Fiumi e città
Un amore a distanza
Volume I
Corsi d’acqua dell’Alto Adriatico
a cura di Giorgio Osti
PADOVA
UP
P A D O V A
U N I V E R S I T Y
P R E S S
Prima edizione 2021, Padova University Press
Titolo originale: Fiumi e città. Un amore a distanza
© 2021 Padova University Press
Università degli Studi di Padova
via 8 Febbraio 2, Padova
www.padovauniversitypress.it
Redazione Padova University Press
Progetto grafico Padova University Press
ISBN 978-88-6938-254-3
This work is licensed under a Creative Commons Attribution International License
(CC BY-NC-ND) (https://creativecommons.org/licenses/).
Fiumi e città. Un amore a distanza
Vol. 1
Corsi d’acqua dell’Alto Adriatico
a cura di Giorgio Osti
PADOVA
UP
Indice
Prefazione
7
1 - Relazioni socio-fluviali nelle città della valle del Po.
Un quadro analitico
Giorgio Osti
9
2 - Isonzo-Soča: un ponte per la città transconfinaria
di Gorizia-Nova Gorica
Giovanni Carrosio
29
3 - Pordenone e il Noncello
Elisa Cozzarini
39
4 - Treviso, là dove Sile e città non s’accompagna
Giulia Beraldo, Irene Granzotto, Arianna Lorenzon, Fabio Tullio
49
5 - Belluno e la Piave. Verso una rilocalizzazione delle politiche sul fiume?
Monica Camuffo, Silvio Cristiano
59
6 - Padova e le infrastrutture d’acqua
Paolo Giardullo
69
7 - L’Adige e Verona: una relazione socio-spaziale ambivalente
Natalia Magnani
79
8 - Forme dell’acqua e della città. Rovigo e la presenza dei fiumi
Alessandro Massarente
89
9 - Dalla difesa idraulica agli usi sociali, il Talvera bolzanino come
patrimonio ecologico e interculturale
Fabio Carnelli, Stefano Terzi, Vittoria Scorpio, Lydia Pedoth, Silvia Cocuccioni
101
10 - TRIDENTUM FUTURA. Triangol-azioni per la riqualificazione
del fiume Adige a Trento
Renato Bocchi, Emanuela Schir
111
11 - Ferrara e il Po di Volano. Riflessione su uno spazio dimenticato
Alfredo Alietti, Romeo Farinella, Giuseppe Scandurra
123
12 - Bologna e il suo artificio idrico
Teresa Carlone, Alessandra Landi
133
13 - La città di Parma ed i suoi torrenti: così vicini, così lontani
Davide Papotti
143
14 - Il Po a Piacenza: un rapporto difficile
Giampaolo Nuvolati
153
15 - Brescia e la sua ‘Méla’, sorgente di ogni forma di vita
Ilaria Beretta
165
16 - Mincio e Mantova: un abbraccio in continua evoluzione
Caterina Bracchi, Francesco Galli
175
17 - Cremona città d’acqua
Susanna Ravelli, Alessio Picarelli
187
18 - La riconquista ambientale e sociale del fiume: il Lambro a Milano
Paola Branduini
199
19 - Governare la natura, naturalizzare la governance: un’analisi
del bacino fluviale del Seveso
Fausto Di Quarto, Veronica Conte
209
20 - L’Olona. Il fiume in frantumi
Simone Tosi
217
21 – Il medio Ticino lombardo: vedere la scarsa visibilità
Sebastiano Citroni
227
22 - Il Tanaro: luoghi, funzioni e attori sociali del fiume ad Asti
Enrico Ercole
237
23 - Aosta città d’acqua. Formazioni socio-tecniche e giochi di potere
Claudio Marciano
247
24 - Quanti sono i fiumi di Torino? Risorse eco-sociali tra centralità e
marginalità
257
Angelo Besana, Egidio Dansero, Emanuele Fantini, Alfredo Mela, Giacomo Pettenati
Riferimenti bibliografici
281
Prefazione
Il libro raccoglie i frutti di una ricerca, nata un po’ per caso, senza un fondo
di finanziamento o una lunga tradizione di studio alle spalle. Chi vi scrive è
sociologo rurale. Nasce dall’intuizione che esista un certo strabismo sui fiumi,
almeno nel loro rapporto con le città. Spesso vengono identificati con le grandi capitali che attraversano. Su questo si è sviluppata su scala mondiale una
fiorente letteratura scientifica e promozionale. In realtà in molte città medie
– prendiamo il caso della Pianura Padana – i fiumi sono sconosciuti oppure deviati, peggio ancora tombinati. Emergono agli onori della cronaca solo quando
straripano.
