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FEDERICA GIARDINI NUOVE RICERCHE SULLA DIMENSIONE PASSIVA DELLA COSCIENZA IN EDMUND HUSSERL* *A proposito di: E. Holenstein, Phänomenologie der Assoziation, La Haye, Nijhoff, 1972; I. Yamaguchi, Passive Synthesis und Intersubjectivität bei E. Husserl, La Haye, Nijhoff, 1982; N. Lee, Husserls Phänomenologie der Instinkte, Dordrecht, Kluwer, 1993; N. Depraz, Transcendance et incarnation, Paris, Vrin, 1995; A. Montavont, De la passivité dans la phénoménologie de Husserl, Paris, PUF, 1999; N. Depraz, D. Zahavi (eds.), Alterity and Facticity, Dordrecht, Kluwer, 1999; B. Waldenfels, Studien zur Phänomenologie des Fremden, Bd. I,II,III, Frankfurt a/M, Suhrkamp, 1997-1999. Questo studio procederà fornendo un quadro succinto della tematica della passività nell'opera husserliana, in modo che possano emergerne le principali accezioni e le implicazioni metodologiche e tematiche. Queste verranno poi illustrate separatamente attraverso la lettura delle monografie menzionate: la passività come momento pretetico della coscienza, nelle forme dell'associazione e dell'affezione (Holenstein, Montavont), nozione quest'ultima che, pur definendosi in relazione all'attività conoscitiva della coscienza, ne mette fortemente in luce la dimensione corporea. Alla luce dell'affezione la passività si rivela come strutturazione corporea della coscienza, una dimensione corporea che va però al di là dei sensi che forniscono le impressioni sensibili e che dunque si presenta sotto differenti aspetti (Zahavi, Lee). Infine, la passività apre l'indagine su una soggettività non centrata sull'ego, ma piuttosto istituita, ancor prima che intersoggettivamente, in una relazione corporea originaria, per la quale la costituzione della soggettività si rivela essere una dinamica di alterità e estraneità a se stessi (Yamaguchi, Depraz, Waldenfels). Per molto tempo la fenomenologia husserliana è stata recepita come una filosofia degli atti di coscienza. M. Merleau-Ponty, che alla fine degli anni Cinquanta scrive: «l'analisi husserliana è bloccata dalla cornice degli atti impostole dalla filosofia della coscienza» M. Merleau Ponty, Le visible et l'invisible, Paris, Gallimard, 1964, p. 297 (trad. it. Il visibile e l'invisibile, Bompiani, Milano 1969, p. 256)., non è il solo a ritenere che centrare l’indagine sulla coscienza implichi di necessità restringere il campo di analisi alla coscienza vigile, padrona di sé e della propria attività, con tutte le pesanti implicazioni che questo comporta, dal solipsismo metodologico, all'idealismo, all'elusione della funzione linguistico-comunicativa nell'istituzione dell'intersoggettività. Per quanto possa essere vero che Husserl non ha mai sostenuto l'idea di una passività assolutamente originaria e radicale, tuttavia, nel procedere del suo lavoro, soprattutto a partire dagli anni Venti, i vari aspetti della dimensione passiva della coscienza occupano un posto sempre più rilevante Tra i principali autori, che hanno affrontato e/o sviluppato la questione della passività in Husserl, vanno segnalati: E. Levinas, En découvrant l'existence avec Husserl et Heidegger, Paris, Vrin, 1949; P. Ricoeur, Philosophie de la volonté I. Le volontaire et l'involontaire, Paris, Aubier, 1949; De l'interpretation. Essai sur Freud, Paris 1965; M. Foucault, Les mots et les choses, Paris, Gallimard, 1966 (trad. it. Le parole e le cose, Milano, Rizzoli, 1967); H. G. Gadamer, Wahrheit und Methode, Tübingen, Mohr, 1960 (trad. it. Verità e metodo, Milano, Bompiani, 1972); J. Derrida, Introduction à L'origine de la géometrie, Paris, PUF, 19742 (trad. it Introduzione a "L'origine della geometria" di Husserl, Milano, Jaca Book, 1987); Le problème de la genèse dans la philosophie de Husserl, Paris, PUF, 1990 (trad. it. Il problema della genesi in Edmund Husserl, Milano, Jaca Book, 1992). Si segnalano inoltre alcuni studi sulla filosofia husserliana: E. Paci, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl (1961) Milano, Bompiani, 1990; K. Held, Der lebendige Gegenwart, Den Haag, Nijhoff, 1966; G. Brand, Welt, Ich und Zeit. Nach unveröffentlichen Manuskripten Edmund Husserls, Den Haag, Nijhoff, 1955 (trad. it. Mondo, io e tempo nei manoscritti inediti di Husserl, Milano, Bompiani, 1960); L. Landgrebe, Faktizität und Individuation, Hamburg, Meiner, 1982; R. Bernet, La vie du sujet, Paris, PUF, 1994.. Rispetto alla ricezione tradizionale della filosofia husserliana, può essere dunque di particolare interesse la recente ripresa delle ricerche sulla dimensione passiva della coscienza. Si tratta sì, nella maggior parte dei casi, di un'analisi rigorosamente testuale, a partire da materiali editi e inediti, ma anche, come spesso accade con questo autore, di uno sviluppo del progetto fenomenologico, al di là delle intenzioni del suo fondatore. In effetti, nei testi qui esaminati, convivono le due impostazioni: un'attenta lettura e ricostruzione a partire dai testi editi e inediti sul tema della passività - come nel caso dello studio inaugurale di Elmar Holenstein sull'associazione - insieme al superamento della lettera husserliana verso conclusioni che si possono definire fenomenologicamente eterodosse - come nel caso della recente fenomenologia dell'istinto di Nam-In Lee. L'interesse di queste ricerche, che ripropongono alcuni temi fenomenologici sotto una luce diversa, sta soprattutto nel declinare i vari aspetti della passività - come dimensione temporale e pretetica, corporea o intersoggettiva/anonima - nel loro rapporto con la soggettività. Nel progetto fenomenologico rimane infatti la pretesa, e la potenzialità, di esprimere filosoficamente l'esperienza soggettiva. Pretesa che, una volta assunta la dimensione passiva della coscienza, fa decadere l'illusione di una trasparenza a se stessi, senza però per questo rinunciare a una tematizzazione filosofica dell'esperienza soggettiva che abbia un valore di verità. Nello specifico caso dell'indagine fenomenologica sugli aspetti della passività si apre così uno spazio in cui rendere filosoficamente conto della soggettività nel suo essere determinata. Questo significa, come verrà in chiaro più avanti, che è possibile trattare della determinatezza del soggetto - che sia pensata secondo l'irriducibilità a una conoscenza chiara e distinta, secondo il corpo o secondo l'intersoggettivo/anonimo delle istituzioni e delle pratiche discorsive - senza cadere in forme di determinismo e senza rinunciare a renderne conto soggettivamente. Le opere citate verranno dunque esaminate seguendo questo taglio di lettura: della dimensione passiva della coscienza interessa qui mettere in luce gli aspetti corporei e relazionali e come questi siano necessariamente connessi nel processo di costituzione della soggettività. Da questo punto di vista la ricerca di Husserl presenta un aspetto particolarmente interessante su un tema filosofico attuale come quello dell'intersoggettività. Se è vero infatti che il tentativo husserliano di giustificare l'intersoggettività come apprensione dell'altro in forma di oggetto incompletamente presentificato è fallito, a favore di un'istituzione linguistico-comunicativa dell'intersoggettività, che si rifà, nel caso, alla nozione husserliana della Lebenswelt V. in particolare le critiche di O. Apel che, in Transformation der Philosophie I-II (Frankfurt a/M., Suhrkamp, 1973), si appuntano sulla filosofia trascendentale e in particolare sulla filosofia coscienzialista di cui Husserl è indicato come uno dei massimi esponenti. Apel auspica una trasformazione della filosofia in senso liguistico e pragramatico. Habermas, per parte sua, (J. Habermas, Der philosophische Diskurs der Moderne, Frankfurt a/M., Suhrkamp, 1985; trad. it. Il discorso filosofico della modernità, Roma-Bari, Laterza, 1987; Vorstudien und Ergänzungen zur Theorie des kommunikativen Handelns, Frankfurt a/M., Suhrkamp, 1989) critica l'impianto husserliano perché organizza il rapporto io-altro sul modello del rapporto soggetto-oggetto. Per una risposta fenomenologica alle critiche di Apel e Habermas, v. D. Zahavi, Husserl und die Transzendentale Philosophie. Eine Antwort auf die sprachpragmatiche Kritik, Dordrecht, Kluwer, 1996. , rimane pur vero che all'attuale impostazione linguistico-comunicativa sfugge la possibilità di porre filosoficamente a tema la dimensione corporea del legame intersoggettivo e di pensarne effetti e sviluppi nel vivere sociale. Il taglio di lettura di questo studio permette di contro di mettere in luce potenzialità che appartengono al progetto husserliano e che al contempo si concretizzano in connessione con alcune e diverse linee di ricerca: dalla riflessione della psicoanalisi e del pensiero della differenza sessuale sulla relazione corporea originaria ai recenti studi delle scienze cognitive sulla dimensione corporea della coscienza E' questo il quadro di ricerca della tesi di dottorato, dal titolo "La Paarung nella fenomenologia husserliana. Una lettura a ritroso", che sto svolgendo al Dipartimento di filosofia dell'Università di Roma Tre. . 