Carlotta Cossutta
Districare il nodo genere-potere 21-22 febbraio 2014 Università di Trento
Maternità e biopolitica. Nodi di potere tra scienza e naturalizzazione.
MEFISTOFELE. È un alto mistero, e te lo rivelo a malincuore. — Vi sono
auguste dive il cui regno è la solitudine; intorno ad esse non v'è né spazio né
tempo, e non si può parlare di esse senza sentirsi turbati. Sono le Madri.
FAUST (sbigottito). Le Madri!
MEFISTOFELE. Tu tremi!
FAUST. Le Madri! le Madri! Che strano suono ha codesta parola!
MEFISTOFELE. E pure esistono, codeste dee, ignote a voi mortali, e che noi
nominiamo peritosi. Tu andrai in cerca della loro dimora per entro i profondi
abissi. È colpa tua se abbiamo bisogno di loro.
FAUST. Qual è la strada?
MEFISTOFELE. Non ne esiste di tracciata; bisogna avventurarsi verso l'inaccessibile
e l'impenetrabile per sentieri non ancora percorsi e che non lo saranno mai. Sei
pronto? Non vi sono né serrature né catenacci da scassinare. Hai tu qualche idea
del vuoto, della solitudine? 1.
Goethe pubblica il Faust nel 1808 e ella i e a dell’ete o fe
i i o t ova spazio anche
una definizione delle Madri, intese sia in senso archetipico che materiale, come di dee della
solitudine, sospese in uno mondo senza né spazio né tempo. Il turbamento che le Madri suscitano
deriva proprio da questo loro carattere di indefinibilità: non esistono strade che portino a loro,
non esistono sentieri tracciati e non potranno mai esserlo. Il mistero delle Madri sta nella loro
solitudine, nel loro porsi fuori dalla società, in un luogo e in un tempo particolari ed inaccessibili.
Le Madri att aggo o e atte is o o ello stesso te po, pe vase da u ’a iguità he le ha
accompagnate in gran parte della letteratura occidentale.
Goethe scrive in un momento che segna un passaggio fondamentale per la riflessione sulla
maternità: alla fine del XVIII secolo, infatti, nascono i primi reparti di maternità, in particolare in
Francia e in Germania, che servono come scuole per una nuova figura professionale, quella
dell’ostet i o, he i izia ad esse e odifi ata e g azie alla uale il pa to, la g avida za e il puerperio
si svolgono sotto gli occhi di medici e specialisti. Parallelamente, però, le donne iniziano a
prendere parola pubblicamente per parlare della loro condizione subordinata di cui la maternità fa
parte: proprio la Francia, infatti, è il luogo che unisce Mary Wollstonecraft e Olympe de Gouges e i
loro scritti in difesa dei diritti della donna.
1
J. W. Goethe, Faust, Parte II, atto I, Galleria Oscura.
1
Il mistero delle Madri di Goethe comincia ad essere sezionato ed analizzato, cambiando la
percezione degli impenetrabili sentieri che portano alla maternità. In questo intervento vorrei
provare ad analizzare questi cambiamenti prima attraverso la letteratura, grazie ad una fiaba, per
illuminare aspetti che emergono nella narrazione, mentre spesso rimangono in ombra negli scritti
più espliciti. Infine tenterò di riportare queste suggestioni alla contemporaneità svelandone la
portata politica.
1. Petronisella, Raperonzolo e Rapunzel
Le fiabe spesso permettono di comprendere aspetti della realtà che rimangono non detti,
esclusi da una narrazione esplicita e lo fanno con un linguaggio che parla non solo ai bambini, ma
che riesce a superare anche i limiti e i tabù della razionalità degli adulti. Come mostra tra gli altri
Bruno Bettelheim2 la fiaba è spesso uno strumento per raccontare conflitti e difficoltà attraverso
storie che permettano di indentificarsi e contemporaneamente di porre una distanza rispetto ai
p op i stati d’a i o.
L’a o to u o di uei te i he ha o t ovato po o spazio ella sto iog afia uffi iale e elle
trattazioni mediche, ma che emerge nelle fiabe e nella cultura orale. Questi accenni cambiano nel
tempo e si modificano parlandoci delle trasformazioni della società. Proprio per questo proverò ad
analizzare tre versioni della fiaba di Raperonzolo per mostrare alcuni cambiamenti nel modo di
gua da e l’a o to e la g avida za.
Nel 1634 per la prima volta un letterato si interessa alle fiabe popolari e le raccoglie
attribuendogli valore: nasce così Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, pubblicato postumo
g azie all’i te essa e to della so ella. L’ope a ha u a st uttu a lassi a: divisa i gio ate elle
quali 10 narratrici raccontano 50 storie ed è pensata per la corte di Napoli, come intrattenimento
e svago. T a le olte fia e a ate ’ la sto ia di Pet o isella: u a giova e agazza he vie e
i p igio ata da u a st ega i u ’alta to e dalla uale fuggi à o l’aiuto di u p i ipe; i due
supereranno molte prove per poi giungere ad un lieto fine di amore e felicità. Quello che però è
i te essa te l’i izio della fia a:
Na fe
e a p e a se ag a li pet osi e de l’uo to de ’o a, outa ’ fallo,
le prommette la razza che aveva da fare; figlia Petrosinella, l’o a se la piglia e la
’ hiude a a to e. No p e epe e la fuie e, ’ vi tù de t e glia t e, gavita o lo
pe i olo de l’o a e, po tata a la asa de lo ’ a
o ato, deve ta p e epessa.
