vol.
PPE.Atti IX
PREISTORIA E PROTOSTORIA IN ETRURIA
L’alba dell’Etruria
Fenomeni di continuità e trasformazione
nei secoli XII-VIII a.C.
Ricerche e scavi
ATTI DEL NONO INCONTRO DI STUDI
CENTRO STUDI DI PREISTORIA E ARCHEOLOGIA
Milano
Atti del Nono Incontro di Studi
Valentano (Vt) – Pitigliano (Gr), 12-14 Settembre 2008
L’alba dell’Etruria
Fenomeni di continuità e trasformazione nei secoli XII-VIII a.C.
Ricerche e scavi
a cura di Nuccia Negroni Catacchio
Nuove ricerche alla Grotta dei Santi (Monte Argentario, Grosseto)
Adriana Moroni Lanfredini*
Margherita Freguglia*
Federico Bernardini**
Giovanni Boschian***
Carlo Cavanna****
Jacopo Crezzini*
Pamela Gambogi*****
Laura Longo******
Lucio Milani*******
Fabio Parenti********
Stefano Ricci*
Nel settembre 2007 (Freguglia et alii 2007) la Soprintendenza per
i Beni Archeologici della Toscana e il Dipartimento di Scienze Ambientali dell’Università di Siena, in collaborazione con l’Istituto Italiano di Paleontologia Umana e le Università di Pisa e di Firenze,
hanno ripreso le ricerche nella Grotta dei Santi sul monte Argentario1 (fig. 1.1).
La grotta si apre nel calcare cavernoso sul versante sudorientale
del promontorio in una piccola cala, la Cala dei Santi appunto, delimitata a sud-ovest dalla punta dell’Avvoltore. La cavità attuale (fig.
1.2) è il residuo di una ben più ampia caverna in buona parte scomparsa in epoca pretirreniana, come dimostrano gli enormi blocchi di
crollo ancora visibili sul fondo marino; di tale caverna rimangono, oltre alla nostra grotta, una grande nicchia, priva di riempimento, e altre nicchie minori sospese sulla falesia.
La grotta, lunga 45 m e larga, nel punto massimo, 40 m, è formata da un unico vasto ambiente la cui volta si trova a circa 18 m s.l.m.;
il riempimento, asportato nella parte anteriore, occupa ancora i due
terzi della cavità e ha uno spessore massimo di circa 10 m.
* Dipartimento di Scienze Ambientali
“G. Sarfatti”, Unità di Ricerca di Ecologia Preistorica, Università di Siena.
** Dottorato di Ricerca in Scienze
Umanistiche, Università di Trieste.
*** Dipartimento di Scienze Archeologiche, Università di Pisa.
**** Società Naturalistica Speleologica
Maremmana.
***** Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana.
****** Dipartimento di Scienze Ambientali “G. Sarfatti”, Unità di Ricerca di
Ecologia Preistorica, Università di Siena
e Museo Civico di Storia Naturale di
Verona.
******* Dipartimento di Biologia
Evoluzionistica, Università di Firenze.
******** Istituto Italiano di Paleontologia Umana.
1 Alle ricerche hanno partecipato anche
studiosi del Dipartimento di Scienze
della Terra dell’Università di Firenze,
studenti, appassionati e una serie di associazioni attive a livello territoriale, il
cui appoggio è stato determinante in
particolare per l’organizzazione logistica
che si è rivelata notevolmente complessa, in quanto la grotta è raggiungibile
solo dal mare e presenta difficoltà di attracco non indifferenti. Si ringraziano
dunque: Lorenzo Rook e Marco Benvenuti del Dipartimento di Scienze della
Terra dell’Università di Firenze, Enzo
Bernabini, Ispettore Onorario della Soprintendenza per i Beni Archeologici
della Toscana, Pietro Bartolini, Carlo
Ciacci, Giacomo Guerrini, Gildo Lombardi e Daniela Telloli della Società Naturalistica Speleologica Maremmana,
Giulia Aimola, studentessa dell’Università di Ferrara, Chiara Dalla Valle, studentessa dell’Università di Trieste. La
nostra riconoscenza per aver fornito un
contributo essenziale alla buona riuscita
delle indagini va, inoltre, a: i volontari
dell’Accademia Mare Ambiente, la Società Argentario Divers, l’Ufficio Circondariale Marittimo di Porto Santo Stefano, i signori Costanza, Andrea e Leda
Ferraris. Ci preme sottolineare che i
risultati presentati in questo lavoro sono
il frutto dello sforzo congiunto di tutti
gli enti e le persone citate, ed è solo grazie a queste collaborazioni se gli scavi
sono stati portati a termine con successo. Lo studio relativo alla geologia e alla
sedimentologia si deve a Giovanni
Boschian, la parte concernente i reperti
faunistici è opera di Jacopo Crezzini,
delle industrie si sono occupate
Margherita Freguglia e Adriana Moroni.
