Location via proxy:   [ UP ]  
[Report a bug]   [Manage cookies]                
LEX MERCATORIA E DIRITTO PENALE SOMMARIO: 1. Parte speciale, frammentarietà e sistema. – 2. Diritto penale dell’economia, diritto penale commerciale e diritto commerciale. – 3. Tutela di beni individuali o diffusi? I delitti contro il patrimonio ed il diritto penale economico. – 4. Diritto penale dell’economia e sistema economico. – 5. I reati economici come fattispecie poste a tutela di beni sopraindividuali e come reati caratterizzati dalla tipologia dell’autore. – 6. Bancarotta e infedeltà. – 7. Infedeltà patrimoniale e appropriazione indebita. – 8. Infedeltà e danno alla società. – 9. Infedeltà, gestione d’impresa e corruzione in ambito privato. – 10. I rati finanziari, aggiotaggio ed insider trading. – 11. La responsabilità degli enti. 1. – La situazione dogmatica e concettuale della parte speciale del diritto penale è, com’è noto, particolarmente problematica. Data la natura “puntiforme” (o frammentaria) della disciplina penalistica che appare come un puro e semplice “catalogo di fatti vietati”1, data anche la circostanza che la singola figura incriminatrice, che vive come “istituto” collegato con l’intero ordinamento, possiede una ratio autonoma2, le categorizzazioni per gruppi (solitamente sotto la comune deF. GIUNTA, Lineamenti di diritto penale dell’economia, Vol. I., Delitti contro l’economia pubblica è reati societari, Seconda edizione, Torino, 2004, p. 41. Da un lato le singole fattispecie incriminatrici, per via della frammentarietà dell’intervento penale, costituiscono una sorta di monadi autonome, da un latro esse, tuttavia, non solo si devono coordinare, in relazione al campo di materia nel quale intervengono, con le norme del resto dell’ordinamento, ma anche con le altre fattispecie incriminatrici che intervengono sullo stesso campo di materia e ciò non solo per evitare sovrapposizioni e interferenze ma anche per ricevere e fornire significato. 2 Ogni fattispecie incriminatrice, quindi, se si vuole, tutela un “proprio” bene giuridico. L’idea della pluralità di beni tutelati da una medesima fattispecie – plurioffensività – ha, tra l’altro, la funzione di conservare una certa unità di categoria fra diverse fattispecie che vengono accomunate da un bene giuridico “di categoria” in quanto comune a tutte e che, comunque, si affianca in relazione alle singole figure incriminatrici, ad altri beni co-tutelati. In senso critico nei confronti della categoria concettuale della plurioffensività quale “commodus discessus” che “nasconde spesso il rischio di avallare soluzioni contra reum” si vedano le considerazioni di D. BRUNELLI, Il diritto penale delle fattispecie criminose, II ed., Torino, 2013, p. 36 s. e, certamente, se il bene giuridico viene inteso, in senso “metodologico”, come ratio della singola fattispecie incriminatrice (cfr. già F. ANTOLISEI, Il problema del bene giuridico, Padova, 1939), la categoria della plurioffensività perde di significato. 1 SAGGI E STUDI 479 nominazione di un interesse protetto di categoria) finiscono per lasciare un senso di insoddisfazione e di rivelarsi fragili allorché vengono immancabilmente evidenziate le differenze, spesso profonde, che intercorrono fra fattispecie appartenenti alla stessa categoria3. La categorizzazione per settori della parte speciale, tuttavia, sembra rispondere ad esigenze che non sono solo meramente espositive o classificatorie perché, in effetti, esistono degli elementi comuni di categoria che talvolta giustificano una disciplina parzialmente comune di una pluralità di fattispecie criminose espressa da disposizioni ad hoc4 e talaltra fanno emergere una ratio unitaria che accomuna più di una fattispecie appartenente allo stesso gruppo o settore. Nei delitti contro il patrimonio – una categoria molto vicina e, anzi, secondo molti, addirittura appartenente alla medesima categoria che include le fattispecie del diritto penale dell’economia – tra le figure fondamentali del furto, dell’appropriazione indebita e della truffa dev’essere tracciata una distinzione fondamentale che vede da un lato accomunati furto ed appropriazione indebita quali fattispecie che rappresentano le garanzie nei confronti della “fragilità” e della “volatilità” che contraddistingue il possesso delle cose mobili (che sono sottoposte – a differenza dei beni immobili – al costante pericolo di essere sottratte al loro titolare, anche nella forma della loro consumazione) e, da un altro lato, la fattispecie di truffa che garantisce invece la sussistenza di uno standard minimo di verità nella comunicazione posta a fondamento delle decisioni relative agli atti di disposizione a contenuto patrimoniale. Furto ed appropriazione indebita evidenziano, pertanto, una ratio di tutela per molti versi comune mentre invece la fattispecie di truffa ne possiede una autonoma legata appunto non già all’“intangibilità” delle cose mobili ma alla “formazione della volontà” in relazione alla disposizione di utilità patrimoniali. Tutte le sopra ricordate fattispecie, però, partecipano ad una logica – o una ratio – comune “di categoria” che è quella della tutela della ricchezza (o patrimonio) considerata come utilità di pertinenza individuale5. 3 Gli esempi sono numerosi e vanno dai delitti contri il patrimonio a quelli contro l’amministrazione del giustizia o quelli contro la pubblica amministrazione e quasi ogni trattazione che ha come oggetto tali categorie finisce per rilevare tali marcanti differenze. Mentre “la parte generale tende alla completezza” ed “essa si erige a sistema” (F. GIUNTA, op. cit., p. 22), per quanto invece riguarda la parte speciale, “anche quando le singole fattispecie incriminatrici vengono aggregate dal legislatore in modo sistematico, tenendo conto cioè dei beni tutelati e delle modalità di aggressione, la parte speciale rimane pur sempre un catalogo di fatti vietati” (F. GIUNTA, op. cit., p. 41) tanto che è stato sostenuto (T. PADOVANI, L. STORTONI, Diritto penale e fattispecie criminose, Bologna, 2006, p. 101 s.) che la parte speciale non consente di essere ricondotta a sistema. Se però “si può dire (…) che la parte generale sta al tipo di disciplina che va sotto il nome di diritto penale, come la parte speciale sta al raggio di azione dell’intervento punitivo” (F. GIUNTA, op. cit., p. 22) si deve comunque considerare che l’ambito dell’intervento punitivo risponde a logiche “di sistema” e che tali logiche possono essere rinvenute – tenendo conto anche della disciplina extrapenale – nei singoli settori dove interviene la normazione penale. 4 Si pensi, per es., alle cause di non punibilità comuni ad una serie di delitti contro l’amministrazione della giustizia (art. 384 c.p.) o contro il patrimonio (art. 649 c.p.). 5 F. CARNELUTTI, La tutela penale della ricchezza, in Riv. it. dir. pen., 1931, p. 7 (richiamato da F. GIUNTA, op, cit., p. 59) distingueva fra una “ricchezza tutelata nella dimensione statica”, nella quale 480 SAGGI E STUDI Anche la “categoria” del diritto penale dell’economia, per molti versi relativamente nuova, risente degli stessi problemi che affliggono le apparentemente più consolidate categorie che rispondono alle più o meno tradizionali partizioni conosciute dalle parti speciali dei codici penali. I contorni che dovrebbero circoscrivere l’insieme delle fattispecie appartenenti al diritto penale dell’economia sono, com’è noto, difficili da tracciare6 e sfumano in una miriade di fattispecie che, mano a mano che esse si allontanano dal nucleo centrale che caratterizza questo settore della parte speciale del diritto penale, finiscono per perdere quasi ogni tratto comune. Se, però, è forse impossibile ed anche inutile tentare di apporre confini ad un campo di studi e dell’esperienza giuridico penale che si rivela aperto, è, forse, invece, possibile ed utile7 rinvenire un nucleo essenziale di fattispecie dotate della stessa ratio o di rationes similari; un nucleo centrale ed “originario” che fornisce un “volto” al diritto penale dell’economia e dal quale si dipartono, con una sorta di cerchi concentrici, le altre fattispecie collegate a tale nucleo da una ratio – necessariamente più generica o “distante” – di categoria. Tale nucleo centrale del diritto penale dell’economia è rappresentato dalle fattispecie incriminatrici che garantiscono la sussistenza e la stessa ragion d’essere interna della fondamentale istituzione della moderna economia rappresentata dall’impresa. Queste fattispecie sono ancora quelle relative alla bancarotta patrimoniale ed esse si avviano, in prospettiva (e ciò sta già avvenendo in alcuni ordinamenti vicini), ad essere sostituite dalla fattispecie (o, eventualmente, dalle fattispecie) di infedeltà. vengono fatti rientrare i delitti contro il patrimonio, ed un secondo gruppo di fattispecie alle quali appartengono quelle ipotesi di reato che “tutelano la ricchezza nella dimensione, per così dire, dinamica, ossia nel sue potenzialità di ulteriore crescita”. In questa categoria vengono fatti rientrare dagli Autori citati i delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio compresi nel titolo VIII del codice penale. Come si vedrà in seguito, la dimensione propriamente dinamica della è quella rappresentata dalla ricchezza impiegata per produrre altra ricchezza ed è, cioè, quella rappresenta dall’impresa e dal suo patrimonio, ciò che costituisce il “campo di materia” del diritto penale dell’economia. 6 Nella prospettiva dell’unitarietà del sistema penale che si diparte dai principi o dalle regole generali della parte generale, viene rilevato che “mentre mutano i settori di parte speciale ove si posizionano le singole previsioni peculiari a quel comparto”, non si può, tuttavia, “parlare di un «diritto penale economico» autonomo e diverso rispetto ad un «diritto penale degli stupefacenti» o a un «diritto penale della personalità» o altro ancora; infatti, tutte queste terminologie riproducono null’altro che settori del medesimo diritto (penale) dei quali, appunto, si parla distintamente per opportunità pratiche (accademiche, professionali, studi di settore e via dicendo)” (A. LANZI, S. PUTINATI, Istituzioni di diritto penale dell’economia, II ed., Milano, 2012, p. 5). Secondo R. RAMPIONI, Diritto penale dell’economia e principi informatori del sistema penale, in Diritto penale dell’economia, a cura di R. Rampioni, Torino, p. 3, Il diritto penale dell’economia non costituisce “materia in sé definita e compita”. 7 L’utilità di uno sforzo di chiarimento di natura dogmatica e sistematica è rappresentata dal contributo che tale chiarimento arreca al fine di una migliore intelligenza dello scopo e natura delle norme e, quindi, al fine di una loro migliore interpretazione. La “ricerca” del “bene giuridico” di una fattispecie o di un gruppo di fattispecie – sul quale si sofferma normalmente la dottrina negli studi di parte speciale – produce l’“utile” risultato di ottenere una maggiore consapevolezza sull’ambito applicativo delle norme coinvolte. SAGGI E STUDI 481 2. – Il diritto penale dell’economia è il diretto erede del diritto penale commerciale che veniva tradizionalmente concepito – in stretto parallelismo con il diritto commerciale civile – come quel settore del diritto penale che si occupava delle norme penali contenute nelle leggi “civili” che erano e sono tuttora rappresentate dalle disposizioni penali in tema di società commerciali contenute nel codice civile e dalle disposizioni penali previste nella legge fallimentare e, tra esse, sopratutto, le previsioni in tema di bancarotta. Il diritto penale commerciale non rappresenta un settore di mero rafforzamento o sostegno sanzionatorio nei confronti di una disciplina dettata in altra sede e, in particolare, in sede civile, così come spesso avviene in altri settori del diritto penale “complementare”8, anche e soprattutto con riferimento alla disciplina in sede amministrativa (si pensi alla disciplina dell’urbanistica, dell’ambiente, degli stupefacenti o in materia tributaria); nel settore commerciale, invece, le norme penali, specie quelle dotate di carattere centrale, intervengono in via primaria, ossia laddove mancano del tutto sanzioni di natura civile e quindi, una “disciplina” extrapenale. Il diritto commerciale – sia esso “civile” che “penale” – rappresenta l’emergere sul piano giuridico dell’istituzione impresa, una novità economica e sociale che si è originata nelle città mercantili italiane all’inizio dell’età moderna, che si è diffusa successivamente in Europa e poi in tutto il mondo, ed attualmente costituisce 8 In molti settori del diritto penale complementare si realizza una progressione di tutela, specie in relaziona all’illecito amministrativo punitivo, che viene considerata una espressione del principio di sussidiarietà (F. GIUNTA, op. cit., p. 49). Il principio di sussidiarietà deve essere inteso come corollario del principio di extrema ratio ossia come principio che impone il risparmio di coercizione sotto forma di risparmio di sofferenza e, in particolare, di risparmio di sanzioni punitive, specie se penali in senso proprio. Ciò significa che, laddove si possa intervenire solo con una sanzione in senso lato riparatorio (e tra esse sono da includere quelle di nullità), allora si deve evitare, ove possibile, di utilizzare anche una sanzione punitiva. Vi sono settori, però, dove la sanzione riparatoria non tanto si rivela insufficiente ma non è applicabile tout court, per vari motivi, perché il danneggiato non è identificabile, perché non sussiste un danno in senso proprio e, quindi neanche un danneggiato, oppure ancora perché il danno non è veramente riparabile. Si tratta delle ipotesi in cui la sanzione (e la norma) penale interviene in via primaria, in assenza cioè di una disciplina e di una tutela extrapenale (sul punto sia consentito rinviare al nostro, Lineamenti di uno studio sulla bancarotta, Roma, 2015, p. 51 ss.). Si tratta proprio delle ipotesi centrali del diritto penale dell’economia: bancarotte patrimoniali e documentali, falso in bilancio, dettano una disciplina che è “originariamente” penale. In questo caso la sanzione penale non scavalca quella civile ma interviene, invece, dove quest’ultima non ha la possibilità di operare ed anche in questo la sanzione punitiva trova la sua ragione d’essere. Un problema diverso è invece quello rappresentato dalla possibile sostituzione di sanzioni sempre punitive ma più miti laddove la sanzione penale si riveli eccessiva ma non si possano ipotizzare sanzioni riparatorie. In questo senso, dato il trasferimento del baricentro della tutela della corretta destinazione del patrimonio dell’impresa nell’ordinamento tedesco verso la fattispecie di infedeltà e lo spostamento a un ruolo marginale delle ipotesi, specie quelle meno gravi come quella colposa, di bancarotta, è stata proposta la derubricazione di quest’ultima ipotesi ad illecito amministrativo punitivo (cfr., anche per riferimenti, R. SEEMANN, Strafbare Vereitelung von Gläubigerrechten (§§ 283 ff., 288 StGB): Reformdiskussion und Gesetzgebung seit 1870, Berlin, 2006, p. 173 ss.; K. TIEDEMANN, Wirtschaftsstrafrecht. Besonderer Teil, III ed., München, 2011, p. 255 ss.). 