La causa remota dello strabismo è nota. Finita la funzione commerciale e
industriale dei fiumi, depurate alla bene in meglio le acque reflue, essi sono finiti quasi sempre in una sordina politica e sociale. Ora la questione ambientale
pare stia risvegliando la voglia (e la paura) di acqua nelle città, con piccoli e
grandi progetti di riqualificazione. Si parla anche di blue gentrification. In realtà,
i cambiamenti sono modesti perché i costi, ad esempio dello stombinamento di
un fiume, sono enormi e gli interessi immobiliari consolidati. Però c’è fermento
sociale e si moltiplicano i gruppi di giovani che si dedicano alla pulizia delle
sponde dei fiumi. Insomma micro-cambiamenti che meritavano una pennellata
sociale.
È nata così la ricerca ‘fiumi e città” coinvolgendo un po’ alla volta studiosi
e militanti in un’opera definita di ‘federalismo scientifico’: mettere in rete un
certo numero di referenti locali – accademici e non – chiedendo loro di svolgere
una ricerca sulle formazioni sociali, i giochi di potere e le progettualità urbane
lungo i fiumi delle città capoluogo di provincia del nord Italia.
Non è stato possibile rappresentarle tutte. Ma il progetto si è allargato. E
dalla Pianura Padana sta scendendo verso sud. Nel 2021 si dovrebbe svolgere la
ricerca nel centro e l’anno seguente nel sud Italia. Tre volumi in tutto. In questo,
vi è un capitolo introduttivo, che illustra il quadro analitico e la metodologia,
e 23 casi di studio su città i cui fiumi sfociano nell’Alto Adriatico. Non ci sono
conclusioni né analisi sinottiche; queste sono rimandate al secondo volume in
una sorta di staffetta della ricerca che serve a concatenare il progetto editoriale,
accolto dalla Padova University Press. È la prima ad essere ringraziata per il sostegno all’iniziativa.
8
Prefazione
Il capitolo uno di questo volume servirà da introduzione teorica e metodologica di tutta la triade. Vedremo se e cosa riusciremo a scrivere nelle conclusioni
del secondo e terzo volume. L’intento è anche di consolidare un interesse socio-politico-spaziale attorno al tema acqua in Italia. In altri paesi europei vi sono
interi dipartimenti universitari dedicati a questo scopo. In Italia seguiremo un
altro modello, quel federalismo scientifico già menzionato, che risulta aderente
sia alle tante peculiarità della ricerca nazionale sia alla struttura stessa delle
acque interne; non a caso ora abbiamo Autorità distrettuali che raccolgono più
bacini idrografici.
Il progetto che parte con questo primo volume vorrebbe dunque parlare agli
studiosi in termini transdisciplinari, all’opinione pubblica in termini comprensibili, alla politica in termini efficaci e propositivi. I testi contengono solo timidissimi accenni alle politiche da suggerire. Ci si è attestati sull’intuizione iniziale;
si prova a dar conto dello strabismo o dell’oblio dei corsi d’acqua che bagnano
le città italiane, privilegiando gli attori del quotidiano: militanti ambientalisti,
eco-volontari, assessori all’ambiente e progettisti della riqualificazione. Le idee
e le coalizioni su cosa fare sicuramente emergeranno; diverse sono già in itinere
e ben documentate nei capitoli.
Menzionare tutti per i dovuti ringraziamenti è impresa improba. Solo gli
autori di questo volume sono oltre 40, i quali a loro volta hanno interrogato altre
decine di persone. La gratitudine per una ricerca svolta con spirito di volontariato intellettuale è difficile da esprimere. È ripagata da questa pubblicazione,
sperabilmente dalle due seguenti, e dal piacere della scoperta. Questa è forse
la frase che sintetizza meglio lo sforzo collettivo contenuto in questo volume:
“grazie per averci permesso di indagare e scoprire cose e persone nuove”.
