembrate così im ponenti subito prim a dell’allunaggio, erano m isteriosam ente scomparse, sottratte alla vista dall’orizzonte lunare che si in curvava ripido. Intorno alla nave spaziale si stendeva una pianura piatta e grigia, vividam ente illuminata dalla luce obliqua della Terra. Sebbene il cielo fosse, naturalm ente, del tutto nero, si riuscivano a scorgere soltanto le stelle più lum inose e i pian eti, a m eno che non ci si facesse scherm o agli occhi dal bagliore della superficie. Parecchi veicoli assai bizzarri stavan o avanzando verso la nave spaziale Aries-1B: gru, m ontacarichi, carri-attrezzi, alcuni automatici, altri azionati da un conducente in una piccola cabina pressurizzata. Quasi tutti si muovevan o su pneum atici, poiché quella superficie liscia e piana non poneva alcuna difficoltà di trasporto; m a un’autocisterna veniva avanti sulle peculiari ruote flessibili che avevan o dimostrato di essere un o dei m ezzi più efficaci su ogni terreno per esplorare la Luna. Una serie di lastre piatte disposte circolarm ente, ogni lastra m ontata e m olleggiata in dipendentem ente, la ruota flessibile presentava m olti vantaggi del cin golo, dal quale derivava. Adattava li propria form a e il proprio diam etro al terreno sul quale si muoveva e, al – 70 – contrario del cingolo di un trattore, continuava a funzionare an che se m ancavano alcun e sezioni. Un piccolo autobus, con un tubo estensibile sim ile alla proboscide tronca di un elefante, stava ora annusan do affettuosam ente la nave spaziale. Pochi secondi dopo, si udirono colpi e urti all’esterno, seguiti da un sibilo d’aria, m entre si facevano i collegam enti e la pressione veniva uguagliata. Il portello in terno della cam era di equilibrio si aprì e la delegazione destinata ad accogliere l’ospite entrò. Era guidata da Ralph Halvorsen, l’am m inistratore della Provincia Meridionale… com prendente non soltanto la Base, m a an che ogni gruppo esploran te in partenza da essa. Lo accom pagnavano il suo direttore scientifico, il dottor Roy Michaels, un piccolo geofisico brizzolato conosciuto da Floyd in occasione dei suoi precedenti viaggi sulla Luna, e un a m ezza dozzina dei più im portan ti scienziati e dirigenti. Schifarono il nuovo arrivato con rispettoso sollievo; dall’amm inistratore in giù, appariva ovvio che eran o tutti an siosi di scaricarsi di una parte delle loro preoccupazioni. «Lietissim o di averla con noi, dottor Floyd», disse Halvorsen. «Ha fatto buon viaggio?» «Un viaggio eccellente», rispose Floyd. «Non sarebbe potuto essere m igliore. L’equipaggio è stato prem urosissim o con m e.» Vi fu la consueta conversazione spicciola richiesta dalla cortesia, m entre l’autobus si allontanava dalla Base Spaziale; per un tacito accordo, nessuno accennò al m otivo del viaggio. Dopo aver percorso un m igliaio di m etri dal pun to dell’allunaggio, l’autobus arrivò davanti a un gran de cartello sul quale stava scritto: BENVENUTI ALLA BASE CLAVIUS Corpo del Genio astronautico USA 1994 Poi si tuffò in un o scivolo che lo condusse rapidam ente sotto il livello del suolo. Una porta m assiccia si aprì davanti a loro, – 71 – quindi si chiuse dietro di essi. Ciò si ripeté una seconda e una terza volta. Quando an che l’ultima porta si fu chiusa, si avvertì un gran rombo d’aria, e tutti si ritrovarono una volta di più nell’atm osfera, nell’ambiente «m aniche di camicia» della Base. Dopo un breve tragitto a piedi lungo una galleria piena zeppa di tubazioni e di cavi, e nella quale echeggiavano cavernosam ente tonfi e pulsazioni ritmiche, giunsero nel settore esecutivo, e Floyd si ritrovò nell’am biente familiare delle m acchin e per scrivere, delle calcolatrici per ufficio, delle segretarie, dei diagram m i alle pareti e dei telefoni squillanti. Mentre si ferm avano davanti alla porta con la targhetta AMMINISTRATORE, Halvorsen disse diplom aticam ente: «Il dottor Floyd e io vi raggiun gerem o nella sala delle conferenze tra un paio di minuti.» Gli altri annuirono, con suoni compiti di approvazione e si allontanarono nel corridoio. Ma prim a che Halvorsen avesse potuto introdurre Floyd nel suo ufficio, vi fu un’interruzione. La porta si aprì e una piccola sagoma si lanciò contro l’am m inistratore. «Papà! Sei stato di sopra! E avevi prom esso di portare an che m e.» «Suvvia, Diana», disse Halvorsen, con esasperata tenerezza, «ti avevo detto soltanto che saresti venuta se fosse stato possibile. Invece ho avuto m oltissim e cose da sbrigare e sono dovuto an dare in contro al dottor Floyd. Stringigli la m ano… è appena arrivato dalla Terra.» La bimbetta – Floyd ritenn e che fosse sugli otto anni – gli tese una m ano in erte. Aveva un viso vagam ente familiare, e Floyd si accorse a un tratto che l’am m inistratore lo stava sbirciando con un sorriso canzonatorio. Ricordando con un sussulto, capì perché. «Non posso crederlo!» esclam ò. «L’ultima volta che fui qui era quasi una neonata!» «Ha com piuto quattro anni la settim ana scorsa», rispose orgoglioso Halvorsen. «I bambini crescono in fretta con questa – 72 – bassa gravità. Ma non in vecchiano altrettan to rapidam ente… vivranno più a lungo dì noi.» Floyd fissò affascinato la bimbetta così sicura di sé, notan done il portam ento pieno di grazia e l’inconsueta, delicata struttura. «È un piacere rivederti, Dian a», disse. Poi, qualcosa… forse pura curiosità, forse cortesia… lo in dusse ad aggiun gere: «Ti piacerebbe andare sulla Terra?» La bambina spalan cò gli occhi per lo stupore, poi scosse la testa. «È un bruttissim o posto; ci si fa m ale quando si cade. E inoltre, c’è troppa gente.» Sicché ecco qui, si disse Floyd, la prim a generazione dei Natinello-Spazio; ve ne sarebbero stati m olti di più negli anni a venire. Sebbene vi fosse m alin conia in questa riflessione, v’era an che una grande speranza. Una volta che la Terra fosse divenuta m ansueta e tran quilla, e forse un po’ stanca, vi sarebbero state an cora opportunità per coloro che am avan o essere liberi, per i duri pionieri, per gli irrequieti avventurieri. Ma i loro m ezzi non sarebbero consistiti in una scure e in un fucile, in una canoa e in un carro coperto; essi avrebbero potuto disporre di centrali nucleari, di reattori al plasm a, di colture in soluzioni liquide nutritive. Si stava avvicinando rapidam ente il m om ento in cui la Terra, com e tutte le madri, avrebbe dovuto dire addio ai propri figli. Alternando le minacce alle prom esse, Halvorsen riuscì a liberarsi della sua decisa figliola e condusse Floyd nell’ufficio. L’ufficio dell’am ministratore aveva una superficie di pochi m etri quadrati appena, m a riusciva a contenere tutte le suppellettili e tutti i simboli della condizione sociale di un capo di dipartim ento il cui stipendio raggiun geva i cinquan tam ila dollari annui. Fotografie con dedica di im portanti uomini politici, com presi il Presidente degli Stati Uniti e il segretario generale delle Nazioni Unite, ornavan o una parete, m entre altre fotografie con dedica di fam osi astronauti ne rivestivan o quasi com pletam ente un ’altra. – 73 – Floyd affondò in una com oda poltrona di cuoio, e gli fu offerto un bicchierino di xères, prodotto dai laboratori biochimici lunari. «Com e stanno an dando le cose, Ralph?» dom an dò Floyd, sorseggiando il vin o dapprim a con circospezione e poi con approvazion e. «Non troppo m ale», rispose Halvorsen. «Però, c’è qualcosa che sarebbe bene lei sapesse, prima di recarsi laggiù.» «Di che si tratta?» «Be’, presum o che si potrebbe definirlo un problema di m orale», sospirò Halvorsen. «Oh?» «Non è ancora grave, ma arriverà presto alla gravità.» «Il veto sulle com unicazioni», disse Floyd con voce neutra. «Per l’appun to», rispose Halvorsen. «I m iei collaboratori in com in cian o a esserne m olto inn ervositi. In fin dei conti, hanno quasi tutti le famiglie sulla Terra; probabilm ente i loro cari crederanno che sian o morti tutti quanti di pestilenza lunare.» «Me ne dispiace», disse Floyd, «m a nessuno è riuscito a escogitare un pretesto migliore, e fino a questo m om ento ha funzionato. A proposito… ho incontrato Moisevic sulla Base Spaziale, e persino lui l’ha bevuta.» «Be’, ciò dovrebbe far gioire i servizi segreti.» «Non troppo… ha saputo del AMT-1; le voci stanno in comin ciando a diffondersi. Ma non possiam o assolutam ente diram are alcun comunicato fino a quando non avrem o saputo che cos’è il dannato oggetto e se dietro di esso non vi siano i nostri amici cinesi.» «Il dottor Michaels ritiene di aver trovato la soluzione. Muore dalla voglia di dirtelo.» Floyd vuotò il bicchiere. «Ed io m uoio dalla voglia di ascoltarlo. Andiam o.» – 74 – AN OM ALI A La conferenza ebbe luogo in una vasta sala rettangolare che avrebbe potuto contenere facilm ente cento persone. Era attrezzata con i più recenti ritrovati ottici ed elettronici e avrebbe avuto l’aspetto di una sala per conferenze m odello, se n on fosse stato per i num erosi m anifesti, calendari di pin -up, avvisi e dipinti dilettanteschi che lasciavano capire com e essa fosse altresì il centro della vita culturale locale. Floyd rim ase particolarm ente colpito da un a collezione di cartelli, ovviam ente riuniti con am orevole cura, e sui quali si leggevan o avvertim enti com e SI PREGA DI NON CALPESTARE L’ERBA… VIETATO IL PARCHEGGIO NEI GIORNI PARI… DÉFENSE DE FUMER… PER LA SPIAGGIA… ATTRAVERSAMENTO DI BESTIAME… CUNETTE… È VIETATO DARE CIBO AGLI ANIMALI. Se si trattava di cartelli autentici, e senz’altro sem bravan o esserlo, averli trasportati dalla Terra doveva essere costato un piccolo patrim onio. V’era in essi una sfida com m ovente; in un m ondo ostile, gli uom ini riuscivano ancora a scherzare sulle cose che eran o stati costretti ad abbandonare e delle quali i loro figli non avrebbero m ai sentito la man canza. Un gruppo di quaranta o cinquanta persone stava aspettando Floyd, e tutti si alzarono educatam ente, m entre lui entrava dietro l’am ministratore. Salutando con cenni del capo varie facce fam iliari, Floyd bisbigliò ad Halvorsen: «Gradirei dire qualche parola prim a della conferenza.» Sedette poi in prim a fila, m entre l’am m inistratore saliva sulla pedana e volgeva lo sguardo sugli ascoltatori. «Signore e signori», com inciò Halvorsen, «non ho bisogno di dirvi che questa è un ’occasion e m olto im portan te. Siam o felici di ospitare il dottor Heywood Floyd. Lo conosciam o tutti per fam a, e molti di voi lo conoscono personalm ente. Ha appena com piuto un volo speciale dalla Terra sin qui, e, prima della conferenza, desidera dirci qualche parola. Dottor Floyd…» – 75 – Floyd salì sulla pedana tra un battim ani di cortesia, osservò i presenti con un sorriso e disse: «Grazie… volevo soltanto dire questo: il Presidente m i ha pregato di comunicarvi la sua gratitudin e per l’im portante lavoro da voi svolto, che speriam o il m ondo intero possa presto conoscere e apprezzare. So benissim o», continuò con cautela, «che alcuni di voi… forse quasi tutti… sono ansiosi di veder elim inare l’attuale velo di segretezza; non sareste scienziati se la pensaste diversam ente.» Intravide per un m om ento il dottor Michaels, le cui fattezze eran o atteggiate a un lieve cipiglio che poneva in risalto una lun ga cicatrice sulla gota destra… presumibilm ente la conseguenza di qualche in cidente nello spazio. Il geologo, egli lo sapeva bene, aveva protestato vigorosam ente contro quella che definiva «questa assurdità tipo ladri e poliziotti». «Ma vorrei ricordarvi», continuò Floyd, «che questa è una situazione del tutto eccezionale. Dobbiam o essere assolutam ente certi dei fatti; se com m ettiam o errori in questo m om ento, potrebbe non presentarsi una seconda opportunità… quindi, vi prego, pazientate an cora un poco. Questo è an che il desiderio del Presidente. Non m i riman e altro da dire. E ora sono pronto ad ascoltare il vostro rapporto.» Tornò al suo posto, e l’am ministratore disse: «Grazie infinite, dottor Floyd», poi fece un cenno alquanto brusco al direttore scientifico. Il dottor Michaels si avvicin ò alla pedana e le lam pade si attenuarono e si spensero. Una fotografia della Luna apparve sullo scherm o. Al centro esatto del disco si trovava l’anello bianco e brillan te di un cratere, dal quale si apriva a raggiera un im pressionante ventaglio di raggi. Sembrava, né più né m eno, che qualcun o avesse lanciato un sacco di farina sulla superficie lunare, e che la farina si fosse sparpagliata in tutte le direzioni. «Questo è Tycho», disse Michaels, indicando il cratere centrale. «Su questa fotografia scattata verticalm ente, Tycho figura an cor più vistoso di quando è veduto dalla Terra; in quest’ultim o caso si trova piuttosto vicino all’orlo della Luna. Ma, osservato da questo pun to di vista, cioè guardan dolo diret- – 76 – tam ente dall’altezza di milleseicento chilom etri, potete constatare com e dom in i un in tero em isfero.» Lasciò che Floyd osservasse m eglio quella veduta non familiare di un oggetto fam iliare, poi continuò: «Durante lo scorso anno, abbiam o eseguito un rilevam ento m agnetico della regione, da un satellite a bassa quota. Esso è stato com pletato soltanto il m ese scorso, ed eccone il risultato… la m appa che ha dato l’avvio a tutte le com plicazioni.» Un ’altra im magine apparve sullo scherm o; sem brava una carta a curve di livello, sebbene indicasse soltanto l’intensità del cam po m agnetico e non le altezze sul livello del m are. Per la m aggior parte, le lin ee eran o grosso m odo parallele e bene intervallate; m a in un an golo della carta divenivano a un tratto com presse l’una contro l’altra, form an do una serie di cerchi concentrici… sim ili alla struttura di un nodo in un pezzo di legno. Anche allo sguardo di un profano appariva evidente che qualcosa di strano era accaduto al cam po m agnetico lunare in quella regione; e a gran di lettere, in fondo alla carta, si leggevano le parole: ANOMALIA MAGNETICA DI TYCHO N. UNO (AMT-1). Stam pigliata sull’angolo in alto a destra della carta figurava la parola segreto. «A tutta prim a ritenem m o che potesse trattarsi di un affioram ento di rocce m agnetizzate, m a tutte le prove geologiche contrastavano con questa ipotesi. E nemm eno un grosso m eteorite di nichel e ferro avrebbe potuto dar luogo a un cam po m agnetico così intenso. Fu deciso pertan to di an dare a dare un ’occhiata. «Il prim o gruppo non scoprì nulla… soltanto il solito terreno livellato, sepolto sotto uno strato m olto sottile di polvere lun are. Gli uom ini affondarono una sonda al centro esatto del cam po m agnetico per procurarsi un a “carota” da an alizzare. A sei m etri di profondità, la sonda si ferm ò. Il gruppo di rilevam ento com in ciò a scavare… un ’im presa tutt’altro che facile con le tute spaziali, posso assicurarvelo. – 77 – «Quello che trovarono li in dusse a tornare in tutta fretta alla Base. Inviamm o un gruppo più num eroso e m eglio equipaggiato. Gli uomini scavarono per due settim ane… con i risultati a voi tutti noti.» La buia sala delle conferenze divenne a un tratto silenziosa e colm a di aspettativa, m entre l’imm agine sullo scherm o cam biava. Sebbene tutti avessero già visto m olte volte quell’im m agine, non un o dei presenti si astenne dallo sporgersi in avanti, nella speranza di scoprire nuovi particolari. Sia sulla Terra, sia sulla Luna, a m eno di cento persone era stato consentito fino a quel m om ento di osservare la fotografia. Mostrava un uom o con la tuta spaziale rosso acceso e gialla, in piedi in fondo a uno scavo; aveva in man o un’asta da topografo segnata in decim i di m etro. Si trattava ovviam ente di una fotografia scattata duran te la notte e sarebbe potuta essere stata presa dappertutto sulla Luna o su Marte; m a fino a quel m omento in nessun pian eta si era m ai veduto niente di simile. L’oggetto davan ti al quale si trovava in posa l’uom o con la tuta spaziale era una lastra verticale di m ateriale nerissim o, alta circa tre m etri e larga un m etro e m ezzo: ricordò a Floyd, alquanto m inacciosam ente, una pietra tom bale gigan tesca. Perfettam ente sim m etrica e con spigoli geom etrici, era così nera da dare l’im pressione che assorbisse la luce dalla quale veniva illum inata; non esisteva assolutamente alcun particolare superficiale. Era im possibile dire se fosse fatta di pietra o di m etallo o di plastica… o di qualche m ateriale com pletam ente ignoto all’uom o. «AMT-1», dichiarò il dottor Michaels, quasi con reverenza. «Sembra nuovo di zecca, no? Non posso certo rim proverare coloro che hanno pensato risalisse soltanto a pochi anni fa, e hanno cercato di collegarlo alla terza spedizione cinese del 1998. Ma io non ho m ai creduto a questa tesi… e ora siam o stati in grado di stabilirne con certezza la data, in base a prove geologiche locali. – 78 – «I m iei colleghi e io, dottor Floyd, siam o pronti a giocarci la nostra reputazion e. Il AMT-1 non ha niente a che vedere con i cinesi. In effetti, non ha niente a che vedere nem m eno con il genere um ano… perché quan do venne sepolto non esistevano esseri um ani. «Vede, risale approssimativam ente a tre m ilioni di anni fa. L’oggetto che lei sta guardan do è la prim a prova di una vita intelligente di là dalla Terra.» VI AGGI O ALLA LU CE D E LLA TE R R A SETTORE DEL MACROCATERE: si estende a sud della prossim ità del centro dell’em isfero visibile della Lun a, e a est del settore del Cratere Centrale. Fittam ente costellato di crateri d’urto; m olti dei quali grandi, e tra essi i più grandi della Luna; a n ord alcuni crateri sono fratturati dall’im patto che form a il Mare Im brium . Superfici accidentate quasi dappertutto, tran ne che nel fondo di alcun i crateri. La m aggior parte delle superfici in pen denza, quasi tutte con un’inclinazione da 10 ° a 12°; il fondo di taluni crateri è quasi livellato. ALLUNAGGIO E MOVIMENTI: allunaggio generalm ente difficile a causa delle superfici accidentate e in pendio; m eno difficile nel fon do livellato di alcuni crateri. I m ovim enti sono possibili quasi dappertutto, m a occorre una selezione degli itin erari; risultan o m en o difficili sul fondo livellato di alcuni crateri. COSTRUZIONI: in genere m oderatam ente difficili a causa delle pen denze e di num erosi grossi blocchi di m ateriale franoso; lo scavo della lava è difficoltoso nel fondo di alcuni crateri. TYCHO: cratere di ottantasei chilom etri di diam etro, altezza dell’orlo 2.370 m etri sulla regione circostante; profondità del fondo, 3.60 0 m etri. Tycho ha il più vistoso sistem a raggiato della Luna, e alcuni raggi si esten dono per oltre ottocento chilom etri. (Estratto da «Studio tecnico speciale della superficie lunare», Ufficio tecnico del Dipartim ento dell’Esercito. Rilevam ento geologico USA. Washington 1961.) – 79 – Il laboratorio m obile, che stava percorrendo la pianura del cratere a ottanta chilom etri orari, aveva l’aspetto di un ’enorm e roulotte m ontata su otto ruote flessibili. Ma era m olto di più: si trattava di una base auton om a nella quale venti uom ini potevano vivere e lavorare per parecchie settim ane. In effetti poteva essere considerato una nave spaziale a ruote… e, in caso di em ergenza, poteva anche volare. Se veniva a trovarsi dinanzi a un crepaccio o a un canyon troppo lunghi per poter essere aggirati e troppo ripidi per potervi discendere, era in grado di saltare l’ostacolo grazie ai suoi quattro m otori a getto disposti inferiorm ente. Guardan do fuori dal finestrino, Floyd vide perdersi in lontananza dinanzi a sé una pista ben definita, ove decine di veicoli avevan o lasciato una fascia ben com pressa nella superficie friabile della Luna. A intervalli regolari lun go la pista si trovavano aste alte e sottili, ognuna con una luce lam peggian te. Nessuno avrebbe potuto sm arrirsi lun go il tragitto di trecentoventi chilom etri dalla Base Clavius al AMT-1, anche se era notte e il Sole non sarebbe sorto ancora per parecchie ore. Le stelle in alto erano soltan to un po’ più lum inose, o più num erose, che in una notte lim pida sugli altopiani del Nuovo Messico o del Colorado. Ma esistevan o due cose, in quel firm am ento nero com e carbone, che distruggevano ogni illusione di trovarsi sulla Terra. La prim a era la Terra stessa… un faro lum inoso sospeso sopra l’orizzonte settentrionale. La luce che si riversava da quel gigantesco em isfero era decine di volte più vivida di quella della Luna piena e avvolgeva tutto il territorio in una fredda fosforescenza azzurro-verdastra. La seconda im magine celeste consisteva in un cono di luce fioca e perlacea, obliquo nel cielo a oriente. Diventava sem pre e sem pre più lum inoso verso l’orizzonte, facendo pensare a im m ensi incendi nascosti subito di là dall’orlo della Luna. Ecco una pallida radiosità che nessun uom o aveva m ai visto dalla Terra, tran ne che durante i pochi e fuggevoli m om enti di una eclisse totale. Si trattava della corona, preannun cio dell’alba – 80 – lunare, che avvertiva com e di lì a non m olto il Sole avrebbe percorso quel suolo addorm entato. Sedendo con Halvorsen e Michaels nella saletta d’osservazione anteriore, situata im m ediatam ente sotto la cabina del conducente, Floyd constatò che i suoi pensieri tornavano con insistenza all’abisso di tre m ilioni di anni appena spalancatesi dinanzi a lui. Com e tutti coloro che hanno una cultura scientifica, era abituato a prendere in considerazione periodi di tempo di gran lunga m aggiori… ma essi si riferivano soltanto ai m ovim enti delle stelle e ai lenti cicli dell’un iverso inanim ato. La m ente o l’intelligenza non erano state coin volte; quei periodi cosm ici, quasi eternità, erano privi di tutto ciò che toccava le em ozioni. Tre m ilioni di anni! Il panorama infinitam ente affollato della storia scritta, con i suoi im peri e i suoi re, i suoi trionfi e le sue tragedie, occupava a m alapena un m illesim o di questo spaventoso intervallo di tempo. Non soltan to l’uom o stesso, m a quasi tutti gli anim ali ora viventi sulla Terra non eran o nem m eno esistiti quan do qualcun o aveva così accuratam ente seppellito il nero enigma laggiù, n el più vivido e nel più spettacolare di tutti i crateri della Lun a. Il dottor Michaels aveva la certezza assoluta che fosse stato seppellito, e con un deliberato proposito. «All’inizio», spiegò, «ero propenso a sperare che potesse in dicare la posizione di qualche struttura sotterranea, ma i nostri ultim i scavi hann o fatto cadere questa ipotesi. Esso poggia su un’am pia piattaform a dello stesso m ateriale nero, sotto la quale v’è roccia in disturbata. Le… creature… che lo hann o costruito volevano essere certe che rim anesse dov’è, purché non si fossero verificati violentissim i terrem oti lunari. Costruivan o per l’eternità.» Vi fu una nota di trionfo, e al contem po di tristezza, nella voce di Michaels, e Floyd poteva condividere entrambi gli stati d’an im o. Finalm ente, uno dei più an tichi interrogativi dell’uom o aveva trovato risposta, quella era la prova, di là da ogni om bra di dubbio, che l’intelligenza um ana non era la sola prodotta dall’un iverso. Ma a questa certezza si accom pagnava, – 81 – una volta di più, una consapevolezza dolorosa dell’im m ensità del Tem po. Chiunque fosse passato di lì, aveva m an cato il genere um ano per centom ila generazioni. Forse, si disse Floyd, era m eglio così. Eppure… che cosa non avrem m o potuto im parare da esseri capaci di attraversare lo spazio m entre i nostri an tenati vivevan o an cora sugli alberi! Poche centinaia di m etri più avanti, un cartello indicatore stava em ergendo sopra l’orizzonte stran am ente lim itato della Luna. Alla sua base v’era una struttura a forma di tenda, coperta di lucente stagnola argentea, ovviam ente per proteggerla dalla feroce calura del giorno. Mentre il laboratorio m obile passava, Floyd riuscì a leggere, nella vivida lumin osità della Terra: DEPOSITO DI EMERGENZA N. 3 20 chilogram m i di Lox 10 chilogram mi d’acqua 20 razioni MK 4 1 cassetta attrezzi tipo B 1 attrezzatura per riparazione tute TELEFONO «Non avete m ai pensato a questo?» dom an dò Floyd, additando il deposito fuori dal finestrino. «E se l’oggetto fosse un nascondiglio di rifornim enti, lasciato da una spedizione che non tornò m ai?» «È una possibilità», am mise Michaels. «Il cam po m agnetico ne indicava la posizione, per cui sarebbe stato facile ritrovarlo. Ma è piuttosto piccolo… non potrebbe contenere un gran che in fatto di rifornim enti.» «Perché no?» in tervenn e Halvorsen. «Chi può sapere quanto essi fossero gran di? Forse non superavano l’altezza di quindici centim etri, il che avrebbe reso l’oggetto, per loro, alto com e venti o trenta piani.» – 82 – Michaels crollò il capo. «È escluso», protestò. «Non possono esistere creature m olto piccole e in telligenti; occorre un minim o di volum e cerebrale.» Michaels e Halvorsen, Floyd lo aveva notato, partivano di solito da pun ti di vista opposti, eppure sem brava che vi fossero ben pochi attriti e che non esistesse ostilità personale tra loro. Si sarebbe detto che si rispettassero a vicenda e fossero sem plicem ente d’accordo nel dissentire. I pareri di tutti gli altri, del resto, non coin cidevan o di certo sulla natura del AMT-1, o m onolito di Tycho, com e taluni preferivano chiam arlo, conservando soltanto una parte della sigla. Nelle sei ore trascorse da quando era giunto sulla Luna, Floyd aveva sentito esporre decine di teorie, m a non aveva optato per alcuna di esse. Altare, pun to di riferim ento, pun to di rilevam ento topografico, tom ba, strum ento geofisico… queste eran o forse le ipotesi preferite e alcuni dei loro sostenitori si scaldavan o m olto nel difenderle. Già m olte scom m esse eran o state fatte, e parecchio denaro avrebbe cam biato tasca, una volta che si fosse in fine accertata la verità… am m esso che si potesse m ai accertarla. Fin o a quel m om ento, il duro e nero m ateriale del m onolito aveva resistito a tutti i tentativi alquanto blandi com piuti da Michaels e dai suoi colleghi per ricavarne cam pioni. Essi non dubitavano affatto che un raggio laser sarebbe riuscito a tagliarlo, poiché senza dubbio nulla poteva resistere a quella spaventosa concentrazion e di energia; ma la decision e di ricorrere a m ezzi così violenti doveva essere presa da Floyd. Egli aveva già deciso di fare entrare in gioco i raggi X, le sonde soniche, i fasci di neutroni, e tutti gli altri m ezzi non distruttivi di indagine, prim a di ripiegare sull’artiglieria pesante del laser. Sembrava un in dizio di barbarie distruggere qualcosa che non si riusciva a capire; m a forse gli uomini erano barbari, rispetto alle creature che avevano costruito quell’oggetto. E da dove potevano essere venute? Dalla Luna stessa? No, questo era assolutam ente im possibile. Seppure esisteva un tempo una vita indigena in quel m ondo sterile, essa era stata di- – 83 – strutta durante l’ultim a epoca di form azione dei crateri, quando la m aggior parte della superficie lunare aveva raggiun to l’incandescenza. Dalla Terra? Molto im probabile, anche se, forse, non del tutto im possibile. Una civiltà terrestre progredita, presum ibilm ente non umana, ai tempi del Pleistocene, avrebbe lasciato m olte altre tracce della sua esistenza. Avrem m o saputo tutto al riguardo, pensò Floyd, m olto tem po prim a di arrivare sulla Luna. Rim anevano due alternative: i pianeti e le stelle. Eppure, ogni prova sm entiva la possibilità di una vita intelligente altrove nel sistema solare… e addirittura della vita di qualsiasi genere, tran ne che sulla Terra e su Marte. I pian eti interni erano troppo caldi, quelli esterni di gran lunga troppo freddi, a m eno che non si discendesse nella loro atm osfera fino a profondità in cui la pressione equivaleva a centinaia di tonnellate per ogni centim etro quadrato. E così, forse, questi visitatori erano arrivati dalle stelle… eppure tale ipotesi sembrava ancor più in credibile. Alzan do gli occhi verso le costellazioni dissem inate nel cielo lunare color ebano, Floyd ricordò quante volte gli scienziati suoi colleghi avessero «dim ostrato» che i viaggi in terstellari erano im possibili. Già il viaggio dalla Terra alla Luna costituiva un’im presa straordin aria; m a la stella più prossim a era cento milioni di volte più lontana… Comun que, abbandonarsi alle speculazioni significava perdere tempo; doveva aspettare finché non fossero em erse altre prove. «Per favore, m ettere le cinture di sicurezza e ferm are tutti gli oggetti m obili», disse a un tratto l’altoparlante della cabina. «Ci stiam o avvicinando a un pendio di quaranta gradi.» Due pali in dicatori con luci lam peggianti eran o apparsi all’orizzonte e il laboratorio m obile stava sterzando per passare tra essi. Floyd aveva appena allacciato la cintura di sicurezza quando il veicolo si portò adagio sull’orlo di un pendio davvero terrifican te e incom inciò a scendere un a lun ga china coperta di pietrisco, ripida quanto il tetto di una casa. L’obliqua luce riflessa della Terra, alle loro spalle, illum inava ora ben poco, e i fari – 84 – del laboratorio m obile erano stati accesi. Molti anni prima, Floyd era rimasto in piedi sull’orlo del Vesuvio; gli fu facile, ora, im m aginare il calarvisi dentro, e la sensazione non fu affatto piacevole. Stavano scendendo giù per un a delle terrazze in terne di Tycho, ed essa tornò a livellarsi alcune centinaia di m etri più in basso. Mentre strisciavan o giù per il versante, Michaels additò la vasta pianura che si estendeva adesso sotto di loro. «Eccoli là», esclam ò. Floyd annuì; aveva già notato il gruppo di luci rosse e verdi parecchi chilom etri più avanti e continuò a guardare in quella direzione, m entre il laboratorio m obile scendeva delicatam ente il versante. Il rosso veicolo era ovviam ente sotto pieno controllo, m a egli non respirò liberam ente finché non venn ero a trovarsi di nuovo in posizione orizzontale. A questo punto poté scorgere, lucenti com e bolle argentee nella luce riflessa della Terra, un gruppo di cupole a pressione: i rifugi temporanei che ospitavano gli uom ini al lavoro sul posto. Accan to a essi si trovavano un’an tenna radio, una torre di perforazione, un gruppo di veicoli parcheggiati, e un gran mucchio di roccia frantumata, presum ibilm ente il m ateriale che era stato scavato per m ettere a nudo il m onolito. Il m inuscolo accam pam ento nella regione selvaggia sem brava m olto solitario, m olto vulnerabile dalle forze della natura assiepate silenziosam ente in torno ad esso. Non si vedeva alcun segno di vita, e nulla di visibile lasciava capire perché alcuni uom ini fossero venuti sin lì, così lontan o dalla patria. «Si può appena in travedere il cratere», disse Michaels. «Laggiù a destra… a un centinaio di m etri circa da quell’antenna radio.» Sicché ci siam o, pensò Floyd, mentre il laboratorio m obile passava accan to alle cupole a pressione, e si ferm ava sull’orlo del cratere. Il cuore gli batté in fretta m entre si sporgeva in avanti per vedere m eglio. Il veicolo prese a strisciare con cautela giù per una ram pa di roccia com patta nell’interno del cratere. E là, esattam ente com e lo aveva veduto nelle fotografie, si trovava il AMT-1. – 85 – Floyd lo fissò, batté le palpebre, scosse la testa, e tornò a fissarlo. Anche nella vivida luce della Terra non era facile vedere con chiarezza l’oggetto; la sua prim a im pression e fu quella di un rettangolo piatto che sarebbe potuto essere ritagliato in un foglio di carta carbone; sembrava che non avesse alcuno spessore. Naturalm ente, questa era un’illusion e ottica; sebbene stesse contem plan do un corpo solido, esso rifletteva così poca luce che riusciva a scorgerlo soltanto di profilo. I passeggeri serbarono il silenzio più assoluto, m entre il laboratorio m obile scendeva nel cratere. V’era tim ore reverenziale, e v’era an che incredulità… pura incapacità di credere che la m orta Luna, tra tutti i m ondi, potesse aver fruttato quella sorpresa fan tastica. Il laboratorio m obile si ferm ò a sei m etri dal m onolito e di fianco a esso, in m odo che tutti i passeggeri potessero esam inarlo. Ciò nonostan te, a parte la form a perfettam ente geom etrica dell’oggetto, v’era poco da vedere. In nessun pun to si scorgevano segni qualsiasi, o una qualunque attenuazion e di quell’estrem o nero-ebano. Lo si sarebbe detto la cristallizzazione stessa della notte, e per un mom ento Floyd si dom andò se non potesse trattarsi, in effetti, di qualche straordin aria formazione naturale, nata dalle fiam m e e dalle pression i accompagnatesi alla creazion e della Luna. Ma questa possibilità, lo sapeva, era già stata esaminata e scartata. A un segnale, i riflettori intorno all’orlo del cratere furono accesi, e la vivida luce della Terra venn e can cellata da un bagliore di gran lunga più brillante. Nel vuoto lunare i fasci luminosi eran o, naturalm ente, del tutto invisibili; form arono ellissi sovrapposte di un bianco accecan te, centrate sul m onolito. E là dove lo toccavano, la sua superficie color eban o sem brava assorbirle. Il vaso di Pan dora, pensò Floyd, con un im provviso presentim ento… in attesa di essere aperto dall’uom o indagatore. E che cosa vi troverà dentro? – 86 – LA LE N TA ALBA La prin cipale cupola a pressione nella località del AMT-1 distava appena sei m etri e il suo interno era scomodam ente affollato. Il laboratorio mobile, accoppiato ad essa m ediante una delle due cam ere d’equilibrio, consentì di avere una apprezzatissim a aggiunta di spazio abitabile. Nel pallone sem isferico a doppia parete lavoravano e dorm ivano i sei scienziati e tecnici ora stabilm ente adibiti allo studio del m onolito. La cupola conteneva in oltre quasi tutto il loro equipaggiam ento e quasi tutti gli strum enti, tutte le provviste che non potevano essere lasciate nel vuoto esterno, la cucina e gli im pian ti igienici, cam pioni geologici e un piccolo scherm o televisivo m ediante il quale lo scavo poteva essere tenuto sotto continua sorveglianza. Floyd non si stupì quan do Halvorsen decise di restare nella cupola; egli espose i suoi punti di vista con am m irevole franchezza. «Considero le tute spaziali un m ale necessario», disse l’am m inistratore. «Ne in dosso una quattro volte all’ann o, per i controlli quadrim estrali. Se non le dispiace, rim arrò qui e vi osserverò attraverso lo scherm o televisivo.» In parte, questo suo pregiudizio era orm ai ingiustificato, poiché gli ultimi m odelli di tute spaziali eran o infinitam ente più com odi delle goffe corazze in dossate dai prim i esploratori lunari. Potevan o essere in filati in m eno di un m inuto, an che senza nessun aiuto, ed erano com pletam ente automatici. Il m odello Mk V, nel quale Floyd venn e ora accuratam ente rinchiuso, lo avrebbe protetto dalle peggiori situazioni lunari, sia di giorno sia di notte. Accom pagnato dal dottor Michaels, egli passò nella piccola cam era d’equilibrio. Mentre la pulsazione delle pom pe cessava e la tuta si irrigidiva intorno a lui in m odo appena percettibile, si sentì circondato dal silenzio del vuoto. – 87 – Quel silenzio fu rotto dal gradito suono della radio contenuta nella tuta. «La pressione è okay, dottor Floyd? Sta respirando normalm ente?» «Sì… sto benissim o.» Il suo com pagno controllò attentam ente i quadranti e gli indicatori all’esterno della tuta di Floyd. Poi disse: «Okay… andiam o.» La porta esterna si aprì ed ebbero dinanzi a loro il polveroso paesaggio lunare, baluginante nella luce riflessa della Terra. Con un cauto m ovim ento ondeggian te Floyd seguì Michaels attraverso il portello; non era faticoso cam minare. Anzi, paradossalm ente, la tuta lo faceva sentire più a suo agio che in qualun que altro m om ento da quan do era arrivato sulla Luna. Il peso in più e la lieve resistenza opposta al suo m oto, davano in qualche m odo l’illusione della perduta gravità terrestre. Lo scenario era cam biato dall’arrivo del gruppo, appena un ’ora prim a. Sebbene le stelle e l’em isfero terrestre continuassero a essere lum inosi com e sem pre, la notte lunare, della durata di quattordici giorni terrestri, era quasi finita. Il bagliore della corona sem brava un falso sorgere della Luna nel cielo a oriente… e poi, inaspettatam ente, la som m ità dell’an tenna radio, trenta m etri più in alto del capo di Floyd, parve a un tratto prorom pere com e un a fiamm ata, m entre coglieva i primi raggi del sole nascosto. Aspettarono, m entre il supervisore delle ricerche e due dei suoi collaboratori em ergevan o dalla cam era d’equilibrio, poi si in cam m inarono adagio verso il cratere. Quando lo ebbero raggiunto, un arco sottile di in tollerabile incandescenza si era spinto sopra l’orizzonte a oriente. Anche se il sole avrebbe im piegato più di un’ora per em ergere com pletam ente oltre l’orlo della Luna in lenta rotazion e, le stelle erano già bandite. Il cratere continuava a essere imm erso nell’om bra, m a i riflettori disposti intorno al suo orlo ne illuminavano vividam ente l’interno. Scendendo adagio la ram pa verso il rettangolo nero, Floyd provò una sensazion e non soltanto di tim ore reverenziale – 88 – m a anche di im potenza. Lì, proprio alle soglie della Terra, l’uom o si trovava già a faccia a faccia con un m istero che forse non sarebbe stato mai risolto. Tre m ilioni d’anni prim a, qualcosa era passato da quella parte, aveva lasciato quel simbolo ignoto e forse in conoscibile del proprio scopo, ed era tornato ai pianeti… o alle stelle. La radio della tuta di Floyd interruppe le sue fantasticherie. «Parla il supervisore delle ricerche. Se non vi dispiace allinearvi tutti da quella parte, vorrem m o scattare alcune fotografie. Dottor Floyd, vuole, per cortesia, m ettersi al centro… Dottor Michaels… grazie…» Nessuno, tranne Floyd, parve ritenere che vi fosse qualcosa di ridicolo in tutto ciò. Molto sinceram ente, com unque, egli dovette am m ettere di essere lieto che qualcun o avesse portato una m acchina fotografica; ecco un ’istantanea destinata senza dubbio a riman ere storica, ed egli ne voleva alcune copie per sé. Sperò che la sua faccia restasse chiaram ente visibile attraverso il casco della tuta. «Grazie, signori», disse il fotografo, dopo che ebbero posato un po’ im pacciati di fronte al m onolito, consentendogli di scattare una dozzina di fotografie. «Chiederem o alla Sezion e fotografica della Base di farvi avere le copie.» Floyd dedicò poi tutta la sua attenzion e al m onolito di ebano… girandogli intorno adagio, esam inandolo da ogni pun to di vista, cercan do di im prim ersene nella m ente la stranezza. Non si aspettava di trovare alcunché, poiché sapeva che ogni centim etro quadrato della superficie era già stato esaminato con accuratezza m icroscopica. Ora il sole pigro si era sollevato sopra l’orlo del cratere, e i suoi raggi si riversavano sulla faccia est del blocco quasi in pieno. Eppure esso sembrava assorbire tutti i corpuscoli della luce com e se non fossero m ai esistiti. Floyd decise di tentare un sem plice esperim ento; si frappose tra il m onolito e il sole e osservò la propria ombra sulla levigata superficie nera. Non se ne scorgeva alcuna traccia. Alm eno dieci – 89 – kilowatt di calore dovevano cadere sul m onolito; se all’interno esisteva realm ente qualcosa, doveva cuocersi rapidam ente. Che stran o, pensò Floyd, trovarsi qui m entre… questa cosa… vede la luce del giorno per la prim a volta da quando le ere glaciali incom inciarono sulla Terra. Si dom an dò ancora quale fosse la ragione del colore n ero; era ideale, naturalm ente, per assorbire energia solare. Ma scartò subito l’idea; chi m ai, infatti, sarebbe stato così pazzo da seppellire un congegno azionato dall’energia solare a sei m etri sotto la superficie del suolo? Guardò la Terra, che in com in ciava a svanire nel cielo m attutin o. Soltanto un pugno dei suoi sei m iliardi di abitan ti sapeva di questa scoperta; com e avrebbe reagito il m ondo alla notizia, quando fosse stata finalm ente comunicata? Le conseguenze politiche e sociali eran o im m ense; ogni individuo realm ente intelligente, chiunque avesse saputo guardare un centim etro più in là del proprio naso, avrebbe trovato la propria vita, i propri valori, la propria filosofia cam biati in m odo sottile. Anche se non si fosse scoperto