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Adriana Moroni Lanfredini - Margherita Freguglia - Federico Bernardini - Giovanni Boschian - Carlo Cavanna Jacopo Crezzini - Pamela Gambogi - Laura Longo - Lucio Milani - Fabio Parenti - Stefano Ricci
Nuove ricerche alla Grotta dei Santi (Monte Argentario, Gr)
1. Grotta dei Santi.
1: localizzazione del sito;
2: planimetria della Grotta;
3: stratigrafia del deposito
(da Segre 1959).
La presenza di reperti preistorici alla Grotta dei Santi è stata segnalata da vari studiosi già a partire dal 1869 (Nicolucci 1869), ma il
primo a dare notizie più consistenti fu Aldo Segre nel 1959. In seguito a un breve sopralluogo quest’ultimo ebbe infatti modo di descrivere la potente sequenza stratigrafica della grotta, della quale realizzò un profilo longitudinale (fig. 1.3) e una sezione trasversale; la
sua osservazione si basò però esclusivamente sul deposito esposto, in
quanto egli non effettuò alcun intervento di scavo.
La stratigrafia ricostruita da Segre riassume le principali fasi della
formazione del deposito della grotta e ha inizio, a partire dal basso,
da una fase di forte concrezionamento (st1), che ha dato origine a
spessi crostoni e colonne stalagmitiche giacenti direttamente sulla
roccia di base. A questa fase, riscontrabile anche in altre grotte del
promontorio, è stata attribuita un’età pretirreniana.
L’evento seguente è rappresentato dalla trasgressione marina tirreniana che invase la cavità e che sarebbe riconoscibile dai solchi e dai
fori di litodomi situati sulla falesia esterna. Al successivo ciclo regressivo sono stati invece attribuiti l’ammasso di blocchi franati (fr) e
la spiaggia tirreniana (t).
Seguono:
- una breccia con fauna a stambecco e industria musteriana,
attribuita all’Anawürm 1 (br1), sigillata a tetto da una potente
stalagmite attribuita al Würm 1 (st2);
- una breccia ossifera superiore con intercalazione di limi rossi
cementati attribuita al Würm 2 (br2);
- una grande duna di addossamento eolico di sabbia gialla
con crostoni arenacei alla base e un orizzonte rossiccio
nella parte superiore (d);
- due orizzonti di argilla rossa a Cecilioides acicula con soprastante
sottile livello detritico (a2, a1).
Chiude la serie pleistocenica una stalagmite attribuita al Würm 3
(st3). La parte terminale del deposito è infine formata da sabbie gialle e focolari di età enea (e), mentre la trasgressione marina olocenica
ha eroso il riempimento nell’avangrotta.
Con la ripresa delle ricerche, nel settembre 2007, le indagini,
aventi lo scopo di verificare l’effettiva consistenza del deposito paleolitico individuato da Segre, hanno interessato un’area ristretta (2
× 2 m circa) formata da un corridoio che si incunea tra la parete sinistra della grotta (guardando verso il fondo) e l’inizio del crollo rivestito da croste stalagmitiche sulla destra, alla base della grande duna di addossamento.