1. Il tema della passività nell'opera husserliana Filosofia dell'aritmetica E. Husserl, Philosophie der Arithmetik (1890-1901), Husserliana XII, Den Haag, Nijhoff, 1970. si presenta come una ricerca sulla genesi psicologica del concetto di numero. La passività è qui riconducibile al problema della genesi e dei vari gradi di emergenza dell'attività di coscienza. Il tema della genesi, presente sin dagli inizi delle ricerche di Husserl, viene poi da questo abbandonato perché lo impegna sul fronte di una ricostruzione psicologistica delle operazioni conoscitive, ma riemergerà più tardi, nella forma di un processo genetico inteso, stavolta, in senso trascendentale, ovvero quale dimensione passiva in cui si istituiscono le condizioni dell'indagine filosofica e che ha rilevanti implicazioni metodologiche Su questo tema, v. V. Costa, La generazione della forma, Milano, Jaca Book, 1996, in cui la dimensione passiva-genetica della fenomenologia husserliana è riletta alla luce del lavoro di J. Derrida. V. in particolare n. 55, p. 31. Per una diversa lettura della dimensione genetica della filosofia, v. A.J. Steinbock, Home and Beyond. Generative Phenomenology after Husserl, Evanston, Northwestern University Press, 1995. Va inoltre segnalata la rassegna dal titolo Passivité et phénoménologie génétique, «Alter. Revue de phénoménologie», 1995 (3), pp. 405-502, che analizza testi di Landgrebe, Holenstein, Lee e Yamaguchi. Da segnalare anche R.M. Zaner, Passivity and activity of consciousness in Husserl, «Analecta Husserliana», 1974 (3), pp. 199-202 e la discussione, pp. 202-226. V. anche «Analecta Husserliana»1991 (34). . Le Ricerche logiche presentano la distinzione tra passività e attività nella forma di una distinzione tra intuizione sensibile e intuizione categoriale: l'attività di coscienza, concepita come raggio di attenzione, ritaglia l'atto intenzionale su uno sfondo di latenza, un orizzonte intuitivo che costituisce l'atto di coscienza senza che questa tuttavia vi prenda parte attivamente E. Husserl, Logische Untersuchungen, Bd. II, Halle/Salle, Niemeyer, 1921, §§ 46-47 (trad. it. Ricerche logiche, Sesta ricerca, Milano, Il Saggiatore, 19883, vol. II, §§ 46-47, pp. 447-454.. Qualche anno dopo, nel primo volume delle Idee, la sintesi degli atti di coscienza viene riferita a una sintesi più originaria, quella sintesi delle datità estetiche che si produce nell'unità «dell'immanente coscienza del tempo» E. HUSSERL, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie, Husseliana Bd. III, Den Haag, Nijhoff, 1950 (trad. it Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Torino, Einaudi,19763, vol I, § 118, pp. 264-265).. Questa considerazione dell'attività di sintesi che precede l'attività di coscienza vera e propria si rifà alla sintesi originaria della coscienza interna del tempo E. Husserl, Phänomenologie des inneren Zeitbewußtseins (1893-1917), Husserliana Bd. X, Den Haag, Nijhoff, 1966 (trad. it. Per una fenomenologia della coscienza interna del tempo (1893-1917), F. Angeli, Milano 1985). , delineatasi nelle lezioni del 1905 quale flusso temporale. Tuttavia questa dimensione temporale e pretetica della coscienza potrà essere approfondita solo alla luce del nesso associativo che si istituisce passivamente tra presente e passato o tra presente e futuro. Nel secondo volume delle Idee Idee, cit., vol. II, § 5, pp. 410-412. la passività si definisce in contrapposizione alla nozione di spontaneità, intesa come attualità della coscienza, ed è quell'orizzonte in cui tutti i vissuti attivi trapassano, nel momento in cui decadono dalla immediatezza del presente. La passività si trova dunque a essere definita in modo derivato, secondario rispetto all'attività di coscienza Yamaguchi rintraccia tuttavia, già in Idee II, insieme a questa passività secondaria, anche una passività che non si definisce solo come negazione dell'attività, bensì come una passività primaria, v. I. YAMAGUCHI, Passive Synthesis und Intersubjectivität, cit., p. 7.. La passività, quale orizzonte implicito che precede o accompagna gli atti di coscienza, è strettamente connessa alla questione della genesi, del processo di costituzione degli enti cui si rivolge l'analisi. La riflessione su di essa prende dunque tutta la propria importanza nel momento in cui, intorno agli anni Venti, si profila una distinzione tra analisi fenomenologica statica e genetica Distinzione illustrata in E. Husserl, Analysen zur passiven Synthesis, Husserliana Bd. XI, Den Haag, Nijhoff, 1966, pp. 342-344 (trad. it. parziale Lezioni sulla sintesi passiva, Milano, Guerini e Associati, 1993) e Zur Phänomenologie der Intersubjectivität (1929-1935), Husserliana XV, Den Haag, Nijhoff, 1973, pp. 613-626. V. anche, M. Vergani, Fatticità e genesi in Edmund Husserl. Un contributo dai manoscritti inediti, Firenze, La Nuova Italia, 1998., distinzione per la quale la prima descrive le correlazioni tra noesi e noema e le tipologie delle oggettualità della coscienza, mentre la seconda si interessa ai nessi non causali ma motivazionali che costituiscono l'esperienza e che intercorrono tra i suoi elementi. Al livello genetico assume un'importanza dirimente il momento passivo, pretetico o preegoico, che istituisce le condizioni di possibilità delle forme di legalità dell'esperienza. All'associazione, quale principio fondamentale della sintesi passiva è dedicata gran parte delle analisi dei primi anni Venti E. Husserl, Analysen zur passiven Synthesis, cit. (trad. it. Lezioni sulla sintesi passiva, cit., pp. 65 e 231-244).. Il nesso associativo e il risveglio affettivo e materiale di questo nesso nel presente vivente mettono in luce la struttura retroattiva del rapporto tra momento attivo e momento passivo della coscienza, cosa questa che ha importanti ripercussioni metodologiche che vanno sotto il titolo di Rückfrage, di un'interrogazione a ritroso E' Derrida a mettere in evidenza il tema della posteriorità dell'indagine fenomenologica in Introduzione all'«Origine della geometria» di Husserl, cit. e in Il problema della genesi nella filosofia di Husserl, cit., pp. 265-275. . La genesi passiva delle forme logiche del giudizio viene ancora trattata in Logica formale e trascendentale (1929) E. Husserl, Formale und transzendentale Logik Husserliana XVII, Den Haag, Nijhoff, 1974 (trad. it. Logica formale e trascendentale, Roma-Bari, Laterza, 1966, in particolare § 4 e Appendice II). con un significativo ampliamento. La passività è sì considerata quale momento pretetico, ma viene estesa alla questione dell'altro, dell'intersoggettività. E' questa un'estensione dalle implicazioni rilevanti in quanto, una volta assunto l'ambito genetico della fenomenologia, si indebolisce la distinzione tra coscienza intenzionale e soggettività trascendentale. La dimensione passiva si delinea allora contemporaneamente nel suo aspetto