Defensive Architecture of the Mediterranean. XV to XVIII centuries / Vol I / Rodríguez-Navarro (Ed.)
© 2015 Editorial Universitat Politècnica de València
DOI: http://dx.doi.org/10.4995/FORTMED2015.2015.1959
Archeologia e storia delle trasformazioni del castello aragonese di
Sassari
Giuseppe Padua, Barbara Panìco, Luca Sannaa
a
Università di Sassari, Italy, lucasanna@gmail.com
Abstract
During works for the arrangement of the underground in Sassari’s historical center (Piazza Castello),
remains of the structures related to the “a la moderna” fortification of the Aragonese castles have been
discovered.
The defensive systems included a fosse, a “barbican” with a covered alley and an embrasured path,
which suffered a progressive filling from the second half of the 17th century AD.
An hypogeum carved into limestone and characterized by bas reliefs depicting crucifixes, processions
and several religious symbols, belonging to the Inquisition (16th century AD), was used as a prison until
the area started to fill up, in the first half of the 17th century AD.
The archaeological excavation of both the fosse and the prison, allowed to identify and document a
previously unknown polychrome majolica produced in Sassari.
Keywords: Castle of Sassari, fortifications “alla moderna”, inquisition, majolica “sassarese”, gender
archaeology.
1. Introduzione
lo spazio urbano assume la conformazione
attuale1.
Durante la realizzazione di interventi per il
rinnovo dei sottoservizi urbani, svolti nella città
di Sassari tra il 2008 e il 2009, sono emerse le
strutture di un antemurale (o barbacane) alto
circa 6 metri e dotato di gallerie di tiro, costruito
agli inizi del XVI secolo all’interno del fossato
che cingeva il castello, realizzato quasi due
secoli prima.
L’edificazione del castello avvenne, per mano
dei conquistatori iberici per controllare una città
che, se in un primo momento accetta di
sottomettersi alla Corona d’Aragona, solo dopo
qualche mese si dimostrò rivoltosa e non
avvezza alle pesanti norme vessatorie imposte.
Lo scavo archeologico, svolto nell’attuale area
di Piazza Castellosu 2500 mq di superfice
indagata, permettendo lo scavo stratigrafico di
tre ampie sezioni dei fossati e della strada
coperta.
Il 7 maggio del 1323 i rappresentanti del
Comune di Sassari, dopo aver cacciato il podestà
genovese, formalizzarono l’atto di vassallaggio
alla Corona di Aragona dichiarandosi dei
vassallos fideles del re Giacomo II.
L’indagine svolta ha messo in luce un complesso
palinsesto di fasi e utilizzi dell’area (fig. 1) che
dal XIV secolo, con l’edificazione del castello
voluto dagli aragonesi, arriva senza soluzione di
continuità fino ai primi decenni del XX, quando
Tuttavia nel giro di qualche anno la situazione
precipitò; il 21 luglio 1325 il nuovo podestà,
Ramon de Sentmenat, venne ferito a morte e la
guida del Comune fu assunta dai notabili
sassaresi che, pronti ormai allo scontro,
413
riuscirono a mettere in piedi un’armata di 800
cavalieri e 6.000 fanti.
porta principale. Fu inoltre costruito un
bastione a volta, con disegno e sotto la direzione
di Antonio Ponzio (Fara, Cadoni, 1992). E che
“Quando si fortificava Cagliari e Alghero di
muraglie e bastioni per uso del cannone, i
consoli di Sassari vollero fosse munita delle
nuove artiglierie anche la loro città. L’opera
principale e più importante fu quella difesa, che
si aggiunse al castello; perché si costruisse
intorno al medesimo un antemurale, o riparo
concamerato, come casamatta, e si ricinse d’un
largo fosso con ponte levatojo nell’interno della
città. Cominciavasi sotto il governo generale del
V. R. D. Giovanni Dusay con disegno di Antonio
Ponzio e compivasi nel 1503, come era notato
nella lapide appostavi. In questa opera poteasi
far giuocare l’artiglieria grossa dalle
cannoniere superiori e da’ boccaporti inferiori e
la piccola dalle feritoje aperte in alcune parti.”