Nel corso del successivo intervento (giugno-luglio 2008), sono stati effettuati alcuni sondaggi nel livello eneo ed è stata aperta complessivamente una superficie di 21 mq nei livelli musteriani, sia alla
base della duna di addossamento sia sulla scarpata di erosione che ne
651
Adriana Moroni Lanfredini - Margherita Freguglia - Federico Bernardini - Giovanni Boschian - Carlo Cavanna Jacopo Crezzini - Pamela Gambogi - Laura Longo - Lucio Milani - Fabio Parenti - Stefano Ricci
mette in luce il profilo2. Questo ha comportato la rimozione di tutto
il terreno rimaneggiato franato dall’alto, che conteneva industria litica musteriana, macrofauna e resti di molluschi marini e terrestri. Durante lo scavo sono state messe in evidenza numerose tane di roditori che talora penetrano in profondità rimaneggiando ampie porzioni
della sequenza. Contrariamente a quanto avviene per molti siti musteriani, il sedimento della Grotta dei Santi è solo parzialmente cementato dalle concrezioni, soprattutto in prossimità della parete e in
corrispondenza dei livelli stalagmitici indicati da Segre. Questo fattore ha facilitato il recupero dei materiali e in particolare la buona conservazione dei resti faunistici.
Uno dei primi obiettivi perseguiti all’inizio dello scavo è stato
quello di individuare direttamente sul terreno le unità litologiche della sequenza descritta da Segre durante la sua breve visita alla cavità.
Ne è risultata una generale corrispondenza tra le notizie riportate dallo studioso e la situazione attuale, a parte alcune incertezze riguardo
all’individuazione della br1 che affiora in modo discontinuo in un’area ristretta e parzialmente ricoperta da detriti. Tuttavia alcuni elementi nuovi arricchiscono la sequenza di testimonianze della presenza umana nella grotta. Il primo è rappresentato dallo strato 1004 che
ha restituito, oltre ai resti faunistici già citati da Segre, anche industria
litica e un grande focolare in cui sono stati identificati più livelli di ceneri e carboni. L’ubicazione dell’affioramento e la discontinuità della
successione nell’area indagata non permettono ancora di definirne
con certezza i rapporti stratigrafici con il resto della sequenza, ma è
lecito supporre che, in prima approssimazione, possa essere identificato con la br2. Questo livello è importante perché ha restituito i resti di due crani di stambecco, uno dei quali quasi integro.
Una novità di ancora maggior interesse è la scoperta di una serie
di livelli non segnalati da Segre alla base del deposito eolico d; si tratta di quattro orizzonti (110, 111, 112, 113), contenenti concrezioni
fosfatiche, materia organica, industrie litiche musteriane e fauna.
Questi nuovi risultati pongono alcuni interessanti problemi di interpretazione della sequenza. Infatti, analisi sedimentologiche preliminari effettuate sul livello attribuito alla br2 hanno rivelato la presenza di depositi di spiaggia con molluschi frammentari e arrotondati nella parte basale; pertanto, se effettivamente in giacitura primaria,
questo orizzonte porrebbe il problema della quota raggiunta dal livello del mare durante il Pleistocene Medio. Si trova infatti a 7 m sopra il livello attuale, all’interno della fascia di variabilità di 6±2 m indicata per la fascia meridionale della costa toscana (Ferranti et alii
2
Contemporaneamente è stato iniziato
da parte di Fabio Parenti e Giovanni
Boschian il rilievo topografico della
grotta. I dati acquisiti sono in corso di
652
elaborazione e costituiranno la base
grafica del GIS dello scavo. Una versione
semplificata della planimetria è presentata in fig 1.2.
Nuove ricerche alla Grotta dei Santi (Monte Argentario, Gr)
2006), ma al di sopra della quota di 4 m riportata nella medesima letteratura per il promontorio dell’Argentario durante il MIS 5.5 (peraltro desunta dal medesimo lavoro di Segre del 1959). Per contro, i
depositi di spiaggia (t) indicati come tirreniani si trovano a 2,7 m
s.l.m., una quota apparentemente troppo bassa pur considerando la
possibilità che siano stati deposti a una certa profondità rispetto al livello massimo raggiunto dal mare.