Giorgio Osti
21 – Il medio Ticino lombardo: vedere la scarsa visibilità
Sebastiano Citroni
Università dell’Insubria
Il rapporto tra abitanti del Magentino Abbiatense e fiume Ticino risente di
condizioni locali di scarsa visibilità (Citroni 2016) e inconsistenza della sfera
pubblica, intesa nella sua dimensione quotidiana (de Leonardis 1997). La questione della mancanza di visibilità pubblica è ampia (Brighenti 2010) e riguarda
ambiti d’azione più vasti rispetto a quello indagato ma, osservata dalle rive del
Ticino, essa diventa particolarmente evidente. Più che occasione di ricomposizione, infatti, il fiume nel caso indagato esaspera e rende visibili condizioni
locali di frammentazione sociale e scarsa visibilità. Tali condizioni si manifestano, ad esempio, nel ricorrente carattere privatistico dei molteplici rapporti
con il fiume rilevati nell’area indagata e presentati in questo capitolo. Oppure,
nella sproporzione fra i molti interessi contrastanti che convergono sul fiume e i
pochi conflitti locali rilevati: questa sproporzione rimanda infatti alla debolezza
delle forme di mediazione sociale istituite nel territorio indagato, all’indisponibilità di quelle condizioni collettive necessarie allo sviluppo di processi comunicativi – di messa in comune - tanto consensuali quanto conflittuali.
Dopo aver specificato l’area indagata, nelle prossime pagine sarà sviluppata
l’ipotesi di lettura appena accennata, dando conto della ricerca svolta da maggio
a ottobre 2020115, con riferimento soprattutto a tre aspetti:
- i presupposti storici, geografici e ambientali, nonché le formazioni sociali
associate;
La metodologia è consistita di: a) 14 interviste semi-strutturate (4 attivisti ambientali, 2 agricoltori, 1 tecnico e 1 ex direttore del Parco Lombardo del Ticino, 5 politici locali, 1 regista e 1
dirigente ente locale del servizio idrico integrato); b) 3 escursioni con informatori locali nei boschi
e nel fiume; c) rassegna bibliografica e analisi documentaristica.
115
228
Sebastiano Citroni
-
-
gli usi e le rappresentazioni del fiume e del suo territorio (giochi ricreativi), insieme a dinamiche e giochi di potere per mezzo dei quali si riproduce l’inconsistenza della sfera pubblica locale;
le implicazioni di quest’assenza per la società civile locale e la sua progettualità, sottolineando soprattutto le difficoltà per l’azione collettiva a
strutturarsi in termini di corpi intermedi riconosciuti e attivi nel tradurre
difficoltà situate in problemi pubblici.
Il medio Est Ticino
I confini amministrativi nella sponda sinistra del medio Ticino consentono
una sommaria contestualizzazione del territorio indagato (fig. 21): in particolare, il Magentino Abbiatense costituisce una delle otto “zone omogenee” in cui è
suddivisa la Città Metropolitana di Milano nel suo piano strategico, comprensiva di 28 comuni su una superficie di 360,44 Kmq e con una popolazione di
215.784 abitanti (Città Metropolitana di Milano 2017). Comparativamente alle
altre zone della provincia milanese, si tratta di quella meno densamente popolata, in cui le attività agricole sono più rilevanti e caratterizzata dalla più intensa
crescita demografica negli ultimi anni (Ibidem, p. 17).
Fig. 21 - Il medio est Ticino
Fonte: AaVv. 2006, Fra gli aironi di Milano, Provincia di Milano
Questo contributo indaga i rapporti con il fiume degli abitanti di una parte
del Magentino Abbiatense spesso indicata come (medio) Est Ticino: territorio
dai confini laschi ma omogeneo nella percezione comune e, non a caso, scala
di riferimento per svariate fonti di informazione locale. Inoltre, l’Est Ticino spe-
Il medio Ticino lombardo: vedere la scarsa visibilità
229
cifica nella sua denominazione ufficiale la locale Agenda 21: rete di 14 comuni
con capofila Abbiategrasso per la tutela e valorizzazione ambientale del territorio. Coerentemente alla sopracitata dinamica demografica, nell’area di questi
comuni dal 2001 al 2017 i residenti sono aumentati del 14,8%, con particolare
incidenza di anziani e cittadini stranieri (IRS 2018). I principali comuni del medio Est Ticino sono Magenta e Abbiategrasso (prima città per estensione della
provincia milanese, dopo il capoluogo lombardo), per un totale 62.736 abitanti
in 87,5 Kmq. In entrambi gli abitati il Ticino è tangente in alcune frazioni e delimita i confini storici del territorio comunale, provinciale (tra Milano e Novara)
e regionale (tra Lombardia e Piemonte).