(Angius, 2004).
Il 21 agosto 1325 presso il porto di Torres
l’epilogo del conflitto arrecò ingenti perdite ai
Catalano-Aragonesi e impegnò i diversi
schieramenti per alcuni mesi, fino a quando, il
25 gennaio 1326 intervenne la diplomazia e i
maggiori esponenti del Comune di Sassari
misero fine agli scontri dichiarandosi
nuovamente disposti a sottomettersi alla Corona.
Nel maggio del 1326 l’infante Alfonso conferì
pieni poteri al nuovo podestà Ramon de
Montpaó per la risoluzione delle trattative di
pace. Tra i punti più importanti, affinché la pace
fosse duratura, fu previsto il versamento alla
corte regia da parte del Comune di 3.000 lire di
alfonsini minuti, destinati a finanziare
l’edificazione di un castello nella città.
Fig. 1- Le evidenze archeologiche rinvenute sulla
superficie della Piazza
2. Le trasformazioni del castello con l’avvento
delle armi da fuoco
A causa di due incendi che, nel XVI e nel XVIII,
secolo bruciarono le carte più antiche della città
di Sassari, oggi non disponiamo di una vasta
documentazione archivistica.
Fig. 2- I resti del barbacane e il castello aragonese.
In questo senso l’intervento di archeologia
urbana svolto in Piazza Castello è stato in grado
di dissipare numerosi dubbi e rispondere ad
altrettanti quesiti che le poche fonti rimaste ci
ponevano.
Queste notizie, confermate dall’indagine
archeologica, confermano che egli anni a cavallo
tra in XV e il XVI secolo si lavorò per adeguare
il sistema difensivo delle maggiori piazzeforti
dell’Isola alle mutate strategie di guerra.
Nel 1342 la struttura difensiva venne ultimata
nelle sue parti accessorie e nel 1455 venne
dotata di un fossato (Costa, 1992), ma già alla
fine del XV secolo, il diffondersi delle armi da
fuoco cambiò il modo di fare la guerra e il
l’architettura del
castello
si
dimostrò
concettualmente superata.
Il fossato, un tempo utile per tenere gli
assedianti lontani dalle strutture ora aveva anche
la funzione di nascondere le bocche da fuoco da
cui gli archibugieri potevano difendere la
struttura mediante azioni di tiro radente e di
fiancheggiamento.
Sappiamo che nel 1503 “il castello fu
maggiormente fortificato con un fosso
all’interno ed una strada coperta dirimpetto alla
Mentre Cagliari e Alghero adeguavano le
proprie difese urbane innalzando torri e rivellini,
a Sassari venne affidato all’architetto Rocco
414
È stato inoltre possibile scavare e documentare
gran parte del deposito stratigrafico che colmò il
fossato settentrionale e la strada coperta
realizzata al suo interno, senza però verificarne
la reale profondità a causa delle precarie
condizioni di sicurezza che, a oltre 9 metri dalla
superficie della piazza, rendevano difficile la
prosecuzione dello scavo.
Cappellino (lo stesso che intervenne ad Alghero)
un progetto, poi mai realizzato, che avrebbe
dovuto coinvolgere l’intera cinta fortificata.
Fig. 3- Particolare del barbacane.
Fig. 6- La sezione del barbacane all’interno del
fossato con la strada coperta durante lo scavo.
Grazie ai depositi stratigrafici contenuti nei
fossati e nelle cavità ricavate nella roccia
calcarea su cui si fondava il castello, è stato
possibile documentare l’evoluzione che ebbero
le strutture difensive del castello dal momento
della sua realizzazione, nei primi decenni del
XIV secolo, alla rivoluzione in cui lo stesso
venne coinvolto dopo l’avvento delle armi da
fuoco a partire dal XV secolo,
Quando nel 1563 il castello venne ceduto agli
inquisitori Apostolici per la Sardegna, aveva
ormai perso la sua funzione militare e nel giro di
due secoli i fossati e alcune cavità scavate nella
roccia che il Santo Uffizio utilizzò come
prigione vennero riempiti con materiali di
discarica comune, resti di pasto e gli scarti di
lavorazione di alcune botteghe di ceramisti
localizzate nelle immediate vicinanze dell’area
urbana.