Alla luce di queste nuove acquisizioni, lascia perplessi l’attribuzione
del livello br2 al Würm 2 (o interpleniglaciale), poiché i livelli di spiaggia a 7 m contrasterebbero con la quota media ipotetica di -50 raggiunta dal mare in questo periodo, al lordo dei movimenti tettonici.
Questa situazione dona spazio a numerose interpretazioni, a oggi
premature ma sintetizzabili nelle seguenti osservazioni:
- è ancora da verificare la giacitura primaria di questo deposito,
anche se le osservazioni preliminari lascerebbero supporre
che ciò sia verosimile;
- va considerata la possibilità che la frequentazione
neanderthaliana, contemporanea alla presenza di faune
a stambecco, abbia interessato il livello marino ormai emerso
(ed in parte troncato?) ben dopo la sua deposizione;
- deve essere ancora precisata la posizione stratigrafica del livello
1004 che, pur trovandosi a una quota inferiore a quella del
deposito eolico d, potrebbe essergli successivo qualora giacesse
su una superficie di erosione in esso modellata dal mare durante
l’high stand tirreniano. In questo caso risulterebbero
estremamente più antichi (pretirreniano?) i resti di cultura
materiale dei livelli 110-113 situati alla base della duna d.
Qualche perplessità è suscitata inoltre dall’attribuzione di st2 e st3
a fasi glaciali o genericamente fredde, rispettivamente al Würm 1 e al
Würm 3, poiché la formazione di speleotemi è generalmente attribuita a fasi climatiche caldo-umide.
La soluzione di questi problemi è uno degli obbiettivi delle ricerche future alla Grotta dei Santi.
Tutti i livelli indagati hanno restituito, in associazione all’industria
litica, abbondanti reperti faunistici (mammiferi, rettili, uccelli e molluschi). Se si escludono alcuni elementi provenienti da zone situate in
prossimità della parete, il materiale non risulta interessato da concrezioni; presenta, inoltre, un basso grado di frammentazione e un ottimo stato di conservazione delle superfici ossee.
L’analisi preliminare di un limitato campione di resti di macromammiferi ha consentito la determinazione a livello tassonomico di
un piccolo numero di ossa (tab. 1). Tra gli ungulati, si registra, in tutti i livelli, la presenza di Cervus elaphus, la specie alla quale è riferibile il maggior numero di reperti in assoluto; buona parte dei resti di
questo animale è costituita da ossa degli arti. Dai livelli 110 e 111 pro653
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vengono anche elementi appartenenti a un altro cervide, il capriolo.
L’uro, rappresentato in quasi tutti gli orizzonti esaminati, è il solo ungulato di grande taglia identificato. Ossa riferibili allo stambecco, tra
le quali figura un’intera porzione neurale di cranio (fig. 2.1), provengono invece esclusivamente dal livello 1004.
A causa del numero ridotto degli elementi determinati, la distribuzione quantitativa degli ungulati non fornisce dati utili a una ricostruzione attendibile dell’ambiente circostante il sito, durante le fasi
di occupazione antropica. Per il momento è possibile osservare solamente come, tra le specie rappresentate, siano compresi taxa legati ad
ambienti boschivi (cervidi) e un bovide, l’uro, che poteva invece occupare zone più aperte di prateria arborata.
Un elemento di diversificazione che, sotto il profilo stratigrafico,
potrebbe, se confermato, assumere rilevanza, è il rinvenimento dello
stambecco nel livello 1004. Con il prosieguo delle ricerche, l’acquisizione di ulteriori dati consentirà di meglio valutare se questa differenza, cui sembra associarsi, rispetto ai livelli superiori, una diminuzione
dei cervidi, possa assumere un significato dal punto di vista paleoclimatico ed essere indicativa, quindi, di un’oscillazione in senso arido.
Tra i carnivori (tab. 1), è da segnalare il rinvenimento di una prima falange di leopardo proveniente dal livello 110 e di alcuni resti di
volpe dal 1004. All’interno degli stessi livelli sono stati raccolti numerosi coproliti (fig. 2.2); questi, per morfologia e dimensioni, risultano analoghi a quelli appartenenti alla iena macchiata (Crocuta crocuta spelaea) (Horwitz-Goldberg 1989); al momento, tuttavia, non
sono stati identificati nel campione osteologico della Grotta dei Santi, resti riferibili a questo carnivoro che potrebbe avere occupato la
grotta in alternanza con l’uomo.
livello 110
Ungulati
Bos primigenius
4
Capra ibex
Cervus elaphus
10
Capreolus capreolus 2
Cervidae indt.