Condizioni storiche di scarsa visibilità locale
La relativa omogeneità locale del Magentino Abbiatense si radica nella storia di questo territorio, in particolare nel processo di modernizzazione che tra
Otto e Novecento lo distingue dalle aree confinanti lungo il Ticino: a sud rispetto alla bassa pianura agricola e, a nord, nei confronti dell’all’alto milanese/varesotto precocemente industrializzato. Comparativamente a quest’ultima area,
nella zona indagata lo sviluppo industriale fu tardivo per via dalla carenza di
comunicazioni (Comincini 2000): infatti, sino alla costruzione del ponte a Boffalora sopra Ticino nel 1828, l’attraversamento del confine naturale del fiume
avveniva solo per mezzo di porti natanti, con barconi che traghettavano merci e
passeggeri da una sponda all’altra.
Il superamento del relativo isolamento territoriale nel corso dell’800 avvenne concentrando gli investimenti infrastrutturali secondo lo stesso orientamento del ponte, ovvero lungo la direttrice Est-Ovest e in particolare verso Milano,
con linee ferrate prima e automobilistiche poi. Il mancato sviluppo infrastrutturale longitudinalmente al Ticino determinò il venir meno della precedente
formazione socio-spaziale della comunità di valle, con l’interruzione della continuità che il fiume costituiva in quanto principale linea di comunicazione che
attraversava questo territorio e ne conferiva identità locale unitaria (Comincini
1987). A monte di queste implicazioni ci sono le scelte politiche adottate nella
prima fase della modernizzazione industriale, motivate dal timore che il fiume
offrisse vantaggi strategici al Regno di Sardegna a discapito degli interessi austro-ungarici, sotto la cui giurisdizione il Magentino Abbiatense ricadeva fino
all’unità d’Italia.
Simili interessi contribuiscono alla cesura sottotraccia della precedente comunità di valle, riducendo la possibilità che venga tematizzata pubblicamente.
Il fatto che negli anni successivi quella cesura sia più spesso rimossa invece
230
Sebastiano Citroni
che ricordata alimenta un regime di scarsa visibilità locale (Citroni 2016), in
cui il territorio indagato diventa sempre più opaco a sé stesso. Inoltre, lo strappo impresso dell’incipiente modernizzazione economica crea le premesse per
quell’allontanamento delle popolazioni dal fiume che si dispiegherà pienamente
nei decenni successivi, accelerato dai cambiamenti socioeconomici (Comincini
1987). Secondo le caratteristiche tipiche della transizione “all’italiana” al capitalismo (Corner 1993), tali cambiamenti prendono forma per compenetrazione
- piuttosto che per stratificazione - tra rapporti di produzione e modelli culturali
eterogenei, producendo configurazioni sempre più difficili da districare come,
ad esempio, la “famiglia contadino-operaia” tardo ottocentesca della provincia
lombarda (Lunel, Leydi 1989).
Nel corso della prima metà del ‘900 il basso costo della manodopera locale
(Comincini 2000) attrae nel Magentino abbiatense svariate produzioni industriali
che, grazie all’apporto dei flussi migratori da altre regioni d’Italia, contribuiscono all’aumento della popolazione locale e, dagli anni ’60, alla disordinata espansione urbanistica dei principali centri locali. L’istituzione del Parco Lombardo
della valle del Ticino nel 1974 costituisce un argine fondamentale all’estensione
edilizia in prossimità del fiume. Intanto, dagli anni ’70 la crisi industriale si manifesta a livello locale nel ridimensionamento prima e chiusura poi di numerosi
stabilimenti produttivi. In questo passaggio - e soprattutto nel corso degli anni
’90 - prende avvio quel faticoso processo di riconversione del tessuto socioeconomico locale tuttora in corso. Il Magentino-Abbiatense presenta oggi un
“carattere fortemente diversificato dal punto di vista insediativo, paesaggistico,
delle tradizioni del tessuto socio-produttivo” (Centro Studi PIM 2019, p. 7). L’elevata articolazione e complessità interna del territorio indagato corrisponde,
nella percezione comune, a sue rappresentazioni opache e indistinte come quelle espresse persino dalle componenti più avvertite dell’attivismo civico intercettato nel corso della ricerca: “questa è un’area dove succede tutto e il contrario di
tutto” (Oreste Magni, Ecoistituto Valle del Ticino).
Se per districare la complessità territoriale ci si concentra sul solo aspetto
ambientale, emerge più distintamente il carattere controverso del quadro locale: da una parte, infatti, i principali parametri eco-sistemici ambientali sono di
buona qualità116, con un netto miglioramento negli ultimi anni, anche grazie a
recenti modifiche nella gestione del reticolo idrografico locale117, dall’altra, si ripetono in modo sempre più sistematico crisi idriche gravi per il settore agricolo
e per la fauna ittica, l’erosione degli argini del fiume procede a velocità inedite,
Ad esempio, la composizione fisico-chimica delle acque e la presenza di bioindicatori. Per
dettagli: https://ente.parcoticino.it/, accesso 3 dicembre 2020.
