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NOVECENTO SUL BOSFORO D’ARONCO E VILLA ITALIA Genius loci e Modernismo nel progetto di Raimondo D’Aronco per l’ex Residenza estiva dell’Ambasciata d’Italia a Tarabya sul Bosforo (1905-1906). Diana Barillari Raimondo D’Aronco, progetto per l’ex Residenza estiva dell’Ambasciata d’Italia a Tarabya, prospettiva, agosto 1905, archivio privato Oltre all’ediicio che ospitava la sede dell’Ambasciata a Istanbul ovvero lo storico Palazzo di Venezia già sede della Serenissima Repubblica e poi dell’Impero Austro-ungarico, il Regno d’Italia aveva ricevuto in dono dal Sultano Abdülhamid II anche una residenza a Tarabya sulla sponda europea del Bosforo, una località dove si trovavano gli ediici di altre legazioni quali Gran Bretagna Francia e Germania1. Il Ministero degli Affari Esteri commissiona il nuovo ediicio a Raimondo D’Aronco2 che dal 1893 lavorava a Costantinopoli e aveva solidi legami professionali con il Sultano, la corte e numerosi ministeri: l’architetto elabora il progetto tra il 1905 e il 1906, conservando alcuni ambienti della costruzione precedente (fabbricato uso cucina, deposito di carbone, servizi sotto la prima terrazza del giardino) e sistemando il giardino posteriore caratterizzato da terrazzamenti e giardini pensili (posti rispettivamente a m. 2, 7, 8,5 e 14 s.l.m)3. Il progetto per l’ex Residenza estiva come quello di poco posteriore per casa Huber (1906) sempre a Tarabya, impegnano D’Aronco a progettare anche il giardino, permettendogli così di confrontarsi con un tema caratteristico dell’architettura realizzata lungo le sponde del Bosforo, che a partire dal XVI secolo ospitava yali, chioschi e parchi destinati alla caccia e a brevi soggiorni estivi da parte del Sultano e della corte. Il modello di riferimento è il palazzo del Topkapi, un piccolo universo acentrato nel quale acqua e vegetazione insieme all’architettura si fondono per creare un armonioso contesto paesistico che può essere confrontato alla cultura delle ville venete. Il piano terra è organizzato intorno al vestibolo d’onore di forma rettangolare situato sull’asse principale nord-sud perpendicolare al fronte strada che prospetta il Bosforo (est). Ripartito da due coppie di colonne che delimitano lo spazio anche a livello funzionale – a nord l’ampio scalone d’onore e a sud un accesso secondario dal giardino – lo spazio del 01. Una radicale revisione dell’ediicio venne effettuata dal bailo Andrea Memmo nel 1777. 02. M.Nicoletti, Raimondo D’Aronco e l’architettura Liberty, Laterza Roma Bari 1982; Raimondo D’Aronco architetto, cat. mostra a cura di E.Quargnal e M.Pozzetto, Electa, Milano 1982; V.Freni, C.Varnier, Raimondo D’Aronco l’opera completa, Centro graico editoriale, Padova 1983; D.Barillari, Raimondo D’Aronco, Laterza, Roma-Bari 1995; D.Barillari, E.Godoli, Istanbul 1900 Architetture e interni Art Nouveau, Cantini, Firenze 1996; D’Aronco “architetto ottomano” 1893-1909, cat mostra a cura di D.Barillari, M. Di Donato, Istanbul Arastirmalari Enstitüsü, Istanbul 2006. 03. Le tavole del progetto si trovano a Udine dove, presso i Civici Musei-Gallerie del Progetto, è conservato l’archivio D’Aronco. 47/112 Raimondo D’Aronco, progetto per l’ex Residenza estiva dell’Ambasciata d’Italia a Tarabya, l’ediicio durante i lavori di costruzione, 1906 circa, archivio privato 48/112 vestibolo rielabora l’atrio a quattro colonne di Palladio ma allo stesso tempo si allinea alla tradizionale conigurazione dell’architettura ottomana, dove allo spazio centrale (sofa) fanno corona le stanze (oda). Questa disposizione spaziale caratteristica dell’abitazione turca ha in D’Aronco un convinto sostenitore, infatti nella casa che progettò per la propria famiglia a Torino (1903) limitò l’uso dei corridoi per fare spazio a una vasta «Hall», un ambiente molto funzionale che aveva potuto sperimentare direttamente vivendo in una abitazione tradizionale a Arnavutköy4. La pratica maturata con l’edilizia residenziale ottomana di yali (le caratteristiche abitazioni lungo il Bosforo) e