Totale Ungulati
16
Carnivori
Panthera pardus
1
Vulpes vulpes
Totale Carnivori 1
livello 111 livello 112 livello 113 livello 1004
11
2
13
1
7
1
9
1
2
3
2
5
1
8
-
-
-
3
3
L’osservazione tafonomica delle superfici ossee ha permesso di registrare la presenza di tracce legate sia all’attività umana sia alla masticazione di carnivori. Nel primo caso, in particolare, si sono individuati alcuni elementi di ungulati interessati da fratture, incavi di percus654
2. Grotta dei Santi.
1: neurocranio di stambecco con
particolari delle tracce di taglio
presenti sui condili occipitali;
coproliti di iena rinvenuti
nel livello 1004.
Tab 1. Macromammiferi:
distribuzione dei resti ossei
determinati a livello
tassonomico nei livelli indagati.
Nuove ricerche alla Grotta dei Santi (Monte Argentario, Gr)
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sione e segni di taglio provocati dall’utilizzo da parte dell’uomo di
strumenti litici nelle operazioni di macellazione delle carcasse animali.
Il neurocranio di stambecco recuperato nel livello 1004 è riferibile
a un individuo maschile adulto e manca delle cavicchie, molto probabilmente spezzate alla base dall’uomo. A questo riguardo non sono
comunque stati rilevati incavi di percussione sulle piccole porzioni di
corno rimaste. Su ambedue i condili occipitali sono però presenti strie
da strumento litico (fig. 2.1) riconducibili alla separazione del cranio
dalla prima vertebra cervicale (Binford 1978). All’interno di un insieme come quello recuperato a Grotta dei Santi, costituito in larga misura da parti scheletriche di ungulati fratturate dall’uomo, il ritrovamento di un neurocranio integro fa supporre che gli abitanti della
grotta avessero riservato a questo elemento un particolare trattamento. Tale dato, unitamente alla collocazione, forse non casuale, del neurocranio presso il grande focolare nelle vicinanze del quale è stato rinvenuto anche un secondo frammento craniale di Capra ibex (sempre
di individuo maschile adulto, costituito dalla cavicchia sinistra quasi
intera associata a una frazione di temporale), potrebbe lasciare spazio,
a nostro avviso, a ipotesi concrete circa l’importanza simbolica attribuita allo stambecco e in particolare a questa parte anatomica dalle
genti neanderthaliane. L’evidenza della Cala dei Santi richiama, del resto, in modo diretto la paleosuperficie situata a tetto del Tg. 56 del Riparo del Molare di Scario (Sa) (Ronchitelli 1993; Boscato et alii 2002),
dove sono stati rinvenuti, accanto ad altri reperti faunistici, due elementi craniali di Capra ibex composti, questa volta, dalle cavicchie intere e da porzioni del temporale e del frontale.
La micro e la malacofauna sono ancora in corso di studio. Tra la
malacofauna si segnala il rinvenimento di grosse quantità di Callista
chione proveniente sia dal rimaneggiato sia dai livelli 110 e 1004. A
un primo esame a occhio nudo, sembra, però, di non poter riconoscere nessun elemento ritoccato come è il caso, invece, di altri siti musteriani (Grotta del Cavallo, di Uluzzo C e dei Giganti in Puglia; Barma Grande in Liguria; Grotta dei Moscerini nel Lazio) in cui pezzi di
valva di questo mollusco venivano trasformati in strumenti (Blanc
1955; Borzatti Von Lowenstern 1965; Bulgarelli 1975; Palma di Cesnola 1965).
Allo stato attuale delle ricerche, l’industria litica (fig. 3) rinvenuta
in stratigrafia non è numericamente sufficiente per una definizione
dettagliata degli insiemi relativi ai singoli livelli e non consente, pertanto, di apprezzare eventuali differenze di ordine stratigrafico; ci limitiamo, dunque, in questa sede, a fornire una descrizione dei principali caratteri tecnotipologici dell’industria nel suo complesso.