482 SAGGI E STUDI uno dei fenomeni caratterizzanti dei nostri sistemi sociali9. L’impresa costituisce un’istituzione dotata di particolari caratteristiche ed essa non era conosciuta nelle età precedenti (nell’antichità e nel medioevo) che concepivano la ricchezza solo in termini di “proprietà” e di “libertà” dell’individuo10. L’impresa, invece, con il suo patrimonio e la sua capacità di “creare” ricchezza, pur essendo un’istituzione che rimane privatistica, costituisce, nella considerazione giuridica ed economica “moderna” come emerge dalla trama ordinamentale (ed in ciò il diritto penale svolge un ruolo primario), un’“istituzione” dotata di una propria autonomia rispetto al soggetto che la “gestisce” o la “amministra”, e tale autonomia è tale da sussistere anche nel caso in cui (ed un tempo si trattava della prevalenza dei casi) il gestore dell’impresa sia il “proprietario” dei beni della stessa. La “distrazione” del patrimonio dell’impresa dai propri fini produttivi – anche quando tale “distrazione” sia solo “colposa” – è vietata, infatti, allo stesso imprenditore individuale pur essendo quest’ultimo il proprietario del patrimonio stesso. La legislazione vigente, non solo in Italia, sulla scorta dell’eredità storica che vedeva nell’impresa individuale il prototipo della forma impresa, formula ancora la fattispecie di bancarotta sul modello destinato all’imprenditore individuale. L’autonomia dell’impresa si realizza nel vincolo di destinazione dei suoi beni i quali devono essere dedicati alla creazione di profitto oggettivo o di ricchezza e, in questo senso, si può dire che l’impresa risponde ad un interesse “proprio” e che, pertanto, è fatto divieto a chi la gestisce di disporre dei suoi beni contro gli interessi dell’impresa “in sé”, anche se si tratta, come nel caso dell’impresa individuale, del “proprietario” dei beni dell’impresa11. Ciò è tanto vero che la bancarotta comA. ALESSANDRI, Diritto penale e attività economiche, Bologna, 2010, p. 13, nel trattare la materia che ci interessa – dai confini incerti ed in continuo mutamento ed espansione – avverte che “la lettura storica costituisce un potente antidoto alle semplificazioni eccessive” ed “alle vulgatae del momento che generano concetti destinati a sbriciolarsi con velocità sempre maggiori”. 10 Si potrebbe dire in maniera “quiritaria”, ossia secondo gli schemi del diritto civile “classico” di origine, appunto romanistica e non quelli del “moderno” diritto commerciale. 11 In ciò consiste l’apparente contraddizione fra disciplina civile e penale con riferimento ai beni di proprietà dell’imprenditore. In questo senso G. DELITALA, Contributo alla determinazione della nozione giuridica del reato di bancarotta, in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, 1926, I, p. 704 e s., rilevava che l’atto che concreta il delitto di bancarotta “sembra costituire, a prima vista un atto di esercizio del diritto di proprietà del debitore” e pertanto tale atto, “lecito dal punto di vista civile, costituirebbe un illecito unicamente dal punto di vista del diritto penale”. In realtà il fatto (l’“atto”, se si vuole usare la terminologia civilistica) non è “lecito dal punto di vista civile”, esso è “solo” privo di sanzione civile e l’illiceità del fatto è “fornita” dalla norma penale che rende il fatto illecito sotto tutti i profili ordinamentali. L’illiceità penale, in altri termini, non segue necessariamente quella civile ma ha una sua dinamica autonoma. Ciò non significa che il diritto penale operi in totale autonomia rispetto agli altri settori dell’ordinamento ma solo che non sussiste un rapporto di gerarchia fra i vari settori che, comunque, si devono coordinare tra di loro. Si tratta di un coordinamento che si concretizza nella soluzione del problema, per es., se sussistano norme liceizzianti extrapenali che delimitino la tipicità penale, oppure che rappresentino cause di giustificazione, oppure ancora, invece, come nel caso che ci interessa, l’illiceità penale operi in un settore dove non intervengono sanzioni di altro genere. La risposta a tali interrogativi deve essere fornita caso per caso con riferimento al significato ed agli scopi del singolo istituto (o complesso di disposizioni normative) sottoposto all’interpretazione. Sia consentito rinviare sul punto al nostro, Lineamenti, cit., p. 56 ss; 121 ss. 9 SAGGI E STUDI 483 messa dall’imprenditore proprietario dei beni dedicati all’impresa è valutata allo stesso modo della bancarotta commessa dal soggetto che non è proprietario dei beni dell’impresa ma amministra beni di proprietà altrui, come avviene nelle società commerciali12. Non è il mero diritto di proprietà, infatti, che rileva, ma la dedizione dei beni agli scopi dell’impresa e, specularmente, sul piano dell’illiceità delle condotte di gestione, l’infedeltà da parte di colui che tali beni deve amministrare nei confronti di tale “vincolo di destinazione”. L’impresa, anche quella individuale, deve essere amministrata in conformità con quella che oggi viene chiamata la Business Judgment Rule13, ossia essa deve essere amministrata in obbedienza a criteri di prudenza o diligenza imprenditoriale ed i suoi beni non possono essere “distratti”, neanche per colpa, da questo scopo. Questo principio è talmente centrale che, a garanzia dello stesso, sono poste importanti fattispecie punitive che costituiscono il nucleo centrale e fondante non solo del diritto penale dell’economia ma del diritto commerciale tout court che, pertanto, appare avere un nucleo fondante non già civilistico ma penale14. La centralità delle norme in tema di bancarotta patrimoniale come garanzia del vincolo di destinazione dei beni d’impresa, una centralità che è durata molti secoli, inizia oramai ad essere erosa in ordinamenti vicini in virtù della sempre più usuale applicazione della fattispecie comune d’infedeltà patrimoniale alle condotte di mala gestio imprenditoriale commesse nell’ambito delle società commerciali. Anche nell’ordinamento italiano l’introduzione di una fattispecie di infedeltà – per ora dall’ambito applicativo molto limitato – nonché il senso di sempre maggiore insoddisfazione nei confronti delle tradizionali fattispecie di bancarotta15, potreb12 La situazione cambia in tema di infedeltà patrimoniale dove è punita la sola malversazione da parte del responsabile della gestione dell’impresa dei beni anche formalmente altrui, anche se identica, come si illustrerà in seguito, appare essere la ratio di fondo con riferimento alla bancarotta patrimoniale. La circostanza costituita dalla permanenza – anche negli ordinamenti che conoscono un’ipotesi di infedeltà più incisiva di quella attualmente prevista nell’ordinamento italiano – dell’ipotesi di bancarotta patrimoniale e, sopratutto, la circostanza che le imprese di maggiore rilevanza economico sociale sono gestite in forma societaria, fanno sì che non si avverta una “lacuna” nella tutela della corretta destinazione del patrimonio d’impresa. 13 Si veda, anche per riferimenti, il nostro, Lineamenti, p. 375 ss.; 402 ss. 14 Anche A. ALESSANDRI, op. cit., p. 13 ss., considera centrale il concetto di impresa nel diritto penale dell’economia, anche in una sua considerazione storica. N. MAZZACUVA, E. AMATI, Diritto penale dell’economia, III ed., Torino, 2016, p. XVII, utilizzano la nozione di Diritto penale dell’economia come sinonimo di Diritto penale dell’impresa. 15 V., per tutti, M. DONINI, Per uno statuto costituzionale dei reati fallimentari. Le vie di uscita da una condizione di perenne “specialità”, in JUS, 2011, p. 53 e s., che segnala il disagio avvertito in relazione al possibile elevato intervallo temporale fra la commissione della condotta antidoverosa di bancarotta da parte dell’imprenditore o comunque del soggetto preposta alla gestione dell’impresa e l’irrogazione della sanzione. Tale intervallo temporale è determinato dalla presenza, nelle previsioni in tema di bancarotta, della condizione obbiettiva di punibilità rappresentata dalla sentenza dichiarativa di fallimento. Nell’ipotesi d’infedeltà le condotte di malversazione a danno dell’impresa gestita in forma societaria sono immediatamente punibili non sussistendo il “filtro” della condizione obbiettiva di punibilità. L’ipotesi di infedeltà prevista nel codice penale tedesco (§ 266 StGB) è procedibile d’ufficio e la pena prevista è identica a quella della bancarotta (§ 283 StGB), mentre, invece, l’attuale 484 SAGGI E STUDI bero far presagire futuri e possibili scenari nei quali anche in Italia le bancarotte potrebbero non rivestire più il ruolo di fattispecie centrali del diritto penale dell’economia per essere in ciò sostituite da una nuova – o da nuove – fattispecie di infedeltà patrimoniale. Le norme centrali del diritto penale dell’economia sono, però, tuttora, attesa l’insufficienza della vigente fattispecie d’infedeltà, costituite, dalle disposizioni in tema di bancarotta patrimoniale in quanto esse garantiscono il sopra indicato vincolo di destinazione dei beni, e tale vincolo di destinazione costituisce forza e ragion d’essere dell’impresa che costituisce l’istituzione sulla quale si basa il sistema economico moderno. Accanto a tale nucleo di norme direttamente legate alla gestione patrimoniale o economica dell’impresa – si potrebbe dire con una sorta di cerchi concentrici – vanno ascritte nell’ambito del diritto penale dell’economia “originario” anche altre fattispecie pur sempre riguardanti l’impresa e le condizioni per il suo funzionamento ma non concernenti direttamente la sua gestione economica ma la “rendicontazione” della stessa. Le disposizioni in parola riguardano, infatti, la “tracciabilità” od “ostensibilità”16 della gestione dell’impresa. L’imprenditore deve lasciare traccia delle proprie operazioni economiche e, tramite questa traccia, egli è indotto a “tenere ordine” nella gestione dell’impresa in modo, da un lato, da avere una visione complessiva della stessa e, da un altro, da essere dissuaso da condotte di mala gestio poiché, altrimenti, costituirebbe una prova “contra se”. Tale obbligo di rendicontazione (di tenuta delle scritture) è sancito, ancora una volta in via primaria, da norme penali e, in particolare, dalle norme in tema di bancarotta documentale ed esso riguarda tutte le imprese, siano esse individuali o societarie. L’ulteriore cerchio concentrico che riguarda le norme del diritto penale dell’economia e che vede come fattispecie fondamentale la previsione delle false comunicazioni sociali17 ha come oggetto una modalità di gestione dell’impresa, quella societaria, che costituisce la forma tipica di gestione delle imprese di maggiori dimensioni ed inoltre quella che, poiché prevede, sin dalle sue forme più semplici, la “raccolta” e l’utilizzo dei beni da destinare all’impresa conferiti da soggetti che non partecipano alla gestione della stessa (ossia prevede una separazione fra detentori del capitale e gestori dello stesso) necessita di una serie di garanzie che talvolta non sono neanche immaginabili per l’impresa individuale, talaltra sono, per quest’ultima, ritenute eccessive18. fattispecie di infedeltà prevista nell’ordinamento italiano (art. 2634 c.c.) prevede non solo una pena significativamente inferiore a quella della bancarotta fraudolenta, ma è sottoposta al “filtro” della procedibilità a querela. Sul punto v. anche infra. 16 A. MANNA, Il bene giuridico protetto, in Tratto delle procedure concorsuali, a cura di L. Ghia, C. Piccininni e F. Severini, Vol. 6, I reati nelle procedure concorsuali, Torino, 2012, p. 58. 