INDICE
Pratica della Gentilezza: l’intervento gestaltico integrato sul fenomeno del bullismo . . .Pag.
1-9
Il processo di improvvisazione creativa in musica e in psicoterapia:
una scoping review . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Pag. 10-26
Il riconsolidamento della memoria. Verso un modello unificato di cambiamento
in psicoterapia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Pag. 27-34
Essere psicoterapeuta consapevole e responsabile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Pag. 35-43
L’effetto degli stili decisionali e dell’ansia genitoriale sulla percezione
delle paure infantili: uno studio pilota . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Pag. 44-55
L’ausilio dello Sport nel Modello Gestaltico Integrato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Pag. 56-61
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Gennaio-Giugno 2021 | Volume 3 | Numero 1
Pubblicato: marzo 2021
doi: 10.32069/pj.2021.3.101
IPOTESI E METODI DI STUDIO
Pratica della Gentilezza: l’intervento gestaltico
integrato sul fenomeno del bullismo
Milena Mazzara1, Lorena Perrone1, Sebastiana Cipponeri1, Letizia Cacciabaudo1,
Angela Ciulla1, Salvatore Renda1
1
SiPGI - Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Gestaltica Integrata
ABSTRACT
Citation
Mazzara M., Perrone L., Cipponeri S.,
Cacciabaudo L., Ciulla A., Renda S.
(2021). Pratica della Gentilezza:
l’intervento gestaltico integrato
sul fenomeno del bullismo
Phenomena Journal, 3, 1-9.
https://doi.org/10.32069/pj.2021.3.101
Direttore scientifico
Raffaele Sperandeo
Supervisore scientifico
Valeria Cioffi
Journal manager
Enrico Moretto
Contatta l’autore
Milena Mazzara
mazzaramilena@gmail.com
Ricevuto: 18 maggio 2020
Accettato: 11 marzo 2021
Pubblicato: 12 marzo 2021
Bullying involves many preteens, engraving, sometimes to a considerable extent, on their personal
serenity and balance on their relationship. It is a phenomenon that cannot be reduced to the overbearing
behavior of a single boy, but has a multidimensional configuration, that involves the whole group in
which it occurs, characterized mainly by prevarication dynamics. There are several anti-bullying programs put into action, but none of them uses the integrated Gestalt approach, which I believe may be
a significant orientation both for reading the phenomenon and for the intervention of the intra-group
dynamics. The postulate is to create a methodological group device that affects the phenomenon,
through several specific steps, with the transversal objective of enhancing in all partecipants awareness, responsibility, empathy and self-efficacy. The different steps of intervention are conducted within
the relational field, at the border - contact I-you, in which the individual experiences a totality of coexisting phenomena that interact and influence each other: the experiences. Mind-body experience is
the knowledge foundation and passes through the different levels of experience. The contact cycle
will mark the process's explication times, both inside the specific meeting (intra-cycle), and in the entire path (inter-cycle), in a continuous sequence of backgrounds and figures.
KEYWORDS
Bullying, gestalt, intervention.
ABSTRACT IN ITALIANO
Il bullismo coinvolge moltissimi preadolescenti, incidendo, a volte in misura considerevole, sulla loro
serenità personale e sul loro equilibrio relazionale. È un fenomeno non riducibile alla condotta prepotente di un singolo ragazzo, ma presenta una configurazione multidimensionale, tale da coinvolgere
tutto il gruppo in cui si manifesta, caratterizzandosi soprattutto per dinamiche di prevaricazione. Diversi sono i programmi anti-bullismo messi in azione, ma nessuno di loro si avvale dell’approccio
gestaltico integrato, che ritengo possa essere un orientamento significativo sia per la lettura del processo che per l’intervento delle dinamiche intragruppali. Il postulato è creare un dispositivo metodologico di gruppo che incida sul fenomeno, attraverso diversi step specifici, con l’obiettivo trasversale
di potenziare in tutti i partecipanti consapevolezza, responsabilità, empatia ed autoefficacia. I diversi
step di intervento si esplicano all’interno del campo relazionale, al confine - contatto Io-tu, in cui l’individuo sperimenta una totalità di fenomeni coesistenti che interagiscono e si influenzano a vicenda:
le esperienze. L’esperienza mente-corpo è il fondamento della conoscenza stessa e passa attraverso i
diversi livelli di esperienza. Il ciclo del contatto scandirà i tempi di esplicitazione del processo, sia all’interno dello specifico incontro (intra-ciclo), che nell’intero percorso (inter-ciclo), in una sequenza
continua di sfondi e figure.
PAROLE CHIAVE
Bullismo, gestalt, intervento.
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pag. 1
Mazzara et al.
Pratica della Gentilezza: l’intervento gestaltico integrato sul fenomeno del bullismo
1. Introduzione
Oggi si discute ripetutamente di bullismo, sia per una crescita rilevante del fenomeno,
sia per la maggiore attenzione posta ad esso da parte di tutte le figure inerenti l’educazione ed il disagio. Il fenomeno rileva il disagio di numerosissimi ragazzi, soprattutto in età preadolescenziale, che faticano a veicolare adeguatamente i propri
impulsi, spesso maschere di bisogni ben più profondi, verso obiettivi positivi finalizzati all’autorealizzazione. [1] Il bullo o la bulla possono esercitare una sorta di potere personale grazie alla presenza di un senso di fragilità presente in altri, generando
dinamiche gruppali, spesso nei contesti scuola, che rimangono irrisolti o inadeguatamente trattati. Perché un ragazzo dovrebbe diventare un bullo? Cosa determina una
maggiore vulnerabilità nell’età preadolescenziale? La preadolescenza è un periodo
in cui la contemporaneità e il conflitto tra fattori biologici sostenenti la crescita e, al
contrario, fattori educativi, che frenano la presa di coscienza della responsabilità
verso sé e gli altri, determinano una vulnerabilità che li espone a comportamenti disfunzionali e a disagi, tra questi: il bullismo. [2] Il bullismo è quindi un fenomeno
che racchiude il bisogno di espressione del Sé in relazione all’altro, un comportamento o una serie di comportamenti che esprimono insicurezza, scarsa autostima e
immaturità emotiva. Il postulato è creare un dispositivo metodologico di gruppo che
permetta di incidere su due livelli significativi inerenti il fenomeno: la prevenzione
e l’intervento, ovvero prevenire lì dove ancora il fenomeno non si è reso manifesto
ed intervenire qualora già sia giunto al suo apice. Oggi più di 200 milioni di bambini
e di giovani nel mondo subiscono prevaricazioni dai compagni, numeri che sottolineano il peso di questo fenomeno che incide su una larga fetta delle generazioni più
giovani, soprattutto nei paesi industrializzati [3].
2. Evidenze della letteratura
Il fenomeno del bullismo in preadolescenza mostra peculiarità differenti rispetto a
quelle che caratterizzano il fenomeno nell’infanzia: gli atti di prepotenza diventano
repentinamente più sottili e indirette, la frequenza dell’attacco diminuisce, mentre
ne aumenta l’intensità ed inoltre appare nella scena anche la figura dell’adulto che,
personificato nel ruolo del genitore e/o dell’insegnante o di quant’altri abbiano delle
responsabilità nei confronti dell’adolescente, si mostra, a volte, sordo alle prevaricazioni, partecipando in tal modo all’espansione di una cultura dell’indifferenza.[4] Il
bullismo non è riducibile alla condotta prepotente del singolo, ma presenta una configurazione multidimensionale e relazionale, tale da coinvolgere tutto il gruppo in
cui si manifesta, attraverso dinamiche caratterizzate soprattutto da prevaricazione.
[5] Uno dei fattori su cui si è centrato il focus delle ricerche sul bullismo è il fattore
personalità. In riferimento al bullo le caratteristiche personologiche correlate alle origini degli atteggiamenti di prevaricazione sono caratterizzate da comportamento impulsivo, tendenza ad agire con aggressività, irrequietezza, difficoltà a mettersi nei
panni dell’altro, una predisposizione agli atti di violenza; in riferimento alla vittima
invece: stato di agitazione ansiosa, insicurezza, scarsa autostima [6]. Vi sono inoltre
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altre peculiarità, oltre alle caratteristiche personologiche, che differenziano i bulli e
le vittime dai loro compagni. Ad esempio: nelle vittime si rileva maggiore difficoltà
nel padroneggiare la grammatica emotiva, infatti riescono con difficoltà a leggere,
interpretare le emozioni sui volti altrui. Inoltre le vittime nel raccontarsi risultano
esprimersi con maggior limitatezza, sia nei contenuti che nei dettagli; anche lo stile
narrativo è meno ricco e sviluppato. Una caratteristica preponderante che differenzia
i bulli dalle vittime e dai loro compagni è la tendenza al cosiddetto disimpegno morale. Il disimpegno morale è un meccanismo, sia cognitivo che sociale, che permette
al soggetto approcciarsi al mondo con una prospettiva non caratterizzata dalla moralità, con tutte le conseguenze che questo comporta, anche nell’azione e non soltanto
nella lettura di un processo di relazione. [7] Trattasi di quel funzionamento definito
processo di deumanizzazione, [8] che permette ai bulli di assumere atteggiamenti
aggressivi e denigranti nei confronti delle vittime senza sentire alcun senso di responsabilità o colpa. Bulli e vittime non sembrano distinguersi invece tra loro rispetto
alle relazioni amicali vissute nel gruppo classe; sia i bulli che le vittime costruiscono
relazioni con i compagni che percepiscono più simili, ritrovandosi spesso rinforzati
nelle loro modalità di azione, dal microgruppo di riferimento [9].
Riepilogando risulta evidente, dai dati empirici, che i bulli si caratterizzano soprattutto per eccessiva impulsività, scarsa competenza empatica e completo disimpegno
morale; le vittime si caratterizzano soprattutto per insicurezza, scarsa autostima e
scarsa padronanza emotiva.
3. Ipotesi di studio
L’ipotesi di studio si articola nei termini della necessità di strutturare un protocollo
di intervento gestaltico integrato, che permetta di conseguire i seguenti obiettivi:
a) da un lato di prevenire il fenomeno del bullismo e, dall’altro
b) di intervenire, lì dove il fenomeno si sia già reso manifesto.
Il target di soggetti di riferimento è la preadolescenza (9-12 anni di età). Il contesto
di applicazione è il gruppo classe. Diversi sono i programmi anti-bullismo messi in
azione, ma solo alcuni di loro sono stati testati con degli studi scientificamente rigorosi e, comunque sia, nessuno di loro si avvale dell’approccio gestaltico integrato,
che invece ritengo possa essere un orientamento significativo sia per la lettura del
fenomeno che per l’intervento delle dinamiche intragruppali, che, come evidenziato
nelle ricerche, è soprattutto caratterizzato da dinamiche relazionali che si esplicano
al confine-contatto Io-tu, in un campo di esperienza gruppale, con l’evidenza dei seguenti elementi: potere-debolezza/ sicurezza-insicurezza/ iperadesione alle regole/
disimpegno morale. Gli aspetti distintivi dei programmi anti-bullismo risultati come
efficaci sono: 1. agire non soltanto sui protagonisti, ma anche su tutti i componenti
del gruppo; 2. incrementare l’empatia e l’autoefficacia, non solo nei protagonisti, ma
anche in chi assiste. Il focus è stato posto in genere soprattutto sulla dinamica rinforzo-estinzione, nella presenza-sostegno o assenza di chi assiste al fenomeno. Il protocollo ideato su base gestaltica si orienterà invece a: 1.rendere protagonisti attivi
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del cambiamento di processo tutti i componenti del gruppo, inclusi i protagonisti
principali del fenomeno, qualora manifesto. 2. Promuovere processi di consapevolezza e respons-abilità, aspetti primari e passaggi fondamentali per un riadattamento
creativo al confine-contatto e maggiormente funzionale al sé e agli altri. 3. Creare
un clima gruppale caratterizzato da accettazione incondizionata, condizione sine qua
non per la crescita e l’evoluzione di ogni individuo, direzionata all’autorealizzazione
piena e orientata al benessere mente-corpo. 4. produrre stimoli esperienziali basati
sui livelli di esperienza gestaltici, che aiutino i ragazzi ad orientarsi verso nuove possibilità di “esserci con”. 5. offrire spazi specifici di sperimentazione attiva che consentano di acquisire competenze di autoregolazione delle emozioni.
4. Riferimenti epistemologici dei modelli
4.1 L’approccio Gestaltico integrato
La psicoterapia della Gestalt è orientata ad accompagnare il paziente nella gestione
dei sintomi e delle dinamiche psicopatologiche; le sue metodologie sono indirizzate
a sviluppare un dialogo con se stessi e con gli altri. L’esperienza è intesa quale campo
di apprendimento, con un duplice fine: entrare in contatto con le gestalt aperte, e al
tempo stesso, sviluppare risorse fondamentali, tra cui la consapevolezza e la responsabilità. [10] L’obiettivo è condurre la persona a ri-trovarsi, ad essere maggiormente
in contatto con se stessa, a riconoscere le proprie emozioni e i propri pensieri, e a
confrontarsi con i propri bisogni e i propri desideri. La Consapevolezza è uno strumento che ci permette di entrare in contatto con il presente fenomenologico del qui
e ora delle sensazioni, delle emozioni, dei pensieri, dei comportamenti e con tutto
ciò che accade nel campo interpersonale. La Responsabilità è intesa come la capacità
a rispondere a se stessi e al proprio contesto, caratterizzato da limiti e possibilità, relazioni positive e insoddisfazioni. Si dà attenzione alle emozioni, alla loro espressione
e alla loro canalizzazione all‘interno di processi dialogici e creativi. L’esperienza
permette di elaborare il materiale presente in figura, alimentando processi di riconoscimento delle emozioni, di restituzione di dignità ad ognuna di esse; di collocazione
nel corpo e di orientamento per la scarica, sempre direzionata all’integrazione con le
altre componenti presenti nel campo intersoggettivo. [11] Il bullo e la vittima non
sono pienamente in contatto con alcuni aspetti di se stessi e pertanto sono diventati
incapaci di stabilire un contatto funzionale al confine con l’altro; nelle diverse modalità di esprimere ognuno il proprio ruolo nel copione istituitosi, probabilmente non
conoscono né sperimentano un pieno senso del Sé, ma solo una forma adattata del
Sè. Il bullo ha trovato un modo di ‘stare con’ caratterizzato dalla prevaricazione e
dalla deumanizzazione, modalità che possono essere intese come resistenze al contatto percepite come protettive e di conferma al proprio essere nel mondo; il processo
di consapevolezza e meta-riflessione potrebbe permettergli di modificare il suo ruolo,
le sue modalità di stare al confine contatto con; contemporaneamente il coinvolgimento in un percorso di umanizzazione all’interno del gruppo, inteso come processo
di stimolo per approdare ad una maggiore consapevolezza degli aspetti emotivi ine-
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renti il comportamento, sia di invio che di risposta, potrebbero orientarlo a sviluppare
competenze di tipo empatico. La vittima a sua volta, attraverso una maggiore consapevolezza del sé, potrebbe riacquisire il senso di potere, ovvero maggiore empowerment e maggiore fiducia nelle proprie risorse, nonché una buona e sufficiente
autostima, risorse necessarie per la declinazione del sé verso un’autoaffermazione
piena. Nell’orientamento gestaltico integrato la prima parte del processo metodologico è orientato a strutturare una relazione terapeutica funzionante. Senza un’alleanza
operativa di base non si potrà procedere verso un dispositivo in grado di migliorare
la qualità del contatto ed il potenziamento del senso di sé, né si potrà mettere il soggetto in contatto con la realtà complessiva contestuale: interna ed esterna, fisica e
ambientale, individuale, gruppale [12] Una relazione di fiducia di base è fondamento
per la sperimentazione attiva di nuovi ruoli di espressione, per rompere i comportamenti stereotipati e quindi appropriarsi anche di altre parti di realtà. L’esperienza si
esplica nel presente fenomenologico, in un processo che diventa campo di apprendimento di nuove possibilità di esistenza. La drammatizzazione sarà la tecnica principale che, applicata al gruppo, permetterà di approdare a quanto specificato. Ci si
avvarrà inoltre dei livelli di esperienza, che la gestalt intende quali mezzi attraverso
cui accompagnare il soggetto, i soggetti, ad entrare in contatto con se stessi e il
mondo: il livello Cognitivo-verbale, il livello Immaginativo, il livello Emotivo, il livello Sensoriale, il livello Corporeo, il livello Relazionale e il livello Spirituale [13]
Nello sviluppo evolutivo è proprio in questo confine che imparo a funzionare, adattandomi creativamente. Se tutto fluisce l’adattamento sarà funzionale, al contrario
creo dei meccanismi che mi permettano di ‘stare con’ nel miglior modo possibile.
Così è per il bullo e per la vittima; ognuno ha acquisito un meccanismo di adattamento che fino a quel momento viene percepito come l’unico possibile. Il bullo è
sbilanciato nella polarità del potere, si è adattato al mondo con questa forma di entrare
in contatto con, al contrario la vittima è sbilanciata nella polarità della sottomissione,
e neanche lui conosce altre forme per entrare in relazione con.
5. Metodologia
Il dispositivo gruppale che si intende mettere in atto prevede l’avvicendarsi di diversi
step specifici, con l’obiettivo trasversale di sviluppare consapevolezza, respons-abilità, empatia ed autoefficacia, in tutti i partecipanti. I diversi step di intervento si
esplicano all’interno del campo relazionale, al confine – contatto Io-tu, in cui l’individuo sperimenta una totalità di fenomeni coesistenti che interagiscono e si influenzano vicendevolmente: le esperienze. Si può approdare alla conoscenza soltanto
attraverso l’esperienza e l’esperienza consta di diversi livelli. Gli incontri previsti
sono n. 10, a cadenza settimanale, più un ultimo incontro di monitoring, effettuato a
distanza di un mese, dalla chiusura del percorso.
5.1 La griglia di lavoro
Il lavoro di gruppo sarà sviluppato secondo:
- I livelli dell’esperienza
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- Il ciclo di contatto, all’interno del quale si esplicano i cicli di relazione e di esplorazione.
I livelli dell’esperienza costituiscono un’unità: è necessario considerare che, per
motivi metodologici, separeremo i livelli dell’esperienza a seconda di quello che, in
un momento temporale specifico, poniamo in figura. Attraverso l’attenzione verso
ciò che osserviamo e attraverso l’esplicitazione descrittiva, mettiamo in figura il livello che è maggiormente presente in quel momento, con la consapevolezza che sullo
sfondo, sono presenti tutti gli altri.
Il ciclo del contatto scandirà i tempi di esplicitazione del processo, sia all’interno
dello specifico incontro (intra-ciclo), che nell’intero percorso(inter-ciclo), in una sequenza continua di sfondi e figure che si avvicendano continuamente. Traslato nel
concreto il ciclo scandisce l’apertura e la chiusura di una esperienza specifica al confine-contatto tra l’io e l’ambiente, tra l’io e se stesso, tra l’io e il gruppo.
Il ciclo di relazione: il ciclo del contatto si esplica nella relazione, io – tu, io-gruppo.