La materia prima è costituita principalmente da ciottoli di selce
per lo più di colore grigio e verde scuro, omogenea e a tessitura abbastanza fine. Si nota, inoltre, una componente minoritaria in diaspro
656
3. Grotta dei Santi. Industria
litica: livelli musteriani
(A da Segre 1959, B dagli scavi
2007-2008); livelli olocenici
(D da Segre 1959).
Nuove ricerche alla Grotta dei Santi (Monte Argentario, Gr)
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rosso e nero, sotto forma sia di ciottolo sia di blocco con tracce di rotolamento. Sono stati rinvenuti anche rari manufatti in quarzo, un
materiale che, allo stato grezzo, è ben attestato in tutti i livelli indagati. Le rocce da cui è ricavata l’industria sono rappresentate sul promontorio e comprese nella serie del Verrucano sottostante il Calcare
cavernoso (Lazzaretto et alii 1964; SGI-CGI 1967), elemento che depone a favore di una provenienza strettamente locale della materia
prima.
Nell’ambito del débitage appare frequente l’utilizzo di uno sfruttamento di “superficie” del nucleo con caratteri riconducibili al concetto Levallois. Tale concetto è stato applicato soprattutto nella sua
variante centripeta, frequentemente in nuclei che mostrano il distacco di un’ultima scheggia preferenziale dopo la messa in forma della
convessità distale e delle convessità laterali. In alcuni casi la forma
iniziale del ciottolo ha indirizzato verso una variante unipolare o bipolare del suddetto metodo.
Un insieme meno numeroso di nuclei mostra invece uno sfruttamento di “volume”, una modalità che, come nel caso del Levallois
unipolare e bipolare, sembra legata all’impiego di ciottoli allungati.
Il débitage è volto a ottenere schegge e schegge laminari; queste sono spesso corticate e, al loro interno, si contano numerosi spicchi di
ciottolo ed entames; ciò anche per le piccole dimensioni dei blocchi
di partenza che non favoriscono una produzione che vada oltre la fase del decorticamento. La maggior parte delle schegge non reca sulla
faccia dorsale più di due negativi, generalmente intersecanti e convergenti; il cortice, quando presente, occupa più frequentemente una
posizione laterale. Nelle schegge laminari e nelle lame i distacchi dorsali, paralleli o intersecanti, possono essere anche tre o quattro.
I talloni sono soprattutto diedri e lisci; la cornice risulta di solito
abrasa; la presenza ricorrente di bulbi prominenti e di punti di percussione puntuali conferma l’utilizzo della percussione diretta con
percussore duro, tipico, tra l’altro, della tecnica Levallois.
La maggior parte dei supporti appare senza ritocco. Tra i ritoccati
si nota una prevalenza di raschiatoi laterali, più raramente trasversali,
profondi; seguono le punte, ritoccate anche su un solo lato, fra le quali si distinguono due limaces. La lavorazione è sempre abbastanza curata e in un caso la morfologia del ritocco risulta subscalariforme.
Nel panorama preistorico toscano (e più in extenso dell’Italia centrale) la Grotta dei Santi costituisce, ad oggi, uno dei pochi contesti
ancora integri in grado, pertanto, di soddisfare una serie di interrogativi relativi al modo di vita dei gruppi umani che la frequentarono.
Testimonianze dell’uomo di Neanderthal sono già note nel territorio grossetano, ma si tratta, nella maggior parte dei casi, di siti di superficie, molti dei quali non omogenei. Si differenzia tra questi l’industria rinvenuta in stratigrafia al Riparo Cavanna, a Gavorrano, at658
Nuove ricerche alla Grotta dei Santi (Monte Argentario, Gr)
tribuita a un Musteriano tipico ricco in raschiatoi (Bachechi-Perazzi
1995; 1996).
