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Giudizi universali. Reti devozionali e tensioni escatologiche attorno ai gesuati milanesi1 Edoardo Rossetti sommario: Nel presente studio si tenta di tracciare, in via preliminare, un quadro delle reti di rapporti parentali, sociali e culturali, le «clientele devozionali», entro i quali si mossero i gesuati milanesi, con particolare attenzione al periodo in cui la congregazione fu in rapporto con l’animatore del concilio Pisa-Milano (1510-1512), il cardinale castigliano Bernardino López de Carvajal. La ricostruzione si basa essenzialmente su una serie di testamenti rintracciati all’interno del Fondo Notarile dell’Archivio di Stato di Milano e dell’inedito e prezioso Libro de’ testamenti e legati à favore de’ padri di San Girolamo. Punto di partenza è la fondazione (1457-1458) del cenobio di San Girolamo fuori Porta Vercellina a Milano, ricordata con dovizia di particolari da Paolo Morigia e ricondotta al contesto topografico urbano e ai progetti di addizione di Ludovico il Moro (1497). La serie di edifici costruiti o solo progettati allora nel quartiere di San Girolamo rispecchia di fatto la rete di rapporti intrattenuti dai gesuati in città. Di questi si evidenziano in particolare quelli con la Confraternita di Santa Corona, le terziare domenicane di Santa Caterina (San Lazzaro), le agostiniane di Santa Marta e i frati amadeiti della Pace. Si tratta degli stessi gruppi ai quali sembra vicino il cardinale Carvajal nelle sue due visite a Milano (1496-1497, 1510-1512). Il mecenatismo del porporato – che interessa anche i gesuati con un affresco di Giudizio universale e che si arricchisce di un nuovo messale miniato – sono poi occasione per delineare la tipologia delle tensioni escatologiche milanesi sullo scorcio del XV secolo e nei primi due decenni del Cinquecento. Non sono numerosi gli interventi volti ad analizzare il clima religioso e le reti devozionali della Milano del primo Rinascimento. D’altra parte, in un’ottica più specifica, il centro gesuato milanese di San Girolamo ha goduto di ancora minore attenzione, benché risulti essere stato – anche per il suo rapporto peculiare con lo storiografo Paolo Morigia – uno dei più importanti cenobi della congregazione per tutto il XVI secolo2 . La situazione è il risultato, da un lato di una minore 1 2 Per il confronto, le varie segnalazioni e i suggerimenti si ringraziano Letizia Arcangeli, Stefania Buganza, Carlo Cairati, Nadia Covini, Isabella Gagliardi, Adelisa Malena, Cristina Quattrini, Roberta Ramella, Rossana Sacchi e Nicola Turati. Per gli studi su san Girolamo cfr. almeno G. Dufner, Geschichteder Jesuaten, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1975, pp. 326-334; E. Rossetti, Uno spagnolo tra i francesi e la devozione gesuata: il cardinale Bernardino Carvajal e il monastero di San Girolamo in porta Vercellina a Milano, in F. Elsig, M. Natale (a cura di), Le duché de Milan et les commanditaires français (1499-1521), Viella, Roma 2013, pp. 181-235. In generale per un quadro del clima religioso milanese in questi Edoardo Rossetti, SUPSI, University of Applied Sciences and Arts of Southern Switzerland, Switzerland, edoardo.rossetti@supsi.ch, 0000-0003-4653-4107 FUP Best Practice in Scholarly Publishing (DOI 10.36253/fup_best_practice) Edoardo Rossetti, Giudizi universali. Reti devozionali e tensioni escatologiche attorno ai gesuati milanesi, pp. 189-225, © 2020 Author(s), CC BY 4.0 International, DOI 10.36253/978-88-5518-228-7.15, in Isabella Gagliardi (edited by), Le vestigia dei gesuati. L’eredità culturale del Colombini e dei suoi seguaci, © 2020 Author(s), content CC BY 4.0 International, metadata CC0 1.0 Universal, published by Firenze University Press (www.fupress.com), ISBN 978-88-5518-228-7 (PDF), DOI 10.36253/978-88-5518-228-7 EdoArdo roSSEttI attenzione ai fatti devozionali degli studiosi di primo Rinascimento lombardo, rispetto a quella riservata ad altri snodi storiografici, dall’altro all’intricata vicenda conservativa dei documenti prodotti dai gesuati dell’ex ducato di Milano3. Nel presente studio si tenta di tracciare, in via preliminare, un quadro delle reti di rapporti parentali, sociali e culturali, le «clientele devozionali», per usare un’espressione di Roberto Rusconi4, entro i quali si mossero i gesuati milanesi, con particolare attenzione al periodo in cui la congregazione fu in rapporto con l’animatore del concilio Pisa-Milano (1510-1512), il cardinale castigliano Bernardino López de Carvajal5. 1. topografie urbane e spazi sacri: la fondazione di San Girolamo a Milano Stando allo storiografo della congregazione e della nobiltà ambrosiana, Paolo Morigia, il complesso gesuato di San Girolamo sorse appena fuori Porta Vercellina su patronage ducale dal 1458 tramite la cessione di terreni appartenenti a casa Morigia6. Ovviamente, gli eventi relativi alla fondazione furono più articolati rispetto a questa sintesi che risulta comunque nei tratti generali fededegna7 (Fig. 1). 3 4 5 6 7 anni si rinvia alle pagine introduttive di E. Bonora, I conflitti della Controriforma. Santità e obbedienza nell’esperienza religiosa dei primi barnabiti, Le Lettere, Firenze 1998, pp. 20-119. Sull’orientamento degli studi lombardi cfr. G. Chittolini, Introduzione, in Id. (a cura di), Gli Sforza, la Chiesa lombarda, la corte di Roma. Strutture e pratiche beneficiarie nel ducato di Milano, Gisem-Liguori Editore, Napoli 1989, pp. XI-XXI: XI; si veda anche C. Belloni, A proposito di una recente edizione di fonti vaticane e di un progetto di ricerca sulle istituzioni ecclesiastiche nel ducato di Milano, «Nuova Rivista Storica», 84, 2000, pp. 421-434. Nell’affrontare lo studio dei gesuati milanesi bisogna tenere conto delle particolari condizioni lombarde della soppressione del 1668, mediata direttamente presso la corte romana dall’arcivescovo milanese e cardinale di Santa Croce in Gerusalemme, Alfonso Litta. A differenza di quanto accadde per i cenobi veneti, i documenti dei centri dipendenti da Milano non furono inviati a Roma, ma per la maggior parte confluirono, insieme ai beni immobili dell’ordine, tra le carte dell’antica commenda milanese di Santa Croce, appannaggio del Litta. I documenti dei gesuati milanesi si devono quindi rintracciare nei fondi dell’Archivio di Stato di Milano (da ora in poi ASMi), non solo sotto la dicitura San Girolamo, ma soprattutto sotto quella di Santa Croce. R. Rusconi, Gli ordini mendicanti tra Rinascimento e Controriforma: eremi e riforme, conventi e città, missioni e campagna, in Città italiane del Cinquecento tra Riforma e controriforma, Pacini Fazzi, Lucca 1988, p. 271. L’importanza di questa congiuntura sulla devozione gesuata e milanese in Bonora, I conflitti della Controriforma, cit., pp. 33-46; I. Gagliardi, “Li trofei della croce”. L’esperienza gesuata e la società lucchese tra Medioevo ed Età Moderna, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2005, pp. 235-243. Paolo Morigia (Historia dell’antichità di Milano, Guerra, Venezia 1592, p. 157) menziona esplicitamente una donazione ducale di 2.800 fiorini puntualmente riscontrabile, come si annota di seguito; per san Girolamo si veda anche Id., La Nobiltà di Milano, Pacifico Pontio, Milano 1595, pp. 41-42, 277, 281. D’esempio, a dimostrare che la lieve distorsione interessata dello storiografo gesuato nel tirare in scena la propria casata non era del tutto forzata, anche se l’appezzamento di terra 190 GIUdIZI UNIVErSALI Figura 1. Antoine du Pérac Lafréry, Mappa prospettica di Milano, particolare del sestiere di porta Vercellina con il monastero di San Girolamo. [Da G. Braun, F. Hogenberg, Civitates Orbis Terrarum, Köln 1572] Certamente la costruzione di San Girolamo viaggiò in parallelo con quella, più complicata, di Santa Maria delle Grazie, il cenobio dei domenicani osservanti, poi chiesa ducale. Infatti, nello stesso 1458, forse con l’avvallo sforzesco, ma per i domenicani il principe «non appare mai esposto in prima persona»8, Leone da Brunello (nonno dei fratelli Taegio) e Giovanni Gherardo Pusterla progettarono di fare entrare in Milano i predicatori osservanti pavesi di Sant’Apollinare installandoli sempre fuori Porta Vercellina nell’antico monastero di San Vittore all’Olmo o San Vittorello; a pochi passi da quella che contemporaneamente fu scelta come sede dei gesuati. La fondazione delle Grazie avrebbe dovuto attendere il 1462, il terreno scelto infine mutò, ma l’area di città in cui si inserirono i domenicani fu la stessa, anzi fu ancora più prossima alla nuova sede dei gesuati9. 8 9 sul quale sorse il cenobio era proprietà dell’abbazia di San Vittore al Corpo, dei Morigia furono in effetti proprietari di alcuni beni inglobati nel complesso gesuato, anche se in una fase successiva alla fondazione (ASMi, Amministrazione del Fondo di Religione, b. 1874, 1535 maggio 8). S. Fasoli, Perseveranti nella regolare osservanza. I predicatori osservanti nel ducato di Milano (secc. XV-XVI), Biblioteca Francescana, Milano 2011, p. 85. Sulla fondazione delle Grazie ora, cfr. S. Fasoli, Santa Maria delle Grazie, un possibile filo conduttore della storia milanese, in S. Buganza, M. Rainini (a cura di). Il convento di Santa Maria delle Grazie a Milano. Una storia dalla fondazione a metà del Cinquecento, «Memorie Domenicane», 47, 2016, pp. 37-57; M.N. Covini, Il fondatore delle Grazie Gaspare Vimercati, gli Sforza e gli altri “benefattori”, in ivi, pp. 59-77. 