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Dante e Leonardo lettori della Natura

MONDOSCRITTO diretta da Laura Cannavacciuolo (Università “L’Orientale” di Napoli) VOL. I Collana di studi e testi che intende promuovere e diffondere saggi e ricerche sul patrimonio letterario dell’area europea e mediterranea dalle origini all’età contemporanea, nonché edizioni commentate di opere rappresentative della storia letteraria di difficile reperibilità sul mercato editoriale. COMITATO SCIENTIFICO Carlo Vecce, Università L’Orientale di Napoli Roberta Morosini, Università L’Orientale di Napoli Chiara Cappuccio, Università Complutense di Madrid Valeria Merola, Università degli Studi dell’Aquila Virginia Di Martino, Università Federico II di Napoli Brigitte Poitrenaud-Lamesi, Università di Caen Antonio Rossini, Università di Windsor - Toronto Dante classico contemporaneo Ricerche, letture, studi a cura di Laura Cannavacciuolo Margherita De Blasi RO B E RTO NICOLUCCI E D I T O R E Questo volume è pubblicato grazie al sostegno del Dipartimento di Studi Letterari, Linguistici e Comparati dell’Università L’Orientale di Napoli ed è stato sottoposto al sistema del doppio referaggio anonimo (double blind peer review). Immagine di copertina: Dante 2021, Giovanna Marsilio © Roberto Nicolucci Editore, Napoli Tutti i diritti riservati robertonicoluccieditore.com ISBN 978-88-946597-6-4 Prima edizione: ottobre 2022 INDICE Rino Caputo, Introduzione Juan Varela-Portas de Orduña, Salvato da Beatrice: Inferno I e II (Lectura Dantis) Roberta Morosini, “Con alta voce omai, con alto vello”. Isifile, Giasone bifolco e Dantenavigatore. Note su Poesia e navigazione nella Commedia Margherita De Blasi, Tra Ulisse e Pier della Vigna Roberto D’Urso, I primi paratesti alla Commedia: La Divisione di Jacopo Alighieri e il Capitolo di Bosone da Gubbio Giovanni De Vita, “Lo fundamento radicale de la imperiale maiestade”: immagine e costruzione della monarchia tra Dante e il pensiero umanistico Lorenzo Battistini, Dante e Leonardo lettori della Natura Roberto Mondola, Riscritture dantesche nella Spagna contemporanea (1919-2013) Laura Cannavacciuolo, Levi lettore di Dante. Il canto di Ulisse in Se questo è un uomo Alessandro Viola, I due Dante di Pasolini Riassunti/Abstract Bibliografia Indice dei nomi IX 1 17 47 63 111 131 145 165 181 195/199 203 217 VII VIII LORENZO BATTISTINI DANTE E LEONARDO LETTORI DELLA NATURA Giustapporre il nome di Dante a quello di Leonardo all’interno di uno stesso titolo può apparire come un macroscopico atto di tracotanza, un imperdonabile “folle volo”. La bibliografia critica di entrambi rischia di paralizzare lo studioso per soverchiante vastità, soprattutto a seguito delle recenti celebrazioni che li hanno visti protagonisti. Tali manifestazioni hanno evidenziato l’interesse che questi grandi esponenti della nostra cultura suscitano ancora oggi a livello globale. Quelli di Dante e Leonardo sono due “miti” che hanno avuto uno sviluppo simile, nati entrambi all’indomani della loro scomparsa. Nel caso del primo, già a partire dalla prima metà del XIV secolo assistiamo a un prolificare di copie e di commenti senza precedenti nella storia della letteratura: sono i commentatori, infatti, che hanno maggiormente contribuito a imprimere la parola di Dante nell’immaginario collettivo. Dal canto suo, Leonardo viene spesso considerato l’icona del genio irregolare, rinascimentale e (anche) italiano, uno dei vertici più alti nella storia dell’intelletto umano. Il suo mito nasce fin da subito, mentre egli è ancora in vita, e si alimenta ulteriormente dopo la sua morte. I suoi principali biografi cinquecenteschi – tra i quali ricordiamo Giorgio Vasari, l’Anonimo Gaddiano, Giovanni Paolo Lomazzo – oltre a descrivercelo come una figura à la page, raffinata e di una certa bellezza, sottolineano in particolare l’aspetto volubile del suo carattere: un grandissimo artista che aveva però per la testa mille “ghiribizzi” che lo distoglievano da quello che era il suo talento principale, la pittura. Al di là del loro lascito documentario e dei giudizi che esso ha generato, ciò che preme mettere in luce in queste pagine è il fatto che Dante e Leonardo costituiscono soprattutto, agli occhi di noi contemporanei, due immensi e straordinari paradigmi di studio (qui inteso nel suo senso più alto ed etimolo131 Lorenzo Battistini gico, quale grado estremo di un desiderio). Mossi entrambi da un’inesauribile sete di conoscenza – una ricerca di verità che Tommaso d’Aquino definirebbe come l’adaequatio rei et intellectus, ovvero l’allineamento tra la visione del mondo e la realtà – le loro vite possono infatti essere riassunte in un costante dilatarsi di interessi nei campi più disparati: dalla matematica all’astronomia; dalla linguistica all’etica; dalla medicina e dalla fisiologia del corpo umano alle forze universali che muovono gli elementi naturali. Se la varietà di temi ai quali Leonardo consacrò le proprie ricerche rappresenta ancora oggi la ragione principale che spinge studiosi di diverse discipline – ingegneri, storici, storici dell’arte, storici