Fig. 4- Le gallerie di tiro all’interno del barbacane.
Sappiamo che ancora “verso il 1820, ed anche
più tardi, la piazza Castello era senza spianare:
tutta di pura roccia, irregolare, con rialzi e
profondi scavi, che servivano di sedile agli
sfaccendati, ed anche di luogo ai macellai per
sgozzarvi e abbrustolirvi i maiali” (Costa, 1992).
Fig. 5- Le bocche da fuoco che permettono il tiro di
fiancheggiamento.
L’intera superficie occupata dal castello, dopo le
sue demolizioni iniziate nel 1877, venne livellata
415
episodi individuali della Sardegna del XVI
secolo.
determinando un abbassamento delle quote,
necessario per mettere in collegamento l’antico
centro con i nuovi quartieri di espansione urbana
che diedero alla città una nuova e più moderna
conformazione.
La relazione stilata da Pedro de Hoyo, in visita
sarda per conto della Suprema Inquisizione di
Spagna nel 1596, ci fornisce una dettagliata
descrizione sulla nuova sede del Tribunale
isolano, dalla quale apprendiamo che “i locali
destinati alle carceri si trovano nella parte alta
del castello” ma anche “al di sotto della
scalinata del patio” (Sorgia, 1991). La
planimetria del castello realizzata nel XIX
secolo dal Genio Militare sovrapposta alla pianta
disponibile a seguito dell’indagine archeologica,
evidenza un ambiente collocato proprio in
corrispondenza di una scalinata: il silos. Questo
spazio venne realizzato, presumibilmente nel
XIV secolo, per la conservazione di derrate
alimentari, ma nel XVI secolo venne
rifunzionalizzato come prigione.
Fig.7- Il castello di Sassari in una foto del 1875
circa.
L. S.
Ciò è avvalorato primariamente dalla
corrispondenza topografica tra rinvenimento e
descrizione di Pedro de Hoyo, secondariamente
da una serie di rappresentazioni, graffite, a
bassorilievo o realizzate con il carboncino, sulle
pareti del silos in questione.
3. Dai luoghi alle persone: dalle carceri a
Julia Carta.
Lo scavo archeologico di siti con frequentazione
medievale e post-medievale, risulta un campo
privilegiato d’applicazione per le diverse fonti di
ricostruzione storica, sotto questo aspetto il
Tribunale del Santo Ufficio sassarese
rappresenta un ambito esemplare. Se, come
visto, la continuità d’utilizzo dell’area fino ad
età moderna, ha irreparabilmente compromesso
la conservazione di parte delle strutture, alcuni
ambienti risultano, al contrario, ben preservati e
dal dialogo incrociato tra strutture, materiali
ceramici e documentazione scritta, è possibile
raccontare di personaggi storici che a quei
luoghi hanno indissolubilmente legato le proprie
vicende.
Fig.8- Il silos durante i lavori di consolidamento.
Settant’anni dopo l’istituzione del Tribunale del
Santo Ufficio in Sardegna, la sede viene traslata
da Cagliari a Sassari, il cui castello nel 1563
viene frettolosamente allestito per la nuova
funzione, su ordine di Don Diego Calvo. La
demolizione del castello e le vicende dell’area in
analisi, hanno reso labili le possibilità di
testimoniare materialmente questa fase di vita
della struttura, ma l’analisi comparata tra dati di
scavo e documentazione scritta offre possibilità
di lettura capaci di far raccontare a questi luoghi
Lo spazio si configura come un ambiente
ipogeico scavato nella roccia calcarea, che
presenta, sul fondo, una piccola vasca
rettangolare (m 0,60X 0,30 X 0,40) incavata
nella roccia, nella quale s’immetteva una
canaletta, con la funzione o di convogliare le
acque piovane sul fondo o di latrina; sulle pareti
del silos, lungo una fascia compresa tra cm 30
dal fondo e un’altezza massima di circa m 1,70
si rileva la presenza di una serie di raffigurazioni
di croci e figure antropomorfe; riconducibili
416
all’attività di testimonianza di fede cristiana da
parte degli accusati del Santo Ufficio. La
presenza di frammenti d’ossa animali,
interpretati come resti di pasto, incastrati
all’interno dei fori e delle piccole cavità naturali
nelle pareti calcaree, può essere ricondotta al
loro utilizzo come elementi incisori, mentre
immaginiamo i carboni di più agevole
reperimento. Sempre Pedro de Hoyo ci informa
che tra le carceri vi era “una riservata alle donne
che prendeva appunto il nome “carcel de las
mujeres2” (Sorgia, 1991). Immaginiamo dunque
la permanenza forzata, in questi ambienti, di
coloro che dal Tribunale attendevano processo e
venivano condannati. La documentazione scritta
permette, con certezza, di fornire un nome e una
storia ad una donna che in questi ambienti vi
soggiornò ripetutamente.