191 EdoArdo roSSEttI A differenza di quanto avvenne per le Grazie, come indicava il Morigia, il nome del duca Francesco Sforza appariva direttamente nella transazione tra il gesuato senese Antonio Bettini e l’abate di San Vittore al Corpo. Risalente al 1458, l’atto d’acquisto del terreno registrava l’esplicita dichiarazione dello stanziamento da parte ducale di ben 2.800 fiorini ad uso della nuova fabbrica10. Da alcune missive ducali risulterebbe inoltre che, già nel 1457, lo Sforza aveva disposto di impegnare 400 ducati in due anni per l’insediamento gesuato. Successivamente, dopo alcune difficoltà occorse nell’acquisizione dell’appezzamento, dalla corte si provvide al versamento di altri 2.000 fiorini in quattro anni11. Si trattava di una cifra complessiva sostanziosa che testimonia la creazione di un esteso cantiere (Figg. 2-3) e l’interesse del nuovo principe nell’avere presso di sé i frati senesi; operazione probabilmente funzionale al riordino della vita religiosa milanese, specie quella degli ordini regolari. Un’iniziativa tutto sommato riuscita se si pensa alla funzione del gesuato Antonio Bettini nel riformare la più importante e ricca abbazia del Ducato, quella di Chiaravalle12 . Qualche sovvenzione dovette arrivare ai gesuati anche dal duca Galeazzo Maria, almeno stante quanto dichiarato dagli stessi frati in una lettera del 1469. Con la missiva si invitava il duca a trasferire la celebrazione di messe in onore di san Girolamo da una chiesa parrocchiale urbana alla nuova struttura fuori Porta Vercellina13. Esattamente quarant’anni dopo l’introduzione a Milano dei gesuati, il complesso di San Girolamo si trovò al centro dei nuovi progetti urbanistici del duca Ludovico il Moro. Tra il 1497 e il 1498, lo Sforza perfezionò l’acquisto di tutta la vigna grande dell’abbazia di San Vittore, 171 pertiche di terreno (poco più di 11 ettari), iniziando un processo di lottizzazione che in pochi mesi prese le forme di una vera e propria addizione urbana14 (Fig. 4). I terreni furono asse10 11 12 13 14 ASMi, Notarile, b. 1999, notaio Gabriele Sovico, 1466 febbraio 1, con inserita copia della bolla di Pio II e rara (per il contesto milanese) narrativa della vicenda della fondazione. ASMi, Registri delle Missive, n. 15, cc. 398r, 410r, 457r, 1457 maggio 10, 1457 giugno 16, 1458 settembre 4. Per le tappe di costruzione del complesso (completato in circa un decennio dal 1463 al 1472; la chiesa consacrata nel 1475), si cfr. la documentazione (tutta significativamente ed eccezionalmente, per Milano, in volgare) già discussa in Rossetti, Uno spagnolo tra i francesi, pp. 184-188. G. Prunai, Bettini, Antonio (Antonio da Siena), in Dizionario Biografico degli Italiani (da ora in avanti DBI), 9, Treccani, Roma 1967, pp. 746-747; I. Gagliardi, I “Pauperes Yesuati” tra esperienze religiose e conflitti istituzionali, Herder, Roma 2004, pp. 397-457; ma anche C. Marcora, Carlo da Forlì arcivescovo di Milano (1457-1461), «Memorie Storiche della Diocesi di Milano», 2, 1955, pp. 235-333: 253-255; M. Pellegrini, Chiaravalle fra Quattro e Cinquecento: l’introduzione della commenda e la genesi della Congregazione osservante di San Bernardo, in P. Tomea (a cura di), Chiaravalle. Arte e storia di un’abbazia cistercense, Electa, Milano 1992, pp. 92-120; Id., Ascanio Maria Sforza. La parabola politica di un cardinale-principe del Rinascimento, 2 voll., Istituto Storico Italiano per il Medioevo, Roma 2002, I, pp. 226-230. ASMi, Sforzesco 889, 1469 giugno 14; documento segnalato da Roberta Ramella. Le misure dell’appezzamento, che non compaiono nelle transazioni di fine Quattrocento, si registrano invece in un documento successivo proprio dei gesuati, cfr. ASMi, Amministrazione del Fondo di Religione, b. 1874, 1569 maggio 16. 192 GIUdIZI UNIVErSALI 1. Chiesa di San Girolamo 2. Atrio antistante la chiesa con gli affreschi delle Storie di San Girolamo 3. Sala capitolare con gli affreschi delle Storie di San Giobbe 4. «Luogho dove s’eserciva le pitture de vetri» 5. Chiostro grande 6. Chiostro piccolo di servizio 7. refettorio vecchio e cucine 8. Giardino, ortaglie e vigna confinanti con le proprietà di Leonardo da Vinci Figura 2. Schema ricostruttivo del monastero di San Girolamo a Porta Vercellina (circa 1510). Figura 3. Giuseppe Orighetti, «Iconografia del locale de’ soppressi padri di San Gerolamo posto in Milano al ponte di Porta Vercellina», ASMi, Notarile, b. 49796, notaio Ignazio Baroggi, fasc. 4310, 1822 novembre 4. gnati a personaggi vicini allo Sforza, si tracciarono nuove strade e furono gettate le fondamenta di una serie di prestigiose abitazioni che avrebbero dovuto ospitare, tra l’altro, anche la nuova ‘ambasciata’ dei Gonzaga a Milano. Il lotto immediatamente a sud del giardino di San Girolamo fu ceduto a Leonardo da Vinci. Esattamente accanto alla vigna dell’artista fiorentino, che aveva licenziato da poco il Cenacolo di Santa Maria delle Grazie, l’appezzamento più grande (21 pertiche) e più prestigioso, perché in angolo tra la strada del naviglio di San 193 EdoArdo roSSEttI Girolamo e lo stradone nuovo di San Vittore, era destinato alla costruzione del convento di Santa Caterina da Siena15. Figura 4. Ricostruzione topografica di Milano (ca. 1497-1511), sestiere di porta Vercellina foris. Questa neofondazione avrebbe dovuto ospitare le terziarie domenicane curate spiritualmente dai padri delle Grazie, sostenute finanziariamente dai deputati del neofondato Luogo Pio di Santa Corona e care al Moro per la presenza tra di esse della mistica Colomba da Trocazzano, ‘santa viva’, figlia di un soldato sforzesco e sorella di un frate amadeita. Quasi scontato il rimando a quanto parallelamente stava avvenendo a Ferrara, dove il suocero del Moro faceva giungere l’altra ‘santa viva’ Lucia da Narni e costruiva per lei un cenobio nell’addizione erculea. Nel settembre del 1499 arrivarono a Milano i francesi, si accamparono proprio su quei terreni, l’intero progetto saltò e le terziarie si istallarono nell’ex ospedale di San Lazzaro fuori Porta Romana, ma continuarono ad essere assistite spiritualmente dai domenicani della Grazie e finanziariamente dai confratelli di Santa Corona. Potenzialmente però, stando alle strategie urbanistiche degli Sforza, l’area attorno a San Girolamo sarebbe diventata un quartiere a completa vocazione domenicana osservante16. 15 16 Per il quartiere si rinvia a E. Rossetti, «In la mia contrada favorita»: Ludovico il Moro e il Borgo delle Grazie. Note sul rapporto tra principe e forma urbana, in Il convento di Santa Maria delle Grazie a Milano, cit., pp. 259-290; Id., Un diluvio di appunti. Leonardo, l’Archivio Storico Lombardo e qualche nota inedita su personaggi vinciani (Evangelista da Brescia e Pietro Monte), «Archivio Storico Lombardo», 145, 2019, pp. 221-247. Su Lucia da Narni e i progetti urbanistici di Ercole d’Este, cfr. M. Folin, Sul “buon uso della religione” in alcune lettere di Ercole d’Este e Felino Sandei: finte stigmate, monache e ossa di morti, «Archivio Italiano per la Storia della Pietà», 11, 1998, pp. 181-244. Per le domenicane di Santa Caterina, poi San Lazzaro, e suor Colomba cfr. E. Canobbio, Tra chiostro, corte e 194 GIUdIZI UNIVErSALI Preme dunque sottolineare che già i dati relativi alla fondazione di San Girolamo, specie quelli topografici, lasciano intuire lo scheletro di una serie di rapporti presto divenuti importanti per i gesuati, quelli ad esempio con i domenicani osservanti e tutta la loro complessa rete devozionale. Per altro, non si può fare a meno di notare una sorta di parallelismo a distanza tra la tipologia di spazio urbano in cui si inserirono i gesuati milanesi rispetto ai confratelli fiorentini; infatti nella capitale medicea l’originario monastero di San Giusto, fuori Borgo Pinti, era in stretto rapporto, anche topografico, con il centro domenicano osservante di San Marco e con l’addizione voluta da Lorenzo de’ Medici nell’area di via Laura17. 2. I gesuati e la società milanese: intrecci sociali e culturali Il successo dei gesuati a Milano è noto soprattutto per alcune polemiche della seconda metà del XVI secolo relative alla precedenza ottenuta, non senza contestazioni, dai frati di San Girolamo in tutti i cortei funebri ambrosiani18. Questo peculiare diritto era stato acquisito anni prima, come attesta per esempio la descrizione delle solenni esequie di Gian Giacomo Trivulzio del 151919, e doveva trascendere la sfera funeraria se nel 1498, all’ingresso di Ippolito d’Este come neoarcivescovo di Milano i gesuati anticipavano tutti gli altri frati20. Un nuovo quadro sui rapporti tra i gesuati e la società milanese si rileva dal Libro de’ testamenti e legati à favore de’ padri di San Girolamo che costituisce un’inedita e preziosa fonte per lo studio dell’inserimento dei gesuati nella società della capitale lombarda21. Il volume si compone di 599 carte numerate e in esso sono registrati centosettanta testamenti rogati tra il 1473 e il 1616. I testatori (cinquanta femmine e centoventi maschi) appartenevano per la maggior parte al ceto medio-basso ed erano residenti in prevalenza nel quartiere milanese dove sorgeva il cenobio gesuato, il sestiere di Porta Vercellina. La disamina del prezioso registro richiederebbe un lavoro a parte, anche perché travalica i confini cronologici del presente contributo; alcuni dati sono contestualizzati in questa 17 18 19 20 21 società urbana: note sui domenicani delle Grazie e i monasteri femminili di Milano, in Il convento di Santa Maria delle Grazie a Milano, cit., pp. 103-124; S. Nocentini, Una “novella Colomba” nella Milano del primo Cinquecento: la vita della beata Colomba da Truccazzano (†1517) di Ambrogio Taegio, «Hagiographica», 23, 2016, pp. 195-246. Per il contesto e i rapporti tra Milano e Firenze in quest’ambito valgono ancora le conclusioni di Manfredo Tafuri (Ricerca del Rinascimento, Einaudi, Torino 1992, pp. 91-92). Sui rapporti tra domenicani e gesuati a Firenze, cfr. Gagliardi, “Li trofei della croce”, cit., pp. 143-175. Gagliardi, I pauperes yesuati tra esperienze religiose e conflitti istituzionali, cit., pp. 475-476. Morigia, La nobiltà di Milano, cit., p. 217; per le esequie R. Sacchi, Note sui registri. Arti e artisti nella contabilità di Gian Giacomo Trivulzio, 1509-1519, in M.G. Balzarini, R. Cassanelli (a cura di), Fare storia dell’arte. Studi offerti a Liliana Castelfranchi, Jaca Book, Milano 2000, pp. 93-102: 95-98. ASMi, Notarile, b. 1342, notaio Giovanni Pietro Ciocca, 1498 marzo 6. ASMi, Fondo di Religione, b. 33. 195 EdoArdo roSSEttI sede e ci si riserva di evidenziarne altri in un prossimo studio. Si anticipa solo come esempio che, la presenza nel volume di importanti documenti relativi alle famiglie Luini e Zavattari permette di confermare anche per Milano il rapporto speciale intrattenuto dai frati – fabbricanti di vetrate (lavoro nel quale fu attivo anche lo storiografo Paolo Morigia, non a caso sempre attento ai fatti artistici) e di pigmenti – con i pittori locali22 . Nonostante la sua apparente esaustività, il Libro de’ testamenti non comprende la totalità dei legati indirizzati ai gesuati e deve essere integrato con altre fonti (ad esempio uno spoglio potenzialmente infinito del fondo degli Atti dei notai di Milano), specie per gli esordi della congregazione e i primissimi anni del XVI secolo. Da altra documentazione emerge chiaramente che tra i principali finanziatori di San Girolamo si annoverano personaggi di varia estrazione sociale tra i quali spicca per importanza Pietro Pusterla. Primo fra i gentiluomini di Milano, appartenente a una famiglia che aveva inserito gli olivetani alla periferia della capitale lombarda e parente del Giovanni Gherardo coinvolto nella fondazione del centro dei domenicani osservanti, l’aristocratico ghibellino aveva garantito un costante afflusso di denaro alla fabbrica; sostanze utili per il completamento del complesso e la sua successiva manutenzione23. D’altra parte anche i guelfi Arcimboldi, ‘uomini nuovi’ sulla scena milanese e più vicini alla corte sforzesca, avevano stretto un rapporto consolidato con la chiesa gesuata tenuto conto che, nel 1466, Giovanni (poi porporato) ave- 22 23 In generale sul rapporto tra i gesuati e l’arte vetraria