pretetico e non egoico. Ed è nel contemporaneo testo delle Meditazioni cartesiane che Husserl affronta pubblicamente il problema della costituzione passiva dell'intersoggettività: dimensione passiva che si esprime nella nozione di Paarung, di quell'appaiamento associativo originario, a cui deve ricorrere la percezione del corpo altrui E. Husserl, Cartesianische Meditationen und Pariser Vorträge, Husserliana I, Den Haag, Nijhoff, 1950 (trad. it. Meditazioni cartesiane, Milano, Bompiani, 19973, §§ 38-39 e § 51). V. anche i testi del lascito raccolti in E. Husserl, Zur Phänomenologie der Intersubjectivität, Husserliana XIII-XV, Den Haag, Nijhoff, 1973, in cui la Paarung viene nominata per la prima volta nel testo preparatorio di una lezione (22 febbraio 1927), E. Husserl, op. cit., Bd. XIV, pp. 523-533. . Al termine di questa sintetica rassegna dei passi principali Vanno ancora ricordati: E. Husserl, Phänomenologische Psychologie, Husserliana IX, Den Haag, Nijhoff, 1962, § 12. p. 98 (sulle unità della sintesi passiva) e § 21 (sui gradi di costituzione della psiche); Erfahrung und Urteil. Untersuchungen zur Genealogie der Logik, Hamburg, Glassen & Goverts, 1948 (trad. it. Esperienza e giudizio, Milano, Silva editore, 1960) (la passività come predonazione, Vorgegebenheit, affettiva); Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie, Husserliana Bd. VI, Den Haag, Nijhoff, 1954 (trad. it. La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Milano, Il Saggiatore, 19877), Appendice III al § 9a, in particolare p. 388 (sull'origine della geometria, dove il tema della passività si sviluppa come un tema che attraversa tutto il progetto fenomenologico, come sottolinea J. Derrida, in Introduzione a «L'origine della geometria»di Husserl, cit.). I manoscritti inediti raccolti da L. Landgrebe con il titolo Studien zur Struktur des Bewusstsein, cit. da E. Holenstein, op. cit., p. 9-10. in cui Husserl profila la questione della passività, si delinea una ripartizione degli usi del termine che servirà da filo conduttore di questo studio. In prima istanza la passività viene concepita come momento pretetico, come momento originario dell'attività della coscienza; il nesso associativo e l'affezione sono le forme in cui il flusso costituente la coscienza si dispiega nel duplice aspetto temporale, di retroazione e di anticipazione, e materiale, di datità iletiche che si offrono alle impressioni sensibili. In secondo luogo, proprio attraverso la caratteristica sensibile e materiale dell'affezione, la passività si presenta come struttura corporea originaria delle attività di coscienza, sia nel suo aspetto di sintesi in unità che precedono l'atto oggettivante della coscienza, sia nel suo aspetto di prima forma di trascendenza, quale impulso, un tendere-verso che precede l'istituirsi del rimando propriamente intenzionale. Infine, la dimensione passiva si presenta come dimensione non egoica della coscienza, o meglio della soggettività. Anche in questo caso la caratterizzazione passiva, come vuole l'impostazione genetica, fa dell'intersoggettività, o meglio della Paarung come relazione associativa, una condizione di possibilità dell'istituzione della soggettività. Va infine sottolineata un'implicazione metodologica dirimente: quando si prenda in considerazione la genesi passiva della coscienza, questa non ha a che fare con vissuti attuali, bensì con stati che la costituiscono ma alla costituzione dei quali non ha partecipato attivamente. Diventa essenziale allora la sua posizione di posteriorità o retroattività rispetto alla propria provenienza, alla propria origine, questione di cui J. Derrida si è fatto fine lettore e critico V. in particolare, J. Derrida, Introduzione all'«Origine della geometria»di Husserl, cit; Il problema della genesi nella filosofia di Husserl, cit.; L’écriture et la différence, Paris, Seuil, 1967 (trad. it. La scrittura e la differenza, Torino, Einaudi, 1990). . 2. La passività come dimensione pretetica della coscienza: associazione e affezione Il titolo 'associazione' designa per noi una forma e una legalità della genesi immanente che appartiene costantemente alla coscienza in generale [...] A partire di qui si può accedere a una teoria universale della genesi di una soggettività pura, in primo luogo per ciò che concerne gli strati inferiori della pura passività E. Husserl, Lezioni sulla sintesi passiva, cit., pp. 169-170. Nel suo saggio Phänomenologie der Assoziation E. Holenstein, Phänomenologie der Assoziation, cit. , Elmar Holenstein esamina la dimensione passiva in Husserl concentrandosi sull'associazione quale «principio fondamentale della genesi passiva». La genesi passiva in questo caso si presenta come dimensione pretetica e riguarda il progressivo costituirsi dell'attività conoscitiva della coscienza. L'associazione viene dunque principalmente esaminata quale legge delle forme antepredicative degli atti di significazione Va nella stessa direzione di ricerca, la più recente opera di D. Welton, The Origins of Meaning, The Hague, Nijhoff, 1983.. La trattazione di Holenstein - che si presenta come un'analisi esaustiva del corpus husserliano, ivi compresi gli inediti - si divide in due ampie sezioni: nella prima viene offerto un quadro del problema dell'associazione, dalle varie angolazioni della trattazione husserliana; nella seconda sezione è sviluppato uno studio comparato tra le tesi husserliane e quelle di alcuni autori, tra i quali Hume, J. St. Mill, Kant, Brentano, Scheler, Merleau-Ponty e Freud. L'associazione viene innanzitutto descritta come quel principio formale che lega e appaia una percezione a un ricordo che le è inseparabilmente connesso (§7); in altri termini, il principio formale dell'associazione si manifesta come la proprietà del «richiamarsi l'un l'altro» «Aneinander Erinnerns», E. Holenstein, op. cit., p. 5. L'associazione come formulazione di un nesso, di una relazione, è un tratto che va messo in rilievo perché inaugura, in ambito strettamente teoretico, lo stesso principio che governa l'istituirsi passivo dell'intersoggettività, ovvero la Paarung.. Il suo funzionamento si esplica secondo alcuni principi legali che sono la somiglianza, il contrasto e la contiguità (§9). Holenstein non solo rintraccia una stretta connessione tra costituzione temporale della coscienza e sua organizzazione secondo le leggi associative, ma conferisce un primato alla sintesi passiva associativa in quanto istituisce i nessi di retroazione e di anticipazione che scandiscono il flusso temporale dei vissuti. Nell'ambito delle operazioni associative figurano la fusione (Verschmelzung), forma di configurazione unitaria di diversi momenti sensibili (§§ 22-24); l'appercezione e l'appresentazione, quali nessi che corrono tra la percezione diretta e i suoi risvolti impliciti, non direttamente mirati dalla coscienza (§§ 26-33); la motivazione, da intendersi come rimando di senso (Sinnesverweisung), come nesso che si distingue dal nesso causale, reale e effettuale (§§ 34-38). Infine, ai §§ 39-42, che concludono la prima sezione, l'associazione viene definita in relazione alla sintesi passiva: L'associazione è [...] un nesso che scaturisce impulsivamente e involontariamente, che tuttavia va interpretato come puro e trascendentale in sé e non [...] in modo naturalistico e reale. Si compie prima di qualsiasi volgersi e mirare intenzionale dell'io e non si origina da questa attività [...] L'io vi è implicato solo in quanto affetto [...] Come fattore affettivamente costituito appartiene alla fase preoggettuale della genesi «die Assoziation ist (...) eine Verbindung, die triebhaft und unwillkürlich entspringt, die aber auch als solche rein transzendental und nicht (...) natürlistisch und realistisch zu interpretieren ist. Sie vollzieht sich vor allem intentionalem Sichrichten und aufmerkenden Zuwenden des Ich, entstammt also nicht dessen setzenden Aktivität. Das Ich ist in ihr nur als affiziertes impliziert. (...) Als