117
Miglioramento impianti di depurazione, riduzione degli scarichi industriali, efficientamento
del canale scolmatore e entrata in funzione del deviatore Olona.
116
Il medio Ticino lombardo: vedere la scarsa visibilità
231
il consumo di suolo accelera sostenuto da nuovi progetti urbanistici e infrastrutturali di rilevante impatto ambientale - e.g. tangenziale Vigevano-Malpensa e
due nuovi parchi commerciali ad Abbiategrasso – al punto da rendere la “conurbazione un pericolo reale” (intervista a D. Finiguerra) per un territorio che
invece, nonostante poco distante da Milano, ne era stato sinora relativamente
immune.
Il fiume
Più che come linea netta univocamente identificabile, il fiume si pone nel
territorio indagato come un’area - ampia circa cinque chilometri - quasi del tutto priva di costruzioni e mutevole nei suoi confini. Tale configurazione deriva
dalla scarsità di delimitazioni artificiali del Ticino, il cui alveo si sposta generando nuovi rami secondari e isole.
La presenza di un corridoio boschivo ampio intorno al Ticino costituisce
una caratteristica unica nel panorama italiano (intervista a D. Furlanetto), da
cui deriva la rilevanza strategico-naturalistica del fiume: principale corridoio
ecologico tra l’area Nord Europea e quella mediterranea, la sua valle dal 2002 è
“riserva della biosfera MAB Unesco”. Inoltre, “la libertà di divagazione di gran
parte dell’alveo fluviale e la presenza di vaste foreste perifluviali garantisce al
Ticino una buona capacità auto-depurativa nei confronti dei carichi inquinanti
e garantisce una serie di servizi ecosistemici fondamentali: assorbimento anidride carbonica e produzione di ossigeno, depurazione dell’acqua, protezione
dai dissesti idrogeologici, mantenimento della fertilità dei suoli, alimento per gli
impollinatori, possibilità di fruizione” (intervista a V. Parco).
Seppure gli intervistati ascoltati sottolineino la riduzione della diversità di
ambienti naturalistici presenti intorno al fiume rispetto al recente passato, tale
diversità permane in certa misura proprio grazie alla vasta presenza di aree non
costruite, che permettono di annoverare perpendicolarmente al corso del fiume
almeno tre distinti ambienti geo-morfologici. Inoltre, il tratto magentino-abbiatense del fiume, garantisce un’ulteriore articolazione degli ambienti in direzione
Nord/Sud per il fatto di collocarsi nella fascia delle risorgive, tra alta e bassa
pianura, dove la falda freatica risale garantendo l’apporto di acqua infiltrata più
a Nord, immagazzinata per mesi nella falda e qui utilizzata a fini agricoli nell’irrigazione a scorrimento.
Un’altra caratteristica del Ticino è quella di avere un bacino idrografico particolarmente esteso, che travalica le frontiere nazionali, oltre che svariati confini
amministrativi interni e include portatori d’interesse eterogenei, dotati di potere contrattuale diseguale nella governance del fiume. Si tratta di imprenditori
232
Sebastiano Citroni
agricoli, una multinazionale dell’energia idroelettrica, consorzi di gestione delle
acque a fini agricoli con rilevanti diritti di captazione, proprietari terrieri in
alcuni casi consorziati, associazioni di volontariato, filiali locali di grandi organizzazioni non-profit nazionali per la tutela ambientale, enti proprietari dei
diritti di pesca, due parchi fluviali regionali senza però poteri di gestione diretta
delle acque. Una simile complessità rende particolarmente difficoltoso il coordinamento reciproco, la definizione di progetti e politiche condivise e la loro
coerente implementazione.
Il rapporto con il fiume
La relativa vastità del territorio non costruito presente intorno al fiume è
una condizione geografica cui corrisponde una distanza ambivalente nei rapporti tra abitanti e Ticino, che include tanto distacco e indifferenza quanto il
fatto che il fiume sia riferimento identitario per molti, fonte di un appaesamento
da passeggeri (cfr. Osti infra).