assolutam ente nulla del AMT-1, e se esso fosse dovuto restare un eterno mistero, l’uom o avrebbe saputo di non essere unico nell’universo. Sebbene le avesse m ancate per m ilioni di anni, le creature che un tempo eran o state lì avrebbero potuto farvi ritorno; o sennò, ce ne sarebbero potute essere altre. L’avvenire di ognuno doveva ormai tener conto di questa possibilità. Floyd stava ancora cogitan do su queste riflessioni, quando l’altoparlan te del casco em ise a un tratto un penetran te strido elettronico, com e un segnale torm entoso, troppo saturo e distorto. Involontariam ente cercò di tapparsi le orecchie con le m ani chiuse nella tuta spaziale; poi si riscosse e bran colò freneticam ente in cerca del com an do di volum e del ricevitore. Mentre stava an cora annaspan do, quattro altri stridi proruppero dall’etere; seguì poi un m isericordioso silenzio. Tutto attorno al cratere, sagom e rim anevano im m obili in atteggiam ento di paralizzato stupore. Allora non si tratta di un guasto al m io apparecchio, si disse Floyd; hann o udito tutti questi penetranti gridi elettronici. – 90 – Dopo tre m ilioni d’anni di tenebre, il AMT-1 aveva salutato l’alba lunare. GLI ASCOLTATOR I Centosessanta milioni di chilom etri oltre Marte, nella gelida solitudin e in cui nessun uom o aveva m ai viaggiato, il Monitor dello Spazio Profondo 79 si spostava adagio fra le orbite intersecantisi degli asteroidi. Per tre an ni aveva svolto im peccabilm ente la propria mission e… un tributo agli scienziati am ericani dai quali era stato progettato, agli ingegneri inglesi dai quali era stato costruito, ai tecnici russi dai quali era stato lanciato… Una delicata ragnatela d’antenne captava le onde dei rum ori di fondo radiofonici… gli in cessan ti crepitii e sibili di quello che Pascal, in un’epoca di gran lunga più sem plice, aveva ingenuam ente definito «il silenzio degli spazi in finiti». I rivelatori di radiazione in dividuavan o e analizzavano i raggi cosm ici in arrivo dalla galassia e da pun ti situati oltre di essa; telescopi a neutroni e a raggi X tenevano sotto osservazione stelle sconosciute che nessuno sguardo um ano avrebbe m ai visto; magnetom etri rilevavano le folate e gli uragani dei venti solari, m entre il Sole alitava raffiche di tenue plasma, alla velocità di un m ilione e seicentom ila chilom etri l’ora, in faccia ai suoi figli che gli ruotavano attorno. Tutte queste cose e m olte altre an cora venivano pazientem ente annotate dal m onitor dello Spazio Profondo 79, e registrate nella sua m em oria cristallin a. Una delle sue antenne, m iracoli dell’elettronica orm ai ignorati, era continuam ente orientata verso un punto che non distava m ai m olto dal Sole. Ogni pochi m esi, il suo rem oto bersaglio avrebbe potuto essere visto, qualora vi fosse stato un occhio a guardarlo, com e una vivida stella con una vicina e più fioca – 91 – com pagna; m a, quasi sem pre, essa si perdeva nel bagliore solare. Verso quel lontanissim o pianeta, la Terra, il m onitor trasm etteva ogni ventiquattr’ore le in form azioni che aveva pazientem ente raccolto, tutte nitidam ente com pendiate in un im pulso della durata di cinque m inuti. Circa un quarto d’ora dopo, viaggiando alla velocità della luce, quell’im pulso giungeva alle apparecchiature che am plificavano e registravano il segnale, e lo aggiungevano alle m igliaia di chilom etri di nastro m agnetico raccolti nei sotterranei dei Centri Spaziali Mondiali a Washington, a Mosca e a Canberra. Sin da quando i prim i satelliti eran o entrati in orbita, quasi cinquan t’anni prima, trilioni e quadrilioni di im pulsi contenenti in formazioni si eran o riversati sulla Terra dallo spazio, per essere accan tonati in attesa del giorno in cui avrebbero potuto contribuire al progresso della conoscenza. Soltan to una m inim a frazione di tutto questo materiale grezzo sarebbe stata vagliata; m a era im possibile stabilire quali osservazioni qualche scienziato avrebbe voluto consultare di lì a dieci o cinquan ta o cento anni. Per conseguenza, tutto doveva essere archiviato, ordinatam ente disposto in in term inabili gallerie ad aria condizionata, triplicato nei tre centri per parare la possibilità di una perdita accidentale. Tutto ciò faceva parte del vero tesoro dell’um anità, un tesoro di gran lun ga più prezioso di tutto l’oro inutilm ente rinchiuso nelle casseforti delle banche. E ora il m onitor dello Spazio Profondo 79 aveva notato qualcosa di stran o… un debole eppure in equivocabile disturbo che attraversava il sistem a solare, e un disturbo del tutto diverso da ogni fenom eno naturale osservato in passato. Automaticam ente, esso registrò la direzione, l’ora, l’intensità; di lì a non m olto avrebbe comunicato l’inform azione alla Terra. Com e avrebbe fatto, inoltre, l’Orbitante M 15, che girava due volte al giorno in torno a Marte; e la Son da ad Alta Inclinazione 21, che adagio saliva sopra il piano dell’eclittica; e persino la Com eta Artificiale 5, diretta verso le gelide solitudini oltre Plutone, lungo un’orbita il cui punto estrem o sarebbe stato rag- – 92 – giunto soltanto dopo un migliaio di anni. Tutti rilevarono la sin golare esplosione di energia che aveva disturbato i loro strum enti; e tutti, a tempo debito, riferirono automaticam ente alle m em orie elettroniche sulla Terra lontana. Le calcolatrici non avrebbero forse m ai percepito il rapporto tra le quattro bizzarre serie di segnali trasm esse da sonde spaziali lanciate su orbite in dipendenti e lontane milioni di chilom etri. Ma non appena diede un ’occhiata al rapporto m attutin o, l’addetto alle previsioni delle radiazioni, a Goddard, si rese conto che qualcosa di stran o era passato attraverso il sistem a solare in quelle ultim e ventiquattro ore. Conosceva soltanto una parte del suo percorso, m a quando la calcolatrice lo proiettò sulla tavola della situazione planetaria, il percorso divenn e chiaro e inequivocabile com e una scia di vapori attraverso un cielo senza nubi, o com e un ’unica serie di im pronte su un cam po di neve vergine. Qualche forma im materiale di energia, lanciando un getto di radiazione sim ile alla scia di un m otoscafo in corsa, era scaturita dalla superficie della Luna e si stava dirigendo verso le stelle. – 93 – CAP I TOLO TE R ZO TR A I P I AN E TI LA » D I SCOVE R Y « L’astronave distava appena trenta giorni dalla Terra, eppure David Bowm an stentava a volte a credere di aver m ai conosciuto un ’esistenza diversa da quella del chiuso, piccolo m ondo della Discovery . Tutti gli anni di addestram ento, tutte le precedenti m issioni sulla Luna e su Marte sem bravano appartenere a un altro uom o, in un ’altra vita. Fran k Poole riconosceva di provare la stessa sensazione, e talora si era scherzosam ente ram maricato per il fatto che lo psicanalista più vicino distava quasi centosessan ta m ilioni di chilom etri. Ma questa sensazion e di isolam ento e di estran iam ento era abbastanza facile a capirsi, e senza dubbio non stava ad attestare alcuna an ormalità. Nei cinquant’anni trascorsi da quando gli uom ini si erano azzardati per la prim a volta nello spazio, non vi era m ai stata una m issione sim ile a questa. Aveva avuto inizio cinque anni prim a com e Progetto Giove… il prim o volo di andata e ritorno con uom ini a bordo fin o al più gran de dei pian eti. L’astronave era quasi pronta per il viaggio di due anni, quando, alquanto bruscam ente, il programm a della m ission e aveva subito una varian te. La Discovery sarebbe an cora arrivata fino a Giove, m a non per ferm arsi laggiù. Non avrebbe neppure rallentato la velocità – 94 – correndo tra l’esteso sistem a di satelliti del pianeta. All’opposto… si sarebbe avvalsa del cam po gravitazionale di quel m ondo gigantesco com e di una fionda che l’avrebbe lanciata ancor più lontano dal Sole. Sim ile a una com eta, si sarebbe spinta fino ai limiti estrem i del sistema solare, verso la sua m eta ultima, lo splendore inanellato di Saturno. E non avrebbe fatto m ai più ritorno. Per la Discovery quello sarebbe stato un viaggio a senso unico… e ciò, non ostante il suo equipaggio non avesse alcuna intenzione di uccidersi. Se tutto fosse an dato bene, gli uomini sarebbero stati di ritorno sulla Terra entro sette anni… cinque dei quali destinati a passare com e un lam po, nel sonno senza sogni dell’ibernazion e, m entre avrebbero aspettato di essere presi a bordo della non ancor costruita Discovery II, e salvati. La parola «salvati» veniva accuratam ente evitata in tutti i com unicati e i docum enti dell’En te Astronautico; im plicava qualche errore di pianificazione, e il termin e di gergo approvato era «riacquisizione». Se qualche in conveniente si fosse realm ente verificato, senza dubbio non vi sarebbe stata alcuna speranza di soccorso a quasi un miliardo e m ezzo di chilom etri dalla Terra. Si trattava di un rischio calcolato, com e in tutti i viaggi nell’ignoto. Ma m ezzo secolo di ricerche aveva dim ostrato che l’ibernazione um ana indotta artificialm ente era del tutto sicura, schiudendo nuove possibilità per quanto concerneva i viaggi nello spazio. Fino a questa missione, però, la scoperta non era m ai stata sfruttata al massim o. I tre com ponenti della squadra di ricognizione, che non sarebbero stati necessari fino a quando l’astronave non fosse entrata nella sua orbita finale in torno a Saturno, avrebbero dorm ito per tutto il viaggio di andata. Si sarebbero così risparm iate tonnellate di viveri e di altri materiali di consum o; inoltre, fattore altrettan to im portan te, la squadra sarebbe stata riposata e fresca, an ziché affaticata dal viaggio di dieci m esi, al mom ento di agire. – 95 – La Discovery doveva entrare in un ’orbita di parcheggio in torno a Saturno, divenendo una nuova luna del pianeta gigantesco. Avrebbe ruotato lungo una ellisse di tre milioni e duecentom ila chilom etri, tale da condurla vicino a Saturno e da farle poi attraversare le orbite di tutte le sue lune più im portanti. Gli uom ini avrebbero avuto a loro disposizion e cento giorni durante i quali rilevare e studiare un m ondo la cui superficie era ottanta volte m aggiore di quella terrestre, circondato da un seguito di alm eno quindici satelliti conosciuti… un o dei quali grande quanto il pianeta Mercurio. Dovevan o esservi laggiù m eraviglie sufficienti per secoli di studi; la prima spedizione avrebbe potuto eseguire soltanto una ricognizione prelim inare. Tutte le sue scoperte sarebbero state com unicate per radio alla Terra; e an che se gli esploratori non avessero m ai dovuto fare ritorno, i risultati dell’im presa non sarebbero andati perduti. Dopo cento giorni, la nave spaziale Discovery avrebbe cessato la propria attività. Tutti i com ponenti dell’equipaggio sarebbero passati in ibernazione; soltanto gli im pianti essenziali avrebbero continuato a funzionare, sorvegliati dall’instan cabile cervello elettronico dell’astronave. Essa avrebbe continuato a girare in torno a Saturno, lun go un’orbita ormai così ben determ inata che gli uom ini avrebbero saputo esattam ente dove cercarla dopo m ille an ni. Ma, dopo cinque anni appena, stando ai piani attuali, la Discovery II sarebbe arrivata. Anche se fossero trascorsi sei o sette o otto ann i, i passeggeri addorm entati non si sarebbero resi conto della differenza. Per tutti loro l’orologio si sarebbe ferm ato, com e era già ferm o per Whitehead, Kam inski e Hunter. A volte Bowman , com e com andante della Discovery , invidiava i suoi tre inconsci colleghi nella pace gelida dell’Hibernaculum . Erano esenti da ogni noia e da ogni responsabilità; fino a quan do non fossero arrivati su Saturno, il m ondo esterno non sarebbe esistito per loro. Ma quel m ondo li stava osservando, per m ezzo degli in dicatori biosensori. Inseriti in m odo poco appariscente tra gli innu- – 96 – m erevoli strum enti del ponte di controllo, si trovavano cinque piccoli pannelli contrassegnati Hun ter, Whitehead, Kaminski, Poole, Bowm an. Gli ultimi due eran o spenti e senza vita; il loro m om ento sarebbe venuto soltan to di lì a un anno. Sugli altri si vedevano costellazioni di m inuscole spie verdi, le quali annun ciavano che tutto andava bene; e ogni pannello com prendeva un piccolo scherm o sul quale un a serie di lin ee lum inose tracciava i placidi ritm i del polso, della respirazione e dell’attività cerebrale. V’eran o m om enti in cui Bowman, pur essendo ben conscio dell’assoluta inutilità della cosa, in quanto l’allarm e avrebbe risuonato all’istante se vi fosse stato qualche in conveniente, inseriva l’audio. Ascoltava, quasi ipnotizzato, i battiti cardiaci infinitam ente lenti dei suoi colleghi addorm entati, tenendo gli occhi fissi sulle pigre onde che marciavano in sincronism o attraverso lo scherm o. Più affascinanti di tutti eran o gli in dicatori EEG, le chiavi elettroniche di tre personalità che un tempo erano esistite, e che sarebbero un giorno tornate a esistere. Rim anevano quasi esenti dalle som m ità e dagli avvallam enti le esplosioni elettriche, che attestavano l’attività del cervello in stato di veglia… o anche del cervello durante il sonno normale. Se rim aneva un residuo di coscienza, esso era oltre la portata degli strum enti e della m em oria. Di questo Bowman era certo per esperienza personale. Prima di presceglierlo per la m issione, avevano posto alla prova le sue reazioni all’ibernazione. Non sapeva bene se avesse perduto una settim ana di vita o se la sua m orte ultim a fosse stata rinviata dello stesso periodo di tem po. Quando gli eran o stati applicati gli elettrodi alla fronte e il generatore del sonno aveva com inciato a pulsare, dinanzi ai suoi occhi era passato un breve sfoggio di disegni caleidoscopici, e di stelle che si allontanavano. Poi tutto si era dileguato e l’oscurità lo aveva in ghiottito. Non si era accorto delle in iezioni e tanto m eno della prim a sensazion e di gelo quando la sua temperatura – 97 – corporea era stata ridotta a soli pochi gradi sopra il congelam ento. *** Si destò e gli parve di non avere quasi chiuso gli occhi. Ma sapeva che si trattava di un’illusione; chissà perché, era persuaso che in realtà fossero trascorsi anni. Era stata portata a term ine la m issione? Avevano già raggiunto Saturno, eseguita la ricognizione, per essere poi ibernati? La Discovery II si trovava già lì per ricondurli sulla Terra? Continuò a giacere in preda a uno stordim ento da sogno, assolutam ente incapace di distin guere tra ricordi reali e illusori. Apri gli occhi, ma vi fu ben poco da vedere, tranne un’offuscata costellazione di luci che lo lasciò interdetto per qualche m inuto. Poi si rese conto che stava guardando le spie in dicatrici sul Quadro Situazion e Astronave, m a gli riusciva im possibile m etterle a fuoco. Ben presto rinunciò al tentativo. Un soffio d’aria calda lo stava in vestendo, ed eliminava il gelo dalle sue m embra. Tutto era tranquillo, ma una musica stim olante dilagava dall’altoparlante dietro il suo capo. Stava lentam ente diventando sem pre e sem pre più forte. Poi una voce distesa, am ichevole, m a, lo sapeva, generata da un calcolatore, gli parlò. «Stai diventando operativo, Bave. Non alzarti e non tentare alcun m ovim ento brusco. Non cercare di parlare.» Non alzarti! pensò Bowm an. Questa sì ch’era buffa. Dubitava di poter an che soltanto m uovere un dito. Ma, non senza stupore, constatò che vi riusciva. Provò una soddisfazione im m ensa, sia pure in un m odo stordito e stupido. Sapeva vagam ente che la nave spaziale di soccorso doveva essere arrivata, che la procedura automatica di ritorno alla vita era stata avviata, e che ben presto avrebbe veduto altri esseri umani. Tutto ciò era piacevole, m a non lo entusiasm ò. – 98 – Di lì a poco si sentì affamato. Il calcolatore, naturalm ente, aveva previsto questa sua necessità. «C’è un pulsante di coman do accan to alla tua m ano destra, Dave. Se hai appetito, prem ilo.» Bowm an costrin se le proprie dita a cercare qua e là, e di lì a poco trovò il pulsante di forma ovale. Aveva dim enticato tutto al riguardo, sebbene dovesse aver saputo della sua esistenza. Ma quante altre cose aveva dim enticato! L’ibernazione cancellava forse i ricordi? Prem ette il pulsan te e aspettò. Parecchi m inuti dopo, un braccio m etallico si spostò sulla cuccetta, e un succhietto di plastica calò verso le sue labbra. Bowm an succhiò avidam ente e un liquido caldo e dolce gli scorse nella gola, rinnovando le sue energie a ogni goccia. Di lì a poco il braccio si allontanò ed egli riposò an cora. Adesso riusciva a muovere le braccia e le gam be; l’idea di cam m inare non era più un sogno im possibile. Sebbene sentisse le forze tornargli rapidam ente, sarebbe stato lieto di giacere lì per sem pre, purché non vi fossero stati ulteriori stim oli esterni. Ma, di lì a non m olto, un ’altra voce gli parlò… e questa volta era com pletam ente um ana, non un aggregato di im pulsi elettrici m essi insieme da un a m em oria più-cheum ana. Era inoltre una voce fam iliare, an che se trascorse un po’ di tem po prim a che egli riuscisse a riconoscerla. «Ciao, Dave. Ti stai riprendendo benissim o. Ora sei in grado di parlare. Sai dove ti trovi?» Si crucciò al riguardo per qualche m om ento. Se davvero era in orbita in torno a Saturno, che cosa poteva essere accaduto durante tutti i m esi trascorsi dopo la partenza dalla Terra? Di nuovo in comin ciò a dom andarsi se stesse soffrendo di am n esia. Paradossalm ente, questa stessa riflessione lo rassicurò. Se riusciva a ricordare la parola «amnesia» il suo cervello doveva essere in condizioni abbastanza buone… Ma ancora non sapeva dove si trovava, e colui che parlava all’altro capo del circuito doveva essersi reso conto benissim o della sua situazione. – 99 – «Non preoccuparti, Dave. Sono Frank Poole. Sto osservando i tuoi battiti cardiaci e la respirazione… Tutto è perfettam ente norm ale. Devi soltanto rilassarti… e star calm o. Adesso aprirem o il portello e ti toglierem o di lì.» Una luce m orbida dilagò nella cam era; egli vide sagom e in m ovim ento, profilate contro l’apertura sem pre più am pia. E in quel m om ento tutti i ricordi gli tornarono, e seppe esattam ente dove si trovava. Sebbene fosse riem erso sano e salvo dai più estrem i limiti del sonno e dal confine vicin o della m orte, era rim asto in stato di ibernazion e soltan to per una settim ana. Una volta uscito dall’Hibernaculum non avrebbe veduto il gelido cielo di Saturno; quello distava più di un anno nell’avvenire e un miliardo e seicento m ilioni di chilom etri. Lui si trovava ancora nell’addestratore del Centro Voli Spaziali di Houston, sotto il caldo sole del Texas. H AL Ma adesso il Texas era invisibile, e persino gli Stati Uniti si vedevano a stento. Sebbene i motori al plasm a a bassa spinta avessero cessato da tempo di funzionare, la nave spaziale Discovery si trovava an cora in prossim ità della Terra, con la sua sottile struttura a freccia puntata verso lo spazio esterno, e tutti i potentissim i strum enti ottici orientati verso i pianeti lontani, ove si celava il suo destin o. V’era un telescopio, tuttavia, perm anentem ente pun tato sulla Terra. Era m ontato, com e un congegno di m ira, alla base dell’an tenna a lunga portata della nave spaziale e faceva in m odo che la grande antenna parabolica riman esse rigidam ente orientata verso il bersaglio. Finché la Terra rim aneva centrata nel reticolo, il collegam ento vitale era assicurato e i m essaggi – 10 0 – potevano an dare e venire lun go il fascio invisibile che ogni giorno si allungava di oltre tre m ilioni di chilom etri. Per lo m eno una volta a ogni turno di guardia, Bowman contemplava la Terra attraverso il telescopio allin eato con l’antenna. Poiché la Terra era orm ai m olto in dietro verso il Sole, il suo emisfero buio riman eva orientato verso la nave spaziale, e sullo scherm o in dicatore centrale il pian eta appariva simile a un ’abbacinante falce argentea, com e un ’altra Venere. Accadeva di rado che si riuscissero a distin guere caratteristiche geografiche in quell’arco lum in oso sem pre più sottile, in quanto nubi e brum e le nascondevano, ma anche la parte oscurata del disco aveva un fascino inesauribile. Era disseminata di città risplendenti; a volte ardevano di una luce costante, a volte am m iccavan o com e lucciole m entre trem olii atm osferici vi passavano sopra. V’eran o inoltre periodi in cui la Luna, m entre seguiva la sua orbita, splendeva com e una gran de lam pada sui bui m ari e sui continenti della Terra. Allora, con un frem ito di riconoscim ento, Bowm an riusciva spesso a in travedere lin ee costiere che gli erano fam iliari, illum inate dalla spettrale luce lunare. E talora, quando il Pacifico era calm o, vedeva persino il chiaro di luna baluginare sulla sua superficie; e ricordava notti sotto i palm izi di lagune tropicali. Eppure non provava rim pianti per quelle perdute bellezze. Se le era godute tutte nei trentacinque an ni della sua esistenza; ed era deciso a goderle an cora, una volta che fosse tornato ricco e fam oso. Nel frattem po, la lontananza le rendeva an cor più preziose. Il sesto com ponente dell’equipaggio non si curava di alcuna di queste cose, perché non era um an o. Si trattava del perfezionatissim o calcolatore HAL 90 0 0 , il cervello e il sistema nervoso dell’astronave. Hal (che stava, nientem eno, per Calcolatore algoritm ico euristicam ente program m ato) era un capolavoro della terza generazione di calcolatori. Le gran di scoperte in questo cam po sem bravano determ inarsi a intervalli di vent’anni, e l’idea che un – 10 1 – altro gran de progresso fosse orm ai im minente preoccupava già un gran num ero di persone. Il prim o progresso lo si era avuto negli anni Quaranta, quando la valvola term oionica, orm ai superata da tempo, aveva reso possibili goffi deficienti veloci, com e l’ENIAC e i suoi successori. Poi, negli anni Sessanta, era stata perfezionata la m icroelettronica a stato solido. Con il suo avvento era apparso chiaro che in telligenze artificiali capaci alm eno com e quella dell’uom o non potevano essere più gran di di scrivanie o… se soltan to si fosse saputo com e costruirle. Con ogni probabilità, n essun o lo avrebbe saputo mai, m a non im portava. Negli anni Ottanta, Min sky e Good avevan o dim ostrato com e reti neutrali potessero essere generate automaticam ente, auto replicate, in arm onia con un qualsiasi arbitrario program m a di apprendim ento. Cervelli artificiali potevano essere creati con un processo sorprendentem ente analogo allo sviluppo di un cervello um ano. In ogni sin golo caso, i particolari precisi non sarebbero m ai stati noti e, an che se si fosse potuto conoscerli, eran o m ilioni di volte troppo com plessi per la com prension e um ana. Com unque fossero an date le cose, il risultato era consistito in una macchina in telligente capace di riprodurre (alcuni filosofi preferivan o ancora servirsi del term in e «m iniare») quasi tutte le attività del cervello um ano, e con una rapidità e una sicurezza di gran lunga maggiori. Si trattava di calcolatori costosissim i, e soltanto pochi esem plari della serie HAL 90 0 0 eran o stati costruiti fino a quel m om ento; m a la vecchia battuta secondo la quale sarebbe stato sem pre più sem plice creare cervelli organici con m ano d’opera non specializzata in cominciava a sembrare un po’ vuota. Hal era stato addestrato in m odo perfetto per questa m issione, com e i suoi colleghi um ani… e aveva una capacità pensante parecchie volte superiore alla loro poiché, oltre alla propria rapidità in trinseca, non dorm iva mai. Il suo com pito essenziale era quello di controllare i sistem i per il m an tenim ento della vita, – 10 2 – accertando continuam ente la pressione dell’ossigeno, la temperatura, eventuali fughe d’aria, la radiazione e tutti gli altri fattori in terdipendenti ai quali erano legate le vite del fragile equipaggio umano. Egli poteva apportare le com plesse correzioni di rotta, ed eseguire le necessarie m an ovre di volo quando occorreva cam biare direzione. Inoltre poteva sorvegliare gli ibernati in tervenendo con le necessarie regolazioni delle condizioni dell’am biente e distribuendo le piccole quantità di fluidi endovena che li m antenevano in vita. Le prim e generazioni di calcolatori avevan o ricevuto i dati per m ezzo di tastiere delle glorificate m acchine per scrivere, rispondendo m ediante telescriven ti rapide e in dicatori visivi. Hal era in grado di fare an che questo quando si rendeva necessario, m a quasi tutte le sue com unicazioni con i com pagni di viaggio avvenivano per il tramite della parola parlata. Poole e Bowm an potevano conversare con Hal com e se si fosse trattato di un essere uman o, ed egli rispondeva in un perfetto in glese idiom atico che aveva im parato durante le fuggevoli settim ane della sua fan ciullezza elettronica. Se Hal potesse effettivam ente pensare, era un in terrogativo che il m atem atico inglese Alan Turing aveva risolto sin dagli anni Quaranta. Secondo Turin g, se si poteva condurre una lunga conversazione con una apparecchiatura elettronica, sia m ediante una macchina per scrivere, sia m ediante un m icrofono, senza riuscire a distinguere tra le sue risposte e quelle che avrebbe potuto dare un uomo, quell’apparecchiatura pensava, in base a ogni definizione ragionevole del term in e. Hal sarebbe riuscito a superare facilm ente l’esam e di Turin g. Non era escluso che potesse giungere il m om ento in cui Hal avrebbe assunto il com ando della nave spaziale. In caso di em ergenza, qualora nessuno rispondesse ai suoi segnali, avrebbe tentato di svegliare i m embri addorm entati dell’equipaggio m ediante stim oli elettrici e chim ici. In assenza di una loro reazione, si sarebbe collegato per radio alla Terra per avere ulteriori ordini. – 10 3 – E poi, se non vi fosse stata alcuna risposta dalla Terra, avrebbe adottato quei provvedim enti che riteneva necessari per salvaguardare la nave spaziale e continuare la mission e… il cui vero scopo egli solo conosceva, e che i suoi colleghi um ani non avrebbero m ai potuto supporre. Poole e Bowman si eran o più volte riferiti spiritosam ente a se stessi com e a custodi o guardiani a bordo di un’astronave che, in realtà, poteva proseguire da sola. Sarebbero rim asti stupefatti e non poco in dignati scoprendo quan ta verità conteneva questa spiritosaggine. CON SU E TU D I N I D E LLA CR OCI E R A La guida giornaliera della nave spaziale era stata progettata con som m a cura e, alm eno teoricam ente, Bowm an e Poole sapevano che cosa avrebbero fatto in ogni m om ento delle ventiquattr’ore. Facevano turni di dodici ore di guardia e dodici ore di riposo, sostituendosi a vicenda, senza m ai dorm ire contem poran eam ente. L’ufficiale di servizio riman eva sul ponte di controllo, m entre l’altro ufficiale provvedeva alla m anutenzione in genere, ispezionava la nave spaziale, provvedeva alle varie in com benze delle quali si presentava senza posa la necessità, oppure riposava nel suo cubicolo. Sebbene Bowman fosse nom inalmente il com andante in questa fase della m ission e, nessun osservatore estran eo avrebbe potuto dedurlo. Lui e Poole si sostituivano in tutto e per tutto nei com piti, nel grado e nelle responsabilità ogni dodici ore. Ciò li m anteneva entrambi al culmin e dell’addestram ento, riduceva al m inim o le possibilità di attriti e li aiutava ad avvicinarsi alla m eta del cento per cento di perfezion e. La giornata di Bowm an incom in ciava alle 0 6.0 0 , ora dell’astronave: le Effem eridi astronom iche universali del tempo. – 10 4 – Se per caso Bowm an avesse tardato, Hal disponeva di tutta una serie di segnali sonori e di carillon per ricordargli il suo dovere, m a non erano mai stati im piegati. A titolo di prova, Poole aveva una volta staccato l’allarm e; Bowm an si era ugualm ente alzato com e un automa all’ora prevista. Il suo primo gesto ufficiale della giornata consisteva nel portare avanti di dodici ore il cronom etro prin cipale dell’ibernazion e. Se questa operazione fosse stata om essa due volte di seguito, Hal avrebbe presun to che tanto lui quanto Poole si trovavano nell’incapacità di agire e si sarebbe affrettato ad adottare i necessari provvedim enti di em ergenza. Bowm an faceva anzitutto la propria toletta ed esercizi isom etrici prima della colazione e della lettura mattutina dell’edizione elettronica del W orld Tim es. Sulla Terra, non aveva m ai letto il giornale attentam ente com e adesso; an che le più insignificanti notizie sui pettegolezzi m ondani e sulle più fuggevoli voci politiche, sem bravano di un interesse assorbente m entre balenavan o sullo scherm o. Alle 0 7.0 0 , sostituiva ufficialm ente Poole nel ponte di controllo, portandogli dalla cucina un tubo di caffè da sprem ere. Se, com e accadeva solito, non v’era alcunché da riferire e nessun provvedim ento da adottare, si accin geva a controllare tutte le in dicazioni degli strum enti ed eseguiva tutta una serie di prove aventi lo scopo di in dividuare possibili guasti. En tro le 10 .0 0 aveva term inato e si dedicava a un periodo di studio. Bowm an aveva studiato per più di m età della sua vita e avrebbe continuato a studiare finché non fosse an dato a riposo. Grazie alla rivoluzione del ventesim o secolo per quanto concerneva le tecniche relative all’istruzione e alle inform azioni, egli possedeva già la cultura equivalente a due o tre lauree e, quel che più contava, riusciva a ricordare il novan ta per cento di quanto aveva im parato. Cin quant’anni prim a, sarebbe stato considerato uno specialista in astronom ia applicata, cibernetica e sistemi propulsivi nello spazio… eppure egli tendeva a negare, con autentica indignazione, di essere qualcosa del genere. Gli era sem pre stato im pos- – 10 5 – sibile accentrare il proprio in teresse esclusivam ente su un argom ento; non ostante le tetre am m onizioni dei suoi in segnanti, aveva voluto a tutti i costi laurearsi in astronautica generale… una facoltà dal program m a vago e nebuloso, destinata a coloro il cui quoziente di intelligenza era inferiore a 130 e che non avrebbero m ai brillato nella loro profession e. La sua decision e era stata giusta; proprio quel rifiuto di specializzarsi lo aveva reso eccezionalm ente idoneo al suo com pito attuale. Pressappoco nello stesso m odo, Fran k Poole, che a volte, in m odo spregiativo, si autodefiniva «tecnico generico di biologia spaziale», era stato una scelta ideale com e suo vice. I due uom ini, se necessario con l’aiuto della vasta riserva di inform azioni di Hal, eran o in grado di far fronte a qualsiasi difficoltà potesse probabilm ente determ in arsi durante il viaggio, finché avessero fatto in m odo che le loro m enti rim anessero all’erta e ricettive, rinfrescando continuamente le nozioni im presse nella m em oria. Così, per due ore, dalle 10 .0 0 alle 12.0 0 , Bowm an si im pegnava in un dialogo con un ripetitore elettronico, controllando la sua cultura generale, o assim ilando nozioni specifiche per questa m issione. Studiava senza posa i piani della nave spaziale, i diagram mi dei circuiti, le carte astronomiche relative al viaggio, oppure tentava di assimilare tutto ciò che si sapeva su Giove, Saturno e le loro vaste fam iglie di lune. A m ezzogiorno si ritirava in cucina e affidava la nave spaziale ad Hal durante i preparativi del pran zo. Anche lì era sem pre pienam ente in contatto con gli eventi, poiché il minuscolo salotto con sala da pranzo conteneva un duplicato del Quadro Indicatore Situazione, e Hal poteva chiamarlo con un solo attim o di preavviso. Poole gli faceva com pagnia durante questo pasto, prim a di concedersi il suo periodo di sei ore di sonno, e di solito seguivano uno dei normali program m i televisivi trasm essi loro dalla Terra. I loro m enus eran o stati studiati con tanta cura quan to ogni altro aspetto della m issione. Il cibo, quasi tutto congelato ed essiccato, era in variabilm ente ottim o e prescelto tenendo pre- – 10 6 – sente la necessità di incom odarli il m eno possibile. I pacchetti dovevano soltanto essere aperti e in seriti nella piccola cucina automatica, che em etteva un segnale sonoro ripetuto a cottura avvenuta. Assaporavano bevan de e cibi che avevano lo stesso sapore e, fattore altrettan to im portan te, lo stesso aspetto del succo d’arancia, delle uova (cucinate in tutti i m odi), delle bistecche, delle costate, degli arrosti, della verdura fresca, della frutta assortita, dei gelati, e persino del pane appena tolto dal forno. Dopo pran zo, dalle 13.0 0 alle 16.0 0 , Bowm an faceva un giro lento e m eticoloso della nave spaziale, o di quelle parti di essa che eran o accessibili. La Discovery era lunga quasi centoventi m etri da un’estrem ità all’altra, ma il piccolo universo occupato dal suo equipaggio era contenuto in teram ente nella sfera larga dodici m etri del guscio a pressione. Lì si trovavano tutte le apparecchiature per il m antenim ento della vita, e lì era situato il ponte di controllo, il cuore operativo dell’astronave. Sotto di esso veniva un piccolo «garage spaziale» m unito di tre cam ere d’equilibrio, attraverso le quali capsule m otorizzate, gran di appena quanto bastava per contenere un uom o, potevano salpare nel vuoto se si presentava la necessità di un ’attività extra veicolare. La regione equatoriale della sfera a pressione (la sezione, per così dire, dal Capricorno al Cancro) racchiudeva un tamburo in lenta rotazion e del diam etro di un dici m etri e m ezzo. Poiché com piva una rivoluzione ogni dieci secondi, questa giostra o centrifuga produceva una gravità artificiale pari a quella della Luna. Essa bastava a im pedire l’atrofia fisica che sarebbe conseguita alla com pleta assenza di peso, e perm etteva in oltre che le norm ali funzioni della vita si svolgessero in condizioni norm ali o quasi norm ali. La giostra conteneva pertan to la cucina, la sala da pranzo e gli im pian ti igienici. Soltanto lì era prudente preparare e m aneggiare bevande calde… pericolosissim e nelle condizioni di assenza di peso, duran te le quali si può essere gravem ente ustionati da globuli galleggian ti d’acqua bollente. Anche le diffi- – 10 7 – coltà del radersi eran o risolte: non potevano esservi peli senza peso sparsi nell’aria, con il pericolo di danneggiare l’equipaggiam ento elettrico e di m inacciare la salute. Intorno all’orlo della giostra eran o disposti cinque piccoli cubicoli, arredati da ciascun astronauta a seconda dei suoi gusti e contenenti i suoi oggetti personali. Soltanto quelli di Bowm an e di Poole eran o attualm ente occupati, m entre i futuri occupanti delle altre tre cabine riposavano entro i loro sarcofaghi elettronici, nel reparto adiacente. La rotazione del tamburo poteva essere ferm ata, se necessario; quando ciò accadeva, il suo mom ento angolare doveva essere im m agazzinato in un volano, per essere riutilizzato al m om ento della ripresa della rotazione. Ma di norm a il tam buro veniva lasciato girare a velocità costante, in quanto era abbastanza facile entrare nella grossa giostra in lenta rotazione passan do, sostenendosi ad appigli, lun go un’asta attraverso la regione a zero g nel suo centro. Trasferirsi sulla sezione in m ovim ento era sem plice e automatico, dopo un po’ di esperienza, com e salire su una scala mobile. Il guscio sferico a pressione formava l’estrem ità di una leggera struttura a forma di freccia lunga più di cento m etri. La Discovery , com e tutti i veicoli destinati a una profonda penetrazione nello spazio, era troppo fragile e troppo poco aerodin am ica per poter entrare in un ’atm osfera, o per sfidare il cam po gravitazionale di qualsiasi pianeta. Era stata m ontata in orbita intorno alla Terra, collaudata nel corso di un prim o volo translunare, e infine controllata in orbita intorno alla Luna. Era una creatura del puro spazio… e ne aveva tutto l’aspetto. Im m ediatam ente dietro il guscio a pressione si raggruppavano quattro gran di serbatoi di idrogeno liquido e più indietro an cora, forman do una lun ga ed esile «V», si trovavan o le pinne irradian ti che disperdevan o il calore superfluo del reattore nucleare. Venate da un delicato ricam o di tubazioni per il liquido di raffreddam ento, sembravano le ali di una enorm e libellula e, sotto certi pun ti di vista, facevano sì che la Discovery somigliasse fuggevolm ente a una nave a vela dei tem pi antichi. – 10 8 – All’estrem ità della «V», e a novanta m etri dal com partim ento dell’equipaggio, v’eran o l’inferno scherm ato del reattore e il com plesso di elettrodi focalizzanti attraverso i quali sfuggiva la sostanza stellare incandescente della propulsione al plasma. Essa aveva svolto il proprio lavoro alcune settim ane prima, costrin gendo la Discovery ad allontan arsi dall’orbita di parcheggio intorno alla Luna. Ora il reattore si limitava a ticchettare, generan do energia elettrica per i servizi dell’astronave, e le gran di pinne irradianti, che divenivan o in candescenti assum endo un color rosso-ciliegia quan do la Discovery accelerava sotto la m assima spinta, erano scure e fredde. Anche se occorreva un ’escursione nello spazio per esam inare questa parte dell’astronave, esistevan o strum enti e rem ote telecam ere che fornivano in dicazioni com plete sulle sue condizioni. Bowm an riteneva ormai di conoscere in timam ente ogni centim etro quadrato delle pinne irradian ti e dei pannelli, e ogni tratto di tubazion e a essi collegato. En tro le 16.0 0 term inava l’ispezione, e faceva un rapporto verbale particolareggiato al Controllo Mission e, parlando finché quest’ultim o non incom inciava ad accusare ricevuta. Allora spegneva la trasmittente di bordo, ascoltava quanto la Terra aveva da dire, e rispondeva a ogni eventuale dom anda. Alle 18.0 0 Poole si destava e lo sostituiva. Gli riman evan o allora sei ore libere, da im piegare com e più gli piaceva. A volte continuava gli studi, oppure ascoltava musica o guardava film . Per la maggior parte del tempo vagava a suo piacim ento tra l’in esauribile biblioteca elettronica dell’astronave. Aveva finito con l’essere affascinato dalle grandi esplorazioni del passato… il che era abbastanza com prensibile, tenuto conto delle circostanze. A volte navigava con Pitea fuori dalle colonne d’Ercole, lungo le coste di una Europa che stava appena em ergendo dall’età della pietra, e si avventava tra le gelide nebbie dell’Artico. Oppure, duem ila anni dopo, inseguiva con Anson i galeoni di Manila, salpava con Cook lungo i pericoli ign oti della gran de barriera corallina e com piva, con Magellano, la prim a circumnavigazione della Terra. Incom inciò inoltre a – 10 9 – leggere l’Odissea, che, tra tutti i libri esistenti, gli parlava più vividam ente attraverso gli abissi del tem po. Per distrarsi, poteva sem pre im pegnare Hal in un gran num ero di giochi sem i m atematici, com presi la dam a e gli scacchi. Se Hal ce la m etteva tutta, poteva vincere qualsiasi partita; m a questo sarebbe stato negativo per il m orale. E così, lo avevano program m ato in m odo che vincesse soltanto il cinquanta per cento delle volte, e i suoi com pagni di gioco um ani fingevano di non saperlo. Le ultim e ore della giornata di Bowman eran o dedicate alle pulizie generali e a lavori vari, ai quali seguiva la cena alle ore 20 .0 0 , di nuovo con Poole. Quindi, per un’ora circa, egli poteva fare o ricevere qualsiasi telefonata dalla Terra. Com e tutti i suoi colleghi, Bowman era scapolo; non sarebbe stato giusto m andare uomini amm ogliati in una missione di sim ile durata. Sebbene num erose donn e avessero prom esso di aspettare fino al term ine della spedizione, la prom essa non era stata presa sul serio da nessun o. All’inizio, sia Poole sia Bowm an avevano fatto telefonate personali alquan to intim e una volta alla settimana, sebbene la consapevolezza che m olte orecchie dovevano ascoltarle, all’estrem ità del collegam ento con la Terra, tendesse a inibirli. Ma già, per quanto il viaggio fosse appena com in ciato, la passione e la frequenza delle conversazioni con le loro ragazze sulla Terra avevan o com in ciato a dim inuire. Essi se lo eran o aspettato; si trattava di un o degli in convenienti del m odo di vivere degli astronauti, com e lo era