chioschi gli consentì di approfondire lo studio delle piante, caratterizzate da un nucleo centrale collegato alle stanze secondo un asse longitudinale o trasversale. Il corpo scale in questi ediici viene solitamente addossato a uno dei lati perimetrali e consiste di una doppia rampa con pianerottolo intermedio tra un piano e l’altro. Questa disposizione a partire dal XIX secolo assume una disposizione sempre più rigorosamente simmetrica che trova corrispondenza nei prospetti, caratterizzati dall’alternanza di volumi aggettanti, sostenuti da mensole lignee. Nel tracciare l’evoluzione della casa turca con hayat Dogan Kuban individua nella permanenza del sofa anche nel periodo che segna la massima adesione all’inluenza occidentale, un carattere distintivo della committenza ottomana, da un lato attirata dalla modernità ma al contempo contraria a abbandonare il modello distributivo sofa-oda, funzionale a una società con tradizioni e esigenze ben differenziate da quelle europee5. Per un architetto di formazione occidentale e attento all’innovazione quale D’Aronco il sofa svolge funzioni analoghe a quelle di una hall, un elemento di stringente attualità nel dibattito architettonico in corso, in particolare nel mondo anglosassone. Anche quando i palazzi dei Sultani e della corte costruiti lungo il Bosforo – Dolmabahçe, Beylerbey, Küçüksü, Ihlamur, Çiragan – impiegano il linguaggio europeizzante degli stili architettonici e sostituiscono il legno dei rivestimenti con il marmo, le piante conservano la distribuzione tradizionale degli spazi interni, cosicché Dolmabahçe con la sua monumentale facciata di 284 metri in realtà comprende sette unità residenziali distinte. Lo spazio rettangolare del vestibolo caratterizza anche la disposizione dei piani superiori, dove trovano collocazione le sale di ricevimento e rappresentanza al primo piano, e le 04. Il riferimento si trova in una lettera indirizzata all’ingegner Bonelli che era stato incaricato dall’architetto trattenuto a Istanbul di seguire i lavori di costruzione della casa a Torino, Raimondo D’Aronco lettere di un architetto, a cura di E.Quargnal, del Bianco, Udine 1982, p.126. 05. Dogan Kuban, The Turkish Hayat House, Eren, Istanbul, 1995, pp.64-93. 49/112 Raimondo D’Aronco, ex Residenza estiva dell’Ambasciata d’Italia a Tarabya, particolare di una parete con la struttura portante in ossatura di legno e riempimento in mattoni, foto dell’autrice, 2006 camere da letto al secondo e terzo. Questi ultimi due piani sono caratterizzati da uno spazio a doppia altezza circondato da una balconata lungo il perimetro, che lascia luire la luce che arriva dall’abbaino situato sul lato meridionale, creando un suggestivo effetto di dilatazione spaziale. Le tante suggestioni classiche e rinascimentali che la disposizione della pianta rievoca sottolineano il carattere di rappresentanza dell’ediicio, accresciuto dalle igure allegoriche quali l’Italia con corona turrita posta sulla fontana dell’ingresso, lo stemma Savoia sulla facciata verso il Bosforo, il bugnato del portale d’ingresso, la trifora centrale archivoltata. La sintonia con l’architettura ottomana è riscontrabile oltre che nell’interpretazione del modello distributivo della pianta, anche nell’utilizzo delle tecniche costruttive, in particolare nella relazione di progetto D’Aronco speciica che «le facciate saranno composte di un’ossatura verticale e orizzontale di travi di quercia e di ossature interne […] Le pareti esterne saranno formate di un rivestimento di tavole di larice spalmate di olio di lino sulle due facce prima della loro posa in opera, e quelle interne di un intonaco applicato sopra listelli di legno»6 Questa ultima indicazione consente di individuare una tecnica comunemente in uso nelle abitazioni in Turchia denominata bagdadi che consiste nella stesura dell’intonaco su un incannicciato o un graticcio di legno. La descrizione dei materiali impiegati per costruire le facciate invece consente di istituire un confronto duplice sia con la tecnica del balloon frame ma anche con l’ossatura