"È cossì granne lo desiderio mio de mantenere allegra la prencipessa che tutta
sta otte passata, dove aut o o se se te
da apo
da pede, ’aggio fatto
autro che revotare le casce vecchie de lo cellevriello e cercare tutte li
scaracuoncole de la mammoria, sciegliendo fra le cose che soleva contare chella
bona a a de ada
a Chia ella Vus iolo, vava de zie o, he dio l’aggia ’
g olia, ’ sa etate vost a! Chille u te he e so’ pa zete hiù a p oposeto de
2
Cfr. Bruno Bettelheim, The Uses of Enchantment: The Meaning and Importance of Fairy Tales, Knopf, New York,
1976; trad. It. Il mondo incantato: uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe, Feltrinelli, Milano, 1977.
2
ve s o za e u o lo juo o; de li uale, s’io o
’aggio auzato l’uo hie a la
’ e za, e ’
age o he averrite sfazione. E si non serveranno pe squatre
a ate da s a aglia e li fastidie de l’a e o vuost o, sa a o a lo a o
to
ette da s eta e ste o pag e eie a s i e ’ a pag a o hiù pote zia
de le pove e fo ze eie, pe sopp i e o l’a o a zia de lo ’ gieg o lo o a lo
defietto de le parole meie."
Era na vota na femmena prena chiammata Pascadozia, la quale, affacciatose a na
fe est a he s o ava a o gia di o de ’o a, vedde o ello uat o de
petrosino, de lo quale le venne tanto golio che se senteva ascievolire; tanto che,
o pote o esiste e, a istato ua o s ette l’o a, e ogliette a v a ata.
Ma, to ata l’o a a la asa e vole o fa e la sauza, s’addo aie a ’ ’e a e ata
la fauce e disse:
«Me se pozza s ate a e lo uollo si e ’
atto sto a e o d’a i o e o e
lo fa io pe ti e, azzò se ’ pa a og e u o a ag a e a lo taglie o suio e o
s o hia ia e pe le pig iate d’aut e».
Ma o ti ova o la pove a p e a a es e de e all’uo to, e fu a ati a
’
attuta da l’o a, la uale, tutta a aggiata e ’ felata, le disse:
«Aggiote e ’ appata, lat a a iola! E he e paghe lo peso e de sto uo to, he
vie e o ta ta po a des ezzio e a zeppolia e l’e ve eie? Aff , a o te
mannarraggio a Romma pe penetenzia!».
Pascadozia negrecata commenzaie a scusarese, decenno ca no pe cannarizia o
lopa ’avesse ’ uo po l’aveva e ato lo dias a e a fa e st’a o e, a ped
essere prena e dubetava che la facce de la criatura non nascesse semmenata de
pet osi e; a ze deveva ave ele g azia he o l’avesse mannato quarche agliarulo.
«Pa ole vo’ la zita! – espose l’o a – non me nce pische co sse chiacchiare! Tu
hai scomputo lo staglio de la vita si non prommiette de dareme la criatura che
farrai, o mascolo o femmena che se sia».
La negra Pascadozia, pe scappare lo pericolo dove se trovava, ne joraie co na
a o ’ oppa all’aut a e ossì l’o a la lassaie s apola. Ma, ve uto lo tie po de
pa to i e, fe e a figliola ossì ella, h’e a a gioia, he pe ave e a ella i
a
de pet osi o ’ pietto la hia
aie Petrosinella; la quale, ogne iuorno
crescenno no parmo, comme fu de sette anne la mannaie a la maiestra. La quale
se p e he ieva pe la st ata, e se s o t ava oll’o a, le de eva:
«Di’ a a
ata he se alle o de de la ’ p o
essa!».
E tanta vote fece sto taluerno che la scura mamma, non avenno cchiù cellevriello
de sentire sta museca, le disse na vota:
«Si te scuntre co la solita vecchia e te cercarrà sta mardetta prommessa e tu le
espu e: Pigliatella!». 3
3
Giambattista Basile, Lo cunto de li cunti (Il Pentamerone), gio ata II, Favola I,
. T aduzio e: C'e a u a volta u a
donna gravida chiamata Pascadozia che, affacciata a una finestra che dava sul giardino di un'orca, vide una bella aiuola
di prezzemolo, del quale le venne una tale voglia, che si sentì di svenire; tanto che, non potendo resistere e spiando
3
Basile, o dovremmo dire la tradizione popolare, ci sta raccontando di un aborto; lo fa
metaforicamente ma in maniera molto chiara. La prima cosa da notare, infatti, è che la donna
incinta ha voglia di prezzemolo, una pianta abortiva, conosciuta per le sue proprietà fin
dall’a ti hità. La do a ha tal e te tanta voglia di mangiare prezzemolo, inoltre, che non esita a
ede e il p op io figlio, o figlia, alla aga el ui gia di o ha u ato l’e a. No i so o uo i i i
questa storia (almeno non ancora): si descrive un rapporto tra donne, in cui trova spazio uno
scambio onesto e chiaro. Entrambe le donne hanno delle competenze magiche: Pascadozia,
infatti, dice alla maga che deve ritenersi fortunata che non le abbia fatto venire un orzaiolo e sono
e si trattano da pari.
La storia ci mostra anche come Pascadozia non abbia bisogno di grandi motivazioni per
deside a e il p ezze olo e ui di l’a o to . “i pa la di voglie, deside i osì fo ti da se ti si sve i e,
che emergono al solo vedere una bella aiuola di prezzemolo e che lasciano un marchio impresso
sul feto: Petrosinella, infatti, nasce con una voglia di prezzemolo sul petto. Basile trascrive una
fia a i ui a o a fo te l’idea he la ad e a ia u lega e agi o o il feto, u pote e osì
forte sul proprio corpo da poter influenzare e modificare anche quello che porta in grembo. Il
rapporto con il feto, quindi, rientra nel rapporto della donna con il suo corpo e il feto non è
pe sa ile o e u ’e tità i dipe de te. A he l’a o to ie t a i
uesto appo to,
caratterizzandosi come una scelta della madre, che non viene regolamentata né punita, se non
quando lede un diritto maschile.