In una prima fase la relazione al confine io-tu/io-gruppo sarà orientata a stabilire alleanza e fiducia per costruire la base sicura su cui fare esperienza; in una seconda
fase la relazione sarà orientata maggiormente alla consapevolezza e alla respons-abilità; a seguire, in una terza fase, la relazione permetterà di orientarsi verso un riadattamento creativo al confine io-tu/io-gruppo.
Il ciclo di esplorazione: consiste nell’attivazione piena dell’esperienza, nell’esplorazione dei meccanismi interni ed esterni. È il ciclo che stimola il riadattamento. Più
entro in profondità, più posso creare nuove condizioni per evolvermi.
5.2 Il ciclo del contatto intergruppale
Alla scoperta dell’Io corporeo
Nel pre-contatto si effettueranno attività mirate alla scoperta del proprio corpo, quale
sostegno primario per l’esserci nel mondo. Si cercherà, cioè, di “essere in contatto
con se stessi” ancor prima che con l’esterno. L’obiettivo è il recupero del contatto
con la propria corporeità, della consapevolezza corporea, dando ascolto alle proprie
sensazioni interne. Le attività saranno centrate su respirazione, il sé nel corpo, grounding sensoriale, focalizzazione, la rivitalizzazione di parti del nostro corpo, anche
mediante automassaggi corporei. [14] Le esperienze prevederanno il coinvolgimento
di tutto il gruppo, presupponendo degli spazi individuali, in sottogruppi e in gruppo
allargato.
L’Io nella relazione con il Tu
Nell’avvio al contatto si entrerà ancora più in profondità nella conoscenza del sé con
l’altro. Si attiveranno una serie di esperienze che stimoleranno il livello immaginativo, in cui l’individuo comincia a conoscersi e riconoscersi per quello che è e per
come potrebbe essere, per quello che vedo e per il come sono visto, immaginato,
pensato dall’altro. Il livello Immaginativo, ci fa leggere l’esperienza attraverso forme
che includono l’uso del simbolo, della fantasia e dell’immaginazione stessa. L’immaginazione e la fantasia ci aiutano a costruire nuove combinazioni e nuove possi-
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bilità di contatto con il mondo. L’immaginativo ci offre nuove possibilità di adattamento in situazioni difficili, contesti di pensiero in cui il nostro abituale modo di ragionare diventa insoddisfacente, costretto nel labirinto del già conosciuto e dello già
sperimentato. [15]
Copione di vita - sperimentazione attiva
Nel contatto pieno invece la sperimentazione attiva sarà protagonista del processo;
dopo l’essermi sentito, e l’essermi visto e immaginato, sperimento e rioriento il mio
io. La teatralizzazione dell’io nell’incontro con l’altro permette la sperimentazione
di quello che fino a quel momento era solo immaginato, pensato; ne verifico le conseguenze concrete, su me e sull’altro. Questo è un passaggio importante nel quale
oltre alla consapevolezza e alla responsabilità l’obiettivo sarà di orientare il gruppo,
inclusi i protagonisti del fenomeno, verso processi di umanizzazione e potenziamento
dell’empatia. Sarà una fase a cui si prevede di dedicare più spazi di espressione e
temporalità.
Assimilazione dell’esperienza
Il post contatto infine vedrà invece esperienze maggiormente mirate all’assimilazione
delle consapevolezze apprese, individuali e di gruppo, e attività volte ad una proiezione nel futuro in cui mi ri-vedo con possibili riadattamenti comportamentali.
Tabella 5.1
I n -C
Inter
Inte
Int
Cicl
Cic
Ciclo
i ddel
de Contatto
Co
Con
Cont
Conta
Contat
Contatt
C
g r uuppale
gr
up
upp
uppa
uppal
Pre-contatto
Avvio
contatto
Contatto
Pieno
Fase
della Alla scoperta dell’Io Corporeo
sensibilizzazione
al Fase
della L’Io nella relazione con il Tu
consapevolezza e
responsabilità
Visualizzazioni guidate
di gruppo
Ti incontro attraverso
un racconto
Creiamo, immaginando
Fase
della Copione di vita e Sperimentazione Monodramma
in
umanizzazione, attiva
gruppo
empatia
e
Psicodramma
autoaffermazione
Sperimentazione attiva
e
Meta-riflessione
cognitiva
Post- contatto Fase
di Assimilazione dell’Esperienza
assimilazione
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Respirazione
Alla scoperta del Sé
corporeo
Grounding sensoriale
Focusing
Feedback di gruppo
Autoriflessione
condivisa
Eteroriflessione
condivisa
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Risultati attesi
Attraverso l’applicazione di questo protocollo ci si attende di poter approdare alla
validazione di un dispositivo, ad orientamento gestaltico integrato, che possa ridurre
un fenomeno insidioso ed in crescita tra le nuove giovani generazioni, quale appunto:
il bullismo. Ci si auspica di offrire un contesto relazionale che possa incidere sulla
cultura identitaria, promuovendo risorse necessarie ad una sana crescita dell’individuo, quali appunto, la consapevolezza e la responsabilità, nonché il potenziamento
di abilità comunicative e relazionali basate sul rispetto e sull’espressione autentica
del sé. È un’idea concreta che mira a sostenere un sistema, quello scolastico, sempre
più coinvolto ad intendere l’individuo nella sua globalità, mente-corpo, pensieroazione, etichetta-espressione del sé autentico, in una visione olistica in cui l’educazione non è soltanto apprendimento di contenuti, quanto piuttosto accompagnamento
nella crescita globale della persona.
I risultati verranno valutati sulla base di questionari di autovalutazione e che ne misurino il gradiente di soddisfazione rispetto agli obiettivi prefissati:
1. da somministrare ai partecipanti (alunni) per una rilettura auto-valutativa conseguenti le dinamiche sperimentate durante il protocollo applicato;
2. da somministrare agli insegnanti al fine di misurare il gradiente di soddisfazione
degli stessi in relazione al processo, sempre in seguito all’esperienza.
Conclusioni
L’orientamento gestaltico integrato è un modello di lettura ed intervento che guarda
all’individuo ponendosi in una prospettiva olistica propositiva e di apertura a nuove
possibilità. Lì dove un individuo si vede costretto all’interno di uno schema rigido,
un’etichetta definita dal suo essere e fare, non può evolversi nel poter essere e nel
poter fare, se non costringersi ad una realtà limitata e limitante. Gli stimoli creativi
ed il campo di esperienza che l’orientamento gestaltico offre, possono diventare potenti strumenti di ri-orientamento anche per il preadolescente, rappresentato nei ruoli
di vittima o di bullo; può offrir loro e a chi assiste, nuove visioni di sé e fargliele direttamente sperimentare, attraverso processi attivi di conoscenza e consapevolezza
che permettono una ri-decisione esistenziale ed una rimessa in gioco di nuove modalità di adattamento, in un una fase evolutiva in cui ancora tutto è soltanto possibilità.
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Review
Il processo di improvvisazione creativa in musica
e in psicoterapia: una scoping review
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1
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ABSTRACT
Citation
Mosca L. L. (2021). Il processo
di improvvisazione creativa in musica
e in psicoterapia: una scoping review
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Ricevuto: 2 dicembre 2020
Accettato: 11 marzo 2021
Pubblicato: 13 marzo 2021
The ability to improvise is one of the elements that characterize human action. However, improvisation
has always been subjected to a lack of interpretation: it is considered an activity without rules and references, and assimilated to an action that does not require skills, therefore completely unexpected
and “surprising”. it is therefore clear that in this way it is contrasted with all those activities based on
the rigorous analysis of data and scientific methodologies that would seem to be the only ones to guarantee “authority”. But improvisational practice is certainly something much more defined and profound than the simple description used in the common mental representation. improvisation research
can inform basic cognitive neuroscience because it provides an original look at how experience gained
can shape the structure and functions of the brain. The elective field of this research field is represented
in the musical one. The question of the ways in which musicians improvise and the knowledge of the
brain regions that are activated during musical improvisations seems to be relevant not only for the
discipline that studies the “psychology of music” in the strict sense, but it can shed light on mental
processes involved in psychotherapeutic practice. within it, in fact, it is possible to recognize the
action of that mechanism of reorganization and adaptation of the knowledge, acquired by the professional, to the experience that is occurring in the here and now of the therapeutic situation, a mechanism
that we have seen to be at the base of any improvisational action.
KEYWORDS
Improvisation, Psychotherapy, Creativity, Divergent thinking, Neural Mechanism.
ABSTRAcT iN iTALiANO
La capacità di improvvisazione è uno degli elementi caratterizzanti l’agire umano. L’improvvisazione
è però da sempre sottoposta ad un difetto di interpretazione: essa è considerata un’attività priva di regole e riferimenti, ed assimilata ad un’azione che non necessita di competenze, quindi del tutto inaspettata e “sorprendente”. È chiaro quindi che in questo modo viene contrapposta a tutte quelle attività
basate sull’analisi rigorosa dei dati e sulle metodologie scientifiche che sembrerebbero essere le uniche
a garantire “autorevolezza”. Ma la pratica improvvisativa è sicuramente qualcosa di molto più definito
e profondo della semplice descrizione utilizzata nella rappresentazione mentale comune. La ricerca
sull'improvvisazione può informare le neuroscienze cognitive di base perché fornisce uno sguardo
originale su come l'esperienza acquisita possa modellare la struttura e le funzioni del cervello. il campo
di elezione di questo ambito di ricerca si rappresenta in quello musicale. La domanda sulle modalità
attraverso le quali i musicisti improvvisano e la conoscenza delle regioni cerebrali che vengono attivate
nel corso delle improvvisazioni musicali sembra essere rilevante non solo per la disciplina che studia
la “psicologia della musica” in senso stretto, ma essa può far luce sui processi mentali coinvolti nella
pratica psicoterapeutica. All’interno di essa, infatti, è possibile ravvisare l’azione di quel meccanismo
di riorganizzazione e adattamento delle conoscenze, acquisite dal professionista, all’esperienza che
si sta verificando nel qui ed ora della situazione terapeutica, meccanismo che abbiamo visto essere
alla base di qualsivoglia azione improvvisativa.
PAROLE CHIAVE
Improvvisazione, psicoterapia, creatività, pensiero divergente, meccanismi neuronali.
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Gennaio-Giugno 2021 | Volume 3 | Numero 1 | Review
pag. 10
Mosca
Il processo di improvvisazione creativa in musica e in psicoterapia: una scoping review
1. Introduzione
“Human beings learn and do things that have never been done before”. [1]
La capacità di improvvisazione è uno degli elementi caratterizzanti l’agire umano.
Nessuna pratica infatti, dalla più abituale come cucinare o parlare, in cui pur si eseguono dei passaggi essenziali per ottenere un “buon prodotto”, a quella particolare
come ad esempio progettare un palazzo, è scevra da un adattamento continuo alle
circostanze modulando in base ad esse le conoscenze ed abilità possedute.
Se l’uomo non disponesse di questa connaturata capacità di adattare le conoscenze
possedute alle circostanze, definita come “libertà creativa” e dovesse vivere esclusivamente attenendosi al rispetto totale di procedure esecutive allocate nei lobi frontali,
molto probabilmente lo stesso progresso scientifico, una delle forme più strutturate
e progettuali dell’agire umano, non si sarebbe potuto attuare.
L’improvvisazione è però da sempre sottoposta ad un difetto di interpretazione: essa
è considerata un’attività priva di regole e riferimenti, ed assimilata ad un’azione che
non necessita di competenze, quindi del tutto inaspettata e “sorprendente”. È chiaro
quindi che in questo modo viene contrapposta a tutte quelle attività basate sull’analisi
rigorosa dei dati e sulle metodologie scientifiche che sembrerebbero essere le uniche
a garantire “autorevolezza”. Ma la pratica improvvisativa è sicuramente qualcosa di
molto più definito della semplice descrizione utilizzata nella rappresentazione mentale comune.
Difatti, come altre forme di cognizione complessa, l'improvvisazione comporta una
partecipazione dinamica coinvolgente tutte le regioni della corteccia cerebrale.
Ma quindi, cosa significa improvvisare e, soprattutto, cosa non significa?
come dichiara l’etnomusicologo americano Berliner: “Le definizioni popolari di improvvisazione che enfatizzano solo la sua natura spontanea e intuitiva, caratterizzandola come il “fare qualcosa dal nulla”, sono sorprendentemente incomplete.
Questa comprensione semplicistica dell’improvvisazione smentisce la disciplina e
l'esperienza da cui dipendono gli improvvisatori e oscura le pratiche e i processi
reali che li coinvolgono. L'improvvisazione dipende, infatti, dal fatto che i pensatori
abbiano assorbito un'ampia base di conoscenze musicali, comprese una miriade di
convenzioni che contribuiscono a formulare idee in modo logico, convincente ed
espressivo. Non sorprende, quindi, che gli improvvisatori utilizzino metafore del linguaggio per discutere della loro forma d'arte. Lo stesso complesso mix di elementi
e processi coesiste per gli improvvisatori come per i professionisti della lingua qualificati; l'apprendimento, l'assorbimento e l'utilizzo delle convenzioni linguistiche
cospirano nella mente dello scrittore e l'utilizzo delle convenzioni linguistiche confluisce nella mente dello scrittore o del parlante o, nel caso dell'improvvisazione
jazz, del musicista per creare un'opera vivente” [2].
concepita in tal senso, si comprende dunque quanto l’azione improvvisativa sia una
costituente comune di svariate pratiche che interessano l’agire umano, e pur tuttavia
tale valore sembra essere ancora misconosciuto e delegato solo al campo dell’arte,
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sebbene sia chiaro che non tutta la creatività si esaurisca all'interno di tale dominio.
Sicuramente, in un certo senso, gli artisti sono esperti profondamente predisposti alle
abilità necessarie a permettere stati mentali creativi, e quindi possono offrire agli
scienziati un'opportunità essenziale per lo studio di questa facoltà. Ma la capacità
creativa ed improvvisativa non deve essere concepita come elemento esclusivo di
tale ambito.
A sostegno di tale idea il filosofo Donald Schön ha indagato le diverse pratiche professionali di tipo tecnico che si caratterizzano per una “riflessione nel corso dell’azione” [3], la quale viene posta in essere a causa dell’unicità stessa della situazione
in cui ci si viene a trovare. Questa situazione, non risultando passibile di inquadramento nelle categorie interpretative consuete, richiede che le conoscenze possedute
debbano essere necessariamente rimodulate e ristrutturate in una nuova chiave interpretativa, che riceverà verifica di efficacia nel momento in cui sarà applicata alla
contingenza particolare.
così se l’uomo vuole agire in maniera competente, in funzione della situazione, deve
necessariamente fare appello alla sua capacità di improvvisazione che gli permette
di far interagire le conoscenze possedute con le “zone indeterminate della pratica”
[4].
1.1 Gli elementi dell’improvvisazione musicale e dell’improvvisazione
in psicoterapia, una ipotesi di studio integrativa
La ricerca sull'improvvisazione può informare le neuroscienze cognitive di base perché fornisce uno sguardo originale su come l'esperienza acquisita possa modellare
la struttura e le funzioni del cervello. il campo di elezione di questo ambito di ricerca
si rappresenta in quello musicale.
il musicista che improvvisa sostiene una prova peculiare, quale quella di gestire molti
processi simultanei nel qui ed ora: generare e valutare sequenze melodiche e ritmiche,
coordinare le prestazioni con altri musicisti in gruppo ed eseguire elaborati movimenti
motori, il tutto in vista dell’obiettivo di creare musica interessante dal punto di vista
estetico [5].
La domanda sulle modalità attraverso le quali i musicisti improvvisano e la conoscenza delle regioni cerebrali che vengono attivate nel corso delle improvvisazioni
musicali sembra essere rilevante non solo per la disciplina che studia la “psicologia
della musica” in senso stretto, ma essa può far luce sui processi mentali coinvolti
nella pratica psicoterapeutica.
All’interno di essa, infatti, è possibile ravvisare l’azione di quel meccanismo di riorganizzazione e adattamento delle conoscenze, acquisite dal professionista, all’esperienza che si sta verificando nel qui ed ora della situazione terapeutica, meccanismo
che abbiamo visto essere alla base di qualsivoglia azione improvvisativa.
La revisione critica della letteratura finora prodotta mostra l’impiego di metodi di
neuroimaging, volto ad esplorare le basi cerebrali del meccanismo di improvvisazione
e studiarne le caratteristiche, esclusivamente nell’ambito della composizione musicale, utilizzando come campioni di studio pianisti jazz, musicisti classici, performer
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del rap freestyle e, come gruppo di controllo, non musicisti.
Da tali studi è emerso distintamente come il meccanismo di improvvisazione sia basato su una serie di processi continui di valutazione e di creazione, comportando la
rielaborazione di materiali noti in relazione a idee impreviste concepite, modellate e
trasformate dalle condizioni specifiche della performance. Tali condizioni contribuiscono a rendere ogni creazione unica. inoltre i risultati della ricerca comportamentale
e neurofisiologica suggeriscono che l'improvvisazione attinge a processi di dominio
generale come il pensiero divergente [6] e la flessibilità cognitiva.
2. Metodo ed obiettivo dello studio
Per individuare sistematicamente le più recenti ricerche svolte su questo argomento
è stata condotta una Scoping Review, allo scopo di identificare in tal modo gli elementi mancanti e quindi produrre nuove ipotesi di indagine.
Le revisioni di scoping sono da intendersi come mezzo, sempre più diffuso, per sintetizzare la letteratura esistente su un argomento o un campo in cui vi è mancanza di
prove rigorose, con l’obiettivo di effettuare una mappatura veloce dei concetti chiave
che sono alla base di suddetta area di ricerca. Le revisioni di scoping sono uno strumento ottimale per individuare l’esistenza di un campione di letteratura su un determinato argomento e fornire una panoramica (ampia o dettagliata) della sua
focalizzazione; esse sono utili per esaminare le prove emergenti quando non è ancora
chiaro quali altre domande più specifiche possano essere poste e affrontate da una
revisione sistematica [7].
il modello utilizzato nella presente revisione è quello offerto dal framework PRiSMA
[8], nella sua estensione appositamente elaborata per le scoping review (PRiSMAScR) [9] pubblicata nel 2018; tale modello prende vita attraverso 20 criteri (più due
facoltativi) cui il ricercatore viene chiamato a rispondere per poter vedere identificato
il proprio lavoro all’interno della categoria Scoping Reviews.
La domanda che ha guidato questa revisione di scoping è derivata dal voler indagare
se equivalenti ricerche impieganti i metodi di neuroimaging, condotte sul tema dei
correlati neurofisiologici dell’improvvisazione musicale, siano state compiute anche
nel campo della psicoterapia, muovendo dall’ipotesi di studio integrativa che analoghi
processi mentali a quelli che interessano il musicista improvvisatore si configurino
nella pratica psicoterapeutica, che quindi farebbe appello all’attivazione nella mente
del professionista nel qui ed ora del suo lavoro delle stesse aree cerebrali che si attivano nella mente del musicista che improvvisa.
il presupposto di studio parte dalla considerazione di un aspetto, tra i tanti, che accomuna musicisti e psicoterapeuti: la capacità di ascolto partecipe e in sintonia [10].
così come la produzione musicale è definibile come un momento di presenza intensificata nel qui e ora, il lavoro dello psicoterapeuta comporta una sperimentazione
delle interazioni con il cliente su molteplici livelli: melodia, suono, tono, consonanza
e dissonanza, accompagnamento, ritmo e tempo sono gli elementi sottostanti che sostanziano la sua azione.