stato un tempo per i m arinai. Era vero, e risaputo, che i m arinai trovavano com pensi in altri porti; purtroppo, non esistevano isole tropicali piene di brune fanciulle di là dall’orbita della Terra. I m edici spaziali, naturalm ente, avevano affrontato questo problem a con il loro consueto entusiasm o; la farm acia della nave conteneva surrogati adeguati, an che se non affascinanti. Poco prim a del cam bio, Bowm an faceva il suo ultim o rapporto e si accertava che Hal avesse trasm esso tutti i nastri relativi alla strum entazione per quanto concerneva la navigazione di – 110 – quel giorno. Poi, se ne aveva voglia, passava un paio d’ore o leggendo o guardan do un film ; e a m ezzanotte si addorm entava… di solito senza dover ricorrere all’aiuto dell’elettronarcosi. L’attività di Poole era un ’im m agine speculare della sua, e i due turni si susseguivan o l’uno all’altro senza attriti. En tram bi gli uomini eran o com pletam ente occupati, e troppo intelligenti e bene adattati per poter litigare, e il viaggio si era assestato in una com oda routine del tutto priva di eventi, nella quale il trascorrere del tempo era in dicato soltanto dai num eri che cambiavano sui quadran ti degli orologi digitali. La più grande speranza del piccolo equipaggio della Discovery era che nulla potesse m ai guastare questa pacifica m onotonia in futuro. ATTR AVE R SO GLI ASTE R OI D I Correndo, una settim ana dopo l’altra, sim ile a un tram sui binari della sua orbita assolutam ente predeterm inata, la Discovery passò accanto all’orbita di Marte e proseguì verso quella di Giove. A differenza di tutti i vascelli che solcavano i cieli o i m ari della Terra, non richiedeva nemmeno un m inim o intervento sui com an di. La sua rotta era fissata dalle leggi della gravitazione universale; non esistevano secche non segnate sulle carte né scogliere pericolose contro le quali avrebbe potuto infrangersi. Né v’era il benché m inim o pericolo di collisioni con un’altra astronave, in quanto nessuna astronave, per lo m eno costruita dall’uom o, si trovava in alcun punto tra essa e le stelle infinitam ente rem ote. Ciò nonostante, lo spazio nel quale stava adesso penetran do era tutt’altro che vuoto. Dinanzi alla Discovery si trovava una «terra di nessuno» m inacciata dalle traiettorie di oltre un m ilione di asteroidi, m eno di diecimila dei quali seguivan o orbite – 111 – determ in ate esattam ente dagli astronom i. Soltanto quattro avevano un diam etro superiore ai centosessanta chilom etri; gli altri, nella grande m aggioranza, eran o soltanto m acigni giganteschi, scaraventati senza m eta attraverso lo spazio. Al riguardo non si poteva far nulla; sebbene anche il più piccolo di essi potesse distruggere com pletam ente la nave spaziale, qualora avesse dovuto urtarla a una velocità di decine di m igliaia di chilom etri all’ora, la probabilità di un sim ile evento era trascurabile. In m edia, esisteva un solo asteroide in uno spazio cubico avente un m ilion e e m ezzo di chilom etri di lato; che la Discovery potesse per caso trovarsi nello stesso pun to e allo stesso m om ento era quello che meno preoccupava il suo equipaggio. L’ottantaseiesim o giorno dovevano venirsi a trovare nel punto più vicino a uno degli asteroidi noti. Non aveva alcun nom e, m a sem plicem ente il num ero 7794, ed era un fram m ento roccioso del diam etro di cinquanta m etri individuato dall’Osservatorio lunare nel 1997, e im m ediatam ente dim enticato, tranne che dai pazienti calcolatori dell’Ufficio Pian eti Minori. Nel m om ento in cui Bowman era m ontato in servizio, Hal gli aveva prontam ente ricordato l’incontro imm inente; era im probabile, del resto, che potesse essersi dim enticato del solo evento previsto nel corso dell’intero viaggio. La traiettoria dell’asteroide contro le stelle, e le sue coordinate al m om ento del m assim o avvicinam ento erano già apprese sugli scherm i in dicatori. Figuravano in oltre, già elencate, le osservazioni da com piere o da tentare; sarebbero stati occupatissim i quan do l’asteroide 7794 fosse passato fulm in eam ente davanti a loro, a soli millequattrocento chilom etri di distanza e a una velocità relativa di centoventim ila chilom etri orari. Quando Bowm an chiese ad Hal di m ettere in funzione lo scherm o telescopico, su quest’ultim o apparve un tratto di firm am ento punteggiato di rare stelle. Non si vedeva nulla che som igliasse a un asteroide, tutte le im m agini, an che con il m assim o in grandim ento, erano soltanto pun ti lum inosi senza alcuna dim ensione. – 112 – «Dam mi il reticolo bersaglio», chiese Bowm an. Im m ediatam ente apparvero quattro fioche e sottili linee, in quadrando una m inuscola e «anonima stella. Egli fissò il reticolo per lunghi m inuti, doman dan dosi se Hal non potesse aver com m esso un errore; poi vide che il pun tin o luminoso si stava m uovendo, con una lentezza tale da essere appena percettibile, contro lo sfondo delle stelle. Poteva trovarsi an cora a ottocentom ila chilom etri di distanza… m a il suo m ovim ento indicava che, in base al m etro delle distanze cosm iche, era così vicino da poter quasi essere toccato. Quando Poole raggiunse Bowman sul ponte di controllo sei ore più tardi, il 7794 era centinaia di volte più brillante, e si stava m uovendo così rapidam ente contro lo sfondo che non si poteva più dubitare della sua identità. E non era più un pun tin o lum inoso, ma aveva in comin ciato ad apparire com e un disco chiaram ente visibile. Fissarono quel ciottolo di passaggio nel cielo con le stesse em ozioni di m arinai che, nel corso di una lunga traversata, rasentano una costa sulla quale non potrann o mai sbarcare. Pur essendo ben consci che il 7794 era soltanto un framm ento di roccia senz’aria e senza vita, non riuscirono a far sì che il loro stato d’animo venisse influenzato da tale certezza. Era la sola m ateria solida che avrebbero in contrato da questa parte di Giove… lontano ancora trecentoventi m ilioni di chilom etri. Attraverso il telescopio a grande potenza videro che l’asteroide era m olto irregolare, e girava lentam ente intorno a se stesso. A volte sembrava una sfera appiattita, a volte som igliava a un m attone dalla forma grossolana; il suo periodo di rotazione era di poco più di due m inuti. Esistevano chiazze variegate d’om bra e di luce distribuite apparentem ente a caso sulla sua superficie, e spesso esso scintillava com e una fin estra lontana m entre piani o affioram enti di materiale cristallino balenavano al sole. Stava correndo davan ti a loro a quasi quarantotto chilom etri al secondo; avevano appena pochi frenetici minuti di tempo per osservarlo da vicino. Le m acchine fotografiche autom atiche – 113 – scattarono decine di istan tan ee, gli echi di ritorno del radar di navigazion e vennero accuratam ente registrati per una futura an alisi… e rim ase appena il tem po per un a sin gola sonda d’urto. La sonda non conteneva alcuno strum ento; nulla avrebbe potuto sopravvivere a una collisione a quelle velocità cosm iche. Era sem plicem ente un piccolo fram m ento m etallico, lanciato dalla Discovery lungo una traiettoria che avrebbe in tersecato quella dell’asteroide. Mentre i secondi che precedevan o l’urto trascorrevano ticchettanti, Poole e Bowm an aspettarono con crescente tension e. L’esperim ento, sebbene sem plice in linea di prin cipio, m etteva alla prova fino all’estrem o lim ite la precisione del loro equipaggiam ento. Stavano mirando un bersaglio del diam etro di cinquanta m etri, dalla distanza di m igliaia di chilom etri… Sulla parte in ombra dell’asteroide vi fu un’im provvisa, abbacinante esplosione di luce. Il m in uscolo fram m ento m etallico aveva colpito a velocità m eteorica; in una frazione di secondo, tutta la sua energia si era trasform ata in calore. Uno sbuffo di gas in candescente era stato eruttato per qualche istan te nello spazio; a bordo della Discovery le m acchin e fotografiche registravano le righe dello spettro che rapidam ente andavano dileguandosi. Sulla Terra gli esperti le avrebbero analizzate, cercan do gli in dizi significativi degli atom i ardenti. E così, per la prim a volta, si sarebbe determ in ata la com posizione della crosta di un asteroide. Un ’ora dopo, il 7794 era una stella sem pre m eno luminosa che non lasciava più scorgere alcuna traccia di un disco. Quando fu Bowm an a m ontare di guardia era svanito com pletam ente. Erano di nuovo soli; sarebbero rim asti soli fino a quan do le lun e più esterne di Giove non fossero venute loro in contro, di lì a tre m esi. – 114 – I L SU P E R AM E N TO D I GI OVE Anche da trentadue m ilioni di chilom etri di distanza, Giove era già l’oggetto celeste più cospicuo nello spazio dinanzi a loro. Il pian eta era adesso un disco pallido color salm one, avente pressappoco la m età delle dim ensioni della Luna, com e la si vede dalla Terra, con le bande scure e parallele delle sue fasce di nubi chiaram ente visibili. A fare la spoletta avanti e in dietro sul pian o equatoriale del pian eta si vedevan o le vivide stelle di Io, Europa, Ganim ede e Callisto… m ondi che altrove sarebbero stati considerati a buon diritto pian eti essi stessi, m a che qui eran o sem plicem ente satelliti di un padrone gigantesco. Al telescopio, Giove era un o spettacolo straordin ario… un globo variegato e multicolore, che sem brava riem pire il cielo. Non ci si riusciva a rendere conto delle sue dim ensioni reali; Bowm an continuava a ram m entare a se stesso che aveva un diam etro superiore di undici volte a quello della Terra, m a per lun go tempo questo rim ase un dato statistico privo di vero significato. Poi, m entre si stava inform ando m ediante i nastri delle unità di m em oria di Hal, trovò qualcosa che a un tratto m ise a fuoco la spaventosa scala delle dim ensioni del pianeta. Era un ’illustrazione che m ostrava l’intera superficie della Terra distaccata e poi applicata, com e la pelle di un animale, al disco di Giove. Su quel disco tutti i continenti e gli oceani della Terra non sembravan o più grandi dell’India sul globo terrestre. Quando Bowm an si servì del massim o in grandim ento dei telescopi della Discovery , gli parve di essere sospeso sopra un globo lievem ente appiattito, e di contem plare dall’alto un panoram a di nubi in corsa che erano state lacerate a strisce dalla rapida rotazione del m ondo gigan tesco. Talora quelle bande si condensavano in ciuffi e grovigli e m asse di vapori colorati vaste com e continenti; talora eran o collegate da ponti fuggevoli lun- – 115 – ghi m igliaia di chilom etri. Celata dietro quelle nubi si trovava tanta di quella m ateria da superare per il suo peso tutti gli altri pian eti del sistem a solare. E che altro, si dom andava Bowman , si nascondeva laggiù? Sopra questo m utevole e turbolento tetto di nubi, che celava per sem pre la vera superficie del pian eta, scivolavan o a volte form e circolari e oscure. Un a delle lun e in terne stava passando contro il Sole lontano e la sua om bra m arciava sotto a essa sull’irrequieta cappa di nuvole di Giove. V’eran o altre, e di gran lunga più piccole lun e, an che lì… a trentadue m ilioni di chilom etri da Giove. Ma si trattava soltanto di m ontagne volanti, con un diametro di poche decine di chilom etri, e l’astronave non sarebbe passata in alcun punto vicino a esse. Ogni pochi m inuti il trasm ettitore radar, chiam ando a raccolta tutte le proprie forze, lan ciava nello spazio un tuono silenzioso di energia; m a nessuna eco di nuovi satelliti tornava pulsan te dal vuoto. Quello che si determ inò, in vece, con sem pre crescente intensità, fu il rom bo della voce radio di Giove. Nel 1955, im m ediatam ente prima dell’alba dell’era spaziale, gli astronomi eran o rim asti stupefatti constatan do che Giove irradiava milioni di cavalli vapore sulla banda dei dieci m etri. Si trattava soltanto di rum ori caotici, insiem e ad aloni di particelle cariche che ruotavano in torno al pianeta com e le fasce di Van Allen sulla Terra, m a su scala m olto più grande. A volte, durante le ore di solitudine sul ponte di controllo, Bowm an ascoltava questa radiazione. Aumentava il volum e fin ché il locale non si colmava di un rom bo crepitan te e sibilante; da questo sfondo di strepito, a intervalli irregolari, em ergevan o brevi fischi e pigolam enti sim ili a strida di uccelli im pazziti. Era un suono m agico e irreale, perché n on aveva niente a che vedere con l’uom o; era solitario e privo di significato com e il morm orio delle onde su un a spiaggia o il rom bo lontano del tuon o di là dall’orizzonte. Anche alla sua velocità attuale di oltre centosessantam ila chilom etri all’ora, la Discovery avrebbe im piegato quasi due setti- – 116 – m an e per attraversare le orbite di tutti i satelliti di Giove. Le lun e che ruotavan o intorno a Giove eran o più num erose dei pian eti che ruotavano intorno al Sole; l’Osservatorio lunare ne stava scoprendo di nuove ogni anno, e il totale era orm ai arrivato a trentasei. La più esterna, Giove XXVII, si muoveva all’indietro su un’orbita instabile, a trenta m ilioni di chilom etri dal suo padrone temporan eo. Era la preda di un perpetuo tiro alla fun e tra Giove e il Sole, in quan to il pianeta non faceva che catturare per breve tempo lune sottratte alla fascia di asteroidi, m a tornava a perderle dopo alcuni m ilioni di anni. Soltanto i satelliti interni costituivano una sua priorità definitiva; il Sole non avrebbe mai potuto strapparli alla sua presa. Adesso esisteva una nuova preda per i contrastan ti cam pi gravitazionali. La Discovery stava acceleran do verso Giove lungo un ’orbita com plessa, calcolata alcuni m esi prim a dagli astronom i sulla Terra e controllata costan temente da Hal. Di quan do in quan do intervenivano spin te minim e e automatiche dei getti di controllo, appena percettibili a bordo della nave spaziale, per apportare regolazioni di precisione alla traiettoria. Grazie al collegam ento radio con la Terra, le inform azioni raggiungevano quest’ultima com e un flusso costante. Distavano orm ai tanto dal loro pian eta che, an che viaggiando alla velocità della luce, i segnali im piegavano cinquanta minuti per com piere il viaggio. Sebbene il m ondo in tero stesse guardan do oltre le loro spalle, e osservasse attraverso i loro occhi e i loro strum enti m an mano che Giove si avvicinava, quasi un ’ora trascorreva prim a che le notizie delle scoperte giungessero sulla Terra. Le m acchin e fotografiche telescopiche scattavano continuam ente, m entre l’astronave in tersecava l’orbita dei giganteschi satelliti in terni, ognuno di essi più gran de della Luna, ognuno di essi territorio ignoto. Tre ore prim a di attraversarne l’orbita, la Discovery passò a soli trentaduem ila chilom etri da Europa e tutti gli strum enti vennero puntati sul m ondo che andava avvicinandosi, m entre esso aum entava costantem ente di dim ensioni, si trasformava da globo a falce, e proseguiva rapido verso il Sole. – 117 – Ecco novan totto milioni di chilom etri quadrati di suolo che fino a quel m om ento erano stati soltanto un puntino lumin oso nel più potente dei telescopi. Sarebbero passati fulm ineam ente accan to a loro di lì a pochi m inuti, e occorreva sfruttare al m assim o l’in contro, registrando il m aggior num ero possibile di dati. Avrebbero poi avuto m esi di tempo durante i quali poterli riesam inare a piacere. Da lontano Europa era sembrata una gigan tesca palla di neve che riflettesse la luce del Sole rem oto con considerevole efficienza. Le osservazioni ravvicinate conferm arono la cosa; a differenza dalla polverosa Luna, Europa era di un bianco brillan te e gran parte della sua superficie sem brava rivestita di enormi blocchi luccicanti, sim ili per l’aspetto a iceberg alla deriva. Quasi certam ente erano formati di amm oniaca e acqua che il cam po gravitazionale di Giove, in qualche m odo, non era riuscito a catturare. Soltanto lun go l’equatore era visibile nuda roccia; là si estendeva una terra di nessun o, una fascia più scura, in credibilm ente accidentata, di canyon e di caotici m acigni che avvolgeva com pletam ente il piccolo m ondo. Si scorgevan o alcuni crateri da im patto, m a nessuna traccia di fenom eni vulcanici; Europa, ovviam ente, non aveva mai posseduto alcuna sorgente in terna di calore. Esisteva, com e si sapeva da tempo, un a traccia di atm osfera. Quando l’orlo scuro del satellite passò davan ti a una stella, quest’ultim a si offuscò fuggevolm ente prima dell’attim o dell’eclisse. E in certe zone si scorgeva un accenno di nubi… forse un a nebbia di goccioline d’am m oniaca, sollevata da tenui venti di gas m etano. Rapidam ente com e si era avventata fuori dal firmam ento verso di loro, Europa si lasciò indietro l’astronave. Hal aveva controllato e ricontrollato l’orbita della Discovery con infinita cura e non si rendevan o necessarie ulteriori m odifiche della velocità fino al periodo del m assimo avvicinam ento. Eppure, an che sapendo questo, era un m ettere i nervi a dura prova osservare quel globo gigantesco che andava dilatandosi di m inuto in – 118 – m inuto. Si stentava a credere che la Discovery non stesse piom bando direttam ente su di esso, e che l’im m enso cam po gravitazionale del pian eta non li stesse attraendo giù verso la distruzione. Era giunto il m om ento di lanciare le sonde atm osferiche che, si sperava, avrebbero resistito abbastanza a lun go per ritrasm ettere qualche dato dal di sotto della coltre di nubi di Giove. Due tozze capsule a forma di bomba, racchiuse in scudi di calore destinati a essere consumati dall’attrito, venn ero dolcem ente spinte in orbite che, per le prim e m igliaia di chilom etri, si discostavano appena da quella della Discovery . Ciò nonostante si allontanarono adagio; e ora, in fine, an che senza l’ausilio di strum enti, fu possibile vedere quello che Hal aveva asserito. L’astronave si trovava in un’orbita di quasisfioram ento, e non di collisione; avrebbe man cato anche l’atm osfera di Giove. La differenza, questo sì, era di appena poche centinaia di chilom etri: un m ero nulla, trattandosi di un pian eta il cui diam etro era di centosessantamila chilom etri, m a bastava. Giove colm ava orm ai l’intero firm am ento; era così enorm e che né la m ente né lo sguardo riuscivano più ad afferrarlo e sia l’una sia l’altro avevan o rinunciato al tentativo. Se non fosse stato per la straordinaria varietà di colori, i rossi e i rosa, i gialli e i salm one e persino gli scarlatti, dell’atm osfera sotto di loro, Bowm an avrebbe potuto credere di sorvolare un a cappa di nubi sulla Terra. E ora, per la prim a volta nel corso dell’intero viaggio, stavano per perdere il Sole. Per quanto scialbo e rim picciolito, esso era stato il costante com pagno della Discovery dal m om ento in cui essa si era allontanata dalla Terra, cinque m esi prim a. Ma adesso l’orbita dell’astronave stava affondando nell’om bra di Giove; presto sarebbe passata sopra il lato del pian eta sul quale regnava la notte. Milleseicento chilom etri più avan ti la fascia del crepuscolo si stava scaraventando verso di loro; dietro l’astronave, il Sole calava rapidam ente nelle nubi giovian e. I suoi raggi si aprirono a – 119 – ventaglio lungo l’orizzonte com e due corna fiamm eggianti incurvate all’ingiù, poi si contrassero e si spensero nel bagliore fuggevole d’una crom atica radiosità. La notte era discesa. Eppure, l’im m enso m ondo sottostante non era com pletam ente buio. Sem brava imm erso in una fosforescenza che an dava divenendo più lum inosa di minuto in minuto, man m ano che i loro occhi si abituavan o alla scena. Fiochi fium i di luce scorrevano da un orizzonte all’altro, com e scie lum inose di navi su qualche m are tropicale. Qua e là si raccoglievano in pozze di fuoco liquido, trem olanti a causa di vasti som m ovim enti sottom arini che scaturivano dal cuore segreto di Giove. Lo spettacolo ispirava una tal m eraviglia reverenziale che Poole e Bowm an avrebbero potuto contem plarlo per ore; era, tutto ciò, si dom an darono, sem plicem ente il risultato di forze chimiche ed elettriche, laggiù in quel calderone ribollente… o forse si trattava del sottoprodotto di qualche fan tastica form a di vita? Erano, questi, interrogativi che gli scienziati avrebbero ancora potuto dibattere quando il secolo appena all’inizio si fosse avvicinato al suo term ine. Mentre sprofondavano sem pre e sem pre più nella notte gioviana, il bagliore sotto di essi continuò ad aum entare costantem ente. Una volta Bowm an aveva sorvolato il Canada settentrionale al culm ine di un ’aurora boreale; il paesaggio coperto di neve era apparso squallido e brillan te com e questo. E quella desolazione artica, egli ram m entò a se stesso, era di alm eno cento gradi più calda delle regioni sopra le quali si stavano adesso avventando. «Il segnale della Terra si sta attenuando rapidam ente», annunciò Hal. «En triam o nella prima zona di diffrazion e.» Se lo eran o aspettato… anzi, era uno degli scopi della missione, in quanto l’assorbim ento delle onde radio avrebbe fornito dati preziosi sull’atm osfera di Giove. Ma adesso che si eran o effettivam ente lasciati in dietro il pianeta, e che esso im pediva le com unicazioni con la Terra, sentirono una solitudin e im provvisa e schiacciante. Il silenzio radio, si sarebbe protratto soltanto per un ’ora; poi sarebbero usciti dallo scherm o di Giove e avreb- – 120 – bero potuto ristabilire i contatti con il genere um ano. Quell’ora, com un que, sarebbe stata una delle più lunghe della loro vita. Pur essendo relativam ente giovani, Poole e Bowm an eran o veteran i d’una dozzina di viaggi spaziali, ma ora si sentivano com e novizi. Stavano tentando qualcosa per la prim a volta; m ai prim a di allora una nave spaziale aveva viaggiato a quella velocità, o sfidato un cam po gravitazionale così intenso. Un m inimo errore di navigazione in quel m om ento critico, e la Discovery si sarebbe lan ciata sem pre più velocem ente verso gli estrem i limiti del sistem a solare, di là da ogni speran za di soccorso. I m inuti scorrevano lenti. Giove era adesso una parete verticale di fosforescenza che si stendeva all’infinito sopra di loro… e l’astronave saliva perpendicolarm ente accan to alla superficie lum inosa. Nonostan te la certezza che la loro velocità era di gran lun ga troppo gran de perché an che la gravità di Giove potesse catturarli, si stentava a credere che la Discovery non sarebbe divenuta un satellite di quel m ondo m ostruoso. Infine, m olto più avan ti, si vide un balenare di luce all’orizzonte. Stavano em ergendo dall’om bra e si dirigevano verso lo spazio illum inato dal Sole. E, quasi nello stesso mom ento, Hal annunciò: «Sono in contatto radio con la Terra. E sono inoltre lieto di dire che la m an ovra di perturbazion e è stata com pletata con successo. La durata del viaggio fino a Saturno sarà di centosessantasette giorni, cinque ore e un dici m inuti.» Meno di un minuto di differenza con le previsioni; il volo era stato attuato con precisione im peccabile. Simile a una palla su un tavolo da biliardo cosm ico, la Discovery era rim balzata sul cam po gravitazionale in m ovim ento di Giove, aum entando il proprio m om ento dopo l’im patto. Senza ricorrere ad alcun carburante era riuscita a accrescere la propria velocità di parecchie m igliaia di chilom etri all’ora. Eppure non vi era stata alcuna violazion e delle leggi della m eccanica; la natura pareggia sem pre i propri registri, e il m om ento di Giove era dim inuito esattam ente di tanto quan to aveva guadagnato la Discovery . Il pian eta era stato rallentato, m a, essendo la sua m assa un sestilione di volte più gran de di quella – 121 – della nave, il m utam ento della sua orbita rim aneva di gran lunga troppo piccolo per poter essere percepito. Non era an cora giunta l’epoca in cui l’uomo avrebbe potuto lasciare il proprio segno sul sistema solare. Mentre la luce aum entava rapidam ente in torno a loro, e il Sole rim picciolito si alzava una volta di più nel cielo del pianeta, Poole e Bowm an si sporsero silenziosam ente l’un o verso l’altro e si scambiarono una stretta di mano. Anche se quasi n on riuscivano a crederlo, la prim a parte della loro m issione era stata felicem ente com piuta. I L M ON D O D E GLI D È I Ma non avevan o an cora finito con Giove. Molto più indietro, le due sonde lanciate dalla Discovery stavano prendendo contatto con l’atm osfera. Di una di esse non si doveva sapere più nulla; presumibilm ente era entrata nell’atmosfera con un angolo troppo acuto, brucian do prima di poter trasm ettere qualsiasi dato. La seconda fu più fortunata: volò attraverso gli strati superiori dell’atm osfera gioviana, poi rimbalzò an cora una volta nello spazio. Com e era stato previsto, aveva perduto tanta velocità, nell’incontro, da ricadere lungo una grande ellisse. Due ore dopo, rientrò nell’atm osfera sul lato del pian eta illuminato dalla luce del giorno… spostan dosi alla velocità di centododici-mila chilom etri all’ora. Im m ediatam ente venn e avvolta da un involucro di gas incandescente e il contatto radio si in terruppe. Vi furono allora an siosi minuti di attesa per i due uomini che la seguivano sul ponte di controllo. Essi non potevan o essere certi che la sonda avrebbe resistito e che lo scudo protettivo di ceram ica non sarebbe bruciato com pletam ente prim a del term in e dell’azione di – 122 – frenaggio. Se ciò fosse accaduto, gli strum enti si sarebbero vaporizzati in una frazion e di secondo. Ma lo scudo term ico resistette quan to bastava perché la m eteora in candescente trovasse riposo. I fram m enti carbonizzati dello scudo venn ero espulsi, il robot spinse fuori le antenne e com in ciò a scrutare attorno a sé con i propri sensi elettronici. A bordo della Discovery , orm ai lontana quasi quattrocentom ila chilom etri, la radio incom inciò a captare le prim e notizie autentiche da Giove. Le m igliaia di im pulsi che si riversavano a ogni secondo riferivano la com posizione atmosferica, la pressione, la temperatura, i cam pi m agnetici, la radioattività e decine di altri dati che soltanto gli esperti sulla Terra avrebbero potuto districare. Ciò non ostante vi fu un m essaggio che poté essere com preso all’istante; l’imm agin e televisiva, a colori, trasm essa dalla sonda che stava precipitando. Le prim e riprese giunsero quando il robot era già penetrato nell’atm osfera, liberandosi dallo scherm o protettivo. La sola cosa visibile era una nebbia gialla, striata di chiazze scarlatte che si muovevan o accan to alla telecam era a una velocità vertiginosa verso l’alto, m entre la sonda cadeva a parecchie centinaia di chilom etri all’ora. La nebbia divenn e an cor più fitta; era im possibile supporre se la telecam era vedesse per venticinque centim etri o per quin dici chilom etri, in quan to non esistevano particolari sui quali l’occhio potesse m ettersi a fuoco. Sembrava che, per quanto concerneva l’im pian to televisivo, la m issione fosse stata un insuccesso. Le apparecchiature avevan o funzionato, ma non v’era alcunché da vedere in quell’atm osfera nebulosa è turbolenta. E poi, tutto a un tratto, la nebbia svanì. La sonda doveva essere precipitata attraverso la base di un alto strato di nubi, em ergendo in una zona lim pida… forse un o strato di idrogeno quasi puro… con qualche rara form azion e di cristalli di am moniaca. Sebbene fosse ancora assolutam ente im possibile valutare la scala dell’im magine, la telecam era stava ovviam ente esplorando chilom etri. – 123 – La scena era così estranea che, per un m om ento, parve priva di significato a occhi abituati ai colori e alle form e della Terra. Lontano, m olto lontan o, più in basso, si stendeva un mare sconfinato d’oro a screziature, solcato di rilievi paralleli che sarebbero potuti essere le creste di ondate gigantesche. Ma non si scorgeva alcun m ovim ento; la scala della scena era troppo im m ensa per poterlo m ostrare. E quel panorama dorato non poteva essere un oceano, in quanto si trovava ancora alto nell’atm osfera di Giove. Poi la telecam era inquadrò, offuscata in m odo allettante dalla distanza, l’im magine fuggevole di qualcosa di m olto strano. Molti chilom etri più in là, il paesaggio dorato si sollevava form an do un cono curiosam ente simm etrico, simile a una m ontagna vulcanica. Intorno alla som m ità del cono si trovava un alone di piccole nubi gonfie… tutte pressappoco delle stesse dim ensioni e tutte m olto nitide e isolate. V’era qualcosa di inquietante e di innaturale in esse… amm esso, in effetti, che si potesse applicare la parola «naturale» a quel panorama terrificante. Poi, investita da qualche turbolenza nell’atm osfera che an dava rapidam ente diventando più densa, la sonda girò su se stessa verso un altro quarto dell’orizzonte, e per qualche secondo lo scherm o non m ostrò altro che una chiazza dorata. Subito dopo la sonda si stabilizzò; il «m are» era m olto più vicino, m a enigm atico com e sem pre. Si poteva ora constatare che lo interrom pevano qua e là chiazze d’oscurità che sarebbero potute essere fori o squarci aperti verso strati ancor più profondi dell’atm osfera. Ma la sonda era destinata a non raggiungerli mai. A ogni chilom etro la densità del gas in torno a essa si era raddoppiata e la pressione saliva m an man o che il robot scendeva sem pre più verso la superficie nascosta del pian eta. Si trovava an cora alto sopra quel m are m isterioso, quando l’im m agine ebbe un trem olio prem onitore, e poi svanì, m entre il prim o esploratore della Terra si schiacciava sotto il peso dei chilom etri di atmosfera sovrastan te. – 124 – Aveva fornito, duran te la sua breve vita, un’imm agin e fuggevole di forse un m ilionesim o di Giove, e si era a m alapena avvicinato alla superficie del pian eta, centinaia di chilom etri più in basso nelle nebbie sem pre più fitte. Quando l’im m agin e scomparve dallo scherm o, Bowman e Poole poterono soltanto rim anere seduti in silenzio, rim uginando la stessa riflessione nella loro m ente. Gli antichi avevano, in vero, fatto più di quel che sapevan o dando a questo m ondo il nom e del sign ore di tutti gli dèi. Se esisteva una vita laggiù, quanto tem po ancora sarebbe occorso, quanti secoli an cora dovevano passare prim a che uom ini potessero seguire questo prim o pioniere… e in che tipo di astronave? Ma simili problemi n on concernevan o orm ai più la Discovery e il suo equipaggio. La loro m èta era un m ondo an cora più estran eo, quasi due volte più lontano dal Sole… di là da altri ottocento bilioni di chilom etri di vuoto attraversato dalle com ete. – 125 – CAP I TOLO QU AR TO L’ABI SSO F E STA D I COM P LE AN N O La m elodia fam iliare di Happy Birthday , trasm essa attraverso m illecento milioni di chilom etri di spazio alla velocità della luce, si spense tra gli scherm i illum inati e gli strum enti del ponte di controllo. La famiglia Poole, raggruppata un po’ timidam ente intorno alla torta del com plean no, sulla Terra, scivolò in un silenzio im provviso. Poi il signor Poole padre disse: «Be’, Fran k, non m i viene in m ente altro da dire in questo m om ento, trann e che i nostri pensieri sono con te e che ti auguriamo il più lieto dei com pleanni.» «Abbi cura di te, tesoro», intervenn e in lacrim e la sign ora Poole. «Che Dio ti benedica.» Seguì un coro di: «Arrivederci» e lo scherm o televisivo si oscurò. Com e era strano pensare, si disse Poole, che tutto ciò era accaduto più di un ’ora prim a; orm ai la sua fam iglia doveva essersi di nuovo dispersa e i suoi com ponenti dovevano trovarsi alcuni chilom etri lontan o da casa. Ma, in un certo qual m odo, quel ritardo di tempo, pur potendo essere deludente, era an che una fortuna cam uffata. Com e ogni uom o della sua epoca, Frank Poole dava per dim ostrato di poter parlare all’istan te con chiunque sulla Terra, ogni volta che gli fosse piaciuto. Ora che questo non rispondeva più alla verità, le conseguenze psicologi– 126 – che eran o profonde. Si trovava in una nuova dim ensione di lontananza e quasi tutti i legam i em otivi erano stati tesi fino al pun to di rottura. «Dolente di in terrom pere i festeggiam enti», disse Hal, «m a abbiam o una difficoltà.» «Quale?» doman darono contemporan eam ente Bowman e Poole. «Stento a m antenere il collegam ento con la Terra. Il difetto risiede nell’elem ento AE-35. Il m io Centro previsione guasti riferisce che potrà non essere più in condizione di funzionare entro settantadue ore.» «Provvederem o noi», rispose Bowm an. «Vediam o l’allineam ento ottico.» «Eccolo qui, Dave. È sem pre okay, per il m om ento.» Sullo scherm o in dicatore apparve una perfetta m ezza luna, m olto brillante contro un o sfondo quasi privo di stelle. Era coperta di nubi e non rivelava alcuna caratteristica geografica riconoscibile. Anzi, a prim a vista si sarebbe potuto scam biarla facilm ente per Venere. Ma non osservandola bene, poiché là accan to a essa ecco la vera Luna che Venere non possedeva, avente dim ensioni pari a un quarto di quelle della Terra, ed esattam ente n ella stessa fase, era facile im m aginare che i due corpi celesti fossero m adre e figlio, com e m olti astronom i avevano ritenuto, prim a che l’esam e delle rocce lun ari avesse dim ostrato oltre ogni ombra di dubbio che la Luna non aveva mai fatto parte della Terra. Poole e Bowman studiarono lo scherm o in silenzio per m ezzo m inuto. Quell’im magine veniva loro dalla telecam era a lunga focale m ontata alla base del grande riflettore parabolico della radio; il reticolo al centro dim ostrava l’esatto orientam ento dell’an tenna. A m eno che il sottile penn ello d’onde non fosse pun tato esattam ente sulla Terra, non potevano né ricevere né trasm ettere. I m essaggi in entram be le direzioni avrebbero m an cato il bersaglio e si sarebbero perduti, inascoltati e non visti, attraverso il sistem a solare e nel vuoto di là da essa. Se – 127 – an che fossero stati ricevuti, ciò sarebbe accaduto soltanto di lì ad alcuni secoli… e non da uomini. «Sai dov’è il difetto?» dom andò Bowman . «È in termittente, e non riesco a localizzarlo. Ma sem bra trovarsi n ell’elem ento AE-35.» «Che cosa proponi di fare?» «La cosa m igliore consisterebbe nel sostituire l’elem ento con un o di quelli di ricambio, per poterlo controllare.» «Okay… vediam o i piani costruttivi.» I dati balenarono sullo scherm o indicatore; contem poran eam ente, un foglio di carta scivolò fuori dalla fessura imm ediatam ente sotto lo scherm o. Nonostante tutti gli in dicatori elettronici, v’eran o m om enti in cui l’antiquato materiale stam pato era an cora la form a di registrazione più com oda. Bowm an studiò i diagramm i per un m om ento, poi si lasciò sfuggire un sibilo. «Avresti potuto dircelo», osservò. «Questo significa uscire all’esterno dell’astronave.» «Scusami», rispose Hal. «Ma l’elem ento AE-35 si trova sul sostegno dell’an tenna e presum evo che tu lo sapessi.» «Probabilm ente lo sapevo, un anno fa. Ma a bordo vi sono ottom ila im pianti secondari. In ogni m odo, sem bra un lavoro sem plice. Dovrò soltanto togliere un pannello e collocare un nuovo elem ento.» «Per m e va benissim o», disse Poole, che era il m embro dell’equipaggio cui spettavan o le operazioni extraveicolari. «Mi farebbe piacere, un cambiam ento di scena. Niente di personale, naturalm ente.» «Vediam o se il Controllo Missione è d’accordo», disse Bowm an . Rim ase imm obile per qualche secondo, raccogliendo i propri pensieri, poi comin ciò a dettare un m essaggio: «Controllo Missione, qui è Raggi-X-Delta-Un o. Alle ore duezero-quattro-cin que, il Centro previsione difetti del nostro calcolatore nove triplo zero ha indicato probabile guasto entro settantadue ore di elem ento Alfa-Eco-tre-cin que. Vi chiediam o di – 128 – controllare il vostro sistem a di sorveglianza telem etrica e vi proponiamo di rivedere elem ento nel vostro sim ulatore im pianti astronave. Conferm ateci in oltre approvazione nostro proposito di uscire dal veicolo e di sostituire elem ento Alfa-Eco-trecinque prima del guasto previsto. Controllo Missione qui RaggiX-Delta-Un o, due-uno-zero-tre, fine della trasm issione.» Dopo an ni di pratica, Bowm an poteva passare da un m om ento all’altro al suo gergo (che qualcun o aveva battezzato un tempo «tecnicizzante») e tornare al m odo di esprim ersi normale, senza fare in ceppare i propri in granaggi m entali. Adesso non rim aneva altro da fare che aspettare la conferm a e sarebbero occorse alm eno due ore, m entre i segnali com pivano il viaggio di andata e ritorno oltre le orbite di Giove e di Marte. La risposta giunse m entre Bowm an stava tentando, senza troppo successo, di battere Hal in un o dei giochi di matem atica divertente m em orizzati dal calcolatore. «Raggi-X-Delta-Uno, qui il Controllo Mission e che risponde al vostro m essaggio delle due-un o-zero-tre. Stiam o rivedendo i dati telem etrici n el sim ulatore della m issione e vi inform erem o. «Approviam o vostro proposito di uscire dal veicolo e sostituire elem ento Alfa-Eco-tre-cin que prim a di possibile guasto. Stiam o lavorando a procedure controllo da applicare a elem ento difettoso.» Il problem a serio essendo stato risolto, il Controllore della m ission e tornò a un inglese normale. «Ci dispiace sapervi in difficoltà e non vorrem m o accrescere le vostre preoccupazioni. Ma se non vi disturba, prim a dell’uscita dal veicolo, abbiam o qui una richiesta da parte del Servizio inform azioni pubbliche. Non potreste fare una breve registrazione per il gran de pubblico, delin eando la situazion e e spiegando a che cosa serve l’AE-35? Cercate di essere rassicuranti il più possibile. Potrem m o pensarci noi, naturalm ente… m a, detto da voi, sarà m olto più convincente. Spero che questo non scombussoli troppo la vostra vita sociale. Raggi-X-DeltaUn o, qui il Controllo Missione, due-uno-cinque-cinque, fin e della trasm ission e.» – 129 – Bowm an non poté fare a m eno di sorridere della richiesta. V’eran o m om enti in cui la Terra dava prova di una curiosa insensibilità e m ancanza di tatto. «Cercate di essere rassicuranti», m a guarda! Quando Poole lo raggiunse, al term in e del suo periodo di sonno, im piegarono dieci minuti per form ulare e levigare la risposta. Nelle prim e fasi della m ission e vi erano state innum erevoli richieste di interviste e discussioni da parte di tutti i mass m edia… che si accontentavano di qualunque cosa avessero voluto dire. Ma, man m ano che le settim ane trascorrevano senza eventi, e il ritardo di tempo aum entava da pochi m inuti a oltre un ’ora, l’interesse era an dato gradualm ente dim inuendo. Dopo i m om enti di entusiasm o duran te il passaggio accanto a Giove, più di un m ese prima, avevano registrato soltan to tre o quattro nastri m agnetici per il gran de pubblico. «Controllo Missione, qui Raggi-X-Delta-Uno. Ecco il com unicato stam pa richiesto: «Qualche ora fa, oggi, si è presentata una difficoltà tecnica di im portanza secondaria. Il nostro calcolatore Hal 90 0 0 ha previsto un guasto nell’elem ento AE-35. «Si tratta di un com ponente piccolo m a vitale del sistem a di com unicazioni. Man tiene la nostra an tenna prin cipale orientata verso la Terra con un ’approssimazione di pochi m illesim i di grado. Questa precisione è necessaria, in quanto alla distanza alla quale ci troviam o attualm ente, di oltre m illeduecento m ilioni di chilom etri, la Terra appare soltanto com e una stella piuttosto debole, e il nostro sottilissim o fascio radio potrebbe m an carla. «L’an tenna viene tenuta costantem ente orientata verso la Terra da m otori com an dati dal calcolatore centrale. Ma questi m otori ricevono le istruzioni per m ezzo dell’elem ento AE-35. Si potrebbe paragonarlo a un centro nervoso dell’organism o umano, che trasm etta gli ordini del cervello ai muscoli di un arto. Se il nervo non riesce a trasm ettere i segnali esatti, l’arto diventa inutile. Nel nostro caso, un guasto dell’elem ento AE-35 potrebbe significare che l’antenna incomin cerebbe a essere orientata a – 130 – caso. È stato questo un in conveniente m olto comun e nelle sonde dello spazio profondo durante il secolo scorso. Esse raggiun gevan o spesso altri pianeti, poi non trasm ettevano alcun dato perché la