17 A. LANZI, False comunicazioni sociali, in Digesto discipline penalistiche, IX vol. aggiornamento, Torino, 2016, p. 401 ss. 18 Ci si è anche interrogati sul perché l’obbligo di rendere pubblici i bilanci sia in via generale SAGGI E STUDI 485 In materia di diritto penale societario la fattispecie senza dubbio fondamentale è costituita dalla previsione in tema di false comunicazioni sociali la quale garantisce l’effettività dell’obbligo di rendere periodicamente pubblica la gestione economica e patrimoniale dell’impresa commerciale. Come è stato autorevolmente rilevato, tale fattispecie costituisce la “pietra d’angolo del diritto penale societario”19, “uno dei fulcri del diritto penale dell’economia, relativo alla patologia delle condotte che riguardano i principali attori dello scenario economico e imprenditoriale”20. Più distanti dal nucleo centrale del diritto penale dell’economia il quale, come tale, attiene allo “statuto” penale dell’impresa e dell’imprenditore, si collocano le disposizioni penali in tema di mercati finanziari e, poi, con un collegamento con l’impresa questa volta solamente eventuale, una serie di disposizioni penali le quali, pur non essendo destinate esclusivamente all’attività d’impresa né a quella dell’imprenditore, sono frequentemente e nelle ipotesi di maggiore rilevanza applicate in tali ambiti21. In questo senso molte trattazioni di diritto penale dell’economia si occupano del diritto penale tributario, di quello urbanistico, dell’ambiente, del lavoro ed anche di quello relativo alla pubblica amministrazione. Una menzione a parte meritano i delitti inquadrati nel titolo VIII del libro II del codice penale (delitti contro l’economia pubblica l’industria ed il commercio)22 i quali, con l’ecimposto solo allorché l’impresa sia dichiarata fallita e la risposta che è stata fornita è stata che in tal modo si tutelerebbe l’impresa dalla concorrenza non costringendo la stessa a rendere immediatamente pubbliche le proprie operazioni economiche (in tal senso F. GALGANO, Trattato di diritto civile, Vol. I, II ed., Padova, 2010, p. 516). Se questa potrebbe essere stata la ragione di una disciplina che ha caratterizzato i primordi della disciplina relativa alla tenuta dei libri dell’impresa, essa non può, però, più giustificare l’attuale assetto della stessa visto che per le imprese gestite nella forma delle società commerciali l’obbligo di pubblicazione periodica dei bilanci è da tempo imposto dalla norme penali in tema di false comunicazioni sociali. Pertanto, l’esenzione dall’obbligo di ostensione periodica dei bilanci per le imprese individuali è da intendere più come una situazione che è giustificata dalle dimensioni solitamente più ridotte che caratterizzano tali imprese e dalla circostanza che esse non utilizzano capitali appartenenti a soggetti non direttamente coinvolti nell’attività di gestione. 19 C. PEDRAZZI, In memoria del falso in bilancio, in Riv. soc., 2001, p. 1371. 20 A. LANZI, False comunicazioni sociali, cit., p. 401. 21 Esistono anche altre proposte di individuare il diritto dell’economia come diritto collegato all’impresa (cfr., anche per riferimenti, P. WITTIG, Wirtschaftsstrafrecht, III ed., München, 2014, p. 7); tali posizioni, però, non mettono in risalto come la parte centrale del diritto penale dell’economia sia dedicata non tanto a sanzionare reati commessi “all’interno” dell’impresa (“occupational crime”) oppure “a vantaggio” della stessa (“corporate crime”; cfr sul punto B. SCHÜNEMANN, Strafrechtsdogmatische und kriminalpolitische Grundfragen der Unternehmenskriminalität, in wistra, 1982, p. 41 ss.), quanto, invece, a garantire che vengano poste in essere le condotte necessarie affinché l’impresa possa funzionare ed adempiere le proprie finalità. La considerazione che esistono reati che si collocano al di fuori dell’impresa (come la truffa agli istituti di credito o i reati tributari) e che, tuttavia, sarebbero da ascrivere al diritto penale dell’economia (così P. WITTIG, ibidem) non fa che dimostrare che i confini del diritto penale dell’economia, una volta che ci si allontani dalla tutela del funzionamento dell’impresa, diventano oltremodo incerti fino ad abbracciare ogni fatto di reato che coinvolga interessi di natura economico patrimoniale. 22 V. sul punto l’ampia ricostruzione di G. FORNASARI, Il concetto di economia pubblica nel diritto penale, Milano, 1994. 486 SAGGI E STUDI cezione dell’ipotesi prevista dall’art. 501 c.p., sono ispirati da una logica “dirigistica” e da una visione accentuatamente pubblicistica dell’economia ascrivibile ad un circoscritto e tutto sommato limitato periodo storico che aveva inteso operare “un rovesciamento del principio del liberalismo economico”23. 3. – Il diritto penale dell’economia riveste, com’è noto, un ruolo di sempre maggiore interesse, non solo quale oggetto di studi o d’insegnamento ma anche e sopratutto nella pratica giudiziaria. I tentativi di fornire a tale settore dei contorni e dei contenuti dotati di un certo grado di omogeneità, allorché, invece che muovere dal concetto di impresa considerata come istituzione sulla quale si fonda il moderno sistema dell’economia, fanno leva su un’idea di economia e di realtà “economica” legata, in maniera individuale, al mero possesso ed utilizzo di utilità valutabili in termini economici, non raggiungono lo scopo di rinvenire le caratteristiche comuni di tale “settore” dell’ordinamento penale e di distinguerlo dal settore che concerne i delitti contro il patrimonio. Anche il tentativo, del resto, di individuare il diritto penale dell’economia e gli illeciti penali in esso ricompresi come fatti offensivi di beni giuridici “collettivi” o “diffusi”24, pur essendo mosso dal condivisibile intento di tracciare una linea di confine tra quest’ultimo settore ed i delitti contro il patrimonio, finisce per non cogliere i tratti specifici del diritto penale economico, così come essi non vengono colti dall’assimilazione del diritto penale dell’economia con il diritto amministrativo dell’economia25 che riguarda, invece, l’intervento dello Stato in materia economica e, ancor meno, dal tentativo di identificare il settore del diritto penale economico partendo dalla tipologia di autore e che si ispira all’idea dei “crimini dei colletti bianchi”26. Ancora di recente si è tentato di concepire il diritto penale dell’economia in maniera strettamente legata alla considerazione dell’interesse individuale coinvolto G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, vol. I, V. ed., Bologna, 2012, p. 633, che rilevano, altresì, come si sia “preso atto della pratica disapplicazione e della (quasi) completa inefficacia di gran parte delle fattispecie del titolo VIII ed in particolare di quelle del capo I” (op. cit., p. 634). 24 Certamente il diritto penale dell’economia tutela beni collettivi o diffusi, così come però avviene anche per altri settori come il diritto penale dell’ambiente o quello della pubblica amministrazione. Cfr., per tutti, K. TIEDEMANN, Wirtschaftsstrafrecht. Einführung und Allegemeiner Teil, VI ed., München, 2014, p. 29 ss. che fa riferimento a beni giuridici sopraindividuali oppure sociali oppure ancora collettivi; sui beni giuridici “collettivi” R. HEFENDEHL, Kollektive Rechtsgüter im Strafrecht, München, 2002, passim. F. GIUNTA, op. cit., p. 57, ricorda che “i beni giuridici superindividuali sono una realtà con cui il diritto penale si deve confrontare e ai quali – all’occorrenza – deve apprestare tutela” e che proprio “il settore economico costituisce uno dei principali banchi di prova dei beni giuridici superindividuali”. 25 In tal senso K. TIEDEMANN, op. ult. cit., p. 31 che rappresenta il diritto penale dell’economia in senso pubblicistico e dirigistico-pianificatorio quale settore dell’ordinamento penale ispirato a principi analoghi a quelli che informano il diritto amministrativo dell’economia, ossia attinenti la “pianificazione statuale economica e sociale”. 26 Sul punto v. infra. 23 SAGGI E STUDI 487 di natura “economica”27, sia esso da considerare sul piano della tutela della vittima oppure dello scopo dell’agente o ancora dell’effetto della condotta28. Tale concezione del diritto penale dell’economia finisce per dilatare oltre misura i confini della materia fino a confonderla con quella relativa ai delitti contro il patrimonio29. Anche in quest’ultima categoria di delitti, infatti, sono coinvolti interessi ed utilità la cui rilevanza è in maniera prevalente di tipo economico, nel senso che si tratta di utilità materiali valutabili, in senso lato, con lo strumento di mercato costituito dal prezzo. La “vicinanza” fra reati economici e delitti contro il patrimonio è innegabile. Come è stato ricordato, in Germania, “ancora alcuni decenni orsono un’opinione ancora diffusa riteneva i reati del diritto penale dell’economia come puri e semplici reati contro il patrimonio che si caratterizzavano per difficoltà di carattere probatorio”30, ritenendosi anche che, al fine di fronteggiare tali difficoltà tecniche, fosse necessario che essi fossero affidati ad organi giudiziari specializzati. M. MANSDÖRFER, Zur Theorie des Wirtschaftsstrafrechts, Heidelberg, 2011, p. 20 ss; p. 38 ss. In questo senso viene ricordato (P. WITTIG, Wirtschaftsstrafrecht, cit., p. 8 s.) che esistono definizioni “criminologiche” che collegano questo settore del diritto penale al danno arrecato dai fatti illeciti e, in genere, alla posizione della vittima. Sul punto viene anche osservato (P. WITTIG, op. cit., p. 9) che la stessa dottrina criminologica che si concentra sulla posizione della vittima e sul danno alla stessa arrecato finisce per dovere concludere che il danno provocato da tali fatti illeciti è spesso un danno arrecato alla fiducia collettiva (nella specie la fiducia nel funzionamento delle istituzioni e dei meccanismi economici) e, quindi, un danno alla collettività, ed inoltre che tale concetto criminologico di danno alla collettività finisce per coincidere con quello collegato all’idea di bene giuridico “sopra individuale”. Sul punto è appena il caso di osservare che anche l’idea “criminologica” di lesione della fiducia collettiva non è idonea a fornire una definizione specifica della categoria in quanto ogni fatto di reato – specie quando superi una certa gravità – è idoneo, anche “empiricamente” e, quindi, sul piano “criminologico”, a intaccare la fiducia dei consociati in relazione alla specifica “istituzione” o situazione di contatto sociale sulla quale quale il fatto illecito incide. 29 M. MANSDÖRFER, op, cit., p. 139 ss.; 163 ss., considera il diritto penale dell’economia, in sintonia con le tradizionali teorie individualistiche della prevenzione-intimidazione che vengono qualificate dall’Autore nel senso dell’“individualismo analitico” (p. 442 s.), come istituzione che ha lo scopo di influenzare le motivazioni individuali dell’agire economico mediante la prospettazione all’agente (considerato come “homo oeconomicus” che calcola prima dell’agire costi e benefici) una perdita di utilità quale conseguenza dell’agire illecito. Alla posizione individualistica sul versante della “dinamica punitiva” si accompagna l’individualismo nell’individuazione degli interessi tutelati dal diritto penale economico che sarebbero innanzitutto proprietà e patrimonio. In questo senso l’Autore si allontana dall’opinione prevalente secondo la quale i beni tutelati dal diritto penale dell’economia sono beni sopraindividuali o collettivi. Fra quelli che sono classificati dal codice penale tedesco come delitti contro il patrimonio, però, significativamente, l’Autore considera – in questo in sintonia con un numero sempre crescente di opinioni – centrale il delitto d’infedeltà patrimoniale e, poiché in detta fattisoecie rileva la fondamentale importanza, nel diritto penale dell’economia dell’agire nel contesto dell’impresa, la stessa posizione individualistica che costituisce premessa dell’analisi sembra alla fine doversi avvicinare ad una considerazione del diritto penale dell’economia come un settore dell’ordinamento che deve essere in qualche modo tenuto distinto da quello del diritto penale “classico” a tutela del patrimonio. 30 K. TIEDEMANN, op. ult. cit., p. 27 s., cui si rinvia per i riferimenti. 27 28 488 SAGGI E STUDI Uno dei maggiori studiosi italiani del diritto penale dell’economia, interrogandosi alcuni decenni orsono sul requisito dell’“economicità” del reato economico, nell’ipotizzare due possibili criteri di identificazione dello stesso, uno di tipo “funzionale”, secondo il quale sarebbe economico il reato connesso all’esercizio di un’attività economica, ed uno di tipo “effettuale”, per il quale sarebbe economico il reato che lede interessi economici, concludeva, però, ne senso che, in virtù di tali criteri, il concetto di diritto penale dell’economia avrebbe finito per dilatarsi in maniera impropria31. In effetti, poiché anche il privato che vende o acquista un bene compie un’operazione, in senso lato, “economica” e, pertanto, l’illecito commesso in relazione alla decisione di vendere o di acquistare (il delitto di truffa) lede il corretto funzionamento di tale operazione, in senso lato economica, anche il criterio “funzionale”, in quanto prescinde dalla realtà istituzionale impresa e dalle sue esigenze, finisce per non riuscire a tracciare una linea di confine fra il diritto penale economico e quello contro il patrimonio. I reati contro il patrimonio, infatti, riguardano i rapporti di possesso e proprietari relativi a utilità economiche considerate individualmente, così come le operazioni di scambio delle stesse. I fondamentali e paradigmatici delitti di furto e di appropriazione indebita stabiliscono le garanzie fondamentali che devono assicurare possesso e godimento delle cose mobili e la fattispecie di truffa garantisce i requisiti minimi che concernono l’affidamento, ossia la veridicità della comunicazione, nelle operazioni di trasferimento di beni economici. Non è un caso che l’opinione in oggetto32, proprio perché la sua analisi muove da una visione dell’economia considerata come mero scambio e possesso di utilità, consideri appartenenti al diritto penale dell’economia anche i delitti contro il patrimonio. Esiste, però, una differenza fra i delitti contro il patrimonio rispetto a quelli appartenenti al diritto penale dell’economia33. 