cfr. P. Bensi, Gli arnesi dell’arte. I gesuati di San Giusto alle mura e la pittura del Rinascimento a Firenze, «Studi di Storia delle Arti», 3, 1980, pp. 33-47; G. Virde, Un’opera quattrocentesca dei frati gesuati di Firenze: la vetrata col Cristo Eucaristico e San Donato della cattedrale di Arezzo, «Atti e memorie della Accademia Petrarca di Lettere, Arti e Scienze», 65, 2003, pp. 377-422; Gagliardi, I pauperes yesuati, cit., pp. 84-88; Ead., “Li trofei della croce”, cit., pp. 222-224. I gesuati milanesi lavorano certamente alle vetrate del Duomo (quella del collegio dei notai), a quelle di Santa Maria presso Celso e del santuario mariano di Saronno (Rossetti, Il cardinale Bernardino Carvajal, cit., pp. 183-184). Per il Morigia autore di vetrate, cfr. C. Cairati, I da Corbetta: una bottega di intagliatori nella Milano del Cinquecento, tutor G. Agosti, Università degli Studi di Milano, Milano 2014, p. 3; sul rapporto tra il gesuato e gli artisti milanesi ora R. Sacchi, Artisti industriosi e speculativi. Paolo Morigia e il Quinto libro della Nobiltà di Milano, LED, Milano 2020. Quando nel 1472 si siglarono gli accordi con Giacomo da Bellinzona e Giovanni Paolo da Vailate per il completamento del dormitorio, del capitolo e della foresteria si fece riferimento ai patti «facti et conclusi per la magnificentia di messer Pietro da Pusterla» (ASMi, Amministrazione del Fondo di Religione, b. 1874, 1472 febbraio 22). Nel 1481, un prete Antonio (cappellano del Pusterla) pagò Giacomo Tedesco autore dell’orologio per San Girolamo a Milano e per l’insediamento gesuato di Treviso (Ivi, 1479 dicembre 21, 1481 maggio 9). Su Pietro Pusterla, si veda M.N. Covini, Pusterla, Pietro, in Dizionario Biografico degli Italiani, 85, Treccani, Roma 2016, pp. 727-731; e, specie sul patronage della famiglia Pusterla, cfr. E. Rossetti, «Arca marmorea elevata a terra per brachiaocto». Tra sepolture e spazi sacri: problemi di memoria per l’aristocrazia milanese tra Quattro e Cinquecento, in L. Arcangeli, G. Chittolini, F. Del Tredici, E. Rossetti (a cura di), Famiglie e spazi sacri nella Lombardia del Rinascimento, Scalpendi, Milano 2015, pp. 169-227: 192198, 225. 196 GIUdIZI UNIVErSALI va ricevuto il suddiaconato presso i gesuati e direttamente da Antonio Bettini; sua madre Orsina Canossa aveva finanziato i frati e, nel 1483, il medesimo Giovanni Arcimboldi, ormai cardinale, aveva ottenuto una cappellania nella stessa San Girolamo24. Nonostante il favore accordato ai gesuati, prima da Francesco Sforza e poi da Ludovico il Moro (quest’ultimo donava un terreno in ampliamento a San Girolamo e ne beneficiava la chiesa di palii e cera dopo le esequie della moglie Beatrice d’Este)25, non sembra si rintraccino chiare attestazioni della devozione dei principali cortigiani sforzeschi nei confronti della congregazione, fatto salvo per il caso, che si commenta più avanti di Gualtiero Bascapè. Ad ogni modo, uno dei satelliti di Galeazzo Sanseverino (celeberrimo genero del Moro), il prete Giovanni Monti, era «cappellanum ac indignum confessorem pauperum fratrum Iesuatorum». Precettore prima dei Borromeo, copista e traduttore di testi classici per membri in vista della famiglia Visconti, il Monti lasciava la propria biblioteca ai gesuati e disponeva nella chiesa di San Girolamo la propria sepoltura 26. La raccolta libraria del religioso contava circa cinquanta titoli tra i quali si enumeravano, oltre a molti testi sulla Passione, tipici della devozione cristocentrica gesuata, molti volumi testimoni di una comune e consolidata cultura classica (Esopo, Ovidio con l’Ars amatoria, Giovenale), ma anche gli ormai immancabili Petrarca e Boccaccio. Interessante la presenza di un consistente nucleo di titoli di storia milanese, come il Manipulus di Galvano Fiamma, volgarizzato dallo stesso Monti, o l’orazione di Pietro da Castelletto per le esequie di Gian Galeazzo Visconti. Si registravano pure vari vaticini tipici del clima escatologico di fine Quattrocento e dei primi anni del Cinquecento. La presenza di scritti dedicati all’ormai scomparso regno moresco di Granada, al mitico Prete Gianni e alle terre degli sciiti, non era motivata da una semplice curiosità per ‘l’esotico’. Anche questi testi potrebbero testimoniare un’attenzione verso l’interpretazione di recenti eventi storici, la cacciata dei mussulmani dalla Spagna ad esempio, come un segno dell’intervento divino nella contem- 24 25 26 F. Somaini, Un prelato lombardo del XV secolo. Il card. Giovanni Arcimboldi vescovo di Novara, arcivescovo di Milano, 3 voll., Herder, Roma 2003, I, pp. 164-165, nota 45, p. 442, nota 32; ASMi, Fondo di Religione, b. 33, Libro de’ testamenti, cc. 8, 12, 43. Della donazione dei terreni a San Girolamo si fa menzione in una transazione del 1498, cfr. ASMi, Rogiti Camerali, b. 105, 1498 agosto 25; per i palii e la cera si tenga conto che nel lungo elenco il cenobio gesuato è secondo solo a Santa Maria delle Grazie, chiesa ducale e luogo di sepoltura di Beatrice d’Este, cfr. B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, 2 voll., Utet, Torino 1978, II, pp. 1605-1607. Su di lui cfr. M. Pedralli, Novo, grande, coverto e ferrato. Gli inventari di biblioteca e la cultura a Milano nel Quattrocento, Vita e Pensiero, Milano 2002, pp. 624-625. Per i rapporti con la corte di Galeazzo Sanseverino del quale era anche vicino di casa nel Borgo delle Grazie, cfr. ASMi, Notarile, b. 1936, notaio Antonio Bombelli, 1490 gennaio 9. Il Monti sottoscriveva anche il Consiliaiuris pro Iesuatorum congregatione retinenda e il Bullarium Ordinis Iesuatorum in Biblioteca Ambrosiana di Milano (da ora in poi BAM), C 54, sup, rispettivamente cc. 1r e 39r in antea. 197 EdoArdo roSSEttI poraneità, premessa per una conversione universale (compresa quella dei popoli africani e asiatici), attesa come preludio delle fine dei tempi27. Tra i libri del religioso era conservato anche il testo fatto scrivere in difesa dei gesuati al giurista siciliano docente a Padova Antonio Corsico (Tractatus ad status pauperum fratrum Iesuatorum confirmationem). In questo scritto giuridico, ancora a data 1495, si percepivano gli strascichi delle accuse di dissidenza ed eresia rivolte ai frati dagli inquisitori bolognesi all’inizio del XV secolo28. Un segno, forse, del fatto che nonostante il ‘successo’ dei gesuati, anche nella capitale sforzesca la loro devozione e condotta poteva suscitare qualche perplessità alla quale era necessario ribattere con alla mano un testo giuridico di un certo peso. Come propri esecutori testamentari, prete Giovanni Monti chiamava il priore dei gesuati, un orafo e il libraio Giovanni Giacomo Rappi da Legnano. Lo stesso Rappi era debitore del religioso per la somma di 236 lire imperiali. Non era specificata la causale della pendenza, forse a saldo di un’attività di copiatura e corre- 27 28 L’elenco dei libri lasciati ai gesuati in allegato al testamento in ASMi, Notarile, b. 3220, notaio Giovanni Giacomo Scaravaggi, 1507 gennaio 1; trascritto e commentato in Pedralli, Novo, grande, coverto e ferrato, cit., pp. 626-631. Alla documentazione pubblicata dalla Pedralli si aggiunge la nota degli stessi gesuati, che ricordavano in special modo il lascito di testi volgari: «Iesus. Noto sia come a dì 2 genaro 1507 more prete Giovanni de Monti che era nostro confessor et capellano il quale fece a dì primo genaro 1507 testamento rogato per messer Giovan Giacomo Scaravagio, sta appresso Sancto Sebastiano, e ci ha lassato li suoi libri volgari et literali li quali habbiamo havuti et fiorini cento che darano lire otto all’anno. Di quelle lire otto all’anno il monastero nostro è obbligato ogni anno a fagli fare un officio da morto. Item dicto messer Giovanni ci lassò uno suo bello mantello morello, una cotta, una borsa da corporali et ditte cose l’habbiamo havute. Item nota che il suo annuale si haverà a fare in fra l’ottava di anni nono o circa pur che el si faccia et con ogni nostra spesa di cera et altro» (ASMi, Fondo di religione, b. 33, Libro de’ testamenti, c. 11v). La versione del Manipulus florum di Galvano Fiamma di Giovanni Monti era redatta per Vercellino Visconti, castellano di Trezzo. Sono probabilmente del Monti anche i volgarizzamenti del Manipulus florum di Galvano Fiamma in Biblioteca Trivulziana di Milano, ms. 1385, BNF, ms. It. 2100, cfr. E. Fumagalli, Appunti sulla biblioteca dei Visconti e degli Sforza nel castello di Pavia, «Studi Petrarcheschi», 7, 1990, pp. 93-211: 167, 177; M. Zaggia, Appunti sulla cultura letteraria in volgare a Milano nell’età di Filippo Maria Visconti, «Giornale Storico della Letteratura Italiana», 170, 1993, pp. 161-219, 321-382: 189, nota 95; P. Tomea, Per Galvano Fiamma, «Italia medioevale e umanistica», 39, 1996, pp. 77-120: 104. Per il contesto dei testi presenti nella biblioteca del Monti, cfr. C. Vasoli, L’influenza di Gioachino da Fiore sul profetismo italiano della fine del Quattrocento e Cinquecento, in G.L. Podestà (a cura di), Il profetismo gioachimita tra Quattrocento e Cinquecento, Atti del III congresso internazionale di studi gioachimiti (San Giovanni in Fiore, 17-21 settembre 1989), Marietti, Genova 1991, pp. 61-85: 76-77; D. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento e Prospettive di storia ereticale italiana del Cinquecento, a cura di A. Prosperi, Einaudi, Torino 2009, p. 28; ma anche almeno il recente volume Visiones imperiales y profecía. Roma, España, Nuevo Mundo, a cura di S. Pastore, Mercedes García-Arenal, Madrid-Adaba 2018. Inserita in questa corrente può essere anche la lettera del sultano di Babilonia al pontefice per la monacazione della figlia, volta a sottolineare la religiosità e il rispetto del mondo islamico non turco verso la cristianità: epistola che si trova inframmezzata proprio alle poesie del circolo di Gaspare Ambrogio Visconti (BnF, ms. It 1543, cc. 212r-212v). Gagliardi, I pauperes yesuati, cit., p. 278. 