Quasi due secoli dopo i fratelli Grimm compiono la stessa operazione di Basile raccogliendo
le fiabe tradizionali in una raccolta che avrà una grandissima fama. Anche presso di loro trova
spazio la fiaba di Petrosinella, che cambia nome al cambiare della pianta abortiva che si trova nel
gia di o della aga e dive ta Rape o zolo. L’i izio della fia a o tie e delle so iglia ze e delle
differenze con quello della fiaba di Basile:
C'e a u a volta u uo o e u a do a he da olto te po deside ava o i va o
un bimbo. Finalmente la donna scoprì di essere in attesa. Sul retro della loro casa
l'uscita dell'orca, ne colse una manata. Ma, tornata a casa l'orca e volendo fare la salsa, si accorse che c'era passata
una falce mariola e disse: "Mi si possa scardinare l'osso del collo se non acchiappo questo manico d'uncino e non lo
faccio pentire, così che impari a mangiare nel suo tagliere e a non scucchiarare nelle pignatte altrui". Ma, continuando
la povera Pascadozia a scendere nell'orto, una mattina ci fu sorpresa dall'orca che, furiosa e inviperita, le disse: "Ti ho
acchiappato, ladra mariola! Forse paghi l'affitto di quest'orto, che vieni senza scrupolo a fregarti le mie erbe? Parola
mia, che non ti manderò a Roma per penitenza!" La disgraziata Pascadozia cominciò a discolparsi, dicendo che non per
gola o per ingordigia che avesse in corpo il diavolo l'aveva accecata a fare questo peccato, ma perché era gravida e
aveva paura che la creatura nascesse con la faccia seminata di prezzemolo; anzi avrebbe dovuto esserle grata perché
non le aveva mandato neppure un orzaiuolo. "Altro che parole vuole la sposa!" rispose l'orca "non mi prendi all'amo
con queste tue chiacchiere! Tu hai finito di vivere, se non prometti di darmi la creatura che partorirai, maschio o
femmina che sia". La povera Pascadozia, per allontanare il pericolo immediato, lo giurò con una mano sull'altra, e così
l'orca la lasciò libera. Ma, venuto il tempo del parto, fece una bambina così bella, che era un gioiello, e che, poiché
aveva sul petto un ciuffo di prezzemolo, la chiamò Petrosinella; la quale, crescendo ogni giorno di un palmo, quando
ebbe sette anni, la mandò dalla maestra. La quale, ogni volta che andava per la strada, e incontrava l'orca, questa le
diceva: "Di' a tua mamma di ricordarsi della promessa!" E tante volte ripeté questo ritornello che la povera mamma,
non riuscendo più a sopportare questa musica, una volta le disse: "Se incontri la solita vecchia e ti chiede di quella
maledetta promessa, tu rispondile: Prenditela!"
4
c'era una finestrella dalla quale si poteva vedere nel giardino di una maga, pieno
di fiori ed erbaggi di ogni specie. Nessuno, tuttavia, osava entrarvi. Un giorno la
donna stava alla finestra e, guardando il giardino vide dei meravigliosi
raperonzoli in un'aiuola. Subito ebbe voglia di mangiarne e, siccome sapeva di
non poterli avere, divenne magra e smunta a tal punto che il marito se ne
accorse e, spaventato, gliene domandò la ragione. "Ah! Morirò se non riesco a
mangiare un po' di quei raperonzoli che crescono nel giardino dietro casa
nostra." L'uomo, che amava la propria moglie, pensò fra sè: "Costi quel che costi,
devi riuscire a portargliene qualcuno." Così, una sera, scavalcò il muro, colse in
tutta fretta una manciata di raperonzoli e li portò a sua moglie La donna si
preparò subito un'insalata e la mangiò con avidità. Ma i raperonzoli le erano
piaciuti a tal punto che il giorno dopo la sua voglia si triplicò. L'uomo capì che
non si sarebbe chetata, così penetrò ancora una volta nel giardino. Ma grande fu
il suo spavento quando si vide davanti la maga che incominciò a rimproverarlo
aspramente per aver osato entrare nel giardino a rubarne i frutti. Egli si scusò
come potè‚ a o ta do delle voglie di sua moglie e di come fosse pericoloso
negarle qualcosa in quel periodo. Infine la maga disse: "Mi contento di quel che
dici e ti permetto di portar via tutti i raperonzoli che desideri, ma a una
condizione: mi darai il bambino che tua moglie metterà al mondo." Impaurito,
l'uomo accettò ogni cosa e quando sua moglie partorì, subito comparve la maga,
diede il o e di Rape o zolo alla i a e se la po tò via. 4
La prima differenza che emerge rispetto alla fiaba di Basile è la comparsa di un uomo, il
padre, totalmente assente nella prima versione. Questo padre svolge un ruolo di mediazione tra le
voglie della donna e il giardino della maga, tra i desideri della madre e quelli della strega. Viene
descritto come un uomo che ama la moglie e che non potendo sopportare di vederla smunta e
deperita decide di superare le sue paure per procurarle dei raperonzoli e allontanare così il
pericolo delle voglie non soddisfatte. Anche le voglie, però, sono diverse da quelle raccontate da
Basile: Pascadozia ha una voglia improvvisa di prezzemolo che altrettanto improvvisamente
soddisfa, quasi senza pensarci, mentre la madre descritta dai fratelli Grimm cerca di non
assecondare il suo desiderio fino a sentirsi male. Queste diverse reazioni alle voglie corrispondono
anche a due effetti diversi: la voglia descritta da Basile lascia un segno indelebile sul feto, mentre i
fratelli Grimm parlano più genericamente di pericolo, senza specificare di quale possa trattarsi; il
legame della madre e dei suoi desideri col feto è ancora presente, anche se non più così preciso
come nella prima fiaba. La presenza del padre, inoltre, mitiga l’a iguità del se ti e to ate o:
se Pascadozia cede sua figlia alla maga quasi sovrappensiero, qui si sottolinea come la coppia
abbia desiderato a lungo il figlio e il padre sia costretto a prometterlo alla strega spinto dal terrore.