portante in montanti e traversi di legno che viene impiegata per le abitazioni tradizionali turche, nella quale l’intercapedine risultante tra esterno e interno viene riempita da mattoni o inerti. Questa tecnica diffusa a seguito delle conquiste ottomane in molti paesi balcanici non si discosta molto dall’opus craticium impiegato in epoca romana, del quale restano interessanti esempi in alcune abitazioni a Pompei. Fino all’altezza del primo piano D’Aronco impiega la struttura in muratura proprio come nella casa tradizionale allo scopo di isolare i piani superiori dall’umidità, mentre per i solai impiega voltine in laterizio su travi in ferro. Le tavole di progetto dell’ex Residenza documentano anche il sistema delle fondazioni composto da pali posti in corrispondenza dei muri perimetrali, un accorgimento indispensabile dato che era necessario consolidare il terreno che si trovava a pochi metri dalla sponda del Bosforo. 06. V.Freni, C.Varnier, op. cit., p. 169. 51/112 La composizione delle facciate lascia trasparire la suddivisione degli interni, in particolare quella orientale rivolta verso il Bosforo, dove grazie agli aggetti, ai cornicioni marcapiano e al rivestimento si può leggere – a partire dal pianterreno – la sequenza di vestibolo, sala di attesa al primo piano e superiormente le camere da letto disposte intorno alla hall a doppia altezza. Sul lato nord l’ampia falda del tetto si piega a formare un triangolo entro il quale viene alloggiato un balconcino, mentre a sud la cornice marcapiano si interrompe per lasciare spazio al grande abbaino che appoggia sullo sbalzo orizzontale della falda del tetto che funge da copertura alla terrazza del primo piano. Se da un lato la decorazione dei Raimondo D’Aronco, progetto per l’ex Residenza estiva dell’Ambasciata d’Italia a Tarabya, pianta del piano terra, 1905, Civici Musei di Udine Gallerie del Progetto, archivio D’Aronco 52/112 prospetti con il rivestimento in liste di legno orizzontali, i pannelli decorati a policromie vivaci posti nella parte interna delle falde del tetto (losanghe, rombi, ovali, rettangoli) i bow-windows e i balconi sporgenti ricordano la tradizionale architettura ottomana, altri elementi ornamentali sono tratti dal repertorio del Modernismo, come le colonnine a sigaro e le superici decorate con motivo a scacchiera. La modernità che la critica concordemente attribuisce alle architetture realizzate da Raimondo D’Aronco in Turchia tra il 1902 e il 1906 va ricondotta alla personale interpretazione del genius loci che l’architetto effettua anche grazie alla sua felice condizione di abitante di una città cosmopolita. Egli altresì è in piena Raimondo D’Aronco, progetto per l’ex Residenza estiva dell’Ambasciata d’Italia a Tarabya, pianta del primo piano, 1905, Civici Musei di Udine Gallerie del Progetto, archivio D’Aronco 53/112 sintonia con una delle linee guida della Scuola di Wagner che secondo Marco Pozzetto si fonda sulla «riconsiderazione critica delle architetture regionali»7. Ma oltre all’architettura del Modernismo e all’inluenza della ricca tradizione ottomana, l’ispirazione di D’Aronco sembra guardare oltreoceano. David Gebhard nel 1966 si chiedeva quale fosse il ruolo dell’architettura coloniale americana per le scelte compiute da D’Aronco nel progetto per l’ex Residenza «Non è noto se D’Aronco fosse al corrente dell’avanzatissima architettura americana degli ultimi decenni dell’Ottocento, ma tutta la sua opera mostra una somiglianza più che casuale con le Shingle Houses di H.H.Richardson McKim Mead e White e altri. Poiché l’architettura americana costituì un fattore di influenza sulla scena turca allo scorcio del secolo scorso e all’inizio del Novecento, ci si può domandare, e la risposta è molto dubbia, se essa abbia momentaneamente influenzato l’architettura di D’Aronco» 8 Il rivestimento in legno che viene impiegato negli ediici Shingle Style non costituisce una novità nel mondo ottomano, dove il materiale è in uso da secoli anche nelle parti strutturali oltre che per decorazioni e rivestimenti, ma