198 GIUdIZI UNIVErSALI zione, oppure testimonianza di un finanziamento fornito all’editore da parte del sacerdote; in questo secondo caso assumerebbe altro valore anche la presenza dell’orafo, mestiere prossimo al produttore di incisioni per illustrare i libri a stampa. I fratelli Rappi da Legnano furono veri propri imprenditori culturali e il loro catalogo editoriale che, per quanto concerne i testi religiosi, sembra differenziarsi molto da quello contemporaneo veneziano e risultare volutamente complementare a quello lagunare, annoverava titoli significativi29. Proprio in virtù di questo contatto tra gli editori e il confessore dei gesuati, sembra opportuno chiedersi se il peculiare marchio editoriale dei da Legnano, rappresentante un angelo che regge il trigramma IHS nel raggiante, simbolo comunque ormai diffuso ma singolarmente aderente a quello usato dai gesuati, possa appunto avvicinarli all’uso del trigramma fatto dai frati di San Girolamo, più che a quello promosso in ambito francescano osservante30. Certo alcuni titoli del catalogo di questi editori dovevano essere funzionali all’uso del volgare sostenuto dai gesuati e al clima escatologico in cui sembra immersa la stessa congregazione in particolare e la società milanese in generale nei primi anni del XVI secolo31 (Fig. 5). Nel 1509, i Rappi da Legnano finanziano una versione toscana illustrata di brani del Nuovo Testamento32 . L’edizione volgare di una parte delle Sacre Scritture era funzionale alla liturgia e si sovrapponeva a quella che sembra una già vasta diffusione del testo biblico in lingua italiana, a stampa e manoscritto, in area lombarda33. Il corredo grafico al volume era estremamente ricco. Dopo il primo frontespizio rappresentante una peculiare Annunciazione con la tradizionale colomba sostituita da un Gesù bambino volante già abbracciato ad una croce34, l’introduzione del testo era affidata all’immagine di un Giudizio univer29 30 31 32 Cfr. da ultimo E. Barbieri, I fratelli da Legnano editori a Milano e il libro religioso nel primo quarto del XVI secolo, in E. Bellini, A. Rovetta (a cura di), Prima di Carlo Borromeo. Lettere e arti a Milano nel primo Cinquecento, Bulzoni, Milano 2013, pp. 145-168. Un rapporto particolare con i gesuati è stato ipotizzato anche per Niccolò e Domenico Sandri «del Jesus» stampatori veneziani vicini agli ambienti della chiesa della Visitazione alle Zattere; anche se la questione meriterebbe un’ulteriore verifica e approfondimento rispetto al saggio di L. Pon, All’insegna del Giesù. Publishing Books and Pictures in Renaissance Venice, «The Papers of the Bibliographical Society of America», XCII (4), 1998, pp. 443-464. Sull’uso del trigramma si rimanda comunque al testo di Corinna Tania Gallori in questo volume. Sul peculiare rapporto tra i gesuati e il volgare, cfr. G. Fragnito, “Dichino corone e rosari”: censura ecclesiastica e libri di devozione, «Cheiron», 17, 2000, pp. 135-158: p. 135, nota 1; Gagliardi, “Li trofei della croce”, cit., pp. 218-219. Lectione. Epistole et Evangeliis vulgari hystoriati traducti de latino in lingua fiorentina, Petro Martyre di Mantegatii dicto el Cassano, a istanzia de Iohanne Iacobo et frateli da Legnano, Milano 1509; l’edizione milanese riprende perfezionandola con un indice quella veneziana del 1496 per i tipi di Pietro Quarenghi . 33 E. Barbieri, La fortuna della Biblia vulgarizata di Nicolò Malerbi, «Aevum», 63, 1989, pp. 419-500: 424. 34 Sul bambino abbracciato alla croce come enfatico elemento riferito alle sofferenze del Cristo, si cfr. L. Aldovini, C.T. Gallori, Dal Nord a Milano: stampe e stampatori tra Quattro e Cinquecento, in F. Elsig, C. Gaggetta (a cura di), Cultura oltremontana in Lombardia al tempo degli Sforza (1450-1535), Atti del convegno (Genève, 12-13 aprile 2013), Viella, Roma 2014, 199 EdoArdo roSSEttI Figura 5. Incisore lombardo, Marchio editoriale dei fratelli Rappi da Legnano all’Angelo, in Officium B. V. Mariae, Milano, Gio. Castiglione per i f.lli da Legnano, 1518. sale che sovrastava il brano di Luca 22, inserito in apertura perché ovviamente legato alle letture della prima domenica di avvento. Sempre restando su tematiche escatologiche, un decennio dopo (1519-1520) gli stessi librai Rappi finanziarono la stampa dell’Apocalisse in volgare commentata da Federico Renoldo35. Tornando più direttamente ai finanziatori dei gesuati nel XV secolo: il campione nel sostegno delle osservanze in Milano, il nobile mercante, Gian Rodolfo Vismara includeva tra i suoi legati il centro dei gesuati tra i principali monasteri «de frati et monache observanti», inserendoli nei suoi gerarchici elenchi al terzo posto appena dopo i centri di Sant’Angelo (francescani) e di Santa Maria della Grazie (domenicani), facendoli precedere agli agostiniani dell’Incoronata, ai serviti del Paradiso, e ai centri femminili di Santa Margherita, Sant’Orsola, Santa Marta, Sant’Apollinare, del Gesù, dell’Annunziata e di San Bernardino36. 35 36 pp. 211-259: 235-237. Per altro Maria Teresa Bianghi Olivari (Otto anni di restauri a Pavia (1989-1996), «Arte Lombarda», CXIX (1), 1997, pp. 51-57: 56) collegava l’iconografia del bambino che si protende ad abbracciare la croce, presente in un dipinto ora a Vidigulfo e forse proveniente dalla Certosa di Pavia, alla possibile importazione in Lombardia di motivi iconografici vicini all’ambiente del cardinale Bernardino Carvajal. Barbieri, I fratelli da Legnano editori, cit., pp. 161-165. A titolo di esempio il primo pagamento del legato di Gian Rodolfo e un dettagliato elenco dei beneficiari in Archivio dei Luoghi Pii Elemosinieri di Milano (da ora in poi ALPE), Mastri, Luogo Pio della Carità, n. 25, 1496, cc. 126, 208; Ivi, n. 33, 1504, c. 135. 200 GIUdIZI UNIVErSALI Sul chiudersi del XV secolo i gesuati erano pure ricordati nei legati di altri sostenitori delle osservanze appartenenti a diversi ceti. Cugina della duchessa Bianca Maria Visconti e grande finanziatrice dei minori osservanti, Rossana del Maino sembrava essere vicina ai frati di San Girolamo37. Menzionava i gesuati nel proprio testamento il frate minore osservante Gerolamo della Croce amico, e forse affine, del pittore Bernardo Zenale38. Legava denaro ai gesuati anche il funzionario sforzesco Simone Arrigoni, parente di Francesco Mantegazza e poi suocero del Giovanni Castiglioni figlio della Del Maino; entrambi questi ultimi tra i principali finanziatori della confraternita di Santa Corona39. Inoltre, la rete devozionale dei gesuati si estese ulteriormente dopo che, nel 1503, la congregazione si assunse l’onere, rifiutato da molti, di curare spiritualmente le benedettine ridotte all’osservanza di San Maurizio al Monastero Maggiore, cenobio adiacente alle case di molti confratelli di Santa Corona (Mantegazza e Ghilio) e luogo in cui erano monacate diverse figlie e nipoti dei deputati del medesimo luogo pio (Alfieri, Ghilio e Ghilini)40. Proprio con i confratelli di questo ente caritativo milanese i gesuati strinsero un rapporto peculiare. 3. I gesuati e il Luogo pio di Santa Corona: Gualtiero Bascapè e Paolo Cittadini Fondato nel 1497, su iniziativa del domenicano osservante Stefano da Seregno e dedicato al culto della reliquia di una porzione di corona di spina donata a Santa Maria delle Grazie dal conte Eleuterio Rusca (poi frate Germano), il Luogo Pio di Santa Corona era diverso da altre istituzioni caritative milanesi41. Lo si comprende dalla stessa costituzione dell’ente: le funzioni assistenziali e 37 38 39 40 41 Si cfr. sia il primo che il secondo testamento della gentildonna in ASMi, Notarile, b. 1227, notaio Lancelotto Sudati, 1480 ottobre 10; ivi, b. 1738, notaio Maffeo Suganappi, 1494 giugno 13; per il rapporto di Rossana del Maino e parentela con l’osservanza francescana, cfr. E. Rossetti, Una questione di famiglie. Lo sviluppo dell’Osservanza francescana e l’aristocrazia milanese (1476-1516), in L. Pellegrini, G.M. Varanini (a cura di), Fratres de familia. Gli insediamenti dell’Osservanza minoritica nella penisola italiana (sec. XIV-XV), «Quaderni di Storia Religiosa», 18, 2011, pp. 101-165: 115-117. ASMi, Notarile, b. 6404, notaio Cristoforo Caimi, 1507 gennaio 1. Figlio di Gabriele Della Croce e Donata Cagnola, il frate era già deceduto nel 1511 (Ivi, b. 5580, notaio Battista Capitani, 1511 settembre 2). ASMi, Notarile, b. 1873, notaio Antonio Zunico, 1490 maggio 10. Girolamo Riva certificava alla congregazione benedettina di Santa Giustina di Padova l’operato proprio e degli altri confratelli gesuati nell’assistere spiritualmente le nobilissime monache di San Maurizio, cfr. ASMi, Pergamene, b. 503, 1503 marzo 29; la complicata situazione della cura delle donne del Monastero Maggiore in R. Mariani, Monasteri benedettini femminili a Milano prima della riforma, in G. Zarri (a cura di), Il monachesimo femminile in Italia dall’alto medioevo al secolo XVII. A confronto con l’oggi, Atti del convegno (Santa Vittoria in Mantenano 21-24 settembre 1995), il Segno, San Pietro in Cariano 1997, pp. 219-247: 222-229. Sulla reliquia cfr. M.T. Binaghi Olivari, Bàgole su una reliquia della Santa Spina, in D. Ferrari, S. Martinelli (a cura di), Scritti per Chiara Tellini Perina, Gianluigi Arcari, Mantova 2011, pp. 201 EdoArdo roSSEttI caritative passavano inizialmente in secondo piano (si sarebbero ampliate con gli anni) rispetto alla devozione cristocentrica dei confratelli scandita da precisi momenti di ritualità comune quotidiana. Non a caso la congrega è stata paragonata a una sorta di «antico ordine militare»42 . La cooptazione nel gruppo non era legata al ceto sociale (non si annoverano comunque tra i confratelli né gente meccanica, né aristocratici, ma solo componenti del ceto medio milanese)43, essenzialmente era motivata dalla condotta del prescelto. Il comportamento era attentamente esaminato dai confratelli in un sistema di accesso provvisorio che prevedeva una vera e propria forma di noviziato e l’espulsione, anche di deputati già confermati, in caso di mancata perseveranza nella devozione comune e nella specchiatura morale44. I confratelli tentarono anche una forma di empirica vita comune, che merita ulteriori indagini, aggregando le proprie abitazioni attorno all’antichissima chiesa milanese del Santo Sepolcro ed ebbero sepoltura nel medesimo avello sito in Santa Maria delle Grazie. Figure di primo piano nei primi anni del consorzio furono Francesco Mantegazza († 1521) e Bernardino Ghilio († 1539), l’uno funzionario sforzesco inserito nella complessa rete parentale dell’ex favorita ducale Lucia Marliani e l’altro mercante di seta, entrambi residenti nella parrocchia di San Pietro alla Vigna di Porta Vercellina; generoso finanziatore esterno, ma mai confratello, fu l’aristocratico Giovanni Castiglioni figlio della già menzionata Rossana del Maino. Nel 1503, aderiva alla confraternita di Santa Corona il nobile Gualtiero Bascapè († 1508), affine per via matrimoniale con il Mantegazza45. Personaggio 42 43 44 45 41-55. Un quadro generale dell’istituto in P. Canetta, Storia del Pio istituto di Santa Corona di Milano, Cogliati, Milano 1883. Bonora, I conflitti della controriforma, cit., pp. 52, 197-199. Ora si cfr. D. Zardin, Una devozione condivisa: Santa Corona, i Domenicani e le Grazie tra Quattro e Cinquecento, in Il convento di Santa Maria delle Grazie, cit., pp. 125-143. Su questo ceto medio, cfr. L. Arcangeli, «Eligo sepulturam meam ...». Nobilis, mercatores, élites vicinali tra parrocchie e conventi, in L. Arcangeli, G. Chittolini, F. Del Tredici, E. Rossetti (a cura di), Famiglie e spazi sacri nella Lombardia del Rinascimento, Scalpendi, Milano 2015, pp. 229-307. Zardin, Una devozione condivisa, cit., pp. 131-132. Canetta, Storia del Pio istituto di Santa Corona, cit., pp. 35-36. Gualtiero era figlio di Battista che