L’a o to he vedia o i o t olu e, ui di, o
più u ’es lusiva de isio e della ad e, a
coinvolge prepotentemente una figura maschile che media con il mondo: gli uomini hanno iniziato
a prendere parola sulla maternità e non si limitano a sentirsene esclusi.
4
Fratelli Grimm, Fiabe, fiaba 12, 1812-1822, KHM12
5
L’ulti a ve sio e di uesta fia a
olto e e te e si sposta dalla s ittu a al video: si t atta
del cartone animato Rapunzel di Walt Disney prodotto nel 2010. In questo film la storia cambia
ancora veste e racconta che tempo fa una goccia di sole cadde dal cielo e da essa nacque un fiore
luminoso e splendente dai poteri magici. Il fiore venne trovato da una donna, Gothel, la quale
cantando scoprì come il fiore avesse la capacità di ringiovanire le persone e curarne le ferite. Avida
dei suoi poteri, per anni la donna lo custodì gelosamente. Un giorno di molti anni dopo però, in un
regno non lontano da lì, governato da un Re e una Regina amati da tutto il popolo, la sovrana
i i ta si a
ala g ave e te, i edi i a o o o a suo apezzale e i via o l’ese ito alla i e a
del fiore magico. Il fiore viene infine trovato e grazie ad esso la Regina guarisce e mette alla luce
una bambina dai capelli dorati, Rapunzel. Per festeggiare l'evento, il Re e la Regina fanno volare
una lanterna nel cielo notturno. Gothel, che aveva assistito impotente alla recisione del fiore e
temendo di invecchiare, si intrufola di notte nel castello e decide di rapire la piccola. I sovrani e
tutto il popolo cercano invano la bambina sparita, che non verrà mai trovata. Da quel momento in
poi ogni anno, nel giorno in cui nacque la bambina, migliaia di lanterne luminose vengono fatte
volare nel cielo, nella speranza che un giorno la principessa vedendole possa fare ritorno.
I uesta ve sio e l’ele e to as hile dive ta fo da e tale: al pad e si aggiu go o i
edi i e l’ese ito. “ o paio o total e te le voglie e i deside i della ad e he ha isog o del
fiore solo perché raccomandato dai medici come cura per la sua malattia. Scompaiono i poteri
magici delle donne di Basile: in questa versione tutta la magia è contenuta nel fiore e può essere
compresa solo grazie alla mediazione dei medici, che sanno di preciso cosa cercare. Il feto non è
più un tutt’u o o la ad e: la edi i a/fio e agi o las e à delle t a e solo sulla a i a, a
senza nessun intervento della volontà materna, e darà a Gothel un motivo per rapirla diverso dal
puro capriccio delle maghe delle fiabe precedenti. Scompare anche la relazione tra il nome della
bambina e la pianta: la principessa, infatti, si chiama Rapunzel solo in onore alla fiaba tradizionale,
a se za al u lega e o la sua sto ia. “ o pa e, pot e
o di e, l’a o to e o esso
l’a iguità del deside io ate o, che assume un carattere indubitabile e inscalfibile: la
spensierata Pascadozia e questa Regina prima malata e poi disperata per la perdita della figlia
sembrano non avere più nulla in comune. Il mio scopo è quello di ripercorrere il tempo intercorso
tra la p i a e l’ulti a ve sio e di uesta fia a pe e a e di capire proprio come Pascadozia abbia
potuto trasformarsi nella Regina.
2. La scoperta della maternità
T a la fi e del XVII e l’i izio del XVIII se olo gli uo i i i izia o ad osse va e la g avida za, a
trasformarla in oggetto di studio e di riflessione medico-scientifica: cambiano le regole del pudore
e il pa to dive ta deg o di osse vazio e e di sape e e s ette di esse e u a osa da do e ,
regolato da segreti custoditi dalle ostetriche. Soltanto nella seconda metà del XVIII secolo, però,
questo interesse per la gravidanza e la nascita diviene un fenomeno di massa e istituzionalizzato,
con la nascita dei primi reparti di maternità e delle prime scuole di ostetricia.
6
Le maternità nascono proprio per formare i futuri chirurghi e ostetrici e raccolgono
essenzialmente ragazze madri che vengono ricoverate gratuitamente in cambio della disponibilità
ad offrire il loro corpo alle osservazioni dei medici: agli occhi della società questo le rendeva uguali
alle prostitute, che trasformano il loro corpo in una merce, esponendolo a sguardi e mani maschili
per ottenerne un guadagno5. In questi anni si forma la prima generazione di medici che
cominciano a palpare il corpo delle donne incinte, non limitandosi ad osservarlo facendosi riferire
le sensazioni provate dalla donna stessa. Barbara Duden, analizzando proprio queste
t asfo azio i, ipo ta le osse vazio i di Plo uet, u o di uesti edi i, he itie e he s op i e
le gravidanze sia uno dei compiti del medico 6: non si accontenta di domandare alla donna di
ife i e i si to i, a vuole s op i e il ovi e to del feto dall’este o […] tasta do e osse va do
la do a spogliata 7 e rompendo così con una tradizione galenico-ippocratea che vedeva nel
racconto del sintomo il mezzo principe per operare una diagnosi.
Il riferimento al movimento del feto è molto significativo: questo è stato, infatti, per secoli
il solo e incontrovertibile segno della gravidanza. La donna sapeva di essere incinta da
innumerevoli segnali (dal non sopportare un particolare odore alla scomparsa delle mestruazioni),
ma solo il percepire il movimento del feto poteva dare la certezza di essere in attesa di un figlio.