4. – Il sistema dell’economia non può essere identificato con il mero possesso e scambio di utilità valutabili economicamente, tale sistema, modernamente inteso, non consiste in mero possesso e scambio di ricchezza ma in produzione della stessa e la produzione di ricchezza è rappresenta nel moderno sistema economico dall’istituzione impresa. Essa è l’attore principale del sistema dell’economia ed è, come tale, portatrice di una funzione “sociale” che la rende un’“istituzione” che, pur rimanendo “privata”, non gode di quella libertà – e di quella “privatezza” – che, invece, è attribuita ai diritti ed alle posizioni giuridiche di natura “economica” meramente individuali. C. PEDRAZZI, Interessi economici e tutela penale, in AA.VV., Bene giuridico e riforma della parte speciale, Napoli, 1985, p. 293 ss. Di recente cfr. anche R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell’economia. Reati societari e reati in materia di mercati finanziari, II ed. aggiornata, Milano, 2012, p. 8 s. 32 M. MANSDÖRFER, op. cit., p. 139 ss.; 442 ss. 33 Come si è accennato, proprio nel tentativo di fare emergere questa differenza uno fra i fondatori e fra i più autorevoli studiosi della disciplina (K. TIEDEMANN, op. ult. cit., p. 29 ss.) ha utilizzato il concetto di bene giuridico collettivo per distinguere il diritto penale economico da quello del patrimonio. 31 SAGGI E STUDI 489 L’autonomia e la specificità del diritto penale dell’economia va cercata, sul piano sostanziale, nella specificità dell’istituzione impresa e nelle sue peculiari esigenze. Non esiste, invece, una peculiarità del diritto penale dell’economia sul piano della dinamica della sanzione e dei suoi scopi. Nell’ampio saggio sopra ricordato sulla teoria del diritto penale dell’economia34 viene operato uno stretto parallelismo fra fra la teoria preventivo utilitaristica della prevenzione generale ed una visione meramente interindividuale della realtà economica. Secondo tale impostazione, come l’attore economico valuterebbe razionalmente i costi economici, così tale soggetto, considerato come homo oeconomicus, dovrebbe valutare razionalmente i costi della pena. In tale ottica, pertanto, la specificità del diritto penale dell’economia rispetto al diritto penale “comune” dovrebbe arrivare ad investire anche le finalità e le funzioni della pena35. In realtà il diritto e, nella specie, il diritto penale, non ha una funzione diversa nel diritto penale dell’economia rispetto alla funzione che il diritto (ed il diritto penale) svolge in altri settori “non economici”36. Anche nel diritto penale dell’economia la pena (come ogni sanzione giuridica) ha la primaria funzione di garantire la costanza delle aspettative e non tanto quella di “governare” – attraverso un bilanciamento di utilità e la minaccia di un “male” o di una “perdita” – le condotte dei singoli. M. MANSDÖRFER, op. cit., p. 45 ss.; p. 61 ss. Sempre in relazione alle funzioni della pena in tema di diritto penale dell’economia, A. ALESSANDRI, op. cit., p. 14, si chiede se, muovendo da un’idea di rieducazione del reo che procede “da un’idea, più o meno esplicita, che al fondo del delinquere (…) vi sia una deprivazione personale, una lacuna da colmare, da rimediare o almeno da approfondire” – ossia una situazione sedi svantaggio sociale – tale idea non si trovi di fronte a rilevanti difficoltà di fronte alla criminalità economica”, allorché il condannato sia “persona assolutamente e compiutamente inserita nel contesto sociale e qui goda di reputazione”. Se però l’istanza – e l’obbligo costituzionale – di rieducazione viene concepito anche, con un “egoismo bene inteso”, quale obbligo di minimizzazione del danno sia individuale che sociale rappresentato da eventuale recidiva, esso non può considerarsi estraneo ed effettivo anche nei confronti dei condannati provenienti da situazioni “privilegiate”. 36 Come rilevato da A. LANZI, S. PUTINATI, Istituzioni di diritto penale dell’economia, II ed., Milano, 2012, p. 5, “le regole che (…) costituiscono” il diritto penale dell’economia “sono assolutamente identiche a quelle del diritto penale extra-economico” e non si può individuare nello stesso “un distinto sistema, parallelo ed autonomo, rispetto al sistema penale (complessivamente considerato)” (p. 4). In effetti non esiste alcun sistema autonomo di parte speciale in quanto ogni figura incriminatrice possiede una specifica oggettività giuridica che fa della stessa un “istituto” per molti versi autonomo. Come già ricordato, T. PADOVANI, L. STORTONI, op. cit., p. 101 s., avvertono che la parte speciale non consente di essere ricondotta a sistema e F. GIUNTA, op. cit., p. 41, rileva che “anche quando le singole fattispecie incriminatrice vengono aggregate dal legislatore in modo sistematico, tenendo conto cioè dei beni tutelati e delle modalità di aggressione, la parte speciale rimane pur sempre un catalogo di fatti vietati”. Tuttavia, anche se con cadenze e modalità diverse rispetto agli altri settori dell’ordinamento non caratterizzati, come invece è il caso del sistema penale, dalla frammentarietà, si possono raggruppare gruppi di fattispecie penali tra loro simili a ragione di una ratio di fondo comune o, in altri termini, di un oggetto di tutela di categoria. Come si possono identificare le categorie, per es., dei reati sessuali, o quella dei reati a tutela del patrimonio, si può anche identificare la categoria dei reati “economici” o appartenenti al diritto penale dell’economia. 34 35 490 SAGGI E STUDI L’economia, inoltre, come sub-sistema sociale, non esprime tanto e solo un rapporto interindividuale di scambio o di possesso di utilità, quanto piuttosto, appunto, un sistema sociale dotato di una propria logica e di una propria semantica. L’autonomia del sistema economico si è realizzata all’inizio dell’età moderna quando il sistema economico si è separato da quello politico e dagli altri sub sistemi sociali in concomitanza con la nascita dell’istituzione economica impresa37. In tal modo l’economia ha acquisito non solo un’autonomia semantica ma anche istituzionale. L’“economia” si caratterizza come sistema dedito alla produzione professionale di ricchezza e le istituzioni a ciò dedicate sono le imprese. È proprio la professionalizzazione e l’“istituzionalizzazione” della produzione di ricchezza che fa del sistema economico un sistema autonomo (anche sul piano semantico) rispetto agli altri sistemi sociali, un’autonomia che, in tale forma, non sussisteva prima dell’età moderna. 5. – Si è già accennato ad un ulteriore autorevole tentativo di rappresentare un’identità e dei confini alla materia del diritto penale economico e, al contempo, a differenziarlo dal tradizionale comparto dei delitti contro il patrimonio38 ed anche da impostazioni “ideologiche” legate alla tipologia di autore ed alla sua reale o presunta situazione di “privilegio”. Nella prima delle due prospettive indicate la particolarità dei reati economici e del diritto penale dell’economia vengono viste nella circostanza che essi tutelerebbero beni giuridici sopra individuali o, anche beni giuridici sociali o collettivi o interessi della collettività39. Osserva significativamente A. WEBER, Kulturgeschichte als Soziologiegeschichte, München, 1950, p. 302 che le città mercantili del nord Italia sono da considerare “i luoghi di nascita del capitalismo”, ossia del sistema economico come modernamente inteso. 38 Come si vedrà in seguito, sussistono degli innegabili punti di contatto fra il diritto penale dell’economia e quello a tutela del patrimonio. Entrambi i settori, infatti, coinvolgono in ogni caso utilità di natura “patrimoniale” o “economica” (C. LONGOBARDO, L’infedeltà patrimoniale, Napoli, 2013, p. 170 ss.). Sullo sfondo dei delitti “economici” vi è sempre almeno il pericolo di un danno patrimoniale e, così, come si vedrà anche nel testo, seguendo il criterio della “seriazione dei beni giuridici” (A. FIORELLA, Reato in generale, in Enc. Dir., vol. XVIII, 1987, p. 797), sullo sfondo Di un bene più diffuso o collettivo, si trova un bene individuale il quel, nel settore che ci interessa, è rappresentato da utilità economiche. Molti delitti appartenenti al diritto penale dell’economia presentano inoltre, un profilo di lesività immediata di natura “patrimoniale”. In questo senso sono da interpretare i delitti di bancarotta patrimoniale dove il “danno patrimoniale” cagionato all’impresa dalla condotta di bancarotta, sia essa dolosa (bancarotta fraudolenta) o colposa (bancarotta semplice), pur nella peculiarità con cui deve essere considerato il danno in relazione ad un patrimonio “investito” ed “in movimento” qual’è quello dell’impresa, è da considerare un requisito implicito del “tipo”. la lesività patrimoniale dei delitti di bancarotta era stata segnalata da C. PEDRAZZI, Riflessioni sulla lesività della Bancarotta, in Studi Delitala, Milano, 1984 II, p. 1111 ss., che pure non collocava tali delitti fra quelli a tutela del patrimonio. Soprattutto ad opera del legislatore del 2002 che ha riformato il delitto di false comunicazioni sociali ed ha introdotto la fattispecie di infedeltà patrimoniale, sembra che una “patrimonializzazione” almeno dei reati societari sia sta decisamente perseguita in sede legislativa. Come si vedrà in seguito, però, l’esistenza di un evento di danno patrimoniale (così come quella di un vantaggio patrimoniale) nella fattispecie non è di per sé idonea trasformare la stessa in un delitto a tutela del patrimonio. 39 Cfr. K. TIEDEMANN, op. ult. cit., p. 29 ss. ed ivi ulteriore letteratura tra cui cfr. già K. LINDE37 SAGGI E STUDI 491 Nonostante tale visione renda ragione della circostanza che i reati economici sono diversi da quelli contro il patrimonio, i quali sono sempre caratterizzati da un danno economico individuale ed esauriscono in quella prospettiva l’oggetto della tutela, mentre molti reati del diritto penale dell’economia si caratterizzano come reati di pericolo (come, per es., il falso in bilancio; anche nella bancarotta, peraltro, gli interessi concerti dei creditori sono solo messi in pericolo ma non danneggiati), e senza in questa sede soffermarci sui limiti dogmatici della nozione stessa di bene giuridico, la nozione di bene giuridico collettivo o sopraindividuale – adattandosi a categorie di reati dalla natura del tutto diversa, si pensi, per fare un esempio, ai delitti contro la pubblica amministrazione – è ancora troppo generica se essa non viene concretizzata nell’interesse (che può anche essere considerato “sopra individuale” o “collettivo”) alla gestione economicamente corretta dell’impresa40. In parte collegata all’idea della tutela dei beni giuridici “superindividuali” è quella che vede il diritto penale dell’economia considerato come settore del diritto penale che tutelerebbe l’attività di pianificazione dello Stato nell’economia e nella società41. Tale idea, la cui derivazione dal diritto pubblico dell’economia (considerato come un settore del diritto amministrativo) emerge con evidenza, non coglie però la natura originaria del diritto penale dell’economia la quale investe non già un’attività di “pianificazione” dello Stato quanto piuttosto un settore che dev’essere considerato propriamente “privato” (anche se con delle caratteristiche MANN, Gibt es ein eigenes Wirtschaftsstrafrecht?, Jena, 1932. Sui beni giuridici “sopra individuali” o “sociali” cfr. R. HEFENDEHL, op. cit., passim. Secondo F. GIUNTA, op. cit., p. 47, come si è visto, “il settore economico costituisce uno dei principali banchi di prova dei beni giuridici superindividuali”. 40 Nell’impresa l’interesse personale dell’imprenditore (o degli amministratori nonché dei soci, nell’impresa gestita in forma societaria) al conseguimento di profitto “privato” deve necessariamente coniugarsi con il profitto “oggettivo” che deve consegue l’impresa “in sé”. Questo profitto oggettivo – la salute economica dell’impresa che si consegue attraverso la sua corretta amministrazione – è il bene centrale che viene tutelato dal diritto penale dell’economia. Il bene legato al corretto funzionamento dell’impresa si può anche considerare supeindividuale anche se esso, però, non è propriamente pubblico ma rimane, in una certa misura, “privato” anche se ritratta di una “privatezza” diversa da quella che attiene le libertà pertinenti all’individuo uti singulo. L’impresa rimane un ente privatistico in quanto legato alla iniziativa privata ed in quanto la sua “forza propulsiva” rimane legata al desiderio del singolo di arricchirsi “privatamente”: l’iniziativa privata si coniuga attraverso l’organismo impresa – con una sorta di egoismo bene inteso – nella produzione di ricchezza collettiva nel senso che tale ricchezza non è pubblica (come sono pubblici beni pubblici) ma si riverbera attraverso la creazione di benessere (ossia di una ricchezza che eccede il profitto privato dell’imprenditore) su tutta la collettività. In questo senso, in quanto conforme al bene pubblico, la Costituzione riconosce e tutela, al primo comma dell’art. 41, la “libertà” dell’iniziativa economica privata e ne stabilisce ai commi successivi, appunto a fini sociali, i suoi limiti e, inoltre, riconoscendo ancora la funzione sociale dell’impresa, la Costituzione favorisce la partecipazione dei risparmiatori al capitale di rischio delle imprese costituite come società per azioni (art. 47, ultimo comma, Cost.). 