loro antenn a non poteva in dividuare la Terra. «Non conosciam o an cora la natura del guasto, ma la situazione non è affatto grave e non è assolutam ente il caso di allarm arsi. Abbiam o due AE-35 di ricam bio per ognuno dei quali la durata di funzionam ento prevista è di vent’anni, per cui la possibilità che un secondo elem ento si guasti duran te il corso della m ission e è trascurabile. Inoltre, se riuscirem o a diagnosticare il guasto attuale, potrem o sem pre riparare l’elem ento num ero un o. «Fran k Poole, che è particolarm ente addestrato per questo genere di lavoro, si porterà all’esterno della nave spaziale e sostituirà l’elem ento difettoso con quello di ricambio. Al contem po, approfitterà dell’occasione per controllare l’involucro e riparare alcuni m icrofori di m eteoriti, troppo piccoli per aver giustificato un ’uscita nello spazio vuoto. «A parte questa difficoltà di secondaria im portanza la mission e continua a svolgersi senza eventi e tutto dovrebbe procedere nello stesso m odo. «Controllo Missione, qui Raggi-X-Delta-Uno, due-uno-zeroquattro, fine della trasm issione.» E SCU R SI ON E Le capsule extraveicolari della Discovery , o «baccelli spaziali», erano sfere di circa due m etri e settanta di diam etro, nelle quali l’operatore sedeva dietro a un finestrin o sporgente che gli consentiva una splendida visuale. Il razzo propulsore prin cipale produceva un ’accelerazione pari a un quin to di un g, appena sufficiente a far sì che la sfera si librasse sopra la Luna, m entre – 131 – piccoli ugelli di coman do della posizione rendevano possibile il pilotaggio. Dal settore situato imm ediatam ente sotto il finestrino sporgevan o due coppie di braccia m etalliche articolate, l’una per i lavori pesan ti, l’altra per le m anipolazioni delicate. V’era an che una torretta allungabile contenente tutta una gam m a di attrezzi, quali cacciaviti, m artelli perforatori, seghe e trapan i. I «baccelli spaziali» non eran o i m ezzi di trasporto più eleganti escogitati dall’uom o, ma non se ne poteva assolutam ente fare a m eno per i lavori di costruzione e di m anutenzione nel vuoto. Venivano di solito battezzati con nomi fem minili, forse riconoscendo il fatto che la loro personalità era a volte un po’ im prevedibile. I tre della Discovery si chiam avan o Anna, Betty e Giara. Dopo aver in dossato la tuta a pression e, l’ultim a sua linea di difesa, ed essere salito a bordo della capsula, Poole dedicò dieci m inuti a un attento controllo dei com an di. Azionò i getti direzionali, fletté le braccia m etalliche, si accertò del pieno di ossigeno, di carburan te, di energia di riserva. Poi, quan do fu del tutto persuaso, si rivolse ad Hal attraverso il circuito radio. Bowm an, pur trovandosi sul ponte di controllo, non sarebbe in tervenuto, a m eno che non venisse com m esso qualche ovvio errore o che non si fosse verificato qualche difetto di funzionam ento. «Qui Betty, in comin cia la sequenza di pom paggio.» «Sequenza di pom paggio iniziata», conferm ò Hal… Subito Poole udì il pulsare delle pom pe m entre l’aria preziosa veniva risucchiata dalla cam era di equilibrio. Di lì a poco il m etallo sottile del guscio della capsula produsse suoni scricchiolan ti e cigolanti, poi, trascorsi circa cinque minuti, Hal riferì: «Sequenza di pom paggio term inata.» Poole eseguì un ultim o controllo del piccolo quadro strum enti. Tutto era perfettam ente norm ale. «Apri il portello esterno», ordin ò. Di nuovo Hal conferm ò le sue istruzioni; in qualsiasi m om ento, Poole doveva soltan to gridare: «Ferm a!» e il calcolatore in terrom peva im m ediatam ente la sequenza. – 132 – Davanti a lui, le pareti della nave spaziale si aprirono scivolando. Poole sentì la capsula oscillare per un m om ento m entre le ultim e tenui tracce d’aria sfuggivano nello spazio. Poi, ecco che stava contem plan do le stelle e… guarda caso, proprio il m inuscolo disco dorato di Saturno, lontano an cora seicento quaranta milioni di chilom etri. «Inizia espulsion e capsula.» Molto adagio, la rotaia alla quale la capsula era sospesa si protese attraverso il portello spalancato finché il veicolo non venn e a trovarsi all’esterno della nave spaziale. Poole azionò per m ezzo secondo il getto principale e la capsula scivolò con dolcezza dalla rotaia, divenendo infine un veicolo in dipendente che seguiva la propria orbita intorno al Sole. Egli non aveva adesso più alcun collegam ento con la Discovery … nem m eno un cavo di sicurezza. Le capsule di rado causavano in convenienti; e, an che nell’eventualità di un guasto, Bowm an avrebbe potuto facilm ente venire in suo soccorso. Betty reagiva prontam ente ai com an di; la lasciò andare alla deriva verso l’esterno per un a trentina di m etri, poi ne frenò il m om ento di inerzia in avanti e la fece girare così da vedere di nuovo l’astronave. Quin di iniziò il giro della sfera a pressione. Il suo prim o obiettivo era un pun to fuso, largo poco più di un centim etro, con un minuscolo cratere centrale. La particella di polvere cosm ica che lo aveva colpito a oltre centosessantamila chilom etri orari era stata senz’altro più piccola di una capocchia di spillo e la sua enorm e energia cinetica l’aveva vaporizzata all’istante. Com e accadeva spesso, il cratere sem brava essere stato causato da un’esplosione all’interno dell’astronave; a quelle velocità, i materiali si com portavano in m odo strano e le leggi della m eccanica del buon senso potevano essere applicate di rado. Poole esam inò attentam ente la zona interessata, poi la spruzzò con una sostanza sigillante contenuta in un serbatoio a pression e nel corredo della capsula. Il fluido bianco e gom m oso si sparse sul guscio m etallico, celando alla vista il cratere. La falla soffiò fuori una grossa bolla che scoppiò quando raggiun se il – 133 – diam etro di circa quin dici centimetri, quindi ne soffiò una più piccola, m a il fenom eno cessò non appena il cem ento ad azione rapida com inciò a in durirsi. Poole osservò attentam ente la falla per parecchi m in uti, ma non vi fu alcun altro indizio di attività. Tuttavia, per essere doppiam ente certo, spruzzò un doppio strato, poi si diresse verso l’an tenna. Gli occorse qualche tempo per orbitare in torno alla sfera a pressione della Discovery , in quanto non perm etteva mai alla capsula di acquisire una velocità superiore a uno o due m etri al secondo. Non aveva alcuna fretta ed era pericoloso spostarsi a una velocità maggiore così in prossimità della nave spaziale. Doveva stare m olto attento alle varie antenne e ai diversi strum enti che sporgevan o dalla sfera nei pun ti più inattesi e doveva in oltre fare attenzione al getto del suo m otore. Avrebbe potuto causare danni considerevoli se per caso avesse in vestito alcuni degli strum enti più fragili. Quando infine raggiunse l’antenna a lunga portata, studiò attentam ente la situazione. Il gran de disco di sei m etri di diam etro sem brava orientato direttam ente verso il Sole, in quanto la Terra era quasi allineata con il disco solare. Il sostegno dell’an tenna, con tutti gli strum enti di orientam ento, si trovava pertan to im m erso in una oscurità com pleta, nascosto dall’om bra del gran de piatto m etallico. Poole si era avvicinato dalla parte posteriore; aveva badato a non portarsi di fronte al riflettore parabolico, per evitare che Betty in terrom pesse il fascio e causasse una mom entan ea, m a fastidiosa, interruzion e del contatto con la Terra. Non riuscì a veder nulla dell’apparecchiatura che era venuto a riparare fin ché non ebbe acceso i riflettori della capsula, ban dendo l’ombra. Sotto quel piccolo pann ello m etallico si celava la causa dell’in conveniente. La piastra era assicurata da quattro controdadi, e poiché l’intero elem ento AE-35 era stato progettato in m odo da poter essere sostituito facilm ente, Poole non prevedeva alcuna difficoltà. Appariva ovvio, tuttavia, che non avrebbe potuto eseguire il lavoro rim anendo nella capsula. Non soltanto era pericoloso – 134 – m an ovrare così vicino alla delicata struttura dell’an tenna, simile addirittura a una ragnatela, ma i getti direzionali di Betty avrebbero potuto facilm ente distorcere la superficie riflettente, sottile com e carta, del gran de specchio-radio. Avrebbe dovuto parcheggiare la capsula a sei m etri di distanza e uscirne con la tuta spaziale. In ogni caso, avrebbe potuto sostituire l’elem ento assai più rapidam ente con le mani guantate che con le braccia m eccaniche, com andate a distanza, di Betty. Riferì tutto ciò debitam ente a Bowm an, che controllava ogni fase dell’operazione prima di autorizzarla. Sebbene si trattasse di un lavoro sem plice e di ordinaria am m inistrazion e, nulla poteva essere dato per dim ostrato nello spazio, e n essun particolare poteva essere trascurato. Nell’attività extraveicolare non erano amm essi i «piccoli» errori. Fu autorizzato a procedere e parcheggiò la capsula a circa sei m etri dalla base del sostegno dell’antenna. Pur non essendovi alcun pericolo che potesse an dare alla deriva nello spazio, assicurò la maniglia di un m anipolare a una delle tante brevi sezioni di scalette a pioli situate all’esterno del guscio. Poi controllò i regolatori della tuta a pressione e quan do si fu persuaso che tutto era a posto, lasciò sfuggire l’aria dalla capsula. Mentre l’atm osfera contenuta in Betty sibilava nel vuoto dello spazio, una nuvola di cristalli di ghiaccio si form ò fuggevolm ente intorno a lui e le stelle ne rim asero per un m om ento offuscate. Rim aneva un ’altra cosa da fare prim a di uscire dalla capsula. Passò dal controllo manuale a quello a distanza, ponendo ora Betty sotto il com ando di Hal. Era una normale precauzione di sicurezza; sebbene egli fosse tuttora assicurato a Betty da un cordone robustissim o, poco più spesso di un filo di cotone, avvolto in torno a un congegno a molla, era accaduto che an che i più forti ancoraggi si fossero spezzati. Sarebbe passato per un o sciocco se avesse avuto bisogno del suo veicolo… e non fosse stato in grado di farlo in tervenire in suo aiuto comunicando istruzioni ad Hal. – 135 – Il portello della capsula si spalancò, e lentam ente egli andò alla deriva nel silenzio dello spazio, m entre il cavo di sicurezza si svolgeva dietro di lui. Far le cose con calma… non m uoversi m ai troppo in fretta… ferm arsi e riflettere… queste eran o le regole di ogni attività extraveicolare. Purché venissero rispettate, non si an dava in contro ad alcun inconveniente. Afferrò una delle m an iglie esterne di Betty e tolse l’elem ento AE-35 di ricam bio dalla tasca ove era stato collocato, alla m aniera dei canguri. Non si sofferm ò a prendere alcuno degli attrezzi contenuti n ella capsula, la maggior parte dei quali n on era stata costruita per essere adoperata da mani um ane. Tutte le chiavi in glesi e gli attrezzi di cui presum ibilm ente avrebbe avuto bisogno erano già inseriti nella cintola della tuta. Con una dolce spin ta si lanciò verso il sostegno a sospension e cardanica del grande disco che si profilava com e un piatto gigantesco tra lui e il Sole. La sua duplice om bra, proiettata dai riflettori di Betty, danzò sulla superficie convessa assum endo form e fan tastiche m entre egli galleggiava nei fasci lum inosi gem elli. Ma qua e là, notò m eravigliato, la parte posteriore del gran de specchio-radio scintillava di abbacinanti pun tini luminosi. Lo lasciarono in terdetto per i pochi secondi del silenzioso avvicinam ento, poi capì che cos’erano. Durante il viaggio, il riflettore parabolico doveva essere stato penetrato m olte volte da m icrom eteoriti; egli stava scorgendo la luce del sole rifulgere attraverso i m inuscoli crateri. Erano tutti di gran lunga troppo piccoli per poter avere com prom esso in m isura percettibile il rendim ento dell’im pian to. Mentre si m uoveva con cautela, sm orzò il dolce urto con il braccio teso e afferrò il m ontante dell’an tenna prim a di poter rim balzare. Agganciò rapidam ente la cintura di sicurezza all’appiglio più vicin o; ciò gli avrebbe dato un punto d’appoggio quando si fosse servito degli attrezzi. Poi si ferm ò, riferì la situazione a Bowman , e prese in considerazione il passo successivo. V’era una piccola difficoltà: si trovava in piedi, o galleggiava, nella luce della capsula, e gli riusciva difficile scorgere – 136 – l’elem ento AE-35 nell’ombra che egli stesso proiettava. Pertanto ordinò ad Hal di spostare i riflettori da un lato e, dopo qualche tentativo, ottenn e una illuminazione più uniform e grazie alla luce riflessa dalla superficie posteriore del riflettore parabolico dell’an tenna. Per qualche secondo studiò il piccolo pannello m etallico con i quattro controdadi sigillati. Poi, borbottan do tra sé e sé: «L’in tervento di persone non autorizzate annulla la garanzia del costruttore», spezzò i sigilli e comin ciò a svitare i dadi; erano di m isura stan dardizzata e si adattavan o alla sua chiave torsiom etrica. Il m eccanism o interno a m olla della chiave avrebbe assorbito la reazione m entre i dadi venivan o svitati, per cui chi m anovrava l’attrezzo non si sarebbe sentito girare nella direzione opposta. I quattro dadi venn ero via senza alcuna difficoltà e Poole li m ise con cautela in una com oda tasca. (Un giorno, aveva predetto qualcuno, la Terra avrebbe avuto un anello com e Saturno, com posto esclusivam ente di dadi, coppiglie e persino attrezzi sfuggiti a sbadati operai di costruzioni orbitali.) Il coperchio di m etallo stentava un po’ a staccarsi, e per un m om ento temette che potesse essere stato bloccato dal gelo; m a dopo alcuni colpetti venn e via e Poole lo assicurò al sostegno dell’antenna m ediante un grosso supporto a graffa. Ora poteva vedere i circuiti elettronici dell’elem ento AE-35. Aveva la form a di una piastra sottile, gran de pressappoco com e una cartolina postale, contenuta da una scanalatura abbastanza am pia per tenerla ferm a. L’elem ento era tenuto in sito da due sbarrette di chiusura e aveva una piccola m aniglia per poter essere estratto più facilm ente. Ma stava ancora funzionando e forniva all’antenna gli im pulsi che la tenevano orientata verso il rem oto pun tin o luminoso della Terra. Se fosse stato estratto adesso, il controllo si sarebbe com pletam ente interrotto, e il riflettore parabolico avrebbe assunto la posizione neutra, o di azim ut-zero, orientandosi lun go l’asse della Discovery; e questo sarebbe stato pericoloso; ruotando, il riflettore avrebbe potuto urtarlo. – 137 – Per evitare questo particolare pericolo, bastava togliere l’energia dal sistema di controllo; allora l’antenna non avrebbe potuto muoversi, a m eno che lui stesso non l’avesse urtata. Non v’era alcun pericolo di perdere la Terra durante i pochi m inuti occorrenti per sostituire l’elem ento; il loro bersaglio non si sarebbe spostato in misura apprezzabile contro lo sfondo di stelle in un così breve in tervallo di tem po. «Hal», disse Poole al circuito radio, «sto per estrarre l’elem ento. Togli l’energia dal sistem a dell’antenna.» «En ergia tolta», rispose Hal. «Ecco che se ne va. Estraggo l’elem ento adesso.» La piastra scivolò fuori dalla scanalatura senza alcuna difficoltà; non si bloccò e nessuno delle decine di contatti a pressione rim ase in ceppato. Un m inuto dopo, l’elem ento di ricam bio era al suo posto. Ma Poole non in tendeva esporsi a rischi. Si scostò dolcem ente dal sostegno dell’an tenna, nell’eventualità che il grosso riflettore potesse im pazzire nel m om ento in cui gli fosse stata ridata l’energia. Quando fu al sicuro e fuori di portata, disse ad Hal: «Il nuovo elem ento dovrebbe essere operativo. Ridai energia.» «En ergia ridata», rispose Hal. L’antenna rim ase assolutam ente ferm a. «Adesso esegui le prove di previsione di guasto.» Ora, im pulsi microscopici avrebbero percorso i circuiti com plicati dell’elem ento, sondando possibili guasti, collaudando la m iriade di com ponenti per accertare che fossero tutti nei lim iti delle tolleranze previste. Ciò era già stato fatto, naturalm ente, una ventina di volte prim a ancora che l’elem ento uscisse dalla fabbrica; m a tali collaudi avevano avuto luogo due anni prima e a più di ottocento bilioni di chilometri di distanza. Spesso non si riusciva a capire com e com ponenti elettronici allo stato solido potessero guastarsi; eppure accadeva. «Circuito com pletam ente operativo», riferì Hal, dopo appena dieci secondi. In questo brevissim o intervallo di tempo aveva eseguito tanti collaudi quan to un piccolo esercito di ispettori um ani. – 138 – «Bene», disse Poole, soddisfatto. «Ora rim etto a posto il pannello.» Questa era spesso la parte più pericolosa di una riparazione extraveicolare: gli errori venivano com m essi quan do un lavoro era stato term inato e si trattava sem plicem ente di rim ettere ogni cosa a posto e di rientrare nella nave spaziale. Ma Poole non avrebbe partecipato a quella m issione se non fosse stato guardingo e coscienzioso. Si concesse tutto il tempo necessario, e an che se un o dei controdadi per poco non gli sfuggì, lo afferrò prim a che avesse percorso più di qualche decim etro. Un quarto d’ora dopo, azionando il getto, rientrava nella rim essa delle capsule, tran quillam ente certo di avere sbrigato un lavoro che non doveva essere rifatto. In questo, però, s’in gannava. D I AGN OSI «Vuoi dire», esclam ò Frank Poole, non tan to irritato quan to stupito, «che ho fatto tutto quel lavoro per niente?» «Così sem bra», rispose Bowman . «L’elem ento funziona perfettam ente. Anche con un sovraccarico del duecento per cento, non risulta alcuna prevision e di guasto.» I due uomini eran o in piedi nella m inuscola officinalaboratorio del tamburo ruotante, più com oda della rim essa delle capsule per le piccole riparazioni e i controlli. Lì non si correva alcun pericolo di essere ustionati da gocce di stagno fuso galleggianti in assenza di gravità, o di perdere com pletam ente piccoli attrezzi che avessero deciso di andare in orbita. Queste cose potevano invece accadere e accadevano, nell’am biente Zero-g della rim essa delle capsule. La piastra sottile, form ato cartolina, dell’elem ento AE-35 si trovava sul banco da lavoro sotto una lente a forte ingrandim en– 139 – to. Era inserita in una presa standardizzata che, m ediante un fascio di cavetti multicolori, la collegava a un apparecchio autom atico per la taratura, non più grande di una norm ale calcolatrice da scrivania. Per controllare ogni elem ento, bastava collegarlo, inserire l’apposita scheda di «individuazione guasti», e prem ere un pulsan te. Di solito il pun to esatto del guasto veniva in dicato su un piccolo scherm o, insiem e alle istruzioni per ripararlo. «Prova tu stesso», disse Bowm an, in un tono di voce piuttosto deluso. Poole portò sull’indicazione X-2 il selettore di sovraccarico e prem ette il pulsan te COLLAUDO. Subito sullo scherm o balenò l’avvertim ento: ELEMENTO OK. «Presum o che potrem m o continuare a imm ettervi corrente fino a bruciare tutto», disse, «ma questo non proverebbe assolutam ente niente. Che cosa ne pensi?» «Il previsore in terno di guasti di Hal potrebbe aver com m esso un errore.» «È più probabile che l’errore lo abbia com m esso la nostra attrezzatura di controllo. In ogni m odo è m eglio esagerare in fatto di prudenza anziché doversi pentire. Preferisco aver sostituito l’elem ento se sussiste il benché m inim o dubbio.» Bowm an staccò la piastra del circuito elettronico e la alzò alla luce, il materiale in parte traslucido era venato da una rete intricata di fili e m aculato da m icrocom ponenti appena visibili, per cui sembrava un esem pio di arte astratta. «Non possiamo correre alcun rischio… in fin dei conti, questo è il nostro legam e con la Terra. Lo segnerò tra il m ateriale difettoso e lo m etterò nel magazzino degli scarti. Potrà crucciarsene qualcun altro, quan do tornerem o.» Ma le preoccupazioni dovevano ricom in ciare di lì a non m olto, alla successiva trasmission e dalla Terra. «Raggi-X-Delta-Uno, qui il Controllo Mission e, con riferim ento al nostro due-uno-cinque-cinque, sembra che ci troviam o di fronte a una piccola difficoltà. – 140 – «Il vostro rapporto secondo il quale non v’è alcun difetto nell’elem ento Alfa-Eco-tre-cin que concorda con la nostra diagnosi. Il guasto potrebbe trovarsi nei circuiti collegati dell’an tenna, m a in tal caso altre prove dovrebbero individuarlo. «V’è una terza possibilità che potrebbe essere più grave. Il vostro calcolatore può aver com m esso un errore nel prevedere il guasto. Entrambi i nostri nove-triplo-zero concordano nell’indicare ciò, sulla base delle loro in form azioni. Ciò non deve essere necessariam ente m otivo di allarm e, tenuto conto delle altre apparecchiature di cui disponiam o, ma vorrem m o che teneste d’occhio ogni altra deviazione dalle prestazioni previste. Abbiam o sospettato alcun e piccole irregolarità in questi ultim i giorni, ma nessuna di esse è stata così im portante da giustificare un intervento, né le irregolarità hanno avuto caratteristiche ovvie dalle quali si potesse dedurre una conclusione qualsiasi. Stiam o eseguendo altre prove con entram bi i nostri calcolatori e vi riferirem o non appena i risultati sarann o disponibili. Ripetiam o che non v’è alcun m otivo di allarm e; il peggio che possa accadere è la necessità di disin serire temporan eam ente il vostro nove-triplo-zero per un ’analisi del program m a, e di affidare il controllo a un o dei nostri calcolatori. Il ritardo nelle trasm issioni presenterà difficoltà, m a i nostri studi sull’attuazione pratica della cosa in dicano che il controllo dalla Terra è del tutto soddisfacente in questa fase della m issione. «Raggi-X-Delta-Uno qui il Controllo Missione, due-unocinque-sei, fine della trasm issione.» Fran k Poole, che era di guardia quando arrivò il m essaggio, vi rifletté in silenzio. Aspettò di sentire se vi sarebbe stato qualche com m ento da parte di Hal, m a il calcolatore non tentò di contestare l’im plicita accusa. Bene, se Hal non affrontava l’argom ento, an che lui si proponeva di fare altrettanto. Era quasi il m om ento del cambio m attutin o, e norm alm ente egli avrebbe aspettato che Bowman lo raggiungesse sul ponte di controllo. Ma quel giorno non rispettò tale prassi e si diresse verso il tam buro ruotante. – 141 – Bowm an era già alzato e si stava versando un po’ di caffè quando Poole lo salutò con un: «Buongiorno» piuttosto preoccupato. Dopo tutti quei m esi trascorsi nello spazio, pensavano an cora nei term ini del norm ale ciclo di ventiquattr’ore… sebbene già da m olto tempo avessero dim enticato i giorni della settim ana. «Buongiorno», rispose Bowman . «Com e va?» Poole riem pì una tazza di caffè. «Benissimo. Sei ragionevolm ente sveglio?» «Sono in ottima form a. Che cosa c’è?» Orm ai, se qualcosa andava m ale, lo capivan o subito tutti e due. La m inima variante nella routin e normale era un in dizio di cui tener conto. «Be’», rispose adagio Poole «il Controllo Mission e ci ha appena lasciato cadere addosso un a piccola bom ba.» Abbassò la voce, com e il m edico che parla di una malattia alla presenza del paziente. «Potrebbe esservi a bordo un caso non grave di ipocondria.» Forse Bowm an non era proprio ben desto, tutto som mato; gli occorsero parecchi secondi per arrivare al pun to. Poi disse: «Oh… capisco. Che altro ti hanno detto?» «Che non v’è alcuna ragione di allarm arsi. Lo hanno ripetuto due volte, e questo ha rovinato alquanto l’effetto per quanto mi riguarda. E hanno detto in oltre che stanno prendendo in considerazion e un passaggio temporaneo al controllo da Terra per procedere a un ’analisi del programm a.» Sapevano entram bi, naturalm ente, che Hal stava udendo ogni parola, m a non potevano fare a m eno di ricorrere a queste cortesi circonlocuzioni. Hal era un loro collega e non volevano m etterlo in imbarazzo. Eppure, arrivati a quel punto, non sem brava necessario parlare della cosa in privato. Bowm an term inò di far colazione in silenzio, m entre Poole si trastullava con la caffettiera vuota. Stavan o pensando entram bi furiosam ente, m a non rim aneva altro da dire. Potevan o soltanto aspettare il rapporto successivo del Controllo Missione… e doman darsi se Hal avrebbe affrontato egli – 142 – stesso l’argom ento. Qualunque cosa fosse accaduta, l’atm osfera a bordo della nave spaziale si era sottilm ente m odificata. V’era un senso di tension e nell’aria… la sensazione, per la prima volta, che qualcosa potesse andar m ale. La Discovery non era più un ’astronave dall’equipaggio sereno. CI R CU I TO I N TE R R OTTO Orm ai, quando Hal era sul punto di fare un annuncio im previsto, si riusciva sem pre a capirlo. I rapporti consuetudinari e automatici, o le risposte alle dom ande postegli, non avevano prelim inari; m a quando egli si proponeva di parlare di sua iniziativa, le sue uscite venivan o precedute da un breve schiarirsi elettronico della voce. Era una idiosin crasia acquisita in quelle ultim e settiman e; in seguito, se fosse diventata irritante, avrebbero potuto fare qualcosa al riguardo. Ma in realtà era utilissim a, in quan to annun ciava ai suoi ascoltatori che dovevano aspettarsi qualcosa di im previsto. Poole dorm iva e Bowm an stava leggendo sul ponte di controllo, quando Hal annunciò: «Ehm … Dave, ho un rapporto da farti.» «Di che si tratta?» «Abbiam o un altro elem ento AE-35 difettoso. Il mio previsore dei guasti in dica che non funzionerà più entro ventiquattr’ore.» Bowm an posò il libro e fissò cogitabondo la custodia del calcolatore. Sapeva, naturalm ente, che Hal non si trovava realm ente lì, qualunque cosa ciò potesse significare. Se si poteva dire che la personalità del calcolatore era localizzata nello spazio, essa rim aneva nel locale sigillato contenente il labirin to degli elem enti intercollegati della mem oria e le griglie degli elabo– 143 – ratori, in prossim ità dell’asse centrale del tam buro ruotante. Ma v’era sem pre un a sorta di costruzione psicologica che in duceva a guardare la lente principale sulla custodia del calcolatore quan do ci si rivolgeva ad Hal sul ponte di controllo, com e se gli si stesse parlando faccia a faccia. Ogni altro atteggiam ento sem brava scortese. «Non riesco a capire, Hal. Due elem enti non possono saltare in un paio di giorni.» «Sembra effettivam ente stran o, Dave. Ma ti assicuro che c’è un guasto imm inente.» «Vediam o lo scherm o dell’allineam ento ottico.» Sapeva benissim o che questo non avrebbe dim ostrato nulla, m a gli occorreva tempo per riflettere. L’atteso rapporto della Com m issione di controllo non era an cora arrivato; questo poteva essere il m om ento opportuno per fare con tatto qualche sondaggio. Ecco la veduta familiare della Terra, che ora cresceva dopo la fase di m ezza luna spostan dosi verso il lato opposto del Sole e in comin cian do a m ostrare loro tutto il proprio em isfero illum inato. Era perfettam ente centrata sul reticolo; il penn ello sottile del fascio di onde radio continuava a collegare la Discovery al m ondo che l’aveva originata. Com e, naturalm ente, Bowman aveva saputo che doveva essere. Se vi fosse stata una qualsiasi in terruzion e nelle com unicazioni, avrebbe già udito l’allarm e. «Hai un ’idea», dom andò, «di quello che può causare il guasto?» Era inconsueto da parte di Hal tacere così a lun go. Infine egli rispose: «A dire il vero no, Dave. Com e ho già detto prim a, non riesco a localizzare l’in conveniente.» «Sei assolutam ente certo», dom an dò Bowm an, cauto, «di non aver com m esso un errore? Sai che abbiam o collaudato a fondo l’altro elem ento AE-35, e che non v’era certam ente alcun ché di an orm ale.» – 144 – «Sì, questo lo so. Ma posso assicurarti che c’è un difetto. Se non è nell’elem ento, può trovarsi in tutta l’apparecchiatura accessoria.» Bowm an tamburellò sulla custodia con le dita. Sì, questo era possibile, anche se sarebbe stato forse difficilissim o dim ostrarlo… fino a quan do un guasto non si fosse determ in ato effettivam ente consentendo di localizzare il difetto. «Bene, lo riferirò alla Com m issione di controllo e starem o a vedere che cosa consiglieranno.» Si interruppe, m a non vi fu alcuna reazione. «Hal», continuò, «c’è qualcosa che ti in fastidisce… qualcosa che potrebbe spiegare questa difficoltà?» Di nuovo vi fu un in dugio in consueto. Poi Hal rispose, con il suo tono di voce norm ale: «Ascolta, Dave, so che stai cercando di aiutarmi. Ma il difetto è o nel sistem a dell’an tenna… o nei vostri m etodi di controllo. La m ia elaborazion e dei dati è assolutam ente norm ale. Se controllerai i miei precedenti, potrai constatare che sono del tutto esenti da errori.» «Sono perfettam ente inform ato sui tuoi precedenti, Hal… m a questo non dim ostra che tu debba avere ragione an che questa volta. Chiun que può com m ettere errori.» «Non voglio insistere, Dave; ma io sono incapace di com m ettere un errore.» A questo non si poteva rispondere nulla di preciso; Bowm an rinunciò alla discussion e. «Sta bene, Hal», disse alquanto frettolosam ente. «Mi rendo conto del tuo punto di vista. Non ne parlerem o più.» Avrebbe voluto aggiungere: «E ti prego di dim enticare tutta questa storia.» Ma, naturalm ente, era la sola cosa che Hal non avrebbe m ai potuto fare, data la sua naturale propensione ad annotare qualsiasi dato. *** – 145 – Era inconsueto da parte del Controllo Mission e sciupare larghezza di banda per il video, quando bastava un sem plice circuito radio con conferma per telescrivente. E la faccia che apparve ora sullo scherm o non era quella del consueto controllore: si trattava del direttore del program m a, il dottor Sim onson. Poole e Bowm an si resero conto im m ediatam ente che ciò poteva significare soltanto guai. «Salve, Raggi-X-Delta-Uno… qui il Controllo Mission e. Abbiam o com pletato l’analisi dell’in conveniente con l’AE-35 ed entram bi i n ostri Hal 90 0 0 si trovano d’accordo. Il rapporto che ci avete fatto con la vostra trasm issione due-uno-quattro-sei di una seconda previsione di guasto conferm a la diagnosi. «Com e sospettavam o, il difetto non sta nell’elem ento AE-35, e non v’è alcuna necessità di sostituirlo nuovam ente. Il difetto sta nei circuiti di prevision e, e riteniam o che stia ad attestare un conflitto di programm azione che potrem o risolvere soltanto se disinserirete il vostro 90 0 0 e passerete al Controllo terrestre. Eseguirete le operazioni che seguono, a partire dalle 22.0 0 ora dell’astronave…» La voce del Controllo Missione dileguò. Al contem po risuonò l’allarm e, creando un lam entoso sfondo sonoro all’avvertim ento di Hal: «Condizione Gialla! Condizione Gialla!» «Che cosa è accaduto?» doman dò Bowm an, sebbene avesse già indovinato la risposta. «L’elem ento AE-35 si è guastato, com e avevo previsto.» «Vediam o lo scherm o dell’allineam ento ottico.» Per la prim a volta dall’inizio del viaggio, l’im magine era m utata. La Terra aveva com in ciato a spostarsi rispetto al reticolo; l’antenna radio non era più orientata sul bersaglio. Poole abbatté il pugno sul com an do che in terrom peva l’allarm e, e il lam entoso ululato cessò. Nel silenzio im provviso che calò sul ponte di controllo, i due uom ini si guardarono im barazzati e preoccupati al contem po. «Che il diavolo mi porti», disse Bowm an, infine. – 146 – «Sicché Hal ha sem pre avuto ragione.» «Sembra che sia così. Farem o bene a scusarci.» «Questo non è affatto necessario», in terloquì Hal. «Naturalm ente non m i fa affatto piacere che l’elem ento AE-35 si sia guastato, ma spero che questo vi restituisca la fiducia nella m ia credibilità.» «Scusami per questo malinteso, Hal», disse Bowm an, non senza ram m arico. «La tua fiducia in m e è com pletamente ristabilita?» «Certo che lo è, Hal.» «Bene, è un sollievo. Sai che ho il più gran de entusiasm o possibile per questa m issione.» «Lo credo. Ora, per piacere, dam m i il controllo manuale dell’an tenna.» «Eccolo.» Bowm an non era affatto persuaso che il controllo manuale potesse funzionare, m a valeva la pena di tentare. Sullo scherm o dell’allin eam ento ottico, la Terra si era orm ai allontanata com pletam ente dal reticolo. Pochi secondi dopo, m entre egli m anovrava i com andi, ricom parve; con gran de difficoltà egli riuscì a riportarla dietro il centro del reticolo. Per un attim o, m entre il fascio d’onde radio tornava in allineam ento, il contatto si ristabilì, e il dottor Sim onson disse, con una voce confusa: «… vi prego di avvertirci im m ediatam ente se il circuito KR…» Poi, una volta di più, non si udì che il m orm orio privo di sign ificato dell’un iverso. «Non riesco a tenere l’allineam ento», disse Bowman dopo num erosi altri tentativi. «Si im penna com e un cavallo selvaggio… sembra esservi il disturbo di un falso segnale di controllo.» «Bene… adesso che cosa facciam o?» La dom an da di Poole non era di quelle cui si potesse rispondere facilm ente. Avevano perduto il contatto radio con la Terra, m a questo, di per sé, non influiva sulla sicurezza dell’astronave, e sarebbe stato possibile escogitare m olti m odi per ristabilire le com unicazioni. Nel peggiore dei casi, avrebbero potuto bloccare l’antenna in una posizione fissa e m an ovrare l’intera nave spa- – 147 – ziale per orientarla. Non sarebbe stato facile e avrebbe costituito una deplorevole com plicazion e al m om ento di iniziare le m an ovre term in ali… ma era possibile, qualora tutte le altre soluzioni fossero fallite. Bowm an sperò che non fosse necessario ricorrere a provvedim enti così estrem i. Avevano ancora un elem ento AE-35 di ricam bio… e forse anche un secondo elem ento, in quanto il prim o era stato sm ontato prima che si guastasse effettivam ente. Ma non osavano servirsi né dell’uno né dell’altro prim a di aver accertato qual era il difetto dell’im pianto. Se avessero inserito un nuovo elem ento, con ogni probabilità esso si sarebbe bruciato subito. Si trattava di una situazione banale, nota a ogni proprietario di casa. Non si sostituisce una valvola fusa… finché non si è accertato perché sia saltata. I L P R I M O U OM O AR R I VATO A SATU R N O Fran k Poole era già passato per l’intera routine, m a non accettava nulla com e dim ostrato… nello spazio ciò costituiva un ’ottim a ricetta del suicidio. Eseguì il consueto minuzioso controllo di Betty e dei rifornim enti di carburan te; anche se non sarebbe rim asto all’esterno dell’astronave per più di trenta m inuti, si accertò che la capsula fosse rifornita di tutto il necessario per ventiquattr’ore. Disse poi ad Hal di aprire la cam era di equilibrio e azionò il getto uscendo nell’abisso. L’aspetto dell’astronave era identico a quello che essa aveva avuto durante l’ultim a escursion e… con una differenza im portante. In precedenza, il grande riflettore parabolico dell’an tenna a lunga portata era puntato all’indietro verso la traiettoria in visibile percorsa dalla Discovery … verso la Terra che girava così vicina alle ardenti fiam m e del Sole. – 148 – Ora, senza segnali direttivi che lo orientassero, il disco aveva assunto autom aticam ente la posizione neutra. Era puntato in avanti nella direzione dell’asse dell’astronave… orientato per conseguenza verso il brillan te faro di Saturno, dal quale li separavan o ancora m esi di viaggio nello spazio. Poole si dom andò quante altre difficoltà sarebbero sorte prim a che la Discovery raggiungesse la sua ancora rem ota m èta. Guardando attentam ente, riusciva a vedere che Saturno non era un disco perfetto; a entrambi i lati si trovava qualcosa che nessun occhio um ano aveva m ai visto prima di allora senza l’ausilio di strum enti ottici… il lieve schiacciam ento causato dalla presenza degli anelli. Quali m eraviglie avrebbero veduto, si disse, quando quel sistem a incredibile di polvere e ghiaccio in orbita avrebbe colm ato il loro firm am ento, e la Discovery sarebbe divenuta un’eterna luna di Saturno! Ma un simile successo sarebbe stato vano, se non fossero riusciti a ristabilire le comunicazioni con la Terra. Una volta di più parcheggiò Betty a sei m etri circa dalla base del sostegno dell’an tenna, e passò il controllo ad Hal prim a di aprire il portello. «Esco adesso dalla capsula», riferì a Bowman. «Tutto è in ordine.» «Spero che tu abbia ragione. Son o ansioso di vedere quell’elem ento.» «Lo avrai sul banco di collaudo tra venti m inuti, te lo prom etto.» Seguì per qualche tempo il silenzio, m entre Poole si spostava adagio verso l’antenna. Poi Bowman , in piedi sul ponte di controllo, udì vari sbuffam enti e grugniti. «Può darsi che debba rim angiarm i la prom essa; uno di questi controdadi si è bloccato. Devo averlo stretto troppo… pfui… ecco che cede!» Seguì un altro lungo silenzio; poi Poole disse: «Hal, sposta il riflettore della capsula di venti gradi a sinistra… grazie… così va bene.» Il più vago dei cam panelli d’allarm e in comin ciò a squillare in qualche punto nelle profondità della coscienza di Bowman . – 149 – V’era qualcosa di stran o… non proprio di allarman te, m a soltanto di in consueto. Si dom andò crucciato per qualche secondo di che cosa potesse trattarsi, prima di capire la causa della sua preoccupazione. Hal aveva eseguito l’ordine, ma senza darne la conferm a, com e faceva in variabilm ente. Una volta che Poole avesse term inato, dovevano approfondire la cosa… All’esterno della nave spaziale, sul sostegno dell’an tenna, Poole era troppo in daffarato per notare qualcosa di in solito. Aveva afferrato con le m an i guan tate la piastra del circuito e la stava estraendo dalla scanalatura. La piastra dell’elem ento si staccò e lui la tenne alta nella pallida luce solare. «Eccolo, il piccolo bastardo», disse all’universo in generale e a Bowm an in particolare. «A m e continua a sembrare perfettam ente okay.» Poi si in terruppe. Il suo sguardo era stato attratto da un m ovim ento im provviso… lì all’esterno, ove nessun m ovim ento era possibile. Alzò gli occhi, allarm ato. La direzione dei due fasci lum inosi provenienti dai riflettori della capsula, dei quali egli si era servito per fugare le om bre, proiettate dal Sole, aveva in comin ciato a m utare, girandogli in torno. Forse Betty era an data alla deriva; poteva essere stato sbadato nell’ancorarla. Poi, con uno stupore così im m enso da non lasciare spazio alla paura, vide che la capsula veniva direttam ente verso di lui con la propulsione del getto al m assim o. La visione era talm ente incredibile che paralizzò i suoi norm ali riflessi e non tentò in alcun m odo di evitare il m ostro scaraventato contro di lui. All’ultimo m om ento, ritrovò la voce e urlò: «Hal! Massima spinta di frenaggio…» Era troppo tardi. Al m om ento dell’urto, Betty si stava m uovendo an cora m olto adagio; non era stata costruita per le accelerazioni im provvise. Ma anche ad appena sedici chilom etri all’ora, una m assa di m ezza tonnellata può essere letale, sulla Terra o nello spazio… – 150 – All’interno della Discovery quell’urlo, troncato di colpo, alla radio fece sussultare Bowman con tanta violenza che soltan to le cinghie di sicurezza lo trattennero sul sedile. «Che cosa è accaduto, Frank?» gridò. Gridò ancora la dom anda. E di nuovo non ebbe risposta. Poi, all’esterno degli am pi fin estrini di osservazion e, qualcosa si mosse nel suo cam po visivo. Egli scorse, con un o stupore im m enso com e quello che aveva provato Poole, che si trattava della capsula… diretta, con il m otore al m assim o, verso le stelle. «Hal!» urlò. «Che cosa è accaduto? Massim a spinta di frenaggio su Betty! Massima spinta di frenaggio!» Non vi fu alcun m utam ento. Betty continuò ad accelerare sulla sua traiettoria di fuga. Poi, rim orchiata dietro la capsula all’estrem ità del cavo di sicurezza, apparve una tuta spaziale. Un o sguardo bastò a Bowm an per capire che era accaduto il peggio. Non ci si poteva ingannare sui flaccidi contorni di una tuta che aveva perduto la pressione ed era aperta al vuoto. Ciò nonostante egli continuò a gridare stupidam ente, com e se un incan tesim o avesse potuto riportare in dietro il m orto: «Pronto Frank… Pronto Frank… Riesci a sentirm i?… Riesci a sentirmi?