Questo segno, questo sintomo della gravidanza, non era legato necessariamente ad una scansione
temporale: il tempo di gestazione era considerato molto variabile e per nulla certo. Inoltre, la
scomparsa delle mestruazioni non era sempre attribuibile ad una gravidanza, che, al contrario,
poteva darsi anche in presenza di un ciclo regolarissimo: soltanto nel 1827, grazie alla scoperta
dell’ovulo, il ciclo mestruale verrà messo in relazione con la riproduzione e non con un generico
ricambio degli umori e del sangue8. I uesto uad o il pa to e a il o e to i ui si svelava la
verità, poiché allora veniva alla luce qualcosa che poteva assumere aspetti diversi: un maschio,
una femmina, una cosuccia malaticcia nata troppo presto, oppure un tumore uterino, una mola,
un falso frutto 9, soltanto col parto, perciò, si poteva capire se i movimenti avvertiti dalla donna
erano reali o soltanto un frutto della sua immaginazione. Questi movimenti percepiti dalle donne
dava o la e tezza di u ual osa he poteva esiste e davve o, a he dive tava eale solo ella
speranza; un essere-ora, che poteva prima o poi manifestarsi come un bambino; una speranza che
si rivolgeva a qualcosa pensato non secondo lo sviluppo di un corpo estraneo, ma come parte
ostitutiva della fluidità delle do e 10.
5
Pe u ’a alisi e u a sto ia della ate ità i pa ti ola e el o testo italia o f : Ma i a D’A elia a u a di , Storia
della maternità, Roma-Bari, Laterza, 1997.
6
Barbara Duden, Der Frauenlieb als öffentlicher Ort. Von Mißbrauch des Begriffs Leben, Hamburg-Zürich, Luchterhand
Literaturverlag, 1991; trad. It. Il orpo della do a o e luogo pu li o. Sull’a uso del o etto di vita, Torino, Bollati
Boringhieri, 1994, p. 108.
7
Ibidem.
8
Pe u ’affas i a te viaggio ella sto ia delle est uazio i si veda: Raffaella Malaguti, Le mie cose. Mestruazioni:
storia, tecnica, linguaggio, arte e musica, Milano, Bruno Mondadori, 2005. In particolare sono degne di nota le
testi o ia ze di o e du a te il XVII se olo si usasse o o siglia e agli uo i i dei salassi pe ip odu e l’effetto
benefico delle mestruazioni.
9
Barbara Duden, Die Gene im Kopf – der Fötus im Bauch. Historisches zum Frauenkörper, Hannover, Offizin-Verlag,
2002; trad. It. I geni in testa e il feto nel grembo. Sguardo storico sul corpo delle donne. Torino, Bollati Boringhieri,
2006, p. 63.
10
Ivi, p. 64.
7
L’i g esso delle do e egli ospedali e uello dei edi i nelle stanze del parto mutano
profondamente questa esperienza della gravidanza come di un vissuto, di un evento del quale la
donna può dare solo una testimonianza soggettiva e incerta. Inizia ad esistere qualcosa come la
gravidanza, non più solo donne che si se tiva o i i te, he assu e il a atte e di u ’aspettativa
di un esito calcolabile, una linea di sviluppo misurabile e monitorabile. Allo stesso tempo
o i ia la sto ia della do a o e luogo dello sviluppo fetale 11, segnando il passaggio
dell’atte zione dalla figura della donna a quella del nascituro. Questo passaggio, questo cambio di
sgua do si i se is e i u a p eo upazio e de og afi a, he oi ide o l’idea he le azio i
saranno più forti quanto più sarà cospicuo il numero dei loro cittadini e migliore la loro qualità.
Assie e alla as ita dei epa ti di ate ità e alla edi alizzazio e, i fatti, si assiste all’e e ge e
di leggi o t o l’i fa ti idio, o e uelle p ese ti el odi e Napoleo i o, he pu is o o
severamente chi uccide un neonato e o pe si o u as itu o: al feto e all’i fa te vie e asseg ata
una personalità giuridica che si accompagna a dei diritti.
L’i te esse pe lo sviluppo della popolazio e, pe ò, o
solo di sta po egativo, a
a he p oduttivo: t a la fi e del
e l’inizio del 1800 si sviluppano i primi esperimenti di
12
fecondazione artificiale . John Hunter afferma di aver realizzato la prima fecondazione artificiale
nel 1776 per supplire alla sterilità di una coppia e negli anni seguenti saranno molti i medici che
prove a o a segui lo, a iva do a sus ita e l’i te esse del “a to Uffizio he el
ispo de alla
prima interrogazione sul tema raccomandando la segretezza e nel 1897 condanna apertamente
questa pratica condannando la masturbazione necessaria alla donazione del seme e la
collaborazione alla riproduzione da parte di persone estranee alla coppia. Nel 1927 a Tashkent
viene pubblicato il primo articolo sulla fecondazione assistita scritto da una donna, la dottoressa
Šo ova, he p opo e la fe o dazio e t a ite donazione per permettere alla donna di vedere
riconosciuto il suo diritto alla felicità materna. Nel frattempo negli Stati Uniti la pratica della
fe o dazio e a tifi iale si diffusa osì ta to da po ta e all’i t oduzio e di u p oto ollo he le
coppie devono sottoscrivere che lascia al medico la scelta sulla fecondazione, segnando
plateal e te l’i g esso della ip oduzio e sulla s e a pu li a.