41 In tal senso H. ACHENBACH, Wirtschaftskriminalität und Wirtschaftsstrafrecht – Gedanken zu einer terminologische Bereinigung, in FS Schwind, 2006, p. 186; in parte anche K. TIEDEMANN, op. cit., p. 31 s. Sul punto v. anche supra. 492 SAGGI E STUDI di “privatezza” sui generis42) com’è quello che riguarda la vita e la ragion d’essere dell’“istituzione” impresa. Da ricordare brevemente è anche l’approccio da taluni denominato “criminologico”43 alla “materia”, un approccio che si ricollega agli studi della prima metà del secolo scorso di E. H. Sutherland44 sui “delitti dei colletti bianchi”. Secondo questa impostazione il diritto penale dell’economia sarebbe destinato a punire soggetti apparenti ai ceti sociali elevati (“colletti bianchi”) sopratutto in relazione ai fatti criminosi commessi nell’esercizio delle loro funzioni e professioni (occupational crime) e ciò nell’intento, spesso dichiarato, di operare una sorta di nemesi nei confronti delle loro reali o pretese situazioni di “privilegio”. Si tratta di un’impostazione la quale, collocando il baricentro del disvalore dell’illecito sull’autore piuttosto che sul fatto, collide, com’è stato osservato45 coi principi costituzionali vigenti del diritto penale del fatto (art. 25 Cost.)46. L’idea che il diritto penale dell’economia si caratterizzi come diritto contro il privilegio ed i privilegiati si coniuga con quella che il diritto civile commerciale esprima gli interessi e i “privilegi” della “classe” mercantile o, in termini più attuali, imprenditoriale47. Se tali interpretazioni possono forse assecondare momentanei 42 V. nota (40). Per tutti, K. TIEDEMANN, op. cit., p. 28 ss.; P. WITTIG, Wirtschaftsstrafrecht, III ed., p. 5 ss. 44 E. H. SUTHERLAND, White Collar Crime, New York, 1949. Ampiamente, sul pensiero di Sutherland, A. ALESSANDRI, Diritto penale e attività economiche, Bologna, 2010, p. 58 ss. 45 K. TIEDEMANN, op. cit., p. 29. 46 V. anche art. 103 GG. La pena sanziona una condotta individuata e circoscritta. La condotta sanzionata può naturalmente anche protrarsi nel tempo o consistere in una serie di condotte che, in ogni caso, devono essere circoscritte e devono essere, in tal modo, contestabili processualmente. La pena non può sanzionare un modo di essere (anche se esso si concretizzi in atteggiamenti esteriori) della persona ma solo un fatto commesso dalla persona. In questo senso la pena, anche se “lede” la persona si rivolge nei confronti del fatto e non nei confronti dell’individuo che lo ha commesso nella sua interezza. L’dea della pena che coinvolge l’individuo nella sua interezza, qualificandolo negativamente, appartiene e deve appartenere al passato. Una tale concezione, oltre a contrastare con il senso di umanità, contrasta con il principio di rieducazione che rappresenta un principio di recupero, anche morale, della persona. In tema di diritto penale del fatto si parla di “principio di materialità” (A. CADOPPI, P. VENEZIANI, Diritto penale, VI ed., Padova, 2015, p. 100 ss.; D. PULITANÒ, Diritto penale, VI ed., Torino, 2015, p. 173) che, in una concezione essenziale, può essere concepito come garanzia che “la condotta criminosa non può che consistere in comportamenti umani esteriori (F. PALAZZO, Corso di diritto penale. Parte generale, VI ed., Torino, 2016, p. 216). In questo senso per così dire minimo il principio del diritto penale del fatto “nulla ancora dice su come il fatto debba essere, per interessare il diritto penale (PULITANÒ, ibidem). In una visione allargata, però, il diritto penale del fatto può essere inteso nel senso che il fatto deve rappresentare compiutamente, senza ciò dovere accedere agli interna psicologici dell’agente, un disvalore potenzialmente (in caso di punibilità a solo titolo di dolo) compiuto. Tale principio è da ritenersi costituzionalizzato dall’art. 25, secondo comma, Cost. In questo senso fattispecie come quella di abuso delle informazioni privilegiate, dove la differenza fra una condotta illecita ed una socialmente adeguata o comunque si cogli solo mediante la considerazione di profili psicologici, tale principio non sembra rispettato. 47 Cfr., per tutti, F. GALGANO, Lex Mercatoria, Bologna, 1993, passim. 43 SAGGI E STUDI 493 bisogni di transizione48 e di riequilibrio49, esse non possono rappresentare le esigenze di fondo che un ramo dell’ordinamento come il diritto penale dell’economia è chiamato a tutelare nel lungo termine. Tali esigenze non sono di classe, né di rivalsa e di riequilibrio di privilegi, ma esprimono bisogni di regolamentazione di istituzioni sociali dotate, come tali, di continuità. Il fatto che alcuni delitti che vengono fatti rientrare nel diritto penale dell’economia costituiscano c.d. reati “propri” non modifica la circostanza che anche il diritto penale dell’economia rappresenti, non meno di tutti gli altri ambiti del diritto penale, un diritto penale del fatto e non dell’autore50. Il reato proprio, infatti, esprime un ambito di competenza del soggetto (o un ambito di doveri) nel quale la posizione di garanzia o di competenza dello stesso emerge, a differenza dei reati comuni, già nella dizione legislativa. Ciò non significa, però, che l’ambito della garanzia, in tutte le fattispecie, anche, pertanto, in quelle “comuni”, non debba essere circoscritto e delimitato dal contesto sociale nel quale il soggetto si trova ad operare e non sia mai, pertanto, “assoluto” o, appunto, “comune”51. 6. – Si è detto del ruolo centrale svolto dalle previsioni in tema di bancarotta patrimoniale nel diritto penale dell’economia inteso come diritto dell’impresa al fine di garantire la destinazione produttiva del patrimonio dell’impresa sotto forma di divieto di distrazione dello stesso. Le altre disposizioni che garantiscono che l’impresa non diventi da ente produttivo di ricchezza un entità che, invece, distrugga ricchezza sono quelle, di natura impeditiva, che concernono la cessazione d’autorità dell’attività d’impresa, ossia le disposizioni in tema di dichiarazione di fallimento52. 48 Sulle peculiari caratteristiche del diritto penale di transizione e sulla sua tendenza ad allentare “in modo considerevole vincoli liberalgarantistici che sono patrimonio comune della civiltà giuridica contemporanea”, G. FORNASARI, Giustizia di transizione e diritto penale, Torino, 2013, p. 2 e passim. 49 B. SCHÜNEMANN, Wider verbreitete Irrlehren zum Untreuetatbestand, in ZIS, 2012, p. 193 ss. che vede nel diritto penale dell’economia e, in particolare, nella centrale fattispecie dell’infedeltà patrimoniale, lo strumento per il mezzo del quale la giustizia penale ha scoperto la possibilità di “di realizzare il principio di eguaglianza anche contro i ceti superiori”. V. anche Id, Von Unteschicht zum Oberschichtsstrafrecht. Ein Paradigmawechsel im moralischen Anspruch, in Kühne, Miyazawa, a cura di, Alte Strafrechtsstrukturen in Japan und Deutschland, Berlin, 2000, p. 17. 50 In senso in parte diverso v. K. TIEDEMANN, op. cit., p. 29 ss. 51 Per definire la tipicità, anche nei reati comuni, è necessario individuare l’ambito dei doveri del soggetto in relazione alla sua posizione nel contesto sociale ossia al suo ruolo ed anche nei reati propri non è la qualifica posseduta da soggetto a fornire contenuto concreto ai doveri la cui violazione è sanzionata penalmente ma è l’ambito di garanzia imposto dal suo ruolo; in altri termini la “qualifica” formale dev’essere calata in un contesto “funzionale”. Com’è sabato precisato, “le qualità personali elevate ad elemento essenziale del soggetto attivo assolvono la stessa funzione di tutti gli altri elementi essenziali della fattispecie, e cioè quella di contribuire alla individuazione dello specifico contenuto di disvalore del reato” (F. PALAZZO, op. cit., p. 232 s.). Sia consentito, sul punto, il rinvio esemplificativo al nostro Esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in I delitti contro l’amministrazione della Giustizia, a cura di F. Coppi, Torino, 1996, p. 635 ss. 52 Sul punto sia consentito rinviare, anche per ulteriori riferimenti, al nostro, Lineamenti, cit., p. 121 ss. 494 SAGGI E STUDI Le fattispecie in tema di bancarotta, però, iniziano ad essere sempre meno accettate dalla contemporanea coscienza giuridica e ciò sopratutto per la distanza temporale anche notevole che può intercorrere fra la condotta punibile commessa a danno dell’impresa e la sua punizione. Tale situazione, com’è noto, è determinata dalla presenza nella fattispecie della condizione obbiettiva di punibilità rappresenta dalla sentenza dichiarativa di fallimento. La necessità, peraltro, di garantire efficacemente la corretta destinazione del patrimonio dell’impresa ed il correlato bisogno di sanzionare le distrazioni dai fini propri dell’impresa di tale patrimonio costituisce tuttora – in un’epoca storica in cui il benessere economico è ancora affidato alla “produttività” delle imprese – un bisogno economico di primaria importanza. Per potere individuare quale potrà essere la fattispecie penale che potrà assumere il ruolo centrale svolto per secoli dalle ipotesi di bancarotta patrimoniale quale fattispecie cardine del diritto penale dell’economia nei termini sopra esposti, non è forse inutile volgere lo sguardo nella direzione dell’ordinamento tedesco dove un delitto come l’infedeltà patrimoniale, che era stato concepito ed a lungo considerato come un delitto contro il patrimonio, ha visto cambiare la sua natura per diventare oramai l’ipotesi centrale del diritto penale dell’economia. La vicenda dell’infedeltà nell’ordinamento tedesco presenta la singolare caratteristica di una fattispecie incriminatrice la quale, rimasta unitaria sotto il profilo del dato letterale, si è andata diversificando, nel “diritto vivente”, in almeno due fattispecie53, la prima che rimane nell’alveo dei delitti contro il patrimonio e che riguarda rapporti intersoggettivi e privatistici di gestione del patrimonio altrui ed un’altra che è invece concepita come un’infedeltà degli organi delle società commerciali54 che, invece, è sempre più considerata come la fattispecie chiave del diritto penale dell’economia in quanto essa rappresenta la garanzia che la gestione patrimoniale delle società commerciali si orienti verso le finalità proprie dell’impresa. Il “pregiudizio patrimoniale”55 che nella fattispecie tedesca ed in quella italiana – sotto forma di “danno patrimoniale” – caratterizzano l’evento della figura 53 La diversificazione è ancora più complessa in quanto la fattispecie è utilizzata anche nell’ambito delle malversazioni del patrimonio pubblico commesse dai pubblici ufficiali e viene chiamata Haushaltsuntreue o Amtsuntreue. Sul punto, anche per ulteriori riferimenti, F. F. STEINERT, Die Haushaltsuntreue nach der Schäch-Entscheidung des BVerfG, in HRRS, 2014, p. 58 ss. La diversificazione di diverse fattispecie all’interno di una previsione che rimane identica ed unitaria costituisce un esempio di diritto “vivente” di derivazione giurisprudenziale. Sulla crescente tendenza della giurisprudenza a porsi come fonte del diritto e sui sui possibili rimedi cfr. A. CADOPPI, Giurisprudenza, in Dig. Disc. Penalistiche, IX aggiorn., Torino, 2016, p. 406 ss. Sulle intonazioni giusnaturalistiche e sul commiato dalla grammatica epistemologica giuspositivistica che emerge dal nuovo diritto penale giurisprudenziale cfr. V. MAIELLO, Le due legalità: quale coesistenza nel diritto penale?, in Criminalia, 2013, p. 223 ss. 54 Detta Organuntreue, Konzernuntreue o gesellschaftliche Untreue (cfr., per tutti, K. TIEDEMANN, Wirtschftsstrafrecht. Besonderer Teil, cit., p. 7 ss., 390 ss. che significativamente tratta separatamente le difese infedeltà come si trattasse di previsioni differenti. 55 Dottrina e giurisprudenza in Germania sono concordi nel considerare, nella specie, il concetto di pregiudizio equivalente a quello di danno, cfr. F. SALIGER, § 266 Untreue, in Satzger, Schluckebier, Widmaier (a cura di), StGB Kommentar zum Strafgesetzbuch, Köln, 2017, p. 1869. SAGGI E STUDI 495 criminosa in oggetto, in ambito societario viene considerato all’interno della realtà dinamica che caratterizza l’impresa e, mediante l’utilizzo del concetto di “danno prognostico” o di “danno consistente nel pericolo”56 come pregiudizio arrecato alla funzionalità della stessa. Certamente la fattispecie di infedeltà non può essere trasformata, tramite l’utilizzo del concetto di “danno prognostico” da reato di danno a reato di pericolo, l’operazione infedele che sia rimasta nello stadio del tentativo o che non abbia avuto alcun apprezzabile effetto sulla vita dell’impresa non può ritenersi costitutiva, per mancanza dell’evento di danno, della fattispecie d’infedeltà. Il danno o lo svantaggio, peraltro, nella realtà dinamica che caratterizza l’impresa come patrimonio investito, possono caratterizzarsi anche come lucro cessante o, più di frequente, come diminuzione del valore complessivo dell’impresa cagionato dall’operazione manageriale pregiudizievole. Un acquisto di beni aziendali poco o nulla funzionali all’attività d’impresa effettuato, sia pure al giusto prezzo, per favorire un terzo soggetto, rappresenta un cattivo impiego di risorse e cagiona, come tale, un danno all’impresa. Nell’ordinamento italiano la fattispecie d’infedeltà patrimoniale ha fatto ingresso nella sua forma “speciale” come infedeltà nell’ambito societario e non in quello comune patrimoniale. Anche la fattispecie italiana si caratterizza per la presenza dell’evento di danno patrimoniale il quale, anche in questa ipotesi, a nostro avviso, deve essere interpretato tenendo conto che il patrimonio d’impresa è un patrimonio investito o utilizzato per produrre profitto e non è, quindi, un patrimonio statico ma dinamico57. Cfr., di recente, K. ENSENBACH, Der Prognoseschaden bei der Untreue. Vom »Gefährdungsschaden« zur wirtschaftlichen Prognose anhand der Sicherheitslösung, Tübingen, 2016, passim. 