(Agus, Zucca, 2005), ma la sola minaccia del
tormento, fu sufficiente per ottenere da lei piena
confessione mentre implorava il perdono di Dio
e chiedeva di essere riammessa nella comunione
della Chiesa Cattolica. Tuttavia le sue vicende
giudiziarie furono lunghe e i documenti
testimoniano una nuova sua prigionia nel carcere
di Sassari appena sette anni dopo, salvandosi,
per la seconda volta dal rogo. La sua intricata e
dettagliata vicenda permette di ricostruire,
partendo da uno spaccato cittadino, un episodio
della storia sarda tra Cinquecento e Seicento.
B.P.
4. La maiolica sassarese4
Lo scavo dei riempimenti del fossato del castello
e del silos-prigione a Sassari ha consentito di
raccogliere alcuni chiari indicatori relativi ad
una produzione di vasellame maiolicato. Se le
fonti storiche indicavano la presenza di ceramisti
attivi in città alla fine del ‘5005, è pur vero che le
ricerche archeologiche condotte nel capoluogo
turritano, fino al 2009 non avevano restituito
nessun indicatore materiale che confermasse la
presenza di figuli nell’area urbana. È probabile
che le officine fossero situate nelle immediate
vicinanze del circuito fortificato che cingeva la
città ma al di fuori dello stesso.
Il processo produttivo di maioliche, l’unico fino
ad oggi attestato nell’Isola, è comunque ben
testimoniato da scarti di fornace semilavorati o
di prima cottura (oggetti privi di rivestimento),
da scarti di seconda cottura (recanti smalti
anneriti o alterati) e da numerosi distanziatori da
fornace.
Fig.9- Alcune rappresentazioni disegnate sulle
pareti del silos – prigione.
L’Archivo Histórico Nacional di Madrid ha
custodito, nell’interezza, gli atti processuali
narranti la storia di una strega sarda: Julia Carta,
la hechizera (Pinna, 2000; Montesano, 2012).
Arrestata il 18 ottobre 1596, Julia venne portata
nelle carceri del castello sassarese. Questa
donna, accusata di aver fabbricato amuleti
benefici, di aver provocato la morte di una
persona, di eresia luterana; sostanzialmente di
essere pratica di conoscenze magiche e medicoterapeutiche, a lei trasmesse dalla nonna, il 21
aprile 1597 venne condotta nella camera del
tormento poiché si dichiarava innocente, le
spettava la carrucola (legata per i polsi sarebbe
stata appesa al soffitto e tenuta sospesa per il
tempo ritenuto necessario dagli inquisitori, poi
lasciata cadere di colpo con strappi di fune3)
Le analisi tipologiche condotte sulle maioliche
sassaresi denotano una prevalenza di forme
aperte, soprattutto piatti e scodelle. I piatti hanno
orli indistinti e arrotondati, tesa confluente su
cavetto semicircolare e fondo piano con segni di
stacco “a cordicella”. Le scodelle possono essere
classificate in tre tipologie per dimensioni ed
aspetti formali. Quelle più grandi (Ø orlo 20 cm,
Ø piede 7 cm) hanno tesa verticale, corpo
troncoconico e piede a disco con fondo a
ventosa. Le scodelle più piccole (Ø orlo 14,4
cm, Ø piede 9 cm) sono prive di tesa, hanno
pareti svasate distinte dal cavetto con un gradino
417
Una nota meritano i numerosi distanziatori da
fornace che sono stati rinvenuti durante le
operazioni di scavo. Questi sono tutti in forma di
triangolo, dotati di piccoli peduncoli ai vertici.