della letteratura, architetti, matematici, fisici, storici della scienza – a dialogare tra loro attorno alla medesima figura, forse l’unica capace di attirare su di sé le attenzioni di un bacino così eterogeneo di figure professionali, Dante stesso all’interno di un celebre passo dal sapore autobiografico ci racconta di questa sua epifania per gli studi e del ruolo salvifico che essi ricoprirono: Poi che la litterale sentenza è sufficientemente dimostrata, è da procedere a la esposizione allegorica e vera. E però, principiando ancora da capo, dico che, come per me fu perduto lo primo diletto de la mia anima [Beatrice], de la quale fatta è menzione di sopra, io rimasi di tanta tristizia punto, che conforto non mi valeva alcuno. Tuttavia, dopo alquanto tempo, la mia mente, che si argomentava di sanare, provide, poi che nè ’l mio nè l’altrui consolare valea, ritornare al modo che alcuno sconsolato avea tenuto a consolarsi; e misimi a leggere quello non conosciuto da molti libro di Boezio, nel quale, cattivo e discacciato, consolato s’avea. E udendo ancora che Tullio scritto avea un altro libro, nel quale, trattando de l’Amistade, avea toccate parole de la consolazione di Lelio, uomo eccellentissimo, ne la morte di Scipione amico suo, misimi a leggere quello. E avvegna che duro mi fosse ne la prima entrare ne la loro sentenza, finalmente v’entrai tanto entro, quanto l’arte di gramatica ch’io avea e un poco di mio ingegno potea fare; per lo quale ingegno molte cose, quasi come sognando, già vedea, sì come ne la Vita Nuova si può vedere. E sì come essere suole che l’uomo va cercando argento e fuori de la ’ntenzione truova oro, lo quale occulta cagione presenta, non forse sanza divino imperio; io, che cercava di consolarme, trovai non solamente a le mie lagrime rimedio, ma vocabuli d’autori e di scienze e di libri: li quali considerando, giudicava bene che la filosofia, che era donna di questi autori, di queste scienze e di questi libri, fosse somma cosa. E imaginava lei fatta come una donna gentile, e non la poteva imaginare in atto alcuno se non misericordioso; per che sì volentieri lo senso di vero la mirava, che appena lo potea volgere da quella. E da questo imaginare cominciai ad andare là dov’ella si dimostrava veracemente, cioè ne le scuole de li religiosi e a le disputazioni de li filosofanti. Sì che in picciol tempo, forse di trenta mesi, cominciai tanto a sentire de la sua dolcezza, che lo suo amore cacciava e distruggeva ogni altro pensiero. (Convivio, II, xii) 132 Dante e Leonardo lettori della Natura Sia per Dante che per Leonardo lo studio diviene dunque una condizione esistenziale vera e propria; contrariamente a come (purtroppo) viene concepito al giorno d’oggi, ovvero come preparazione alla vita. Ciò trova riscontro nella varietà di opere con le quali i due toscani entrano in contatto lungo l’arco delle rispettive vite. Sulla biblioteca di Dante sono stati fatti diversi studi volti a identificare, oltre che i testi, anche le modalità e i luoghi di consultazione1. Tra i gruppi di religiosi e di “filosofanti” Dante ricerca nella parola degli auctores – a partire dai testi di Aristotele e dei suoi commentatori più autorevoli – le risposte a una vasta gamma di fenomeni naturali: Avicenna e Averroè per il De Anima, Tommaso D’Aquino per l’Etica, Alberto Magno per il De coelo. Le loro voci, disseminate all’interno dell’opera tutta, prenderanno poi corpo nella personale biblioteca vivente di Inferno IV. Tuttavia, ammonisce lo storico della filosofia Bruno Nardi, più cogente del riconoscimento delle singole fonti è lo studio dei problemi teologici, filosofici e scientifici sui quali il Fiorentino sceglie di interrogarsi. Non è sufficiente, parafrasando un adagio di Federico Chabod su Machiavelli2, conoscere le fonti di Dante per capire il pensiero di Dante: Volendo ricostruire nelle sue linee originali il pensiero filosofico di Dante, m’è parso, dunque, che anzitutto fosse indispensabile scrostarlo dall’intonaco che le troppe chiose vi hanno steso sopra, e ricominciare da capo col ristabilire il significato preciso delle parole in rapporto alla terminologia filosofica e scientifica del Medio Evo e ai problemi agitati nelle scuole […]. Né si creda che mi sia proposto di dimostrare quali sono le ‘fonti’ del pensiero dantesco, cioè da quali libri e autori Dante tolse i concetti filosofici che fece suoi. Questo genere di ricerche empiriche, nella maggior parte dei casi, è impossibile; ma è anche perfettamente inutile. Utilissima, invece, anzi necessaria è la conoscenza dei problemi e delle preoccupazioni intellettuali che formano l’ambiente spirituale nel quale il pensiero filosofico di Dante, personalissimo come ogni vero sistema filosofico, si maturò nello sforzo della meditazione, spesso sorpassando, con penetranti e ardite intuizioni, il comune modo di pensare del suo tempo3. 