57 L’interesse tutelato dalla fattispecie d’infedeltà societaria, in quanto collegato alla gestione patrimoniale d’impresa, è diverso da quello protetto da un “classico” delitto contro il patrimonio. Di recente, N. LIONETTI, Analisi critica del delitto di infedeltà patrimoniale, in Diritto penale dell’economia, diretto da A. Cadoppi, S. Canestrari, A. Manna, M. Papa, Tomo I, Torino, 2016, p. 250, segnala, alla luce delle incongruenze che caratterizzano la previsione de qua e, in particolare, la procedibilità a querela, “il rischio di una concreta paralisi nell’applicazione della fattispecie” soggiungendo che, sia per l’infedeltà che per la corruzione in ambito privato, “la soluzione migliore sarebbe stata (…) la perseguibilità d’ufficio, dato che in entrambe le fattispecie criminose (…) il bene giuridico è sicuramente di carattere collettivo”, un bene protetto, come tale, avente una “caratteristica metaindividuale” (p. 251). Naturalmente, sullo sfondo della tutela appresta dai reati economici sussiste la tutela di interessi – anch’essi economico patrimoniali – individuali in questo in maniera analoga a quanto avviene per i classici delitti contro il patrimonio dove tali interessi vengono, però, lesi dal fatto illecito in maniera immediata ed esclusiva. Per tale motivo tutta la materia può essere inquadrata nella più ampia categoria del diritto penale a tutela del patrimonio inteso in senso ampio. Cfr., in questo senso, C. LONGOBARDO, L’infedeltà patrimoniale, cit., p. 49 s.; 171, che sottolinea come “a subire offese nel campo dell’economia è pur sempre il patrimonio inteso come la potenzialità economica del soggetto di diritti che si fonda sul potere di signoria sulle cose alle quali la società riconosce valore di scambio. Il danno patrimoniale, conseguentemente, coincide con ogni limitazione della potenzialità economica del soggetto”. In tema di infedeltà patrimoniale societaria, inoltre, “il riferimento all’evento dannoso (cagionando in danno patrimoniale) – in un’ottica di tutela del patrimonio che prescinde da elementi di valutazione eccessivamente anticipati rispetto all’offesa o fondati sulla Gesinnung” sembra in linea con i postulati di un diritto penale del fatto”. 56 496 SAGGI E STUDI 7. – La circostanza che l’infedeltà attenga i profili dell’amministrazione di un patrimonio e non quelli relativi alla mera detenzione costituisce il criterio di distinzione, a nostro avviso, fra quest’ultima fattispecie e quella, apparentemente assai simile, di appropriazione indebita. Non è il conflitto di interessi che distingue le due ipotesi ma la diversa posizione del soggetto agente e la diversa natura delle “utilità economiche” sulle quali lo stesso esercita la sua condotta abusiva. Nel caso dell’appropriazione indebita si versa nell’ipotesi di mera detenzione di una realtà patrimoniale statica – ossia “denaro” o “cosa mobile” – la quale viene “lesa” dalla condotta di appropriazione del reo che causa in questo modo un vero e proprio danno emergente nei confronti del titolare del diritto reale sulla res oggetto di appropriazione. Nell’ipotesi di infedeltà, invece, il soggetto agente ha un dovere non già di detenzione ma di amministrazione del patrimonio “investito” pertinente all’impresa e la condotta dell’amministratore infedele non è una condotta di appropriazione ma di distrazione. In altri termini, nell’appropriazione indebita il soggetto agente detiene la cosa per preservarla tale e quale in vista della restituzione al proprietario o al legittimo possessore, nell’infedeltà patrimoniale, invece, il soggetto agente amministra il patrimonio dell’impresa ed ha il dovere di gestirlo o impiegarlo nell’interno economico dell’impresa stessa, ossia secondo la Business Judgment Rule. Il conflitto di interessi non costituisce un “elemento” autonomo e “preesistente” del delitto di infedeltà ma rappresenta piuttosto il significato della condotta illecita poiché con quest’ultima in luogo di servire gli interessi dell’impresa serve gli interessi del soggetto agente al quale la gestione dell’impresa era stata affidata.58. In altri termini, al soggetto chiamato a soddisfare interessi altrui non è vietato avere anche interessi propri, egli ha però l’obbligo di tenere questi ultimi separati da quelli dell’impresa e, quindi, in qualità di amministratore di quest’ultima, di orientare il proprio agire alla esclusiva soddisfazione degli interessi dell’ente. A ben vedere, anche nel delitto di appropriazione indebita il soggetto agente si trova in una situazione di conflitto di interessi con il proprietario o con il possessore della res detenuta; da un lato, infatti, sussiste l’interesse del detentore ad appropriarsi della cosa altrui e da un altro l’interesse del proprietario all’intangibilità della stessa ed alla sua restituzione. Il conflitto di interessi si concretizza o diventa “attuale”59 nel momento in cui l’interesse tutelato viene sacrificato a vantaggio di 58 Il conflitto di intessi si concretizza nella soddisfazione dell’interesse proprio in contrasto con quello dell’impresa. Il “conflitto di interessi”, pertanto, è presente anche nella condotta appropriativa di cui all’art. 646 c.p. dove il colpevole soddisfa un interessi proprio all’appropriazione della res a lui affidata in contrasto con i suoi obblighi di detenzione della stessa. Per tale motivo il conflitto di interessi non può essere considerato l’elemento di discrimine fra le due ipotesi che non sono in rapporto di specialità l’una con l’altra ma rappresentano fatti diversi e fra loro non compatibili. La giurisprudenza, com’è noto, considera le due fattispecie in rapporto di “specialità reciproca”. Cfr. le sentenze citate nella nota successiva. 59 La giurisprudenza si esprime, per la sola infedeltà patrimoniale, in termini di attualità del SAGGI E STUDI 497 quello non tutelato. Lo stesso meccanismo di “conflitto di interessi” si verifica nell’ipotesi di infedeltà patrimoniale. Anche in tema di amministrazione dei beni dell’impresa sussiste il potenziale conflitto fra gli interessi della stessa ad una amministrazione economicamente efficiente e quello dell’amministratore a soddisfare i propri interessi “privati”. Tale conflitto si “concretizza” o diventa “attuale” allorché l’intesse dell’impresa viene sacrificato a vantaggio di quello “privato” del suo “amministratore”. Ciò che differenzia le due fattispecie non è tanto la presenza o meno del conflitto di interessi quanto piuttosto la diversa posizione del soggetto agente nei confronti dell’“oggetto materiale” della condotta ed il correlato diverso “regime” che caratterizza tale oggetto materiale. Mentre nell’appropriazione indebita dev’essere assicurata – in qualche modo in maniera analoga rispetto al furto – l’“intangibilità” di una res60, la quale non deve essere gestita né tantomeno utilizzata ma solamente detenuta, nell’infedeltà, al contrario, le utilità materiali affidate all’agente devono essere amministrate (e, quindi, utilizzate) affinché producano profitto nell’interesse dell’entità superindividuale rappresenta dall’impresa e, nella specie, dall’impresa gestita in forma societaria. 8. – Proprio in virtù del collegamento della condotta d’infedeltà con la gestione d’impresa la legge fa riferimento al danno cagionato alla società e non ai soci. La condotta, infatti, dev’essere lesiva dell’interesse sopraindividuale della società ed il socio, quale titolare di una quota del patrimonio sociale e, secondo la giurisprudenza oramai consolidata, del diritto di querela61 rileva solo come una sorta di danconflitto di interessi ed afferma, come ricordato nel testo, che la “preesistenza” del conflitto di interessi ricorra nel solo delitto di infedeltà e non in quello di appropriazione indebita. Cfr., per tutte, Cass. pen., Sez. V, 04/02/2016, n. 29172, P.M.F., in Quotidiano giuridico, 2016, e Cass. pen., Sez. II, 25/10/2011, n. 4244, L.A., in Utet Pluris. Secondo Cass. pen., Sez. II Sent., 03/06/2009, n. 26281, L.S.G. in Utet Pluris, “a differenza dell’art. 646 c.p., l’art. 2634 c.c. l’atto di disposizione è astrattamente legittimo, seppur in concreto dannoso per la società, raggiungendo un livello di vera e propria illiceità penale solo ove sul piano materiale risulti qualificato da un autonomo e preesistente conflitto di interessi”. In realtà, l’atto “di disposizione” del beni sociali nel delitto di infedeltà (così come l’atto di appropriazione della res nel delitto di appropriazione indebita) è illegittimo in quanto posto in essere contro l’intesse della società amministrata ed a favore dell’interesse del soggetto agente. Il conflitto di interessi, pertanto, si esprime nell’atto stesso e nel suo significato il quale va considerato, naturalmente, unitamente alle conseguenze nei confronti della società le quali devono essere conseguenza dannose. 60 Furto ed appropriazione indebita sono destinati a garantire l’intangibilità del possesso delle cose mobili, un possesso che, proprio per via della “mobilità” della res, è (in confronto con il possesso degli immobili) particolarmente “fragile” e, per tale motivo, necessita dell’elevato grado di garanzia fornito dalla sanzione penale. 61 Com’è noto la giurisprudenza, dopo le prime decisioni che assegnavano il diritto di querela alla sola società, attualmente afferma che, oltre alla società, ogni socio è titolare del diritto di querela in relazione alla fattispecie in oggetto. Si tratta di una soluzione dettata da considerazioni pratiche relative allo stallo che si potrebbe verificare in caso di amministratore unico oppure di un consiglio di amministrazione che abbia commesso l’infedeltà in concorso ed alla necessità di ricorrere in questo caso all’assemblea dei soci la quale, decidendo a maggioranza, potrebbe rispondere agli interessi di 498 SAGGI E STUDI neggiato indiretto in quanto detentore dell’interesse alla corretta amministrazione del patrimonio sociale. Ciò è tanto vero che, a nostro avviso, l’infedeltà sussiste anche se la condotta di mala gestio pregiudizievole alla società (per es. una vendita sottocosto di beni sociali al fine di favorire un terzo) fosse effettuata dall’amministrazione con il consenso di tutti i soci. Qui si rivela la contraddittorietà di fondo che contraddistingue la previsione della procedibilità a querela in relazione ad una fattispecie che non è posta a tutela di un interesse individuale circoscritto e, in qualche misura, disponibile, ma, invece a tutela di interessi sopraindividuali e non disponibili. Si tratta di un vizio di fondo che contraddistingueva anche altri interventi del legislatore del 2002 in sede di riforma dei reati societari allorché il delitto di false comunicazioni sociali – nell’evidente intento di restringerne l’area applicativa – veniva costruito almeno in parte sulla falsariga di un delitto contro il patrimonio, inclusa la procedibilità a querela. Tale situazione è stata, com’è noto, corretta dalla riforma del 2015 solo in relazione, però, al falso in bilancio. Come l’inserimento di requisiti privatistico-patrimoniali nel 2002 non era però stato in grado di modificare l’oggettività giuridica di fondo delle false comunicazioni sociali che, anche allora, rimandavano un delitto predisposto a tutela della trasparenza o informazione societaria62, così gli elementi di similitudine con i classici reati contro il patrimonio presenti nella fattispecie prevista dall’art. 2634 c.c. non sono tali da conferire alla stessa una oggettività giuridica patrimoniale classica63. eventuali soci di maggioranza collusi con l’amministratore o gli amministratori infedeli (su tali problematiche, cfr. anche per ulteriori riferimenti, N. MADIA, I reati di “infedeltà” societaria, in Diritto penale dell’economia, a cura di R. Rampioni, cit., p. 132 ss. La soluzione di assegnare il diritto di querela anche al singolo socio, per quanto dettata da ragioni di buon senso, appare però in contrasto fra la – peraltro corretta – espressione legislativa che individua nel “soggetto” danneggiato la società e non il socio proprio perché non è detto che l’intesse della società coincida con quello di uno e neanche di tutti i soci. Tali problematiche non fanno che mettere ulteriormente in luce la contraddittorietà della vigente fattispecie di infedeltà che prevede una procedibilità a querela – istituto che si attaglia ad ipotesi di compromissione di interessi circoscrivibili a persone determinate e in via di principio disponibili – per un delitto che, invece, non è in via primaria predisposto per tutelare interessi economici meramente individuali e strettamente “privatistici”. 