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come afferma Yalom: “Nella sua essenza, il flusso di terapia dovrebbe essere spontaneo, seguire sempre un alveo inatteso; risulta grottescamente distorto se viene impacchettato in una formula che permette a terapeuti inesperti e formati in modo
inadeguato, di fornire una terapia uniforme [11]”.
3. Criteri di ammissibilità per gli articoli selezionati
Allo scopo di rispondere al quesito di ricerca della presente revisione di scoping,
sono stati inclusi quegli articoli che descrivevano le ricerche effettuate con i metodi
di neuroimaging e che avevano come argomento l’analisi del processo dell’improvvisazione musicale e della creatività, dal punto di vista dei suoi correlati neuropsicologici. Tali studi sono stati poi ulteriormente selezionati scegliendo quelli che si
focalizzavano sull’improvvisazione jazzistica.
Analogo processo di discriminazione è stato effettuato per evidenziare l’esistenza di
ricerche simili nell’ambito della psicoterapia, che attenessero allo studio dei correlati
neuropsicologici del processo di improvvisazione messo in campo dallo psicoterapeuta nel corso della seduta di psicoterapia.
Le fonti principali di informazioni della ricerca sono state tratte da quattro database
elettronici: Google Scholar, PubMed, Psycinfo, Scopus, da cui sono stati selezionati
articoli con data di pubblicazione a partire dall’anno 2009, utilizzando come chiavi
di ricerca parole quali: improvvisazione musicale, correlati neuropsicologici, psicoterapia, creatività, processo di improvvisazione in psicoterapia (Tab.1).
Tab. 1 Parole Chiave
improvvisazione musicale
improvvisazione jazz
correlati neuropsicologici
Psicoterapia
Psicoterapeuta
creatività
Processo+improvvisazione+psicoterapia
La lingua degli articoli selezionati è stata prevalentemente quella inglese, anche se
non sono mancati esempi di articoli scritti in italiano.
in totale, utilizzando le parole chiave, sono stati identificati come adeguati agli scopi
della revisione 31 articoli, alcuni dei quali (n.5) erano di per sé stessi già delle review,
dimostratesi significative; un numero ben più rilevante (circa 300), in seguito ad una
lettura degli abstract, non ha soddisfatto i criteri di inclusione, in quanto in essi si
trattava il tema dell’improvvisazione esclusivamente in ambiti quali la danza e/o la
rappresentazione teatrale o, nel caso dell’analisi del tema in psicoterapia, non assumevano come punto di osservazione il processo mentale dello psicoterapeuta. (Tab.
2) (Fig. 1)
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Tab. 2 Criteri di inclusione
ed esclusione
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Fig. 1 Diagramma di flusso processo
di selezione articoli
Identificazione
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n° 300 record identificati
n° 0 ulteriori record
Screening
n° 200 record dopo eliminazione dei duplicati
Eleggibilità
n° 100 articoli full-text valutati per
l’eleggibilità
Inclusione
n° 150 record sottoposti a screening
n° 31 studi inclusi nella sintesi
qualitativa
n° 50 record esclusi
Le caratteristiche degli studi selezionati sono state riassunte in informazioni schematiche contenute nella Tabella 3, relative all'autore, titolo, anno di pubblicazione,
scopo, al metodo di raccolta dei dati e gli strumenti utilizzati, alle dimensioni del
campione e al disegno dello studio. La popolazione indagata negli studi era composta
prevalentemente da musicisti esperti, esecutori specializzati in musica classica e/o
in improvvisazione jazzistica.
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Tab. 3 Schema articoli selezionati
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Gennaio-Giugno 2021 | Volume 3 | Numero 1 | Review
pag. 18
Mosca
Il processo di improvvisazione creativa in musica e in psicoterapia: una scoping review
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4. Sintesi dei risultati
come è stato possibile evincere dall’analisi della letteratura finora prodotta, un numero piuttosto corposo di studi ha impiegato metodi di neuroimaging per esplorare
le basi cerebrali della composizione musicale spontanea. Gran parte delle ricerche si
sono focalizzate sulla comprensione del coinvolgimento delle diverse regioni del cervello, associate ai meccanismi di controllo esecutivo, nel comportamento improvvisato.
in questo paragrafo verranno sintetizzati i risultati di tale analisi, volti a mettere in
evidenza gli elementi caratterizzanti il processo di improvvisazione.
in gran parte degli studi selezionati è risultato chiaro quanto nell’improvvisazione
musicale si assista ad una attivazione di estese regioni cerebrali (in tab. 3 n. 2, 3, 7,
11, 15, 16, 17, 18, 19,); si rileva infatti che le regioni frontali e premotorie, ad es. la
corteccia prefrontale dorsolaterale (DLPFc), le aree di associazione parietale, la corteccia cingolata anteriore (Acc), le aree motorie supplementari (SMA) e pre-supplementari (pre-SMA), così come le regioni premotorie laterali, sono importanti per
la generazione di strutture musicali ex novo [12].
in particolare è stata evidenziata una attivazione intensa nell'area di Broca e nell'area
di wernicke, due regioni appartenenti al circuito perisilviano che si definisce quale
substrato neurale del linguaggio; sono risultati attivarsi inoltre anche gli omologhi
dell'emisfero destro di entrambe queste aree. L'improvvisazione è stata anche associata a una forte disattivazione bilaterale del giro angolare, un'area identificata quale
centro cross-modale per l'integrazione semantica nell'elaborazione numerica, linguistica e di risoluzione dei problemi [13]. È chiaro dunque che la comunicazione musicale improvvisata, rispetto alla performance basata su musica memorizzata, possa
portare a un intenso coinvolgimento delle aree corticali dell'emisfero sinistro classi-
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Gennaio-Giugno 2021 | Volume 3 | Numero 1 | Review
pag. 19
Mosca
Il processo di improvvisazione creativa in musica e in psicoterapia: una scoping review
camente associate al linguaggio, così come dei loro omologhi dell'emisfero destro.
Tali risultati forniscono suggestioni concrete rispetto la sovrapposizione neurale tra
musica ed elaborazione del linguaggio e supportano l'idea che questi sistemi si basino
in parte su una rete comune di aree di elaborazione corticale prefrontale e temporale
[14]. Difatti il processo di pensiero alla base dell'improvvisazione nel jazz è stato assimilato al pensiero che elicita il linguaggio parlato, a causa dell’elemento che li accomuna: la produzione nel qui ed ora della performance [15, 16]. così come il
prodotto linguistico percorre vari stadi, in cui un'idea viene pianificata, tradotta in
una struttura linguistica, eseguita e infine valutata attraverso un monitoraggio [17],
allo stesso modo nell’improvvisazione è possibile concettualizzare un obiettivo musicale, formularlo in riferimento alla tonalità e alla melodia, pianificare e realizzare
il piano motorio e infine valutare il risultato [18].
Sono state altresì riscontrate attivazioni nell’area motoria pre-supplementare (preSMA) e nella corteccia dorsale premotoria (PDM), circuiti cerebrali che giocano un
ruolo fondamentale in molti aspetti cognitivi del movimento, in quella capacità
umana fondamentale di generare e organizzare liberamente sequenze di movimento
per raggiungere obiettivi di ordine superiore [19]. in particolare l'attività nel preSMA risulta correlata all'improvvisazione ritmica ma incrementa la sua attività anche
nell'improvvisazione melodica, mentre l’attivazione della PDM era presente nell'improvvisazione melodica, ma non nell'improvvisazione ritmica. Tuttavia, entrambe le
regioni risultano in una certa misura attive nelle condizioni di improvvisazione. in
definitiva, se la generazione libera di sequenze spaziali o temporali è associata solo
a modulazioni sottili nel livello di attività di pre-SMA e PMD, l'improvvisazione musicale creativa di melodia e ritmo sembra essere un processo largamente integrato.
A tal proposito sono stati presi in considerazione degli studi (in tab 3. n. 1, 4, 5, 6, 9,
10, 27, 28) che focalizzavano il proprio interesse sull’analisi del processo creativo
allo scopo di individuare i correlati strutturali della creatività. L’esame della letteratura ha portato ad identificare l’esistenza di una rete neuronale complessa che determina molti dei processi cognitivi essenziali per il pensiero creativo; essi
comprendono, tra gli altri, il recupero della memoria in funzione di un obiettivo (default esecutivo; [20]), l’inibizione della risposta predominante (default esecutivo;
[21]) e l'attenzione internamente focalizzata (esecutivo-visivo; [22]).
i circuiti neuronali e le aree cerebrali coinvolte nell’improvvisazione musicale, producono dunque le cinque dimensioni costituenti l’attività e cioè: anticipazione, comunicazione emotiva, flusso, feedback, uso del repertorio [23].
La dimensione dell’anticipazione si riferisce alla capacità di anticipare gli oggetti,
le caratteristiche e l’insieme di processi corrispondenti ai cluster musicali che devono
essere riprodotti. È eminentemente riferita agli aspetti individuali e richiede la capacità di pianificare l'improvvisazione e di avere un'idea globale dell'intero assolo [24].
essa si caratterizza altresì in quanto attività razionale e consapevole: implica uno
sforzo cognitivo che consente all'improvvisatore di trovare soluzioni molto complesse.
La dimensione di comunicazione emotiva si riferisce alla capacità di comunicare
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emozioni attraverso l'esecuzione musicale la quale può indurre, trasmettere e rappresentare stati affettivi attraverso tutti e tre gli elementi costituenti la musica e cioè
ritmo, melodia ed armonia. Le reazioni emotive dell’ascoltatore influenzano l'espressione emotiva del performer, attraverso i feedback forniti: dunque l’improvvisatore
modificherà il suo modo di esibirsi in base al feedback ricevuto.
il fattore flusso si riferisce a uno stato mentale che raccoglie elementi cognitivi, fisiologici e affettivi, collegati al concetto di esperienza ottimale. Quando gli improvvisatori fanno esperienza di uno stato di flusso, si concentrano solo su ciò che stanno
eseguendo focalizzandosi sul qui ed ora del momento creativo e superando le loro
stesse limitazioni cognitive.
il fattore feedback si riferisce al “processo mediante il quale un ambiente restituisce
agli individui una parte delle informazioni, nel loro output di risposta, necessarie
per confrontare la loro strategia attuale con una rappresentazione di una strategia
ideale” [25]. Questo elemento si configura essere come essenziale in ogni
attività/performance umana, non esclusivamente in quella musicale.
infine l'uso del fattore repertorio si riferisce alle formule pre-composte o ai cliché
utilizzati durante l'improvvisazione, assimilati dall’ascolto precedente di altri musicisti e spesso modificati dall’esecutore nel qui ed ora dell’improvvisazione in atto.
Molte volte il musicista che improvvisa attinge ad un insieme di formule o cliché da
egli stesso costruito e la scelta del particolare pattern musicale da utilizzare in un determinato momento dipende dall’idea generale che egli ha intenzione di riprodurre o
dalla direzione verso la quale intende far muovere la sua improvvisazione.
Risulta chiaro dunque che l’improvvisazione coinvolge in una comunicazione dinamica molte aree della corteccia cerebrale, chiamando in causa processi generali come
il pensiero divergente e la flessibilità cognitiva: è quindi un’attività strutturata che
richiede abilità specifiche. essa è concepibile quindi quale concetto multidimensionale, che include elementi tecnici, espressivi e sociali, ed un'attività strutturata, che
richiede diverse competenze specifiche.
5. Discussione e sviluppi
vista in questo modo, troviamo che l'improvvisazione possa essere intesa come una
parte vitale della psicoterapia, in cui vanno a rispecchiarsi tutti gli elementi in essa
riscontrati.
come ha illustrato Bradford Keeney “data la natura imprevedibile della comunicazione di un cliente, la partecipazione del terapeuta agli spettacoli teatrali di una seduta diventa un invito all’improvvisazione. In altre parole, dal momento che il
terapeuta non sa mai esattamente cosa dirà il cliente in un dato momento, non può
fare affidamento esclusivamente su linee, schemi o script progettati in precedenza…
(…..) ogni particolare espressione in una sessione offre un’opportunità unica di improvvisazione, invenzione, innovazione o, più semplicemente, cambiamento” [26].
Si rende palese l’idea, attraverso queste parole, di come le persone “compongano”
ogni seduta utilizzando l’arte dell'improvvisazione che implica, come abbiamo visto,
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la ricombinazione di materiali familiari in nuove forme, in modalità sensibili al contesto, all'interazione e alla risposta [27]. i ruoli non sono stabiliti, i copioni non sono
definiti; il tempo e lo spazio sono indeterminati. Gli atti iniziano dall'ignoto, attingono
dall'ignoto e si sviluppano dall'ignoto in un ambiente e in una relazione [20]. L’utilizzo dell’improvvisazione diventa un vero e proprio mezzo in cui tutte le dimensioni
del lavoro psicoterapeutico vengono realizzate più profondamente e in modo più
vivo.
È fuori da ogni dubbio che nel momento in cui i terapeuti risuonano con la “melodia
relazionale” partecipano con il paziente al processo della sua scoperta di sé e alterano
la traiettoria prescritta delle sue rappresentazioni: la psicoterapia richiede una risonanza profonda tra due corpi e due sistemi cervello/mente, allo stesso modo in cui
accade nelle improvvisazioni musicali. La terapia diventa in tal modo concepibile
come un processo di sincronizzazione delle melodie relazionali, un'improvvisazione
relazionale che si sintonizza sull’evoluzione diadica, nei domini verbali e non verbali,
e che amalgama l'arte con la scienza oggettiva, soggettiva e intersoggettiva.
il parallelismo tra il processo terapeutico e musicale si appoggia sul fattore alla base
di entrambi gli sforzi creativi, che si sostanzia nelle dinamiche emergenti non lineari:
ciascun incontro relazionale diventa un'interpretazione unica, che trasforma sia l'interprete che l’ascoltatore.
L’utilizzo in psicoterapia del modello musicale delle transazioni relazionali, basato
sul processo improvvisativo, stimola i terapeuti di tutti gli orientamenti a porre attenzione al flusso del processo ascoltando al di là delle parole e a sintonizzarsi con
lo spazio esperienziale ponendo attenzione alle dimensioni intersoggettive dell'interazione. il focus associativo-emotivo che si sviluppa nel suonare (o ascoltare) musica
trasposto nel processo terapeutico consente una risonanza più profonda con il paziente, evidenzia le mutue sincronizzazioni, i contenuti convergenti e divergenti, le
rotture e gli attaccamenti relazionali.
in definitiva, sia il performer che il terapeuta consentono lo sviluppo di una pura reattività nel qui ed ora di ogni incontro.
Dalle ricerche effettuate nei differenti database consultati non sono emersi, in un numero consistente, studi volti ad indagare i processi neuronali su cui si fonda l’elaborazione del pensiero terapeutico fondato sui meccanismi tipici dell’improvvisazione.
La risonanza metodologica tra i due ambiti al momento non sembra essere stata indagata dal punto di vista delle sue basi neuroscientifiche facenti leva sul comportamento improvvisativo, spiegato secondo i criteri sopra elencati.
Difatti il materiale reperito si riferiva principalmente a ricerche di tipo qualitativo
basate su analisi interpretative ristrette all’ambito psicoanalitico/psicodinamico (in
tab. 3 n. 8, 20, 21, 22, 23, 25).
Questo sembra introdurre una lacuna conoscitiva in merito al modo in cui (il come)
l’improvvisazione venga vissuta in terapia, a quale sia l'esperienza soggettiva del terapeuta e del cliente nei momenti improvvisati, e infine, a come e perché quell'esperienza porti a cambiamenti nel processo terapeutico. inoltre fa emergere interrogativi
interessanti in merito alla possibilità che il terapeuta resti distaccato dal processo o
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si immerga totalmente in esso, se cerchi un significato oggettivo della storia terapeutica, oppure si perda nelle vicissitudini soggettive e intersoggettive del qui ed ora del
racconto e della seduta.
esclusivamente in uno degli articoli selezionati (in tab. 3 n. 14) si è tentato in maniera
esplicita di stabilire le connessioni metodologiche esistenti tra il processo terapeutico
e quello di improvvisazione, mettendo ben in evidenza come nell'incontro terapeutico, così come nell’improvvisazione, è palese che “il tutto è più della semplice
somma delle singole parti” pertanto ciò che viene prodotto e sperimentato è sicuramente più di ciò che ogni persona offre coscientemente. ed è proprio la capacità creativa ed improvvisativa del terapeuta che gli dà la possibilità di intendere questa
totalità oltrepassando i limiti che la normale comunicazione verbale impone, consentendogli di cogliere aspetti di informazione maggiormente ricchi e significativi.
Non bisogna dimenticare infatti che la parte più consistente dell'elaborazione dell'informazione è svolta dalle reti subcorticali, in cui si determinano letture simultanee
degli ambienti fisiologici, delle valenze emotivo/affettive e dei cambiamenti nei contesti e in noi stessi in relazione a questi. il modello di risonanza reciproca negli approcci relazionali alla psicoterapia pone l'accento sulla sintonizzazione mente/corpo
tra i sistemi somatico, affettivo e cognitivo del paziente e del terapeuta. Ma mentre
l'ascolto sintonizzato e la risposta mirano a raggiungere l'armonia interpersonale, la
sintonizzazione va pensata nel contesto dell'interazione per cui un paziente e un terapeuta diventano partner in un duetto relazionale, si impegnano per ottenere un movimento relazionale più armonioso e coerente, partendo da un punto in cui la melodia
relazionale del paziente è inframmezzata da frequenti dissonanze che non riesce ad
integrare nella sua esperienza.
il ritmo del flusso relazionale procede avanti e indietro, le espressioni sono spesso
punteggiate da silenzi, i ritmi sincronizzati di risposta affettiva unici per ogni diade
e momento per momento. Questa è l'essenza della psicoterapia come improvvisazione
relazionale.