1 Si prenda come esempio lo studio di L. Gargan, Dante, la sua biblioteca e lo Studio di Bologna, Roma-Padova, Antenore, 2014. Si segnalano poi in modo cursorio due volumi collettivi testimoni dell’aspetto enciclopedico dell’opera dantesca e dell’interesse che essa suscita anche in studiosi di diverse discipline: E. Pasquini (ed.), Atti del convegno su Dante e l’enciclopedia delle scienze. Un omaggio dell’Alma Mater al Poeta, Bologna, CLUEB, 1991 e P. Boyde-V. Russo (edd.), Dante e la scienza, Longo, Ravenna 1995. Sul tema si veda anche E. Volpini, voce Natura, in Enciclopedia Dantesca, vol. IV, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 19842, pp. 14-17. 2 F. Chabod, Lezioni di metodo storico, Roma-Bari, Laterza, 19733, pp. 3-7. 3 B. Nardi, Saggi di filosofia dantesca (1930, Firenze), Firenze, La Nuova Italia, 1967, p. viii. Si vedano anche le analoghe riflessioni di G. Stabile, Dante oggi: il Convivio tra poesia e ragione, «Critica del testo», XIV, 2011, I, pp. 345-99, in particolare pp. 354-60. 133 Lorenzo Battistini Se la via privilegiata per accedere ai passi dottrinali dell’opera dantesca è dunque di inserirli all’interno di quella tradizione filosofica e morale che fu oggetto di forte dibattito tra i contemporanei, è lo stesso Leonardo che ci rivela la varietà delle proprie letture attraverso i numerosi richiami, criptici o espliciti, presenti nei più di cinquemila fogli che ci sono pervenuti; in particolare nelle diverse liste di libri e di desiderata che era solito redigere in occasione dei suoi faticosi spostamenti. Grazie a questi preziosi appunti – i quali testimoniano un fecondo dialogo con i libri, fortemente agevolato dalla recente invenzione della stampa a caratteri mobili – è stato possibile negli anni ricostruire la formazione e l’evoluzione della biblioteca perduta di Leonardo4. Consapevole dello straordinario progresso nel campo della testualità e della comunicazione, l’ingegnere di Vinci sfrutta tutte le potenzialità di una vera e propria rivoluzione nel mondo della cultura, arrivando così a possedere più di duecento volumi, un numero decisamente alto e inusuale per un singolo individuo di allora: Ricordiamo che delle 75 biblioteche private censite a Firenze tra il 1467 e il 1520 negli ambienti della classe medio-superiore (mercanti, notai, avvocati), solo 6 (8,2%) contenevano più di 30 volumi, e nessuna superava i 50 volumi. Se a prima vista, dunque, la biblioteca di Leonardo potrebbe apparire quella di un facoltoso letterato, tuttavia uno sguardo attento alla sua formazione dimostra esattamente il contrario: esaminati puntualmente, diacronicamente e riscontrati con le carte vinciane coeve, quei libri attestano gli immensi sforzi che Leonardo compì, in età ormai avanzata, per colmare ingenti lacune, principalmente nei settori linguistico e scientifico5. Sulle scansie di questa straordinaria biblioteca non possono certamente mancare i testi dell’Alighieri. Quest’ultimo però non rappresenta soltanto un’autorità letteraria, una lettura dalla quale trarre diletto, bensì un bacino di conoscenza inesauribile per saperi vari. Grazie al valore didascalico della loro parola poetica, i testi danteschi avevano infatti voce in capitolo nello studio di diverse discipline. Il Convivio – che Leonardo cita testualmente nei fogli 785 4 Si veda lo studio di C. Vecce, La biblioteca perduta. I libri di Leonardo, Roma, Salerno Ed., 2017, al quale si rimanda anche per tutta la bibliografia precedente. A questa monografia va poi aggiunto il corposo volume La biblioteca di Leonardo, a cura di C. Vecce, Firenze, Giunti, 2021, che raccoglie più di duecento schede stilate da numerosi studiosi su opere ed autori letti e citati da Leonardo all’interno dei suoi manoscritti. 5 R. Descendre, La biblioteca di Leonardo, in Atlante della letteratura italiana, a cura di S. Luzzatto-G. Pedullà, vol. I: Dalle origini al Rinascimento, Torino, Einaudi, 2010, pp. 592-5 [592-3]. 134 Dante e Leonardo lettori della Natura verso del Codice Atlantico e 113 verso del Manoscritto A6 – nasce appunto come commento filosofico ad alcune rime in volgare di argomento dottrinario. Si tratta di una maestosa opera (incompiuta) di traduzione e di mediazione del sapere aristotelico, che nei progetti originari dell’autore doveva rappresentare una sorta di prosecuzione della Vita Nova. Il rivoluzionario programma divulgativo di Dante prevede inoltre di sdoganare la lingua volgare per argomenti diversi da quelli amorosi, offrendo così la conoscenza di problemi fisici e teologici ad un pubblico nuovo, non specialista. Anche l’aspetto formale dell’opera, come sottolineato da Giorgio Stabile, contribuisce al medesimo fine: Il prosimetro è una evidente scelta di Dante per esprimere – come ho già detto – cos’è per lui la forma pensiero, nella sua figura doppia e simmetrica della sintesi e dell’analisi: cioè nel possedere un tutto perfetto nell’immaginazione sotto la figura immediata della sintesi imposta come visione poetica, o nel comprendere quello stesso tutto nella ragione sotto la figura mediata della analisi dimostrativa che suddivide secondo proporzione, cioè in modo armonico, in modo cioè che le parti non siano pezzi ma costantemente porzioni7. Se il programma pedagogico di Dante si articola sulla dialettica formale tra parti in poesia (possedere) e in prosa (comprendere) e attraverso un uso più consapevole e scientifico della lingua volgare, Leonardo, guidato da un medesimo desiderio di sintesi, sceglie invece di utilizzare un altro strumento: il disegno. La pittura si eleva a strumento di conoscenza, assicurandosi il primato rispetto alle varie forme espressive grazie all’immediatezza del suo messaggio universale. «Figurare e descrivere» (RL f. 19013 verso) diventa per Leonardo un mantra da applicare a diversi campi del sapere, dalle ricerche ingegneristiche a quelle più speculative. Tali interessi, tuttavia, non rimangono 6 La maggior parte dei manoscritti di Leonardo è consultabile sulla piattaforma E-Leo, a cura della Biblioteca Leonardiana di Vinci (https://www.leonardodigitale.com). Per i fogli di Windsor si rinvia al sito della Royal Collection (https://www.rct.uk). Mentre si licenziano queste pagine è in procinto di essere pubblicato il portale Leonardothek@ a cura del Museo Galileo di Firenze, che prevede la consultazione di archivi digitali e repertori bibliografici relativi ai manoscritti vinciani. Sul rapporto tra Dante e Leonardo si veda almeno il diligente articolo di A. Pegoretti, Leonardo e Dante: appunti per una ricerca inevitabile, in Da Dante a Berenson: sette secoli tra parole e immagini. Omaggio a Lucia Battaglia Ricci, a cura di A. Pegoretti e C. Balbarini, Ravenna, Longo Editore, 2018, pp. 197-219, al quale si rimanda anche per la bibliografia precedente. 7 G. Stabile, Dante oggi: il Convivio tra poesia e ragione (cit.), p. 363. 135 Lorenzo Battistini distinti bensì dialogano tra loro attraverso rapporti analogici capaci di metterli in relazione l’uno con l’altro. L’analogia costituisce infatti lo strumento euristico d’eccellenza per comprendere vicendevolmente due fenomeni naturali apparentemente distanti, una sorta di ponte tra saperi diversi. Sull’abbrivo di queste riflessioni, gli studi più recenti – prendendo le mosse da alcune osservazioni formulate alla metà del secolo scorso da Kenneth Keele, da Ernst Gombrich e da Martin Kemp – si sono sforzati di ricostruire i complessi percorsi di ricerca seguiti da Leonardo, mostrandone la graduale presa di distanza da modelli coevi. Il ritratto che ne risulta è quello di un Leonardo “in movimento” (parafrasando un celebre studio di Jean Starobinski su Montaigne)8, il quale sente anche l’esigenza di fissare dei limiti all’interno della propria attività speculativa, evitando di oltrepassare quei confini oltre i quali la mente può operare (che siano essi i quattro elementi aristotelici o i quattro principi fisici fondamentali presenti in natura: gravità, forza, moto, percussione): La singolarità del pensiero vinciano consiste nel fatto che in esso è difficile, se non impossibile distinguere nettamente ciò che può essere ricondotto a ciascuna delle varie discipline in esso attive: dall’estetica alla fisica, dalla prospettiva all’anatomia e così via. Al contrario: ogni ricerca seria finisce per imbattersi nella necessità di ritrovare in ogni singola affermazione una commistione più o meno evidente di tutte, in modo che non si può scrivere una storia del pensiero di Leonardo senza entrare in esse e, allo stesso tempo, ripensarle a partire da un livello, nel quale trovano un punto di convergenza imprevisto9. Come già accennato, gli “altori” costituiscono per Leonardo degli interlocutori necessari per comprendere alcuni fenomeni della realtà. Tuttavia, in 8 J. Starobinski, Montaigne en mouvement, Gallimard, Paris 1982 (trad. it di M. Musacchio, Montaigne. Il paradosso dell’apparenza, Bologna, il Mulino, 1984). Su alcuni punti di convergenza tra il Vinciano e il Perigordino, in particolare sulle modalità di scrittura “aperta” di entrambi, si veda anche C. Vecce, Leonardo e Montaigne, in Léonard de Vinci entre France et Italie: «miroir profond et sombre», a cura di S. Fabrizio-Costa et J-P. Le Goff, Caen, Presses Universitaires de Caen, 1999, pp. 249-59. 9 F. Frosini, «Artefiziosa natura». Leonardo da Vinci dalla magia alla filosofia, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2020, p. VIII. Cfr. anche A. Bernardoni, Leonardo ingegnere, Roma, Carocci, 2020: se da una parte lo studio di Frosini mette in luce come Leonardo fonda elementi magici e astrologici, artistici e scientifici per forgiare una personale misura comune di leggibilità della Natura, Andrea Bernardoni nel suo Leonardo ingegnere mostra come il pittore di Vinci elevi la sua stessa attività ingegneristica, chimica e architettonica a strumento di sapere teoretico, capace di gettare luce su fenomeni naturali più complessi quali il moto perpetuo e gli studi anatomici. Sul complesso rapporto tra arte e natura in Leonardo si rimanda al denso contributo di C. Vecce, Leonardo e il ‘paragone’ della natura, in Leonardo da Vinci on Nature. Knowledge and Representation, a cura di di F. Frosini e A. Nova, Venezia, Marsilio, 2015, pp. 183-205. 