ein affektionskonstituirender Faktor gehört sie zu den vorgegenständlichen Phasen der Genesis». E. Holenstein, op. cit., p. 224-225.. Si può concludere che nell'opera di Holenstein viene messa in rilievo quell'attività di connessione di dati, quelle sintesi che la coscienza scoprirà essere dotate di significato, pur non avendo partecipato come raggio di attenzione e di riflessione. Di più, l'io, nei processi associativi, è implicato «solo in quanto affetto». Non sorprende allora che Holenstein dedichi il capitolo conclusivo (§§ 64-68) al rapporto tra fenomenologia e psicoanalisi freudiana E. Holenstein fornisce materiali che avallano l'esistenza di punti teorici di contatto tra Husserl e Freud. V. in particolare, op. cit., § 64, Historische und literarische Anhaltspunkte für einen Vergleich Husserl-Freud, pp. 321-24. V. anche R. Bernet, L'analyse husserlienne de l'imagination comme fondement du concept freudien de l'inconscient, «Alter»1996 (4), pp. 349-366; E. Husserl, J. Hering, Le sujet du rêve. Présentation de la correspondance Husserl/Héring, «Alter», 1997 (5), pp. 175-190; . Come infatti per quest'ultima, le esperienze dell'io, le percezioni effettive della coscienza, sono connesse ad altre entità dotate di senso secondo nessi che la coscienza non controlla in modo diretto. La coscienza si presenta dunque come 'affetta' dal costituirsi del senso, almeno tanto quanto partecipa alla costituzione di esso. La considerazione pretetica della passività fa sì che associazione e affezione si presentino dunque come «due titoli problematici interdipendenti» nella «strutturazione del campo affettivo del presente vivente» HOLENSTEIN, op. cit., p. 35. V. anche K. Held, Der lebendige Gegenwart, Den Haag, Nijhoff, 1966.. Nella dimensione passiva sono infatti inclusi sia i momenti associativi preaffettivi, cioè la costituzione dell'omogeneità del campo temporale e spaziale del presente vivente, sia i momenti propriamente affettivi, ovvero la messa in relazione patica di queste unità preaffettive con la capacità dell'io di recepirle o meno. In De la passivité dans la phénoménologie de Husserl V. anche A. MONTAVONT, Le phénomène de l'affection dans les Analysen zur passiven Synthesis, «Alter. Revue de phénoménologie», 2, 1994, pp. 119-139., Anne Montavont inserisce le sue specifiche analisi sull'affezione nella fenomenologia husserliana (capp. II-IV) all'interno di una più ampia ricerca sulla priorità costitutiva della vita rispetto alla riflessione (cap. I), privilegiando così la dimensione ontologica della fenomenologia. L'affezione come aspetto passivo pretetico e preegoico di predonazione del mondo viene trattata nel cap. II, La tension entre l'expérience et la vie e nel cap. IV, L'expérience originaire: affection et pulsion. Questa si presenta come momento dell'evidenza originaria in cui i nessi di ritenzione e protenzione operano una sintesi cui la coscienza non partecipa. Ogni percezione effettiva comporta una serie di dati iletici, offerti dalle impressioni sensibili, e l'associazione opera su queste impressioni mettendole in relazione attraverso il «ridestamento affettivo». In altri termini, ogni percezione comporta delle impressioni che fanno da materiale per eventuali nessi associativi Cfr. E. Husserl, Lezioni sulla sintesi passiva, cit., pp. 205-230.. L'affezione, come offrirsi di datità materiali, sollecita il rivolgimento dell'io verso l'oggetto, è uno stimolo, un appello precoscienziale e materiale che agisce sull'io. Husserl stesso la definisce come stimolo coscienziale, l'impulso [Zug] peculiare che un oggetto cosciente esercita sull'io. Si tratta di un impulso che trova soddisfazione nel volgersi dell'io e che da qui si dispiega nella tendenza verso l'intuizione originalmente offerente Ibidem, p. 205.. Dopo aver messo in evidenza come questa passività sia accessibile solo attraverso la «decostruzione» (Abbau) del presente vivente - altra espressione che rimanda alla pratica psicoanalitica -, l'autrice profila una concezione dell'inconscio quale «orizzonte affettivo nullo» A. Montavont, De la passivité dans la phénoménologie de Husserl, cit., p. 237. Se l'affezione, infatti, attraverso quell'appello o risveglio che esercita sulla coscienza, mantiene un nesso con l'attività di coscienza, la pulsione, nozione correlata a quella di inconscio, si presenta piuttosto come dimensione corporea della passività, ma di una corporeità che si dissolve nella materialità: la pulsione si presenta come quella tensione di cui è dotata la materia iletica là dove «si confonde con l'archintenzionalità del tempo» in quanto «la hylé - al livello più originario della coscienza del tempo - racchiude in sé il momento della forma» «La matière hylétique vient se confondre avec l'archi-intentionnalité du temps [...] La hylé - au niveau les plus originaire de la conscience du temps - enferme en elle le moment de la forme», A. MONTAVONT, De la passivité, cit., p. 237. Sulla nozione di pulsione si ritornerà nell'analizzare l'opera di N. Lee. . La questione rilevante che traspare dalla trattazione dell'associazione, e insieme dell'affezione, consiste nel fatto che la coscienza ha a che fare con delle unità sintetiche, con delle organizzazioni di dati sensibili, alla cui costituzione non ha partecipato attivamente, che non sono ricadute sotto il raggio della sua attenzione. Affezione e associazione, in quanto appartenenti all'ambito della passività pretetica e preegoica, non sono però né materia inerte, né pura ricettività contrapposta agli atti di coscienza, ma sono piuttosto un momento che contempla già una propria tensione. L'affezione si rivela appartenere alla sfera passiva in quanto precede le attività coscienziali - e in ambito di fenomenologia genetica si è visto quanto per Husserl la precedenza abbia il valore di una condizione di possibilità. Tuttavia - e troviamo qui un primo esempio concreto del paradosso già contenuto nell'espressione sintesi passiva - l'affezione è già attiva in quanto si definisce come tendenza, un dirigersi verso, un'intenzione, sulla quale opera l'associazione istituendo i nessi tra i diversi momenti noematici. Tutto ciò all'insaputa della coscienza. La coscienza potrà, après coup, nachträglich, prenderne atto e articolarne, esplicitarne i momenti. Si è già accennato, nella parte dedicata alla breve contestualizzazione della passività nell'opera husserliana, a come questi principi della sintesi passiva siano riconducibili alla dimensione temporale della soggettività. Interessa però qui vedere come l'associazione e l'affezione rimandino insieme anche alla dimensione corporea della relazione costitutiva della soggettività Va tuttavia sottolineato, come d'altra parte nota lo stesso Holenstein, che nel lavoro husserliano, fatta eccezione per alcuni manoscritti inediti, la funzione sintetica corporea viene trascurata quando non sottomessa, in quanto sintesi spaziale, alle forme temporali della sintesi. Cfr. Holenstein, op. cit., § 33. Nella direzione di una complementarietà tra dimensione temporale e corporea va il saggio di D. Zahavi, sulla scorta delle tesi di Landgrebe, v. infra, nota 41. . Tale sviluppo è possibile attraverso i vari elementi che sono emersi dalla caratterizzazione dell'associazione e dell'affezione: infatti la sintesi passiva delle unità sensibli coinvolge la dimensione corporea sotto vari titoli: dai sensi implicati nelle sensazioni iletiche, allo schema corporeo condizione di movimento, alla materialità dei processi fisici HOLENSTEIN, op. cit., § 10, pp. 44-45. Holenstein rimanda anche ai manoscritti husserliani del gruppo D relativi alla «costituzione originaria».. 