Pertanto lo sviluppo futuro delle ricerche potrebbe essere incentrato sull’utilizzo di
un approccio di studio in ambito psicoterapeutico simile a quello utilizzato nel campo
dell’improvvisazione musicale, per determinare con maggiore puntualità i processi
cognitivi che sottostanno l’improvvisazione terapeutica. La proposta di studio dei
correlati neurologici del processo di improvvisazione in psicoterapia potrebbe essere
sviluppata attraverso l’impiego della spettroscopia funzionale nel vicino infrarosso
(functional Near-infrared Spectroscopy, fNiRS), una tecnica non-invasiva di neuroimaging funzionale che impiega luce diffusa nella banda spettrale del vicino infrarosso
per indagare l'attività emodinamica della corteccia cerebrale e la conseguente capacità
funzionale ad essa associata [28]. Allo stesso modo di altre tecniche di neuroimaging
funzionale, il principio fisiologico che permette di correlare l'attività emodinamica
misurata alle singole capacità funzionali si riferisce al fenomeno dell'accoppiamento
neuro-vascolare. Questo principio afferma che un'attività neurale relativa ad una specifica area cerebrale, che fa riferimento a una risposta funzionale del soggetto a seguito di uno stimolo, causa un aumento locale del consumo di ossigeno ed una
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conseguente variazione del flusso sanguigno. in particolare, questo processo metabolico si traduce in un aumento locale dell'apporto di emoglobina ossigenata e una
corrispondente riduzione di emoglobina deossigenata nell'area cerebrale deputata
allo svolgimento di uno specifico compito. Sebbene il rapporto fra l’attività neuronale
e quella vascolare nel cervello non sia ancora totalmente compreso, gli esperimenti
hanno mostrato che essi sono direttamente proporzionali: ad un aumento del flusso
sanguigno, con conseguente aumento dell’ossigenazione locale, segue un aumento
dell’attività̀ neuronale. Rilevando quindi variazioni locali del flusso sanguigno e
dell’ossigenazione, si possono dedurre la presenza o assenza di un’attività̀ cerebrale
e la sua localizzazione, da cui si possono dedurre importanti informazioni per esempio sul processo dell’attenzione, della memoria, della capacità di pianificazione e ragionamento.
6. Conclusione
L’idea che ha guidato la presente revisione di scopo ha inteso indagare l’esistenza di
studi e ricerche che convalidassero l’ipotesi secondo la quale i meccanismi neuronali
che sottostanno l’azione dello psicoterapeuta possono essere comuni a quelli attivati
nella mente del performer che improvvisa musica. in questo ambito i metodi di neuroimaging hanno consentito infatti di evidenziare processi specifici nell’ambito della
cognizione improvvisativa e che l'esperienza di essere musicalmente creativi è correlata con una maggiore superficie o volume corticale in regioni di ideazione creativa
generale del dominio, regioni specifiche del dominio frequentemente reclutate per
compiti musicali e regioni affiliate alle emozioni. ciò produce l’attivazione di funzioni cognitive quali: attenzione, percezione, linguaggio, memoria e ragionamento
intellettuale, funzioni che a ben vedere sono in gioco della mente dello psicoterapeuta
nel corso dell’incontro.
Quindi, per concludere, se la neuroscienza dell'improvvisazione musicale può avere
implicazioni nella migliore comprensione dei meccanismi che consentono la riorganizzazione dei circuiti che sottostanno a funzioni di ordine elevato come la semantica
e la creatività, la neuroscienza dell’improvvisazione in terapia potrebbe fornire informazioni importanti per aiutare a comprendere quanto e in che modo essa si rappresenti quale modalità terapeutica di interazione efficace per il fatto che configura
un cambiamento nel modo di essere del terapeuta, che innesca parallelamente un
cambiamento nel paziente. ciò perché un paziente e un terapeuta sono partner di un
duetto relazionale, lavorano insieme per creare un flusso relazionale armonioso e
coerente, a partire da un punto in cui la melodia relazionale del paziente è caratterizzata da molteplici dissonanze non integrate nella sua esperienza della realtà.
Sia la psicoterapia che le performance musicali costituiscono imprese creative che
coinvolgono nuove percezioni, l’elaborazione cognitivo-emotiva integrata e delle risposte contestuali.
Frequentemente l’improvvisazione si sostanzia in azioni che i terapeuti mettono in
atto senza dare loro questa etichetta specifica, allorquando incontrano momenti in
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cui i modi consueti di interagire falliscono: è in questi momenti accade qualcosa di
nuovo, in cui il terapeuta è allo stesso tempo conduttore, accompagnatore, co-creatore
e ascoltatore della composizione in atto. Analizzare i meccanismi che sostanziano
questa capacità di improvvisazione, parallela a quella del paziente, consentirebbe di
far emergere la misura della capacità creativa del terapeuta e la misura della sua efficacia nel gioco interpersonale [29].
Brahms affermò che, se veramente ispirato, un “prodotto finito” gli veniva spesso
“rivelato” “battuta dopo battuta”. egli sosteneva la necessità di trovarsi “in una condizione di semi-trance per ottenere tali risultati, una condizione in cui la mente conscia è temporaneamente in sospeso e il subconscio ha il controllo, perché è attraverso
la mente subconscia ... che l'ispirazione arriva” [30].
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Tratto
il
20
ottobre
2020,
09:53
da//it.wikipedia.org/w/index.php?title=Spettroscopia_funzionale_nel_vicino_infrarosso&oldid=106808
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pag. 26
Pubblicato: marzo 2021
doi: 10.32069/pj.2021.3.93
REVIEW
Il riconsolidamento della memoria.
Verso un modello unificato di cambiamento
in psicoterapia
Francesco Paolo Scarito1
1
Servizio di Psiconcologia, Dipartimento Oncologico di III livello, La Maddalena, Palermo (Italia)
ABSTRACT
Citation
Scarito F. P. (2021). Il riconsolidamento
della memoria. Verso un modello
unificato di cambiamento
in psicoterapia
Phenomena Journal, 3, 27-34.
https://doi.org/10.32069/pj.2021.3.93
The research on memory reconsolidation, in neuroscientific field, want to dimostrate that is possibile
the cancellation of “emotion learning” reported in implicit memory. This paper want to examine some
of these results and how they can be traslate in therapeutic practice, in order to provide a common
change’s model and empirically confirmed. This new trans- theoretical knowledge, entrusted to clinic
professionals, could have an impact, both on psycotherapy’s effectiveness, and on models of psychological treatment. This work try to explain the memory reconsolidation process and underline that
this process is responsable of changing therapy. This evidence is different from other changing’s models actually dominat in clinic paradigm that aspire to “autoregolation”.
Direttore scientifico
Raffaele Sperandeo
KEYWORDS
Memory reconsolidation, implicit emotional patterns, transformative change process.
Supervisore scientifico
Valeria Cioffi
ABSTRACT IN ITALIANO
Journal manager
Enrico Moretto
Contatta l’autore
Francesco Paolo Scarito
francesco_scarito@libero.it
Ricevuto: 18 maggio 2020
Accettato: 15 marzo 2021
Pubblicato: 16 marzo 2021
La ricerca sul riconsolidamento della memoria in neuroscienze sta dimostrando che è possibile la cancellazione di apprendimenti emotivi registrati nella memoria implicita. Questo articolo vuole esaminare alcuni di questi risultati e come possono essere tradotti nella pratica terapeutica per fornire un
modello di cambiamento comune ed empiricamente confermato. Questa nuova conoscenza transteorica affidata ai clinici potrà avere un impatto sia sull’efficacia della psicoterapia sia sull’unificazione
dei diversi modelli di trattamento psicologico. Questo articolo cerca di spiegare il processo di riconsolidamento della memoria e sottolinea le prove a sostegno dell’ipotesi che questo processo sia responsabile del cambiamento in terapia, differente dall’altro tipo di cambiamento che mira
all’autoregolazione fino ad ora dominante nel paradigma clinico che ha portato ad una pratica del
contenimento emozionale.
PAROLE CHIAVE
Riconsolidamento della memoria, schemi emotivi impliciti, processo di cambiamento trasformativo.
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pag. 27
Scarito
Il riconsolidamento della memoria. Verso un modello unificato di cambiamento in psicoterapia
Introduzione
I mutamenti in corso nelle neuroscienze sono sorretti da un nuovo sapere trans-disciplinare sul sistema mente-cervello e da una visione di integrazione fra sistemi e
funzioni mentali, che superano i tradizionali dualismi mente-corpo, cognizione-emozione [4]. La scoperta di network cerebrali complessi, che riguardano, non solo il sistema nervoso ma anche altri sistemi di regolazione corporea [1], apre la strada ad
una visione di individuo organismo mente-corpo unificato. Questo vero e proprio
cambiamento di paradigma, non solo cambia i punti di riferimento nelle singole discipline mediche, psicologiche e sociali, ma promette anche una ristrutturazione profonda nella pratica terapeutica.
Dal primo decennio di questo secolo assistiamo ad una particolare rivalutazione degli
studi sulla memoria, ben lontani ormai dalle prime linee di ricerca che avevano come
soggetto privilegiato l’animale o l’essere umano in laboratorio. Così si sta arrivando
a focalizzare il complicato intreccio nei processi di memoria fra cognizione ed emozione senza tralasciare l’effetto dello stress e del trauma nei processi che sostengono
le funzioni mnestiche [1].
In questo articolo, intendo soffermarmi maggiormente su quel filone di ricerca che
si focalizza su un interessante fenomeno definito dai neuroscienziati “riconsolidamento della memoria” per la sua particolare e, a mio avviso, stimolante ricaduta clinica.
Questa nuova linea di ricerca neuroscientifica si incentra sulla scoperta, abbastanza
sorprendente, che il nostro cervello possiede una particolare capacità neuroplastica
che gli consente di cancellare specifici apprendimenti emozionali, impressi nella memoria implicita, proprio a livello di quelle sinapsi neuronali che li hanno codificati
nei processi cerebrali e che sono responsabili della gran parte della sintomatologia e
degli attaccamenti disfunzionali presentati dai pazienti in psicoterapia [16].
I professionisti della salute mentale mirano indubbiamente ad aiutare i propri pazienti
a cambiare in modo permanente comportamenti, emozioni, pensieri e somatizzazioni
indesiderate. Essi si sono trovati storicamente di fronte a due difficoltà sostanziali: il
primo l’impossibilità di definire un modello trans-teorico di cambiamento, il secondo
è quello di individuare in modo unico un processo specifico attraverso cui si arriva
al cambiamento. Lo stato dell’arte in psicoterapia, indipendentemente dalla teoria di
riferimento, ha definito un tipo di cambiamento “incrementale” piuttosto che “trasformativo”, ovvero invece di modificare lo schema implicito pre-esistente si favorisce il formarsi di un nuovo schema/modello mentale, parallelo al precedente,
lasciando nei fatti aperta la porta a sempre probabili ricadute.
La cancellazione che avviene attraverso il processo di riconsolidamento della memoria individua invece una possibilità nuova, attraverso una ri-codifica, che come
cercherò di spiegare, elimina al livello della memoria implicita il precedente apprendimento emotivo, su cui si basano importanti modelli o schemi mentali, senza però
alterare la memoria autobiografica, creando così il presupposto all’interruzione del
sintomo [5] [6].
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pag. 28
Scarito
Il riconsolidamento della memoria. Verso un modello unificato di cambiamento in psicoterapia
Schemi emotivi impliciti
Alla base dei diversi comportamenti, stati d’animo, emozioni e pensieri per cui gran
parte delle persone intraprendono una terapia ci sono degli apprendimenti emotivi
“impliciti” e non facilmente accessibili attraverso i processi di memoria episodica,
che sono stati memorizzati durante esperienze connotate emotivamente [9] [13] [14]
[15] [2].
La conoscenza implicita è definita come una particolare conoscenza procedurale.
Tale conoscenza definisce cosa aspettarsi, quando e come comportarsi in una particolare situazione (per esempio essere compiacente al fine di sentirsi al sicuro all’interno di una relazione). Riguarda un sapere profondo e generalizzato di come
funziona il mondo (per rimanere nell’esempio precedente, che le persone diventano
rifiutanti se scontentate in qualche modo). Tale conoscenza è costituita da schemi
(pattern o modelli mentali) [2] che sono stati astratti ed estratti dall’esperienza e memorizzati in sistemi di memoria diversi da quelli definiti come memoria “episodica”
esplicita e autobiografica, di eventi passati. Questo tipo di conoscenza creata da un
apprendimento implicito rimane fuori dalla consapevolezza, in uno stato non verbale
[16] anche quando genera comportamenti, emozioni e pensieri in risposta ad esperienze attuali.
I terapeuti si scontrano ogni giorno con gli effetti di questi schemi/modelli impliciti,
che all’atto dell’apprendimento emotivo iniziale hanno avuto un valore adattivo fondamentale, ma tendono ad autoperpetuarsi nonostante il cambiamento delle condizioni ambientali, seguendo necessità di coerenza interna ai processi cognitivi ed
emotivi della mente [5]. Sono clinicamente riconoscibili come espressioni di particolari apprendimenti emotivi inconsci, stili di attaccamento, regole e ruoli della famiglia d’origine, temi emotivi irrisolti, ricordi traumatici, ecc., e si riattualizzano in
seguito a dei trigger esterni o interni, collegabili attraverso associazioni soggettive
agli iniziali apprendimenti emotivi [13] [10]. La riattivazione di questi schemi impliciti, quando disfunzionali, può manifestarsi come attacchi di panico e d’ansia, depressione, comportamenti di dipendenza, vergogna, autocritica, rabbia, inibizione
sessuale, paura dell’intimità, sintomi di stress post-traumatico come ipervigilanza o
evitamento compulsivo e molti altri sintomi e sofferenze.
Per quasi tutto il XX secolo i neuroscienziati avevano concluso che i circuiti neurali
degli apprendimenti emotivi erano immutabili e permanenti per tutta la vita dell’individuo una volta che venivano codificati in memoria. In altre parole, non sembrava
esistesse alcuna forma di neuroplasticità in grado di sbloccare le sinapsi che mantenevano consolidati i circuiti della memoria implicita. Si era arrivati a questa conclusione basandosi sugli studi dell’estinzione che mettevano in rilievo la soppressione
della risposta comportamentale di un apprendimento emotivo consolidato in seguito
a ripetute esperienze di controcondizionamento [5]. Neuroscienziati e psicologi, a
partire dagli storici studi di Pavlov, supponevano che, anche dopo la completa soppressione, attraverso l’estinzione di una risposta emotivamente appresa (condizionata), la risposta originale veniva soppressa solo temporaneamente ma non eliminata
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radicalmente dalla memoria e, si poteva riattivare in vari modi [9].
Quello che veniva affermato è che le tecniche di estinzione danno origine ad un apprendimento distinto in un sistema di memoria fisicamente separato da quello dell’apprendimento target e che l’apprendimento generato dall’estinzione compete, ma
non sostituisce, l’apprendimento target [9].
Gli apprendimenti emotivi consolidati pertanto sono stati ritenuti indelebili nella memoria, codificati in circuiti neurali da sinapsi bloccate. Conclusione: gli apprendimenti emotivi durano per tutta la vita quindi le persone non possono mai liberarsi da
reazioni di paura, condizionamenti dell’infanzia, stili di attaccamento insicuro, che
hanno effetti assai limitanti nel corso della loro vita. Significava, in altre parole, attribuire all’evoluzione un ruolo di condanna in quanto responsabile di aver trasformato il sistema limbico – un’area sottocorticale con funzioni di memoria implicita –
in una sorta di prigione psicologica in cui ognuno di noi sconta una condanna a vita
[5]. A tal uopo l’unica strategia psicoterapeutica possibile per contrastare i sintomi
basati sulla memoria emotiva, indipendentemente dalla teoria di riferimento, è l’uso
di metodi “contro-attivi” (ad esempio strategie per la gestione dell’ansia, tecniche
sul pensiero, la regolazione emozionale [11] [12]. Essi competono contro l’apprendimento indesiderato, attraverso un nuovo apprendimento che scavalca o sopprimere
la risposta indesiderata. Quest’ultima rimane relativamente libera di ripresentarsi e
comporta al paziente uno sforzo continuo per contrastarla [5].
Il riconsolidamento della memoria
Sul finire degli anni 90 del secolo scorso i ricercatori hanno iniziato a servirsi di
nuove tecnologie più sofisticate e, allo stesso tempo, avvantaggiarsi di conoscenze
sempre più avanzate sul cervello e sui siti della memoria implicita. Tali ricercato
hanno utilizzato alcuni agenti chimici noti per la capacità di distruggere nuove sinapsi
instabili, non consolidate, ma non sinapsi già consolidate e bloccate: hanno applicato
tali agenti poco prima o poco dopo la riattivazione di un apprendimento emotivo consolidato scoprendo che, in alcuni casi, risposte consolidate e ben apprese scomparivano completamente e non potevano essere rievocate [10].
Questo significava che sinapsi consolidate potevano essere sbloccate, cioè fisicamente convertite in uno stato plastico o labile simile a quello delle sinapsi prima del
consolidamento iniziale. Questo nuovo stato di labilità o di destabilizzazione (“finestra di riconsolidamento”) è solo temporaneo, prima che venga bloccato da un nuovo
consolidamento. Questo riguarda non solo le condizioni di laboratorio, ma anche
quei ricordi impliciti riattivabili dalle esperienze di vita.
Contrariamente a come abbiamo pensato per un secolo, il consolidamento degli apprendimenti:
a) non è un processo definitivo, di una singola volta;
b) non è indelebile e può essere riportato temporaneamente ad uno stato de-consolidato che consente la cancellazione non solo con mezzi chimici, ma anche con dei
nuovi apprendimenti che avvengo all’interno di una finestra di riconsolidamento.
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Il riconsolidamento della memoria. Verso un modello unificato di cambiamento in psicoterapia
Come funzione il riconsolidamento
In neuroscienze il termine “riconsolidamento” indica sia il nuovo bloccaggio delle
sinapsi nella fase finale del processo naturale di sblocco, sia l’intero processo di
sblocco che comporta la correzione ed il nuovo bloccaggio delle sinapsi (la ricodifica
di un ricordo che permette la riorganizzazione della memoria esistente).
Inoltre i neuroscienziati si basano su dei marker comportamentali specifici che segnalano l’effettiva cancellazione del ricordo:
• non-riattivazione: una risposta emotiva specifica diventa immediatamente e stabilmente non più riattivabile da parte di quei trigger o situazioni di stress capaci in
precedenza di stimolarla;
• cessazione del sintomo: sintomi sia nelle loro componenti comportamentali, emotivi, cognitive o somatiche o cognitivi scompaiono in modo stabile;
• permanenza senza sforzo: la risposta emotiva e dei sintomi non si riattiva senza
sforzo e senza misure contro-attive [5].
Quello che però i singoli ricercatori sottolineano è che la singola operazione di riattivazione di un ricordo target non è sufficiente a renderlo labile e quindi modificabile
perché la riattivazione del ricordo è solo il primo dei due passaggi necessari per essere
sostituito da un nuovo apprendimento. L’altro, di contro, è la percezione di un’esperienza che non corrisponde al ricordo target, che si deve porre rispetto al primo o
come una novità o come una sua contraddizione. A questo punto, se dovessero sussistere queste condizioni, il ricordo potrà essere aggiornato da una nuova esperienza
di apprendimento.
Pertanto, possiamo dire che, il riconsolidamento è reso possibile dalla violazione di
un’aspettativa basata sull’apprendimento precedente (mancata corrispondenza), con
conseguente sblocco delle sinapsi relative a tale apprendimento, altrimenti la cancellazione non si può verificare [5].