136 Dante e Leonardo lettori della Natura un momento storico in cui l’autorità del libro unico entra fortemente in crisi, il solo volumen al quale Leonardo riconosce un’effettiva posizione di preminenza è il libro della Natura10. Attraverso osservazioni empiriche il pittore funge da interprete delle leggi che governano gli elementi (guidate da quella forza universale che Leonardo chiama «necessità») riuscendo addirittura a trionfare sulla Natura stessa, resa immediata ed eterna, non più caduca, grazie al prodotto artistico. Allo stesso tempo l’ingegnere sviluppa tecnologie cercando risposte a problemi pratici attraverso l’osservazione dei movimenti e dei fenomeni naturali: pensiamo ad esempio al volo “a spirale” degli uccelli (descritto nel foglio 845 recto del Codice Atlantico) e alle sue varie applicazioni negli studi d’idraulica11. Non tutte le modalità d’invenzione della Natura risultano però accessibili. Essa talvolta appare segreta, oscura, «piena d’infinite ragioni che non furono mai in esperienza» (MS I, c. 18 recto). Per scivolare oltre questo confine e colmare tale scarto epistemologico, ecco che la fantasia assume in Leonardo un ruolo determinante. Attraverso forme di narrazione breve come favole ed apologhi, incastonate alle radice del processo di pensiero, immaginazione ed empirìa si contendono il terreno dell’indagine naturale. Un esempio di quella che potremmo chiamare una «dilatazione del naturale nel fantastico»12 lo troviamo nella breve favola contenuta nel foglio 2 recto del codice Forster III. La superba acqua, desiderosa di salire in cielo, subisce un severo contrappasso, ritrovandosi prigioniera della terra una volta ridiscesa giù sotto forma di pioggia: Trovandosi l’acqua nel superbo mare, suo elemento, le venne voglia di montare sopra l’aria, e confortata dal foco elemento, elevatosi in sottile vapore, quasi parea della sittiglieza dell’aria, e, montato in alto, giunse infra l’aria più sottile e fredda, dove fu abbandonata dal foco. E piccoli granicoli, sendo restretti, già s’uniscano e fannosi pesanti, ove, cadendo, la superbia si converte in fuga, e cade del cielo; onde poi fu beuta dalla secca terra, dove, lungo tempo incarcerata, fè penitenzia del suo peccato. Forster III, c. 2 recto 10 Cfr. L. Battistini, La retorica del ‘libro della Natura’: Sibiuda, Leonardo, Galileo, in Letteratura e scienze, Atti del XXIII Congresso dell’ADI - Associazione degli Italianisti (Pisa, 12-14 settembre 2019), Roma, Adi Editore, 2021, https://www.italianisti.it/pubblicazioni/atti-di-congresso/letteratura-e-scienze. 11 Si vedano ad esempio i ff. 728 verso, 754 recto e 813 recto del Codice Atlantico. 12 A. Asor Rosa, Riflessioni su alcuni aspetti letterari della prosa di Leonardo da Vinci. XXXIV Lettura Vinciana (Vinci, 16 aprile 1994). Testo fino ad oggi mai pubblicato; la trascrizione dattiloscritta di questo intervento è conservata presso la Biblioteca Leonardiana di Vinci. 137 Lorenzo Battistini Anche la Commedia, presumibilmente consultata nella pregevole edizione fiorentina del 1481 stampata per i tipi di Nicolò Tedesco, figura tra le opere lette o possedute da Leonardo. In questa versione il testo è accompagnato dall’ampio commento dell’umanista Cristoforo Landino e da alcune tavole iconiche di Baccio Baldini, su disegni di Sandro Botticelli. Si tratta di un’edizione assai diffusa, che mostra quanto Dante fosse ormai divenuto un classico da leggere ed interpretare, alla stregua di autori antichi come Ovidio, Virgilio ed Orazio. Agli occhi di Leonardo l’opera doveva così apparire come una grandiosa visione, una perfetta sintesi tra parola e disegno, fino a diventare col tempo un vero e proprio «deposito infinito di nozioni ed immagini disparatissime, che vanno sedimentandosi nella memoria leonardesca»13. Diversi sono gli scopi e le modalità con le quali Leonardo recupera immagini ed espressioni dantesche, incastonate a più livelli all’interno del processo di pensiero. Pensiamo ad esempio a uno dei temi dominanti dell’opera: la figurazione del corpo. Nella prima cantica in particolare il corpo umano, subendo numerose metamorfosi, viene spesso stravolto, fino quasi a rendersi irriconoscibile. È il peccato e specialmente l’uso distorto della ragione e della parola che fanno perdere all’individuo quella dignità che, a partire dall’aspetto fisico, segna l’appartenenza alla propria specie, ovvero alla propria forma esteriore (da spicio appunto: guardare, osservare). La bestializzazione dei dannati trova riscontro anche nel lessico utilizzato da Dante: sui circa 250 versi in cui Dante nomina un animale ben 120 sono solo nella prima cantica14. Esempi di questo penoso contrappasso li troviamo nei dannati di If. XIII, il cui atto di estrema violenza contro se stessi li porta a perdere le sembianze umane e ad assumere quelle di un vegetale; negli indovini di If. XX, costretti a procedere a ritroso a causa dello stravolgimento che vede coinvolti capo, mento e collo; o nelle orride metamorfosi subite dai peccatori della settima bolgia: Com’io tenea levate in lor le ciglia, e un serpente con sei piè si lancia dinanzi a l’uno, e tutto a lui s’appiglia. 