Questa riflessione pubblica sulla maternità si accompagna a quella sul nascituro, assoluto
protagonista della procreazione artificiale e nuovo soggetto per la medicina. Il feto inizia ad essere
analizzato e disegnato nei manuali di anatomia soltanto alla fine del 1700, rompendo con una
lunga tradizione che lo rappresentava come un essere umano completamente formato ma in
i iatu a, a hiuso el ve t e ate o. La t adizio e si o pe o pleta e te, poi, o l’utilizzo
dell’e og afia, he pe ette di vedere quello che prima si poteva soltanto percepire. La sensazione
materna del movimento del feto, quindi, diventa completamente irrilevante ai fini medici,
po ta do a te i e, osì, uella di ezio e i augu ata da Plo uet he voleva vede e dall’este o
il nascituro. La gravidanza perde definitivamente quel carattere di imprevedibilità e incertezza:
non potranno più nasce e i aspettati esse i
ost uosi,
l’ute o pot à ivela si
sorprendentemente vuoto. Quella possibilità di scelta che venne sperimentata dalla fecondazione
artificiale viene estesa ad ogni gravidanza e ad ogni feto del quale si può conoscere sesso, aspetto
11
12
Ivi, p. 65.
Cfr. Emmanuel Betta, L’altra ge esi. Storia della fe o dazio e artifi iale, Roma, Carocci, 2012.
8
e misure. Se per secoli il senso più tipico della maternità era stato il tatto, o per meglio dire
u ’u io e si esteti a dei se si he pe etteva la percezione di un contatto tra corpo materno e
feto, una percezione totalmente interna e riflessiva, ora è la vista a caratterizzare la gravidanza,
vista mediata da una macchina e da un sapere, quello medico, che produce un nuovo discorso e un
uovo i
agi a io. Ba a a Dude affe a he g azie a uesto sposta e to la ate ità, la
gravidanza e il parto non si ife is o o più al a i o spe ato, a all’esse e u a o i dive i e
[…], l’ute o, u a volta te e o e e ipie te, si t asfo a g adual e te i luogo, o addi ittu a i
i hia di u uovo siste a i
u ita io; la g avida za […] dive ta u a ealtà otti a […], una realtà
edi a, oggi ve ifi ata pe ezzo di st u e ti te i i ei epa ti di gi e ologia 13. La verità della
gravidanza si sposta dalle sensazioni della madre agli strumenti medici, che man mano investono
anche i momenti precedenti e successivi alla gravidanza: dal concepimento al puerperio, o post
partum.
Il o e to del pue pe io assu e, a pa ti e dall’
, pa ti ola e i po ta za: si susseguo o
trattati e articoli su questa delicata fase nella quale ha luogo il passaggio da donna a madre. Il
puerperio è osservato come un momento pericoloso, non solo per il corpo della donna, ma anche
pe la sua psi he: l’idea di u a follia pue pe ale i izia a prendere piede a metà del XIX secolo e
resiste anche oggi, sotto il nome di depressione post-pa to. Questa follia l’u i o tipo di distu o
mentale che colpisce soltanto un sesso, quello femminile, e per la quale è stata fatta una diagnosi
particolare, alla quale non corrisponde una cura altrettanto specifica. È una follia che rimane
sempre a cavallo tra cause individuali e sociali: Charlotte Perkins Gilman scrive La carta da parati
gialla14 nel 1891 proprio per mostrare una donna che seguendo le indicazioni del medico di riposo
e solitudine per potersi occupare del suo bambino appena nato cade nella follia e vi precipita
sempre di più e per raccomandare alle donne, al contrario, di uscire di casa e lavorare per non
essere vittime di queste forme di pazzia. I medici, invece, continuano a raccomandare momenti di
solitudine per permettere alla donna di trasformarsi in madre, di acquisire una nuova identità e
familiarizzare con essa.
Accanto a questa difficile trasformazione, però, si sviluppa la naturalizzazione della
maternità e del sentimento materno: la vita della donna viene suddivisa in fasi strettamente legate
al o po e he e ost a o la fi alità ip oduttiva. La do a passa dall’i fa zia, alla pu e tà, alla
atu ità e alla e opausa e l’api e di uesto sviluppo o può he esse e una gravidanza. Allo
stesso te po l’isti to ate o e l’i
ediato a o e pe i figli dive ta o a atte isti he ostitutive
del femminile, che diventa portatore di una maternità innata contrapposta ad una paternità tutta
da costruire e dotata di caratteristiche più sociali che psicologiche. Cambia anche il rapporto
madre-figlio e laddove si era auspicato un controllo rigido dei rapporti madre figlio, si sostituisce
ora la p edilezio e pe teo ie dell’atta a e to he o side a o la diade ad e-figlio come
indispensabile allo sviluppo sano dei nuovi nati. Da Bowlby a Winnicott, passando per il celebre
Do to “po k fi o all’i sospetta ile Talcott Parsons, la nuova tendenza nel mondo delle scienze
13
Barbara Duden, I geni in testa e il feto nel grembo, cit., pp. 76-77.
Charlotte Perkins Gilman, The Yellow Wallpaper, in «The New England Magazine», volume 11, issue 5, 1892; trad. It.
La carta da parati gialla, in La terra delle donne. Herland e altri racconti (1891-1916), Roma, Donzelli, 2011, pp. 147163.
14
9
sociali è quella di attribuire al legame tra madre e figlio – e a quella che lo stesso Parsons chiamò
«maternità esclusiva» – una «necessità funzionale» al fine di proteggere i bambini (e gli uomini)
dalla durezza della vita iperproduttiva di una società tutta permeata da logiche di mercato 15.
Questa centralità del rapporto madre-figlio assume un doppio carattere: da un lato è
a o a data da edi i e pedagogisti, e t e dall’alt o
ive di ata da olte do e o e u
modo per sottrarsi alle imposizioni proprio dei medici e degli specialisti. Un interessante esempio
è quello a alizzato dell’allatta e to al se o, a alizzato da “i o a Fo ti e Olivia Gua aldo 16, che
raccoglie in sé entrambi questi caratteri di scientificità (è consigliato per il bene del bambino e
monitorato con strumenti medici) e di naturalità (le donne lo scelgono per compiere un gesto più
naturale e rafforzare il legame con il loro bambino).