A completamento di tale discorso, occorre precisare che, la cancellazione è legata
solo all’apprendimento definito come target, ma non agli altri apprendimenti strettamente legati ma non riattivati. Tant’è vero che, in alcune ricerche sull’uomo, si è dimostrato che la cancellazione di una paura appresa, non compromette la memoria
episodica. L’episodio può essere raccontato ma la paura associata non viene più non
più evocata. Questo prova che memoria implicita e quella episodica fanno parte di
rete mnestiche diverse [5].
Riconsolidamento e pratica clinica
Le conoscenze che molti terapeuti hanno, attualmente, in merito alle implicazioni
delle neuroscienze sulla psicoterapia, si basano sullo stato dell’arte pre-riconsolidamento. Le nuove conoscenze relative al riconsolidamento possono sicuramente ampliare se non modificare il quadro aggiungendo un nuovo tipo di processo di
cambiamento che differisce significativamente, sotto vari aspetti, da quanto noto precedentemente. Come affermato da Fosha, Siegel e Solomon [7] [8], il paradigma pre-
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riconsolidamento comporta per i clinici alcuni fondamentali assunti. Sicuramente già
erano note le doti di neuroplasticità del cervello che potevano essere favorite terapeuticamente da nuove esperienze emotive e non solo tramite insight cognitivi. Il
punto saliente però rimane questo: le risposte emotive indesiderate che originano dai
centri cerebrali emotivi sottocorticali (aree limbiche) possono essere o regolate o
soppresse terapeuticamente solo attraverso la creazione di apprendimenti e risposte
preferenziali in altre regioni del cervello (aree prefrontali) che inviano connessioni
neurali di regolazione alle regioni sottocorticali.
Il paradigma del riconsolidamento, come specificato sopra, apre la strada a possibilità
trasformative profonde le cui mire vanno oltre ad un risultato di autoregolazione
emotiva. Certo, trasferire i risultati dal campo di ricerca neuroscientifica a quello
della pratica clinica non è così scontato. Esistono delle differenze alquanto significative fra esperienze di laboratorio, dove è possibile mantenere un certo controllo
sulle condizioni, ed il setting terapeutico che, ovviamente ha caratteristiche (relazionali ed emotive) ben più complesse del precedente. In più possiamo affermare che
lo psicoterapeuta, differentemente da un neuroscienziato, spesso, o non conosce l’apprendimento target che si vuole eliminare o questo è indubbiamente più emotivamente elaborato.
Mi focalizzerò su dei risultati riportati da Ecker e coll. [5] [6] ottenuti da studi su
campioni umani in cui apprendimenti esistenti sono stati cancellati, indeboliti, o modificati utilizzando metodiche esperienziali per indurre nuovi apprendimenti. Uso gli
studi clinici di tali autori come modello di riferimento per la clinica del riconsolidamento.
La sequenza trasformativa, è basata su uno schema a tre fasi che segue questi passaggi
essenziali:
1. Riattivazione. il terapeuta deve prima permettere descrizioni precise del/i sintomo/i da eliminare e degli apprendimenti emotivi che li hanno generato. Questi apprendimenti emotivi che mantengono i sintomi dei pazienti in terapia, sono spesso
complessi e costituiscono aree di profonda vulnerabilità che consistono in ricordi impliciti e conoscenze implicite, per cui non sono consapevoli all’inizio della terapia,
ma raggiungibili, a volte, attraverso canali non-verbali. Questa fase costituisce in genere la maggior parte del lavoro terapeutico.
2. Mancata corrispondenza/sblocco. Una volta che lo specifico insieme di apprendimenti sottostanti il sintomo sono stati recuperati, inizia il lavoro di ricerca del materiale adatto alla mancata corrispondenza da utilizzare nella sequenza di
cancellazione. Significa cioè, trovare conoscenze derivate da esperienze passate o
attuali del paziente, che contraddicono l’apprendimento originario implicito e che
possono servire quindi come nuove esperienze di apprendimento che si sovrappongo
a quelle precedenti.
3. Cancellazione o revisione attraverso nuovi apprendimenti. Non appena gli apprendimenti contraddittori sono stati identificati, la sequenza di cancellazione può
essere eseguita.
Vi sono ulteriori passaggi di verifica che qui, per brevità, non riporto e che rimando
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agli autori sopracitati.
La procedura del riconsolidamento della memoria nella sua applicazione alla psicoterapia, fa sì che i terapeuti possano eseguire questo processo a più fasi scegliendo
le tecniche esperienziali ed una varietà di interventi, in base alla propria inventiva o
conformità al proprio modello di appartenenza. Questa procedura di cancellazione e
di cambiamento è in definitiva un meta-processo, indipendente dalla teoria e con caratteristiche trans-teoriche che possono favorire l’integrazione nel campo della psicoterapia.
Conclusioni
In questo articolo ho voluto sinteticamente riportare alcune conoscenze sul riconsolidamento della memoria e come queste possono modificare sia la pratica della terapia, sia il dialogo fra modelli di appartenenza teorica diversa. Sulla base di queste
nuove conoscenze neuroscientifiche, ho voluto proporre il processo di riconsolidamento come un modello generale di cambiamento, per un suo utilizzo e guida nella
pratica clinica che possa favorire una trasformazione profonda dell’individuo e la
“cancellazione” della sua sofferenza, a partire dalle sue radici emotive registrate nei
circuiti neurali della memoria implicita. Tuttavia queste conoscenze derivanti dall’ambito delle neuroscienze, fanno ancora solo intravedere un modello trasformativo
ateoretico ed indipendente, ma per essere considerato tale non sono ancor risolte del
tutto le problematiche relative alla coerenza fra le conoscenze scientificamente fondate, teoria e teoria della tecnica, che li possano rendere facilmente trasmissibili alle
nuove generazioni di terapeuti. Questo richiede ancora ricerca ed approfondimento
nella pratica clinica. Spero tanto che possiamo cogliere presto questi nuovi stimoli.
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BIBLIOGRAFIA
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Cortina.
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16. Wallin, D.J. (2007). Psicoterapia e teoria dell’attaccamento. Il Mulino.
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Pubblicato: marzo 2021
doi: 10.32069/pj.2021.3.106
ARTICOLO DI OPINIONE
Essere psicoterapeuta consapevole e responsabile
Letizia Cacciabaudo1, Milena Mazzara1, Angela Ciulla1, Salvatore Renda1, Miriam Abbate1
1
SiPGI - Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Gestaltica Integrata
ABSTRACT
Citation
Cacciabaudo L., Mazzara M., Ciulla A.,
Renda S., Abbate M. (2021).
Essere psicoterapeuta consapevole
e responsabile
Phenomena Journal, 3, 35-43.
https://doi.org/10.32069/pj.2021.3.106
Direttore scientifico
Raffaele Sperandeo
Supervisore scientifico
Valeria Cioffi
Journal manager
Enrico Moretto
Contatta l’autore
Letizia Cacciabaudo
cacciabaudoletizia@libero.it
Ricevuto: 19 maggio 2020
Accettato: 19 marzo 2021
Pubblicato: 20 marzo 2021
“Being in experience is being in what is, who is, who feels. From here you are builders of your own
existence”.
This opinion article arises from the dimension of being a psychotherapist, first in training and subsequently in clinical operation, from whose experience it is essential to be a psychotherapist AWARE
and RESPONSIBLE for himself, for what happens and for the relationship with the patient.
The three main axes of Gestalt: Experience, Awareness and Responsibility are concretized in clinical
practice with patients, in every interview, in every phase of the therapeutic process and in the development of the entire treatment that evolves into the “co-built” creative act what a cure. We are psychotherapists trained in theory and technique, aware of their emotional, relational, mental functioning,
to help the patient in his integration process. Scientific research shows that 15% of the outcome of
psychotherapy is due to techniques, and 30% to the intrinsic factors of the relationship between therapist and patient.
Hence the therapeutic dimension of the relationship as a true healing experience. In this sense, psychotherapy goes beyond the patient’s inner work and the strategic activity of the psychotherapist, and
the psychotherapist with the Being present to himself, to his own acts, to his words, acts as an alterity
facilitating that experience of contact which the patient needs to overcome repetition, the blockage as
closure to contact represented by the symptom. The psychotherapist is more responsible for the relationship than for the patient.
KEYWORDS
Experience, Awareness, Responsibility.
ABSTRACT IN ITALIANO
“Stare nell’esperienza è stare in ciò che è, che si è, che si sente. Da qui si è costruttori della propria
esistenza”. Questo articolo di opinione nasce dalla dimensione dell’Essere psicoterapeuta prima in
formazione e successivamente nell’ operatività clinica, dalla cui esperienza risulta fondamentale l’ESSERE psicoterapeuta CONSAPEVOLE e RESPONSABILE di sé, di ciò che accade e della relazione
con il paziente. I tre assi portanti della Gestalt: Esperienza, Consapevolezza e Responsabilità si concretizzano nella prassi clinica con i pazienti, in ogni colloquio, in ogni fase del processo terapeutico
e nello svolgersi dell’intero trattamento che si evolve nell’atto creativo “co-costruito” che cura. Si è
psicoterapeuti formati nella teoria e nella tecnica, consapevoli delle proprie modalità di funzionamento
emotivo, relazionale, mentale, per aiutare il paziente nel suo processo di integrazione. Dalla ricerca
scientifica emerge che il 15% dell’esito della psicoterapia è dovuto alle tecniche, e il 30% ai fattori
intrinseci della relazione tra terapeuta e paziente. Da qui la dimensione terapeutica della relazione
come esperienza vera che cura. In tal senso la psicoterapia va oltre il lavoro interiore del paziente e
l’attività strategica dello psicoterapeuta, e lo psicoterapeuta con l’Essere presente a sé stesso, ai propri
atti, alle proprie parole, si pone come alterità facilitando quell’esperienza di contatto di cui il paziente
necessita per superare la ripetitività, il blocco in quanto chiusura al contatto rappresentata dal sintomo.
Lo psicoterapeuta è piuttosto responsabile della relazione che del paziente.
PAROLE CHIAVE
Esperienza, Consapevolezza, Responsabilità.
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Cacciabaudo et al.
Essere psicoterapeuta consapevole e responsabile
Introduzione
“Stare nell’esperienza è stare in ciò che è, che si è, che si sente. Da qui si è costruttori
della propria esistenza”.
Questo articolo di opinione nasce dalla dimensione dell’Essere psicoterapeuta prima
in formazione e successivamente nell’operatività clinica, dalla cui esperienza risulta
fondamentale l’ESSERE psicoterapeuta CONSAPEVOLE e RESPONSABILE di
sé, di ciò che accade e della relazione con il paziente. Anche lo psicoterapeuta cresce
a livello esperienziale attraverso i vissuti e le storie individuali del cliente, e mentre
nutre sul piano affettivo-relazionale il paziente, si nutre egli stesso entrando in contatto con il proprio sé emozionale.
Argomentazione
La psicoterapia e lo psicoterapeuta
La psicoterapia è un sistema di cura fondato sull’impiego di mezzi psichici diretti a
ricostruire o rafforzare l’efficienza funzionale della personalità; mira ad aumentare
la consapevolezza di sé e del mondo circostante per cambiare un comportamento sintomatico e allo stesso tempo promuovere l’evoluzione e la crescita personale.
La psicoterapia necessita da parte del paziente di un impegno volontario, una collaborazione, il desiderio e la necessità di stabilire con lo psicoterapeuta, persona appositamente qualificata, una relazione interpersonale soggettiva che si chiama
psicoterapeutica. Lo psicoterapeuta necessita di un insieme di conoscenze e competenze, riguardanti la psicologia dello sviluppo, la psicopatologia, la psicologia clinica
e della personalità (rappresentazione di sé e delle interazioni con gli altri). È anche
necessario che abbia una conoscenza della psicologia della salute in relazione alla
promozione di salute e prevenzione della malattia secondo il modello bio-psico-sociale. Inoltre, rientra nelle competenze dello psicoterapeuta saper creare una relazione
soddisfacente e orizzontale basata su un accordo di obiettivi e compiti reciproci, creando così un clima che favorisca l’alleanza terapeutica, l’apertura, l’autoesplorazione
e la personalizzazione del paziente [1].
Lo psicoterapeuta ha il compito di aiutare il paziente ad ascoltarsi nel suo processo
narrativo, a prendersi cura di sé come persona e sentirsi persona, a dare significato
alla sua sofferenza dopo aver inquadrato in una dimensione relazionale la diagnosi.
Lo psicoterapeuta facilita nel paziente la possibilità di crescere e cambiare sé stesso,
favorendo i processi di consapevolezza emotiva e apertura di possibilità nel presente
e nel futuro. In una prospettiva di psicoterapia integrata, è necessario il percorso personale dello psicoterapeuta per consentirgli l’esperienza personale del cambiamento
all’interno della terapia, e ottenere così la capacità di assumere una postura terapeutica efficace ed equilibrata [2].
Centralità della relazione
La relazione costituisce la prima condizione dell’essere umano, essa è stata importante in tutti i processi di guarigione fin dai tempi di Ippocrate e Galeno. Una rela-
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Cacciabaudo et al.
Essere psicoterapeuta consapevole e responsabile
zione vera, che ha un suo specifico tra le diverse relazioni vere (genitore/figlio, marito/moglie, fratello/sorella, amico/amico [3].
A rafforzare il convincimento che siamo esseri relazionali, per cui le nostre radici affondano nella rete di relazioni che riusciamo a costruirci e a mantenere, abbiamo la
scoperta di un tipo di cellule nervose: i “neuroni a specchio”. Nel corso degli anni
‘90 il neurofisiologo Giacomo Rizzolati e il gruppo di ricercatori del Dipartimento
di Neuroscienze dell’Università di Parma che coordinava, individuarono nel cervello
delle scimmie un medesimo gruppo di cellule del cervello che si attiva sia in chi esegue un’azione, sia in chi semplicemente osserva l’esecuzione di quella azione. La
sua attivazione è legata non solo al movimento in atto, ma anche alla comprensione
della sua finalità, al senso di quell’azione. Gli sviluppi della prima scoperta dimostrarono la presenza di questo tipo di cellule nervose anche nell’uomo e ne precisarono le caratteristiche e la funzione. Si scoprì che diverse sono le situazioni che le
attivano: non solo l’osservazione di un movimento, ma anche l’osservazione di una
situazione con determinate caratteristiche emotive nonché l’ascolto delle parole [4].
Esiste dunque nel nostro cervello un gruppo di neuroni molto speciali, capaci di attivarsi quando siamo in una situazione che ci consente di vedere azioni altrui di cui
cogliamo aspetti non solo motori, ma anche emotivi. Empatia, simpatia, comprensione, imitazione, intuizione e altro ancora, oggetto privilegiato di studio della psicologia, della psicoanalisi e, ancora prima, di molte discipline orientali e scuole di
filosofia, hanno trovato un substrato nell’anatomia e fisiologia del cervello.
Quando siamo in relazione riconosciamo le tonalità emotive che impregnano un ambiente, le “sentiamo” come se si attivasse una funzione di rispecchiamento. Grazie
anche ai “neuroni a specchio”, quindi, tutto quello che vediamo, sentiamo e riceviamo, quello che facciamo vedere, facciamo sentire e offriamo va a costruire il terreno in cui mette radici la nostra stessa vita.
A supporto di quanto sopra descritto, risulta utile uno sguardo all’evoluzione degli
studi neuroscientifici che hanno dato un grande contributo nel dimostrare gli effetti
della psicoterapia sulla struttura cerebrale, ritrovando il corrispettivo correlato neurale. Le neuroscienze partono da un paradigma riduzionista che riconduce i fenomeni
complessi ad un unico determinante semplice, quale un neurone, una relazione, un
ambiente disfunzionale, e che pertanto riduce l’attività della mente (cognitiva ed
emozionale) all’attività dei neuroni. Tale riduzionismo porta al dualismo di tradizione
occidentale post cartesiana che distingue le discipline dello spirito da quelle del corpo,
che in parte viene superato da Siegel con il concetto di “mente relazionale” laddove
la mente è influenzata dalle esperienze interpersonali [5]. Si arriva alle evidenze
scientifiche degli ultimi anni che confluiscono nel campo della moderna PNEI (PsicoNeuroEndocrinoImmunologia) che propone un paradigma complesso di spiegazione dei fenomeni e di cura, laddove esiste un’interconnessione tra psiche, sistema
nervoso, sistema endocrino e sistema immunitario. Questa nuova visione integrata
ha creato un ripensamento del processo di cambiamento e di trattamento psicoterapeutico [6].
La relazione terapeutica, in quanto, ingrediente di base del rapporto terapeutico, in-
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Cacciabaudo et al.
Essere psicoterapeuta consapevole e responsabile
sieme al legame e all’alleanza favoriscono il viaggio informativo, formativo e trasformativo quale è la psicoterapia [7].
Rogers fu il primo ad indicare che la qualità della relazione terapeutica determina i
risultati di ogni psicoterapia; ha anticipato la teoria dei fattori comuni in psicoterapia,
ipotizzando e conducendo ricerche che confermavano che la qualità della relazione
terapeutica articolata nelle sue condizioni necessarie e sufficienti (accettazione incondizionata, empatia e congruenza) erano tali non solo nel suo approccio ma in ogni
forma di psicoterapia. Pertanto l’alleanza terapeutica con le tre componenti da Rogers
definite nell’accettazione incondizionata, nell’empatia e nella congruenza, è risultata
dalle ricerche, essere la maggiore variabile predittiva del successo di ogni psicoterapia. Il modello rogersiano è quello che più di altri sa conciliare la qualità della relazione con la visione evolutiva e sistemica della terapia [8].
Naranjo ritiene con Perls, che per essere un buon psicoterapeuta bisogna essere sé
stessi e che le tecniche devono essere considerate non come fondanti la relazione,
ma semplicemente dei mezzi.
Mentre l’approccio rogersiano aiuta più ad entrare in relazione, a conoscere l’altro,
quello gestaltico permette di superare le resistenze attraverso confronti gestaltici in
cui avviene una stimolazione della consapevolezza del problema.
Nella relazione psicoterapeutica si ha lo scopo di rendere il paziente fiducioso nelle
sue capacità di autosostegno, ossia avere fiducia di saper risolvere autonomamente i
problemi che la vita gli presenta e, se è necessario, saper chiedere una mano a chi
può dargliela. In una tale relazione sia lo psicoterapeuta, sia il paziente sono condizionati dalla propria storia, dalla propria cultura, dai propri pregiudizi e dalle scelte
soggettive [9].
Lo psicoterapeuta inoltre è condizionato dalla visione della scuola di appartenenza,
come il paziente è condizionato dai valori della famiglia. Ciò può diventare un’opportunità per ambedue i partecipanti alla relazione. Il paziente, può essere aiutato a
superare i suoi pregiudizi che gli impediscono di vivere una vita piena; lo psicoterapeuta è chiamato a riconoscere la storicità dei suoi valori e quelli della scuola di appartenenza. La psicoterapia diventa un dialogo vero in cui lo psicoterapeuta sostiene
il paziente nei suoi valori, quando questo è spaventato. Diventa un dialogo ancora
più vero quando lo psicoterapeuta frustra il paziente per mandare in frantumi il suo
falso sé. Raggiunge il suo culmine quando il paziente, diventato più capace, non solo
è frustrato, ma frustra lo psicoterapeuta, così ambedue prendono coscienza di essere
dei “sé fragili” (parzialmente falsi), che col sostegno e la frustrazione reciproca diventano meno fragili (sé veri ma storici) e capaci di crescere e diventare sempre più
veri negli infiniti incontri della vita. La problematica dell’altro non si può ridurre a
quella del sostegno e autosostegno. L’altro non esiste solo per usato o non usato. L’altro esiste per essere incontrato [10].