fu prima cameriere ducale, poi giudice dei dazi (1488), commissario del sale (1491), deputato del denaro e maestro delle entrate ordinarie (1499). Sposò in prime nozze Lucrezia, figlia del pittore di corte Cristoforo Moretti, e in seconde Paola Gerolamo Landriani imparentata con Lucia Marliani (favorita ducale) e Francesco Mantegazza. È possibile ricostruire la biografia di Gualtiero attraverso i seguenti contributi: D.M. Bueno De Mesquita, The ‘deputati del denaro’ in the governament of Ludovico Sforza, in C.H. Clough (ed.), Cultural aspect of the Italian Renaissance. Essay in honur of Paul Oskar Kristeller, Manchester University Presse-Zambelli, Manchester-New York 1976, pp. 276-298: 284-285; L. Arcangeli, Esperimenti di governo: politica fiscale e consenso a Milano nell’età di Luigi XII, in Ead. (a cura di), Milano e Luigi XII. Ricerche sul primo dominio francese in Lombardia (14991512), Franco Angeli, Milano 2002, pp. 255-352: 256-257, nota 3; N. Soldini, Nec spe nec metu. La Gonzaga: architettura e corte nella Milano di Carlo V, Olschki, Firenze 2007, pp. 1165; A.P. Arisi Rota, S. Buganza, E. Rossetti, Novità su Gualtiero Bascapè committente d’arte e 202 GIUdIZI UNIVErSALI di spicco della Milano sforzesca, discendente da un’antica famiglia capitaneale con cognome toponimo, Gualtiero fu uomo di fiducia di Ludovico il Moro, indicato dai contemporanei tra il ristretto gruppo di favoriti che circondavano il duca e governavano Milano46. A differenza di altri funzionari e cortigiani sforzeschi, non si riconvertì mai nelle file dell’amministrazione francese e il suo nome scomparve dalla scena pubblica dopo la caduta di Ludovico il Moro47. Rimasto vedovo e senza prole si ritirò appena fuori Milano insieme al prete Giacomo Ferrari da Vigevano nell’elegante dimora suburbana che portava il suo nome: la Gualtiera, ora nota come villa Simonetta. Qui, trentanovenne, il 23 settembre del 1508, redasse di suo pugno e in volgare il proprio testamento morendo due mesi dopo48. Le ultime volontà del Bascapè sono un unicum nel panorama milanese per la stessa forma inusuale della redazione, olografa e affidata solo in seconda battuta alla registrazione di un notaio. Tenuto conto dell’anomalia, il testatore si era comunque premunito di fare sottoscrivere il testo da sette testimoni. Si tratta significativamente di frati minori osservanti di Sant’Angelo, cenobio prossimo alla villa del testatore; non di religiosi qualunque, ma dei primi nomi della provincia francescana osservante lombarda. Si disponevano cento messe e sessanta corone da celebrarsi e recitarsi in Sant’Angelo, in Santa Maria delle Grazie e in Sant’Ambrogio, ma dopo questa indicazione non comparivano altri legati pro anima. Frutto di attenta meditazione e di un’evidente cristi spirituale, il documento era una sorta di bilancio. Gualtiero si ricordava con minuzia di tutto e di tutti con una rarissima coerenza politica che lo portava anche a disporre un impopolare legato in favore dei figli esiliati del defunto duca Sforza, pari per somma alla taglia che aveva dovuto devolvere al nuovo governo francese per essere scagionato dall’accusa di ribellione e reintegrato nei propri beni. Dal testamento emergeva soprattutto una spiritualità sentita e profonda, evidente non solo dal celebre lascito dei propri averi alla confraternita di Santa Corona, corredato da una citazione paolina (I Timoteo 4, 7-9) che assumeva il tono di un abbandono della vita attiva in favore di quella contemplativa. 46 47 48 il cantiere di Santa Maria di Brera alla fine del Quattrocento, «Archivio Storico Lombardo», 134, 2008, pp. 47-92: 60-80. Sui favoriti-finanzieri del Moro si vedano Arcangeli, Esperimenti di governo, cit., pp. 255262; F. Leverotti, La crisi finanziaria del ducato di Milano alla fine del Quattrocento, in Milano nell’età di Ludovico il Moro, Atti del convegno (Milano 28 febbraio-4 marzo 1983), 2 voll., Archivio storico civico e Biblioteca Trivulziana, Milano 1983, II, pp. 585-632. Anche il fratello Battistino non ricoprì cariche pubbliche fino a quando, prima divenne giudice dei dazi nel 1512 al ritorno di Massimiliano Sforza, e quindi maestro delle entrate ordinarie con Francesco II Sforza nel 1531 (Archivio Storico Comunale di Milano, Famiglie, b. 164, 1512 ottobre 18; F. Arese, Le supreme cariche del ducato di Milano. Da Francesco II Sforza a Filippo V, «Archivio Storico Lombardo», 97, 1970, pp. 3-100: 66). Il testamento originale in ASMi, Notarile, b. 5528, notaio Martino Scaravaggi, 1508 maggio 24, allegato al codicillo del 23 settembre. Varie copie anche in Ivi, Santa Corona 117, 1508 settembre 23. Gualtiero morì il 14 novembre 1508, cfr. E. Motta, Morti in Milano dal 1452 al 1552 (spoglio del necrologio milanese), «Archivio Storico Lombardo», 18, 1891, pp. 242-290: 286. 203 EdoArdo roSSEttI Un significativo squarcio sulla devozione di Gualtiero è gettato dalla menzione dei testi religiosi che dovevano essere legati alla confraternita, un volume di san Gerolamo, le opere di sant’Agostino, gli Opuscola di Tommaso d’Aquino (magari nell’edizione finanziata dal confratello Ambrogio Spanzotta), ma soprattutto quella «Bibbia che ha glossato de mia mano in parte del Testamento novo» e il salterio contenenti i Salmi con commenti «scritti de mia mano» e dettati dal defunto amico Giacomo Ferrari; quest’ultimo era evidentemente uno dei sostenitori milanesi dei gesuati. Proprio per adempiere alle volontà di prete Ferrari, Gualtiero disponeva che su un terreno sito a Vigevano fosse costruita una chiesa dedicata a san Girolamo affiancata da un nuovo cenobio gesuato. È probabile che dietro a questo legato soggiacesse anche un vecchio progetto sforzesco volto a dotare Vigevano, una delle principali sedi della corte, di un centro di questa congregazione. Sembra che pochi giorni dopo la stesura del proprio testamento, in punto di morte, Gualtiero avesse mutato a voce il suo lascito destinato alla costruzione di una chiesa per i gesuati, riservando invece 500 ducati all’istituzione, decorazione e dotazione di una cappella proprio nella chiesa in San Girolamo di porta Vercellina a Milano49. Cappella da dedicarsi allo stesso Girolamo e che i frati assegnarono definitivamente agli scolari di Santa Corona (eredi del Bascapé) solo nel 1513, ma a conclusione di una vertenza iniziata nella primavera del 1511. I deputati di Santa Corona mantennero attivo il proprio patronato in San Girolamo che divenne quindi un altro dei luoghi milanesi in cui si identificava la confraternita fino alla soppressione dei gesuati (1668), contribuendo probabilmente a mantenere stretti i legami tra i due enti50. Ad ogni modo, il legato in libri di Gualtiero non fu isolato e l’importanza assegnata dai confratelli di Santa Corona nel costruire una biblioteca si rileva anche da un precoce inventario del 1522, già commentato da Marina Gazzini: notevole la presenza di numerose bibbie, in versione completa o in porzione, forse alcune delle quali in volgare51. Anche Paolo Cittadini, giurista, già docente a Friburgo, autore del Tractatus de iure patronatus (1503), vicario arcivescovile52, fratello dei più famosi letterati Evangelista e Girolamo53, confratello di Santa Corona con professione recitata lo stesso 49 50 51 52 53 ASMi, Amministrazione del Fondo di Religione, b. 1874, 1511 marzo 11, 12, 13, 15, 20, 21, aprile 9, 10. Si veda anche un appunto inserito nella pratica del Bascapè in cui si fa riferimento a due rogiti scomparsi del notaio milanese Giovanni Francesco Castiglioni datati 16 luglio 1513 e 31 ottobre 1513 con i quali si stringevano accordi con i frati per la concessione della cappella in cambio dell’assegnazione di 2.000 lire imperiali (500 ducati) e si concedeva ai gesuati la proprietà di una parte della Gualtiera per il valore di 2.710 lire. ASMi, Fondo di Religione, b. 33, Libro de’ testamenti, cc. 8-10, 41-43. M. Gazzini, Confraternite e società cittadina nel medioevo italiano, CLUEB, Bologna 2006, pp. 298-315. Con questa carica figura in ASMi, Notarile, b. 3944, notaio Francesco Besozzi, 1508 settembre 29 (ratifica della divisione dei beni tra i fratelli Cittadini). M. Danzi, Gerolamo Cittadini poeta milanese di primo Cinquecento, in C. Bozzetti, P. Gibellini, E. Sandal (a cura di), Veronica Gambara e la poesia del suo tempo nell’Italia settentrionale, Atti del convegno (Brescia-Correggio, 17-19 ottobre 1985), Olschki, Firenze 1989, pp. 293-322. 204 GIUdIZI UNIVErSALI giorno di Bernardino Ghilio54, nel testamento milanese del 1510 (rogato presso il notaio di fiducia del Mantegazza) legava non solo denaro, ma soprattutto libri alle istituzioni da lui beneficiate. Mentre a Santa Corona andavano le «epistoles Sancti Pauli una, cum commento sancti Thome»; alla cappella di San Paolo in Santa Maria della Grazie (allora di patronato di Santa Corona, poi sostituita dall’altra decorata dalla pala di Tiziano e dagli affreschi di Gaudenzio Ferrari)55 lasciava la «biblia parva», «et canonem missae impressum in Argentinam et similiter totam bibliam cum heugone Basileae impressum cum concordantiis maioribus bibblie», ovvero probabilmente l’Expositio canonis missae di Franz Balthasar von Pforta stampato a Strasburgo da Mathie Hupfuff nel 1507 e la Biblia cu[m] pleno apparatu summariorum co[n]cordantiaru[m] et quadruplici repertorii sive indicii curata nel 1509 dal controverso Matthias Hölderlin, detto Sambucellus, stampata a Basilea da Johannes Petri di Langendorffe e dal più noto Johann Froben. Certo, quest’ultimo un testo che sarebbe stato presto sorpassato, soprattutto dal punto di vista filologico, dalle edizioni del Nuovo Testamento greco di Erasmo (1516, sempre per i tipi di Froben) e dalla Poliglotta Computense voluta da Francisco Jiménez de Cisneros (1517, con diffusione dal 1520), ma che a queste date risultava una delle migliori edizioni della Bibbia concepita per lo studio56. Sembra dunque che, tra le due comunità, quella dei confratelli di Santa Corona e quella dei gesuati di San Girolamo, l’una di laici prossimi a vivere in sodalizio dedicandosi alla contemplazione della Passione di Cristo, alle opere caritative e allo studio delle scritture, l’altra di religiosi che rifiutavano il sacerdozio vivendo ‘in osservanza’ non di una regola ma dei precetti evangelici, con pratiche quotidiane di devozione della Passione e un rapporto diretto e in volgare con le Sacre Scritture, i punti di congiunzione fossero molti. Ancora, a conferma dei fili che legavano Santa Corona al centro milanese dei gesuati, mentre si mandavano in esecuzione i legati del Bascapè, nel 1511, il priore gesuato Girolamo Riva commissionava un’ampia campagna decorativa nell’atrio di San Girolamo e nel capitolo. In particolare il quadriportico d’ingresso alla chiesa, da lui fatto erigere evidentemente su modello di consimili strutture paleocristiane, era decorato