Questo stesso intreccio di natura e scienza, corpo e tecnologie, è quello che caratterizza il
discorso biopolitico sulla maternità e che svela alcuni tratti del potere sul bios che proverò ad
analizzare attraverso la lente degli studi di Angela Putino.
3. I corpi delle popolazioni
Il percorso di scoperta della maternità che si sviluppa negli ultimi due secoli corre
parallelamente a quello che Michel Foucault descrive o e l’e e ge e della iopoliti a17 e ne
segna prepotentemente i caratteri. Uno dei fenomeni fondamentali del XIX secolo è quello della
presa in carico della vita da parte del potere, con un cambio di paradigma rispetto alle forme della
sovranità. Se il potere sovrano si caratterizzava, infatti, per il potere di dare la morte, il potere
biopolitico assume il compito di favorire e far sviluppare la vita, trasformando il potere di morte
nella possibilità di lasciar morire (o meglio ancora non far arrivare alla vita). Questo cambiamento
del potere rende evidente come uno dei campi privilegiati di azione della biopolitica sia il
momento della nascita, inteso come momento di produzione di nuovi individui, di nuove parti
della popolazione. Senza la pretesa di affrontare tutte le implicazioni contenute nella nozione di
biopolitica proverò a seguire alcuni degli spunti proposti da Angela Putino per mostrare la
specificità normativa di questo potere sul corpo delle donne e sulla loro (nostra) soggettivazione.
Angela Puti o ota o e i o pi delle do e dive ga o il pu to di appli azio e di te i he
che, sospendendo la sessualità e il desiderio a questa legato, utilizzano il sesso femminile
ell’o di e della ge e azio e, uale fo ito e di ate ia sia dal pu to di vista biologico che da
uello giu idi o 18. Una delle caratteristiche principali della biopolitica, infatti, è quella di
sovrapporre biologia e legge, di ancorare le norme e la normazione a fondamenti biologici e, in
15
Simona Forti, Olivia Guaraldo, Rinforzare la specie. Il corpo femminile tra biopolitica e religione materna, in
«Filosofia politica», 1/2006, p. 68.
16
Simona Forti e Olivia Guaraldo, Rinforzare la specie, cit.
17
Per la riflessione biopolitica foucaultiana, si vedano, per tutti, Michel Foucault, La volonté de savoir, Paris, Gallimard,
1976, trad. it. La volontà di sapere, Milano, Feltrinelli, 1978, in particolare le pp. 119-142; Id., Sécurité, territoire,
population. Cours au Collége de France. 1977-1978, Paris, Seuil-Gallimard, 2004, trad. it. Sicurezza, territorio,
popolazione, Milano, Feltrinelli, 2005; Id., Naissance de la biopolitique, Paris, Seuil-Gallimard, 2004, trad. it. La nascita
della biopolitica, Milano, Feltrinelli, 2005.
18
Angela Putino, I corpi di mezzo. Biopolitica, differenza tra i sessi e governo della specie, Verona, ombre corte, 2011,
p. 82.
10
quanto tali, apparentemente incontrovertibili. Il campo nel quale questa sovrapposizione trova il
suo compimento più palese è quello della sessualità, che viene assimilata soprattutto come
fenomeno riproduttivo e in quanto tale interpretata. La nascita degli individui è letta in chiave
biologica come il isultato di u appo to sessuale t a due pe so e ed i uesta o essio e
sessualità-p o eazio e, he o po ta e ti o side ati effetto di tu e dell’isti to sessuale
diventano fattori di malattia per le generazioni future, e, parimenti, malformazioni organiche e
patologie o posso o he affio a e i o po ta e ti devia ti 19, che verranno giudicati non più
solo su una base giuridica e morale, ma anche condannati da un punto di vista biologico per il loro
mettere in pericolo la società presente e quella futura. La sessualità diviene il banco di prova della
iopoliti a e vie e o ata se o do u siste a di ife i e to he o
più uello delle
discipline dei corpi e quindi dei ruoli sessuali, ma della sessualità come fattore interno alla
normazione del vivente come tale, in una nuova prospettiva di salute e di futuro da assicurare alla
spe ie u a a 20.
La biopolitica assume così il doppio compito di occuparsi dei processi che costituiscono una
popolazione e una specie e nello stesso tempo gettare lo sguardo su ogni singolo vivente, in un
o ti uo i a do dall’u ive sale al pa ti ola e e vi eve sa. I uesto se so gli i o i di sape e e
potere che caratterizzano il governo del bios si i di izza o o solo ve so aspetti ge e ali, he
investono la vita e l’i sie e dei p o le i evide ti di u a popolazio e, a si ivolgo o a he a
uei ovi e ti elati he si as o do o el seg eto di og i vive te 21. La popolazione diventa
inscindibile dalla singolarità e governare la vita della specie non può escludere l’esa e dei si goli
viventi, nella loro individualità. La sessualità assume una posizione di privilegio proprio perché è il
luogo della connessione tra sapere scientifico e identità personale, tra tecnologia e psiche. E la
maternità, come abbiamo visto, è il momento privilegiato della sessualità biopolitica in quanto
momento della creazione di un nuovo individuo, garanzia della continuazione della specie, ma
anche di una nuova soggettivazione, che si attua nella trasformazione della donna in madre.
Questa trasformazione è il momento della produzione di nuove forme di assoggettamento, con
nuove norme e nuovi soggetti, incarnati dalla donna destinata biologicamente ad essere madre.