3. La passività come dimensione corporea della coscienza: affettività e pulsionalità Il saggio di D. Zahavi, Self-awareness and Affection In N. Depraz, D. Zahavi (eds.), Alterity and Facticity, Dordrecht, Kluwer, 1998, pp. 205-228., sviluppa ulteriormente le analisi sull'affezione e permette di considerare la passività non solo nel suo aspetto pretetico ma anche in quello più specificamente corporeo. Zahavi imposta la sua trattazione a partire da tre domande: se la consapevolezza di sé (Self-awareness) ne presupponga una preriflessiva; se questa consapevolezza di sé preriflessiva sia da pensare come autoaffezione (Self-affection); e infine, se questa autoaffezione non sia da pensare come eteroaffezione In questo Zahavi si avvicina alla questione dell'estraneità corporea, affrontata in questo studio a partire dall'opera di Waldenfels. V. infra, § IV.. Prendendo in considerazione i testi sulla coscienza interna del tempo, Zahavi afferma che «la consapevolezza di sé preriflessiva [...] non va in alcun modo intesa come un particolare atto intenzionale, ma piuttosto come una dimensione pervasiva di autoaffezione» «Prereflective self-awareness [...] is by no means to be understood as a particular intentional act, but rather as a pervasive dimension of self-affection», D. Zahavi, op. cit., p. 212.. Al livello pretetico questa autoaffezione rimedia all'insufficienza manifestata dalla ritenzione nello spiegare come possa sussistere, ad esempio, la memoria di un suono che non è mai stato percepito consapevolmente «Thus Husserl insists that the retention presupposes an impressional (primal, original) self- manifestation. It is exactly this self-awareness wich is retentionally modified, when P(t) is transformed into Rp(t): the tone is not only given as having-just-been, but as having-just-been-experienced [...] We are dealing with a type of self-affection», [Così Husserl insiste sul fatto che la ritenzione presuppone un'automanifestazione impressionale (primaria e originaria). E' proprio questa consapevolezza di sé che viene ritenzionalmente modificata, quando P(t) si trasforma in Rp(t): il suono non è solo dato come esser-stato, ma come esser-stato-appena-esperito (…) Abbiamo a che fare con un tipo di autoaffezione»], D. ZAHAVI, op. cit., p. 213.. Per spiegare dunque in che cosa consista questa autoaffezione, questa autoriflessività pretetica, Zahavi si volge a considerare la dimensione corporea della percezione nella sua dimensione passiva. Partendo dalle analisi di Idee II, dedicate alla costituzione della cosa spaziale, Zahavi individua come per Husserl la percezione sia accompagnata da una «autosensazione o autoaffezione del corpo in movimento» «Self-sensation or self-affection of the moving body», ibidem, p. 214.. Il corpo come insieme di sensazioni visive e tattili e come sistema motorio è il supporto o correlato della percezione di oggetti spaziali. L'affezione prevede dunque una dimensione corporea, essendo la sintesi passiva che procede dall'affezione e dalle sintesi associative un momento pretetico che implica l'unificazione corporea dei campi dell'esperienza sensibile. E' qui in gioco la dimensione corporea della passività Va notato che viene qui trattata una dimensione del corpo generalmente trascurata, quella appunto passiva. In genere, invece, delle analisi husserliane è stato privilegiato il corpo strumentale, estensione aproblematica della volontà, il corpo proprio o dell'«io posso». Cfr. il recente D. Welton (ed.) Body and Flesh, Oxford, Blackwell, 1998. che Zahavi illustra affrontando la distinzione tra il corpo come corpo vissuto (Leib) e il corpo percepito (Leibkörper). «Originariamente non ho consapevolezza del mio corpo. Io non lo percepisco, lo sono» «Originally, I do not have any consciousness of my body. I am not perceiving it, I am it.«, Zahavi, op. cit., p. 215. . In altri termini, la dimensione corporea della passività si esprime attraverso un'organizzazione di cui il corpo dispone precedentemente alla consapevolezza attiva e coscienziale di sé. Si tratta dello schema corporeo o dell'immagine inconscia del corpo Cfr. S. Gallagher, J. Cole, Body Image and Body Schema, in D. Welton (ed.) Body and Flesh, Oxford, Blackwell, 1998, v. anche il contributo di S. Gallagher, Body Schema and Intentionality, in J. L. Bermudez et alii (eds.), The Body and the Self, Cambridge MA, MIT Press, 1998, che si rifà all'ambito delle scienze cognitive. In ambito psicoanalitico, cfr. F. Dolto, L'image inconsciente du corps, Paris, Seuil, 1984.. L'affezione è dunque quel momento della passività che collega temporalità e corporeità, poiché è impossibile separare la consapevolezza di sé preriflessiva della coscienza interna del tempo, articolata nella struttura dell'impressione primaria ritenzione-protenzione, dal contenuto iletico, dall'affezione iletica. L'affezione ci porta così «alle esperienze cinestetiche e alla nostra sensibilità corporea» Su questa connessione Zahavi rimanda al lavoro di L. Landgrebe, Der WEg in der Phänomenologie, Gütersloh, Mohn, 1963 (trad. it. Itinerari della fenomenologia, Genova, Marietti, 1974). V. anche U. Claesges, Zeit und kinästhetisches Bewußtsein. Bemerkungen zu einer These Ludwig Landgrebes, in «Phänomenologische Forschungen»1983 (14), pp. 138-151. Cfr. anche M. Richir, Synthèse passive et temporalisation/spatialisation, in E. Escoubas, M. Richir (sous la direction de), Husserl. Collectif, Grenoble, Millon, 1989. . La dimensione passiva si presenta dunque, nel saggio di Zahavi, come dimensione corporea necessaria all'isituirsi della coscienza e più in generale della soggettività. In questo caso la dimensione corporea si presenta - attraverso le impressioni sensibili e lo schema cinestesico - come una sorta di risvolto della coscienza, come un corpo che, sebbene già diverso dal corpo strumentale dell'«io posso» Cfr. E. Husserl, Idee II, cit., §§ 35-42., è ancora un corpo commensurabile all'ordine della coscienza. Nel lavoro di N. Lee, Husserls Phänomenologie der Instinkte Dordrecht, Kluwer, 1993. V. anche N. LEE, E. Husserl's Phenomenology of Mood, in N. Depraz, D. Zahavi (eds.), op. cit., pp. 103-120., la dimensione corporea della passività si sostanzia invece sul versante più decisamente materiale degli istinti o pulsioni. Il testo procede trattando le questioni preliminari a un'indagine fenomenologica dell'istinto; questioni che abbiamo visto ritornare anche nelle opere esaminate fin qui. Lee avverte infatti sin dall'inizio che il tema dell'istinto non va affrontato in senso né psicologico né biologico, bensì come problema trascendentale. Questa precisazione va intesa in senso strettamente fenomenologico: l’indagine dovrà tenere conto dell'accesso che la coscienza ha all'istinto come fenomeno. Si danno allora alcune implicazioni: a) per poter accedere al fenomeno-istinto l'indagine statica non è utilizzabile, va utilizzata invece l'idagine genetica; b) questo impone un metodo appropriato, segnato dalla posteriorità e dalla decostruzione dei fenomeni che si danno alla coscienza; c) l'istinto come fenomeno si precisa allora come intenzionalità istintuale/pulsionale (Triebintentionalität) e come ereditarietà innata (Erbmasse). I capitoli I-II della prima parte affrontano la distinzione tra fenomenologia statica e fenomenologia genetica, il capitolo III è dedicato alla precisazione relativa al metodo decostruttivo e indiretto per accedere al problema dell'istinto, e infine il capitolo IV verte sull'individuazione del tema nell'opera husserliana. Nella seconda parte l'istinto si delinea in relazione alla sintesi passiva, mentre nella terza e quarta parte il tema viene approfondito in rapporto alla Lebenswelt e alla dimensione trascendentale della fenomenologia. Procedendo a ritroso, l'analisi di Lee prende in considerazione la connessione tra istinto e sintesi passiva: se la percezione viene individuata come un «sistema dell'intenzionalità istintuale/pulsionale» (p. 85), al livello delle sintesi passive emerge un «Trieb zur Wahrnehmung», una pulsione alla percezione (p. 88). Nel flusso temporale si fa strada dunque la tendenza all'oggettivazione che, procedendo per gradi, porterà a esplicitare l'atto intenzionale oggettivante vero e proprio. Ma nella dimensione passiva più originaria, istinto e