Le scuole di psicoterapia si possono situare lungo un continuum che ha per estremo
la relazione vera e coinvolgente e dall’altra quella scientifica o neutrale. Nella relazione vera ogni individuo, che vi prende parte, condiziona ed è condizionato dagli
altri sia positivamente che negativamente. Ciò non significa che in essa i partecipanti
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Cacciabaudo et al.
Essere psicoterapeuta consapevole e responsabile
siano uguali. Ognuno è presente nella relazione per quello che è: il padre è presente
come padre e il figlio come figlio; il marito come marito e la moglie come moglie;
il paziente come paziente e lo psicoterapeuta come psicoterapeuta. Nella relazione
neutrale è solo il paziente che è modificato mentre lo psicoterapeuta è solo un tecnico
che, al limite, utilizza ciò che gli succede per facilitare la crescita del paziente. Nella
prima il rapporto psicoterapeutico è esso stesso vita reale, non palestra dove si impara
a vivere. Nella seconda, invece, la psicoterapia è la palestra dove si prende consapevolezza dei propri limiti per poi poter vivere meglio nella vita [11].
I padri della Psicologia della Gestalt affermano con chiarezza che la psicoterapia è
un rapporto vero in cui sia il paziente sia lo psicoterapeuta sono attivi e si condizionano reciprocamente.
Il primo modo di essere presenti in modo vero nella relazione terapeutica è quello di
prendersi la responsabilità dei rispettivi ruoli: il paziente quello di essere colui che
chiede aiuto e per questo essere messo in discussione, lo psicoterapeuta quello che
dà aiuto e mette in discussione in modo che in ambedue si faciliti l’emergere del loro
“vero sé” [12].
La psicoterapia quindi impegna paziente e psicoterapeuta a fare esperienza di quello
che si è. Non è un luogo dove si privilegia il “parlare”. Lo “sperimentare”, cioè il vivere la relazione nella sua interezza è il fulcro della Psicologia della Gestalt. Il paziente sta nella relazione per quello che è, lo psicoterapeuta, con la sua maggiore
consapevolezza, lo aiuta ad allargare i confini del suo io. Perls per differenziare lo
sperimentare rispetto al solo capire usa l’espressione “vivere qui e ora”. Così la consapevolezza è solo una piccola parte dell’esperienza, mentre la relazione terapeutica
è una ottima occasione per fare una “esperienza vera” [13].
La centralità sia del paziente sia dello psicoterapeuta nella relazione psicoterapica è
evidenziata dall’atteggiamento di Perls circa la scelta dei valori nella relazione psicoterapica; se da una parte afferma che lo psicoterapeuta non deve indottrinare il paziente ma semplicemente aiutarlo a scoprire i suoi valori, dall’altra ha chiara
consapevolezza di quanto lo psicoterapeuta con i valori personali e quelli di scuola
condizioni le scelte del paziente.
La psicoterapia non è il luogo dove il paziente ingoia i valori dello psicoterapeuta,
ma il luogo dove possa sperimentare in modo protetto tutti i suoi valori [14].
Nella Gestalt l’enfasi non è posta solo sul contenuto, come avviene in altre terapie
nelle quali è importante rendersi conto di questo o di quello, come gli impulsi repressi
o le resistenze che la repressione mantiene. La Gestalt va oltre nella reintegrazione
della coscienza, riconoscendo che la salute non dipende tanto dal riconoscere questo
o quello, ma dalla possibilità di ripristinare la capacità stessa di essere consapevoli e
testimoni di sé.
La gestalt favorisce un contatto autentico con gli altri e con sé stessi, un adattamento
creativo dell’organismo all’ambiente, unitamente ad una presa di coscienza di quei
meccanismi interiori che, troppo spesso, ci spingono a comportamenti ripetitivi [15].
Il lavoro terapeutico, quindi, può essere considerato come un addestramento sistematico del paziente alla consapevolezza emotiva, attraverso il contatto continuo con
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Essere psicoterapeuta consapevole e responsabile
il flusso emotivo (inteso come la percezione senza soluzione di continuità delle variazioni dell’esperienza emotiva) e l’incoraggiamento dell’espressione consapevole
delle emozioni stesse.
Il terapeuta consapevole e responsabile
Ciò che è peculiare della Gestalt è l’angolatura con la quale il materiale tecnico viene
storicizzato intorno ad un centro unificatore costituito da tre variabili fondamentali,
“esperienza, consapevolezza, responsabilità”, e dal focus sul “qui ed ora”. Questi
elementi unificanti costituiscono un modello “operativo” di organizzazione psichica
con dirette implicazioni per la psicoterapia.
Per Esperienza si intende il vissuto psichico delle varie fasi del contatto con il mondo
interno e l’ambiente.
Per Consapevolezza ci si riferisce all’esperienza percettiva ed emotiva ed alla capacità
di comprenderne, a vari livelli, i significati. La consapevolezza è la funzione fondamentale di orientamento e di conoscenza, in particolare per quanto riguarda la percezione somatica e l’affettività.
Con Responsabilità si definisce la capacità di attribuire a sé stessi i processi motivazionali e decisionali che sono continuamente alla base dell’esperienza e delle relazioni sociali, in particolare riferiti a situazioni problematiche e conflittuali.
Le tre dimensioni descritte costituiscono le funzioni psicologiche basilari del sistema
sano ed adulto, sono necessarie e continuamente interagenti nel qui ed ora. Nella misura in cui ciascuna variabile è deficitaria, trascina nel deficit anche le altre e si costituiscono scenari psicopatologici differenti.
Praticamente tutte le tecniche della Gestalt possono essere considerate come una particolare applicazione di una più generale prescrizione: “sii consapevole nel qui ed
ora”. A questa esperienza il paziente viene addestrato sistematicamente tramite tecniche specifiche. Sincronicamente il paziente viene orientato ad una ulteriore specificazione dei principi fondanti del modello seguendo attraverso l’articolazione
individualizzata della prescrizione seguente: “assumiti sempre la responsabilità del
tuo essere, sperimentati come attore di te stesso” [16].
Dire che la Terapia Gestaltica mira al risveglio della consapevolezza, del senso di
realtà e di responsabilità, equivale ad affermare che il suo obiettivo è la capacità di
sperimentare.
Uno dei modi per sperimentare è quello di smettere di evitare l’esperienza, l’altro è
quello di fare in modo che le nostre energie fluiscano sul contenuto della consapevolezza, nella forma dell’intensificazione dell’attenzione.
Essere responsabile (capacità di risposta) comporta essere presente, essere qui. Ed
essere veramente presente significa essere consapevole. La consapevolezza, a sua
volta è presenza, realtà ed è una condizione incompatibile con l’illusione di “irresponsabilità” tramite la quale evitiamo di vivere le nostre vite.
Per consapevolezza si intende qualcosa di più della semplice comprensione o coscienza, poiché questi termini che si riferiscono ad un livello prevalentemente cognitivo. Quando parliamo di consapevolezza in ambito gestaltico facciamo
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riferimento ad un processo che unisce i diversi livelli dell’individuo: quello cognitivo,
quello sensoriale e quello emotivo. Comunemente nella vita dell’individuo accade
che questi tre livelli siano sconnessi tra loro, ciò non permette alla persona di essere
in pieno contatto con l’esperienza [17].
Il terapeuta gestaltico mirerà sempre, nelle sue sedute, a far focalizzare il paziente
su ciò che sta portando e su come evita un contatto pieno con l’esperienza che sta vivendo, piuttosto che interpretarlo.
Il temine responsabilità nel comune sentito ci rimanda a qualcosa che ha che fare
con l’impegno, con il sacrificio, con il prendersi cura degli altri. In realtà quando ne
parliamo in Gestalt diamo al termine un’accezione differente. In Gestalt il termine
responsabilità ha che a vedere con la necessità di “rispondere” in modo congruo agli
stimoli interni o esterni scaturiti dal vivere una determinata esperienza.
La responsabilità è connessa con gli altri due principi gestaltici: consapevolezza e il
qui e ora. Non si può essere responsabili di qualcosa di cui non si è consapevoli e
non si può rispondere a qualcosa che non sta accadendo nel presente. Nella prassi
gestaltica si parla, quindi, spesso di assunzione di responsabilità dei contenuti che
vengono portati in seduta [18].
All’origine di queste modalità coatte, quindi, c’è la perdita della capacità di consapevolizzare i vari momenti dell’esperienza del contatto con l’ambiente e la prevalenza
di memorie affettive emotive inadeguate che guidano l’azione e il pensiero in modo
disfunzionale, bloccando l’adattamento evolutivo dell’individuo [19].
La patologia nasce dalla reiterazione, nel qui e ora al confine/contatto con l’ambiente
interno ed esterno, di azioni, pensieri, esperienze affettive e sociali automatiche, rigide, invarianti e acritiche basate su un’esperienza emozionale determinata più da
apprendimenti antichi inconsapevolmente agiti che dal contatto consapevole e responsabile con la realtà.
Esserci nella relazione significa anche non presumere di possedere un codice interpretativo che consente di pensarsi conoscitori del significato più o meno palese o nascosto dei contenuti della coscienza di chi pone una richiesta d’aiuto. Chi si pone in
una relazione di aiuto terapeutico deve immaginarsi come facilitatore di un processo
di consapevolezza di tutto questo, di assunzione responsabile da parte del soggetto
di ciò che lo rende costruttore della propria esistenza. Il terapeuta è colui che accompagna nell’esperienza del risveglio, della scoperta di tutto ciò che ci riguarda, anche
del passato, che si è posto, ed è stato da noi stessi posto, alle fondamenta della costruzione delle nostre modalità di essere al mondo [20].
Conclusione
La terapia va ben oltre il lavoro interiore del paziente e ben oltre l’attività strategica
del terapeuta, il quale può favorire o inibire alcuni aspetti di chi sta curando. Il lavoro
terapeutico implica un elemento di relazione che entra in gioco spontaneamente, ma
il cui frutto dipende dal fatto che il terapeuta abbia raggiunto una certa qualità umana
che va al di là della perizia professionale.
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Essere psicoterapeuta consapevole e responsabile
Dire che una persona è responsabile non vuol dire che esegue ciò che le viene richiesto o che si conforma alle norme prestabilite, ma che è capace di rispondere partendo
da sé stessa, senza eludere il fatto che tale risposta è la sua reazione o esperienza. Si
allude alla capacità della persona di “essere presente alle proprie parole e ai propri
atti”, di non evadere da sé stessa, di non nascondersi dietro a “mi è successo”, senza
riuscire a riconoscere che “questo è ciò che penso e ciò che voglio”. Ciò che rende
terapeutico il rapporto tra terapeuta e paziente è pertanto il suo rispondere al tipo di
contatto di cui il paziente ha bisogno, per superare l’impasse relativo ad un particolare
stadio di crescita.
Quindi, la psicoterapia non è solo un fatto tecnico, un’arte clinica, ma implica anche
uno stile di vita in chi la applica.
Il terapeuta se ancorato al presente può consentirsi il coinvolgimento dell’incontro
con il paziente e la partecipazione piena ai suoi vissuti.
Il terapeuta necessita di una specifica qualità della presenza, dell’essere con, poiché
solo attraverso questo, e molto meno con l’uso delle parole, sarà possibile sostenere
il paziente nella sua sperimentazione a stare con i vissuti che gli sono propri.
Il terapeuta è centrato sul cliente, ma è altrettanto centrato su sé stesso, attento a ciò
che sente in prima persona momento per momento di fronte al suo paziente, e non
esitando a condividere con lui almeno una parte di questi vissuti.
Egli, dunque, non è neutro, bensì impegnato con una autenticità selettiva e un coinvolgimento consapevole.
Essere psicoterapeuta è una scelta esistenziale che comporta uno stile di vita che è
una terapia continua se vissuta nelle varie relazioni terapeutiche che aprono una possibilità di espressione e di continua possibilità di sane esistenze.
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Essere psicoterapeuta consapevole e responsabile
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Pubblicato: aprile 2021
doi: 10.32069/pj.2021.3.111
RICERCA ORIGINALE
L’effetto degli stili decisionali e dell’ansia
genitoriale sulla percezione delle paure infantili:
uno studio pilota
Martina Messina1, Rossella De Falco1, Genoveffa Amore1, Teresa Capparelli1, Silvia Dell’Orco2,
Carmen Giannetti1, Claudia Langella1, Benedetta Muzii3, Rita Scognamiglio1, Tilde Annunziato1
SiPGI - Postgraduate School of Integrated Gestalt Psychotherapy, Torre Annunziata, Italy
Department of Humanistic Studies, University of Naples Federico II, Naples, Italy
3
Intradepartmental Program of Clinical Psychology, AOU, University of Naples Federico II, Naples, Italy
1
2
ABSTRACT
Citation
Messina M., De Falco R., Amore G.,
Capparelli T., Dell’Orco S., Giannetti C.,
Langella C., Muzii B., Scognamiglio R.,
Annunziato T. (2021).
L’effetto degli stili decisionali e dell’ansia
genitoriale sulla percezione delle paure
infantili: uno studio pilota
Phenomena Journal, 3, 44-55.
https://doi.org/10.32069/pj.2021.3.111
Direttore scientifico
Raffaele Sperandeo
Supervisore scientifico
Valeria Cioffi
Journal manager
Enrico Moretto
Contatta l’autore
Martina Messina
dr.martinamessina@gmail.com
Ricevuto: 2 novembre 2020
Accettato: 31 marzo 2021
Pubblicato: 1 aprile 2021
Background. Emotional experiences are essential for psychophysical development of children. Many factors are involved
in this process: socio-cultural environment, relationships, parental behaviour and more. Caregivers play a crucial role in
the development process of their children, as much as their ability to make a choice and to deal with children’s emotions
[15]. A detailed review of relevant scientific literature reveals a research gap in the field of children’s fears, compared to
parental anxiety and decision-making styles. This gap needs to be tackled in order to improve understanding of childhood
fears. Aims. The pilot study investigate the correlation between caregivers’ trait anxiety and decision-making styles, to
explore in depth their perception of children fears. Methods. Sample includes parents of three-to-ten-year-old children
(n = 288), both mothers and fathers. Participants submitted online replies to three psychological tools: General Decision
Making Style (GDSM), State-Trait Anxiety Inventory – Y Form (STAI-Y), Fear Survey for Children Revised – Parents
Version (FSSCR-P). Results. Statistical analyses show a significant correlation between Trait Anxiety and Dependent decision-making style (r = .347). Statistically significant correlation was also noted between Trait Anxiety and Avoidant decision-making style (r = .373). Furthermore, anxiety can affect parents perception of children fear of unknown (F(1,25)
= 9,22; p < .05) and it is predictive (β = .185; p < .05) of parents perception of children fear of failure and criticism. Then,
Dependent decision-making style is predictive (β = .18; p < .05) of parental perception of children fear of abandonment.
Conclusions. Looking at the family system and parental relationships represents an essential step for research in the field
of development psychology, in order to understand childhood fears. Future studies need to involve a wider sample, including both caregivers and children. Finally, testing new hypothesis could lead to new psychotherapeutic treatment and experience in the perspective of integrated Gestalt therapy.
KEYWORDS
Decision-making Style, ansia, paure infantili GDMS, STAI, FSSC-P.
ABSTRACT IN ITALIANO
Background. I vissuti emotivi in età evolutiva hanno un ruolo nevralgico nello sviluppo psicofisico. In tale processo si
intersecano una moltitudine di fattori: l’ambiente di crescita e le relazioni che lo caratterizzano hanno un ruolo molto importante, che si espleta attraverso i caregivers e la loro capacità di gestire gli stati affettivi e le proprie decisioni [15]. Dall’analisi della letteratura scientifica, emerge un gap nella ricerca sulle paure infantili in relazione agli stati d’ansia e agli
stili decisionali dei genitori. Obiettivi. Questo lavoro intende esplorare la correlazione tra le paure dei bambini in età scolare, l’ansia di tratto e gli stili decisionali dei genitori, nonché la percezione che questi hanno degli stati d’ansia dei propri
figli. Metodo. Il campione è composto da genitori di bambini di età compresa tra i 3 e i 10 anni (n = 288). Ai partecipanti,
previo consenso informato, si è richiesta la compilazione tramite questionario online dei seguenti reattivi psicologici: General Decision Making Style (GDSM), State-Trait Anxiety Inventory – Y Form (STAI-Y), Fear Survey for Children Revised
– Parents Version (FSSCR-P). Risultati. I risultati evidenziano che l’Ansia di Tratto correla con lo Stile decisionale Dipendente (r = .347) e con lo Stile decisionale Evitante (r = .373) nei caregivers. Inoltre, il livello di ansia influisce in
modo significativo (F(1,25) = 9,22; p < .05) sulla percezione della paura infantile dell’ignoto ed è un predittore (β = .185;
p < .05) della percezione della paura del fallimento e delle critiche. Lo Stile decisionale Dipendente è un predittore della
possibilità che i genitori percepiscano la paura dell’abbandono dei figli (β = .18; p < .05). Conclusioni. La complessità
del sistema familiare, e le relazioni che ne intercorrono, sono fattori imprescindibili per la ricerca scientifica e per la comprensione dei fenomeni che interessano l’infanzia, come le paure dei bambini e la responsività dei genitori. Possibili sviluppi futuri includono la possibilità di approfondire l’indagine, coinvolgendo un campione più ampio che includa anche
i bambini, e, sulla base di questi risultati, nuove esperienze psicoterapeutiche per la sperimentazione di un’ipotesi di trattamento a orientamento gestaltico integrato.
PAROLE CHIAVE
Stile decisionale, ansia, paure infantili, GDMS, STAI, FSSC-P.
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L’effetto degli stili decisionali e dell’ansia genitoriale sulla percezione delle paure infantili: uno studio pilota
Introduzione
Il tema delle emozioni ha affascinato studiosi di ogni epoca e delle discipline più diverse. La teoria evoluzionistica di Darwin [1] ipotizzava la natura innata e universale
delle emozioni connessa alla sopravvivenza della specie. Ekman [2], riprendendo
tale teoria, individua nella natura umana sette emozioni “di base”: paura, rabbia, felicità, tristezza, sorpresa, disprezzo e disgusto. Ognuna di esse possiede una componente fisiologica e una cognitiva [3]. Pertanto, è possibile definire la paura come
un’emozione primaria di difesa che si attiva in situazioni di pericolo reale o percepito
come tale [4]. Talvolta, i concetti di paura e ansia coincidono: non sempre è possibile
distinguere nettamente le due dimensioni, specie rispetto ai vissuti infantili. Non sempre, i bambini riescono a comprendere se la paura dipenda da uno stimolo reale o
immaginario, esterno o interno [5].