Questa centralità del biologico e dei suoi imperativi fa affiorare fin nelle sue più terribili
conseguenze il dispositivo di inclusione ed esclusione che sottende la politica: il vantaggio
biologico diventa il criterio per escludere chi non corrisponde alle norme, nascondendo la scelta
sotto l’i evita ilità della atu a e delle sue leggi implacabili; proprio Angela Putino svela come
uesta e t alità spi ga gli i dividui a sottosta e a u fas i o uasi a t opologi o
dell’aute ti ità 22. Il discorso sulla maternità è costantemente permeato da questo fascino: da un
lato il sapere-potere medico si p ese ta o e il di etto app ese ta te della iologia, dall’alt o hi
e a di sott a visi lo fa p op io i o e di u ’autenticità naturale, finendo per schiacciare le
donne e i loro corpi tra esami e misurazioni da un lato e istinti e se ti e ti spo ta ei dall’altro,
entrambi frutto dello stesso paradigma biopolitico che unisce corpi e menti. La medicina finisce
19
Ivi, p. 17.
Ivi, p. 83.
21
Ivi, p. 84.
22
Ivi, p. 88.
20
11
per diventare fondamentale per appagare una domanda di senso, una ricerca di felicità e una
gestione dei desideri che diventano parte di questo destino biologico, in cui anche i corpi non sono
l’e e ge e di u a di e sio e i p evista e i aspettata, a u dato già avve uto, i se ito i u o
schema di funzioni e progetti.
La creazione di comunità biologiche per Angela Putino è uno dei grandi rischi del
fe
i is o, a a he di uelle o u i ede ze fe
i ili elative alla affe azio e di u a
23
p op ia i idu i ile ide tità di do a (e si potrebbe aggiungere: di madre). Questa articolazione,
questa descrizione di u ’aute ti ità fe
inile non fa che riprodurre e rinsaldare il potere
biopolitico, assistendolo nella costruzione di soggetti che trovano della biologia la loro
realizzazione. Alcune forme di esaltazione del femminile e del materno, quindi, non fanno altro
che inserirsi nella scia di sapere-potere dal quale vorrebbero smarcarsi, senza riuscire a uscire dalla
ga ia del iologi o, alt e so o, i ve e, le posizio i he s op o o el desti o del sesso fe
i ile
la s elta o voluta, l’i ast o te i ile e pu e da o atte e i dispositivi di sapere-pote e . La
consapevolezza di questo temibile incastro
l’u i a he, se o do A gela Puti o, può fa
app oda e a posizio i politi he sig ifi ative, o sapevoli he su uesto pia o assi u a si la
distanza e la resistenza è più difficile […]; o o e fo se p opo e o pazie za, o lavo o, e o
gioia una molteplicità di sensi che sappiano muovere dal nostro essere qui, dalla nostra libertà
ate iale, dai o pi sessuati 24. La ia eve disa i a della ate ità stata ie t’alt o he u
modesto tentativo di fare questo, di partire dai molteplici sensi della gravidanza, iscritti in un
corpo sessuato, per immaginare forme di gioiosa consapevolezza che ci aiutino a districare alcuni
dei nodi che si intrecciano tra genere e potere.
Bibliografia
Basile, Giambattista, Lo cunto de li cunti, Milano, Garzanti, 1986.
Betta, Emmanuel, L’altra ge esi. Storia della fe o dazio e artifi iale, Roma, Carocci, 2012.
Bettelheim, Bruno, The Uses of Enchantment: The Meaning and Importance of Fairy Tales, Knopf,
New York, 1976; trad. It. Il mondo incantato: uso, importanza e significati psicoanalitici
delle fiabe, Feltrinelli, Milano, 1977.
D’A elia, Marina (a cura di), Storia della maternità, Roma-Bari, Laterza, 1997.
Duden, Barbara, Der Frauenlieb als öffentlicher Ort. Von Mißbrauch des Begriffs Leben, HamburgZürich, Luchterhand Literaturverlag, 1991; trad. It. Il corpo della donna come luogo
pu li o. Sull’a uso del o etto di vita, Torino, Bollati Boringhieri, 1994.
23
24
Ibidem.
Ivi, p. 80.
12
Duden, Barbara Die Gene im Kopf – der Fötus im Bauch. Historisches zum Frauenkörper, Hannover,
Offizin-Verlag, 2002; trad. It. I geni in testa e il feto nel grembo. Sguardo storico sul corpo
delle donne. Torino, Bollati Boringhieri, 2006.
Forti, Simona e Guarlado, Olivia, Rinforzare la specie. Il corpo femminile tra biopolitica e religione
materna, in «Filosofia politica», 1/2006, pp. 57-76.
Foucault, Michel, La volonté de savoir, Paris, Gallimard, 1976, trad. it. La volontà di sapere, Milano,
Feltrinelli, 1978.
Foucault, Michel, Sécurité, territoire, population. Cours au Collége de France. 1977-1978, Paris,
Seuil-Gallimard, 2004, trad. it. Sicurezza, territorio, popolazione, Milano, Feltrinelli, 2005.
Foucault, Michel, Naissance de la biopolitique, Paris, Seuil-Gallimard, 2004, trad. it. La nascita della
biopolitica, Milano, Feltrinelli, 2005.
Grimm, Jacob e Grimm, Wilhelm, Fiabe, Torino, Einaudi, 2005.
Malaguti, Raffaella, Le mie cose. Mestruazioni: storia, tecnica, linguaggio, arte e musica, Milano,
Bruno Mondadori, 2005.
Perkins Gilman, Charlotte, The Yellow Wallpaper, in «The New England Magazine», volume 11,
issue 5, 1892; trad. It. La carta da parati gialla, in La terra delle donne. Herland e altri
racconti (1891-1916), Roma, Donzelli, 2011, pp. 147-163.
Putino, Angela, I corpi di mezzo. Biopolitica, differenza tra i sessi e governo della specie, Verona,
ombre corte, 2011
13