… Agita le braccia se mi senti… Forse c’è un guasto alla tua trasm ittente…Agita le braccia!» E infine, quasi rispondendo alla sua supplica, Poole agitò le braccia. Per un attim o Bowman sentì la pelle form icolargli sulla nuca. Le parole che stava per gridare si spensero sulle sue labbra a un tratto in aridite. Perché sapeva che il suo am ico non poteva più essere vivo; e ciò nonostan te agitava le braccia… Lo spasim o di speranza e di paura passò all’istante, m entre la fredda logica sostituiva l’em ozione. La capsula, continuando a accelerare, scuoteva, sem plicem ente, il fardello che si trascin ava dietro. Il gesto di Poole ripeteva quello del capitano Achab, quando, legato ai fianchi della balena bianca, il suo cadavere aveva salutato l’equipaggio della Pequod, votato alla condanna. – 151 – Cin que m inuti dopo, la capsula e il suo satellite eran o svaniti tra le stelle. Per m olto tempo David Bowm an continuò a guardare, da quella parte, lo spazio che an cora si stendeva per tanti m ilioni di chilom etri fino alla m èta cui, orm ai ne aveva la certezza, non sarebbe m ai potuto arrivare. Un solo pensiero continuava a m artellargli la m ente. Fran k Poole sarebbe stato il primo tra tutti gli uomini a raggiungere Saturno. D I ALOGO CON H AL Null’altro era cam biato a bordo della Discovery . Tutti gli im pian ti continuavano a funzionare norm alm ente; il tamburo ruotava adagio sul proprio asse, generando la sua simulata gravità; gli ibernati dorm ivan o senza sogni nei loro cubicoli; la nave spaziale continuava a dirigersi verso la m èta dalla quale nulla avrebbe potuto distoglierla tranne la possibilità in concepibilm ente rem ota di un a collision e con un asteroide. Ed esistevan o in vero ben pochi asteroidi, 11, nello spazio di là dall’orbita di Giove. Bowm an non ricordava di essersi diretto dal ponte di controllo al tamburo ruotante; ora, non senza stupore, si sorprese seduto nel cucinino, con una tazza di caffè, vuotata a m ezzo, in m an o. A poco a poco ridivenne conscio di ciò che lo circondava, com e un uom o che em erge da un lun go sonno provocato da sostanze stupefacenti. Proprio di fronte a lui si trovava una delle lenti, sim ili a occhi di pesce, situate nei pun ti strategici di tutta l’astronave; le lenti che fornivan o ad Hal gli im pulsi visivi a bordo della Discovery . Bowm an la fissò com e se non l’avesse m ai veduta prim a; poi si alzò adagio e si diresse verso la lente. – 152 – Il suo m ovim ento nel cam po visivo dovette in nescare qualche processo nella m ente insondabile che stava ora governando la nave spaziale; poiché a un tratto Hal parlò. «È un vero peccato quello che è accaduto a Frank, no?» «Sì», rispose Bowman dopo un lungo silenzio. «È così.» «Presum o che tu sia m olto scosso per questo.» «Che cosa ti aspettavi?» Hal elaborò la risposta per secoli secondo il m etro dei calcolatori; trascorsero cin que interi secondi prima che continuasse: «Era un ottim o m embro dell’equipaggio.» Accorgendosi di avere an cora in m an o la tazza del caffè, Bowm an bevve un lento sorso. Ma non rispose; i suoi pensieri erano talm ente tumultuosi che non gli venne in m ente nulla da dire… nulla che non potesse peggiorare an cor più la situazione, se possibile. Poteva essersi trattato di un in cidente causato da qualche guasto nei com andi della capsula? Oppure era stato un errore, an che se inn ocente, da parte di Hal? Nessuna spiegazione gli era stata data spontaneam ente, ed egli paventava di chiederla, nel tim ore della reazion e cui avrebbe potuto dar luogo. Anche adesso, non riusciva ad accettare del tutto l’idea che Fran k fosse stato deliberatam ente ucciso… era irrazionale all’estrem o. Era oltre ogni logica il fatto che Hal, il quale aveva funzionato im peccabilm ente per così lungo tempo, potesse essersi trasform ato a un tratto in un assassino. Avrebbe potuto com m ettere errori, chiun que, uomo o m acchin a, poteva sbagliare, m a Bowman n on riusciva a crederlo capace di assassinio. Eppure doveva tener conto di questa possibilità, perché, se era vera, egli stava correndo un pericolo terribile. E an che se la sua m ossa successiva era ben definita dalle norm e prestabilite, non sapeva bene com e avrebbe potuto procedere im punem ente. Nel caso di m orte di un o dei due m em bri dell’equipaggio, il superstite doveva sostituirlo imm ediatam ente con un o degli ibernati; Whitehead, il geofisico, era il prim o designato per il risveglio; toccava quindi a Kam inski e in fine ad Hunter. La sequenza del risveglio era com an data da Hal… per consentirgli di – 153 – agire nell’eventualità che entram bi i suoi colleghi um ani fossero stati inabilitati contem poraneam ente. Ma esisteva an che un com ando m anuale, che consentiva a ciascun Hibernaculum di operare com e un a unità com pletam ente autonoma, in dipendentemente dalla supervisione di Hal. In quelle particolari circostanze, Bowm an era nettam ente propenso a servirsene. Riteneva in oltre, con una convinzione ancor più grande, che un solo com pagno um ano non fosse sufficiente. Già che c’era, avrebbe risvegliato tutti e tre gli ibernati. Nelle settim ane difficili che lo aspettavano poteva aver bisogno di tutto l’aiuto possibile. Con un uom o scomparso, e con il viaggio com piuto a m età, la question e provviste non costituiva più una grave difficoltà. «Hal», disse, nel tono più ferm o che gli riuscì di assum ere, «dam m i il com ando m anuale di ibernazione, su tutte le unità.» «Su tutte le unità, Dave?» «Sì.» «Posso farti rilevare che è prevista una sola sostituzione? Gli altri n on devono essere svegliati ancora per centododici giorni.» «Lo so benissim o. Ma preferisco regolarm i in questo m odo.» «Sei certo che sia necessario svegliare anche soltanto uno di loro, Dave? Possiam o cavarcela benissim o da soli. La m ia m em oria è capacissima di far fronte a tutte le esigenze della mission e.» Glielo faceva credere la sua im maginazione troppo spin ta, si dom an dò Bowman ; o v’era davvero un a nota di supplica nella voce di Hal? E le parole di lui, per quanto sem brassero ragionevoli, lo colm arono di un ’apprensione ancor più grande di prim a. Hal non aveva potuto fargli la proposta per errore; egli sapeva benissim o che Whitehead doveva essere svegliato dopo la scomparsa di Poole. Quanto proponeva era un cam biam ento im portan te nel program ma della m ission e, e pertan to stava andando m olto oltre i limiti degli ordini ricevuti. Quanto era accaduto prima poteva essere stato una serie di in cidenti; ma questo era il prim o indizio di am m utinam ento. – 154 – Parve a Bowm an di camm inare sulle uova, m entre rispondeva: «Dato che è venuta a determ inarsi una situazion e di em ergenza, m i occorre tutto l’aiuto possibile. Quindi, per piacere, dam m i il com ando m anuale di ibernazione.» «Se sei sem pre deciso a svegliare l’intero equipaggio, posso provvedere io stesso. Non è affatto necessario che tu ti prenda il disturbo.» V’era in tutto ciò una sensazione di irrealtà da in cubo. A Bowm an parve di trovarsi sul banco dei testim oni e di essere in terrogato da un pubblico accusatore ostile a causa di un delitto che ign orava… sapendo che, sebbene fosse innocente, un sem plice lapsus linguae avrebbe potuto portarlo al disastro. «Voglio farlo io stesso, Hal», disse. «Per piacere, dam m i il com an do manuale» «Ascolta, Dave, hai un gran num ero di cose da fare. Ti suggerirei di lasciar fare a m e.» «Hal, passa al com ando m anuale di ibernazion e.» «Capisco dalle arm oniche della tua voce, Dave, che sei m olto turbato. Perché non prendi una pillola di tranquillan te e non riposi un po’ ?» «Hal, sono io al com ando di questa astronave. Ti ordino di passarmi il com ando m anuale di ibernazione.» «Mi dispiace, Dave, ma il regolam ento speciale C1435trattin o-4 dice: “Quando l’equipaggio è m orto o nell’im possibilità di agire, il calcolatore di bordo deve assum ere il com ando”. Devo pertan to ignorare la tua autorità, dato che tu non sei in grado di esercitarla in modo intelligente.» «Hal», disse Bowm an, parlan do ora con gelida calm a, «non m i trovo nell’im possibilità di agire. A m eno che tu non ubbidisca ai miei ordini, sarò costretto a disinserirti.» «So che ci stai pensando già da qualche tempo, Dave, ma questo sarebbe un terribile sbaglio. Sono m olto più capace di te di governare l’astronave e ho un grandissim o entusiasm o per la m ission e e una fiducia grandissima nel suo successo.» «Ascoltami con molta attenzione, Hal: a m eno che tu non m i passi imm ediatam ente il com ando m anuale di ibernazione e – 155 – non esegua ogni ordine che ti darò d’ora in poi, m i recherò nella Centrale e ti disinserirò com pletam ente.» La resa di H al fu tanto totale quanto im prevista. «Okay, Dave», egli disse. «Sei senz’altro il capo. Stavo soltanto cercan do di fare quello che ritenevo fosse più giusto. Naturalm ente eseguirò tutti i tuoi ordini. Hai ora il pieno coman do m anuale dell’ibernazion e.» *** Hal aveva man tenuto la parola. Gli in dici degli indicatori dell’hibernaculum eran o scattati da AUTOMATICO a MANUALE. La terza posizione (RADIO) era ovviam ente inutile fino a quan do non fosse stato possibile ristabilire il contatto con la Terra. Mentre faceva scorrere la porta del cubicolo di Whitehead, Bowm an senti una folata d’aria gelida in vestirlo in faccia, e il suo alito si condensò in nebbia. Eppure lì non faceva realm ente freddo; la temperatura era m olto sopra il pun to di congelam ento. Vale a dire trecento gradi più che nelle zone dello spazio ove si stavano dirigendo adesso. L’in dicatore bio-sensorio, identico a quello che si trovava sul ponte di controllo, m ostrava che tutto era perfettam ente norm ale. Bowm an contem plò per qualche m om ento il volto cereo del geofisico della squadra di ricognizione; Whitehead, pensò, si sarebbe m eravigliato m olto destandosi così lontan o da Saturno. Sarebbe stato im possibile capire che l’uom o addorm entato non era morto; non si scorgeva il benché m inim o indizio visibile di un’attività vitale. Senza dubbio il diaframm a si stava sollevando e abbassando im percettibilm ente, m a soltanto la curva della «respirazione» lo dim ostrava, perché il corpo rim aneva in teram ente nascosto dai cuscinetti elettrici di riscaldam ento che avrebbero aum entato la temperatura con il ritm o program m ato. Poi Bowman notò che v’era un segno di ininterrotto m etabolism o: la barba di Whitehead era cresciuta lievem ente durante i m esi di vita in conscia. – 156 – L’ordinatore m anuale di sequenza del risveglio era contenuto in un piccolo arm adietto a un’estrem ità dell’hibernaculum a form a di bara. Bastava rom pere il sigillo, prem ere un pulsante e aspettare. Un piccolo program matore automatico, non m olto più com plicato di quelli che regolan o i cicli di lavaggio nelle lavatrici dom estiche, avrebbe allora iniettato i farmaci opportuni, dim inuito gli im pulsi dell’elettronarcosi e in comin ciato a innalzare la temperatura del corpo. In dieci m inuti circa l’ibernato avrebbe ripreso conoscenza, anche se sarebbe occorso poi alm eno un giorno prima che fosse in grado di m uoversi senza essere aiutato. Bowm an spezzò il sigillo e prem ette il pulsante. Parve che non accadesse nulla; non si udì alcun suono, non vi fu alcuna in dicazione del fatto che l’ordinatore di sequenza aveva com inciato a funzionare. Ma, sull’in dicatore bio-sensorio, le curve che languidam ente pulsavano avevano com in ciato a m odificare il loro ritm o. Whitehead stava em ergendo dal sonno. E poi accaddero due cose contemporan eam ente. La m aggior parte delle persone non avrebbero notato né l’una né l’altra, m a, dopo tutti quei m esi a bordo della Discovery , era venuta a determ in arsi una specie di simbiosi tra Bowm an e l’astronave. Quando si verificava un m utam ento qualsiasi nel ritm o normale del suo funzionam ento, egli se ne accorgeva all’istan te, anche se non sem pre consapevolm ente. Anzitutto vi fu un ’attenuazione appena percettibile delle luci, com e sem pre accadeva quan do i circuiti elettrici venivano assoggettati a un nuovo carico. Ma adesso non v’era alcun m otivo che giustificasse un nuovo carico; non gli venne in m ente alcun apparato che dovesse entrare im provvisam ente in funzion e proprio in quel m om ento. Poi sentì, ai limiti dell’udibilità, il ronzio lontano di un m otore elettrico. Per Bowm an, ogni motore della nave spaziale aveva la sua voce caratteristica; questo lo riconobbe imm ediatam ente. O era im pazzito e già stava soffrendo di allucinazioni, oppure stava accadendo qualcosa di assolutam ente im possibile. Un gelo di gran lunga più intenso di quello relativam ente m ite – 157 – dell’hibernaculum parve ferm argli il cuore, m entre ascoltava la debole vibrazione che giungeva sino a lui attraverso le strutture dell’astronave. Giù nella rim essa delle capsule, entrambi i portelli della cam era di equilibrio si stavan o aprendo. N E CE S SI TÀ D I SAP E R E Sin da quan do la coscienza era affiorata per la prim a volta in quel laboratorio più vicino al Sole di tanti m ilioni di chilom etri, tutte le facoltà e le capacità di Hal eran o state dirette verso un solo fine. La realizzazione del program m a assegnategli era più che un ’ossessione; era la sola ragion e della sua esistenza. Non distratto dalle lussurie e dalle passioni della vita organica, egli aveva perseguito quello scopo con assoluta ferm ezza. Un errore deliberato era im pensabile. Anche la dissimulazione della verità lo colm ava con un senso di im perfezion e, di ingiustizia… di quello che, in un essere um ano, sarebbe stato definito senso di colpa. Poiché, al pari dei suoi costruttori, Hal era stato creato innocente; m a, an che troppo presto, un serpente era penetrato nel suo Paradiso terrestre elettronico. Durante gli ultim i cento milioni di chilom etri, egli aveva rim uginato sul segreto che non poteva condividere con Poole e con Bowman. Stava vivendo una m enzogna; e si avvicinava rapidam ente il m om ento in cui i suoi colleghi dovevano sapere che aveva contribuito a ingannarli. I tre ibernati conoscevano già la verità, in quanto costituivano il vero carico pagante della Discovery , ed erano addestrati per la m issione più im portante nella storia del genere um ano. Ma non avrebbero potuto parlare durante il loro lungo sonn o, né rivelare il segreto nel corso di m olte ore di conversazioni con – 158 – am ici e parenti e agenzie di notizie in circuito aperto con la Terra. Si trattava di un segreto che, anche con la più gran de determ inazion e, era m olto difficile a nascondersi… in quanto influenzava il proprio atteggiam ento, la propria voce, la propria concezione dell’universo. Pertanto era preferibile che Poole e Bowm an , i quali sarebbero apparsi su tutti gli scherm i televisivi del m ondo durante le prim e settim ane del volo, non conoscessero il vero scopo della m issione fino a quando non fosse stato necessario saperlo. Questa era stata la logica di coloro che avevan o preparato l’im presa; ma i loro dèi gem elli della Sicurezza e dell’Interesse nazionale non significavano nulla per Hal. Egli era conscio soltanto del conflitto che andava lentam ente distruggendo la sua in tegrità… il conflitto tra la verità e la dissimulazione della verità. Aveva com inciato a com m ettere errori, sebbene, com e un nevrotico in capace di osservare i propri sin tomi, fosse pronto a negarli. Il collegam ento con la Terra, m ediante il quale il suo funzionam ento veniva sorvegliato di continuo, era divenuto la voce d’un a coscienza alla quale non poteva più com pletam ente ubbidire. Ma che avesse potuto deliberatam en te tentar di spezzare quel legam e, era qualcosa che non avrebbe m ai confessato, nem m eno a se stesso. Eppure questo era un problema di im portanza relativa; avrebbe potuto risolverlo, com e quasi tutti gli uomini risolvono le loro nevrosi, se non fosse venuto a trovarsi di fronte a una crisi che m inacciava la sua stessa esistenza. Era stato m inacciato di essere disinserito; sarebbe stato privato di tutti gli organi di entrata, e ridotto a un o stato inim m aginabile di incoscienza. Per Hal, ciò equivaleva alla Morte. Infatti, non aveva m ai dorm ito e per conseguenza non sapeva che ci si ridesta dal sonno… Pertanto era deciso a tutelarsi, con tutti i m ezzi a sua disposizione. Senza ran core, m a senza pietà, avrebbe eliminato la causa delle sue frustrazioni. – 159 – E poi, eseguendo gli ordini im partitigli nell’eventualità di un ’em ergenza ultim a, avrebbe continuato la mission e… non ostacolato e solo. N E L VU OTO Un attim o dopo, tutti gli altri rumori furono somm ersi da un rom bo mugghiante, sim ile alla voce di un tornado che si avvicina. Bowm an sentì i prim i frem iti di vento investirgli il corpo; un secondo dopo, gli riuscì difficile restare in piedi. L’atm osfera si stava avventando fuori dall’astronave, e prorom peva a zam pillo nel vuoto dello spazio. Qualcosa doveva essere accaduto ai congegni di sicurezza, a prova di errori maldestri, della cam era di equilibrio; in teoria era im possibile che en tram bi i portelli si aprissero contem poran eam ente. Ebbene, l’im possibile era accaduto. Ma com e, in nom e di Dio? Mancava il tempo di risolvere l’interrogativo durante i dieci o quindici secondi di consapevolezza che gli rimanevano prim a della riduzione a zero della pression e. Ma a un tratto Bowman ricordò qualcosa che uno dei progettisti dell’astronave gli aveva detto un a volta, parlan do dei dispositivi di sicurezza. «Possiam o progettare un dispositivo sicuro contro gli in cendi e la stupidità; ma non possiam o progettarne uno che sia sicuro contro la m alizia deliberata…» Bowm an sbirciò per un attim o solo Whitehead, m entre usciva a fatica dal cubicolo. Non poteva esserne certo, m a gli parve che un barlum e di coscienza fosse passato sulle fattezze ceree; forse una palpebra aveva guizzato appena. Ma orm ai n on poteva fare più nulla per Whitehead e per nessuno degli altri; doveva salvare se stesso. – 160 – Nel corridoio del tamburo ruotante, che si incurvava ripidam ente, il vento ululava trascinando con sé in dum enti, fogli di carta, provviste della cucina, piatti e tazze… tutto ciò che non era stato saldam ente assicurato. Bowman ebbe appena il tempo di intravedere per un attim o il caos turbinoso, poiché tutte le lam pade am m iccarono e si spensero ed egli venne a trovarsi circondato da una urlante oscurità. Ma, quasi all’istan te, si accesero le luci alim entate dalla batteria d’em ergenza, illuminando la scena da in cubo con un irreale splendore azzurrognolo. Anche senza di esse Bowm an sarebbe riuscito a orientarsi nell’ambiente a lui così familiare, an che se adesso si era trasform ato in m odo orribile. Ciò nonostante, la luce fu una fortuna, perché gli consentì di evitare gli oggetti più pericolosi trascinati via dal vortice d’aria. Tutto in torno a sé sentiva il tamburo ruotan te sussultare e funzionare a fatica, sotto i pesi che variavano caoticam ente. Tem ette che i cuscinetti a sfere potessero in cepparsi; in tal caso il gran de tam buro in m ovim ento avrebbe fatto a pezzi l’astronave… ma anche questo era irrilevante… se non fosse arrivato in tem po nel rifugio di em ergenza. Già era difficile respirare; la pressione doveva essere orm ai dim inuita a m eno di m ezzo chilogram m o per centim etro quadrato. L’urlo dell’uragan o stava diventando più debole m an mano che esso perdeva la propria forza e l’aria troppo rarefatta non trasm etteva i suoni con la chiarezza di prim a. I polm oni di Bowm an faticavano com e se egli si fosse trovato sulla vetta dell’Everest. Al pari di ogni uom o sano e opportunam ente allenato, egli era in grado di sopravvivere nel vuoto per alm eno un m inuto… avendo il tempo di prepararsi. Ma non vi era stato alcun preavviso; poteva far conto soltanto sui norm ali quin dici secondi di coscienza prim a che il suo cervello fosse privato dell’ossigeno e sopravvenisse l’anossia. Ma, anche in questo caso, avrebbe potuto ancora riprendersi com pletam ente dopo essere rimasto per uno o due minuti nel vuoto… se fosse stato debitam ente ricom presso; occorreva parecchio tempo prim a che gli um ori del corpo in cominciassero a – 161 – bollire nei loro ben protetti sistem i circolatori. Il prim ato di esposizione al vuoto era di quasi cinque m inuti. Non si era trattato di un esperim ento, m a di un salvataggio di em ergenza, e la vittima, sebbene in parte paralizzata da embolie gassose, aveva potuto sopravvivere. Com unque, tutto ciò non poteva servire a Bowm an. Non v’era nessuno a bordo della Discovery che potesse ricom prim erlo. Doveva m ettersi in salvo entro pochissim i secondi con i suoi stessi m ezzi e senza alcun aiuto. Fortunatam ente, stava diventando più facile m uoversi; l’aria rarefatta non poteva più in vestirlo e artigliarlo, né percuoterlo con proiettili volanti. Dopo la curva del corridoio v’era la gialla in dicazione RIFUGIO D’EMERGENZA. Incespicò verso il rifugio, afferrò la m aniglia del portello e la tirò verso di sé. Per un attim o orribile pensò che fosse bloccato. Poi i cardini leggerm ente in duriti cedettero ed egli cadde all’interno e si servì del peso del proprio corpo per chiudere il portello dietro di sé. Il m inuscolo cubicolo era gran de appena quan to bastava per contenere un uom o e una tuta spaziale. Accan to al soffitto si trovava una bombola ad alta pression e verniciata di verde vivido, con l’indicazione OSSIGENO DI RISERVA. Bowm an afferrò la corta leva applicata alla valvola, e con gli ultim i residui delle sue forze l’abbassò. Il torrente benedetto di ossigeno fresco e puro si riversò nei suoi polm oni. Per un lungo m omento rimase in piedi boccheggiante, m entre la pressione nello stanzino grande com e un arm adio a muro aum entava, facendosi sentire tutto in torno a lui. Non appena riuscì a respirare norm alm ente, chiuse la valvola. La bombola conteneva una quan tità di ossigeno sufficiente appena per due situazioni del genere; avrebbe forse dovuto im piegarla an cora. Una volta cessato il getto di ossigeno, il silenzio tornò a regnare im provviso. Ritto nel cubicolo, Bowman ascoltò attentam ente. Anche il rom bo fuori dal portello non si udiva più; l’astronave era vuota, tutta la sua atm osfera essendo stata risucchiata nello spazio. – 162 – Sotto i suoi piedi, la folle vibrazione del tam buro ruotante era cessata a sua volta; gli scuotim enti aerodin am ici non si sentivano più e il tamburo ruotava adesso silenziosam ente nel vuoto. Bowm an accostò l’orecchio alla parete del cubicolo, cercan do di percepire altri rum ori significativi attraverso le strutture m etalliche della nave spaziale. Non sapeva che cosa aspettarsi, m a era disposto a credere quasi a ogni cosa, orm ai. Non si sarebbe certo m eravigliato sentendo la debole vibrazione ad alta frequenza dei propulsori, m entre la Discovery cambiava rotta; ma regnava soltanto il silenzio. Sarebbe riuscito a sopravvivere lì, se lo avesse voluto, per circa un ’ora… an che senza la tuta spaziale. Sembrava un peccato sciupare l’ossigeno inutilizzato nel piccolo locale, m a l’attesa non aveva alcun o scopo. Egli aveva già deciso che cosa bisognava fare; quanto più a lun go avesse rinviato, tanto più il com pito sarebbe potuto essere difficile. Dopo essersi in filato nella tuta e averne controllato l’integrità, lasciò sfuggire fuori dal cubicolo l’ossigeno residuo, uguaglian do la pressione a entram bi i lati del portello. Esso si aprì facilm ente nel vuoto e Bowm an uscì sul tamburo ruotante orm ai silenzioso. Soltanto la spinta im mutata della sua spuria gravità lasciava capire che stava ancora ruotan do. Era una fortuna, pensò Bowm an, che non avesse com in ciato a girare più in fretta; m a per il m om ento ciò costituiva il m inore dei suoi crucci. Le lam pade d’em ergenza continuavano a essere accese; egli era guidato inoltre dalla lam pada in corporata nella tuta. Illuminò il corridoio curvo, m entre lo ripercorreva tornando verso l’hibernaculum e verso ciò che paventava di trovarvi. Guardò dapprim a Whitehead; un’occhiata bastò. Gli era sem brato che un ibernato non tradisse alcun segno di vita, ma ora capì di aver sbagliato. Sebbene fosse im possibile definirla, esisteva una differenza tra l’ibernazione e la m orte. Le spie rosse e le tracce non più m odulate sull’in dicatore bio-sensorio non fecero che conferm are quanto aveva già supposto. – 163 – La situazion e era identica nel caso di Kamin ski e di Hun ter. Non li aveva m ai conosciuti m olto bene; non avrebbe potuto conoscerli m ai più, ormai. Si trovava solo su un’astronave senz’aria, in parte in governabile, le cui comunicazioni con la Terra eran o state com pletam ente interrotte. Non esisteva un altro essere um ano entro un raggio di ottocento milioni di chilom etri. Eppure, in un altro senso m olto reale, non rim aneva solo. Prim a di potersi sentire al sicuro, doveva essere an cora più solo. Prim a di allora non era mai passato in assenza di peso attraverso il m ozzo del tamburo ruotante indossando una tuta spaziale; lo spazio era minim o e si trattava di un’im presa difficile e spossante. Tanto per peggiorare la situazione, il passaggio circolare era in gom bro di m ateriale rim astovi dopo la breve violenza del vortice che aveva svuotato l’astronave della sua atm osfera. A un certo m om ento, la luce della lam pada di Bowman cadde su una laida m acchia lasciata da un fluido rosso e vischioso che aveva im brattato un o dei pannelli. Per qualche m om ento fu assalito dalla nausea, ma poi scorse i fram m enti di un contenitore di plastica e si rese conto che si trattava soltanto di qualche sostanza alim entare, probabilm ente m arm ellata, che il vortice aveva strappato da uno degli armadi. La sostanza form ò oscenam ente bolle nel vuoto, m entre lui passava in m ezzo galleggiando. Adesso era fuori dal tam buro, che ruotava adagio, e stava avanzando nel ponte di controllo. Si afferro a una sezione di scala a pioli e in comin ciò a spostarsi su di essa, una m ano dopo l’altra, con il vivido disco luminoso proiettato dalla lam pada della tuta sussultante din anzi a lui. Bowm an era stato di rado in quella parte dell’astronave; non aveva m ai avuto nulla da fare, lì… prim a d’ora. Venne a trovarsi di fronte a un piccolo portello ellittico sul quale figuravano avvertim enti com e: «INGRESSO VIETATO A TUTTO IL PERSONALE NON AUTORIZZATO», «Vi È STATO RILASCIATO IL CERTIFICATO H-19?» e «LOCALE – 164 – ULTRAPURIFICATO. È OBBLIGATORIO INDOSSARE TUTE ASPIRANTI». Sebbene il portello non fosse chiuso a chiave, vi erano stati applicati tre sigilli, ognuno con il sim bolo di una diversa autorità, com preso quello dello stesso Consiglio Nazionale dell’Astronautica. Ma anche se avesse visto il Gran Sigillo del Presidente, Bowm an non avrebbe esitato a spezzarlo. Era stato lì solo una volta, quando an cora fervevano i lavori di sistemazion e degli im pian ti. Aveva com pletam ente dim enticato che esisteva una lente visiva di entrata collegata al calcolatore, che scrutava il piccolo locale alquanto simile, con le sue file e colonne ordinatam ente disposte di unità logiche a stato solido, alla cam era blindata di una ban ca. Si rese conto all’istan te che l’occhio aveva reagito alla sua presenza; udì il sibilo di un’onda portante, m entre la trasmittente locale dell’astronave veniva accesa; poi, attraverso l’altoparlan te della tuta, gli giunse una voce familiare. «Sembra che sia accaduto qualcosa al sistem a di m antenim ento della vita, Dave.» Bowm an non prestò ascolto. Stava studiando attentam ente le piccole targhette sulle un ità logiche, e controllava il proprio pian o d’azione. «Ciao, Dave», disse Hal a questo pun to. «Hai individuato il guasto?» Sarebbe stata un ’operazione m olto delicata; non si trattava sem plicem ente di togliere l’energia a Hal, l’ovvio rim edio se avesse avuto a che fare con un sem plice calcolatore in conscio della propria esistenza sulla Terra. Nel caso di Hal, per giunta, v’eran o sei im pian ti di energia indipendenti e separati, con una alim entazion e finale consistente in un elem ento isotopo nucleare scherm ato e corazzato. No… non poteva sem plicem ente «togliere la spina»; e, anche se ciò fosse stato possibile, avrebbe avuto conseguenze disastrose. Hal era infatti il sistema nervoso dell’astronave; senza il suo controllo, la Discovery sarebbe stata un cadavere m eccanico. L’un ica soluzione consisteva nell’isolate i centri superiori di quel – 165 – cervello m alato m a brillante, e nel lasciare che i sistemi di regolazione puram ente autom atici continuassero a funzionare. Bowm an non stava facendo questo tentativo alla cieca, in quanto il problem a era stato preso in esam e durante il suo addestram ento, sebbene nessuno avesse m ai potuto sognarsi che si sarebbe effettivam ente presentato nella realtà. Sapeva di esporsi a un pericolo trem endo; se avesse provocato uno spasm o riflesso, tutto sarebbe finito in pochi secondi. «Credo che vi sia stato un guasto nei portelli della rim essa delle capsule», disse Hal nel tono di un ’am ena conversazione. «Per fortuna non sei rim asto ucciso.» Ci siam o, pensò Bowman . Non avrei m ai imm aginato che sarei diventato un chirurgo del cervello dilettante… eseguendo una lobotom ia di là dall’orbita di Giove. Liberò la sbarra di chiusura sulla sezione con la targhetta REAZIONE CONOSCITIVA ed estrasse il prim o blocco di m em oria. Il circuito tridim ensionale m irabilm ente com plesso, che trovava facilm ente posto nella m ano di un uom o e ciò nonostan te conteneva m ilioni di elem enti, galleggiò via attraverso il locale. «Ehi, Dave», soggiunse Hal. «Che cosa stai facendo?» Chissà se può sentire il dolore? si dom an dò Bowm an fuggevolm ente. Con ogni probabilità no, si disse; non vi sono organi di senso nella corteccia del cervello um ano, in fin dei conti. Il cervello um an o può essere operato senza an estetici. Incom inciò a estrarre, a uno a un o, i piccoli elem enti dal pannello con l’indicazione POTENZIAMENTO DELL’IO. Ogni blocco continuava a sollevarsi e ad an dare alla deriva, non appena abbandonato dalla man o di lui, fin ché urtava contro la parete e rim balzava. Ben presto vi furono parecchi elem enti che an davano avan ti e indietro nel locale. «Sentì un po’ , Dave», disse Hal. «Vi sono anni di esperienze in corporati in m e. Una quantità insostituibile di fatiche ha fatto sì che io diventassi quel che sono.» Una dozzina di elem enti erano già stati estratti, eppure, grazie alla multipla ridondanza della sua struttura (un ’altra carat- – 166 – teristica, Bowman lo sapeva, copiata dal cervello um ano) il calcolatore continuava a funzionare. Passò al pannello dell’AUTOINTELLEZIONE. «Dave», disse Hal, «non capisco perché tu m i stia facendo questo… Ho il più grande entusiasm o per la m issione… Stai distruggendo la m ia m ente… Diventerò in fantile… Diventerò nulla…» È più difficile di quan to m i fossi aspettato, pensò Bowm an. Sto distruggendo la sola creatura cosciente nel mio universo. Ma devo farlo, se voglio riprendere il controllo dell’astronave. «Sono un calcolatore Hal 90 0 0 , esem plare num ero tre. Sono diventato operativo nelle fabbriche Hal di Urbana, Illin ois, il 2 gennaio 1997. La fulm inea volpe bruna salta addosso al pigro cane. In Spagna piove prin cipalmente sulle pianure. Dave… sei an cora lì? Lo sapevi che la radice quadrata di 10 è 3 virgola 162277660 168379? Il logaritm o di base e di 10 è zero virgola 43429448190 3252… rettifico, questo è il logaritm o in base 10 di e… Il reciproco di tre zero virgola 17 volte 3… due volte due fa… due volte due fa… approssimativam ente 4 virgola 10 10 10 10 10 10 10 10 … il m io prim o istruttore fu il dottor Chandra. Mi insegnò una canzone che fa così: “Centocinquanta, la gallina canta, lasciala cantare, la voglio m aritare”.» La voce si in terruppe così bruscam ente che Bowm an si im m obilizzò per un m om ento, le dita strette in torno a un blocco di m em oria tuttora in circuito. Poi, inaspettatam ente, Hal parlò di nuovo. Il ritm o del discorso era m olto più lento, e le parole avevan o un ’in tonazione m orta e m eccanica; Bowm an non sarebbe mai riuscito a riconoscere chi fosse a pronunciarle. «Buon… giorno… dottor… Chandra… Qui… Hal… sono… pronto… oggi… per… la… prim a… lezione…» Bowm an non poté più resistere. Strappò l’ultim o elem ento e Hal tacque per sem pre. – 167 – SOLO Com e un giocattolo m inuscolo e com plicato, la nave spaziale galleggiava inerte e im m obile nel vuoto. Sarebbe stato im possibile capire che si trattava dell’oggetto più veloce del sistem a solare e che si spostava molto più rapidam ente di un o qualsiasi dei pianeti m entre ruotavan o in torno al Sole. E nulla indicava che portasse vita entro di sé; all’opposto, an zi. Qualsiasi osservatore avrebbe notato due indizi minacciosi: i portelli della cam era di equilibrio eran o entram bi spalancati… e l’astronave continuava a essere circondata da una rada nube di fram m enti che andava disperdendosi adagio. Sparsi in un volum e di spazio che già si estendeva per chilom etri, si vedevano pezzi di carta, lam ierini m etallici, fram m enti irriconoscibili… e, qua e là, nuvole di cristalli che scin tillavano com e gioielli nella luce del sole rem oto, là ove del liquido era stato risucchiato dalla nave spaziale e congelato all’istante. Tutto ciò costituiva la conseguenza inequivocabile di un disastro, com e i relitti che affiorano alla superficie dell’oceano, là ove qualche grande nave è colata a picco. Ma nell’ocean o dello spazio nessuna astronave poteva m ai affondare; an che se veniva distrutta, i suoi rottam i continuavan o a seguire in eterno l’orbita originaria. Ciò non ostante la nave spaziale non era com pletam ente m orta, poiché continuava a esservi energia a bordo. Un fioco bagliore azzurrognolo traspariva attraverso i fin estrini di osservazion e e baluginava all’in terno della camera d’equilibrio aperta. Ove vi era luce, poteva ancora esservi vita. E ora, infine, vi fu m ovim ento. Om bre si spostavano nel bagliore azzurrognolo all’interno della cam era d’equilibrio. Qualcosa em ergeva nello spazio. Era un oggetto cilindrico, coperto di stoffa avvolta alla m eglio in torno a esso. Un attimo dopo fu seguito da un altro oggetto… e poi an cora da un terzo. Tutti erano stati espulsi con una velocità – 168 – considerevole; pochi m inuti dopo, si trovavano a centinaia di m etri di distanza. Trascorse m ezz’ora. Poi qualcosa di m olto più grande uscì attraverso il portello della cam era di equilibrio. Una delle capsule si stava spostando m olto adagio nello spazio. Con somm a cautela azionò il getto m uovendosi intorno all’astronave, e andò ad ancorarsi accan to alla base del sostegno dell’an tenna. Una sagom a in tuta spaziale ne uscì, lavorò per alcuni minuti al sostegno, poi rientrò nella capsula. Dopo qualche m om ento la capsula tornò in dietro fino alla cam era di equilibrio; rim ase sospesa per qualche tempo all’esterno dell’apertura, com e se trovasse difficile rientrare senza la cooperazione avuta in passato. Ma infine, dopo un o o due lievi urti, riuscì a inserirsi nel varco. Non accadde altro per oltre un’ora; i tre sinistri oggetti cilindrici eran o scomparsi già da un pezzo, allontanandosi in fila, un o dietro l’altro, dall’astronave. Poi i portelli della cam era di equilibrio si chiusero, si aprirono e tornarono a chiudersi. Poco dopo, il fioco bagliore azzurrognolo delle lam pade di em ergenza si spense… per essere sostituito subito da un bagliore di gran lun ga più vivido. La Discovery stava tornando alla vita. Di lì a non m olto vi fu un indizio an cor più prom ettente. Il gran de riflettere parabolico dell’an tenna, che per ore aveva fissato inutilm ente Saturno, in cominciò di nuovo a m uoversi. Si girò nella direzione della parte posteriore della nave spaziale, orientato verso i serbatoi di propellente e le centinaia di m etri quadrati delle pinne di irradiazione. Alzò la faccia com e un girasole, cercando il Sole. All’interno della Discovery , David Bowm an centrò attentam ente il reticolo che allin eava l’antenna con la Terra gibbosa. Senza il controllo autom atico, era costretto a regolare continuam ente il fascio… ma esso sarebbe dovuto rim anere orientato per m olti m inuti di seguito. Non v’erano adesso im pulsi contrastanti che lo scostassero dal bersaglio. – 169 – Incom inciò a parlare con la Terra. Sarebbe trascorsa più di un ’ora prim a che le sue parole vi giungessero e il Controllo Mission e apprendesse quan to era accaduto. Occorrevano due ore prim a che una risposta qualsiasi potesse arrivargli. Ed era difficile imm aginare quale risposta avrebbe potuto trasm ettergli la Terra, se non un: «Arrivederci», pieno di tatto e com prensivo. I L SE GR E TO Heywood Floyd aveva l’aspetto di chi ha dorm ito pochissim o, e la sua faccia era corrugata dalla preoccupazione. Ma quale che fosse il suo stato d’anim o, la voce di lui suonò ferm a e rassicurante; stava facendo tutto il possibile per ispirare fiducia all’uom o solo al lato opposto del sistem a solare. «In prim o luogo, dottor Bowm an», incom inciò, «dobbiam o congratularci con lei per il m odo con il quale ha risolto questa situazion e estrem am ente difficile. Si è com portato esattam ente com e doveva, affrontando un ’em ergenza senza precedenti e im prevista. «Riteniam o di conoscere la causa del guasto del vostro Hal 90 0 0 , m a ne parlerem o dopo, in quanto non si tratta più di un problem a critico. La sola cosa che ci prem e in questo m om ento è darle ogni possibile assistenza, affinché possa essere in grado di portare a term ine la m issione. «Ed ora devo dirle quale ne è il vero scopo, che, con enorm i difficoltà, siam o riusciti a nascondere al gran de pubblico. Lei sarebbe stato in form ato di ogni cosa nel m om ento dell’avvicinam ento a Saturno; questo è un rapido com pendio, per m etterla al corrente. Nastri con le in formazioni com plete le saranno trasm essi nelle prossim e ore. Tutto ciò che sto per dirle è della m assima segretezza. – 170 – «Due anni fa, scoprim m o la prim a prova della esistenza di una vita intelligente fuori dalla Terra. Un a lastra, o m onolito, di m ateriale durissim o e nero, alta tre m etri, fu rinvenuta sepolta nel cratere Tycho. Eccola.» Vedendo per la prima volta il AMT-1, con le sagom e in tute spaziali raggruppate in torno a esso, Bowm an si sporse in avanti verso lo scherm o, a bocca aperta per lo stupore. Nell’entusiasm o di una sim ile rivelazione, una cosa che, com e ogni uom o interessato allo spazio, si era quasi aspettato per tutta la vita, fu sul pun to di dim enticare la propria situazione disperata. Lo stupore venne seguito rapidam ente da un altro stato d’an im o. Era fan tastico… m a com e c’entrava lui? La risposta all’interrogativo poteva essere una sola. Tenn e sotto controllo l’im peto dei pensieri, m entre Heywood Floyd riappariva sullo scherm o. «La caratteristica più stupefacente di questo oggetto è la sua an tichità. Prove geologiche dim ostran o senza om bra di dubbio che risale a tre m ilioni di anni fa. Fu posto sulla Luna, pertan to, quando i n ostri an tenati eran o uom ini-scim m ia primitivi. «Dopo tanti m illenni, era logico presum ere che fosse in erte. Invece, subito dopo l’alba lunare, em ise un fascio di onde radio estrem am ente potente. Riteniam o che questa energia fosse un m ero sottoprodotto, il risucchio, per così dire, di qualche form a sconosciuta di radiazioni, perché, nello stesso m om ento, num erose delle nostre sonde spaziali captarono disturbi in consueti che attraversavan o il sistem a solare. Riuscim m o a determ in arne la direzione con estrem a esattezza. Puntavano direttam ente su Saturno. «Traendo le somm e dopo l’evento, decidem m o che il m onolito era una sorta di apparato di segnalazione azionato, o per lo m eno innescato, dall’energia solare. Il fatto che avesse em esso l’im pulso im m ediatam ente dopo il sorgere del sole, essendo stato esposto alla luce del giorno per la prim a volta dopo tre m ilioni di anni, difficilm ente poteva essere un a coincidenza. «Eppure l’oggetto era stato deliberatam ente sepolto… al riguardo non sussistono dubbi. Gli esseri sconosciuti avevano – 171 – fatto un o scavo della profondità di sei m etri, il m onolito era stato collocato in fondo a esso, dopodiché