1. L’ansia: stili genitoriali e legame di attaccamento
Gli stati ansiosi sono caratterizzati da sentimenti di paura e preoccupazione eccessivi
in quanto non sembrano correlati a stimoli reali specifici [6, 7]. Questa proprietà distingue l’ansia dalla paura che, invece, implica la presenza di un pericolo reale. Mentre la paura è fondamentale nella risposta di “attacco o fuga” di fronte a un pericolo,
l’ansia può innescare meccanismi distorti di interpretazione della realtà.
Secondo la Teoria dell’Attaccamento [8] i bambini con relazioni parentali insicure
tendono a esplorare l’ambiente con inibizione, paura, diffidenza. Tali presupposti,
anche alla luce degli effetti del modeling [9; 10; 11], hanno sollecitato la riflessione
sugli stili educativi genitoriali e sulla trasmissione di stati ansiosi e/o fobici ai figli.
Partendo dal presupposto che i genitori siano i modelli più importanti per il bambino,
il ruolo del modeling è stato indagato in uno studio condotto su bambini ambulatoriali
con diversi sintomi psicopatologici. Dall’esplorazione dell’ansia di tratto di bambini
e genitori è emersa una correlazione significativa con l’ansia di tratto di entrambi i
genitori [12]. Inoltre, i bambini le cui madri tendevano a verbalizzare spesso le loro
paure, mostravano livelli di paura più elevati. Viceversa, nei casi di madri che non
condividevano con i figli le loro paure, si registravano livelli di paura inferiori [12].
Ne consegue che le rappresentazioni mentali dei pericoli percepiti dai genitori siano
interiorizzate dai bambini durante il loro sviluppo [13].
2. I caregivers: gestione e accettazione delle paure infantili
Secondo uno studio epidemiologico [14], l’11% della popolazione soffrirebbe di disturbi d’ansia. A esserne vittima, inoltre, sarebbe 1 bambino su 8. Questo dato ha
spinto alcuni ricercatori ad approfondire le connessioni tra genitorialità e paure infantili [15; 16]. Se, infatti, alcune di esse sono parte del normale sviluppo psicofisico, altre mostrano caratteristiche disfunzionali. Ovverosia, il bambino sperimenta
la paura in alcune situazioni di pericolo reale, ma non possiede ancora le risorse cognitive ed emotive per comprenderla e controllarla. In questi casi la paura può gene-
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L’effetto degli stili decisionali e dell’ansia genitoriale sulla percezione delle paure infantili: uno studio pilota
rare stress o disagio [17; 18] interferendo con le normali attività quotidiane dei bambini, alterandone il comportamento e determinando reazioni di evitamento dello stimolo. La paura è influenzata anche dalle informazioni fornite, in modo più o meno
esplicito, dagli adulti [19]. Le informazioni veicolate da genitori ansiosi, soprattutto
se accompagnate da un tono di voce che trasmette tensione, possono attivare o incrementare l’ansia nei bambini [20]. La componente ambientale, dunque, ha un forte
impatto sulla genesi e sul mantenimento delle paure. Inoltre, la trasmissione della
paura da un genitore a un figlio può dipendere dall’ansia di tratto del genitore [19].
L’atteggiamento dei genitori può influire positivamente o negativamente sulle paure
infantili [21]. Si pensi alle conseguenze generate da uno stile ipercritico, perfezionistico o iperprotettivo. L’ipotesi per cui tali stili favoriscano l’acquisizione delle paure
più comuni nei bambini, è stata a lungo approfondita [22]. Meno indagata, invece, è
la capacità di un genitore di gestirle efficacemente. Studi recenti [23; 24] hanno dimostrato che la capacità dei genitori di bambini in età scolare di distrarli o trasmettere
stimoli positivi rispetto all’oggetto della paura può ridurne il livello di ansia. Viceversa, reazioni eccessive e ansiose fungerebbero da rinforzo [23]. Inoltre, sembrerebbe esserci una correlazione tra la paura infantile e l’ansia di stato dei genitori [25].
In particolare, l’ansia del padre, unita a uno stile iperprotettivo della madre, sarebbe
un mediatore della paura nei figli [26].
3. Il ruolo dello stile decisionale
Sebbene esistano numerosi studi sulla correlazione tra lo stile genitoriale e le paure
dei bambini, non esistono indagini sullo stile decisionale dei genitori. Come suggeriscono la ricerca empirica e teorica maturate all’interno della psicologia dei processi
decisionali, una scelta è una forma altamente contingente di elaborazione dell’informazione, esito di strategie decisionali euristiche come risposta alla limitata capacità
di elaborazione dell’informazione e alla complessità dei compiti decisionali [27; 28].
Una delle caratteristiche fondamentali del nostro sistema cognitivo è proprio la straordinaria flessibilità delle strategie decisionali a nostra disposizione. In primo luogo,
nell’effettuare una scelta gli individui considerano l’accuratezza e lo sforzo cognitivo
non come attributi assoluti connessi a una strategia, bensì come proprietà dipendenti
da una singola situazione. Tale valutazione influenza la scelta delle strategie decisionali [29]. Alcuni autori hanno ipotizzato l’esistenza di veri e propri stili decisionali
che influenzerebbero la modalità di scelta dell’individuo [30; 31; 32; 33]. Si tratta
della propensione del soggetto ad adottare, in diversi contesti, una determinata strategia cognitiva in modo più frequente rispetto ad altre [34]. Nel corso degli anni,
sono stati studiati molteplici stili cognitivi e decisionali riconducibili a diverse polarità: la tendenza a essere indipendenti/dipendenti dal contesto, la preferenza per una
elaborazione seriale piuttosto che olistica; la preferenza per determinate proprietà
strutturali utilizzate nel processo di elaborazione delle informazioni, la tendenza ad
adottare uno stile impulsivo o riflessivo, deliberativo o intuitivo. Una delle classificazioni più note nella letteratura sul decision making styles è quella di Scott e Bruce
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L’effetto degli stili decisionali e dell’ansia genitoriale sulla percezione delle paure infantili: uno studio pilota
[32] i quali identificano cinque stili decisionali:
1. stile razionale: il soggetto ricerca in maniera sistematica le informazioni,
considera le diverse alternative e le rispettive conseguenze;
2. stile intuitivo: l’attenzione del soggetto è orientata agli aspetti globali della
situazione e le decisioni sono spesso guidate da sensazioni e intuizioni;
3. stile dipendente: questo stile caratterizza i soggetti che ricercano suggerimenti
e consigli prima di decidere;
4. stile evitante: il soggetto tende a rinviare o a sottrarsi a ogni decisione;
5. stile spontaneo: il soggetto tende a decidere il più velocemente possibile.
Uno stile decisionale si configura come una sequenza di operazioni cognitive che
sono scelte in base a una serie di dimensioni, quali il modo in cui l’informazione è
proposta, la complessità della situazione, il contesto, lo stato emotivo del decisore
[34].
4. Genitorialità e paure infantili: uno studio pilota
4.1 Obiettivi
Un’attenta analisi della letteratura ha orientato la riflessione sulla possibile correlazione tra il modo in cui un caregiver prende una decisione, la sua predisposizione a
vivere uno stato ansioso e le diverse declinazioni della paura infantile. Questo studio
pilota si pone l’obiettivo di indagare tale correlazione, introducendo nuove variabili
che forniscano un nuovo slancio per studi futuri in questo ambito di ricerca.
4.2 Campione e procedura
La batteria di test è stata autosomministrata a un campione di 268 genitori tramite la
piattaforma Google Form, previo consenso informato. L’estrazione del campione è
stata casuale entro i criteri stabiliti per il target: genitori, madri e padri, di bambini
tra i 3 e i 10 anni. Il campione è composto per il 91% da donne (n = 244) e per il 9%
da uomini (n = 24). L’età dei soggetti è compresa tra 19 e 51 anni (µ = 37.03, σ =
5.22). Inoltre, i dati raccolti evidenziano che il 34% (n = 88) dei genitori che hanno
partecipato ha 1 solo figlio; il 52% (n = 142) ha 2 figli e solo il 14% (n = 38).
4.3 Strumenti
General Decision Making Style (GDMS) [32; 33]. È uno strumento per la rilevazione
dello stile decisionale individuale, composto da 25 item, strutturati su cinque sottoscale che corrispondono agli stili decisionali individuati da Scott e Bruce [36; 37].
Tab. 1. Corrispondenza
tra lo stile decisionale
e gli item del GDMS
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L’effetto degli stili decisionali e dell’ansia genitoriale sulla percezione delle paure infantili: uno studio pilota
Le risposte sono fornite su scala Likert a 5 punti (da “Completamente in disaccordo”
a “Completamente in accordo”). La versione italiana dello strumento ha una buona
attendibilità (α > .75) e validità convergente [38].
State-Trait Anxiety Inventory (STAI) – Forma Y [39; 40]. È un questionario self report
composto da 40 item, suddivisi in due sottoscale:
• Ansia di Stato (SA): una condizione emozionale transitoria dell’individuo che
può variare di intensità a seconda delle circostanze;
• Ansia di Tratto (TA): si riferisce a differenze individuali, relativamente stabili,
riguardanti la predisposizione all’ansia [39; 40].
Il soggetto deve rispondere in termini di intensità su una scala Likert a 4 punti (da
“Per Nulla” a “Moltissimo”).Punteggi elevati sono positivamente correlati con alti
livelli di ansia. In questa indagine si è optato per un focus sulla sottoscala S.T.A.I.Y-2 (trait), poiché l’oggetto dello studio verte su caratteristiche individuali stabili più
che contestuali. Inoltre, soggetti con alti punteggi al S.T.A.I.-Y-2 forniscono risposte
elevate anche sull’ansia di stato [40; 41].
Fear Survey for Children Revised (FSSC) [42]. È un questionario self-report composto da 80 item, utilizzato per valutare la descrizione normativa delle paure infantili
[42], validato anche nella versione in lingua italiana [43]. I bambini devono indicare,
su una scala a 3 punti (“nessuno”, “un po’” o “molto”), il livello di paura rispetto a
una serie di stimoli e situazioni. Questo studio utilizza una versione adattata per la
valutazione delle paure infantili dal punto di vista dei genitori: il Fear Survey for
Children Revised – Parents Version (FSSCR-P), strutturato su 8 fattori. I genitori
hanno valutato su una scala a 3 punti il livello di paura dei propri figli.
Tab. 2. Struttura fattoriale
del FSSC-P
4.4 Ipotesi
Sono state formulate quattro ipotesi:
H1 – Esiste una correlazione tra lo stile decisionale del caregiver e l’ansia di tratto o
di stato.
H2 – L’ansia produce un effetto significativo sulla percezione dei caregivers rispetto
alla paura sperimentata dai figli.
H3 – Lo stile decisionale è un predittore della percezione della paura sperimentata
dai figli.
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L’effetto degli stili decisionali e dell’ansia genitoriale sulla percezione delle paure infantili: uno studio pilota
H3 – L’ansia di tratto dei genitori è un predittore della percezione della paura sperimentata dai figli.
4.5 Analisi dei dati e risultati
I dati sono stati analizzati con il software per l’analisi statistica SPSS. In una prima
fase, i dati sono stati trasformati secondo le procedure di scoring previste dai manuali
di riferimento [32; 39; 42]. La media dei punteggi ottenuti alla STAI rivela un livello
lieve di ansia di tratto e di stato nei caregivers (cut-off = 40.0).
Tab. 3. Media e deviazione standard
dei due tipi di Ansia
Per verificare la prima ipotesi (H1) è stata eseguita un’analisi delle correlazioni tra
gli stili decisionali, la TA e la SA. I risultati mostrano che la TA correla in modo considerevole con lo SD (r = .347) e con lo SE (r = .373). Inoltre, esiste una notevole
correlazione tra la SA e lo SE (r = .380) e una correlazione apprezzabile tra la SA e
lo SD (r = .246).
Tab. 4. Medie e deviazioni standard
degli stili decisionali sulla base
dei punteggi ottenuti alla STAI
Un t-test a campione singolo ha permesso di verificare la tendenza del campione rispetto ai livelli di ansia. I risultati mostrano la tendenza a un livello di ansia più alto
della media per la TA (t(141) = 3.9; p < .001). L’analisi della varianza (ANOVA) è
stata eseguita per testare l’effetto prodotto dall’ansia sulla percezione del caregiver
rispetto alla paura dei figli (H2), per ognuno degli otto fattori del FSSC-P. I risultati
mostrano che l’ansia produce un effetto significativo sul Fattore VI (F(1,25) = 9,22;
p < .05), ma non sugli altri fattori (p > .05). Come ipotizzato, il livello di ansia influisce in modo significativo sulla percezione della paura infantile, ma solo per
quanto riguarda il Fattore VI, che correla in modo apprezzabile con la SA (r = .275).
In riferimento agli altri fattori, non ci sono effetti significativi prodotti in modo differente dalla TA e dalla SA.
Si è svolta un’analisi di regressione lineare per verificare se lo stile decisionale sia
un predittore della percezione della paura infantile da parte dei genitori (H3).
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L’effetto degli stili decisionali e dell’ansia genitoriale sulla percezione delle paure infantili: uno studio pilota
Fig. 1. Modello dell’effetto
dello SD sul Fattore VIII
SD
Fattore VIII
Sulla base delle correlazioni osservate, si è scelto di testare la capacità dello SD di
predire il punteggio ottenuto sul Fattore VIII, per i soggetti con un punteggio più alto
sulla TA. Il modello è significativo (p < .05), spiegando il 18.1% della varianza totale
(R2 = .181), e lo SD è un predittore della possibilità che i genitori percepiscano la
paura dell’abbandono dei figli (β = .18; p < .05; 95% IC: .008, .171).
Fig. 2. Modello dell’effetto
dello SE sul Fattore IV
SE
Fattore IV
Inoltre, si è scelto di verificare la capacità dello SD di predire un punteggio alto sul
Fattore IV, per i soggetti con un punteggio più alto sulla SA. Il modello è significativo
(p < .05; R2 = .04) e rivela che lo SD è un predittore della percezione della paura dell’ignoto dei figli (β = .205; p < .05; 95% IC: -27, -02). Lo SE, inoltre, è un predittore
del Fattore IV (β = -.206; p < .05; 95% IC: -.33, -.02) e del Fattore VIII (β = .178; p
< .05; 95% IC: .001, .191) per i soggetti con un livello di SA oltre il cut-off. Si è
scelto di prendere in considerazione i soggetti con punteggi oltre il cut-off dell’ansia
in quanto tali punteggi indicano la presenza di stati o tratti ansiosi nei soggetti e rappresenta uno dei criteri fissati in precedenza per lo studio.
Infine, un’analisi di regressione è stata eseguita per verificare l’ipotesi secondo cui
la TA sarebbe un predittore della percezione della paura sperimentata dai figli (H4).
Fig. 3. Modello dell’effetto
della TA sul Fattore II
TA
Fattore II
I risultati evidenziano che la TA predice (β = .185; p < .05; 95% IC: .014, .23) la percezione della paura del fallimento e delle critiche (Fattore II), ma la sua capacità di
predizione non risulta significativa (p > .05) per gli altri fattori.
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L’effetto degli stili decisionali e dell’ansia genitoriale sulla percezione delle paure infantili: uno studio pilota
4.6 Limiti dello studio
I dati forniscono importanti spunti di riflessione sul rapporto tra la TA, lo stile decisionale e la percezione delle paure infantili. Tuttavia, appaiono evidenti i limiti dello
studio dovuti alla ridotta numerosità del campione considerato. Sarebbe fondamentale
esaminare un campione di figli e genitori per vagliare le differenze nella percezione
della paura e la possibilità che lo stile decisionale dei genitori sia un moderatore dell’effetto dell’ansia sulla paura dei bambini. Consapevoli di tali limiti, lo studio pilota
è stato utile per evidenziare l’effetto degli stili decisionali genitoriali e dell’ansia
sulla percezione delle paure infantili. Dai dati raccolti si evince anche un’incoerenza
tra le dichiarazioni qualitative dei genitori che alla domanda “tuo figlio ha mai manifestato paura di qualcosa?” hanno risposto “No” e le evidenze degli alti punteggi
ottenuti da questi stessi genitori al FSSC-P, che dimostrano invece un alto livello di
percezione della paura sperimentata dai figli. Questo risultato potrebbe essere determinato da fattori e variabili diversi: per esempio risposte fornite sulla base della desiderabilità sociale in relazione al ruolo di genitori, o una mancata percezione del
reale livello di paura manifestato dai figli. Tali interpretazioni hanno solo valore di
ipotesi, in quanto questo dato andrebbe approfondito e analizzato accuratamente e
con strumenti adeguati.
Inoltre, un ulteriore limite dello studio risiede nell’utilizzo di una versione del test
FSSC-P non ancora validata in italiano, ma tradotta tramite back-translation procedure.
5. Modelli recenti e ipotesi di trattamento
Diversi studi sul trattamento delle paure infantili concordano sull’efficacia della terapia di desensibilizzazione sistematica (SDT) nel ridurre le paure monosintomatiche
[44; 45]. Poche ricerche, invece, indagano l’efficacia della procedura cognitivo-comportamentale nel modificare il comportamento dei bambini. Gli studi disponibili [46;
47; 48] suggeriscono che la combinazione di immagini e rilassamento non è efficace
nel ridurre le paure dei bambini [46]. Infatti, molti studiosi hanno incluso nella SDT
tradizionale delle alternative alle immagini, come disegni, giochi [44; 49; 50; 51] o
esposizione in vivo allo stimolo temuto [48], mostrando come l’applicazione standard
della SDT presenti tre svantaggi per i bambini:
1. le tecniche di rilassamento progressivo sono spesso noiose e complesse;
2. la formazione e il controllo delle immagini mentali è difficile, soprattutto con
bambini piccoli, con ritardo mentale o con danni cerebrali;
3. il miglioramento terapeutico attraverso il passaggio dalla realtà mentale a quella
fisica non è sempre così diretto.
Pertanto, il trattamento elettivo delle fobie infantili, secondo l’approccio neo-comportamentista, è la SDT in vivo, che ha il vantaggio di essere breve, ma la mancanza
di follow-up non consente di dimostrare se essa sia duratura e se sia utile per trattare
paure patologiche. Attualmente non vi sono proposte alternative alla SDT per ridurre
la paura. L’efficacia di tale trattamento è dimostrata solo sulla fobia specifica del
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L’effetto degli stili decisionali e dell’ansia genitoriale sulla percezione delle paure infantili: uno studio pilota
buio nei bambini, ma non su quelle generiche [45].
La nostra ipotesi di trattamento delle paure infantili, basata su teorie gestaltiche-integrate, si focalizza sull’utilizzo del gioco, quale strumento attraverso cui il bambino
può acquisire consapevolezza del suo mondo interno. Si tratta di un percorso di sostegno psicologico che coinvolge in parallelo genitori e figli e che consente ai bambini di sperimentare comportamenti ostili, iperattivi, aggressivi, avere paura di tutto
o di qualcosa in particolare, lasciando loro spazio per soddisfare i propri bisogni. A
volte potranno agire sulla base di preconcetti errati rispetto di sé, derivanti da informazioni distorte provenienti dai genitori. Come indicato dalla Oaklander [52], il compito di un terapeuta è aiutare il bambino a separarsi da valutazioni incongrue di sé
consentendogli di scoprire il suo vero Sè.