62 Si vedano, pur con differenti accenti, F. GIUNTA, Quale futuro per le false comunicazioni sociali?, in Dir. pen. proc., 2001, p. 993; L. FOFFANI, Verso un nuovo diritto penale societario: i punti critici della legge delega, in Cass. pen., 2001, p. 3248; E. MEZZETTI, Diritto penale dell’impresa, IV ed., Bologna, 2016, p. 134 che considera la previsione contravvenzionale scaturita dalla riforma del 2001 come plurioffensiva (patrimonio ed informazione societaria) mentre quella delittuosa come prevalentemente dotata di offensività patrimoniale (p. 151). Per la plurioffensività, invece, F. GIUNTA, op. cit., p. 190 s. SEMINARA, False comunicazioni sociali, falso in prospetto e nella revisione contabile e ostacolo alle funzioni di vigilanza, in Dir. pen. proc., 2002, 680. La giurisprudenza rimarcava, specie con riferimento all’ipotesi contravvenzionale, come l’interesse protetto consistente nella veridicità delle comunicazioni sociali non fosse mutato rispetto alla formulazione precedente (cfr. Cass. pen., Sez. V, 21-05-2002, n. 23449, rv. 221921). 63 Anche la condotta di bancarotta patrimoniale, pur in assenza di una espressa previsione di danno o pregiudizio nei confronti dell’impresa (sia nelle sue forme distrattive che quelle emulative, siano esse dolose o colpose) deve cagionare un pregiudizio patrimoniale all’impresa amministrata. Si tratta SAGGI E STUDI 499 Infedeltà patrimoniale e bancarotta tutelano entrambe la corretta destinazione economica del patrimonio d’impresa mediante il divieto di “distrazione” dello stesso per finalità in conflitto con quelle oggettive dell’impresa. La bancarotta è prevista per ogni tipologia d’impresa, anche quella individuale, è assoggettata alla condizione obbiettiva di punibilità, è assoggettata ad una pena di molto superiore a quella prevista per l’infedeltà, ed è procedibile d’ufficio; l’infedeltà è, invece, svincolata da qualsiasi condizione che ne procrastini e ne renda aleatoria la punibilità ma, al contempo, è punita con pena notevolmente inferiore alla bancarotta e, sopratutto, la sua procedibilità subordinata alla presentazione della querela. La fattispecie di infedeltà costituisce comunque, essendo la sua repressione svincolata dal fallimento dell’impresa, un’ipotesi potenzialmente più generale di quella di bancarotta che, però, essendo attualmente più grave, assorbe il disvalore della fattispecie di infedeltà64. Nell’ipotesi in cui venisse eliminata la procedibilità di un elemento implicito della fattispecie che è di danno nei confronti della gestione patrimoniale dell’impresa e solo di pericolo nei confronti degli interessi concreti dei creditori. Tale conclusione emerge dalla lettura parallela delle disposizioni in tema di bancarotta semplice e fraudolenta che si differenziano, nelle ipotesi principali, sul piano dell’elemento soggettivo ma non su quello oggettivo e sono pertanto dotate di identica oggettività giuridica Sul punto cfr. già G. DELITALA, Contributo alla determinazione della nozione giuridica del reato di bancarotta, cit.: “Come è unica la nozione del reato di omicidio, tanto nell’omicidio doloso, quanto in quello colposo, parimenti unica dev’essere l’obbiettività giuridica del reato di bancarotta, tanto nella forma semplice, che nella forma fraudolenta. La distinzione in vista dell’elemento soggettivo sottentra in un momento successivo, a scindere in due l’unità del reato, sulla considerazione della particolare volontà del colpevole”. La circostanza che la condotta di bancarotta deve avere cagionato un danno patrimoniale all’impresa è alla base della giurisprudenza “realistica” in tema di “bancarotta riparata”; cfr., per tutte, Cfr., per es., Cass. pen., sez. V, 29 novembre 1990, n. 15850, ud. 26 giugno 1990, Bordoni: “La condotta distrattiva è penalmente irrilevante (nella specie si trattava dell’emissione di un contratto fiduciario di deposito) se i suoi effetti negativi vengano meno (nella specie con il rimborso del finanziamento a mezzo fiduciari) prima della dichiarazione di fallimento”. La circostanza che i debiti di bancarotta – come l’infedeltà patrimoniale – posseggano una lesività patrimoniale (cfr. C. PEDRAZZI, Riflessioni sulla lesività della bancarotta, cit., p. 1111) non significa che la sua oggettività giuridica di fondo sia identica a quella dei “classici” delitti contro il patrimonio. 64 Cfr. invece Cass. pen., Sez. V Sent., 05/03/2008, n. 13110, rv. 239394, in Fallimento, 2008, p. 974, che distingue fra bancarotta ed infedeltà, come nell’ipotesi dell’appropriazione indebita, assumendo la presenza del conflitto d’interessi nella sola infedeltà: “Il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione addebitabile, ai sensi del combinato disposto degli artt. 216 e 223, comma primo, L.F., all’amministratore della società fallita, può concorrere con quello di bancarotta per infedeltà patrimoniale, previsto dal comma secondo, n. 1, del citato art. 223 L.F., in relazione all’art. 2634 cod. civ., attesa la diversità degli interessi tutelati dalle due norme anzidette (quello dei creditori sociali, quanto alla prima, e quello della tutela del patrimonio sociale, quanto alla seconda) e dovendosi altresì considerare che si perverrebbe, altrimenti, all’assurda conseguenza per cui la condotta di infedeltà patrimoniale, aggravata dal conflitto d’interessi, sarebbe punibile solo se avesse determinato il dissesto della società mentre la distrazione, commessa senza conflitto d’interessi, sarebbe punibile di per sé, anche in mancanza di un rapporto di causalità con il dissesto”. La sentenza non tiene a nostro avviso conto della circostanza che il conflitto di interessi sussiste anche nell’ipotesi di bancarotta patrimoniale impropria commessa dall’amministratore di società ed in genere in ogni ipotesi di bancarotta in quanto il soggetto agente fa prevalere un interesse diverso su quello dell’impresa amministrata, esattamente come avviene nel delitto di infedeltà patrimoniale. Anche la distrazione 500 SAGGI E STUDI a querela e venissero innalzati i limiti edittali la fattispecie d’infedeltà finirebbe per rappresentare, come avviene oramai nell’ordinamento tedesco, l’ipotesi criminosa centrale del diritto penale dell’economia ossia la fattispecie che sancisce il dovere di destinazione oggettiva del patrimonio dell’impresa quando essa sia gestita nella forma societaria65. 9. – Proprio il profilo relativo all’infedeltà dell’amministrazione di un ente dotato di interessi autonomi costituisce il tratto comune fra il delitto di infedeltà patrimoniale e quello di corruzione in ambito di gestione di impresa previsto dall’art. 2635 c.c. che, non a caso, nella precedente rubrica, veniva anch’esso considerato come una forma di infedeltà. Nella corruzione colui al quale è stato affidato un potere di gestione di interessi terzi “vende” tale potere come se fosse cosa propria. Nella corruzione “pubblica” l’interesse terzo gestito è costituito da quello pubblico, ossia si tratta di un interesse pertinente la gestione di un ente pubblico in senso lato, in quella privata è costituito da un interesse privato ma comunque terzo rispetto al soggetto dotato di poteri gestori che, nel caso di corruzione societaria, è l’interesse oggettivo dell’impresa gestita in forma collettiva66. 10. – All’interno di un cerchio più distante dal nucleo centrale e fondante del diritto penale dell’economia devono essere iscritti i reati c.d. finanziari, ossia quelli che riguardano i c.d. mercati regolamentati o secondari tra i quali, sopratutto il commessa dall’amministratore a danno della società è pertanto espressione di un conflitto di interessi. Il disvalore dell’infedeltà, quindi, è integralmente assorbito da quello di bancarotta. A ciò si aggiunga che l’ipotesi prevista dal secondo comma, n. 1, dell’art. 219 l. fall. (unificazione dei fatti di bancarotta) si applica anche ai fatti di bancarotta impropria (cfr. Cass. pen., Sez. Unite, 27/01/2011, n. 21039, rv. 249666, in Fallimento, 2008, p. 974) previsti sia dal primo che dal secondo comma dell’art. 223 l. fall. (cfr. Cass. pen., Sez. V, 18/12/2009, n. 8829, rv. 246155, in Società, 2010, p. 1347, con nota di MARINI. 65 La corretta destinazione del patrimonio dell’impresa individuale non è garantita, nell’ordinamento tedesco, dalla fattispecie di infedeltà ma da quella di bancarotta la quale è applicabile solo nei momenti di crisi dell’impresa antecedenti il fallimento. Una simile limitazione dell’ambito applicativo dei delitti di bancarotta è stata proposta anche per l’ordinamento italiano (M. DONINI, op. cit., p. 55 ss.) e sarebbe auspicabile se essa fosse attuata in concomitanza con una modifica del delitto di infedeltà che lo trasformasse in un delitto sanzionato con pena più severa e procedibile d’ufficio. Si tratta, sostanzialmente, della situazione che attualmente caratterizza l’ordinamento tedesco in materia e che, è comunque il caso di precisare, comporta una maggiore pervasività ed incisività dell’intervento penale nell’ambito della gestione d’impresa. 66 Anche in relazione a questa previsione, nonostante la tutela di interessi superindividuali, è irragionevolmente prevista la procedibilità a querela. La condotte di corruzione tra privati, essendo condotte di mala gestio dolose e pregiudizievoli della società, realizzeranno comunque la fattispecie di bancarotta societaria patrimoniale e saranno punibili a questo titolo in caso di fallimento della società e ciò al di là delle previsioni contenute nel secondo comma dell’art. 223 l. fall. Sul punto v. anche supra. Sul bene giuridico tutelato in tema di corruzione e sulla ratio generale dei delitti di corruzione si consentito rinviare al nostro Grundproblematik der Korruptionstatbestände aus rechtsvergleichender Sicht – zur Rechtslage in Deutschland und Italien, in NZWiSt, 2016, p. 249 ss. SAGGI E STUDI 501 delitto di abuso di informazioni privilegiate e quello, nelle sue vari forme, di manipolazione del mercato o aggiotaggio. Non sono considerazioni legati alla tipologia d’autore che inducono alla iscrizione di tali fattispecie nel novero dei delitti economici ma ancora una volta ragioni sistemiche di omogeneità dell’interesse protetto. Tali fattispecie, ciascuna in modo diverso, tutelano la funzionalità dei mercati secondari o dei titoli e tali mercati costituiscono il “luogo” deve le grandi imprese vengono al contempo finanziate e valutate. Senza i mercati finanziari non sarebbero concepibile le imprese di grandi dimensioni che caratterizzano la nostra epoca. I reati finanziari, peraltro, a differenza delle fattispecie fino ad ora ricordate ed appartenenti al nucleo che garantisce il funzionamento “interno” dell’impresa67, rappresentano un’“aggressione” perpetrata dall’esterno ad un sistema – quale il mercato regolamentato – che serve ed è di ausilio al funzionamento dell’impresa. Per tale motivo il legislatore del 1930 collocava una delle due figure principali sopra ricordate, quella di aggiotaggio, non impropriamente, all’interno dei delitti contro l’economia pubblica l’industria ed il commercio e si può pertanto convenire sulla circostanza che almeno una parte dei delitti previsti dal titolo VIII del libro secondo del codice penale appartengano al settore del diritto penale dell’economia68. La figura più problematica fra i reati finanziari è probabilmente quella di abuso di informazioni privilegiate in quanto essa costituisce per alcuni la figura paradigmatica di reato senza offesa o senza bene giuridico. La figura dell’insider trading costituisce una tipica ipotesi di reato di pericolo astratto nella quale la condotta disattesa rappresenta un disvalore compiuto e meritevole di pena anche sa dalla stessa non è derivato alcun danno misurabile cagionato nei confronti di interessi concreti riferibili a singoli individui. La condotta di abuso di informazioni privilegiate è punita in quanto essa contraddice il principio della pubblicità della base informativa (c.d. market egualitarism) sulla quale si fondano i mercati finanziari. Una pubblicità della base informativa della quale i mercati stessi hanno bisogno affinché il maggior numero possibile di soggetti sia disposto a partecipare agli stessi69. La circostanza che le 67 Se si vuole essi rappresentano un’aggressione perpetrata – come si afferma usualmente in tema di infedeltà nella dottrina e giurisprudenza di lingua tedesca in relazione al patrimonio (cfr., per tutti, BverfG, in ZIP, 2010, p. 1596, 1599; K. TIEDEMANN, Wirtschaftsstrafrecht, Besonderer Teil, cit., p. 7) – “dall’interno” dell’impresa, ossia da colui che ha la responsabilità della sua conduzione, e non “dall’esterno” come è il caso dei reati contro il patrimonio ma anche dei reati contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio. 68 In tal senso F. GIUNTA, Lineamenti di diritto penale dell’economia, cit., p. 59 ss. 69 Ciò che nel mercato dei beni è garantito in gran parte da limiti “naturali” è e deve essere garantito nel mercato dei prodotti finanziari da limiti normativi. Ciò perché il mercato dei beni regola, nel complesso, prezzi e loro variazioni sulla base di una piattaforma informativa dotata di una certa stabilità un quanto collegata ai bisogni più o meno “naturali” e di consumo dei partecipanti; il mercato dei prodotti finanziari è, invece, “secondario” in quanto autoreferenziale: i “prezzi” nel mercato dei 502 SAGGI E STUDI condotte di utilizzo di informazioni “private” siano sottoposte alla sanzione penale è da ascrivere non solo alla non disponibilità (proprio per la mancanza di un danno e di un soggetto danneggiato) di una sanzione giuridica di tipo riparatorio e, quindi, più mite, ma anche alla circostanza che il funzionamento e la partecipazione ai mercati finanziari rappresenta oramai nelle moderne economie un valore di primaria importanza. Uno dei problemi ancora aperti che affliggono la fattispecie di abuso di informazioni privilegiate, a nostro avviso, consiste nella circostanza che il loro accertamento finisce in concreto per poggiarsi su una doppia presunzione. La prima riguarda il possesso di informazioni privilegiate da parte di soggetti che si trovano in determinate posizioni e la seconda riguarda la circostanza che il possesso di tali informazioni abbia determinato le scelte di tali soggetti in materia di investimenti sul mercato dei titoli. In altri termini, la pregnanza di elementi da natura psicologica nella fattispecie, finisce per determinare, di fatto, degli automatismi nella loro applicazione70. Non è tanto il fatto materiale (l’operazione di borsa redditizia) a costituire in maniera potenzialmente autonoma l’illecito quanto piuttosto la circostanza di natura psicologica che tale fatto si spieghi con il possesso di conoscenze da parte dell’agente e con l’utilizzo delle stesse nella formazione del processo motivazionale relativo alla scelta finanziaria. Nella fattispecie in oggetto si verifica la singolare situazione nella quale non sono solo fatti materiali quanto anche ed in maniera determinante fatti di natura psicologica (la conoscenza dell’informazione privilegiata e la sua funzione determinante nel processo di motivazione psicologica che ha determinato la scelta di carattere finanziario) quelli su cui si fonda l’illiceità della condotta. 