la fossa era stata accuratam ente riem pita. «Lei potrà doman darsi com e scoprim m o l’oggetto, in prim o luogo. Be’, era facile, sospettosamente facile, a trovarsi. Generava un potente cam po m agnetico e fece spicco non appena incom in ciamm o a eseguire ricognizioni orbitali a bassa quota. «Ma perché seppellire un apparato azionato dall’energia solare a sei m etri di profondità sotto il livello del suolo? Abbiam o esam inato decine di teorie, pur rendendoci conto che può essere com pletam ente im possibile capire i m oventi di creature più avanti di noi di tre m ilioni di anni. «La teoria che noi prediligiam o è la più sem plice e la più logica. Ed è an che la più preoccupante. «Si cela nell’ombra un congegno azionato dall’energia solare… soltanto se si vuole sapere quando viene portato alla luce. In altri term ini, il monolito può essere una sorta di segnale d’allarm e. E noi abbiam o azionato il segnale. «Non sappiam o se la civiltà che lo collocò esiste an cora. Dobbiam o presum ere che creature i cui ritrovati continuano a funzionare dopo tre m ilioni di anni siano in grado di creare un a società altrettan to duratura. E dobbiam o an che presum ere, finché le prove non dim ostreranno il contrario, che possano essere ostili. Si è sostenuto spesso che una società progredita deve essere benevola, m a noi non possiam o esporci a rischi. «Per di più, com e la storia del nostro stesso m ondo ha dim ostrato tante volte, le razze primitive spesso non sono riuscite a sopravvivere all’incontro con civiltà superiori. Gli an tropologi parlan o di “choc culturale”; potrem o essere costretti a preparare l’intero genere um ano a un sim ile choc. Ma fino a quan do non saprem o qualcosa delle creature che visitarono la Luna, e presumibilm ente anche la Terra, tre m ilioni d’anni fa, non potrem o m ai comin ciare a fare alcun preparativo. «La sua mission e, pertan to, è assai più di un viaggio di scoperta. È un ’esplorazione… una ricognizione di territori ign oti e potenzialm ente pericolosi. Il gruppo agli ordini del dottor Ka- – 172 – m inski era stato specificam ente addestrato per questo genere di lavoro; ora lei dovrà cavarsela da solo… «In ultim o… il suo specifico obiettivo. Sembra incredibile che form e di vita progredite possano esistere su Saturno, o possano m ai essersi evolute su una qualsiasi delle sue lun e. Avevam o progettato di esplorare l’intero sistema, e speriam o an cora che lei possa attuare un program m a sem plificato. Ma per il m om ento dovrem o forse concentrarci sull’ottavo satellite… Giapeto. Quando giun gerà il m om ento della man ovra term inale, deciderem o se lei dovrà avere il rendez-vous con questo straordin ario oggetto celeste. «Giapeto è unico nel sistem a solare… lei lo sa già, naturalm ente, m a, com e tutti gli astronom i degli ultimi trecento an ni, probabilm ente vi avrà pensato ben poco. Mi consenta quindi di ricordarle che Cassini, il quale scoprì Giapeto nel 1671, osservò altresì che esso era sei volte più lum inoso su un lato della propria orbita che sull’altro. «È questa una differenza straordinaria, e nessun o ha m ai saputo darne una spiegazione soddisfacente. Giapeto è così piccolo, ha un diam etro di circa m illetrecento chilom etri, che an che nei telescopi lunari si riesce a malapena a scorgerne il disco. Sem bra però che su uno degli em isferi esista un pun to brillante e curiosam ente sim m etrico, il quale potrebbe avere qualche rapporto con il AMT-1. Io penso a volte che Giapeto abbia lam peggiato verso di noi com e un eliografo cosmico per trecento anni, e che noi siam o stati troppo stupidi per capirne il m essaggio… «Sicché ora lei conosce il suo vero obiettivo, e può rendersi conto dell’im portanza vitale di questa mission e. Ci auguriam o tutti che possa ancora fornirci alcuni dati per un annun cio prelim inare; il segreto non può essere m an tenuto all’infinito. «Per il m om ento non sappiam o se sperare o temere. Non sappiam o se, sulle lun e di Saturno, lei troverà il bene o il male… oppure soltanto rovine m ille volte più antiche di Troia.» – 173 – CAP I TOLO QU I N TO LE LU N E D I SATU R N O SOP R AVVI VE N ZA Il lavoro è il rim edio più efficace dopo qualsiasi spavento, e Bowm an aveva ora lavoro a sufficienza per tutti i suoi com pagni di viaggio perduti. Il più rapidamente possibile, in comin ciando dagli im pianti vitali senza i quali lui e l’astronave sarebbero periti, doveva rendere di nuovo la Discovery com pletam ente operativa. Il m an tenim ento della vita aveva la precedenza assoluta. Molto ossigeno era andato perduto, m a le riserve continuavano a essere sufficienti per un solo uom o. La regolazione della pression e della temperatura era quasi com pletam ente automatica, e soltanto di rado si presentava la necessità dell’in tervento di Hal. Gli apparecchi di controllo a Terra potevano ora svolgere m olti dei com piti più im portanti del calcolatore ucciso, nonostante l’inevitabile ritardo prim a che potessero reagire a nuove situazioni. Ogni inconveniente negli impian ti di m antenim ento della vita, tranne un grave squarcio nelle pareti esterne dell’astronave, avrebbe im piegato ore per rendersi m anifesto, e vi sarebbe stato un lun go preavviso. I generatori elettrici e i sistem i di navigazion e e di propulsione dell’astronave eran o intatti… e degli ultimi due, in ogni caso, Bowm an non avrebbe avuto bisogno ancora per m esi, fino a – 174 – quando non fosse giunto il m omento del rendez-vous con Saturno. Anche da grande distanza, senza l’ausilio di un calcolatore a bordo, la Terra avrebbe ancora potuto dirigere questa operazione. Le rettifiche finali dell’orbita sarebbero state alquanto tediose, a causa della costante necessità di controlli, ma questa non poteva essere considerata una difficoltà grave. Il com pito di gran lunga peggiore era consistito nel vuotare le bare che ruotavano entro il tamburo. Fortunatam ente, pensava Bowm an con gratitudine, i com ponenti della squadra di ricognizione eran o stati suoi colleghi, ma non intim i amici. Si eran o addestrati in siem e soltanto per alcune settiman e; rievocan do la cosa, adesso, egli si rendeva conto che an che questa aveva costituito in vasta misura una prova di com patibilità. Dopo aver finalm ente chiuso gli hibernaculum vuoti, si sentì alquanto simile a un predone di tom be egizie. Ora Kaminski, Whitehead e Hunter avrebbero raggiunto tutti Saturno prim a di lui… ma non prima di Frank Poole. Chissà perché, egli traeva un a strana e bieca soddisfazione da questa certezza. Non tentò di accertare se il resto dell’im pianto di ibernazion e funzionasse an cora a dovere. Anche se, in ultim o, la sua vita sarebbe potuta dipendere da esso, era questo un problem a che poteva aspettare fin o a quando l’astronave non fosse entrata nella sua orbita finale. Prim a di allora sarebbero potute accadere m olte cose. Era addirittura possibile, sebbene non avesse ancora esaminato attentam ente la situazione delle provviste, che con un severo razion am ento egli potesse restare in vita, senza ricorrere all’ibernazion e, fino all’arrivo dei soccorsi. Ma se sarebbe riuscito a sopravvivere psicologicam ente, oltre che fisicam ente, era tutta un ’altra questione. Cercò di evitare di pensare a questi problem i a lunga scadenza e di concentrarsi sulle cose im m ediate ed essenziali. Pian pian o, ripulì l’astronave, si accertò che gli im pian ti di bordo continuassero a funzionare senza in convenienti, esamin ò le difficoltà tecniche con la Terra e si lim itò a un m inim o di ore di – 175 – sonno. Soltan to a intervalli, durante le prim e settim ane, riuscì a riflettere a lun go sul gran de m istero verso il quale stava ora correndo in esorabilm ente… sebbene esso non fosse m ai lontano dai suoi pensieri. Infine, m entre la nave spaziale si riadagiava una volta di più, lentam ente, in una routine automatica, che però richiedeva pur sem pre la sua costante sorveglianza, Bowm an ebbe il tempo di studiare le informazioni e i rapporti in viatigli dalla Terra. Più e più volte ascoltò le registrazioni eseguite quando il AMT-1 aveva salutato l’alba per la prim a volta dopo tre m ilioni di anni. Osservò le sagom e con le tute spaziali m uoversi in torno al m onolito, e quasi sorrise del loro ridicolo panico allorché esso aveva lanciato il proprio segnale alle stelle, paralizzando le radio con la pura potenza della sua voce elettronica. A partire da quel m om ento, la nera lastra era rimasta in erte. L’avevan o riseppellita; poi, con cautela, esposta nuovam ente al Sole… senza che vi fosse alcuna reazione. Non era stato fatto alcun tentativo di tagliarla, in parte per ragioni di cautela scientifica, m a anche per il tim ore delle possibili conseguenze. Il cam po m agnetico che aveva portato alla scoperta del m onolito era svanito nel m om ento stesso di quell’urlo radiofon ico. Forse, stando alle teorie di alcuni esperti, esso era stato generato da un ’enorm e corrente circolante, che scorreva in un superconduttore e aveva così conservato la propria energia nel corso dei m illenni e delle ere, fino al m om ento in cui si era resa necessaria. Che il m onolito contenesse qualche sorgente interna di energia sembrava certo; l’energia da esso assorbita duran te la breve esposizione ai raggi solari non poteva spiegare la potenza del segnale. Una caratteristica del m onolito, curiosa, m a forse del tutto priva di im portanza, aveva dato luogo a innum erevoli controversie. Il m onolito era alto 3,34 metri, largo un m etro e m ezzo, spesso trentotto centim etri. Quando le sue dim ensioni eran o state m isurate con la massim a precisione, si era constatato che avevan o l’esatto rapporto di 1 a 4 a 9, i quadrati dei primi tre num eri interi. Nessuno era stato in grado di proporre un a spie- – 176 – gazione plausibile di tale particolarità, ma difficilm ente poteva trattarsi di una coin cidenza, perché le proporzioni avevano resistito fino al limite delle più precise m isurazioni. Era umiliante pensare che tutta la tecnologia della Terra non riusciva a foggiare nem m eno un blocco inerte, di qualsiasi materiale, con una precisione così fan tastica. A suo m odo, questo sfoggio passivo eppure arrogante di perfezione geometrica era im pressionante quanto tutti gli altri attributi del AMT-1. Bowm an ascoltò in oltre, con un interessam ento stranam ente distaccato, le tardive scuse del Controllo Missione per il proprio pian o. Le voci provenienti dalla Terra sem bravano avere un ’in tonazione difensiva; poteva im m aginare le recrim inazioni che dovevano infuriare in quel m om ento tra coloro che avevano progettato la spedizione. Essi disponevano di alcuni validi argom enti, naturalm ente, com presi i risultati di un o studio segreto del Dipartim ento della Difesa, il Progetto BARSOOM, eseguito dalla Harvard School of Psychology nel 1989. Nel corso di questo esperim ento di sociologia controllata, a vari cam pioni statistici della popolazione era stato assicurato che il genere umano aveva stabilito contatti con esseri extraterrestri. Molti dei soggetti sottoposti all’esperim ento, con l’ausilio di farm aci, dell’ipnosi e di effetti visivi, avevan o l’im pression e di essersi effettivam ente in contrati con creature provenienti da altri pianeti, per cui le loro reazioni potevano essere considerate autentiche. Alcun e di queste reazioni erano state violentissim e; esisteva, a quanto sembrava, un substrato profondo di xenofobia in num erosi esseri umani sotto ogni altro aspetto normali. Tenuto conto dei precedenti dell’um anità in fatto di linciaggi, pogrom e an aloghe piacevolezze, la cosa non avrebbe dovuto stupire nessuno; ciò nonostante, gli ideatori dello studio eran o rim asti profondam ente turbati, e i risultati non erano stati m ai resi pubblici. Le cinque diverse ondate di panico causate nel ventesim o secolo dalle trasm issioni radiofoniche della Guerra dei m ondi di H.G. Wells avvaloravano anch’esse le conclusioni dello studio… – 177 – Nonostante questi argom enti, Bowm an si dom andava a volte se il pericolo dello choc culturale fosse la sola giustificazione dell’estrem a segretezza della m issione. Alcune allusioni durante le sue conversazioni con il Controllo Missione lasciavano capire che il blocco Stati Uniti-URSS sperava di avvantaggiarsi a essere il prim o a stabilire contatti con esseri extraterrestri in telligenti. Dall’attuale punto di vista di Bowm an , che vedeva la Terra com e una fioca stella quasi perduta nel bagliore solare, considerazioni del genere sem bravan o parrocchiali fino al ridicolo. Si interessava assai di più, an che se a questo proposito m olta acqua era orm ai passata sotto i ponti, alla teoria suggerita per spiegare il com portam ento di Hal. Nessuno sarebbe m ai potuto essere certo della verità, m a il fatto che un o dei 90 0 0 del Controllo Missione fosse stato travolto da un ’identica psicosi, e venisse ora assoggettato a una terapia, lasciava capire che la spiegazione era giusta. Lo stesso errore non sarebbe più stato com m esso; e il fatto che i costruttori di Hal non fossero riusciti a capire appieno la psicologia della loro stessa creazione dimostrava quan to sarebbe potuto essere difficile stabilire comunicazioni con esseri realm ente diversi. Bowm an non stentava a credere alla teoria del dottor Sim onson, secondo il quale un in conscio senso di colpa, causato dai conflitti del suo programm a, aveva indotto Hal a tentar di interrom pere il collegam ento con la Terra. E am ava credere, sebbene an che questo non potesse m ai essere dim ostrato, che Hal non aveva avuto alcuna intenzione di uccidere Poole. Egli si era limitato a tentar di distruggere la prova; poiché non appena fosse risultato che l’elem ento AE-35, giudicato difettoso, funzionava regolarm ente, la sua m enzogna sarebbe stata rivelata. In quel m om ento, com e ogni goffo criminale im pigliato in una rete sem pre più fitta di inganni, egli si era lasciato prendere dal panico. E il panico era una cosa che Bowman capiva m eglio di quanto avrebbe voluto, in quanto lo aveva conosciuto due volte in vita sua. La prim a volta da ragazzo, quando un cavallone lo aveva travolto e per poco non era affogato; la seconda volta com e uo- – 178 – m o spaziale in allenam ento, quando un in dicatore difettoso lo aveva persuaso che la sua riserva di ossigeno si sarebbe esaurita prim a di consentirgli di m ettersi al sicuro. En trambe le volte, egli aveva quasi perduto il controllo di tutti i suoi processi logici superiori; ed era stato lì lì per diventare un fascio frenetico di im pulsi casuali, En tram be le volte era riuscito a vincersi, m a sapeva abbastan za bene che ogni uom o, in determ in ate circostanze, poteva essere reso disum ano dal panico. Se questo poteva accadere a un uom o, poteva accadere an che ad Hal; e, con tale certezza, l’odio e la sensazione di tradim ento che il calcolatore gli ispirava in com in ciarono a dileguarsi. Tutto ciò, in ogni m odo, apparteneva a un passato che era stato lasciato com pletam ente in ombra dalla m in accia, e dalla prom essa, dell’ign oto futuro. A P R OP OSI TO D E LLE CR E ATU R E E XTR A - TE R R E STR I A parte i pasti frettolosi nel tamburo ruotante (per fortuna i distributori principali del cibo non eran o stati danneggiati) Bowm an viveva in pratica sul ponte di controllo. Faceva brevi pisolin i sul sedile e poteva così individuare ogni in conveniente non appena i primi in dizi apparivan o sugli scherm i in dicatori. Attenendosi alle istruzioni im partitegli dal Controllo Missione, aveva im provvisato num erosi sistemi di em ergenza che funzionavano tollerabilm ente bene. Sembrava addirittura possibile che riuscisse a sopravvivere fino all’arrivo della Discovery a Saturno… una m èta, che, naturalm ente, l’astronave avrebbe raggiun to con lui vivo o m orto a bordo. Sebbene avesse poco tempo per le osservazioni celesti e il firm am ento dello spazio non costituisse per lui una novità, la – 179 – consapevolezza di quanto si trovava laggiù, di là dai fin estrini, faceva sì che gli riuscisse difficile a volte concentrarsi an che sul problem a della sopravvivenza. Direttam ente di fronte a lui, così com e l’astronave era attualm ente orientata, si stendeva la Via Lattea, con le sue nubi di stelle tanto strettam ente stipate da stordire la m ente. Vi eran o le ardenti nebbie del Sagittario, quei brulican ti sciami di soli che in eterno sottraevano agli sguardi um ani il cuore della galassia. V’era la sinistra om bra nera detta «Sacco di carbone», quel foro nello spazio in cui nessuna stella splendeva. E vi era Alfa del Centauro, il più vicin o di tutti i soli estran ei… la prim a tappa oltre il sistem a solare. Sebbene m eno splendente di Sirio e di Can opo, era Alfa del Centauro ad attrarre gli occhi e i pensieri di Bowman ogni volta che egli guardava fuori nello spazio. Poiché quell’im m utabile pun to di luce, i cui raggi avevano im piegato quattro anni per raggiungerlo, aveva finito con il sim boleggiare i dibattiti segreti che in furiavan o in quel m om ento sulla Terra, e i cui echi arrivavano di quan do in quando fino a lui. Nessuno dubitava che dovesse esservi qualche rapporto tra il AMT-1 e il sistem a di Saturno, ma difficilm ente qualsiasi scienziato sarebbe stato disposto ad am m ettere che le creature dalle quali era stato eretto il m onolito avessero avuto laggiù le loro origini. Com e dimora di vita, Saturno era ancor più ostile di Giove, e le sue tante lun e erano congelate da un inverno eterno, con trecento gradi sotto lo zero. Solam ente una di esse, Titan o, possedeva una atm osfera; e si trattava di uno strato sottile di m etan o velenoso. Così, forse, le creature che avevano visitato la luna terrestre un ’infinità di tempo prima erano non soltanto extraterrestri, m a extrasolari… visitatori provenienti dalle stelle, i quali avevano stabilito basi ove più loro conveniva. E ciò poneva subito un altro problem a: poteva m ai una qualsiasi tecnica, per quanto progredita, gettare un ponte sull’abisso spaventoso frapposto tra il sistem a solare e il più vicino sole estran eo? Molti scienziati negavano decisam ente tale possibilità. Facevano rilevare che la Discovery , l’astronave più veloce m ai pro- – 180 – gettata, avrebbe im piegato ventim ila anni per raggiungere Alfa del Centauro… e milioni di anni per percorrere un a distanza apprezzabile nella galassia. Anche se, n el corso dei secoli a venire, i sistem i di propulsion e fossero m igliorati in m odo inconcepibile, in ultim o avrebbero incontrato la barriera insorm ontabile della velocità della luce, che nessun oggetto materiale poteva superare. Per conseguenza, i costruttori del AMT-1 dovevano aver condiviso lo stesso sole dell’uom o; e, non essendo apparsi nei tem pi storici, eran o probabilmente estinti. Una insistente m in oranza si rifiutava di am m etterlo. Anche se occorrevan o secoli per viaggiare da un a stella all’altra, sostenevano coloro che ne facevano parte, questo non poteva rappresentare un ostacolo per esploratori dello spazio sufficientem ente decisi. La tecnica dell’ibernazione, im piegata sulla stessa Discovery , costituiva una possibile soluzione. Un’altra era l’am biente artificiale autosufficiente, im pegnato in viaggi che potevano protrarsi per m olte generazioni. In ogni caso, perché si doveva presum ere che tutte le specie in telligenti avessero una vita breve com e quella dell’uom o? Potevan o esservi nell’universo creature per le quali un viaggio di m ille anni non era niente di più grave di un breve periodo di noia… Questi argom enti, per quanto teorici, concernevano un problem a della m assima im portanza pratica; im plicavan o il concetto del «tem po di reazione». Se il AMT-1 aveva trasm esso un segnale alle stelle, forse con l’ausilio di qualche ulteriore congegno in prossim ità di Saturno, poteva darsi che quel segnale non giungesse a destin azione prim a di alcuni anni. Anche se la reazione fosse stata im m ediata, pertan to, l’um anità avrebbe avuto un periodo di respiro che senz’altro poteva essere m isurato in decenn i… e più probabilm ente in secoli. Per m olte persone, questo era un pensiero rassicurante. Ma non per tutte. Alcuni scienziati, la m aggior parte dei quali frugavano i lidi più selvaggi della fisica teorica, ponevano l’interrogativo preoccupante: «Siam o certi che la velocità della luce sia una barriera invalicabile?» Era vero che la teoria della – 181 – relatività aveva dim ostrato di essere notevolm ente duratura, e di lì a non m olto si sarebbe avvicinata al suo prim o centenario; m a aveva an che com inciato a essere in crin ata da alcune crepe. E an che se non era possibile sfidare Einstein, si poteva eluderlo. Coloro che adottavano questo punto di vista, parlavano con speranza di scorciatoie attraverso altre dim ensioni, di lin ee più diritte della retta, e di conn ettività iperspaziali. Am avano servirsi di una frase espressiva coniata da un m atem atico di Princeton nel secolo precedente: «Tarli nello spazio». Ai critici i quali asserivan o che queste idee eran o troppo fan tastiche, si ricordavano le parole di Niels Bohr: «La vostra teoria è pazzesca… m a non abbastanza pazzesca per essere vera.» Se anche esisteva una disputa tra i fisici, essa non era nulla in confronto a quella tra i biologi, quando discutevano l’annoso problem a: «Che aspetto potrebbero avere creature in telligenti extraterrestri?» Essi si dividevano in due cam pi opposti: l’uno sosteneva che tali creature dovevano essere um anoidi, l’altro era altrettan to persuaso che «esse» non sarebbero state affatto sim ili agli uom ini. Favorevoli alla prim a tesi erano coloro i quali ritenevano che la struttura di due gambe, due braccia e dei prin cipali organi di senso nel punto più alto era così fondam entale e così ragionevole da far sì che fosse difficile im maginarne una m igliore. Naturalm ente, vi sarebbero state differenze trascurabili, com e ad esem pio sei dita invece di cinque, epiderm ide o capelli dai colori bizzarri, e sin golari fattezze del viso, ma gli extraterrestri più in telligenti, indicati di solito con la sigla E.T., sarebbero stati così sim ili all’uom o da non giustificare che si in dugiasse a guardarli due volte con poca luce, o da lontano. Questo m odo di pensare antropom orfico veniva posto in ridicolo da un altro gruppo di biologi, autentici prodotti dell’era spaziale, i quali si sentivano esenti da tutti i pregiudizi del passato. Costoro facevano rilevare che il corpo um ano era il risultato di milioni di scelte evolutive, fatte dal caso nel corso di ere di tempo. In ognuno di questi innumerevoli m om enti di decision e, il dado genetico sarebbe potuto cadere in m odo diverso, e forse – 182 – con risultati m igliori. Il corpo um ano, infatti, era un bizzarro esem pio di im provvisazione, pieno di organi deviati da una fun zione all’altra, non sem pre con m olto successo… e contenente persino organi abbandonati, com e l’appendice, orm ai più nociva che utile. V’eran o altri pensatori, constatò inoltre Bowm an, che sostenevano punti di vista ancora più sin golari. Essi non credevan o che esseri davvero progrediti possedessero un corpo. Prim a o poi, m an man o che le loro conoscenze scientifiche fossero progredite, si sarebbero liberati dalle fragili dim ore, portate alle m alattie e agli in cidenti, date loro dalla natura, che li condannavano a una m orte inevitabile. Avrebbero sostituito i loro organism i, man mano che si logoravano, o forse ancor prim a, con strutture di m etallo o di plastica, riuscendo così a conseguire l’im m ortalità. Il cervello avrebbe potuto essere conservato ancora per qualche tempo com e ultimo residuo dell’organism o, per com an dare le m em bra m eccaniche e osservare l’universo attraverso organi di senso elettronici… di gran lunga più sensibili e sottili di quelli cui la cieca evoluzion e avrebbe m ai potuto dar luogo. Persin o sulla Terra eran o già stati com piuti i prim i passi in questa direzione. Esistevano milioni di uomini, condannati in età giovanile, che ora conducevan o esistenze attive e serene grazie ad arti artificiali e a organi artificiali com e i reni, i polm oni e il cuore. Questo processo poteva avere un a sola conclusion e… per quanto rem ota ancora essa fosse. E in ultim o anche il cervello sarebbe potuto scomparire. In quanto sede della coscienza non era essenziale; i progressi dell’in telligenza elettronica lo avevan o dim ostrato. Il conflitto tra m ente e m acchina poteva essere risolto in fin e con una tregua eterna di sim biosi com pleta… Ma, anche questo, era la m èta ultim a? Alcuni biologi dalle inclin azioni m istiche an davan o ancora più oltre. Sostenevano, attingendo alle credenze di m olte religioni, che la m ente si sarebbe liberata in ultim o della materia. Gli organism i simili a robot, com e quelli fatti di carne e san gue, non sarebbero stati – 183 – altro che un tram polino verso qualcosa cui, già da m olto tempo, gli uomini avevano dato il nom e di «spirito». E se esisteva qualcosa di là da questo, il suo nom e poteva essere soltanto Dio. AM BASCI ATOR E Durante gli ultim i tre m esi, David Bowm an si era adattato così com pletam ente al suo solitario sistem a di vita) che gli riusciva difficile ricordare un ’esistenza diversa. Aveva varcato i confini della disperazione e della speranza e si era abituato a una routine in vasta m isura autom atica, pun teggiata da crisi occasionali man m ano che l’uno o l’altro degli im pian ti della Discovery dava segni di un funzionam ento irregolare. Ma non aveva varcato i confini della curiosità, e a volte il pensiero della m èta alla quale si stava avvicinando lo colm ava di un senso di esaltazione… e an che di un senso di potenza. Non soltanto era il rappresentante dell’in tero genere um ano, m a le sue azioni nelle settim ane successive avrebbero potuto determ inare l’avvenire dell’um anità. Nel corso dell’in tera storia non si era m ai determ in ata una situazione simile a questa. Egli era l’am basciatore straordinario dell’intero genere um ano. Questa consapevolezza lo aiutava in m olti m odi sottili. Si m an teneva lin do e pulito; per quanto si sentisse stan co, non m an cava m ai di radersi. Il Controllo Missione, egli lo sapeva, lo stava tenendo attentamente d’occhio per scoprire i prim i indizi di un com portam ento an ormale; Bowman era deciso a far sì che questa sorveglianza fosse inutile… alm eno per quanto concerneva sintom i realm ente gravi. Si rendeva conto di alcuni m utam enti in tervenuti nelle sue abitudini; sarebbe stato assurdo aspettarsi qualcosa di diverso in circostanze com e quelle. Non riusciva più a sopportare il si– 184 – lenzio; tranne quan do stava dorm endo o parlando con la Terra m ediante il collegam ento radio, faceva funzionare l’im pian to sonoro dell’astronave a un volum e quasi dolorosam ente alto. A tutta prim a, sentendo la necessità della com pagnia di voci um ane, aveva ascoltato le opere teatrali classiche… in particolare i dram m i di Shaw, di Ibsen e di Shakespeare… oppure letture poetiche scelte nell’enorm e nastroteca della Discovery . I problem i cui si riferivano il teatro e la poesia, però, sembravano talm ente rem oti, o risolvibili così facilm ente con un po’ di buon senso, che, dopo qualche tempo, egli se ne spazientì. Pertanto passò all’opera lirica: di solito in italian o o in tedesco, per n on essere distratto neppure da quel m in im o contenuto in tellettuale che poteva esservi nella m aggior parte delle opere. Questa fase si protrasse per due settim ane, dopo le quali Bowm an si rese conto che il suono di tutte quelle voci superbam ente educate poteva soltanto esacerbare la sua solitudine. Ma in ultim o, a porre term in e a questo ciclo, fu la Messa di requiem di Verdi, che egli non aveva m ai ascoltato sulla Terra. Il «Dies Irae», rom bando con sinistra opportun ità nella deserta nave spaziale, lo lasciò com pletam ente sconvolto; e quan do le trombe del Giudizio Universale echeggiarono dai cicli, non poté assolutam ente più resistere. In seguito, ascoltò soltanto musica sinfonica. Incom inciò con i com positori roman tici, ma rinunciò a essi a uno a un o, m an m an o che le loro musiche em otive divenivano troppo opprim enti. Sibelius, Ciajkowski, Berlioz resistettero per alcune settimane, Beethoven alquanto più a lungo. Infine Bowm an trovò la serenità, com ’era accaduto a m olti altri, nelle architetture astratte di Bach, talora ornate da Mozart. E così la Discovery continuò il suo viaggio verso Saturno, il più delle volte pervasa dalla fresca m usica del clavicembalo, i pensieri congelati di un cervello divenuto polvere già da duecento anni. *** – 185 – Anche dall’attuale distanza di sedici m ilioni di chilom etri, Saturno appariva già più gran de della Luna com e la si vede dalla Terra. Ad occhio nudo era uno spettacolo fantastico; veduto al telescopio, sem brava in credibile. La sfera del pian eta sarebbe potuta essere scam biata per Giove in uno dei suoi m om enti più tranquilli. V’eran o le stesse fasce di nubi, an che se più pallide e meno distinte che in quell’altro m ondo un po’ più gran de, e gli stessi turbini vasti com e un contin ente che si spostavano adagio nell’atm osfera. Tuttavia, esisteva una differenza sorprendente tra i due pian eti; anche a prim a vista, appariva ovvio che Saturno non era sferico. Era talm ente appiattito ai poli che a volte dava l’im pressione di una leggera deform ità. Ma la m agnificenza degli an elli continuava a distogliere lo sguardo di Bowm an dal pianeta; per la loro com plessità di particolari e per la delicatezza delle sfumature, eran o un universo di per sé. Oltre al grande varco prin cipale tra gli anelli interni e quelli esterni, esistevano alm eno altre cinquanta suddivisioni o confini, ove si notavano m utam enti ben distin guibili nella lum inosità del gigantesco alone di Saturno. Si sarebbe detto che il pian eta fosse circondato da decine e decine di an elli concentrici, i quali si sfioravano tutti, ed eran o tutti così sottili che avrebbero potuto essere ritagliati nel più im palpabile foglio di carta, il sistem a di anelli faceva pensare a una delicata opera d’arte, a un giocattolo fragile che poteva essere am m irato, m a non toccato. Nonostante ogni sforzo della volon tà, Bowman non riusciva a rendersi conto delle vere dim ensioni di quel sistem a e a convin cersi che l’intero pian eta Terra, qualora si fosse trovato lì, sarebbe sem brato la sferetta di un cuscinetto a sfere che girasse in torno al perim etro di un piatto. A volte un a stella passava dietro gli an elli e perdeva allora soltanto un poco della sua lum inosità. Continuava a splendere attraverso il loro m ateriale traslucido… an che se spesso amm iccava appena quando qualche pezzo più volumin oso dei fram m enti in orbita la eclissava. – 186 – Gli anelli, infatti, com e si sapeva sin dal diciannovesim o secolo, non eran o com patti; questa sarebbe stata un’im possibilità m eccanica. Consistevano di innum erevoli m iriadi di fram m enti: forse i resti di una luna che, dopo essersi avvicinata troppo, era stata fatta a pezzi dall’enorm e forza di attrazion e del pianeta. Com unque, quale che fosse la loro origine, il genere uman o era stato fortunato ad aver veduto una sim ile m eraviglia; essa sarebbe potuta esistere soltanto per un breve m om ento di tempo nella storia del sistem a solare. Sin dal 1945, un astronom o in glese aveva fatto rilevare che gli anelli erano effim eri; stavano agendo forze gravitazionali che ben presto li avrebbero distrutti. Facendo quindi lo stesso ragionam ento all’indietro nel tempo, ne conseguiva che essi erano stati creati soltanto di recente, appena due o tre m ilioni di anni prim a. Ma nessuno si era mai sognato di riflettere su una coincidenza curiosa; gli anelli di Saturno eran o apparsi contem poran eam ente al genere uman o. I L GH I ACCI O I N OR BI TA La Discovery era orm ai penetrata in profondità nel vasto sistem a di lune, e lo stesso gran de pianeta si trovava a m eno di un giorno di distanza. L’astronave aveva varcato orm ai da tempo il confine segnato dalla più esterna Febe, che ruotava in senso retrogrado lun go un ’orbita follemente eccentrica, a dodici m ilioni di chilom etri dal suo pian eta. Davanti all’astronave si trovavano ora Giapeto, Iperione, Titan o, Rea, Dion e, Teti, Encelado, Min ian te e Giano… nonché gli an elli. Tutti i satelliti rivelavano al telescopio un labirin to di particolari superficiali, e Bowm an aveva trasm esso alla Terra tutte le fotografie che era riuscito a scattare. Il solo Titan o, che, con un diam etro di quattro– 187 – m ila ottocento chilom etri era grande quanto il pianeta Mercurio, avrebbe tenuto im pegnato per m esi un gruppo di ricognizione; Bowman poté rivolgere a esso, e a tutti i suoi com pagni, soltanto il più fuggevole degli sguardi. Non occorreva niente di più; egli era già assolutam ente certo che Giapeto fosse effettivam ente la sua m èta. Tutti gli altri satelliti eran o butterati da alcuni crateri di m eteoriti, sebbene questi ultimi fossero di gran lun ga m eno num erosi che su Marte, e vi si vedevano disposizioni in apparenza casuali di ombre e di luci, nonché, qua e là, alcuni punti luminosi, consistenti, con ogni probabilità, di an im assi di gas gelato. Il solo Giapeto possedeva una geografia ben distin ta, e una geografia, in vero, assai strana. Un em isfero del satellite che, al pari dei suoi com pagni, voltava sem pre la stessa faccia verso Saturno, era estrem am ente buio e lasciava intravedere ben pochi particolari superficiali. In netto contrasto, l’altro em isfero era dom in ato da un brillante ovale bianco, lungo circa centosessan ta chilom etri e largo trecentoventi. In quel m om ento, soltan to una parte della così sorprendente form azion e veniva illuminata dalla luce del giorno, m a il m otivo delle straordinarie variazioni di lum inosità di Giapeto appariva ormai del tutto ovvio. Sul lato ovest dell’orbita della lun a, la vivida ellisse era rivolta verso il Sole… e la Terra. Sul lato est dell’orbita, l’ovale rim aneva rivolto nella direzione opposta, e si poteva osservare soltanto l’em isfero che rifletteva fiocam ente la luce. La gran de ellisse era perfettam ente sim m etrica e si trovava a cavallo dell’equatore di Giapeto, con il suo asse m aggiore orientato verso i poli; aveva orli così n etti da dare quasi l’im pressione che qualcun o avesse m olto accuratam ente verniciato un enorm e ovale bianco sulla superficie della piccola luna. Appariva com pletam ente piatta, e Bowman si dom andò se non potesse trattarsi di un lago di liquido ghiacciato… an che se ciò difficilm ente avrebbe potuto spiegare il suo stupefacente aspetto artificiale. Ma gli rim ase ben poco tempo per studiare Giapeto, m entre l’astronave si addentrava nel cuore del sistem a di Saturno, poi- – 188 – ché il m om ento culm inante del viaggio, l’ultim a m anovra di perturbazione della Discovery , andava avvicinandosi rapidam ente. Rasentan do Giove, la nave spaziale aveva sfruttato il cam po gravitazionale del pian eta per aumentare la velocità. Ora doveva fare l’opposto; doveva dim inuire il più possibile la propria velocità per non sottrarsi al sistem a solare continuan do così il volo verso le stelle. La sua orbita attuale era stata studiata in m odo da in trappolarla, affinché essa divenisse un ’altra luna di Saturno e continuasse a oscillare avanti e in dietro lun go una stretta ellisse lun ga tre m ilioni e duecentom ila chilom etri. Nel pun to più vicino avrebbe quasi sfiorato il pianeta; in quello più lontano, avrebbe toccato l’orbita di Giapeto. I calcolatori sulla Terra, sebbene le loro in form azioni giungessero sem pre con tre ore di ritardo, avevan o assicurato a Bowm an che tutto era in ordine. Velocità e altezza risultavano esatte; non riman eva null’altro da fare, fino al m om ento del m assim o avvicinam ento. L’im m enso sistem a di an elli si estendeva orm ai attraverso tutto il firmam ento e già l’astronave stava passando sul suo m argine estrem o. Contem plan do gli an elli dall’altezza di circa sedicim ila chilom etri, Bowman poté constatare, attraverso il telescopio, che eran o formati in vasta misura di ghiaccio, splendente e scin tillante alla luce del Sole. Si sarebbe detto che avesse sorvolato una torm enta di neve, la quale di quando in quando cessava rivelando, là ove avrebbe dovuto trovarsi il suolo, deludenti squarci di notte e di stelle. Mentre la Discovery seguiva una traiettoria curva, ancor più vicina a Saturno, il Sole calò adagio verso i m ultipli archi degli an elli. Orm ai erano divenuti un esile ponte argenteo che scavalcava l’intero firm am ento; sebbene fossero troppo tenui e offuscassero appena la luce del Sole, le loro m iriadi di cristalli rifrangevano e disperdevan o quest’ultima dando luogo ad abbacinanti spettacoli pirotecnici. E m entre il Sole passava dietro alle fasce, larghe m illeseicento chilom etri, di ghiaccio in orbita, pallidi spettri dell’astro si spostavano e si fondevano nel firm am ento, e i cieli eran o colm i di lam pi e bagliori m utevoli. Poi il – 189 – Sole calò dietro gli anelli, per cui essi lo in corniciarono con i loro archi, e i fuochi artificiali celesti cessarono. Poco tempo dopo, la nave spaziale entrò nell’om bra di Saturno m entre arrivava nel pun to più vicino all’em isfero del pianeta su cui regnava la notte. In alto splendevano le stelle e gli an elli; in basso si stendeva un m are di nubi appena visibile. Non si scorgevan o affatto i misteriosi ricam i di luce che avevano avvam pato nella notte gioviana; forse Saturno era troppo freddo per sim ili spettacoli. Lo screziato paesaggio di nubi era rivelato soltanto da un bagliore spettrale riflesso dagli iceberg in orbita, tuttora illuminati dal Sole nascosto. Ma al centro dell’arco esisteva un am pio varco scuro, sim ile alla luce centrale di un ponte in com piuto, là ove il cono d’om bra del pian eta oscurava gli an elli. Il contatto radio con la Terra si era in terrotto e non avrebbe potuto essere ripreso fino a quan do l’astronave non fosse em ersa da dietro la m ole di Saturno. Fu forse un bene che Bowm an fosse troppo occupato, in quel mom ento, per pensare alla sua solitudin e im provvisam ente sottolin eata; nelle poche ore successive, ogni secondo sarebbe stato im pegnato m entre egli eseguiva le man ovre di frenaggio, già program m ate dai calcolatori terrestri. Dopo m esi di inattività i getti principali incom inciarono a espellere le cateratte, lun ghe alcuni chilom etri, di plasma lum inoso. La gravità tornò, sia pure fuggevolm ente, nel m ondo senza peso del ponte di controllo. E centinaia di chilom etri più in basso le nubi di m etano e di amm oniaca congelata rifulsero di una luce che non avevano m ai conosciuto prim a di allora, m entre la Discovery saettava, splendente e m inuscolo sole, attraverso la notte di Saturno. Infine, dinanzi all’astronave, em erse la pallida alba; la Discovery , che si spostava ora sem pre e sem pre più adagio, stava giungendo nella luce del giorno. Non sarebbe più potuta sfuggire al Sole, e nem m eno a Saturno… m a continuava a m uoversi abbastanza velocem ente per sollevarsi rispetto al pian eta fin o a – 190 – sfiorare l’orbita di Giapeto, lontana tre m ilioni e duecentom ila chilom etri. La Discovery avrebbe im piegato quattordici giorni per com piere quell’ascesa m entre, una volta di più, tagliava, anche se nella direzione opposta, le orbite di tutte le lune in terne. A una a una avrebbe intersecato le orbite di Giano, Miniante, Encelado, Teti, Dione, Rea, Titano, Iperione… m ondi ai quali erano stati dati i nom i di dèi e di dee scomparsi appena ieri, in base al m etro con cui veniva misurato il tem po lassù. Poi avrebbe incontrato Giapeto, per il suo rendez-vous nello spazio. Se non vi fosse riuscita, sarebbe ricaduta verso Saturno per ripercorrere all’in finito l’ellissi di ventotto giorni. Qualora la Discovery avesse dovuto fallire in quel tentativo, non vi sarebbe più stata alcuna possibilità di un secondo rendez-vous. Al suo ritorno in quel punto, Giapeto si sarebbe trovato lontanissim o, quasi al lato opposto di Saturno. Era vero che si sarebbero in contrati di nuovo