pulsione funzionano in modo cieco ai due livelli dell'impressione e del flusso del presente vivente, dove non si dà più alcuna trascendenza, nessuna tensione, ma solo la forma di un sentimento o tonalità affettiva (Stimmung) che istituisce passivamente un'apertura sul mondo Su questo punto, N. Lee propone una differenziazione tra Husserl e Heidegger, in N. Depraz, D. Zahavi (eds.), op. cit. . Per quanto Lee manchi di mettere nel dovuto rilievo la dimensione corporea dell'istinto/pulsione, è possibile fare una precisazione proprio partendo dal suo lavoro. In effetti, nella terza parte, Lee rimanda esplicitamente all'opera psicoanalitica di S. Freud e l'istinto viene definito, nella parte dedicata alla sintesi passiva, in termini energetici, quale forza pulsionale (Triebkraft) Die Intentionalität des Ursprünglichen Instinktes der Objectivierung als die Triebkraft der passiven Synthesis, op. cit., pp. 107-110.. La distinzione tra istinto (Instinkt) e pulsione (Trieb) «Not 'instinct'», specifica D. Cairns alla voce «Trieb» del suo Guide for Translating Husserl, Den Haag, Nijhoff, 1973., che Lee sottovaluta, è di primaria importanza nell'opera freudiana: alla pulsione intesa come spinta motivante, come forza propulsiva relativamente indeterminata verso un oggetto contingente, si contrappone l'istinto che implica modelli fissi di comportamento, meccanismi innati di evocazione a opera di stimoli-segnali specifici. La pulsione come spinta energetica rimanderebbe alla dimensione corporea dell'inconscio, alla dimensione corporea della passività che già al livello preegoico si istituisce come trascendimento. Non è dunque un caso che Lee possa sviluppare ulteriormente le sue analisi sull'istinto, in relazione al mondo-della-vita, nella direzione di un'ereditarietà (Erbmasse) innata, dimensione passiva che si struttura e sedimenta nei fattori ereditari, arrivando a mettere a tema la necessità di un'indagine fenomenologica sulla vita prenatale, quale esempio per antonomasia di un passasto fisico-corporeo che non è mai stato presente. Questa assunzione porta Lee a rivalutare il ruolo che le scienze empiriche possono svolgere in rapporto alla riflessione fenomenologica, in quanto possono offrire materiali per l'osservazione di un'esperienza che non può darsi in prima persona. Si rivela qui un grave limite di questo lavoro, che perde di vista la possibilità del resoconto di un'esperienza vissuta della dimensione relazionale e corporea costitutiva della soggettività E' questo campo di riflessione che può aprirsi a partire dal lavoro di autrici quali L. Muraro, L. Irigaray, J. Kristeva. Sulla questione più specifica della vita prenatale e dell'esperienza di gravidanza, v. M.L. Boccia, G. Zuffa, L'eclissi della madre, Parma, Pratiche, 1998. . Nonostante alcuni limiti, la proposta di Lee offre spunti interessanti per ripensare una dimensione corporea che va al di là del corpo come “io posso” o come corpo autoriflessivo, riaprendo, da una parte, a una concezione corporea dell'inconscio e, dall'altra, a una valorizzazione della materialità fisica dei processi soggettivi E' di estrema attualità la linea di ricerca che recupera alla riflessione filosofica la dimensione corporea, ma di un corpo impersonale, che altrimenti rimarrebbe oggetto della sola indagine scientifico-positiva, v., ad esempio, il recente lavoro di F. Rella, Ai confini del corpo, Milano, Feltrinelli, 2000. Fra i tentativi più recenti di coniugare la riflessione fenomenologica e l'approccio delle scienze cognitive: J. Petitot, F.J. Varela et alii (sous la direction de), Phénoménologie naturalisée, Paris, Vrin, 2000; B. Waldenfels, Mens sive cerebrum. Intentionalität in mentalischer Insicht, «Philosophische Rundschau«, 1984 (31) pp. 22-52; M. Richir, Le problème de l'incarnation en phénoménologie, in M.-P. Laroche (sous la direction de), L'âme et le corps, Paris, Plon, 1990, pp. 163-184; J. Bermudez et alii (eds.), The Body and the Self, cit. V. anche il volume monografico, Phénoménologie et psychologie cognitive, «Etudes philosophiques»1991 (1).. 4. La passività come dimensione non egoica della soggettività La passività in relazione alla sfera dell'ego viene generalmente indicata come sfera dell'anonimo e dell'indifferenziato; in gradi successivi e retroattivi la dimensione egoica si dissolve nel flusso temporale, o in una corporeità indifferenziata, o ancora in una dimensione di materialità priva di forma E' questa l'indicazione che emerge indistintamente nei lavori degli autori citati fin qui, da Montavont, a Zahavi, a Lee. Sulla dimensione non egoica della coscienza nella fenomenologia Husserliana, v. l'articolo inaugurale di A. Gurvitsch, A non-egological concept of consciousness, «Philosophy and Phenomenological Research», vol. 1, 1940-1941, pp. 325-338. . Quando allora si pone il problema di giustificare o descrivere il costituirsi dell'intersoggettività - altra forma della dimensione non egoica della coscienza - l'indagine fenomenologica si trova in difficoltà, sospesa com'è tra l'indifferenziato anonimo e l'intersoggettivo Con questa osservazione raccolgo l'esortazione di Luce Irigaray a non confondere i piani del non egoico e dell'indifferenziato e a introdurre piuttosto la possibilità di una relazione originaria costituente la soggettività. V. L. IRIGARAY, Ce sexe qui n'en est pas un, Paris, Minuit, 1975 (trad. it. Questo sesso che non è un sesso, Milano, Feltrinelli, 1975, pp. 170-180). Per una considerazione, in ambito più strettamente fenomenologico, della relazione, v. in particolare E. Paci, Tempo e verità, cit.. C'è tuttavia una strada da seguire che permette di intravvedere le potenzialità del discorso husserliano e di mettere a profitto connessioni che altrimenti passano inavvertite. E' nel lavoro di Ichiro Yamaguchi, Passive Synthesis und Intesubjectivität bei Edmund Husserl, che si trova questa possibilità, in particolare nel ruolo centrale che viene destinato alla nozione di Paarung Generalmente tradotto con appaiamento, si sceglie di tradurlo qui con relazione., principio della sintesi passiva, forma non egoica della costituzione della soggettività. Yamaguchi è sostenuto in questa sua operazione dalle stesse parole di Husserl, che afferma La Paarung, ossia il presentarsi configurato come una coppia e successivamente come gruppo o moltitudine, è un fenomeno universale della sfera trascendentale E. Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 132.. Yamaguchi procede per gradi delineando e periodizzando la differenza tra sintesi passiva e sintesi attiva (§§1-5); individua poi le strutture della sintesi passiva, tra le quali troviamo le leggi di coesistenza e successione, la sintesi affettiva associativa, la sintesi preaffettiva, la Paarung (§ 13), la Triebintentionalität e l'associazione nel flusso temporale immanente. La lettura di Yamaguchi dà dunque molto spazio alla Paarung che, in quanto forma di associazione, viene esaminata sul duplice piano conoscitivo e intersoggettivo. Questa si presenta come un nesso di somiglianza (Ähnlichkeitsverbindung) che vale «come importante principio per la fondazione della sintesi passiva e analogizzante dell'esperienza dell'estraneo» «Als wichtiges Prinzip für die Begründung der passiven, analogisierenden Synthesis der Fremderfahrung», I. Yamaguchi, op. cit., p. 53. . Va osservato come questa continuità renda difficile pensare a una dissociazione tra analisi antropologica e analisi gnoseologica in Husserl; in realtà lo stesso principio che si rivela essenziale nell'istituzione passiva della coscienza, ricorre come principio essenziale dell'istituirsi passivo dell'intersoggettività. Lo sviluppo della Paarung come momento essenziale della costituzione passiva del'intersoggettività viene inizialmente delineato da Yamaguchi in contrasto con l'opera di M. Theunissen M. Theunissen, Der Andere, De Gruyter, Berlin 1965., che critica la teoria dell'intersoggettività husserliana in quanto centrata sull'ego e