11. – Come si è visto, il diritto penale dell’economia, nel suo nucleo essenziale, è rappresentato da disposizioni penali che, garantendo la corretta destinazione del patrimonio d’impresa, realizzano, mediante tale disciplina, una forma di autonomia della stessa rispetto alle persone fisiche che partecipano alla vita dell’impresa, siano esse proprietarie del suo patrimonio oppure investite della quelle che hanno la responsabilità della sua conduzione. L’impresa, in questo senso, rappresenta una titoli rappresentano solo un valore di scambio o nominale e sono, pertanto, potenzialmente variabili senza limiti ed in maniera immediata. Solo l’aspettava che le informazioni determinanti la formazione dei prezzi nei mercati finanziari sia dotata di un certo grado di pubblicità tale, in un certo senso, da “mimare” la pubblicità che contraddistingue il mercato dei beni rende possibile motivare una ampia platea di possessori di liquidità all’investimento nei mercati dei titoli. 70 Il giudizio di natura presuntiva sul quale si fonda la nozione di informazione privilegiata, in quanto si presume che essa sia tale in quanto, se resa pubblica, “potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi” (art. 181, primo comma, TUF), si estende alla conoscenza della stessa da parte dell’agente in virtù di una determinata posizione ed al suo utilizzo decisivo nel processo motivazionale che ha portato alla scelta operativa sul mercato finanziario (sulla problematica v., C.E. PALIERO, Diritto penale bancario: itinerari di diritto comparato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1989, p. 1334 ss.; Id., La riforma della tutela penale del risparmio; continuità e fratture nella politica criminale in materia economica, in Corr. mer., 2006, p. 615 ss.; C. PEDRAZZI, Mercati finanziari, in Dig. disc. pen., agg., Torino, 2002. SAGGI E STUDI 503 sorta di patrimonio “dedicato” o vincolato ad uno scopo ed una destinazione e, in un certo senso, possiede una forma di soggettività sociale e giuridica che non trova solo riscontro in norme civili che determinano una certa forma di separazione del patrimonio per ogni tipo di imprese, anche quella individuale71, ma anche e sopratutto in norme penali che obbligano ogni soggetto che gestisca l’impresa ad orientare tale attività di gestione all’interesse dell’impresa “in sé”. La centralità dell’impresa nei sistemi sociali contemporanei celebra il proprio “trionfo” penalistico con la sottoposizione diretta dell’impresa72 a sanzioni punitive mediante il sistema della responsabilità “amministrativa” degli enti introdotto dal d.lgsl. n. 231 del 2001. È significativo che una decisione della Corte di cassazione di non molti anni orsono e finora non contraddetta da sentenze successive abbia addirittura superato la barriera della “personalità giuridica” (sia pure imperfetta) rappresentata dalla forma societaria per affermare, la responsabilità dell’ente anche quando esso si realizzi in un’impresa individuale73. Il soggetto del diritto punitivo sembra essere oramai non solo la persona fisica “in carne ed ossa” ma anche l’impresa, addirittura quella individuale. Il diritto penale, ancora una volta, conferma, così, anche sotto tale profilo, il suo ruolo decisivo nella disciplina dell’impresa. Dalla soggettività civilistica (ossia legata alla responsabilità patrimoniale) dell’impresa, si è passati, in una cultura dove la realtà dell’impresa è talmente dominante da ritenere che essa debba essere considerata un “cittadino” alla pari dei cittadini persone fisiche74, ad una soggettività addirittura penalistica. I risultati 71 Si pensi, per fare solo un esempio, all’istituto del fallimento del debitore defunto (art. 11 l. fall.) dove appare con evidenza che il vero oggetto del fallimento è l’impresa con la sua attività ed il suo patrimonio e non tanto l’imprenditore. Per ulteriori cenni sia consentito rinviare al nostro, Lineamenti, cit. p. 392. 72 Secondo la lettera della legge si dovrebbe trattare solo di quella gestita in forma societaria, la giurisprudenza di legittimità sembra però tendente ad includere in questo alveo di responsabilità anche quella individuale. Sul punto v. infra nel testo. 73 Cfr. Cass. pen., Sez. III, 15/12/2010, n. 15657, I.I.S.M.R.: “La lettura costituzionalmente orientata della norma in esame deve indurre a conferire al disposto di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 231/2001, una portata più ampia, tanto più che, non cogliendosi nel testo alcun cenno riguardante le imprese individuali, la loro mancata indicazione non equivale ad esclusione, ma, semmai ad una implicita inclusione dell’area dei destinatari della norma” (massima redazionale da Utet Pluris). Si assevera, nella massima sopra riportata, un’“individualità” o “soggettività” (penalistica) di qualsiasi impresa e non solo di quelle collettive. Tale affermazione, in effetti, discende, per molti versi (ed al di là dell’operazione “creativa” o “additiva” e, come tale, difficilmente giustificabile, operata dalla sentenza), quale conseguenza dello “spirito” se non addirittura della “ratio” del nuovo “sistema” introdotto con la riforma del 2001. La nuova “creatura” concepita dal legislatore, “la responsabilità (sostanzialmente) “penale” delle “persone giuridiche”, in questo come in altri casi, vive oramai “di vita propria”. La violazione del principio di eguaglianza (specie nella forma di principio di ragionevolezza) da parte del legislatore del 2001 che viene assunta – non senza fondamento – nella sentenza sopra riportata avrebbe, peraltro, dovuto costituire non già oggetto di una non ammessa “interpretazione additiva” quanto piuttosto di una denuncia di incostituzionalità della normativa. 74 Si tratta della dottrina della (good) “corporate citizenship” strettamente legata a quella della “responsabilità sociale dell’impresa”, cfr., in senso critico, D. MATTEN, A. CRANE, W. CHAPPLE, Behind the Mask: Revealing the True Face of Corporate Citizenship, in Journal of Business Ethics, 2003, p. 109 ss. 504 SAGGI E STUDI di lungo termine potranno essere sicuramente non soddisfacenti, si tratta, a nostro avviso, di forme di sostanziale responsabilità per fatto altrui o collettiva le quali finiranno col rivelarsi con il tempo, sempre meno tollerabili. La responsabilità penale rimane, per sua struttura consolidatasi anche a seguito di una faticosa evoluzione storica, una responsabilità individuale o, appunto, personale e non sembrano auspicabili ritorni, anche sotto diverse etichette, di forme di responsabilità penale collettiva. Com’è stato autorevolmente rilevato, la pena “sembra concepibile solo in rapporto al «personalismo psichico» dell’individuo umano in carne ed ossa”75. La responsabilità sostanzialmente penale dell’impresa potrebbe auspicabilmente essere sostituita da una responsabilità realmente amministrativa che dia spazio, mediante strumenti sanzionatori dotati di sufficiente elasticità, a rimedi dalla natura più ripristinatoria che punitiva76. Nel breve e nel medio termine, però, la respon75 F. PALAZZO, Corso di diritto penale, cit., p. 53. Il “problema” che si racchiude nell’interrogativo se la società possa delinquere non si risolve, a nostro sommesso avviso, con chiedersi se una società “possa” o “non possa” delinquere, come se questo “potere” costituisca un attributo naturalistico della persona giuridica. Tale “problema” non si risolve neanche con la constatazione che tale “potere” (la soggettività giuridica) non è un attributo naturalistico ma un giudizio ascrittivo che, come tale, è il prodotto di una realtà normativa e, quindi, il “soggetto di diritto”, la “persona” sub specie iuris, viene “creata” dal diritto. Infatti, è pur vero che il giudizio ascrittivo (la “responsabilità” e la “colpevolezza”) è il risultato di una valutazione che, come tale, è legata (nelle sue “ragioni” e nei suoi “scopi”) alla socialità, ma è altrettanto vero che le nostre strutture mentali, il nostro stesso modo di “dar forma” al mondo, non solo procedono attraverso l’idea della “libertà” e della correlata “responsabilità” del soggetto considerato come persona fisica (e, quindi, già solo per tale motivo, tale potere “creazionista” della “persona” il diritto, per fortuna, non lo possiede), ma è anche vero che le nostre strutture mentali non riescono e non possono neanche scindere fra il soggetto “libero” al quale viene attribuita la responsabilità con le relative conseguenze negative e lo stesso soggetto “libero” con la libertà del quale ci si relaziona in tutti gli altri settore della vita. In altri termini, una soggettività “costruita” solo per essere il centro d’imputazione di sanzioni punitive e, invece, per il resto, svincolata da altri tipi di relazioni “personali” in cui rileva e non può non rilevare la “libertà” o capacità di autodeterminazione del soggetto o della “persona” (ossia intrattenute con un soggetto “libero”) non rappresenta una “costruzione” accettabile già sul piano conoscitivo o mentale e tale “costruzione”, in tal modo, finisce, di fatto, per essere percepita per quello che in realtà tale costruzione sottende: una modalità, non dichiarata, di punire ulteriormente le persone fisiche responsabili di fatti meritevoli di pena, oppure anche una modalità non dichiarata di punire quelle persone fisiche che non sono “raggiungibili” con i meccanismi “classici” di attribuzione della responsabilità penale individuale ma che, invece, si ritiene comunque meritevoli di sanzione punitiva. Per G.W.F. HEGEL (Grundlinien der Philosophie des Rechts, Berlin, 1820, § 100), com’è noto, il soggetto punito in ragione della commissione di un fatto che non doveva commettere viene “onorato” come una persona “libera” o dotata di raziocinio, in altri termini, come soggetto. Si tratta e si deve trattare, però, necessariamente, di un soggetto che viene onorato mediante il riconoscimento della sua libertà in ogni settore della sua esistenza e non solo al fine di infliggere allo stesso una punizione; in altri termini, il soggetto non può essere considerato tale, ossia “libero” e dotato di raziocinio, solo quando sbaglia e viene per questo punito e non essere invece considerato pienamente soggetto – ossia libero e dotato di raziocinio – in tutti gli altri settori della sua esistenza. In altri termini, se il soggetto deve essere “onorato”, lo deve essere nel bene e nel male, dev’essere un soggetto completo e non dimidiato. 76 Cfr. C.E. PALIERO, La sanzione amministrativa come moderno strumento di lotta alla criminalità economica, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1993, p. 1021 ss.; cfr. anche DE MAGLIE C., L’etica e il mercato. La responsabilità penale delle società, Giuffrè, 2002. Come è stato rilevato, le “sanzioni a contenuto SAGGI E STUDI 505 sabilità penale delle persone giuridiche rappresenta un’altra tappa del cammino, iniziato con le città stato europee (e, sopratutto, italiane) all’alba dell’età moderna, che ha portato prima le società del continente europeo e poi quelle di tutto il mondo a definirsi sempre di più attraverso l’economia ed alla correlativa affermazione dell’impresa diventata oramai “soggetto” dominante della vita sociale. UGO PIOLETTI economico appaiono pur sempre motivabili secondo un orientamento lato sensu riparativo, in quanto forma di contribuzione rafforzata specificamente rivolta, sul presupposto dell’avvenuto perseguimento di vantaggi o profitti illeciti, in favore di impegni di rilevanza sociale assolti dagli organi pubblici”, L. EUSEBI, La svolta riparativa del paradigma sanzionatorio. Vademecum per un’evoluzione necessaria, in G. Mannozzi, G. Lodigiani (a cura di), Giustizia riparativa. Ricostruire legami, ricostruire persone, Bologna, 2015, p. 5(dell’estratto).