L’ipotesi di partenza è che sostenere e potenziare le risorse dei caregivers durante i
momenti di disorientamento nella relazione genitoriale, possa attenuare le paure del
bambino. Il gioco offre un canale di esplorazione del mondo infantile unico nel suo
genere ed è un vero e proprio strumento di auto-terapia con cui egli elabora confusione, ansia, conflitto [52]. Esistono molteplici tecniche per aiutare i bambini a esprimere le emozioni: disegno, pittura, argilla, giochi con animali o pupazzi e altro
ancora. Ogni terapeuta potrà, in modo personale e creativo, utilizzare gli strumenti
più adeguati per accompagnarlo in un processo di progressiva consapevolezza di sé,
attraverso il suo mondo. Un indubbio svantaggio di questa ipotesi è legato al fatto
che esiste solo un piccolo numero di studi che determina scientificamente l’efficacia
di questo metodo, basato sull’uso della fantasia e della parola. Questa variabile potrebbe costituire uno spunto per ulteriori esperienze terapeutiche e una spinta a riaccendere l’interesse della comunità scientifica al fine di condurre nuove ricerche
scientifiche sul tema.
6. Conclusioni e possibili sviluppi futuri
Quando sono i bambini a sperimentare l’ansia, i genitori devono spesso fare i conti
con sentimenti di smarrimento e frustrazione difficili da gestire. In un’ottica di prevenzione e promozione del benessere, questo dato non può essere trascurato. La complessità del sistema familiare merita l’attenzione della ricerca per individuare ciò che
accade nella relazione. Questa ricerca evidenzia la carenza di studi che indaghino
quella particella “tra” che può fare la differenza nella comprensione dello sviluppo
delle paure dei bambini rispetto alla relazione con i genitori. Questo gruppo si propone di approfondire l’indagine coinvolgendo un campione più ampio e composto
anche da bambini, ma auspica che questo studio pilota possa offrire uno spunto alla
comunità scientifica per indagare in modo più approfondito sia l’utilizzo degli strumenti proposti, sia ulteriori ipotesi sul tema trattato.
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Pubblicato: maggio 2021
doi: 10.32069/pj.2021.3.100
MINI REVIEW
L’ausilio dello Sport nel Modello
Gestaltico Integrato
Salvatore Renda1, Angela Ciulla1, Letizia Cacciabaudo1, Milena Mazzara1, Valentina Maltese1,
Francesco Scarito2
1
2
SiPGI - Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Gestaltica Integrata
Servizio di Psiconcologia, Dipartimento Oncologico di III livello, La Maddalena, Palermo (Italia)
ABSTRACT
Citation
Renda S., Ciulla A., Cacciabaudo L.,
Mazzara M., Maltese V., Scarito F. (2021).
L’ausilio dello Sport nel Modello
Gestaltico Integrato
Phenomena Journal, 3, 56-61.
https://doi.org/10.32069/pj.2021.3.100
Direttore scientifico
Raffaele Sperandeo
Supervisore scientifico
Valeria Cioffi
Journal manager
Enrico Moretto
Contatta l’autore
Salvatore Renda
salvatore.renda77@gmail.com
Ricevuto: 18 maggio 2020
Accettato: 28 maggio 2021
Pubblicato: 28 maggio 2021
Sport in the Integrated Gestalt model
The baggage inherited from our western culture is characterized by the artificial division between those
which are the elements of a single reality: the mind and the body. This split is also expressed through our
language; we do not have a single word that allows us to say “I-body” but we refer to it by saying my
body, as if it were an object we possess, not a part of the self. We often think we have a body, understood
as something different from us, in reality we are the body and it is our own life. Gestalt therapy, as holistic
body and emotional mediation therapy, considers the mind and body as inseparable aspects, seeks the
unity of the person and considers the organism as a whole. Talking about a holistic model in sports psychology makes us understand how the concepts of body and mind no longer help us to describe the functioning of the human being / athlete in a performance. The work has a twofold objective: the integration
of sport into the integrated Gestalt model and the creation of a new intervention model in sports psychology with the help of the integrated Gestalt model.
KEYWORDS
Gestalt, Sport, Body, Integration.
ABSTRACT IN ITALIANO
Il bagaglio ereditato dalla nostra cultura occidentale è contraddistinto dalla scissione artificiosa tra quelli
che sono gli elementi di un'unica realtà: La mente ed il corpo. Tale scissione si esprime anche mediante
il nostro linguaggio; infatti non abbiamo un'unica parola che ci permette di dire “io-corpo” ma ci riferiamo
ad esso dicendo il mio corpo, come se fosse un oggetto che possediamo, non una parte del sé. Spesso
pensiamo di avere un corpo, inteso come qualcosa di diverso da noi, in realtà noi siamo il corpo ed esso
è la nostra stessa vita. La psicoterapia della gestalt, in quanto terapia olistica a mediazione corporea ed
emozionale, considera la mente ed il corpo come aspetti inscindibili, ricerca l’unità della persona e considera l’organismo nella sua totalità. Parlare di un modello olistico nella psicologia dello sport fa comprendere come i concetti di corpo e mente separatamente considerati, non ci aiutano più a descrivere il
funzionamento dell’essere umano/atleta in una singola performance.
Il lavoro si pone un duplice obiettivo: l’integrazione della pratica sportiva nel modello gestaltico integrato
e la creazione di un nuovo modello d’intervento in psicologia dello sport con l’ausilio del modello gestaltico integrato.
PAROLE CHIAVE
Gestalt, Sport, Corpo, Integrazione.
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pag. 56
Renda et al.
L’ausilio dello Sport nel Modello Gestaltico Integrato
Introduzione
L’idea del seguente articolo prende spunto dalla citazione latina: “Mens Sana in Corpore Sano”, tale citazione, rappresenta il focus iniziale che meglio descrive lo scopo
del seguente articolo, ovvero il legame tra sport, movimento ed esercizio fisico con
il benessere psicologico.
La salute mentale è definita dall’OMS come uno stato di benessere attraverso il quale,
ogni individuo realizza il proprio potenziale, affronta il normale stress della vita, lavora in modo produttivo e fruttuoso ed è in grado di dare un contributo alla propria
comunità[1]. La visione positiva del concetto di salute, ha cambiato nel panorama
internazionale la prospettiva d’intervento delle professioni sanitarie, in particolar
modo della salute mentale, così come evidenziato nella definizione di salute dell’OMS, contenuta nel suo atto costitutivo: “La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattie o infermità”.
La salute mentale rappresenta il fondamento nei processi di pensiero, di comunicazione, di apprendimento, di autostima e della capacità di recupero di ciascun individuo. La salute mentale è anche la chiave per le relazioni, per il benessere personale
ed emotivo e per il contributo di qualsiasi individuo alla comunità. Godere di buona
salute mentale, diventa quindi il presupposto per un efficace funzionamento della
persona nelle attività di vita quotidiana, relazionale, sociale e sulla capacità di adattarsi al cambiamento sviluppando maggiori e migliori capacità di resilienza [2].
Secondo la definizione dell’OMS, un’attività fisica regolare, come camminare, andare in bicicletta o praticare sport, ha notevoli benefici per la salute [3].
L’evidenza di tale connessione, tuttavia, si scontra con la realtà organizzativa di approccio nella vita quotidiana e nello sviluppo di programmi terapeutici.
La trattazione del tema proposto prende spunto dalla riflessione sul bagaglio ereditato
dalla nostra cultura occidentale, ovvero la tendenza a scindere quelli che sono gli
elementi di un’unica realtà: la mente ed il corpo. Solitamente dividiamo il nostro organismo in un Io a cui attribuiamo tutte le caratteristiche razionali e/o cognitive ed
un corpo che ci consente di entrare in contatto con l’ambiente attraverso i cinque organi di senso e il movimento nello spazio. Tale scissione si esprime e viene rafforzata
anche attraverso il nostro linguaggio; infatti non abbiamo un'unica parola che ci permette di descrivere l’unitarietà tra mente e corpo, ma ci riferiamo al corpo attraverso
l’espressione il “mio corpo”, come se fosse un oggetto che possediamo, e non come
una parte del sé. L’uso della parola mio non indica un’identità tra esperienza corporea
e sé, ma indica possesso nel senso di proprietà e sottolinea la distinzione tra chi possiede e l’oggetto posseduto.
Spesso pensiamo di avere un corpo, inteso come qualcosa di diverso da noi, in realtà
noi siamo il corpo ed esso è la nostra stessa vita [4].
Possibili Metodi di Studio
Essendo la psicoterapia della gestalt una terapia olistica a mediazione corporea ed
emozionale, considera la mente ed il corpo come aspetti inscindibili, considera l’orPhenomena Journal | www.phenomenajournal.it
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ganismo nella sua totalità. Considerare una persona nella sua totalità, significa considerare che il tutto è più grande della somma delle singole parti, significa vedere la
persona come composta da tutte le parti: corpo, mente, pensieri, sensazioni, emozioni,
sentimenti, immaginario, movimento, ma non come una semplice addizione di queste,
qualcosa in più che permette di dar forma senso e significato nella sua totalità.
Il terapeuta gestaltico è particolarmente attento a tutte le manifestazioni corporee del
paziente, lavorando globalmente e attraverso l’osservazione fenomenologica di ciò
che appare in superficie, contatta le strutture profonde, collegando anche i più piccoli
movimenti corporei con il contesto esperienziale del paziente e della relazione terapeutica. L’interesse che rivolge al corpo è diretto essenzialmente verso l’esperienza
che l’individuo fa del suo corpo, vale a dire il come la persona si esprime o contatta
l’ambiente, a tal proposito, chi più dell’individuo che pratica sport può meglio descrivere tale esperienza.
Essa pone l’accento sulla presa di coscienza dell’esperienza attuale (il qui e ora, che
ingloba l’eventuale reinsorgere di un vissuto arcaico), e restituisce dignità al “sentito”
emozionale e La terapia della Gestalt, pone l’attenzione sulla presa di coscienza dell’esperienza attuale, restituendo dignità al sentito emozionale e corporeo [5]. Per cui,
parlare di un modello olistico nella psicologia dello sport fa comprendere come i
concetti di “corpo” e di “mente” non ci aiutano più a descrivere il funzionamento
dell’essere umano/atleta in una singola performance. Dunque iniziando a considerare
l’unitarietà corpo-mente. Tutto questo concretizza il senso dell’elaborato, che si pone
un duplice obiettivo: l’integrazione della pratica sportiva nel modello gestaltico integrato e la creazione di un nuovo modello d’intervento in psicologia dello sport con
l’ausilio del modello gestaltico integrato. In questo primo articolo ci si soffermerà
sull’utilizzo della pratica sportiva, come elemento di efficacia ed efficienza in un
percorso psicoterapico.
Da più di un decennio vi è stata una crescita esponenziale di studi psicologici collegati
al binomio fra sport e salute, condotti su una vasta gamma di popolazioni afferenti
ad un trattamento clinico o semplicemente amanti dell’attività sportiva. Si è quindi
riscontrato come lo sport non solo permette di aggiungere anni alla vita, bensì incrementa la qualità della stessa nel corso degli anni [6]. La pratica Sportiva, ha una valenza psicologica e sociale estremamente ampia. Lo sport, infatti, può svolgere un
ruolo importante nella costruzione di una immagine di sé positiva, nella possibilità
di individuare obiettivi possibili, di uno sviluppo del senso di autoefficacia [7]. La
pratica sportiva favorisce la possibilità di socializzazione facilitando la possibilità di
sperimentare relazioni sane, improntate al dialogo, alla comprensione, all’aiuto reciproco, al rispetto di codici e norme precostituite [8].
Metodologia d’Intervento
Affinché tutto questo possa trovare implicazione clinica in un trattamento psicoterapeutico risulta importante individuare dove, come, quando nasce l’integrazione dell’attività sportiva in un trattamento psicoterapico gestaltico integrato, volgendo anche
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uno sguardo alle ricerche di integrazione in psicoterapia iniziate intorno agli anni 90
con gli studi sui fattori comuni e la regolarità del processo terapeutico che vede tutt’oggi la SiPGI impegnata in diverse attività di ricerca.
La possibilità di integrazione inizia da un aspetto esperienziale altamente significativo
il “continuum di consapevolezza”.
Il “continuum di consapevolezza” è una pratica a disposizione del terapeuta per monitorare il processo del paziente e l’interazione terapeutica.
Serve a focalizzare all’interno del processo terapeutico quali parti della possibile
esperienza sono oggetto di resistenze. “È utile per rendersi conto di quali canali percettivi vengono privilegiati e quali trascurati; di quanto l’attenzione segue le sensazioni fisiche, le percezioni, le emozioni, i pensieri, l’immaginazione, il ricordo;
quanto perciò la persona è in contatto con l’esterno e quanto con il proprio vissuto
interiore” [9].
Una delle più grandi capacità che il paziente può acquisire è quella di seguire il “proprio continuum di consapevolezza”.
La pratica del continuum di consapevolezza. È una forma di addestramento fenomenologico; un tentativo di concentrazione senza pregiudizio o senza etichettare su ogni
nuova figura che diventi interessante senza preconcetti e senza aspettative [10].
L’obiettivo del continuum di consapevolezza in gestalt è di estendere ed accrescere
il funzionamento integrato del sé corpo/mente e di farlo nella consapevolezza nel
presente.
Il lavoro terapeutico ha lo scopo di sostenere questa fluidità nella consapevolezza,
per permettere un contatto pieno che va a consolidare l’esperienza personale dell’individuo.
L’espressione verbale diventa concreta se proviene dal corpo, dall’esperienza vissuta,
altrimenti rischia di risultare vuota.
Tre canali esperienziali ci aiutano nell’entrare in contatto con il corpo, in una terapia
Gestaltica Integrata:
1) Il corpo visto, Coscienza di Sé, normalmente il primo contatto, che si presta a confronti e astrazioni varie. In genere può fissarsi in una immagine tanto stabile quanto,
proprio per questo, ingannevole.
2) Il corpo in movimento, Consapevolezza, precursore di una maggior consapevolezza, dove l’esperienza è intima e la sensazione è di esser-ci nel mondo con unicità.
Il corpo che gioca, che balla, che funziona creativamente, permette l’esperienza intima del piacere nel proprio corpo.
3) Il corpo vissuto, Responsabilità, terreno della terapia, accessibile fenomenologicamente, dove si integrano le esperienze del corpo visto e del corpo che si è mosso;
quello che mi rimandano gli altri e quello che sento di essere [11].
Perls e soprattutto molti dei suoi collaboratori, come Goodman, Zinker, i Polster,
Menditto etc analizzano in dettaglio lo svolgimento normale, ideale, del ciclo di gratificazione dei bisogni, definito anche ciclo dell’autoregolazione organica, ciclo esperienziale, ciclo del contatto ritiro, ciclo della gestalt.
Alcuni autori descrivono il ciclo del contatto come articolato in quattro fasi, altri in
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sei, sette oppure otto.
Qui prenderemo in considerazione l’articolazione iniziale di Goodman, delle quattro
fasi.
Per Perls e Goodman ci sono quattro fasi del ciclo dell’esperienza, che avviene in
quella zona intermedia detta “confine del contatto”.
Il pre-contatto è la prima esperienza che si manifesta tra un Io-Tu o anche tra un IoEsso al confine del contatto ed è caratterizzato dalle nostre sensazioni.
Nel pre-contatto possono essere individuati due momenti e cioè ciò che sento fisicamente e ciò che sento a livello emotivo.
Nella presa di contatto è presente l’emozione. Si è già orientati all’azione e c’è una
mobilitazione dell’energia. C’è l’intenzione di risolvere un problema o comunque di
passare attraverso un’esperienza. La gestalt comincia a formarsi e dunque c’è già un
prepararsi.
Nel pieno contatto vi è un momento di confluenza sana, di indifferenziazione tra l’organismo e l’ambiente, tra l’io ed il tu; un momento di apertura o perfino di abolizione
del confine contatto. L’azione è unificata nel qui ed ora: esiste coesione tra percezione, emozione e movimento.
Il post-contatto è una fase di assimilazione che favorisce la crescita. In essa, si digerisce esperienza vissuta, ci si ritrova disponibile per un’altra azione.
Alla luce di quanto descritto risulta possibile individuare l’ausilio dello sport in psicoterapia gestaltica integrata: (dove) all’interno del processo del continuum di consapevolezza, (come) integrando la metodologia gestaltica con quella di altre teorie
di stampo corporeo, nella consapevolezza del registro del corpo in movimento,
(quando) agevolando, nel ciclo del contatto esperienziale, la mobilizzazione dell’energia che permette la presa di contatto volta all’intenzione di risolvere il proprio
conflitto sperimentando il contatto pieno delle esperienze vissute.
Nell’esperienza clinica, l’integrazione dell’attività sportiva di una psicoterapia ad
approccio gestaltico integrato, ha portato significativi sviluppi nel trattamento de:
disturbi d’ansia, dipendenze, disturbi/disordini alimentari, stati depressivi, disturbo
bipolare, disturbi di personalità [12].
La riorganizzazione della personalità, passa attraverso un lavoro di separazione ed
integrazione delle parti del sé, questi processi dovrebbero essere tra loro equilibrati,
in modo da favorire nel processo fenomenologico del paziente ciò che è disposto ad
assimilare [13].
Nella terapia i pazienti mettono a fuoco quegli aspetti processuali e/o fenomenologici
per migliorare la consapevolezza di sé e la propria interazione nelle relazioni con il
mondo esterno.
Immaginarsi la psicoterapia come un vero e proprio allenamento, significa aiuta, allenare il paziente a render più fluido quel “confine-contatto” per fronteggiare le richieste dell’ambiente attraverso la modifica di vecchi modelli disfunzionali, la loro
successiva rielaborazione, ed in infine la costruzione di nuovi [14].
Come per l’allenamento, il terapeuta gestaltico, utilizzando costantemente l’osservazione fenomenologica su ciò che avviene nel “qui ed ora”, agevola il potenziale
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depositato sullo sfondo del paziente, affinché possa migliorare la capacità di sviluppare il proprio “locus of control” interno [15].
Conclusioni
Il presente lavoro rappresenta la possibilità di evidenziare e rendere esplicito quanto
l’ausilio dello sport in psicoterapia gestaltica integrata - attraverso una lettura fenomenologia del paziente, del terapeuta e della relazione terapeutica - abbia una rilevanza clinica nel trattare alcuni disagi e/o disturbi psicologici.
Si propone di costruire uno strumento metodologico volto a rendere scientifica tale
integrazione.
Si propone, altresì, la possibilità di creare un nuovo modello d’intervento in psicologia dello sport con l’ausilio dell’approccio gestaltico integrato.
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http://www.carlobenedettimichelangeli.it/gestaltico/la_psicoterapia__palestra_per_gli_le_allena_MEN
TI.html
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