basata su una impropria differenziazione tra Paarung di corpi fisici esterni (Körper) e appresentazione di corpi viventi altrui (Leib). Yamaguchi ritiene però che questa obiezione lasci intoccata la validità del ricorso alla Paarung, perché Theunissen trascura di considerarla nella sua dimensione passiva, quale principio pretetico, a monte e dunque istituente la possibilità di successivi atti intenzionali oggettivanti. La Paarung è infatti un'unità associativa tra due corpi che si dà nella passività, unità che potrà essere chiarita con indagini psicologiche sulla prima infanzia, ma che va poi riformulata fenomenologicamente alla luce dell'intersoggettività attiva Sottolineo come l'indagine sulla dimensione passiva porti, nel caso di Lee e di Yamaguchi, a porre il problema del rapporto tra origine filosofica e origine cosiddetta naturale e che la risposta sia in genere quella di una superiorità della prima sulla seconda. Ritengo che invece la fenomenologia offra un potenziale che permette di accogliere l'avvertimento di L. Muraro: «come sappiamo, i filosofi si sono ispirati alla figura e all'opera della madre. Essi però, invertendo l'ordine dell'operazione compiuta, hanno presentato l'opera materna come una copia», in L'ordine simbolico della madre, Roma, Editori Riuniti, 1991, p. 20.. La Paarung rivela un io che è precostituito dualmente. Si potrebbe riassumere l'assunto della Paarung nell'affermazione che bisogna essere due per essere uno. Si dà così un ulteriore sviluppo: questa dualità precostituente l'io non può non avere una dimensione corporea, in quanto, stando alla Paarung, l'unità associativa passiva interviene tra due corpi, abbracciando sia il tratto intersoggettivo che quello corporeo. Seguendo le considerazioni di Yamaguchi, si può rintracciare una linea di analisi husserliana Svolta in particolare in Husserliana Bd. XIV, cit., pp. 491 e 521-522.   per la quale la riflessività del corpo vissuto è tale solo in virtù di una precedente sintesi associativa passiva tra corpo interno e corpo esterno I. Yamaguchi, op. cit., pp. 92-93. Non è questa la sede per sviluppare le implicazioni di questo aspetto della dimensione passiva, mi limito qui a prospettare sviluppi a partire dal lavoro filosofico che alcune autrici, come L. Irigaray, J. Kristeva e L. Muraro, hanno elaborato sulla questione della relazione corporea inaugurale della soggettività. Necessario anche il riferimento all'analisi della relazione corporea originaria che J. Lacan effettua nel suo «stadio dello specchio».. La Paarung si rivela essere alla base della costituzione dell'ego e dell'alter ego, quale fenomeno retto dalla legge di somiglianza. Il riconoscimento di somiglianza sembra essere alla base delle dinamiche dell'intersoggettività e i lavori di N. Depraz e di B. Waldenfels – con i quali si conclude questa analisi - stanno a mostrare che la questione può essere ulteriormente articolata. In Transcendance et incarnation N. Depraz, Transcendance et incarnation, cit., Natalie Depraz sviluppa la nozione husserliana di intersoggettività come base di quell'esperienza di «alterità a se stessi» che ha un'ineludibile dimensione corporea. E' infatti proprio l'«appercezione del mio corpo vissuto come corpo fisico» che funge da «primo presupposto dell'entropatia» Husserliana Bd. XV, op. cit., Beil. LIV. ovvero della percezione dell'esistenza altrui. Il lavoro di Depraz V. in particolare N. DEPRAZ, op. cit., pp. 127-169. mette in evidenza come l'esperienza dell'altro e la percezione della dimensione corporea si rimandino circolarmente e non possano essere pensate l'una senza l'altra. Ancor prima di una strutturazione della coscienza come attività oggettivante, la dimensione di alterità si pone al cuore della soggettività in quella dimensione passiva che dona in unità il corpo proprio e quello altrui, l'ego e l'altro. Nelle trattazioni precedenti si è visto che la dimensione passiva pretetica, pur ponendosi a monte dell'oggettivazione, non perde per questo la struttura intenzionale come tendere verso: lo si è visto per la nozione di affetto come Reiz, come impulso, ed anche per la nozione di intenzionalità pulsionale. Da questo punto di vista la dimensione passiva, pur non contemplando l'attività oggettivante di coscienza, si presenta come apertura, tensione verso qualcosa. Nella trattazione di Depraz è centrale la nozione di alterità che, sul doppio versante dell'altro e del corpo, decentra l'ego e prospetta una dimensione non egoica della fenomenologia husserliana Sulla passività, v. anche N. Depraz, Imagination and Passivity, in N. Depraz, D. Zahavi, op. cit., pp. 29-56.. La Paarung viene letta a ritroso attraverso la nozione di entropatia e il suo funzionamento basato sull'analogia. Ora l'analogia, come il nesso di somiglianza in Yamaguchi, riconducono l'intersoggettività alla dimensione dell'alterità in relazione all'ego; in altri termini l'intersoggettività è giocata, almeno inizialmente, come un riconoscimento di somiglianza tra ego e alter ego. Va tuttavia fatta una precisazione cui si prestano le stesse parole dell'autrice riguardo alla traduzione del termine husserliano Fremderfahrung tradurre con 'esperienza dell'altro' può stupire: si neutralizza così l'estraneità presente in fremd. L'esperienza dell'altro è meno un'esperienza dell'estraneo o dello strano (étrange) e più quella dell'altro come ego 'che mi somiglia', come prossimo «Traduire par 'expérience de l'autre' peut étonner: on neutralise alors l'étrangeté présente dans fremd. L'expérience d'autrui est moins une expérience de l'étranger ou de l'étrange que de l'autre comme ego 'qui me ressemble', comme prochain», in N. DEPRAZ, Transcendance et incarnation, cit., p. 344. (344) Ora, c'è la possibilità di non rendere la trattazione husserliana dell'intersoggettività - o, nei termini usati fin qui, della passività come dimensione non egoica della soggettività - prigioniera della sola categoria di somiglianza, intesa come prossimità o familiarità. E' infatti la passività come esperienza di un'estraneità inerente alla costituzione della soggettività che emerge nelle recenti ricerche di Bernhard Waldenfels e in particolare nei suoi Studien zur Phänomenologie des Fremden Sono usciti a oggi tre volumi rispettivamente intitolati: Topographie des Fremden, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1997; Grenzen der Normalisierung, 1998 e Sinnesschwellen, 1999. Sull'estraneità inerente alla soggettività, v. cap. 5, Fremdes in uns selbst, in Topographie des Fremden, cit., pp. 27-33. V. anche il lavoro di A.J. Steinbock, Home and Beyond, cit.. L'estraneità, soglia della soggettività cosciente, che costituisce ed è esperita dalla soggettività senza tuttavia che questa la controlli, si presenta in varie forme e a vari livelli di esperienza: dall'estraneità topografica definita in relazione al territorio e alla nazione (Topographie des Fremden), all'estraneità che attraversa l'agire e l'organizzazione sociale (Grenzen der Normalisierung), a quella corporea, infine, che appartiene alla natura come all'arte (Sinnesschwellen). Pur registrando la difficoltà di pensare e parlare di un'estraneità che in quanto tale dovrebbe sottrarsi a qualsiasi accesso coscienziale diretto, Waldenfels afferma che io stesso prendo inizio non da me stesso ma piuttosto con l'appello dell'altro [...] L'esperienza dell'estraneo è e rimane una forma dell'esperienza, per quanto solo nella forma paradossale dell'inaccessibilità «Ich selbst nicht bei mir selbst, sondern mit dem Anspruch des Anderen beginne [...] Fremderfahrung ist und bleibt eine Form der Erfahrung, nur eben der paradoxen Form einer originären Unzugänglichkeit», Topographie des fremden, cit., p. 30. Negli studi di Waldenfels l'estraneità è quel momento della passività che si rivela quando viene definitivamente assunto a punto di partenza dell'indagine, e come indicazione metodologica, quell'interrogazione a ritroso L'estraneità può esser colta solo «nella forma di un'interrogazione a ritroso»(«nur in Form einer Rückfrage faßbar ist»), dice Waldenfels, ibidem, p. 47. già incontrata negli altri lavori esaminati. Così l'autore indaga sulle forme in cui si presenta l'estraneità - dimensione non egoica, relazionale, corporea della soggettività nei suoi aspetti collettivi, istituzionali e sociali - lavorando a togliere, a «decostruire» (abbauen) l'ordine del discorso per individuarne i luoghi e i tratti esperienziali. Seguendo il taglio di questa analisi vengono qui presi in esame i capitoli Eigenleib und Fremdkoerper; Der Kranke als Fremder; Fremdheit des anderen Geschlechts Rispettivamente in Grenzen der Normalisierung, cit., pp. 116-149; ibidem, pp. 150-195; in Sinnesschwellen, cit., pp. 33-52.. In Eigenleib und Fremdkörper sono ripresi e sviluppati i punti tematici messi in evidenza fin qui: la proprietà dell'io, la dimensione del proprio, si istituisce a partire da un tratto di estraneità, e questa si presenta al livello più elementare nel gioco tra autoaffezione e affezione estranea (Fremdaffektion), ed è da ricondurre alla dimensione corporea della soggettività, dimensione passiva in quanto preegoica e materiale «Il corpo è qualcosa di più e d'altro che non un qualcosa di comprensibile o spiegabile» («Der Leib ist mehr und anderes als ein verständliches oder erklärbares Etwas»), in Sinneschwellen, cit., p. 12.. Il corpo proprio vissuto si trova così a essere attraversato dall'estraneità che inizia con la nascita, che è sempre un passivo mostrare e mai un fare, e si ripete a ogni accadimento che si configura come nascita. Nelle considerazioni di Waldenfels ritornano le implicazioni della dimensione passiva corporea e relazionale individuate da Lee e da Yamaguchi. Ulteriormente l'estraneità si presenta come materialità, come condizione dell'esperienza di materialità dove il corpo proprio vissuto (Leib) si mostra come corpo che ci appartiene ma non come corpo funzionale-strumentale. E' nel capitolo Der Kranke als Fremder che questa idea viene sviluppata ed è interessante per mettere in luce una nuova articolazione della passività come dimensione corporea e non egoica. Troppo spesso è stata messa in evidenza la trattazione husserliana del corpo vissuto (Leib) come corpo dell' “io posso”, come estensione della volontà. Il corpo malato, di contro, che non risponde né alla volontà né all'idea sociale di normalità, si presenta come esperienza di estraneità. In altri termini, la malattia è quel momento di passività in cui l'estraneità si istituisce come limite/soglia dell'individuo. Ma la malattia per Waldenfels, fedele all'intreccio fenomenologico tra corpo fisico e corpo psichico, è anche esperienza di estraneità psichica, fenomeno di passività che introduce l'estraneità e la materialità («l'estraneità del corpo proprio dischiude un'esperienza di materialità» «Fremdheit des eigenen Leibes schließt eine Erfahrung von Materialität», Grenzen der Normalisierung, cit., p. 51.) come limite dell'ego al cuore della soggettività stessa. Waldenfels è perentorio: «L'estraneo non si trova meramente all'esterno di me stesso, ma si dà piuttosto un'estraneità nel proprio» «Das Fremde findet sich nicht bloss ausserhalb meiner selbst, sondern es gibt eine Fremdheit im Eigenen», ibidem, p. 136.. Questa affermazione è possibile a partire dalla rilettura delle stesse tesi husserliane, utilizzando quella prospettiva storico-filosofica che unisce a ritroso M. Foucault e le sue indagini sulla costituzione sociale del senso del corpo e della malattia; la trattazione di G. Canguilhem sul normale e il patologico; gli sviluppi fenomenologici di M. Merleau-Ponty sull'esperienza di estraniazione rispetto al corpo proprio e l'opera, ampiamente discussa, di Julia Kristeva sull'estraneità a se stessi J. Kristeva, Etrangers à nous-mêmes, Paris, Fayard, 1988 (trad. it. Stranieri a se stessi, Milano, Feltrinelli, 1990). . Infine l'estraneità in quanto «estraneità dell'altro sesso» si presenta come un'ulteriore aspetto della passività, come dimensione non egoica, corporea e intersoggettivo-linguistica. La sessuazione del corpo non dipende dalla volontà egoica, si presenta come un fenomeno che partecipa della natura come della cultura e che è regolato dai principi di una doppia asimmetria («l'uomo non si relaziona alla donna nello stesso modo in cui la donna si relaziona all'uomo» «Der Mann verhält sich zur Frau nicht wie die Frau zum Mann», Sinnesschwellen, cit., p. 178. Waldenfels rimanda a Luce Irigaray, autrice del testo fondativo di un pensiero della differenza sessuale, Speculum, Minuit, Paris 1974 (trad. it. Speculum, Milano, Feltrinelli, 1975).) e di una differenza nella differenziazione; in altri termini si tratta di una differenza che precede l'individuazione, che si dà dunque nella passività, e che si fa tale in un processo continuo. In conclusione di questo studio sulla passività a partire dalla fenomenologia di Husserl rimangono aperte alcune questioni. Negli studi sulla dimensione passiva - fatta eccezione per il lavoro di Yamaguchi, eccezione comunque parziale - la dimensione pretetica e non egoica finisce per essere ricondotta a una dimensione genericamente anonima. La nozione di Paarung, definita come relazione corporea costitutiva, si presta a essere una nozione filosoficamente più adeguata. In altri termini la Paarung è una nozione propriamente trascendentale, che mostra al contempo un fenomeno e la sua costituzione, nel mantenimento dei limiti dell'accesso soggettivo ad esso, cosa che ha implicazioni metodologiche (il metodo come Rückfrage). La dimensione passiva come dimensione anonima invece, proprio perché esclude l'accesso della soggettività a quel che non si configura più come un fenomeno bensì come 'sfondo', porta l'indagine filosofica su un piano metafisico che annulla una delle caratteristiche migliori della fenomenologia, la possibilità di un nesso tra riflessione filosofica e esperienza soggettiva. Istituendosi in un approccio genetico, la trattazione della passività pone inoltre il problema dell'origine, che però viene sopravvalutata e sottovalutata al contempo: viene messa a distanza ma anche esclusa in modo da potersi istituire come condizione di possibilità. Nel caso della passività intesa come relazione corporea, si dà tuttavia la possibilità di esercitare un approccio che mantenga il valore dell'esperienza presente di un fenomeno e dei suoi principi, la cui realizzazione eccede il presente stesso. Grazie alle recenti ricerche sulla relazione corporea costitutiva di autrici quali Luce Irigaray, Luisa Muraro e Julia Kristeva, la Paarung può tornare invece a farsi tema filosofico senza essere relegata, e innalzata, a momento originario di una genesi, per farsi piuttosto processo e principio che struttura il presente. Il contributo della riflessione di queste autrici sulla relazione corporea permette inoltre di sviluppare filosoficamente quelle che altrimenti rimangono tesi ingenue. Partendo senza esplicitarlo dall'esperienza vissuta di un corpo maschile e sospendendola fenomenologicamente, N. Lee ne fa infatti la norma, il punto di avvio per indagare sulle dimensioni prenatali della soggettività, definendo queste come «un passato che non è mai stato presente». Ricentrandosi invece sulla relazione corporea costitutiva è possibile partire da un fatto evidente che si offre all'indagine filosofica: la dimensione prenatale della soggettività è una relazione asimmetrica tra due poli, uno dei quali, la madre, dispone di un'esperienza al presente. Non potendo ricorrere a questo presente, Lee opera un salto argomentativo e si rivolge direttamente alle osservazioni delle scienze positive. A partire dalla riflessione filosofica femminile si può invece riprendere, senza cadere in un atteggiamento antiscientista, l'operazione di critica e ampliamento filosofico delle osservazioni scientifiche, quando queste trascurino il necessario rapporto tra esperienza e soggettività. 14