13 A. Cipollone, scheda su «D. Alighieri, Commedia», in La biblioteca di Leonardo (cit.), pp. 196-9 [198]. Cfr. F. Zaccanti, Il mondo animale in Dante, in Atti del convegno su Dante e l’enciclopedia delle scienze (cit.), pp. 85-102 e G. Cappelli, Bestie raziocinanti. Anatomie di ‘Malebolge’, in «Luogo è in Inferno…». Viaggio a Malebolge, a cura di G. Cappelli e M. De Blasi, Napoli, UniorPress, 2018, pp. 31-48. 14 138 Dante e Leonardo lettori della Natura Co’ piè di mezzo li avvinse la pancia e con li anterïor le braccia prese; poi li addentò e l’una e l’altra guancia; li diretani a le cosce distese, e miseli la coda tra ’mbedue e dietro per le ren sù la ritese. Ellera abbarbicata mai non fue ad alber sì, come l’orribil fiera per l’altrui membra avviticchiò le sue. Poi s’appiccar, come di calda cera fossero stati, e mischiar lor colore, né l’un né l’altro già parea quel ch’era: come procede innanzi da l’ardore, per lo papiro suso, un color bruno che non è nero ancora e ’l bianco more. If. XXV, 49-66 Proprio da questo episodio, Leonardo (o più probabilmente un suo allievo) riprende nel foglio 154 verso del Codice Atlantico il gesto sacrilego ed osceno che Vanni Fucci rivolge a Dio15. I versi successivi dello stesso canto potrebbero inoltre aver ispirato la figura del mostro a sei zampe ritratto in RL 12369, probabilmente un costume da fabbricare per una delle numerose feste organizzate da Francesco I nelle sale del suo palazzo.16 Alla stregua di alcune scene parodiche della Commedia dantesca, dove le storture dei dettagli corporei causano delle interferenze tra la fisiognomica e la zoologia, anche in Leonardo l’aspetto divino del corpo umano, studiato nell’armonia delle sue perfette proporzioni, convive spesso con l’elemento grottesco, osceno, macabro. Due diverse facce del reale, dunque, ugualmente funzionali al suo studio e alla sua rappresentazione. Dante stesso nel foglio RL 12493, contenente al suo interno una raccolta di diversi divertissement, viene ritratto in modo caricaturale, con ghigno quasi ferino e con le vene del collo che assumono le sembianze di radici17. Se Cfr. C. Pedretti, The Codex Atlanticus of Leonardo da Vinci. A catalogue of its newly restored sheets, New York, Johnson Reprint Corporation, Harcourt Brace Jovanovich, 1978-79, parte I, vol. II, p. 89. 16 È l’ipotesi, tuttavia indimostrata, formulata da P. Meller, Leonardo da Vinci’s drawing to The Divine Comedy, in “Acta historiae artium”, t. 2, fasc. 3-4, 1955, pp. 135-68. 17 Si vedano anche RL 12371, dove troviamo un ritratto di un diavolo (forse il demone Barbariccia?) con dettagli grotteschi ed osceni, e RL 12581 dove la donna rappresentata si ispira forse a Matelda (figura che fu già fonte d’ispirazione per Botticelli) nell’atto di puntare l’indice. Tale gesto viene ripreso anche in altri quadri di Leonardo, come l’Annunciazione e il San Giovanni Battista. 15 139 Lorenzo Battistini la bellezza è il frutto dalla perfetta e matematica armonia delle sezioni del corpo, il suo opposto deriva dalla discordia di tali parti (causata, ad esempio, dal riso sguaiato o dall’età che avanza, capaci di modificare e di avvizzire i connotati di una persona): Il pittore è padrone di tutte le cose che possono cadere in pensiero all’uomo, perciocché s’egli ha desiderio di vedere bellezze che lo innamorino, egli è signore di generarle, e se vuol vedere cose mostruose che spaventino, o che sieno buffonesche e risibili, o veramente compassionevoli, ei n’è signore e creatore. (Trattato della Pittura, I, ix) La Commedia costituisce quindi un bacino d’ispirazione inesauribile per la raffigurazione delle forma umana, in tutta la sua gamma di disarmonie e di trasformazioni. Grazie soprattutto al suo ricco corredo iconografico, l’opera rimane nella memoria di Leonardo anche quando, verso la fine degli anni ’80 del ’400, egli pianifica il suo libro di anatomia (che come molti dei suoi progetti non vedrà mai la luce). In questo caso però sono soprattutto le parti dottrinali dell’opera che paiono colpire l’immaginazione del medico-ingegnere; in particolare la capacità di Dante di creare metafore e analogie volte a spiegare fenomeni complessi in modo semplice e funzionale. Un esempio lo troviamo nel canto XXV del Purgatorio, dove il poeta pagano Stazio tiene un lungo discorso sulla generazione dell’anima (sintetizzando le principali teorie di Aristotele e di alcuni dei suoi interpreti medievali)18. Dopo aver descritto come il seme maschile viene accolto dall’utero della donna e come in questo luogo, dall’unione di questi due liquidi, si genera un’anima vegetativa, comune a tutti gli esseri viventi (animali e piante), Dante si interroga sulla nascita dell’anima razionale dell’uomo, che lo distingue appunto da tutte le altre creature (v. 61: «Ma come d’animal divegna fante/non vedi tu ancor»). A questo punto il Poeta confuta la tesi di Averroè, secondo la quale le due anime (quella razionale, di origine divina, e quella vegetativa) rappresentano due entità disgiunte, e sceglie di sposare l’ipotesi avanzata da Alberto Magno, per il quale nella formazione del bambino i due spiriti vitali si fondono invece in un’unica anima. Dante prende quindi posizione all’interno di un dibattito che in quegli anni accendeva filosofi e teologi