Procedendo con ordine è innanzitutto utile sottolineare che, al contrario
di quanto avviene sia più a sud con Pavia sia più a nord con Sesto Calende, il
medio Ticino lombardo è lontano dai principali centri abitati, di cui è confine
esterno e al quale quindi bisogna andare intenzionalmente, dato che il suo attraversamento avviene per mezzo di ponti ferroviari e strade a scorrimento veloce.
Le vie di accesso al fiume carrabili sono limitate e solo in minima parte attrezzate per ospitare escursionisti e passanti. Inoltre, salvo un paio di eccezioni, i
boschi intorno al fiume sono di proprietà privata, formalmente attraversabili ma
non senza difficoltà. A distanza e difficoltà di attraversamento fisico corrisponde
un generale distacco cognitivo dal fiume da parte della popolazione dei centri
abitati che lambisce, soprattutto dal punto di vista di chi ha vissuto e ricorda un
mondo sul fiume ormai scomparso. Per quanto spesso nostalgiche, tali percezioni sono suffragate da dati oggettivi quali, ad esempio, il fatto che i tesserati
ai gruppi di pesca locale passano dalle centinaia degli anni ’70 alle poche decine
di oggi.
È possibile distinguere a fini analitici due piani, ovvero quello relativo a
pratiche e usi del fiume e quello delle rappresentazioni dello stesso e del suo territorio. Dal primo punto di vista, il fiume è al centro di pratiche riconducibili a
tre categorie idealtipiche:
a) quelle di loisir saltuario, di chi usa il territorio del fiume come ambiente
per fare sport all’aperto, per escursioni, per grigliate e altre occasioni conviviali.
Simili pratiche non sono necessariamente diminuite rispetto al passato ma vi è
stato ricambio tra i suoi protagonisti, con un percepibile aumento di sportivi e
cittadini stranieri;
Il medio Ticino lombardo: vedere la scarsa visibilità
233
b) frequentazioni assidue del fiume da parte di hobbisti dediti ad attività
specifiche e relativamente più impegnative di quelle sopra citate, quali i canottieri, pescatori, raccoglitori di legna e funghi;
c) usi continui e abituali del territorio promossi da una minoranza di soggetti – i cosiddetti Tisinatt - che conoscono dettagliatamente il fiume e lo frequentano per svariate ragioni, incluse quelle di tipo non legale come il bracconaggio.
Quella presentata è una distinzione idealtipica, che non esaurisce la molteplicità di usi dello spazio fluviale: in ogni caso, anche nelle pratiche più occasionali, il fiume si offre come dimora temporanea cui spesso i soggetti ascoltati
tornano nel tempo, ripetendo percorsi noti e talvolta dando luogo a territorializzazioni leggere (e.g. torri di sassi, capanne di legna e foglie). Durante la ricerca
ci sono stati diversi incontri con chi nella vita sul fiume ha trovato la propria
identità primaria, talvolta dopo fasi di smarrimento e crisi personali superate
ad esempio riallacciando i fili di percorsi biografici maturi con vissuti infantili
a contatto con la natura, oppure aprendosi a pratiche esoteriche d’unione con
le energie vibrazionali del fiume. Al di là di simili casi, tutti i resoconti ascoltati
di chi frequenta il Ticino, anche solo occasionalmente, manifestano un attaccamento al fiume che evidenzia il carattere controverso del rapporto tra abitanti
del Magentino-Abbiatense e fiume, presenza distante al contempo fonte di appaesamento in un territorio frammentato come quello indagato.
Passando dal piano delle pratiche a quello delle rappresentazioni del fiume
è possibile distinguere tre tipologie:
a) i Tisinatt si percepiscono come gli eredi e i custodi una tradizione plurisecolare di una vita sul fiume in cui la relazione con il territorio è intima, non
condivisibile né facilmente comprensibile dall’esterno, come ad esempio non lo
è l’amore per la natura dei cacciatori;
b) ugualmente scarsamente condivisibile, se non aderendovi in toto, sono le
rappresentazioni di tipo specialistico-disciplinare adottate da varie figure professionali attive nel territorio del Ticino: ad esempio, biologi, agronomi, esperti
forestali, dell’ittiofauna o ingegneri ambientali hanno riferimenti e presupposti
epistemologici tra loro scarsamente comunicanti, con livelli di specializzazione
elevati talvolta interni ad una stessa disciplina.
c) solo il terzo tipo di rappresentazione del fiume si presta a processi pubblici di “messa in comune”, quella che vede il “fiume azzurro” come risorsa ambientale di prim’ordine, ovvero sia leva paesaggistica da valorizzare per favorire lo
sviluppo locale secondo la visione adottata ad esempio dai politici locali intervistati, sia bene comune da tutelare da dinamiche speculative secondo la visione
degli attivisti ambientali ascoltati.