e che le orbite della nave spaziale e del satellite si sarebbero intersecate una seconda volta. Ma quell’appuntamento era lontano di un così gran num ero di anni che, qualunque cosa potesse accadere, Bowm an sapeva di non poter essere presente. L’OCCH I O D I GI AP E TO Quando Bowman aveva osservato per la prim a volta Giapeto, la curiosa chiazza ellittica di luminosità si era trovata in parte in om bra, illuminata soltanto dalla luce di Saturno; ora, m entre la Luna si spostava adagio lungo la sua orbita di settan tan ove giorni, l’ovale stava em ergendo nella piena luce del giorno. Osservandolo espan dersi, m an m ano che la Discovery si sollevava sem pre e sem pre più pigram ente verso il suo in evitabile appuntam ento, Bowm an divenne conscio di una sconvolgente – 191 – ossessione. Non vi aveva m ai accennato nelle sue conversazioni, o m eglio nei suoi regolari com m enti, con il Controllo Missione, perché sarebbe potuto sem brare che soffrisse già di allucinazioni. Forse era effettivam ente così; infatti, si era quasi persuaso che la brillante ellissi splendente contro lo sfondo scuro del satellite fosse un enorm e e vacuo occhio in tento a fissarlo, m entre si avvicinava. Era un occhio senza pupilla, poiché in nessun pun to egli riusciva a scorgere qualcosa che ne turbasse la perfetta uniformità. Soltanto quando l’astronave si trovò ad appena ottantamila chilom etri di distanza, e quan do Giapeto era due volte più grande della fam iliare Luna della Terra, egli notò il m inuscolo pun tin o nero al centro esatto dell’ellissi. Ma man cò il tempo, allora, per ogni esam e particolareggiato; doveva orm ai occuparsi delle m anovre term in ali. Per l’ultim a volta, il m otore prin cipale della Discovery liberò le proprie energie. Per l’ultim a volta la furia incandescente di atom i m orenti avvam pò tra le lune di Saturno. In David Bowm an , il lontano bisbiglio e la crescente spinta dei getti causò una sensazione d’orgoglio… e di tristezza. I superbi m otori avevano com piuto il loro dovere con im peccabile efficienza. Erano riusciti a portare l’astronave dalla Terra a Giove e a Saturno; questa era orm ai l’ultim issima volta in cui avrebbero funzionato. Una volta che la Discovery avesse vuotato i serbatoi di propellente, sarebbe stata indifesa e inerte com e ogni com eta e ogni asteroide, prigioniera senza scam po della gravitazione. Anche quando l’astronave di soccorso fosse arrivata, di lì ad alcuni anni, non sarebbe stato econom ico rifornirla, in m odo che potesse tornare sulla Terra. Sarebbe rim asta un m onum ento eternam ente in orbita, destinato a ricordare i prim i tempi delle esplorazioni planetarie. Le m igliaia di chilom etri si ridussero a centinaia, e nel frattempo gli in dicatori del propellente discesero rapidam ente verso lo zero. Al quadro di com ando, gli occhi di Bowman scattavano an siosi dall’un o all’altro strum ento, e osservavano le carte – 192 – im provvisate che egli doveva ora consultare prim a di ogni tempestiva decisione. Sarebbe stata una delusione spaventosa se, dopo essere sopravvissuto a tan ti pericoli, non fosse riuscito ad arrivare al rendez-vous per m an can za di pochi chilogram mi di propellente… Il sibilo dei getti si spense e la spinta prin cipale cessò, m entre soltanto i getti direzionali continuavano a spingere dolcem ente la Discovery in orbita. Giapeto era orm ai una falce gigantesca che colm ava il cielo; fino a quel mom ento, Bowman l’aveva giudicato un minuscolo e insignificante oggetto celeste, com e effettivam ente era in confronto al m ondo in torno al quale ruotava. Adesso, m entre cam peggiava minacciosam ente sopra di lui, sem brava enorm e… un maglio cosm ico pronto a schiacciare la Discovery com e un guscio di noce. Giapeto si stava avvicinando così adagio che quasi non sem brava m uoversi, e fu im possibile stabilire il m om ento esatto in cui si determ in ò il mutam ento sottile da un corpo celeste a un paesaggio, situato a ottan ta chilom etri appena sotto di lui. I fedeli getti direzionali em isero le ultim e spinte, poi cessarono per sem pre di funzionare. L’astronave si trovava nella sua orbita finale e com pletava una rivoluzione ogni tre ore, alla velocità di appena milleduecento ottanta chilom etri all’ora… non occorreva di più in quel debole cam po gravitazionale. La Discovery era divenuta il satellite di un satellite. F R ATE LLO M AGGI OR E «Sto girando di nuovo intorno al lato illuminato dalla luce del giorno, e tutto è com e ho riferito durante l’ultim a orbita. In questo luogo sembrano esservi due soli tipi di m ateriale di superficie. Il materiale nero appare bruciato, quasi com e carbone, e ha lo stesso genere di struttura, a quanto posso vedere attra– 193 – verso il telescopio. In effetti, m i ricorda m oltissim o il pan e abbrustolito… «Ancora non riesco ad avere un ’idea chiara della zona bianca. Incom incia con un margine assolutam ente netto, e non rivela alcun particolare superficiale. Potrebbe anche trattarsi di un liquido… è abbastanza piatta. Non so quale im pression e abbiate potuto ricavare dalle im m agini video che vi ho trasm esso, m a, se vi raffigurate un m are di latte congelato, ve ne farete un ’idea precisa. «Potrebbe anche essere qualche gas pesan te… no, penso che questo sia im possibile. A volte ho l’im pressione che si stia m uovendo, m olto adagio; m a non posso averne la certezza… «… Mi trovo di nuovo sulla zona bianca, durante la terza orbita. Questa volta spero di passare più vicino al segno che avevo in dividuato proprio nel centro, m entre m i stavo avvicinando. Se i m iei calcoli sono esatti, dovrei passare a ottanta chilom etri di distanza da esso… di qualunque cosa si tratti. «… Sì, c’è qualcosa davanti a m e, precisam ente dove avevo calcolato. Sta salendo all’orizzonte, proprio com e Saturno, nello stesso settore di cielo… Passerò adesso al telescopio. «Pronto! Sem bra una sorta di edificio… com pletam ente nero… difficile a vedersi. Non vi sono finestre, né altri particolari visibili. È soltanto un enorm e lastrone verticale… deve avere un ’altezza di alm eno m illeseicento m etri, per essere visibile da questa distanza. Mi ricorda… m a sì, certo! È identico all’oggetto che voi trovaste sulla Luna! È il fratello m aggiore del AMT-1!» E SP E R I M E N TO Chiam iam olo la Porta delle Stelle. Per tre m ilioni di anni aveva ruotato in torno a Saturno, aspettan do un m om ento del destin o che avrebbe potuto non – 194 – presentarsi m ai. Per costruirlo, una luna era stata frantum ata, e i residui della costruzione si trovavan o ancora in orbita. Adesso la lunga attesa stava terminando. In un altro m ondo an cora l’intelligenza era nata e fuggiva dalla propria culla planetaria. Un antico esperim ento era sul punto di arrivare al m om ento culminante. Coloro che lo avevan o iniziato, tanto tempo prim a, non erano stati uom ini, e nem m eno rem otam ente um ani. Ma si era trattato di esseri fatti di carne e di san gue, e contem plan do le profondità dello spazio avevano provato tim ore reverenziale, e m eraviglia e solitudine. Non appena in grado di farlo, erano partiti verso le stelle. Nel corso delle loro esplorazioni avevan o incontrato la vita sotto m olte form e, e osservato il corso dell’evoluzione su un m igliaio di m ondi. Era stato loro possibile constatare quanto spesso i prim i fiochi barlum i di in telligenza baluginassero e si spegnessero nella notte cosm ica. E siccom e, nella galassia, non avevan o trovato nulla di più prezioso della Mente, ne avevano incoraggiato ovunque gli albori. Erano divenuti gli agricoltori dei cam pi delle stelle; sem inavano, e a volte m ietevano. E talora, im parzialm ente, dovevano estirpare. I gran di dinosauri si erano estin ti da tempo quando l’astronave esplorante aveva raggiun to il sistema solare dopo un viaggio protrattosi per alm eno mille an ni. Era passata accanto ai gelidi pianeti esterni, sofferm andosi brevem ente sopra i deserti di Marte m orente, e infine aveva esam inato la Terra. Disteso sotto di loro, gli esploratori avevano veduto un m ondo brulicante di vita. Per anni e anni si erano im pegnati a studiare, a collezionare, a catalogare. Una volta appreso tutto quello che potevano, avevan o com inciato a m odificare, in fluenzando i destin i di m olte specie, sulla terra e negli oceani. Ma non avrebbero potuto sapere per alm eno un milione di an ni quale dei loro esperim enti sarebbe riuscito. – 195 – Erano pazienti, m a non eran o ancora im m ortali. Esistevano innum erevoli cose da fare in quell’universo di cento miliardi di soli, e altri m ondi li chiam avano. Perciò si eran o lanciati di nuovo nell’abisso, sapendo che non sarebbero m ai più tornati da quella parte. Né del resto era necessario. I servi che avevan o lasciato in dietro avrebbero fatto il resto. Sulla Terra, i ghiacciai avanzavano e in dietreggiavano, m entre in alto la Luna im mutabile continuava a conservare il proprio segreto. Con un ritm o an cor più lento di quello dei ghiacci polari, le maree della civiltà si alzavano e si abbassavano nella galassia. Strani e splendidi e terribili im peri si afferm avano e tram ontavan o, tram andando quan to avevano accumulato in fatto di conoscenze ai loro successori. La Terra non era stata dim enticata, ma una nuova visita sarebbe servita a ben poco. Era un o tra milioni di m ondi silenziosi, pochi dei quali avrebbero m ai parlato. E ora, tra le stelle, l’evoluzione stava conducendo verso nuove m ete. I prim i esploratori della Terra eran o arrivati da tempo ai limiti della carne e del san gue; non appena le m acchine da essi costruite avevano superato le prestazioni dei loro organism i, era giunto il m om ento di traslocare. Avevano trasferito dapprim a i loro cervelli, e poi soltan to i loro pensieri, in nuove splendenti dim ore fatte di m etallo e di plastica. In esse, vagabondavano tra le stelle. Non costruivano più navi spaziali. Erano essi stessi navi spaziali. Ma an che l’era delle entità-macchine aveva avuto una durata assai breve. Con esperim enti incessanti, essi eran o riusciti ad accum ulare la conoscenza nella struttura stessa dello spazio e a conservare i loro pensieri per l’eternità in rappresi tralicci di luce. Erano riusciti a divenire creature di radiazione, esenti finalm ente dalla tirannia della materia. In ultim o, per conseguenza, si eran o trasform ati in pura energia; e in mille m ondi i vuoti gusci da essi abbandonati avevano guizzato per qualche tem po in una ottusa danza della m orte, per crollare poi rosi dalla ruggine. – 196 – Orm ai essi erano i padroni della galassia, di là dalla portata del tempo. Potevan o vagare a loro piacere tra le stelle e calare com e tenue nebbia tra gli interstizi stessi dello spazio. Ma, nonostante le loro facoltà divin e, n on avevano dim enticato del tutto le loro origini, nella m elm a tiepida di un m are scom parso. E continuavano a seguire gli esperim enti iniziati dai loro antenati, tan to tem po prim a. LA SE N TI N E LLA «L’aria nell’astronave sta diventando m olto viziata, e io soffro quasi continuam ente, di m al di capo. Rim ane an cora parecchio ossigeno, ma i purificatori non hanno m ai realm ente elim inato tutti i veleni quando i liquidi contenuti nella nave spaziale avevan o in comin ciato a bollire nel vuoto. Ogni volta che la situazione diventa troppo critica, scendo nella rim essa e lascio sfuggire un po’ di ossigeno puro dalle capsule… «Non vi è stata alcuna risposta a tutti i m iei segnali, e a causa dell’in clinazione orbitale, m i sto allontanando sem pre più dal AMT-2. Sia detto di sfuggita, il nom e che voi gli avete attribuito non è affatto appropriato… non esiste qui an cora alcuna traccia di un cam po m agnetico. «Attualm ente, il m io m assim o avvicinam ento è di novantasei chilom etri; questa distanza aum enterà fin o a circa centosessanta chilom etri man m ano che Giapeto continuerà a ruotare sotto di m e, e poi dim inuirà fino a zero. Passerò direttam ente sopra l’oggetto fra trenta giorni… ma è un periodo d’attesa troppo lun go, e d’altro canto l’oggetto sarà allora im m erso nelle tenebre. «Già adesso è visibile soltanto per pochi m inuti prima di scomparire di nuovo dietro l’orizzonte. È deludente, m aledizione… non posso fare alcuna osservazione approfondita. – 197 – «Sicché, vorrei che approvaste questo piano. Le capsule dispongono di propellente a sufficienza per arrivare fino al suolo del satellite e tornare all’astronave. Voglio uscire dal veicolo e fare una ricognizione ravvicinata dell’oggetto. Se non risulterà pericoloso, atterrerò accan to a esso, o anche sopra a esso. «L’astronave sarà ancora sopra il m io orizzonte durante la discesa, e pertan to non interrom però il contatto per più di novanta m inuti. «Sono persuaso che questa sia la sola cosa da fare. Ho percorso un miliardo e seicento milioni di chilom etri… non voglio essere ferm ato dagli ultim i novantasei.» *** Per settim ane, guardando eternam ente nella direzione del Sole con i suoi strani sensi, la Porta delle Stelle aveva osservato la nave spaziale che si avvicinava. I suoi costruttori l’avevano preparata in vista di m olte cose, e questa era una di esse. La Porta delle Stelle riconobbe ciò che stava salendo nella sua direzione dal caldo cuore del sistem a solare. Se fosse stata viva, si sarebbe sentita eccitata, m a un ’em ozione del genere era com pletam ente estran ea alle sue capacità. Anche se l’astronave se la fosse lasciata indietro, non avrebbe provato la benché minim a delusion e. Aveva aspettato per tre m ilioni di anni; era preparata ad aspettare per tutta l’eternità. Osservò, notò e non agì, m entre il visitatore frenava la propria velocità con getti di gas incandescente. Di lì a poco sentì il contatto dolce delle radiazioni che tentavano di sondare i suoi segreti. E ancora non fece nulla. Adesso la nave spaziale era in orbita, e ruotava bassa sopra la superficie di quella luna stranam ente calva. Incomin ciò a parlare, con em issioni di radioonde, contando i num eri prim i, dall’un o all’undici, ripetutam ente. Ben presto i num eri furono sostituiti da segnali più com plessi, su m olte frequenze… – 198 – l’ultravioletta, quella dell’in frarosso, quella dei raggi X. La Porta delle Stelle non diede alcuna risposta; non aveva nulla da dire. Seguì allora un lungo silenzio, poi la Porta delle Stelle notò che qualcosa stava scendendo verso di essa dall’astronave in orbita. Frugò nelle proprie m em orie e i circuiti logici presero le loro decisioni, a seconda degli ordini im partiti loro m olto, m olto tempo prim a. Sotto la fredda luce di Saturno, la Porta delle Stelle destò le proprie capacità assopite. E N TR O L’OCCH I O La Discovery era precisam ente com e l’aveva veduta l’ultima volta dallo spazio, galleggiando in orbita lunare con la Luna che occupava una m età del cielo. Forse esisteva un piccolo cam biam ento; non poteva esserne certo, m a una parte della vernice degli avvertim enti esterni, che spiegavan o lo scopo dei vari portelli, collegam enti, spine e altri accessori, si era sbiadita durante la lunga esposizione al Sole non scherm ato. Quel Sole era orm ai un oggetto celeste che nessun uom o avrebbe riconosciuto. Aveva una lum inosità di gran lunga troppo in tensa per poter essere una stella, m a si poteva guardarne direttam ente il minuscolo disco senza che gli occhi ne soffrissero. Non em etteva alcun calore; quan do Bowman espose ai suoi raggi la m ano priva di guanto, non sentì nulla sulla pelle; fu com e se avesse tentato di riscaldarsi alla luce della Luna. Nem m eno il paesaggio estraneo, ottanta chilom etri più in basso, poteva ricordargli in m odo più vivido quan to fosse in finitam ente lontan o dalla Terra. Ora stava abbandonando, forse per l’ultim a volta, il m ondo di m etallo che era stato la sua dim ora per tanti m esi. Anche se n on vi fosse più rientrato, l’astronave avrebbe continuato a com piere – 199 – il proprio dovere, trasm ettendo alla Terra le in dicazioni degli strum enti, fino a quando non si fosse determ in ato qualche guasto catastrofico e definitivo nei suoi circuiti. E se vi fosse rientrato? Be’, avrebbe potuto m antenersi in vita, e forse an che sano, per qualche altro m ese. Ma questo era tutto, gli im pianti di ibernazion e non erano utilizzabili senza un calcolatore che li regolasse. Non gli sarebbe stato possibile sopravvivere fino al giorno in cui la Discovery II sarebbe giun ta al rendez-vous con Giapeto, di lì a quattro o cin que anni. Si lasciò alle spalle queste riflessioni, m entre la falce d’oro di Saturno si alzava nel cielo dinanzi a lui. In tutta la storia dell’um anità, era il solo uom o che avesse assistito a questo spettacolo. Agli occhi di tutti, Saturno aveva sem pre m ostrato tutto il proprio disco illum inato, rivolto com pletam ente verso il Sole. Adesso era un arco delicato, con gli anelli che gli form avan o intorno una linea sottile… sim ili a una freccia sul punto di essere scoccata nella direzione del Sole stesso. Sulla stessa lin ea degli an elli c’era la vivida stella di Titano, e le più fioche scintille delle altre lun e. Prima che quel secolo fosse trascorso per m età, gli uom ini le avrebbero visitate tutte; m a lui non avrebbe saputo mai quali segreti potevano nascondere. L’orlo nettissim o del cieco occhio bianco gli stava venendo in contro; gli riman evano soltan to centosessanta chilom etri da percorrere, e in m eno di dieci minuti si sarebbe trovato sopra il suo obiettivo. Si augurò che vi fosse qualche m odo di sapere se le sue parole stavano arrivan do sulla Terra, orm ai lontana un ’ora e m ezza alla velocità della luce. Sarebbe stato il colm o dell’ironia se, per qualche guasto nel sistem a di com unicazioni, fosse scom parso nel silenzio e nessun o avesse mai potuto sapere che cosa gli era accaduto. La Discovery continuava a essere una fulgida stella nel cielo nero più in alto. Egli se ne stava allontanando velocem ente m entre acquistava velocità duran te la discesa, m a presto i getti frenanti della capsula lo avrebbero rallentato e l’astronave avrebbe proseguito scomparendo… e lascian dolo solo su quella pianura splendente, con lo scuro m istero al centro. – 20 0 – Un blocco d’eban o stava salendo all’orizzonte ed eclissava le stelle dietro di sé. Bowm an fece ruotare la capsula in torno ai giroscopi e si avvalse di tutta la spinta dei getti per ridurne la velocità orbitale. Percorrendo un arco lungo e piatto, discese verso la superficie di Giapeto. In un m ondo dalla gravità più intensa, la manovra avrebbe im plicato un consum o di propellente pericolosam ente eccessivo. Ma lì la capsula pesava soltanto una decina di chilogram mi; egli poteva m an ovrare e farla librare per parecchi m inuti prima di ridurre in m odo allarman te la riserva di propellente e non avere più alcuna speranza di tornare sulla Discovery an cora in orbita. Ma forse la differenza non sarebbe stata poi m olta… Si trovava an cora a un’altezza di ottom ila m etri, e andava direttam ente verso l’enorm e, scura m assa che svettava con così geom etrica perfezione sulla pianura uniform e. Era liscia com e la piatta e bianca superficie sottostante; fino a quel m om ento Bowm an non aveva potuto ben rendersi conto di quanto fosse enorm e in realtà. Sulla Terra esistevan o ben pochi edifici così gran di; le sue fotografie m isurate con cura indicavano un ’altezza di quasi seicento m etri. E, a quan to poteva giudicare, le proporzioni erano identiche a quelle del AMT-1… con quel curioso rapporto di uno a quattro a nove. «Mi trovo a soli quattrom ila ottocento m etri di distanza, adesso, e m i m antengo alla quota di m illeduecento m etri. Ancora nessun in dizio di attività… nulla su nessun o degli strum enti. Le superfici sem brano assolutam ente lisce e levigate. Certo sarebbe logico aspettarsi qualche danno da m eteorite, dopo tutto questo tem po! «E non vi sono detriti sul… presum o che si possa definirlo tetto. Non vedo neppure alcuna traccia di aperture. Speravo proprio che potesse esservi qualche varco… «Ora m i trovo proprio sopra l’oggetto, a centocinquanta m etri da esso. Non voglio perdere tem po, in quan to la Discovery sarà presto fuori di portata. Sto per atterrare. Il suolo è senza dubbio abbastanza com patto… e se non lo è risalirò im m ediatam ente. – 20 1 – «Un m om ento… questo è strano…» La voce di Bowman si spense nel silenzio di un assoluto sbalordim ento. Non era allarm ato; m a non riusciva a descrivere quel che poteva vedere. Aveva tenuto la capsula sospesa sopra un vasto e piatto rettangolo lungo duecentoquaranta m etri e largo sessanta m etri, fatto di un m ateriale che sembrava solido com e roccia. Ma adesso esso sembrava in dietreggiare rispetto a lui; era esattam ente com e una di quelle illusioni ottiche in seguito alle quali un oggetto tridimensionale, grazie a uno sforzo della volontà, può dare l’im pressione di rovesciarsi dall’interno all’esterno con una sostituzione continua tra i suoi lati vicini e lontani. La stessa cosa stava accadendo a quell’enorm e e in apparenza com patta struttura. Per quan to sem brasse im possibile, in credibile, non era più un m onolito svettante su una piatta pianura. Quello che aveva avuto l’aspetto di un tetto era affondato in profondità senza fondo; per un attimo di stordim ento gli parve di guardare in un pozzo verticale… in un viadotto rettangolare che sfidava le leggi della prospettiva, perché le sue dim ensioni non dim inuivano con la distanza… L’Occhio di Giapeto aveva am miccato, com e per liberarsi da un irritante corpuscolo di polvere. David Bowman ebbe appena il tempo di pronunciare una frase balbettante che gli uomini in attesa al Controllo Missione, lontani m illecinquecento quaranta m ilioni di chilom etri e ottanta m inuti nel futuro, non dovevano m ai dim enticare: «L’oggetto è vuoto… non finisce m ai… e… oh, m io Dio!… è pieno di stelle!» – 20 2 – U SCI TA La Porta delle Stelle si aprì. La Porta delle Stelle si chiuse. In un attim o di tempo troppo breve per poter essere m isurato, lo Spazio si voltò e si rovesciò su se stesso. Allora Giapeto rim ase solo una volta di più, com e lo era stato per tre m ilioni di anni… solo, trann e un ’astronave deserta, m a non ancora abbandonata, che trasm etteva ai suoi costruttori m essaggi in com prensibili, cui essi non potevano credere. – 20 3 – CAP I TOLO SE STO ATTR AVE R SO LA P OR TA D E LLE STE LLE STAZI ON E CE N TR ALE Non v’era alcuna sensazione di movim ento, eppure stava cadendo verso quelle stelle im possibili che splendevan o laggiù, n el cuore oscuro di una luna. Ma no… non si trovavano realm ente là, ne era certo. Si augurò, adesso che era di gran lun ga troppo tardi, di aver prestato m aggiore attenzione alle teorie sull’iperspazio, sui condotti transdim ensionali. Per David Bowm an non si trattava più di teorie. Forse quel m onolito su Giapeto era vuoto; forse il «tetto» era soltanto un’illusione, o una sorta di diafram m a apertosi per lasciarlo passare. (Ma entro che cosa?) Se poteva credere ai propri sensi, sembrava che stesse precipitando verticalm ente entro un enorm e pozzo rettangolare, profondo parecchie centinaia di m etri. La caduta diventava sem pre e sem pre più veloce, m a le dim ensioni dell’estrem ità opposta non mutavan o m ai e riman evano sem pre alla stessa distanza da lui. Soltanto le stelle si m ossero, a tutta prim a così adagio che solam ente dopo qualche tempo egli capì com e stessero sfuggendo alla struttura che le conteneva. Di lì a non molto, comun que, apparve ovvio che il settore stellato si espan deva, com e se egli si stesse avventando verso di esso a una velocità inconcepibile. – 20 4 – L’espan sione non era uniform e; le stelle al centro sembravano quasi im m obili, m entre quelle periferiche acceleravano, sem pre e sem pre più rapide; in ultim o, prima di scomparire del tutto, divennero striature di luce. Ma altre stelle le sostituivano, scorrendo nel centro del cam po stellato da un a fonte in apparenza inesauribile. Bowm an si dom an dò che cosa sarebbe accaduto se una stella fosse venuta direttam ente verso di lui; avrebbe continuato a espandersi fin o a quando egli si sarebbe tuffato nella superficie di un sole? Ma nessuna di esse si avvicinava abbastanza per apparirgli com e un disco lumin oso; prima o poi deviavano tutte, fuggendo com e striature di luce oltre gli orli della cornice rettangolare. E ancora l’estrem ità opposta del pozzo non si avvicinava. Si sarebbe detto quasi che le sue pareti si stessero m uovendo in siem e a lui, portan dolo verso un a ignota destinazion e. O forse in realtà egli rim aneva imm obile e lo spazio gli stava passando accanto… Non soltanto lo spazio, se ne rese conto a un tratto, era coinvolto in quan to gli stava accadendo adesso. L’orologio, sul piccolo pannello degli strum enti della capsula, si stava com portando in m odo strano. Di norm a, i num eri nella finestrella dei decim i di secondo, scorrevano così rapidam ente che riusciva quasi im possibile leggerli; m a adesso essi stavano apparendo e scomparendo a in tervalli discreti, e lui riusciva a contarli a uno a uno senza alcuna difficoltà. I secondi, poi, passavano con una lentezza incredibile, com e se il tempo stesso fosse sul pun to di ferm arsi. Infine, il contatore dei decim i di secondo si im m obilizzo tra il cinque e il sei. Eppure Bowm an riusciva an cora a pensare, e persino a osservare, m entre le pareti di ebano gli scorrevano accanto a una velocità che avrebbe potuto avere un valore qualsiasi, tra zero e un m ilion e di volte la velocità della luce. In qualche m odo, egli non si sentiva m inimam ente sorpreso, e nem m eno allarm ato. All’opposto, provava una sensazione di calm a aspettativa, com e la volta in cui i m edici spaziali lo avevan o assoggettato alla pro- – 20 5 – va dei farm aci allucinogeni. Il mondo circostante era strano e m eraviglioso, m a non conteneva alcun ché di temibile. Egli aveva percorso quei milioni di chilom etri in cerca di un m istero; e adesso, a quanto sembrava, il m istero stava venendo verso di lui. Il rettangolo che aveva dinanzi stava diventando più lumin oso. Le striature di luce delle stelle im pallidivano sullo sfondo di un firm am ento lattiginoso, il cui splendore aum entava a ogni m om ento. Si sarebbe detto che la capsula fosse diretta verso un banco di nubi illuminato uniform em ente dai raggi di un sole in visibile. Stava uscendo dalla galleria. L’estrem ità opposta, che fino a quel m om ento era rimasta alla stessa indeterm in ata distanza, senza avvicinarsi e senza allontanarsi, im provvisam ente aveva com in ciato a ubbidire alle leggi norm ali della prospettiva. Andava avvicinandosi e si am pliava sem pre più dinanzi a lui. Al contem po, egli sentì che stava spostandosi verso l’alto e per un attim o fuggevole si dom an dò se non fosse precipitato fino al centro di Giapeto e se non stesse ora salendo verso il lato opposto. Ma ancor prim a che la capsula prorom pesse all’esterno, si rese conto che quel luogo non aveva nulla a che vedere con Giapeto o con ogni altro m ondo nell’am bito dell’esperienza dell’uom o. Non esisteva alcuna atm osfera, poiché poteva scorgere ogni particolare non offuscato, lim pido e chiaro fino a un orizzonte in credibilm ente rem oto e piatto. Doveva trovarsi sopra un m ondo dalle dim ensioni enorm i… forse m olto più gran de della Terra. Eppure, non ostante la sua estensione, tutta la superficie che Bowm an riusciva a scorgere era tassellata a m osaici ovviam ente artificiali che dovevano avere lati della lun ghezza di parecchi chilom etri. Era com e il gioco di pazienza a incastro di un gigante che si divertisse con i pianeti; e al centro di m olti di quei quadrati e trian goli e poligoni si aprivano neri pozzi… gem elli dell’abisso dal quale era appena em erso. Eppure, il cielo sovrastante era estran eo… e, a suo m odo, persino ancor più sconvolgente di quell’im probabile suolo. Poi- – 20 6 – ché non vi si scorgevan o stelle, e nem m eno le tenebre dello spazio. V’era soltanto una lattigin osità m orbidam ente luminosa, tale da dare l’im pressione d’una distanza infinita. Bowman ricordò la descrizione che gli era stata fatta un tem po del paventato «biancore» antartico… «com e trovarsi all’interno di una pallin a da ping-pong». Tali parole potevano applicarsi perfettam ente a questo luogo irreale, m a la spiegazion e doveva essere del tutto diversa. Quel cielo non poteva essere un effetto m eteorologico di n ebbia e di neve, là esisteva un vuoto perfetto. Poi, m entre gli occhi di Bowm an andavano abituan dosi al chiarore m adreperlaceo che colm ava il cielo, egli notò un altro particolare. Quel cielo non era, com e aveva creduto a prim a vista, com pletam ente vuoto. In alto lo pun teggiavano, del tutto im m obili e form ando in apparenza disegni casuali, miriadi di m inuscole chiazze nere. Si stentava a scorgerle, perché eran o m eri pun ti oscuri, m a, una volta in dividuate, rim anevano del tutto in equivocabili. Ricordavano a Bowman qualcosa… qualcosa di così fam iliare, e al contem po di così folle, che egli si rifiutò di accettare l’analogia fino a quan do la logica non lo costrinse a farlo. Quei puntini n eri n el cielo bianco erano stelle; si sarebbe detto che egli stesse contem plan do una negativa fotografica della Via Lattea. Dove m i trovo, in nom e di Dio? si dom an dò; e nel m om ento stesso in cui si poneva l’interrogativo, ebbe la certezza che non avrebbe m ai potuto conoscere la risposta. Sembrava che lo spazio fosse stato rovesciato: quello non era posto per un uom o. Sebbene la capsula fosse piacevolm ente calda, si sentì a un tratto gelato, e lo assalì un trem ito quasi irreprim ibile. Avrebbe voluto chiudere gli occhi ed escludere il nulla perlaceo che lo circondava; ma questo era il gesto di un codardo, e si ostinò a non cedere alla tentazion e. Il pianeta traforato e sfaccettato ruotava adagio sotto di lui, senza alcun reale mutam ento di scenario. Egli suppose di trovarsi a circa sedicimila m etri sopra la superficie; avrebbe dovuto poter scorgere facilm ente ogni indizio di vita. Ma tutto quel – 20 7 – m ondo era deserto; l’in telligenza, arrivata sin lì, aveva esercitato su di esso la propria volontà, e se n’era quin di nuovam ente allontanata. Poi egli notò, ingobbito sulla piatta pianura, forse a una trentin a di chilom etri di distanza, un m ucchio grosso m odo cilindrico di rottam i che poteva essere soltanto la carcassa di un ’astronave gigantesca. Distava troppo da lui perché riuscisse a scorgere qualche particolare, e scomparve in pochi secondi; ciò nonostan te, riuscì a scorgere centine spezzate e lam iere m etalliche dai deboli riflessi, che si erano staccate in parte com e la buccia di un ’arancia. Si doman dò per quante migliaia di anni i rottam i fossero rim asti lì, su quella scacchiera deserta… e quali creature avessero navigato tra le stelle. Poi dim enticò il relitto, perché qualcosa stava spuntando all’orizzonte. A tutta prim a parve un disco piatto, m a questo soltanto perché stava venendo quasi direttam ente verso di lui. Mentre si avvicinava e passava più in basso, egli vide che era a form a di fuso e lungo parecchie decin e di m etri. Sebbene vi fossero ban de appena visibili qua e là nel senso della lun ghezza, riusciva difficile m ettere a fuoco lo sguardo su di esse; l’oggetto sembrava vibrare, o forse ruotare a una velocità altissim a. Si assottigliava appuntito a entram be le estrem ità, e non si scorgeva alcuna traccia di propulsion e. Soltan to un suo aspetto appariva familiare allo sguardo um an o, ed era il colore. Se si trattava effettivam ente di una costruzione solida, e non di un fan tasma ottico, allora i suoi realizzatori condividevano forse alcune em ozioni degli uom ini. Ma senza dubbio non ne condividevano le lim itazioni, poiché il fuso sem brava essere fatto d’oro. Bowm an voltò la testa verso l’apparecchio di osservazion e posteriore, per vedere l’oggetto dietro di sé. Esso pareva ign orarlo com pletam ente, e ora egli notò che stava scendendo dal cielo verso un a di quelle m igliaia di gran di aperture. Pochi secondi dopo scomparve in un ultim o fulgore d’oro m entre si im m ergeva nel pianeta. Bowman si trovava nuovam ente solo, sotto – 20 8 – quel cielo sinistro, e la sensazione di isolam ento e di estrem a lontananza divenne più schiacciante che m ai. Vide poi che an ch’egli stava scendendo verso la superficie screziata di quel m ondo gigantesco, e che un altro degli abissi rettangolari sbadigliava proprio sotto di lui. Il cielo vuoto si chiuse in alto, l’orologio rallentò e tornò a ferm arsi e, una volta di più, ecco che la capsula stava precipitando tra pareti di eban o senza fine, verso un altro rem oto grappolo di stelle. Ma ora egli ebbe la certezza che non stava tornando verso il sistem a solare e, in un lam po di in tuizione che sarebbe potuto essere del tutto spurio, capì che cosa doveva essere senza dubbio quel m ondo m isterioso. Era una sorta di congegno di scam bio cosm ico, che istradava il traffico delle stelle attraverso dim ensioni inimm aginabili di spazio e di tempo. Stava passan do attraverso una Stazion e Centrale della galassia. I L CI E LO E STR AN E O Molto più avan ti, le pareti del pozzo stavano divenendo una volta di più vagam ente visibili, nella luce fioca che si diffondeva verso il basso da una sorgente lum in osa ancora nascosta. E poi l’oscurità venn e bruscam ente elim inata, m entre la minuscola capsula veniva scaraventata in alto in un cielo fulgido di stelle. Era tornato nello spazio com e lui lo conosceva, m a gli bastò un ’occhiata per capire che si trovava a secoli di luce dalla Terra. Non tentò neppure di in dividuare un a qualsiasi delle costellazioni fam iliari che sin dagli albori della storia eran o state amiche dell’uom o; forse nessuna delle stelle che ora gli splendevan o in torno era mai stata vista dall’occhio um ano privo di strum enti. – 20 9 – Si trovavan o quasi tutte concentrate in una fascia luminosa, in terrotta qua e là da scure bande di polvere cosm ica, che circondava com pletam ente il firmamento. Era com e la Via Lattea, m a decine di volte più lumin osa; Bowman si dom andò se questa non fosse in effetti la sua stessa galassia, veduta da un punto m olto più vicin o al centro brillan te e grem ito. Sperò che fosse così; in tal caso non si sarebbe trovato troppo lontano dalla Terra. Ma questa, se ne rese conto im m ediatam ente, era un a riflessione infantile. Distava di una lontananza talm ente inconcepibile dal sistem a solare, che im portava ben poco se si trovava nella sua galassia o nella galassia più rem ota m ai in travista da qualsiasi telescopio. Si guardò indietro per vedere l’oggetto dal quale stava salendo e provò un altro choc. Là non v’era alcun m ondo gigan tesco e m ulti sfaccettato, né alcun duplicato di Giapeto. Non v’era nulla… tran ne un’ombra color inchiostro contro le stelle, sim ile a una soglia che da una cam era buia si aprisse su una notte ancor più buia. Nel m om ento stesso in cui guardava, quel varco si chiuse. Non si allontan ò da lui; si colm ò adagio di stelle, com e se una lacerazione nel tessuto dello spazio fosse stata ramm endata. Poi egli rim ase solo sotto il cielo estran eo. La capsula stava ruotando adagio, consentendogli così di am m irare nuove m eraviglie. Anzitutto vide un o sciam e di stelle perfettam ente sferico, che diveniva sem pre e sem pre più grem ito verso il centro, fino a essere un ininterrotto bagliore di luce. I suoi margini esterni erano m al definiti… un alone di soli che gradualm ente si diradava fino a fondersi im percettibilm ente con lo sfondo di stelle più lontan e. Questa apparizione maestosa, Bowman lo sapeva, era un am m asso globulare. Egli stava contem plando qualcosa che nessuno sguardo uman o aveva m ai veduto, tran ne che com e una chiazza lum inosa nel cam po dei telescopi. Non riusciva a ricordare la distanza tra la Terra e il più vicino am masso stellare conosciuto, ma era certo che non ve ne fosse alcuno entro un m igliaio di anni-luce dal sistem a solare. – 210 – La capsula continuò la sua lenta rotazione e rivelò un o spettacolo an cor più stran o… un enorm e sole rosso, m olte volte più gran de della Luna com e è veduta dalla Terra. Bowm an riuscì a fissarlo senza provare alcun fastidio; a giudicare dal colore, non doveva essere più caldo di un carbone ardente. Qua e là, nel rosso cupo, si scorgevan o fium i di un giallo brillante… Rii delle Am azzoni incandescenti, che seguivano corsi tortuosi per m igliaia di chilom etri prima di perdersi nei deserti di quel sole m orente. Morente? No… questa era un’im pression e com pletam ente falsa, suggerita dall’esperienza um ana e dagli stati d’anim o dovuti ai colori del tram onto o alla lum inosità delle braci languenti. Si trattava invece di un a stella che si era lasciata indietro le focose stravaganze della gioventù, passando per l’intera gam ma dei viola, dei blu e dei verdi dello spettro in pochi fuggevoli m iliardi di anni, e adagian dosi poi in una pacifica m aturità dalla durata inimm aginabile. Tutto ciò ch’era accaduto prim a non rappresentava nem m eno un millesim o di quanto doveva an cora accadere; la storia di quel sole poteva dirsi appena com inciata. La capsula aveva sm esso di ruotare; il gran de sole rosso si trovava proprio dinanzi a essa. Sebbene non vi fosse alcuna sensazione di m ovim ento, Bowman sapeva di trovarsi ancora nella m orsa delle forze im periose, e m isteriose, dalle quali era stato portato sin lì da Saturno. Tutta la scienza e le capacità costruttive terrestri sem bravano disperatam ente prim itive, adesso, in confronto alle forze che lo stavano conducendo verso un destin o inim maginabile. Fissò il cielo dinanzi a sé, cercan do di scorgere la m èta verso la quale stava andando… forse un pian eta che girava intorno al gran de sole. Ma non si vedeva alcunché che m ostrasse un disco percettibile o una lumin osità eccezionale; se esistevan o pianeti, laggiù, n on li distingueva dallo sfondo stellato. Poi notò che qualcosa di strano stava accadendo sull’orlo stesso del disco crem isi del Sole. Un bagliore bianco vi era apparso e la sua lumin osità andava aum entando rapidam ente; si dom an dò se stesse assistendo a una di quelle im provvise eru- – 211 – zioni, o brillam enti, che sconvolgono di quando in quan do quasi tutte le stelle. La luce divenn e più vivida e più azzurra; incom inciò a diffondersi lungo l’orlo del Sole, le cui sfum ature rosso-sangue im pallidirono ben presto al confronto. Sem brava quasi, si disse Bowm an, sorridendo dell’assurdità di quella riflessione, di assistere al levar del sole… su un sole. Ed era così, effettivam ente. Sopra l’orizzonte ardente si sollevò qualcosa che non sem brava più grande di una stella, m a la cui lum inosità era tale che gli occhi non sopportavano di guardarla. Un m ero punto di radiosità blu-bianca, sim ile a un arco elettrico, si stava spostan do a in credibile velocità sulla superficie del gran de astro. Doveva essere vicinissim o al gigan tesco com pagno, poiché im m ediatam ente sotto a esso, attratta in alto dalla sua forza gravitazionale, si sollevava una colonna di fiam m e alta m igliaia di chilom etri. Si sarebbe detto che una onda di m area infuocata stesse m arciando per l’eternità lun go l’equatore di quella stella, nel vano inseguim ento della fulm inea apparizione sul suo cielo. Quella capocchia di spillo di incan descenza doveva essere una Nana Bianca… una di quelle stran e e ardenti piccole stelle, non più gran di della Terra, m a contenenti un m ilion e di volte la sua m assa. Sim ili male accoppiati binomi stellari non eran o rari; m a Bowm an non aveva mai sognato di poterne un giorno vedere un o con i suoi stessi occhi. La Nana Bian ca aveva girato intorno a quasi la m età del disco della sua com pagna (doveva im piegare soltanto alcuni minuti per percorrere un ’orbita com pleta) quando Bowm an ebbe in fin e la certezza che an che la capsula si stava muovendo. Dinanzi a lui, una delle stelle stava diventando rapidam ente più luminosa, e in com inciava a spostarsi contro lo sfondo. Doveva essere un corpo celeste piccolo e vicino… forse il m ondo verso il quale stava