e lo fa utilizzando un’immagine originale ed emblematica: 18 Cfr. C. Vecce, La biblioteca perduta cit., pp. 105 e sgg. 140 Dante e Leonardo lettori della Natura Apri a la verità che viene il petto; e sappi che, sì tosto come al feto l’articular del cerebro è perfetto, lo motor primo a lui si volge lieto sovra tant’arte di natura, e spira spirito novo, di vertù repleto, che ciò che trova attivo quivi, tira in sua sustanzia, e fassi un’alma sola, che vive e sente e sé in sé rigira. E perché meno ammiri la parola, guarda il calor del sol che si fa vino, giunto a l’omor che de la vite cola. Pg. XXV, 67-78 L’immagine della vite, ripresa quasi alla lettera nel foglio 233 recto del Codice Arundel, viene riutilizzata da Leonardo per descrivere il funzionamento dei liquidi corporei e delle acque terrestri: come il sangue circola dal basso verso il cervello e come la linfa della vite sale dalle radici per giungere fino ai rami, così le acque salgono sui monti dalle profondità della terra per poi ridiscendere attraverso i fiumi. La summa di Pg. XXV fornisce poi allo studioso l’accesso alle più diffuse teorie medievali sulla generazione umana; tale argomento avrebbe poi dovuto avere una posizione incipitaria nel suo trattato di anatomia19. Quest’ultimo, nelle intenzioni dell’autore, prevedeva un ribaltamento all’interno degli equilibri tra immagini e parola scritta, anticipando così di mezzo secolo il De humanis corporis fabrica di Andrea Vesalio. Anche per quanto riguarda gli studi anatomici, «figurare e descrivere» resta dunque una priorità assoluta per sviluppare le proprie conoscenze sul tema. Nel foglio RL 19097, ad esempio, dove è raffigurata la scena di un coito tra un uomo e una donna, Leonardo si pone in sostanza lo stesso quesito che si poneva Dante: come nasce e come viene trasmessa la vita? Focalizzandosi in particolare sul ruolo dell’uomo all’interno del processo, Leonardo mette qui in luce le tre diverse componenti che vanno a fondersi nel liquido seminale: l’elemento ma19 Oltre agli autori sopra citati, fondamentale fu per Leonardo l’opera del medico bolognese Mondino de Liuzzi, diffusa in volgare a partire dalla metà del XV secolo. Tale scritto gli offrì dettagliate descrizioni sul funzionamento degli organi umani e la conoscenza di una vasta gamma di termini specialistici. Cfr. R. Piro, Glossario leonardiano. Nomenclatura dell’anatomia nei disegni della Collezione reale di Windsor, Firenze, Olschki, 2019. Si veda anche R. Piro-D. Laurenza, scheda su «Mondino de Liuzzi, Anothomia», in La biblioteca di Leonardo, cit., pp. 306-10. 141 Lorenzo Battistini teriale, proveniente dai testicoli; l’elemento animale, situato nel cervello e nella spina dorsale; l’elemento spirituale, ubicato invece nel cuore. Osservazioni analoghe le troviamo nei disegni contenuti in RL 19102 recto, uno dei fogli anatomici più celebri e più tardi (1511). Qui Leonardo si concentra invece sul ruolo della donna, ampiamente rivalutato rispetto alla maggioranza di altri studiosi, e schematizza i primi mesi di vita del feto. Da sempre affascinato dal mistero della vita, lo studioso analizza la funzione dei villi coriali interni alla placenta (frutto delle sue dissezioni di uteri bovini) e si interroga sulle modalità della trasmissione dell’anima dalla madre al bambino. Dalle viscere dell’individuo al macrocosmo dei cieli e dell’oltremondano. Il rapporto dell’uomo antico con la volta celeste (e ovviamente anche dell’uomo medievale e rinascimentale, fino a quello preindustriale) è qualcosa di profondamente diverso rispetto a quello che abbiamo noi oggi, abituati alle luci accecanti delle metropoli. È un rapporto di intima familiarità e allo stesso tempo di dipendenza: era opinione diffusa, infatti, che gli astri avessero un’influenza diretta sulle vite degli individui. Anche Dante, naturalmente, è affascinato da quegli oggetti luminosi incastonati nei nove cieli sopra la sua testa (tanto da confidare ai suoi lettori, nel III libro del Convivio, il disagio che aveva provato quando in passato aveva avuto difficoltà a distinguere le diverse stelle a causa degli occhi affaticati per il troppo studio)20. Numerose le questioni fisiche ed astronomiche oggetto di dibattito tra gli studiosi del tempo che trovano posto all’interno della Commedia, in particolare nella terza cantica. Nel II canto del Paradiso Dante sceglie ad esempio di affrontare il problema delle macchie lunari, ovvero quei rilievi sulla superficie del nostro satellite visibili, oggi come allora, anche ad occhio nudo. Com’è possibile dare una spiegazione a quei segni scuri su di un corpo celeste che a detta di Aristotele avrebbe dovuto essere incorruttibile e inalterabile, a differenza del mondo terrestre? Questa è la domanda che Dante pone a Beatrice subito dopo essere entrato assieme a lei all’interno del cielo della Luna («com’acqua recepe/ «[L’occhio] per infertade e per fatica si transmuta in alcuno coloramento e in alcuna debilitade; sì come avviene molte volte che per essere la tunica de la pupilla sanguinosa molto, per alcuna corruzione d’infertade, le cose paiono quasi tutte rubicunde, e però la stella ne pare colorata. E per essere lo viso debilitato, incontra in esso alcuna disgregazione di spirito, sì che le cose non paiono unite ma disgregate, quasi a guisa che fa la nostra lettera in su la carta umida […]. E però puote anche la stella parere turbata: e io fui esperto di questo l’anno medesimo che nacque questa canzone, che per affaticare lo viso molto, a studio di leggere, in tanto debilitai li spiriti visivi che le stelle mi pareano tutte d’alcuno albore ombrate» (Convivio, III, ix). 