Se l’ultima rappresentazione costituisce il terreno comune necessario al dispiegarsi di dinamiche conflittuali (ad esempio rispetto alla nuova tangenziale
234
Sebastiano Citroni
Vigevano Malpensa), negli altri casi si registra l’assenza di processi comunicativi, sia consensuali sia antagonistici. Il mancato riconoscimento reciproco
fra diverse rappresentazioni è evidente quando l’intimità con il fiume fatica a
riconoscere altre forme di rapporto con il territorio, soprattutto quando dotate di visibilità pubblica. Sintomatico in questo senso è la reazione d’infastidito
rifiuto di un Tisinatt intervistato rispetto ad un film come Tutto l’oro che c’è,
che mette in scena proprio il rapporto profondo e spesso incomunicabile con il
Ticino di cinque personaggi. Con ciò non si intende dire che siano assenti confronti fra diverse concezioni del fiume o di sue specifiche dimensioni, quali lo
scambio di vedute in merito alla gestione forestale a cui lo stesso autore ha potuto assistere. Si tratta però di occasioni non solo private ma “privatistiche” (de
Leonardis 1997) ovvero prive delle condizioni istituzionali per porsi come forme
di mediazione, opinioni individuali slegate e non estendibili ad alcuna sfera intersoggettivamente riconosciuta di azione o di discorso. Si sottolinea come ciò
non riguardi la fondatezza o le ricadute pratiche associate alle opinioni ascoltate
in merito, ad esempio, alla gestione ambientale. Il punto è che gli scambi sopra
citati hanno come premessa – consolidata dal loro stesso svolgimento – l’inconsistenza della sfera pubblica locale, evidente nella scarsità di rappresentazioni
disponibili per sostenere processi comunicativi di qualsiasi tipo.
Effetti emergenti: la mancata emersione della sfera pubblica locale
Le pratiche e le rappresentazioni sopra citate sono mobilitate da soggetti
con margini d’azione diseguali, possibilità più o meno ampie d’incidere sulla
sfera pubblica locale e quindi in primis sulla sua (in)consistenza. Nello studio
di caso proposto, le dinamiche attraverso cui difficoltà situate sono tematizzate
come problemi pubblici consolidano e ribadiscono gli assetti di potere dati piuttosto che alimentare quella riflessività costitutiva di una sfera pubblica potenzialmente in grado di mettere quegli assetti in discussione. Tali dinamiche sono
osservabili rispetto a diverse questioni, ad esempio con riferimento a “ciò di cui
parlano tutti gli anziani quest’estate se vai in qualsiasi circolino nei paesi qui
intorno” (intervista a N. Chignoli), ovvero la rapida erosione delle sponde e gli
interventi necessari per porvi rimedio.
Osserviamo allora più da vicino tale dinamica nel suo recente svolgimento, tra settembre e ottobre 2020. Dopo essere avvertito da singoli agricoltori,
il problema è dapprima discusso informalmente nelle osterie e nei luoghi di
ritrovo lungo il fiume; grazie all’attivismo di un proprietario terriero, l’allarme
erosione sponde arriva alla stampa locale e l’ente Parco reagisce chiarendo pubblicamente le proprie limitate competenze in materia di gestione delle acque
Il medio Ticino lombardo: vedere la scarsa visibilità
235
(facenti capo ad Aipo); contestualmente un coordinamento della società civile
ambientalista a tutela del fiume riprende il tema con un proprio comunicato, nel
quale illustra il problema e profila soluzioni tampone; intanto i tecnici del Parco
fanno sopralluoghi, mettono in sicurezza i percorsi lungo il fiume e - per mezzo
della stampa locale - suggeriscono ad Aipo un intervento su larga scala, relativo all’intero “sistema fluviale” senza però ulteriori specificazioni, in quanto da
definire in un tavolo tecnico comprensivo di “tutti gli enti preposti”. A questo
tavolo è quindi rimandato il compito di sviluppare un intervento sistematico,
senza la possibilità di conoscere pubblicamente l’approccio che sarà seguito per
la sua definizione né avere certezza in merito alla sua effettiva realizzazione,
dato che questa dipende in ultima analisi dalle scelte di Aipo.