con le Storie di San Girolamo57. Si tratta 54 55 56 57 ASMi, Santa Corona, Registri, n. 3, 1507 maggio 26; Canetta, Storia del Pio istituto di Santa Corona, cit., p. 38. Non solo il giurista era membro della confraternita ma risulta abitare in stanze attigue a quelle dove si trovava la sede di Santa Corona, cioè accanto a San Sepolcro. Nel 1507 un canonico di San Sepolcro gli affittava «uno loco appellato sacrestia veteris» aderente ai beni di Aloisio da Varese, altro confratello di Santa Corona, e alla stessa scuola di Santa Corona, cfr. ASMi, Notarile, b. 3943, notaio Francesco Besozzi, 1507 giugno 14. Per il passaggio della cappella di San Paolo a Paolo da Canobbio e la decorazione della nuova cappella di Santa Corona, cfr. R. Sacchi, Gaudenzio a Milano, Officina Libraria, Milano 2015, pp. 37-43. Il testamento del Cittadini in ASMi, Notarile, b. 3787, notaio Giovanni Giacomo Lampugnani, 1510 marzo 26. P. Morigia, Paradiso de’ Giesuati. Nel quale si racconta l’origine dell’Ordine de’ Giesuati di san Girolamo et la vita del beato Giovanni Colombini fondatore di esso Ordine, con parte delle sante vite d’alcuni de’ suoi discepoli et imitatori, Guerra, Venezia 1582, pp. 352-353; la presenza di 205 EdoArdo roSSEttI di un fatto figurativo perduto, ma di un ciclo che divenne presto normativo. A distanza di soli tre anni, nel 1514, questi affreschi erano additati come modello per fare dipingere una cappella dedicata al medesimo santo nel centro olivetano di Santa Maria di Baggio58. Gli olivetani erano stati chiamati a Milano dagli stessi Pusterla che sovvenzionarono anche la fabbrica di San Girolamo, ma si deve forse tenere conto che i religiosi di Baggio erano stati incaricati da non molti anni (1507) di riformare l’abbazia milanese di San Vittore al Corpo, limitrofa al complesso gesuato: di nuovo una triangolazione tra luoghi e famiglie che sembra coerente59. A innestare questo rimando tra gli olivetani e gesuati non era un personaggio qualunque. Le indicazioni per gli affreschi di Baggio si trovano nel testamento di Giovanni Antonio Ghilio, fratello del Bernardino, leader di Santa Corona dopo la morte di Francesco Mantegazza. Sembrano quindi saldarsi nuovamente, attraverso iniziative decorative, anche se forse solo pensate e mai realizzate, i legami tra i gesuati e l’ambiente di Santa Corona60. Inoltre san Girolamo era ovviamente ricordato anche in un altro lascito in denaro del Ghilio. Per rimarcare il sistema di intreccio tra queste figure e le loro devozioni, si deve fare un appunto sul notaio usato da Giovanni Antonio, si tratta di Francesco Marescotti. Quest’ultimo era il notaio degli olivetani milanesi e testando sceglieva a sua volta di essere inumato a Baggio, presso l’altare di San Bernardino, ma ricordava anche i frati amadeiti di Santa Maria della Pace con un legato perpetuo61. Soprattutto ad arricchire (o complicare) il quadro, il Marescotti era anche uno dei notai di fiducia delle agostiniane di Santa Marta62 . 58 59 60 61 62 Girolamo Riva a Milano come priore è attestata nell’estate del 1511 in accordo con quanto scritto dal Morigia, cfr. ASMi, Notarile, b. 5580, notaio Battista Capitani, 1511 giugno 30. Il legato prevedeva che i dipinti di Baggio dovessero riprendere «vitam Sancti Ieronimi ad modum et cum capitulis pro ut est depictum in claustro monasterii Sancti Ieronimi Mediolani», cfr. ASMi, Atti dei notai, b. 5952, notaio Francesco Marescotti, 1514 agosto 13. Sulla fondazione di Baggio e i Pusterla, cfr. B. Betto, Il testamento del 1407 di Balzarino da Pusterla, milanese illustre e benefattore, «Archivio Storico Lombardo», 114, 1989, pp. 261301; F. Somaini, Balzarino Pusterla, in M. Bascapè, P. Galimberti, S. Rebora (a cura di), Il tesoro dei poveri. Il patrimonio artistico delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (ex ECA) di Milano, Silvana, Milano 2001, pp. 84-85; in generale sugli olivetani lombardi si rinvia a V. Cattana, I monaci olivetani nella diocesi di Milano, «Ricerche Storiche sulla Chiesa Ambrosiana», 12, 1983, pp. 237-280; Id., Per la storia della biblioteca del monastero olivetano di Baggio nel Quattrocento, «Ricerche Storiche sulla Chiesa Ambrosiana», 6, 1976, pp. 127-136. Il Ghilio moriva nel 1518, ma le sue volontà andarono in esecuzione con una certa lentezza (ASMi, Fondo di Religione, b. 1678, 1554 marzo 8). ASMi, Fondo di Religione, b. 1678, 1532 aprile 16. Si veda a titolo di esempio i documenti relativi ai donativi di Gian Giacomo Trivulzio e ai lasciti di Giovanni Beolco al monastero, con allegato l’elenco delle cinquanta consorelle aperto ovviamente da Arcangela Panigarola, in ASMi, Notarile, b. 5952, notaio Francesco Marescotti, 1512 ottobre 20 e 21. Il notaio Marescotti non aveva rapporti di vicinia con le religiose essendo censito per 1.000 ducati nella parrocchia di Santo Stefano in Brolo di Porta Orientale nel 1524, cfr. ASMi, Censo p.a., b. 1520, estimo 1524. 206 GIUdIZI UNIVErSALI 4. I gesuati e le ‘divine madri’ Il centro di Santa Marta non era un luogo neutro nella società milanese cinquecentesca. Il convento agostiniano osservante era stato il centro nevralgico dell’oratorio, un circolo informale di ancora non semplice defi nizione, detto dell’Eterna sapienza. Animatrice del gruppo che annoverava diversi lettori dell’Apocalypsis nova amadeita era la ‘santa viva’ Arcangela Panigarola63 . Questo testo era giunto a Milano probabilmente nel 1514, portato dal frate minore Giorgio Benigno Salviati (alias Juraj Dragišić), allora vicario nella diocesi Sabina di Bernardo López de Carvajal, cardinale protettore della congregazione amadeita 64. Il volume conteneva rivelazioni profetiche che il frate iberico Amadeo Menez de Silva – minore fondatore della congregazione che aveva la casa madre nella milanese Santa Maria della Pace – avrebbe ricevuto nella grott a di San Pietro in Montorio a Roma, ma era stato in realtà ampiamente interpolato, probabilmente riscritto, da frate Salviati in casa di Carvajal dopo il 1502 65 . Sebbene, fatta salva la comune amicizia con Carvajal, a differenza di quanto avviene con Santa Corona, non sono attestati rapporti diretti tra gesuati e agostiniane di Santa Marta nei primi decenni del XVI secolo. La mistica Panigarola poteva avere avuto una certa affinità con i gesuati e sicuramente, a posteriori, il Morigia le riconosceva grandi meriti 66 . In una delle visioni della religiosa compariva uno stendardo con il monogramma IHS retto da angeli annuncianti che «i discepoli dell’Eterna sapienza» erano coloro che «tolerando per il nome suo [di Gesù] ogni cosa adversa […] lanciano oratione spetiale ad honor desso nome de Iesus quale è il nome de essa Eterna Sapientia»67. In altre visioni, già disperse in forma originale nel 63 64 65 66 67 Sul cenobio di Santa Marta, ora si veda il volume Angeliche visioni. Veronica da Binasco nella Milano del Rinascimento, a cura di A. Bartolomei Romagnoli, E. Paoli, P. Piatt i, SismelEdizioni del Galluzzo, Firenze 2016; sulla Panigarola, da ultimo, cfr. T. Herzig, Le donne di Savonarola. Spiritualità e devozione nell’Italia del Rinascimento, Carocci, Roma 2014, pp. 173-185; C.T. Gallori, Las revelaciones de Arcangela Panigarola entre profetimo y devoción, in Visiones imperiales y profecía, cit., pp. 219-243. Lettere. Libro secondo, BAM, sez. F, n. 56 Suss., cc. 6r-7r, Arcangela Panigaola a Denis Briçonnet, Milano, 11 marzo 1514; Herzig, Le donne di Savonarola, cit., p. 176. Per il vicariato di Salviati in Sabina su incarico di Carvajal (documento che innova la lett ura dei rapporto tra i due), cfr. ASV, Miscellanea, doc. 6941, 1514 ottobre 4. Cfr. almeno C. Vasoli, Profezia e ragione. Studi sulla cultura del Cinquecento e del Seicento, Morano, Napoli 1974, pp. 15-127; A. Morisi Guerra, Apocalypsis Nova. Ricerche sull’origine e la formazione del testo dello pseudo-Amadeo, Istituto Storico per il Medioevo, Roma 1970, pp. 27-37; Ead., The Apocalypsis Nova: A Plan for Reform, in M. Reeves (ed.), Prophetic Rome in the High Renaissance Period, Clarendon Press, Oxford 1992, pp. 27-52. La trascrizione del testo dell’Apocalypsis ora si legge in B. Amadeu, Nova Apocalipse, a cura di D.L. Dias, Universidad de de Coimbra, Coimbra 2014. Gagliardi, “Li trofei della croce”, cit., pp. 236-241. C. Marcora, Il Cardinal Ippolito I d’Este arcivescovo di Milano, «Memorie Storiche della Diocesi di Milano», 5, 1958, pp. 325-520: 434-435; BAM, O. 165 sup. c. 46. 207 EdoArdo roSSEttI XVII secolo e forse ampiamente interpolate, nelle quali, secondo una lettura tarda, si voleva intravedere la profezia della nascita dei gesuiti, potrebbero invece celarsi dei riferimenti alla religiosità dei gesuati. In questo caso la Panigarola avrebbe sostenuto che la riforma della chiesa avrebbe avuto principio da un ordine religioso ‘nuovo’ i cui membri «avevano scolpito in fronte il nome di Giesù»68 . Tutte tracce di vicinanza al sistema di devozione, quasi ostentazione, fatta dai gesuati rispetto al nome di Gesù declinato nel trigramma IHS 69. Attorno al 1557, suor Paola Maria Arconati di Santa Marta prestava a Paolo Morigia una copia dell’Apocalypsis nova. L’interesse del gesuato verso il testo del frate sembra significativa per più versi nel contesto del presente intervento70. Inoltre lo stesso Morigia aveva donato a Santa Maria della Pace – il luogo dove era sepolto il beato Amadeo – alcune reliquie71. Da un lato risulta evidente che nella biblioteca del convento gesuato milanese non erano presenti, fin oltre la metà del XVI secolo, copie dell’Apocalypsis amadeita; d’altra parte l’attenzione di frate Paolo al testo profetico può essersi sedimentato sopra un interesse già esistente all’interno della congregazione, specie nel cenobio lombardo. A riprova di una certa fascinazione escatologica, il Morigia stesso si disperde in una vividissima e luminosissima descrizione del giudizio universale futuro fatta alla nipote Paola Girolama monaca nel monastero della Maddalena presso Sant’Eufemia72 . Sono queste indubbiamente attestazioni tarde di un possibile legame tra i gesuati milanesi, i lettori dell’apocalisse amadeita, le agostiniane di Santa Marta e il circolo dell’Eterna sapienza, ma è possibile pensare che questa memoria dei contatti della congregazione abbia corrisposto al sistema delle reti devozionali di primissimo Cinquecento, specie tenendo conto dei legami tra la congregazione e il cardinale che diede ordine di disigillare il manoscritto 68 69 70 71 72 Marcora, Il cardinal Ippolito I d’Este, cit., pp. 440-441; F. Bonardi, Origine e progressi del Venerando monastero di Santa Marta di Milano, BAM, ms. L 56 suss, c. 278r. Gallori, Las revelaciones de Arcangela Panigarola, cit., pp. 232-233, 242; e della stessa il testo in questo volume. Così il gesuato: «et in tal maniera [Amadeo] si unì a Dio per santa contemplatione, che meritò dal signore d’havere molte belle et eccellenti visione, le quali sono tutte priene di profetia; parlando elleno di molte cose c’hanno a venire et è intitolato il libro de le Rivelationi del beato Amideo, et è assai gran volume. Io mi ricordo (già dodici anni sono) che la reverenda madre suor Paola Maria Arconata, […] m’accomodò d’uno di questi libri, del quale legendolo pigliava molto gusto et consolatione spirituale», cfr. P. Morigia, Historia dell’origine di tutte le religioni, presso Pietro da Fino, Venezia 1569, pp. 157r; I. Gagliardi, La Christiformitas di Veronica da Binasco nel solco della tradizione agostiniana di Simone da Cascia, in Bartolomei Romagnoli, Paoli, Piatti (a cura di), Angeliche visioni, cit., pp. 341-354: 341, nota 2; Gallori, Las revelaciones de Arcangela Panigarola, p. 237. Gagliardi, “Li trofei della croce”, cit., pp. 238-240: 239, nota 19. P. Morigia, Dello stato religioso e vita spirituale, Venezia 1585, pp. 451-453; Gagliardi, “Li trofei della croce”, cit., pp. 238-240. 