allo stesso tempo anche elementi quali bow-windows e verande sono largamente utilizzati nelle architetture di yali e chioschi: D’Aronco trova certamente stimoli ma quello che più lo interessa è scoprire afinità e rimandi tra le due culture architettoniche, soprattutto per trarne ispirazione per i suoi progetti. Egli infatti oltre alle inluenze americane considera con attenzione i modelli offerti per le architetture dei cottages e vi innesta la tradizione ottomana rivisitata con sensibilità modernista. Nella biblioteca D’Aronco9 si conserva il volume dedicato a Habitations suburbaines (Villas, maisons de campagna, cottages, dépendances…) troisième série10 frutto di una accurata campagna fotograica effettuata da Albert Levy tra Chicago, New York, la costa atlantica per documentare le case realizzate dallo studio McKim Mead e White, William Ralph Emerson, Peabody e Stearns, Joseph Lyman Silsbee, Bruce Price, Henry Hobson Richardson, Cabot e Chandler, Mason e Rice e molti altri. Tra le riviste della biblioteca dell’architetto si trova la 07. La Scuola di Wagner 1894-1012 Idee premi e concorsi, cat. mostra a cura di M.Pozzetto, 2 ed., Nuova Del Bianco Udine 1981, p. 31. 08. David Gebhard, Raimondo D’Aronco e l’Art Nouveau in Turchia, «L’Architettura. Cronache e Storia», 1966, n.134, p. 552. 09. I libri e le riviste che D’Aronco conservò con sé ino alla morte furono da lui destinate per volontà testamentaria alla Biblioteca civica di Udine, dove tuttora si trovano presso la sezione Friuli. La storia di questa collezione è stata studiata da Marzia Di Donato e pubblicata nel catalogo della mostra dedicata all’architetto tenutasi a Istanbul nel 2006. 10. L’architecture Américaine, Habitations suburbaines (Villas, maisons de campagna, cottages, dépendances…) troisième série, Cesar Daly, Paris 1888. 54/112 Raimondo D’Aronco, progetto per l’ex Residenza estiva dell’Ambasciata d’Italia a Tarabya, sezione longitudinale, 1905, Civici Musei di Udine Gallerie del Progetto, archivio D’Aronco 55/112 rivista “Academy Architecture and Annual Architectural Review” (dal 1895 “Academy Architecture and Annual Review”) edita a Londra dall’architetto svizzero Alexander Koch. D’Aronco ne possedeva la serie completa a partire dal 1889 e ino al 1908 poiché fu la prima rivista internazionale a pubblicare i suoi progetti, ben diciassette dal 1892 al 1898. Il sincretismo che Ezio Godoli11 indica come fattore signiicativo nella metodologia progettuale di D’Aronco, da un lato ne conferma la vocazione eclettica, ma spiega anche quella «inquietudine espressiva» rilevata da Marcello Piacentini che gli consente di operare mettendo a frutto le notevoli doti di fantasia e creatività che caratterizzano le sue opere. La sua propensione al sincretismo si integra agevolmente con quella che Maurice Cerasi deinisce la «mentalità agglutinante dell’architetto ottomano» che opera «per giustapposizione di elementi edilizi autonomi»12. In quanto all’eclettismo più che una questione di stile e forma, il termine va inteso come nella connotazione più ampia di un sistema di conoscenza non circoscrivibile al linguaggio architettonico del XIX secolo, poiché si può far risalire all’Ellenismo. E di sintesi e capacità di assimilazione D’Aronco trova molti concreti esempi nella cultura artistica ottomana, dove si intrecciano echi persiani, cinesi, occidentali e naturalmente arabi: il suo spazio creativo a Costantinopoli si allarga oltre i conini del mondo europeo e gli consente di vivere una esperienza che ha pochi confronti con quella di altri protagonisti del Modernismo. Raimondo D’Aronco, l’ex Residenza estiva dell’Ambasciata d’Italia a Tarabya oggi, un restauro incompiuto in un contesto che vede invece altre istituzioni culturali straniere molto attive, foto Hilde Lèon 11. E.Godoli, A l’Orient seule l’Architecture Orientale Convient, in Istanbul, Costantinopoli, Bisanzio «Rassegna», XIX, n. 72, 1997, p. 78. 12. M.Cerasi, Città e architettura nel Settecento, in Istanbul, Costantinopoli, Bisanzio, «Rassegna», XIX, n. 72, 1997, p. 47. 56/112