Si differenziano tra loro per dimensioni, per
regolarità nella realizzazione e per le diverse
sigle che recano impresse e che, spesse volte,
sono realizzate a crudo. L’analisi delle sigle, una
delle quali, una “A”, sembra coincidere con
quella realizzata nel cavetto di varie forme
aperte, ha consentito di distinguere almeno sette
diversi simboli. L’ipotesi è che ad ogni simbolo
potesse associarsi una bottega e che la necessità
di poter individuare il proprio distanziatore fosse
funzionale alla possibilità di effettuare cotture in
fornace con prodotti di più di un’officina.
pronunciato. Il piede è ancora a disco con fondo
a ventosa. Per questa tipologia è attestata una
variante che prevede la presenza di due presine
“a orecchietta”. Infine sono attestate scodelle
con pareti troncoconiche e carena esterna. Tra le
forme aperte si annoverano inoltre delle piccole
tazze con profilo emisferico e ansetta a nastro.
Le forme aperte sono smaltate sulla superficie
interna e prive di rivestimento all’esterno.
Le
forme
chiuse
sono
rappresentate
principalmente da boccali con orlo trilobato,
corpo ovoide (Ø max 12 cm) e piede a disco.
L’ansa, sempre a nastro, si imposta poco sotto
l’orlo e termina nel punto di massima espansione
del vaso. Entrambe le superfici hanno il
rivestimento e il sottile strato di smalto chiaro
dell’interno lascia spazio, all’esterno, ad un
rivestimento più spesso e vivacemente decorato.
Numericamente meno rilevanti sono dei piccoli
vasi o albarelli, fino ad ora rinvenuti
esclusivamente con un rivestimento monocromo
turchese.
La datazione delle maioliche sassaresi è da
fissarsi tra la fine del XVI e il primo ventennio
del XVII secolo. Oltre ai confronti dei motivi
decorativi con quelli noti già citati in
precedenza, a determinare la cronologia vengono
in aiuto altre considerazioni: in primo luogo il
documento del 1595, in cui si imponeva un
diritto di due soldi per lira su tutti i congius,
discas e piattos prodotti a Sassari e nel suo
distretto. Determinanti sono le informazioni
derivanti dall’analisi dei contesti: le associazioni
con altri manufatti, di cronologia nota,
provenienti sia dallo scavo del Castello sia da
altri scavi della Sardegna nord-occidentale sono
pressoché costanti. Alla maiolica sassarese si
associano; produzioni liguri a smalto berettino
con decorazioni del tipo “calligrafico a volute” o
“a quartieri” o ancora le maioliche in bianco blu;
maioliche
di
Montelupo
del
tipo
“compendiario”, “fondale in bleu graffito”,
“spirali arancio”, “nodo orientale evoluto”,
“foglie blu”; maioliche di area catalana a lustro
con decorazione a tripe trazo; infine varie
tipologie di ceramiche di produzione regionale,
ingobbiate, graffite e “slip ware”.
Tra i motivi decorativi delle forme aperte, il più
comune è quello “a monticelli”, realizzato in blu
e verde e, a volte, in marrone. Una striscia gialla
può delimitare i vari registri decorativi. Il
cavetto può essere riempito con delle spirali o,
non di rado, con una “A”, generalmente in blu.
Altro motivo piuttosto frequente è quello detto
“millerighe”, ispirato a schemi valdarnesi. Più
rara l’imitazione delle “spirali arancio”
montelupine.
I boccali possono essere monocromi bianchi o
turchesi. La decorazione, quando presente, è
realizzata su smalto bianco con blu, verde,
marrone e giallo. L’apparato decorativo si limita
al medaglione centrale, spesso incorniciato da un
motivo a scaletta e vivacizzato, all’esterno da
pennellate di blu che richiamano motivi
fitomorfi stilizzati. Al centro del medaglione
possono trovare spazio dei cartigli con scritte
come BONO VINO o AMA DIO.