208 GIUdIZI UNIVErSALI originale dell’Apocalypsis nova in San Pietro in Montorio e, probabilmente, dando incarico al Salviati di rielaborarlo e riportarlo a Milano a Santa Marta: Bernardino López de Carvajal. 5. Giudizi universali: i gesuati, il concilio di Pisa Milano e Bernardino López de Carvajal (1511-1512) Senza censure, nonostante le possibili sfumature imbarazzanti che il ricordo poteva trascinare con sé, Paolo Morigia73, registrava come il cardinale di Santa Croce in Gerusalemme, Bernardino López de Carvajal, «portando affectione all’abito nostro» avesse preso alloggio presso il convento di San Girolamo, contribuendo allo stesso decoro della chiesa, durante i mesi del concilio ribelle (15111512) e mentre preparava l’offensiva contro Giulio II. In realtà, probabilmente, nel complesso dei gesuati era alloggiato solo il suo vasto e variegato seguito, come era accaduto durante la legazione del porporato negli anni 1496-1497, mentre il cardinale occupava alternativamente la casa dell’ex segretario ducale Marchesino Stanga e quella che era stata di Cecilia Gallerani, già favorita del Moro74. Morigia narra: Non rimarrò a dire che l’anno medesimo che il detto cardinale di Santa Croce raunò il suo concilio portando egli affettione all’habito nostro e alloggiando nel nostro monasterio di Milano, fece dipingere la capella maggiore della nostra chiesa di San Girolamo di Milano, dalla mano manca nell’entrare in essa chiesa e il Giudicio universale, e ciò fu l’anno 1511. Le quali figure furono levate via l’anno 1556 e il medesimo anno fra Benedetto da Brescia dell’habito nostro dipinse tutta essa capella nella maniera ch’ella si vede al presente. Et l’anno 1572 egli rinovò tutta la pittura del Giudicio dove fino al giorno d’hoggi si veggono l’armi del detto cardinale75. 73 74 75 Meno compromettente ma altrettanto puntuale il resoconto del concilio che il Morigia faceva nell’Historia di Milano come annotato in: Bonora, I conflitti della controriforma, cit., p. 37; Gagliardi, Li trofei della croce, cit., p. 238, nota 19. Anche nel 1496 il Carvajal risedette altrove, specialmente in castello, mentre il suo seguito era sistemato i parte nell’osteria di Sant’Antonio adiacente a San Girolamo e nello stesso complesso gesuato (Iohannis Burchardi, Diarium sive rerum urbanarum commentarii, 14831506, par Louis Thuasne, 3 voll., Paris, Leroux 1883-1885, II, p. 314); sulla localizzazione dell’ospizio rispetto al convento gesuato cfr. ASMi, Notarile, b. 7136, notaio Alessandro Zavattari, 1525 agosto 14. Il resto dell’imponente seguito e gli ambasciatori spagnoli era invece alloggiati in San Francesco Grande e in una delle case dei Sanseverino, probabilmente quella di Giovanni Francesco, sita tra il castello e la casa di Marchesino Stanga, cfr. ASMi, Sforzesco, b. 1135, 1496 ottobre 13. Morigia, Paradiso de’ giesuati, cit., p. 355. L’autore del rifacimento (1572) era il frate gesuato Benedetto Marone (al secolo Paolo Marone da Manerbio), un interessante figura di artista interno all’ordine e proveniente da una ramificata parentela di pittori, attivo nei centri di Milano, Verona, Bologna, Brescia, Venezia e Siena, sul quale cfr. Dufner, Geschichteder Jesuaten, cit., pp. 278-285, 382; F. Frisoni, Paolo il Vecchio, Bartolomeo e Paolo il Giovane. I da Caylina nel contesto artistico bresciano, in P.V. Begni Redona (a cura di), 209 EdoArdo roSSEttI Un affresco del Giudizio era dunque realizzato in San Girolamo in un momento di forte tensione. Non è questa la sede per ricostruire le complesse vicende del concilio, cosiddetto ‘conciliabolo’, di Pisa-Milano, ma preme sottolineare come l’impresa fallimentare segnò il culmine di un conflitto di lungo corso tra il Sacro collegio e il pontefice, e fu un momento di coagulo di varie istanze di riforma della Chiesa, non senza conseguenze76. Dal punto di vista più strettamente locale, questa commissione si inseriva nel quadro di relazioni dei gesuati milanesi che si è sopra tracciato. L’operazione artistica di Carvajal era coordinata con il generale rinnovo del complesso di San Girolamo promosso dal priore in carica Girolamo della Riva, e subito prese a modello in ambienti affini a Santa Corona77. Negli stessi mesi, i gesuati, forti della loro posizione avviavano la vertenza per il recupero dei legati di Gualtiero Bascapè accordandosi con i confratelli di Santa Corona78. Inoltre, a chiudere il quadro, nelle stesse settimane, il cardinale di Santa Croce in Gerusalemme si affidava proprio a Paolo Cittadini, dal 1507 confratello di Santa Corona, per la stesura degli atti del concilio e per importanti missioni diplomatiche79. 76 77 78 79 Paolo da Caylina il Giovane e la bottega dei da Caylina nel panorama artistico bresciano fra Quattrocento e Cinquecento, Artigianelli, Brescia 2003, pp. 18-46: 41-42; A.M. Pansera, Fra Benedetto Marone alla chiesa di S. Cristo, in I.M. Volta (a cura di), Intorno alle mura. Brescia Rinascimentale, Studium, Breno-Brescia 2015, pp. 90-94; F. Frisoni, Un diverso Rinascimento bresciano. Andrea e Paolo da Manerbio, «Commentari dell’Ateneo di Brescia», 215, 2016 (ma 2018), pp. 443-489. Lo storiografo milanese ritornava anche altrove su un’ulteriore ridipintura del Giudizio avvenuta tra il 1590 e il 1595 a seguito dell’ampliamento della cappella maggiore e a opera di Andrea Pellegrini, cfr. Morigia, Historia dell’antichità di Milano, cit., p. 174; Id., La nobiltà di Milano, cit., p. 281. La menzione di questo secondo pittore (per il quale cfr. L.M.R. Barbieri, L’eredità del Tibaldi nella bottega dei pittori Andrea e Domenico Pellegrini, «Rassegna di Studi e di Notizie», 37, 2014-2015, pp. 91-167; F. Cavalieri, Domenico Pellegrini (1580 circa-1635 circa): un profilo, in A. Morandotti, G. Scipione (a cura di), Scambi artistici tra Torino e Milano. 1580-1714, Scalpendi, Milano2016, pp. 237259) risulta particolarmente interessante perché contribuisce a creare un quadro coerente sulle reti di artisti creatasi attorno a san Girolamo considerata la sua menzione nelle ultime volontà del 28 luglio 1593 del collega Aurelio Luini come esecutore testamentario e «mei amicissimi» insieme all’altro esecutore, il fonditore Giovanni Battista Busca (ASMi, Fondo di Religione, b. 33, cc. 392r; sul Busca, cfr. S. Leydi, I Busca fonditori in bronzo tra Quattrocento e Seicento: fonti e documenti, «Nuovi Annali. Rassegna di studi e contributi per il Duomo di Milano», 2, 2010, pp. 137-154); con lo stesso testamento il figlio del più famoso Bernardino disponeva appunto di farsi inumare in San Girolamo di Porta Vercellina. Un commento del gesuato all’attività del Luini figlio in Morigia, La nobiltà di Milano, cit., p. 278. Per il concilio, ancora indispensabile è la raccolta di documenti di A. Renaudet, Le Concile Gallican de Pise-Milan. Documents florentins (1510-1512), Champion, Paris 1922; diverse note sul ‘conciliabolo’ in N.H. Minnich, The Fifth Lateran Council (1512-17). Studies on its Membership, Diplomacy and Proposals for Reform, Ashgate, Aldershot-Brookfield 1993. Cfr. supra nota 56. Cfr. supra nota 48. Il Cittadini ebbe in questo periodo anche la qualifica di cancelliere di Carvajal e fu inviato a Bologna per convincere la ‘santa viva’ Elena Duglioli Dall’Oglio ad aderire al concilio, cfr. Promotiones et progressus sacrosancti Pisani concilii moderini indicti et inchoati anno domini MDXI, Parigi, Ioannem Petit, apud Gothardum Ponticum, 1512, c. f1v; si veda il 210 GIUdIZI UNIVErSALI Scomparso però l’originale dipinto, l’unico modo per contestualizzare il Giudizio di San Girolamo sono le altre committenze contemporanee promosse dagli stessi mecenati o giocate sullo stesso tema nella medesima area geografica. Una parola va spesa preliminarmente sulla posizione del dipinto, posto nella cappella maggiore, probabilmente sull’arco trionfale in rapporto diretto con la Crocifissione ora a Brera di Bartolomeo Suardi detto Bramantino80. Sembra che la scelta debba rappresentare una svolta rispetto alla pratica medievale di posizionare i Giudizi universali in controfacciata, come monito ai fedeli che uscivano dal luogo di culto81. Situato sopra o nei pressi dell’altare e correlato a una Crocifissione, il tema del giudizio assumeva un significato diverso, non più solo monito, ma ricordo più della salvezza derivante dal sacrificio di Cristo che della dannazione. Anche se manca una catalogazione completa del sistema decorativo delle chiese dei gesuati, sembra non inutile sottolineare che un Giudizio finale sull’arco trionfale ornava (e in un caso orna ancora) le sole chiese di Milano, Brescia (San Cristo) e Verona (nella perduta San Bartolomeo in Monte), con interventi di pieno Cinquecento che come a Milano potevano costituire rifacimenti di pitture precedenti sullo stesso soggetto82 (Fig. 6). Cosa univa specialmente que- 80 81 82 materiale a stampa sottoscritto dal Cittadini allegato all’atto notarile con il quale i gerolamini del Castellazzo si rifiutavano di presenziare all’entrata del cardinale ASMi, Notarile, b. 2860, notaio Bartolomeo Ghiringhelli, 1511 dicembre 4; Leggenda anonima di Elena Duglioli, Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, ms. B4314, c. 90r; G. Zarri, Le sante vive. Profezia di corte e devozione femminile tra ’400 e ’500, Rosenberg & Sellier, Torino 1990, pp. 140-141, note 99, 100. Su questo dipinto che, per la rara presenza del Titulus crucis esteso in tre lingue, si può pure avvicinare al mecenatismo di Carvajal si cfr. E. Rossetti, Con la prospettiva di Bramantino. La società milanese e Bartolomeo Suardi (1480-1530), in M. Natale (a cura di), Bramantino. L’arte nuova del Rinascimento lombardo, Catalogo della mostra (Lugano, Museo Cantonale d’Arte, 28 settembre 2014-11 gennaio 2015), Skira, Milano 2014, pp. 43-79; C.T. Gallori, in M. Ceriana, E. Daffra, M. Natale, C. Quattrini (a cura di), Bramante a Milano. Le arti in Lombardia. 