Pur se ben intenzionato e competente, l’ente Parco nel suo modo di porsi
pubblicamente rischia di soffocare un’incipiente dinamica di emersione della
sfera pubblica. Infatti, il rinvio della definizione della proposta al tavolo tecnico
la sottrae dalla discussione pubblica, spostandola al terreno scarsamente accessibile alla cittadinanza delle stanze in cui avvengono le riunioni tra enti e negli
uffici dove lavorano i tecnici di Aipo. Il togliere alimento alla sfera pubblica
locale non è un esito intenzionalmente perseguito dal Parco, dato che coincide
con un’operatività definita ex lege nei suoi ambiti d’intervento, orientata alla
massima efficacia possibile e capace di produrre risultati notevoli (Branduini,
Carnelli 2020, p. 5). In questo caso è però evidente come il contrasto all’erosione delle sponde tramite il rinvio ad un tavolo tecnico tra enti preposti, per
quanto giuridicamente fondato e imprescindibile per le sue ricadute concrete,
costituisca un’occasione mancata tanto per lo sviluppo di una sfera pubblica
locale quanto per la costruzione di progettualità condivise e allargate fra attori
eterogenei.
Considerazioni finali
La mancanza di visibilità esplorata in questo contributo non è caratteristica
individuale o interpersonale ma condizione istituzionale, che si riproduce e si
rende evidente in pratiche e dinamiche fra loro eterogenee. Ad esempio, ciò
si coglie nella distanza fra la numerosità delle questioni locali e l’esiguità dei
conflitti associati: questioni come la definizione del livello delle acque, i tipi di
gestione forestale da implementare o gli interventi di contrasto alla rapida erosione delle sponde in corso sono fonti di divergenze e tensioni che non danno
luogo a conflitti locali, dispiegandosi invece solo sul piano interpersonale o in
arene di governance specialistiche poco accessibili alla cittadinanza. Se in genere si pensa che ciò derivi dal fatto che gli attori presenti non sollevino conflitti,
236
Sebastiano Citroni
questo contributo sottolinea invece come questo “sollevare” richieda specifiche
condizioni collettive, oltre che competenze individuali, presenti del resto fra
diversi degli attori intervistati ma non sfruttate nel caso indagato.
Tale mancanza riguarda anche un ultimo aspetto a cui per ragioni di spazio
è solo possibile accennare, relativo alle forme d’azione della società civile locale.
In modo simile a quanto mostrato per i conflitti, si rileva una seconda - apparentemente anomala - sproporzione tra due polarità: da una parte, l’effervescenza di pratiche intorno al fiume e la ricchezza dell’associazionismo di terzo
settore formalmente attivo nel territorio indagato (Morelli 2020), dall’altra, la
mancanza di corpi sociali attivi nel mediare fra difficoltà personali e problemi
pubblici, capaci di fare sentire la propria voce nel mettere a tema e deliberare
sulle questioni locali. Infatti, nel corso della ricerca i cosiddetti ecovolontari intercettati non appartenevano ad associazioni di advocacy del fiume e – dal loro
punto di vista - erano attivi non grazie a, ma nonostante queste associazioni.
In sintesi, la mancata emersione della sfera pubblica sostiene condizioni della
società civile locale che, offrendo ampio spazio ai liberi battitori rispetto a organizzazioni costituite e attive come corpi intermedi, rendono le loro iniziative
al contempo particolarmente importanti per il fiume e poco rilevanti in termini
di azioni collettive.
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Fiumi e città è tema antico e storico. Le città sono state fondate lungo i
fiumi; poi alterne vicende, anche tragiche, hanno provocato un allontanamento, una separazione fra il tessuto urbano e i corsi d’acqua. Vicinanza e
lontananza, fisica e simbolica, sono il tema centrale di questo primo volume, parte di una trilogia che inizia con i fiumi dell’alto Adriatico, per passare poi a quelli del centro e sud Italia. I casi sono 23 capoluoghi di provincia
studiati secondo tre cliché: le formazioni sociali, i giochi di potere e i progetti di riqualificazione. Ne esce una cucitura fra passato, generalmente
glorioso per i fiumi, e presente ambivalente, fatto di piccoli progetti e qualche scontro politico. I fiumi urbani hanno perso funzionalità importanti, ma
rimangono un serbatoio imprescindibile di socialità, cultura e natura.
Giorgio Osti insegna sociologia dell’ambiente e del territorio all’Università di Padova. Dopo diversi studi sulle aree rurali e le questioni ambientali
approda ad una ricerca ‘federale’ di impronta urbana.
ISBN 978-88-6938-254-3
€ 25,00