Tuttavia, per l’industria litica della Grotta dei Santi il confronto
più immediato sembrerebbe quello con i complessi pontiniani del litorale laziale e in particolare del Circeo, sia per la posizione geografica e le caratteristiche del territorio, sia per la materia prima utilizzata. Però, dato lo stadio iniziale dello studio, condizionato al momento anche dall’oggettiva non abbondanza dei reperti, appare difficile valutare nel dettaglio eventuali analogie o differenze tra la nostra
grotta e gli insiemi “pontiniani”, soprattutto nel campo della tecnologia che dovrà essere sviscerata in tutte le sue fasi.
Ci riserviamo pertanto di confermare o smentire questa prima impressione, quando sia i dati naturalistici sia gli aspetti più strettamente culturali saranno meglio indagati.
659
Adriana Moroni Lanfredini - Margherita Freguglia - Federico Bernardini - Giovanni Boschian - Carlo Cavanna Jacopo Crezzini - Pamela Gambogi - Laura Longo - Lucio Milani - Fabio Parenti - Stefano Ricci
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661
Adriana Moroni Lanfredini - Margherita Freguglia - Federico Bernardini - Giovanni Boschian - Carlo Cavanna Jacopo Crezzini - Pamela Gambogi - Laura Longo - Lucio Milani - Fabio Parenti - Stefano Ricci
Riassunto / Abstract
Il presente lavoro, a carattere preliminare, è relativo alle nuove ricerche (anni
2007-2008) intraprese dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana
e dall’Università di Siena, in collaborazione con le Università di Pisa e di Firenze
e con L’Istituto Italiano di Paleontologia Umana, alla grotta di Cala dei Santi
(Monte Argentario, Gr), già segnalata da Aldo Segre nel 1959. La grotta si apre
nel calcare cavernoso sul versante di sud-est dell’Argentario; il riempimento,
asportato nella parte anteriore, occupa ancora i due terzi della cavità e ha uno
spessore massimo di circa 10 m. Rispetto alle osservazioni effettuate da Segre, la
nostra indagine ha permesso di individuare, nell’ambito del deposito pleistocenico, una nuova serie di livelli del Paleolitico medio. Lo scavo dei livelli antropici ha
restituito una grande quantità di reperti faunistici (mammiferi, rettili, uccelli e
molluschi), costituiti principalmente da ungulati. Fra questi sono da segnalare due
crani incompleti di stambecco. L’industria litica, meno abbondante, è formata
principalmente da manufatti non ritoccati. Dal punto di vista tecnologico appare
frequente l’utilizzo della metodo Levallois. Gli strumenti sono rappresentati principalmente da raschiatoi e punte. Alcuni aspetti (per esempio l’utilizzo di ciottoli
come materia prima) dell’industria litica della Grotta dei Santi ricordano i complessi “pontiniani” del litorale laziale. È tuttavia prematuro, sulla base dei dati attualmente disponibili, effettuare confronti più approfonditi.
This preliminary work summarises the results of new research work carried out at
Grotta di Cala dei Santi by the Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana
and by the Università di Siena, in collaboration with the Universities of Pisa and of
Firenze, together with the Istituto Italiano di Paleontologia Umana in 2007-2008.
The cave, which was explored by Aldo Segre in 1959, opens in the “Calcare cavernoso” formation, on the south-eastern side of Monte Argentario; the infilling is preserved within about 2/3 of the inside of the cave, with a thickness of about 10 m,
while it was removed by the sea erosion in the outer part.With reference to the observations carried out by Aldo Segre, our sondages put into evidence a new sequence
of Middle Palaeolithic levels within the Pleistocene succession. The excavation of the
anthropic levels has put into evidence a large quantity of faunal remains (molluscs,
reptiles, birds and mammals) dominated by ungulates; among these, two incomplete
ibex skulls are noteworthy. The lithic industry is less abundant and is mainly made
up of unretouched artefacts, and from the technological point of view the Levallois
method is apparently common. The tools are mainly scrapers and points. Some aspects of the lithic assemblage of the Grotta dei Santi—e.g. the exploitation of flint
pebbles as raw material- resemble the “Pontinian” complexes of the Latium coastal
area. Nonetheless, it is still untimely to carry out more accurate comparisons on the
basis of the data available at present.
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