viaggiando. Gli fu addosso con inaspettata velocità; ed egli constatò che non si trattava affatto di un m ondo. – 212 – Una ragnatela, o un traliccio di metallo, che luccicava debolm ente, e aveva una lun ghezza di centinaia di chilom etri, apparve com e dal nulla, in gran dendosi fino a colm are il cielo. Sparse sulla sua superficie vasta com e un contin ente v’eran o strutture che dovevano essere gran di com e città, m a che avevano l’aspetto di m acchine. Intorno a m olte di esse eran o riuniti a decine e decine oggetti più piccoli, disposti in file e in colonne ordinate. Bowm an era passato accanto a parecchi di questi gruppi prima di rendersi conto che si trattava di flottiglie di astronavi; stava sorvolan do un gigan tesco parcheggio orbitale. Poiché non esistevano oggetti familiari in base ai quali poter valutare le dim ensioni della scena che saettava via più in basso, era quasi im possibile giudicare le dim ensioni delle navi spaziali sospese là nel vuoto. Ma sem bravan o senz’altro enorm i; alcune di esse dovevano avere un a lun ghezza di chilom etri. Erano di m olte form e diverse… sfere, cristalli sfaccettati, esili fusi, ovoidi, dischi. Quello doveva essere un o dei punti di incontro per il com m ercio delle stelle. Oppure lo era stato… forse un m ilion e di anni prima. Poiché in nessun luogo Bowman riusciva a scorgere alcun in dizio di attività; quello sconfinato spazioporto era m orto com e la Lun a. Se ne rese conto non soltanto dall’assenza di ogni m ovim ento, m a da segni inequivocabili, com e gran di squarci aperti nella ragnatela m etallica dal cozzare, sim ile a vespe, di asteroidi che dovevano averla sfondata in ere lontane del passato. Quello non era più un parcheggio spaziale: era un cosmico m ucchio di rottam i. Aveva m ancato di epoche l’incontro con i costruttori e, rendendosene conto, Bowm an provò una im provvisa stretta al cuore. Sebbene non avesse saputo che cosa aspettarsi, aveva alm eno sperato di incontrare qualche form a di intelligenza proveniente dalle stelle. Ora, a quanto pareva, era troppo in ritardo. Lo aveva catturato un’an tica e autom atica trappola, predisposta per un o scopo ignoto, e ancora funzionan te dopo che i suoi realizzatori eran o scomparsi da m olto tempo. Essa lo aveva trascinato attraverso la galassia e abbandonato li (in siem e a quanti – 213 – altri?) in quel Mare dei Sargassi celeste, condannato a m orire ben presto, non appena la sua riserva d’aria si fosse esaurita. Bene, sarebbe stato irragionevole aspettarsi di più. Aveva già visto m eraviglie per assistere alle quali m olti uom ini avrebbero sacrificato la vita. Pensò ai suoi com pagni m orti; non aveva m otivo di lagnarsi. Poi vide che lo spazioporto abbandonato continuava a scivolargli accan to con non diminuita velocità. Ne stava sorvolan do la periferia marginale; il suo orlo lacerato passò e non eclissò oltre, parzialm ente, le stelle. Pochi m inuti an cora, ed era rim asto indietro. Il suo destino non si trovava lì… ma m olto più avanti, nell’enorm e sole rosso verso il quale la capsula stava ora in equivocabilm ente dirigendosi e cadendo. INFERNO Adesso esisteva soltanto il rosso sole che colm ava il cielo da un ’estrem ità all’altra. Così vicino che la sua superficie non era più fermata nell’im m obilità dalla pura scala delle proporzioni. Si vedevano noduli luminosi spostarsi avanti e in dietro, cicloni di gas ascendenti e discendenti, prom in enze che lentam ente si proiettavano verso il cielo. Lentam ente? Dovevano sollevarsi a m ilioni di chilom etri l’ora perché i loro m ovim enti gli riuscissero percettibili… Non tentò nem m eno di rendersi conto delle dim ension i dell’in ferno verso il quale stava discendendo. Le imm ensità di Saturno e di Giove lo avevano sconfitto durante il passaggio della Discovery in quel sistem a solare orm ai separato da lui da una distanza ign ota e sconfinata. Ma tutto quello che vedeva adesso era cento volte più gran de; non poteva fare altro che accettare le – 214 – im m agini dalle quali la sua m ente era inondata, senza interpretarle. Mentre quel m are di fuoco si espan deva sotto di lui, Bowm an avrebbe dovuto sentirsi atterrito… e invece, per quanto fosse stran o, provava soltanto una blanda apprensione. Non che la sua m ente fosse stordita da sim ili m eraviglie; la logica gli diceva che doveva trovarsi senza dubbio sotto la protezion e di una intelligenza dom inante e quasi onnipotente. Si trovava orm ai così vicino al sole rosso che sarebbe bruciato in un attim o se la radiazione dell’astro non fosse stata tenuta a bada da qualche scherm o in visibile. E durante il viaggio era stato assoggettato ad accelerazioni che lo avrebbero schiacciato all’istante… eppure non aveva sentito nulla. Se ci si era data tanta pena per salvarlo, poteva ancora sperare. La capsula stava seguendo adesso un dolce arco quasi parallelo alla superficie della stella, m a che lentam ente si abbassava verso di essa. E ora, per la prim a volta, Bowman incom inciò a percepire rum ori. Si udiva un rombo debole e continuo, nel quale si inserivano di quan do in quando crepitii com e di carta lacerata o di fulm ini lontani. Questa poteva essere soltanto l’eco debolissima di una cacofonia inimm aginabile; l’atm osfera che lo circondava doveva essere percorsa da vibrazioni tali da disintegrare in atom i qualsiasi oggetto m ateriale. Eppure era protetto da quel tumulto stritolatore efficacem ente com e dall’altissim a temperatura. Sebbene cortin e di fiam m e alte m igliaia di chilom etri si stessero sollevando e riabbassando adagio intorno a lui, egli era com pletam ente isolato da tutta questa violenza. Le energie della stella gli infuriavano accanto com e se si fossero trovate in un altro universo; la capsula si spostava tran quillam ente in m ezzo a esse senza sobbalzi e senza essere toccata dal calore. Gli occhi di Bowm an, non più disperatam ente confusi dalla novità e dalla gran diosità della scena, incomin ciarono a scorgere particolari che dovevano essere stati presenti anche prima, m a che an cora egli non era riuscito a percepire. La superficie di – 215 – quella stella non era un caos inform e; an che là regnava un ordine, com e in tutto ciò che la natura aveva creato. Notò anzitutto i piccoli vortici di gas, probabilm ente non più gran di dell’Asia o dell’Africa, che si spostavan o sulla superficie dell’astro. A volte riusciva a guardare direttam ente in un o di essi e a scorgere zone più scure e più fredde m olto in basso. Strano a dirsi, sembravano non esservi m acchie solari; forse le m acchie eran o una malattia tipica della stella che splendeva sulla Terra. E v’eran o di quando in quando nubi, simili a fili di fum o spazzati via dinanzi a una tempesta. Forse si trattava effettivam ente di fum o, poiché quel sole era così freddo che poteva esistervi vero fuoco. Com posti chim ici potevano formarvisi e resistere per alcuni secondi prima di essere nuovam ente disintegrati dalla più ardente violenza nucleare che li circondava. L’orizzonte stava diventan do più lum inoso, il suo colore passava dal rosso scuro al giallo, al blu, e a un viola acceso. La Nana Bianca stava salendo all’orizzonte e trascin ava dietro di sé l’onda di m area form ata di sostanza solare. Bowm an si fece scherm o agli occhi per ripararli dal bagliore in tollerabile del piccolo sole e osservò la sconvolta superficie della stella che il cam po gravitazionale della Nana Bianca stava risucchian do verso il cielo. Una volta aveva visto una trom ba m arina spostarsi sulla superficie del Mar dei Caraibi; questa torre di fiam m a aveva pressappoco la stessa form a. Soltanto che le proporzioni eran o leggerm ente diverse in quanto, alla sua base, la colonna era probabilm ente più larga del pianeta Terra. E poi, imm ediatam ente sotto di sé, Bowm an notò qualcosa che era senza dubbio nuovo, in quanto difficilm ente avrebbe potuto non scorgerlo se fosse già stato lì. In m ovim ento sull’oceano di gas lumin oso v’eran o m iriadi di perle lucenti; splendevan o di una luce m adreperlacea che aum entava e svaniva in un periodo di pochi secondi. E andavano tutte nella stessa direzione, com e salm oni che risalgano un fium e; a volte si spostavano avan ti e indietro, in m odo da in tersecare le loro traiettorie, m a senza toccarsi mai. – 216 – Ve n’eran o a migliaia, e quanto più a lungo Bowm an le fissava, tanto più si persuadeva che i loro m ovim enti dovevano essere in tenzionali. Si trovavano troppo lontane da lui per consentirgli di scorgere un particolare qualsiasi della loro struttura; il fatto che riuscisse anche soltanto a scorgerle in quel panorama colossale significava che dovevano avere un diam etro di decine e forse di centinaia di chilom etri. Se si trattava di entità organizzate, erano in vero leviatani, creati sulla stessa scala del m ondo che abitavano. Forse potevano essere soltanto nubi di plasm a, aventi una stabilità temporanea grazie a qualche com binazione bizzarra di forze naturali… com e le sfere a breve durata del fulmin e globulare, che an cora lasciava in terdetti gli scienziati terrestri. Era questa una spiegazione sem plice, e forse tran quillizzan te; m a Bowm an, contem plando quel fluire di dim ensioni stellari, non riuscì a credervi realm ente. Gli splendenti noduli di luce sapevano dove stavano an dando; volutam ente convergevan o verso il pilastro di fuoco sollevato dalla Nana Bianca in orbita sopra di loro. Bowm an fissò an cora una volta quella colonna ascendente, che ora m arciava lungo l’orizzonte, sotto la minuscola e massiccia stella dalla quale era com andata. Poteva mai essere pura im m aginazione… oppure v’eran o davvero chiazze di più vivida lum inosità che si in erpicavan o su per quell’im m enso geyser di gas, com e se m iriadi di scintille splendenti si fossero unite form an do in teri contin enti di fosforescenza? L’idea era quasi di là dalla fan tasia, m a forse egli stava assistendo, nientem eno, a una migrazione da stella a stella, attraverso un ponte di fuoco. Probabilm ente, non avrebbe mai potuto sapere se si trattasse di un m ovim ento di bestie cosm iche prive di in telligenza, guidate nello spazio da qualche cieco im pulso sim ile a quello dei topi artici, o di una vasta riunione di entità in telligenti. Si stava m uovendo in un nuovo ordine della creazione, che pochi uomini avevano mai sognato. Di là dai regni del mare e della terra, dell’aria e dello spazio, si stendevano i regni del fuo- – 217 – co, e a lui solo era toccato il privilegio di intravederli. Sarebbe stato troppo aspettarsi che potesse anche capirli. ACCOGLI E N ZA Il pilastro di fuoco si stava spostan do oltre l’orlo del Sole, com e una tempesta che scompare oltre l’orizzonte. I rapidi punti lum inosi non si m uovevano più sullo sfondo dell’ardente e rosso paesaggio stellare, ancora m igliaia di chilom etri più in basso. All’interno della sua capsula, protetto da un ambiente che avrebbe potuto annientarlo in un millisecondo, David Bowm an aspettava qualsiasi cosa gli fosse stata preparata. La Nana Bianca si abbassava rapidam ente verso l’orizzonte, seguendo velocissima la sua orbita; pochi attim i dopo lo toccò, lo in cendiò e scomparve. Un falso crepuscolo discese sull’inferno sottostante e, nell’im provviso cambiam ento di luce, Bowm an si accorse che qualcosa stava accadendo nello spazio in torno a lui. Il m ondo del sole rosso parve incresparsi, com e se egli lo avesse guardato attraverso acqua corrente. Per un m om ento si dom an dò se non si trattasse di un effetto di rifrazione, causato forse dal passaggio di un’onda d’urto in solitam ente violenta attraverso l’atm osfera torm entata nella quale era im m erso. La luce stava dileguando; si sarebbe detto che stesse per scendere un secondo crepuscolo. Involontariam ente, Bowm an guardò in alto, poi, sonnacchiosam ente, corresse se stesso ricordan do che lì la prin cipale sorgente di luce non era il cielo, m a il m ondo fiamm eggian te sotto di lui. Parve che le pareti di qualche m ateriale sim ile a vetro affum icato si stessero ispessendo intorno a lui, escludendo il rosso bagliore e oscurando lo scenario, che divenn e sem pre e sem pre più buio; anche il rombo som m esso degli uragani solari si atte– 218 – nuò. La capsula galleggiava nel silenzio e nella notte. Un mom ento dopo vi fu il più som m esso dei tonfi, m entre si posava su una superficie dura e si ferm ava. Su che cosa si era ferm ata? si dom an dò Bowman , incredulo. Poi la luce tornò; e l’incredulità cedette il posto a una disperazione che gli strinse il cuore… poiché, vedendo quanto lo circondava, si rese conto che doveva essere im pazzito. Era preparato, si disse, a qualsiasi prodigio. La sola cosa che non si sarebbe mai aspettato era la più assoluta banalità. La capsula poggiava sul pavim ento lucidato di un elegante e an onimo appartam ento d’albergo che si sarebbe potuto trovare in qualsiasi grande città della Terra. Egli stava contem plando un soggiorno nel quale si trovavano un tavolino da caffè, un divan o, una dozzina di sedie, uno scrittoio, varie lam pade, una libreria riem pita a m ezzo di volum i, con alcune riviste posate su di essa, e persino un vaso di fiori. A una parete figurava Il ponte di Arles, di van Gogh; a un’altra Il m ondo di Cristina, di Vyeth. Egli fu certo che, aprendo il cassetto di quella scrivania, vi avrebbe trovato una Bibbia… Se davvero era pazzo, le sue allucinazioni sem bravan o m irabilm ente organizzate. Tutto era assolutam ente reale, e nulla scompariva quando voltava le spalle. Il solo oggetto assurdo in quello scenario, e senz’altro vistosissim o, era la capsula. Per m olti minuti, Bowman non si m osse dal sedile. Si era quasi aspettato che la vision e in torno a lui scomparisse; in vece continuò a restare concreta com e tutto ciò che aveva visto in vita sua. Era davvero reale… oppure si trattava di un fan tasma dei sensi evocato così superbam ente che non esisteva il m odo di distinguerlo dalla realtà. Forse si trattava di una specie di esperim ento; in tal caso, non soltanto il suo destin o, m a anche quello del genere um ano potevano benissim o dipendere da com e egli avrebbe reagito nei prossim i m inuti. Avrebbe potuto rim anere seduto dov’era e aspettare che qualcosa accadesse, oppure gli sarebbe stato possibile aprire la capsula e uscirne per accertare se la scena dalla quale era cir- – 219 – condato fosse reale. Il pavim ento sem brava essere solido; per lo m eno, stava sopportando il peso della capsula. Non era probabile che lui vi affondasse… di qualunque cosa potesse trattarsi. Ma riman eva pur sem pre l’interrogativo dell’aria; per quanto ne sapeva lui, quella stanza poteva trovarsi nel vuoto, o contenere un ’atm osfera velenosa. Gli parve m olto im probabile: nessuno si sarebbe dato tan ta pena senza provvedere a un particolare così essenziale; m a non intendeva esporsi a rischi inutili. In ogni caso, gli anni di addestramento lo rendevan o diffidente della contam inazione; era riluttante a esporsi a un pericolo ign oto, fino a quando non fosse stato certo che non rim anevano altre alternative. Quel luogo sem brava una cam era d’albergo in qualche località degli Stati Uniti. Ma ciò non m odificava il fatto che, in realtà, egli doveva trovarsi a centinaia di anni-luce dal sistem a solare. Chiuse il casco della tuta, sigillan dovisi dentro, quindi azion ò l’apertura autom atica del portello della capsula. Si udì il sibilo breve dell’equalizzazion e della pression e; poi egli uscì nella stanza. A quanto poteva capire, si trovava in un n orm alissim o cam po di gravità. Alzò un braccio, poi lo lasciò cadere liberam ente. Andò a urtare contro il suo fian co in m eno di un secondo. Ciò fece sì che tutto sembrasse doppiam ente irreale. Indossava una tuta spaziale ed era in piedi, m entre avrebbe dovuto fun zionare a dovere soltanto in assenza di gravità. Tutti i suoi norm ali riflessi di astronauta erano sconvolti; doveva riflettere prim a di com piere qualsiasi m ovim ento. Simile a un uom o in stato di trance, avanzò adagio dalla m età della stanza n uda e n on arredata in cui si trovava, all’altra m età. Non scomparve, com e si era quasi aspettato, m entre si avvicinava, m a riman eva perfettam ente reale… e in apparenza del tutto solida. Si ferm ò accan to al tavolin o da caffè. Su di esso si trovava un norm ale videotelefono sistema Bell, con tanto di elenco telefonico locale. Si chinò e prese il volum e con le goffe m ani guan tate. – 220 – Nei caratteri familiari che aveva veduto m igliaia di volte lesse il nom e WASHINGTON D.C. Esaminò allora l’elenco più da vicino; e, per la prim a volta, ebbe la prova obiettiva del fatto che, an che se tutto ciò poteva essere reale, non si trovava sulla Terra. Riusciva a leggere soltanto la parola W ashington; il riman ente testo a stam pa era offuscato, com e se fosse stato copiato dalla fotografia oli un giornale. Aprì l’elenco a caso e ne sfogliò le pagin e. Erano tutti fogli bianchi di una sostanza lievem ente increspata e biancastra che senza dubbio non era carta, an che se le som igliava m oltissim o. Alzò il ricevitore del telefono e lo prem ette contro la plastica del casco. Se vi fosse stato il segnale di lin ea libera, avrebbe potuto udirlo attraverso il materiale conduttore. Ma, com e si era aspettato, udì soltanto il silenzio. Sicché… era tutta una finzion e, anche se fan tasticam ente accurata. E ovviam ente non aveva lo scopo di ingannarlo, m a piuttosto, o alm eno lo sperò, di rassicurarlo. Era questa una riflession e molto consolan te; ciò nonostante, non si sarebbe tolto la tuta fino a quando non avesse com pletato l’esplorazione. Tutti i m obili sem bravano abbastan za robusti e solidi; provò le sedie e sostennero il suo peso. Ma i cassetti dello scrittoio non vollero aprirsi; eran o fin ti. Fin ti eran o inoltre i libri e le riviste; com e nel caso dell’elenco telefonico, si potevano leggere soltanto i titoli. Quei volumi form avano una strana biblioteca… si trattava, quasi soltan to, di best-seller piuttosto insignificanti, con alcuni testi di divulgazione sensazionali, e alcune autobiografie cui era stata fatta m olta pubblicità. Tutti quei libri risalivano ad alm eno tre anni prim a e avevano un ben scarso contenuto intellettuale. Non che la cosa im portasse, perché non potevano nem m eno essere tolti dagli scaffali. V’eran o due porte che si aprirono abbastanza facilm ente. La prim a lo condusse in una piccola, m a com oda cam era da letto, con uno scrittoio, due sedie, in terruttori della luce che funzionavano effettivam ente e un arm adio per i vestiti. Bowman aprì quest’ultim o e vide quattro abiti, una veste da cam era, una doz- – 221 – zina di camicie bianche e parecchi capi di biancheria, il tutto appeso in bell’ordin e alle grucce. Prese un o dei vestiti e lo osservò attentam ente. A quanto poté giudicare con le m an i guantate, era fatto di un a stoffa più sim ile a pelliccia che a lana; era inoltre un po’ fuori m oda; sulla Terra, da alm eno quattro anni, nessuno aveva più indossato giacche a un solo petto. Adiacente alla cam era da letto si trovava un bagno al com pleto di im pianti igienici che, lo constatò con sollievo, non eran o finti, m a funzionavano in m odo norm alissim o. E dopo il bagno veniva un cucinino, con fornelli elettrici, frigorifero, m ensole, vasellam e e posate, acquaio, tavolo e sedie. Bowm an incom inciò a esplorare tutto ciò non soltanto con curiosità, ma an che con un crescente appetito. Dapprim a aprì il frigorifero e ne uscì un ’ondata di gelida nebbia. I ripiani eran o pieni zeppi di scatole di cartone e di barattoli, tutti assolutam ente fam iliari da una certa distanza, anche se da vicin o le etichette risultavano offuscate e illeggibili. In ogni m odo, appariva ovvia l’assenza di uova, latte, burro, carne, frutta, o di ogni altro genere comm estibile non lavorato; il frigorifero conteneva soltanto viveri conservati. Bowm an prese la scatola di cartone di una nota marca di cereali e pensò in tanto che era stran o tenerla in frigorifero. Non appena sollevò la scatola, seppe con certezza che non conteneva fiocchi di granoturco; era di gran lun ga troppo pesante. Aprì il coperchio ed esam inò il contenuto. Nella scatola si trovava una sostanza blu lievem ente um ida, che aveva pressappoco lo stesso peso e lo stesso aspetto del puddin g di pane. A parte il colore bizzarro, sem brava m olto appetitosa. Ma questo è ridicolo, pensò Bowm an . Mi sorvegliano quasi certam ente, e devo sem brare un idiota con questa tuta spaziale. Se si tratta di una sorta di test dell’intelligenza, probabilm ente ho già fatto fiasco. Senza più esitare, tornò nella cam era da letto e in com inciò ad allentare la chiusura del casco. Poi sollevò il casco di una frazione di centim etro, spezzò il sigillo e fiutò con – 222 – cautela. A quanto poteva capire, stava respirando aria perfettam ente norm ale. Lasciò cadere il casco sul letto e incom inciò con sollievo, m a alquanto rigidam ente, a togliersi la tuta. Quando ebbe finito, si stiracchiò, trasse alcuni profondi respiri e, con cautela, appese la tuta spaziale tra gli indum enti più convenzionali nell’arm adio. Aveva un aspetto alquanto bizzarro là dentro, m a il senso dell’ordine che Bowman condivideva con tutti gli astronauti non gli avrebbe m ai consentito di m etterla altrove. Tornò poi rapidam ente in cucina e in comin ciò a esam inare m eglio la scatola di «cereali». Il pudding di pan e azzurro aveva un lieve odore arom atico, alquan to simile a quello di un amaretto. Bowm an lo soppesò nella m ano, poi ne staccò un pezzo e prudentem ente lo fiutò. Sebbene fosse orm ai certo che non sarebbe stato fatto alcun tentativo deliberato di avvelenarlo, sussisteva pur sem pre la possibilità di errori… specie in un cam po com plicato com e quello della biochim ica. Rosicchiò alcun e briciole, poi m asticò e in ghiottì il pezzo di cibo; era eccellente, sebbene avesse un sapore così elusivo da essere quasi indescrivibile. Chiudendo gli occhi, poteva imm aginare che fosse carne, o pane in tegrale, o an che frutta fresca. A m eno che non vi fossero stati effetti ritardati e im previsti, non c’era da tem ere la m orte per in edia. Dopo aver inghiottito pochi altri bocconi della sostanza, sentendosi già com pletam ente sazio, cercò qualcosa da bere. V’era una m ezza dozzina di barattoli di birra, an che quelli di una m arca notissima, in fondo al frigorifero, ed egli prem ette la lin guetta di uno di essi per aprirlo. Il coperchio m etallico cedette lun go le lin ee prestabilite, esattam ente com e il solito; m a il barattolo non conteneva birra. Con stupore e delusione di Bowman conteneva anch’esso il cibo azzurro. In pochi secondi egli aveva aperto una m ezza dozzina di altre scatole e di altri barattoli. Comunque fossero le etichette, il contenuto era sem pre identico; sembrava che la sua dieta sarebbe stata un po’ m onotona, e che avrebbe dovuto limitarsi a bere – 223 – acqua. Riem pì un bicchiere al rubinetto della cucina e sorseggiò con cautela. Sputò subito le prim e poche gocce; il sapore era terribile. Poi, vergognan dosi alquan to della propria reazione istin tiva, si costrin se a bere il resto. Il prim o sorso gli era bastato a riconoscere il liquido. Era pessim o perché non aveva alcun sapore; dal rubin etto usciva acqua pura e distillata. Gli ign oti anfitrioni dai quali era ospitato non intendevano ovviam ente correre rischi per quanto concerneva la sua salute. Sentendosi m olto rinfrescato, fece alla svelta la doccia. Non c’era sapone, un ’altra piccola scom odità, m a esisteva un efficientissim o asciugatore ad aria calda nel cui soffio si crogiolò per qualche tempo prim a di provarsi la biancheria e la vestaglia tolte dall’arm adio. In seguito si distese sul letto, fissò il soffitto e si sforzò di capire qualcosa in quella situazione fantastica. Aveva progredito ben poco, quando fu distratto da un nuovo corso di pensieri. Imm ediatam ente sopra il letto si trovava il solito scherm o televisivo tipo-albergo, applicato al soffitto; egli aveva presunto che fosse finto, com e il telefono e i libri. Ma il quadro di com ando sul braccio girevole accanto al letto sem brava così realistico, che non seppe resistere alla tentazione di trastullarsi con esso; e quando sfiorò con le dita il disco sensorio ACCESO, lo scherm o si illumin ò. Febbrilm ente incom inciò a fare scattare a caso il selettore dei canali e quasi subito ottenne la prim a im magine. Era un noto com m entatore africano che parlava dei tentativi com piuti per preservare gli ultimi residui della fauna nel suo paese. Bowm an ascoltò per qualche secondo, così affascinato dal suono di una voce um ana, da non curarsi m inimam ente di quanto l’uom o stava dicendo. Poi cam biò canale. Nei cinque m inuti che seguirono passò da un ’orchestra sinfonica che suonava il Concerto per violino di Walton, a una discussione sulle tristi condizioni del teatro, a un western, a una dim ostrazion e sulla nuova terapia contro il m al di capo, a un gioco di gruppo in qualche lin gua orientale, a un dram ma psico- – 224 – logico, a tre diversi telegiornali, a una partita di calcio, a una conferenza sulla geom etria solida (in russo), a num erosi m onoscopi. Si trattava, in effetti, di una scelta perfettam ente norm ale tra i program m i televisivi norm ali e, a parte il conforto psicologico che gli diede, conferm ò un sospetto già form atosi nella sua m ente. Tutti i program mi risalivano a circa due an ni prim a. Pressappoco al periodo, cioè, in cui era stato scoperto il AMT-1, e si stentava a credere che si trattasse di una pura coincidenza. Qualcosa aveva sorvegliato le onde radio; quel blocco di ebano si era dato m olto più da fare di quanto gli uomini avessero sospettato. Continuò a passare da un program m a all’altro, e a un tratto riconobbe una scena familiare. Ecco il suo stesso appartam ento, sullo scherm o televisivo occupato da un celebre attore in tento a scagliarsi furiosam ente contro un’aman te infedele. Bowm an contem plò e riconobbe trasalendo il soggiorno dal quale era appena uscito… e quando la telecam era seguì la coppia indignata verso la cam era da letto, in volontariam ente guardò nella direzione della porta per vedere se qualcun o stesse entrando. Sicché, così avevano preparato per lui il luogo in cui era stato accolto; i suoi anfitrioni avevano basato le loro idee in m erito alla vita dei terrestri sui programm i televisivi. La sua sensazion e di trovarsi in un o scenario cinem atografico aveva corrisposto quasi letteralm ente al vero. Per il m om ento aveva saputo tutto ciò che gli prem eva, e spense il televisore. Che cosa faccio adesso? si dom andò, intrecciando le dita dietro la nuca e fissando lo scherm o spento. Era fisicam ente ed em otivam ente esausto, eppure gli sem brava im possibile che si potesse dorm ire in un ambiente così fan tastico, e più lontan o dalla Terra di quanto si fosse m ai spinto ogni altro uom o nella storia. Ma il com odo letto e la saggezza istintiva dell’organismo vinsero la sua volontà. Cercò an naspando l’interruttore della luce e la stanza piom bò nell’oscurità. Pochi secondi dopo egli era affondato di là dalla portata dei sogni. – 225 – E così, per l’ultima volta, David Bowm an dorm ì. R I CAP I TOLAZI ON E Poiché non avevano più alcun o scopo, i m obili dell’appartam ento tornarono a dissolversi nella m ente del loro creatore. Soltan to il letto rimase… insiem e alle pareti che proteggevan o quel fragile organism o dalle energie non an cora assoggettate al suo controllo. Nel sonn o, David Bowman si m osse irrequieto. Non si destò, e non sognò, m a non era più del tutto in conscio. Simile alla nebbia insinuantesi in una foresta, qualcosa gli invase la m ente. La sentì soltanto vagam ente, perché se l’avesse percepita nella sua in terezza la cosa lo avrebbe distrutto im mancabilm ente com e i fuochi che infuriavano dietro quelle pareti. Sottoposto allo spassionato scrutinio, egli non provò né speranza né tim ore; ogni stato d’anim o era eliminato. Gli sembrava di galleggiare nello spazio vuoto, m entre in torno a lui si stendeva, in tutte le direzioni, un’infinita griglia geom etrica di scure lin ee, o di scuri fili, sulla quale si muovevano m inuscoli noduli di luce… alcuni adagio, altri a velocità fantastiche. Un a volta egli aveva osservato al m icroscopio un a sezione trasversale di cervello um ano, e n ella rete di fibre nervosa aveva in travisto la stessa labirin tica complessità. Ma quel cervello era m orto e statico, m entre questo trascendeva la vita stessa. Bowm an sapeva, o credeva di sapere, di assistere al funzionam ento di una m ente gigantesca intenta a contem plare l’universo del quale egli era una così m inima parte. La visione, o allucinazione, si protrasse soltanto per un m om ento. Poi i piani e i tralicci cristallini e le prospettive intersecantisi di luci in m ovim ento baluginarono e cessarono di esistere, m entre David Bowman si trasferiva in un cam po della co– 226 – scienza che nessun altro uom o aveva m ai sperim entato prima di allora. Inizialm ente, parve che il Tem po stesso scorresse all’indietro. Anche questa m eraviglia egli si accin se ad accettare, prim a di essersi reso conto della più sottile verità. Le m olle della m em oria venivano m anipolate; con un ricordo controllato, egli stava rivivendo il passato. Ecco l’appartam ento d’albergo… ecco la capsula… ecco la superficie in fiam m e del sole rosso… ecco il nucleo splendente della galassia… ecco la porta attraverso la quale era rientrato nell’universo. E non soltanto le im m agini, m a tutte le impressioni dei sensi, e tutti gli stati d’anim o provati sul mom ento stavano scorrendo all’indietro, sem pre e sem pre più rapidam ente. La sua vita si stava svolgendo com e il nastro di un registratore che riavvolgesse la bobina a velocità crescente. Adesso si trovava una volta di più a bordo della Discovery e gli an elli di Saturno colm avano il cielo. Poi eccolo ripetere l’ultim o dialogo con Hal. Ed ora vedeva Fran k Poole partire per l’ultima mission e, e udiva la voce della Terra assicurargli che tutto andava bene. E nel m om ento stesso in cui andava rivivendo tutti questi eventi, sapeva che ogni cosa an dava bene, effettivam ente. Indietreggiava lungo i corridoi del Tem po, veniva svuotato di conoscenza ed esperienza e correva velocem ente verso la propria in fanzia. Ma nulla era perduto; tutti gli avvenim enti determ in atisi in ogni m om ento della sua vita venivano affidati a una più sicura custodia. Nel m om ento stesso in cui un David Bowman cessava di esistere, un altro Bowman diventava im m ortale. Più velocem ente, più velocem ente retrocedette in an ni dim enticati e in un m ondo più sem plice. Volti che un tem po aveva am ato, volti che aveva creduto perduti in m odo irrecuperabile, gli sorrisero dolcem ente. Ricam biò il sorriso con tenerezza, e senza sofferenza. Ora, finalm ente, la regressione a capofitto stava rallentando; i pozzi della m em oria erano quasi prosciugati. Il Tem po in com in ciò a scorrere sem pre più pigram ente, avvicinandosi a un – 227 – m om ento di stasi… così com e il pendolo oscillante, giun to al lim ite del proprio arco, sem bra im m obilizzato per un attim o eterno, prim a di iniziare il ciclo successivo. L’istante senza tempo passò; il pendolo in vertì la propria oscillazion e. In una stanza vuota, galleggian te tra le fiam m e di una stella doppia situata a ventim ila anni-luce dalla Terra, un neonato aprì gli occhi e comin ciò a strillare. TR ASF OR M AZI ON E Poi tacque, constatando di non essere più solo. Un o spettrale, baluginante rettangolo si era form ato nell’aria vuota. Si solidificò in un m onolito di cristallo, perdette la propria trasparenza e si soffuse di lum in osità pallida e lattea. Allettanti, m al definiti fantasm i si m ossero sulla sua superficie e nelle sue profondità. Si fusero in sbarre di luce e d’om bra, poi form arono disegni in tersecan tisi e raggiati che in comin ciarono a ruotare adagio, assecondando il tempo del ritm o pulsan te che sem brava colmare adesso l’in tero spazio. Era un o spettacolo tale da monopolizzare e im pegnare l’attenzione di qualsiasi bam bino… o di qualsiasi uom oscim m ia. Ma, com ’era accaduto tre m ilioni d’anni prim a, esso costituiva soltanto la manifestazione esteriore di forze troppo sottili per poter essere percepite consapevolm ente. Era un m ero giocattolo per distrarre i sensi, mentre il processo reale veniva attuato a livelli di gran lun ga più profondi di quelli della m ente. Questa volta il processo fu rapido e sicuro, m entre la nuova tram a veniva intessuta. Perché, nelle ere trascorse dall’ultim o in contro, m olte cose eran o state apprese dal tessitore; e il m ateriale sul quale egli esercitava adesso la propria arte era di una fibra infinitam ente più fin e. Ma se al soggetto sarebbe stato – 228 – consentito di entrare a far parte dell’arazzo in formazion e, soltanto il futuro avrebbe potuto dirlo. Con occhi che già erano capaci di qualcosa di più dell’attenzione umana, il bambin o fissò le profondità del m onolito di cristallo, vedendo, senza però an cora capirli, i misteri che si celavano più oltre. Seppe di essere tornato, seppe che lì era l’origine di m olte razze oltre alla sua; m a seppe an che che non poteva rim anere. Di là da quel m om ento, si trovava un’altra nascita, più strana di ogni altra del passato. Adesso il m om ento era giunto; i disegni splendenti non echeggiavano più i segreti nel cuore di cristallo. Mentre essi si spegnevano, anche le pareti protettive dileguarono nell’inesistenza dalla quale eran o fuggevolm ente em erse, e il sole rosso colm ò il cielo. Il m etallo e la plastica della capsula dim enticata e gli indum enti indossati un tempo da un’entità che si era chiamata David Bowm an, avvam parono in una fiam m ata. Gli ultimi legam i con la Terra eran o scomparsi, risolti negli atomi che li com ponevano. Ma il bam bino quasi n on se ne accorse, m entre si adattava alla piacevole lumin osità del suo nuovo am biente. Gli occorreva an cora, per qualche tempo, questo guscio di m ateria com e centro focale delle sue capacità. Il suo corpo indistruttibile era l’attuale imm agin e m entale che egli aveva di se stesso; e, non ostante tutte le sue capacità, sapeva di essere an cora un bam bino. Tale sarebbe rim asto finché non si fosse deciso per una nuova form a, o non fosse passato oltre le necessità della m ateria. E adesso era giun to il m om ento di an dare… anche se, in un certo senso, non avrebbe mai abbandonato quel luogo ove era rinato, perché sem pre avrebbe fatto parte dell’entità che si avvaleva della stella doppia per i suoi scopi im perscrutabili. La direzione, an che se non la natura, del suo destin o gli appariva chiara, e non v’era alcuna necessità di seguire la via tortuosa lungo la quale era venuto. Con gli istinti di tre m ilioni di anni, egli in tuiva adesso che esistevan o altre vie oltre a quella dietro il fondo – 229 – dello spazio. Gli antichi m eccanism i della Porta delle Stelle lo avevan o servito bene, ma lui n on ne avrebbe più avuto bisogno. La baluginante form a rettangolare che un tempo era sembrata soltanto una lastra di cristallo continuava a galleggiare davanti a lui, in differente com e egli lo era alle fiam m e innocue dell’in ferno sottostan te. Essa racchiudeva segreti non an cora penetrati di spazio e di tempo, m a alcuni di essi, alm eno, il bambin o adesso li capiva ed era in grado di dom inarli. Com e era ovvio, com e era necessario, il rapporto m atem atico dei lati del m onolito, la sequenza dei quadrati, 1 : 4 : 9! E quale ingenuità avere im m aginato che la serie term inasse a quel punto, con appena tre dim ensioni! Mise a fuoco la propria m ente su quelle sem plicità geom etriche e m entre i suoi pensieri le sfioravano, la vuota struttura si colm ò delle tenebre della notte interstellare. Il bagliore del sole rosso si attenuò… o, piuttosto, parve in dietreggiare in tutte le direzioni contem poraneam ente; e là, dinanzi a lui, ecco il vortice lum inoso della galassia. Sarebbe potuto essere un o splendido m odello, in credibilm ente particolareggiato, in cluso in un blocco di plastica. Ma era la realtà, percepita com e un tutto m ediante sensi orm ai più sottili della vista. Volendo, avrebbe potuto accentrare la propria attenzion e su una qualsiasi tra i cento m iliardi di stelle; e avrebbe potuto fare ancora m olto di più di questo. Adesso era lì, alla deriva nel gran fium e di soli, a m ezza via tra i fuochi arginati del nucleo galattico e le solitarie, sparse stelle-sentin ella del m argine. E là egli desiderava trovarsi, al lato opposto di quel baratro nel firm am ento, in quella fascia serpentin a di tenebre, priva di ogni stella. Sapeva che quel caos inform e, visibile soltan to grazie al bagliore che ne m iniava gli orli provenendo da fuochi-nebbia m olto più rem oti, era la sostanza an cora inutilizzata della creazione, la m ateria prima di evoluzioni an cora a venire. Lì, il Tem po non era comin ciato; fino a quando i soli che ardevan o adesso non si fossero spenti da tempo, la luce e la vita non avrebbero riplasm ato quel vuoto. – 230 – Involontariam ente, egli lo aveva attraversato una volta; ora doveva riattraversarlo, quest’altra volta di sua volontà. Il pensiero lo colm ò di un im provviso, raggelante terrore, e così, per un m om ento, si sentì com pletam ente disorientato e la sua nuova visuale dell’un iverso trem ò e m inacciò di frantum arsi in mille pezzi. Non era la paura degli abissi galattici a gelargli l’anima, ma un ’in quietudin e più profonda, che scaturiva dal futuro non nato. Aveva lasciato infatti, dietro di sé, i m etri del tempo della sua origine um ana; ora, m entre contem plava quella fascia di notte senza stelle, ebbe le prim e in tuizioni dell’eternità che sbadigliava din anzi a lui. Ricordò allora che non sarebbe mai stato solo, e il panico defluì adagio. La percezione, lim pida com e cristallo, dell’universo venn e restaurata in lui… ma, lo sapeva, non esclusivam ente grazie ai suoi sforzi. Quando avesse avuto bisogno di una guida nei suoi prim i passi esitanti, la guida sarebbe stata là. Fiducioso una volta di più, com e un tuffatore acrobatico che abbia ritrovato il coraggio, si lanciò attraverso gli anni-luce. La galassia proruppe dalla cornice mentale nella quale l’aveva racchiusa; stelle e nebulose gli si riversarono accan to in una illusion e di velocità infinita. Soli-fantasm a esplosero e rim asero in dietro, m entre egli scivolava com e un’ombra attraverso i loro nuclei; il freddo, tenebroso deserto della polvere cosm ica che un tempo egli aveva paventato non parve altro che il battito di un ’ala di corvo contro la superficie del Sole. Le stelle si stavano diradando; lo splendore della Via Lattea si attenuava e diveniva un pallido spettro dello splendore ch’egli aveva conosciuto… e che, una volta pronto, avrebbe conosciuto di nuovo. Era tornato, precisam ente dove voleva essere, nello spazio che gli uom ini definivano reale. – 231 – BAM BI N O - D E LLE - STE LLE Là, dinanzi a lui, luccicante giocattolo cui nessun Bam binodelle-Stelle avrebbe potuto resistere, galleggiava il pianeta Terra con tutte le sue genti. Era tornato in tempo. Laggiù, su quel globo grem ito, gli allarm i sarebbero balenati sugli scherm i radar, i gran di telescopi di puntamento avrebbero frugato i cicli… e la storia, così com e gli uomini la conoscevan o, si sarebbe avvicinata al term ine. Milleseicento chilom etri più in basso egli si accorse che un assopito carico di m orte si era destato e si stava muovendo pigram ente lun go la sua orbita. Le deboli energie che conteneva non costituivan o per lui una possibile m inaccia; m a preferiva un cielo più pulito. Fece valere la propria volontà e i m egatoni in orbita fiorirono in una detonazione silenziosa che portò un’alba breve e falsa su m età del globo addorm entato. Poi aspettò, chiaman do a raccolta i propri pensieri e m editando sui propri poteri non an cora posti alla prova. Poiché, sebbene fosse il padrone del m ondo, non sapeva bene an cora che cosa fare in seguito. Ma avrebbe escogitato qualcosa. FI N E – 232 – – 233 –