20 142 Dante e Leonardo lettori della Natura raggio di luce permanendo unita» vv. 35-36). A questa interrogativo Beatrice risponderà con un lungo discorso sulla natura di tali segni. Lo svolgimento del suo ragionamento riproduce quello tipico delle dispute medievali che consiste nel vagliare le diverse proposte sull’argomento. Dopo aver confutato l’idea (aristotelica) che tale fenomeno dipendesse da una diversa densità del corpo lunare e aver ripreso alcuni principi formali di origine neoplatonica sulla creazione del mondo come emanazione graduale della virtù divina dall’Uno al molteplice, Dante – attraverso la voce di Beatrice – arriva a sostenere che la varietà tra i vari corpi celesti dipende non tanto da un aspetto quantitativo (dalla densità dei corpi) bensì da un aspetto qualitativo legato alla natura dei corpi stessi (amore di Dio). Egli è dunque allo stesso tempo mediatore e innovatore, capace di far rientrare alcuni elementi neoplatonici all’interno del paradigma aristotelico e di disciplinarli così in un unico grande sistema originale21. Come Dante anche Leonardo, estremamente affascinato dalla luce perlacea di quel pianeta così diverso da tutti gli altri, proverà a dare una risposta a quei “segni bui” che ammirava dalla Terra. La Luna infatti è un soggetto che ricorre spesso nelle sue osservazioni astronomiche. Se già Alberto Magno nel De coelo et mundo aveva riconosciuto in essa un corpo celeste di rango inferiore rispetto agli altri pianeti a causa dei suoi tratti terrestri, Leonardo arriva addirittura a considerarla come una sorella minore della Terra e a immaginare la sua superficie ricoperta dalle acque. Sono proprio queste ultime che, riflettendo la luce solare (così come accade per gli oceani), ce la fanno apparire luminosa. Le macchie scure che noi vediamo non sono altro, quindi, che delle isole in mezzo al mare lunare. Inoltre, a chi si trovasse sulla Luna, la Terra apparirebbe a sua volta come una stella, illuminata dalla luce riflessa dei suoi mari22. Anche in questo caso, sottolinea Rodolfo Maffeis, gli echi danteschi accompagnano e guidano i ragionamenti di Leonardo: 21 D’obbligo il rimando al saggio fondamentale di B. Nardi, La dottrina delle macchie lunari nel II canto del Paradiso, ora in Id., Saggi di filosofia dantesca, Firenze, La Nuova Italia, 19672, pp. 3-39. Si veda anche G. Stabile, Il canto II del Paradiso. Navigazione celeste e simbolismo lunare, in Id., Dante e la filosofia della natura. Percezioni, linguaggi, cosmologie, Firenze, SISMEL Edizioni del Galluzzo, 2007, pp. 85-136. 22 Si vedano in particolare i fogli 310 recto, 677 recto e 829 recto del Codice Atlantico e il foglio 28 recto del Codice Arundel. 143 Lorenzo Battistini Curiosamente, in due fogli del Codice Atlantico Leonardo chiude i propri ragionamenti astronomici con due endecasillabi danteschi accentati in 2°, 6° e 10°, nascosti nella prosa ma nettamente riecheggianti il verso finale del Paradiso. Al f. 554 recto, parlando dell’aspetto della terra illuminata dal sole veduta da un punto qualsiasi dello spazio, conclude: «la nostra terra parrebbe un luminare celeste a chi fussi ne la luna o in altra stella». E al f. 310 verso, il medesimo concetto è ribadito e sigillato dalla chiusa: «Fa di sé stella col medesimo splendore che far si vede a noi dall’altre stelle»23. Pur raccogliendo molte delle sue riflessioni astronomiche e geologiche nei 18 bifogli che formano il codice Leicester – esposto nel 2018 nei locali del Museo Galileo24 – Leonardo non pubblicherà mai i risultati delle sue ricerche. Soprattutto, egli non riuscirà mai a dar loro una forma chiusa e definitiva. Tutti i suoi ragionamenti resteranno aperti, asistematici, spesso provvisori. Dante, al contrario, pur lasciando incompiute due importanti opere programmatiche quali il Convivio e il De Vulgari Eloquentia, porterà a termine la stesura di un testo enciclopedico che è la fotografia della scienza di un’epoca e allo stesso tempo ne rappresenta il prodotto più alto. In un sapere in continua espansione, l’opera-mondo della Commedia non sarà più replicabile nei decenni a venire. Ad essa seguiranno appena due secoli più tardi i fogli-mondo di Leonardo, testimoni di uno studio incessante e quotidiano all’interno delle grandi pagine del libro della Natura. 23 R. Maffeis, Il sole e la luna. Disegni di astronomia e cosmologia. Disegni di Leonardo dal Codice Atlantico, Novara, De Agostini, 2011, p. 11. 24 P. Galluzzi (ed.), L’acqua microscopio della natura. Il Codice Leicester di Leonardo da Vinci, Firenze-Milano, Giunti-Firenze Musei, 2018. 144