A rafforzare ancora l’attribuzione cronologica di
questa classe di materiali, il ritrovamento di un
frammento di scodella decorata col motivo
“millerighe” che reca, all’esterno e poco sotto
l’orlo, una incisione successiva alla cottura, che,
seppur frammentaria, può essere emendata come
Añu D 1600, oppure 1609.
La sintassi decorativa della maiolica sassarese
trova confronti negli oggetti prodotti nell’Italia
centrale, e in particolare nel comprensorio
dell’alto Lazio e di Orvieto, oltre che nel
Valdarno.
418
La conoscenza della diffusione delle maioliche
di produzione sassarese è, ancora parziale. La
giovane età di questa classe renderebbe infatti
necessario la rilettura dei frammenti ceramici
che, sino a fochi anni or sono, erano classificati
come indeterminati. Tuttavia i dati a
disposizione sembrano indicare una certa
vivacità
della
produzione
anche
se
apparentemente
limitata
alla
Sardegna
settentrionale. Frammenti di maiolica sassarese
sono sicuramente a Bosa, Macomer, Thiesi,
Ardara, Castelsardo, Alghero, Siligo6, presso il
monastero di Paulis (Ittiri) e presso San Nicola
di Trullas (Semestene).
G.P.
Note
(1) Lo scavo archeologico è stato coordinato
dallo scrivente con la direzione scientifica della
Dott.ssa Daniela Rovina, funzionario archeologo
per la Soprintendenza per i Beni Archeologici e
un’equipe composta da archeologi e restauratori
affiancati dall’impresa appaltatrice.
(2) Da Archivio Historico Nacional, Madrid, leg.
1623, n.1, c. 49,50,107,135.
(3) Nella relazione del notaio del Santo Uffizio
Nicola Corboniedo leggiamo: “[…] ed infine la
“camera del tormento” arredata con un tavolo,
due sedie e due candelabri. Nonostante il nome
di quest’ultima, la tortura veniva invece
praticata nel “carçel de tormento”, dove si
trovavano, tra gli altri oggetti, il cavalletto di
tortura, la carrucola e calzoni e camicia con cui
venivano vestiti gli accusati da sottoporre a
tortura.
3. Conclusioni
Nonostante la parziale distruzione, tra il XVI e il
XVIII secolo, degli archivi della città di Sassari,
un intervento di archeologia urbana restituisce
memoria delle antiche vicende del castello
cittadino. Il modificarsi delle sue architetture
rivela l’adeguamento necessario a seguito
dell’introduzione delle armi da fuoco. Lo scavo
stratigrafico dell’area ha inoltre permesso di
documentare la presenza di officine sassaresi
impegnate nella produzione di vasellame
maiolicato e attive tra XVI e XVII secolo. A
questi dati si uniscono i documenti custoditi
presso l’Archivio Histórico Nacional di Madrid
attraverso i quali si ricostruiscono le vicissitudini
di Julia Carta. Nell’irrinunciabile approccio
multidisciplinare e nell’utilizzo di fonti
differenziate si restituisce la memoria perduta
del “cuore” della città, che dalla comprensione
delle strutture arriva al racconto delle persone.
(4) In questo contributo si propone un breve
resoconto degli studi sulle produzioni di
maioliche sassaresi. Per gli aspetti tipologici e
formali di questi materiali si è fatto riferimento
ai lavori della dott.ssa Daniela Rovina, della
dott.ssa Laura Biccone, e alle tesi di laurea della
dott.ssa Giulia Nieddu e del dott. Luca Sanna.
(5) Una produzione di tegole è testimoniata a
partire dal XIII secolo negli Statuti Sassaresi;
questa attività prosegue negli anni successivi,
come testimonia un documento del 1596.
(6) Ritrovamento effettuato dallo scrivente nel
centro storico di Siligo in occasione di un
cantiere per la posa di sottoservizi nel 2011.
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