1477-1499, Catalogo della mostra (Milano, Pinacoteca di Brera, 4 dicembre 2014-22 marzo 2015), Skira, Milano 2015, pp. 210-211, scheda n. V.15; cfr. anche R. Cara, Suardi, Bartolomeo, detto Bramantino, in Dizionario Biografico degli Italiani, 94, Treccani, Roma 2019, pp. 482-489. V. Shrimplin, Hell in Michelangelo’s Last Judgment, «Artibus et Historiae», XV (30), 1994, pp. 83-107: 83-87. Nel caso di Brescia con rifacimento dello stesso frate gesuato Benedetto Marone che ridipinse anche il Giudizio di Milano. Degno di nota il fatto che a San Cristo alla Risurrezione dei salvati sia lasciato più spazio, la lunetta della prima campata sinistra della chiesa, rispetto al resto del Giudizio confinato nell’arco trionfale. A Verona esisteva affresco del medesimo soggetto: «nell’alto della facciata [del coro] sta dipinto a fresco il Giudizio universale, opera di Paolo Ligozzi» (G.B. Biancolini, Notizie storiche delle chiese di Verona, 9 vol., erede di A. Carattoni, Verona 1749-1771, II [1766], p. 468; F. Segala, G. De Masi, La chiesa e il convento dei gesuati di Verona al momento della soppressione (1668): inventario, Franco Segala, Verona 2008, p. 11). Si tratta di dati più tardi, ma che queste chiese avessero un legame strutturale sembra provato anche dal fatto che la chiesa veronese della congregazione era dotata di solo due cappelle, una dedicata a san Girolamo e l’altra dedicata a Santa Caterina, esattamente come accadeva a Milano prima delle riforme di fine Cinquecento (ivi, pp. 14-15). 211 EdoArdo roSSEttI sti tre centri della congregazione gesuata? A parte la fascia geografica a ridosso della dorsale alpina apparentemente nulla, salvo che tra il 1509 e il 1512, Milano, Brescia e Verona erano tutte passate sotto la dominazione del re di Francia o dell’imperatore che collaboravano apparentemente insieme al concilio di Pisa-Milano. Se Milano fu modello ai gesuati di Verona e Brescia può esserlo stato attorno al 1511 quando sotto la pressione del capo spirituale del concilio si rappresentava il Giudizio sulla facciata della cappella maggiore di San Girolamo? Per altro si deve notare che nel dipinto bresciano, l’unico che si conserva, realizzato dallo stesso pittore che cancellò l’originale milanese, lo spazio riservato alla rappresentazione dei salvati è maggiore a quella dei dannati; l’affresco degli eletti occupa infatti non solo la metà sinistra dell’arco trionfale, ma anche – con evidenti rimandi al nuovo contestato modello michelangiolesco – la lunetta immediatamente adiacente della navata della chiesa. A Brescia, il ciclo resta perfettamente inserito tra la Crocifissione ben visibile nell’abside e la gloria di Cristo rappresentata nella volta, a delineare chiaramente il rapporto tra sacrificio, fede e redenzione, più che quello tra peccato e dannazione. La scelta del soggetto da fare affrescare in San Girolamo, a corredo di un complesso riordino della cappella maggiore, era probabilmente per il cardinale Carvajal quasi scontata. Nel 1508, il porporato aveva predicato davanti alla corte imperiale l’imminenza del definitivo intervento divino nel mondo, al quale sarebbero state premessa una conversione dei mussulmani e una riforma della Chiesa83. Il Giudizio di San Girolamo si armonizzava al contesto di attesa millenaristica, ansia di riforma e moralizzazione della Chiesa che il cardinale andava predicando da quasi due decenni; temi che ricorrevano anche nelle scelte figurative delle sue committenze84. Che Carvajal leggesse di fatto il soggetto del giudizio universale in chiave positiva, come momento da attendere per un agognato rinnovamento e compimento dei tempi, sembra attestato anche da un nuovo pezzo che va a inserirsi nella biografia del personaggio: un Messale romano, conservato a New York, presso la Pierpont Morgan Library (ms. 1023), e realizzato a Roma da un non eccelso artista attorno al 152085 (Fig. 7). Oltre a restituire un nuovo ritratto del presule (c. 14r), il volume si apre nella rilegatura attuale (c. 2r) con la liturgia da celebrarsi per la messa di Ognissanti (1 novembre) presentando una serie di immagini a corredo del «Gaudemus omnes in domino diem festum», che sono singolare crasi di alcuni brani dell’Apocalisse. Se nei tondi della ricca cornice compare la donna 83 84 85 N.H. Minnich, The Role of Prophecy in the Career of the Enigmatic Bernardino López de Carvajal, in M. Reeves (ed.), Prophetic Rome in the High Renaissance Period, Clarendon Press, Oxford 1992, pp. 111-120. In generale si rinvia a E. Rossetti, «Nemo crucis titulos tam convenienter habebat quam tu». Entre profecía y devoción: símbolos y imágenes en el programa religioso y político de Bernardino López de Carvajal, in Pastore (a cura di), Visiones imperiales y profecía, cit., pp. 187-218. Il testo è stato segnalato in M. Albalá Pelegrín, Humanism and Spanish Literary Patronage at the Roman Curia: The Role of the Cardinal of Santa Croce, Bernardino López de Carvajal (1456-1523), «Royal Studies Journal», 4, 2017, pp. 11-37: 26. 212 GIUdIZI UNIVErSALI Figura 6. Frate Benedetto da Marone, Giudizio universale, Brescia, San Cristo, ca. 1562-1565. Figura 7. Miniatore attivo alla corte di Leone X, Messale romano di Bernardino López de Carvajal, ca. 1520, New York, Pierpont Morgan Library, ms. 1023, c. 2r. 213 EdoArdo roSSEttI vestita di sole e il dragone che trascina tre quarti delle stelle dei cieli (Apo. 12, 1-4), la scena centrale è dedicata alla visione degli eletti: «turbam magnam, quam dinumerare nemo poterat, ex omnibus gentibus et tribubus et populis et linguis» (Apo. 7, 9-17). Con inusitato gusto per il dettaglio e aderenza al testo biblico (Apo. 1, 12-20), al centro compare il trono divino circondato dai sette incensieri e dai sette candelabri (rappresentanti le sette chiese dell’Asia minore); sul trono siede il vegliardo dai capelli bianchi con la spada a doppio taglio nella bocca, con il libro aperto nella mano sinistra e recante, nella mano destra, le sette stelle (gli angeli posti a custodia delle sette chiese), ai suoi piedi sta l’agnello redentore con il rotolo dai sette sigilli tutti aperti. Nel complesso incastro delle visioni apocalittiche, la scena risulta congelata prima dello squillo della quinta tromba, prima dello scatenarsi dei guai e del versamento delle sette coppe dell’ira di Dio, cioè in una fase intermedia del giudizio finale quando il radunamento degli eletti è avvenuto, ma la vendetta di Dio non è ancora compiuta. Lo si comprende dal fatto che alla sinistra e alla destra del trono compaiono l’aquila che annuncia i tre guai, «vae, vae, vae» (Apo. 8, 13), e l’angelo che reca la quinta tromba, ma anche la chiave del pozzo dell’abisso (Apo. 9, 1). Stando all’esistente gli artisti lombardi del XV secolo non sembrano confrontarsi spesso con scene di Giudizi universali, ma nei pochi casi noti non sembra essere attestata angosciosa attenzione alla sorte dei dannati86. Nell’ Auctoritates de Antichristo, peculiare collezione di brani escatologici in volgare e latino stampato con un imponente corredo di immagini in due edizioni durante l’ultimo decennio del XV secolo, la scena del Giudizio finale è occupata per tre quarti dall’empireo e dai salvati, mentre l’inferno è risolto, con un sistema sbrigativo ormai standardizzato, nella rappresentazioni delle fauci di un grande mostro aperte ad accogliere i dannati87 (Fig. 8). Nel sopracitato volume Lectione. Epistole et Evangeliis vulgari stampato a Milano nel 1509, il Giudizio (c. b1), posto a corredo dei brani di Luca 22, contempla la rappresentazione dei soli eletti mentre la sorte dei peccatori è censurata, tanto da fare pensare più che a un vero proprio Giudizio universale a una scena di Resurrezione finale (Fig. 9). Nella campagna lombarda, l’unico affresco con questo soggetto che più si avvicina per geografia e cronologia al perduto dipinto di San Girolamo è quello che si trova nella chiesa dell’Annunciata di Brunello, centro prossimo a Vare- 86 87 Il pittore che sembra esercitarsi più spesso sul tema è Bernardo Butinone nella tavoletta di New York e nella lunetta-cimasa del Flügeraltar conservato al Castello Sforzesco di Milano, cfr. S. Zuffi, in M.T. Fiorio (a cura di), Museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco. Pinacoteca. Tomo I, Electa, Milano 1997, pp. 138-143, scheda 72. L. Donati, La vita dell’Anticristo, «La Bibliofilia», LXXVIII (1), 1976, pp. 37-65; Edoardo Barbieri ritorna più volte sul testo (1999, 2006), e da ultimo in Gli incunaboli milanesi delle Auctoritates de Antichristo: un’analisi bibliologica, in E. Colombo (a cura di), La tipografia a Milano nel Quattrocento, Atti del convegno (Comazzo, 16 ottobre 2006), Comune di Comazzo, Comazzo 2007, pp. 103-132; Aldovini, Gallori, Dal Nord a Milano, cit., pp. 234-235. 214 GIUdIZI UNIVErSALI Figura 8. Incisore lombardo, Giudizio universale, in Auctoritates de Antichristo, Milano, Filippo Mantegazza, detto il Cassano, Alessandro Pellizzoni, 6 luglio 1496, c. 22v. Figura 9. Incisore lombardo, Giudizio universale, in Lectione. Epistole et Evangeliis vulgari hystoriati traducti de latino in lingua fiorentina, Milano, Petro Martyre di Mantegatii dicto el Cassano, a istanzia de Iohanne Iacobo et frateli da Legnano, 1509, c. 2r. 215 EdoArdo roSSEttI Figura 10. Bottega dei Campanigo, Giudizio universale (su modello semplificato della stampa di Francesco Rosselli), Brunello, Santa Maria Annunciata, ca. 1500-1510. Figura 11. Francesco Rosselli, Giudizio universale, ca. 1495. se88 (Fig. 10). Qui, il dipinto posto a decoro dell’arco trionfale a coronamento di un ciclo cristologico, dovuto alla bottega locale dei Campanigo, è ispirato a una stampa fiorentina di Francesco Rosselli probabilmente degli anni ’90 del XV secolo89 (Fig. 11). L’opera lombarda si discosta però dalla rappresentazio88 89 Anna Maria Ferrari, in M. Gregori (a cura di), Pittura tra Ticino e Olona. Varese e la Lombardia nord-occidentale, Cariplo, Milano 1992, p. 238. A.M. Hind, Early Italian Engraving. A critical catalogue with complete reproduction, Part I, vol. I, Quaritch, London 1938, p. 139, n. 7; M.J. Zucker, Early Italian Masters, in The illustrated Bartsch, 24 Commentary, Part II (vol. XIII, part 1), Abaris Book, New York 1994, pp. 85-86, n. 240.066; 216 GIUdIZI UNIVErSALI ne fiorentina per la rappresentazione dei dannati: dettagliato e ortodosso nella descrizione del rapporto tra peccato e pena il foglio toscano; risolto semplicemente con un’irenica introduzione dei dannati nelle fauci del solito mostro nel caso prealpino. Pur con la perdita del dipinto originale ci si trova comunque davanti a una congregazione, quella dei gesuati, che sembra proporre una visione ottimistica della salvezza90; a un cardinale, Carvajal, che ritiene probabilmente il tema del giudizio finale un monito e un segnale per la necessità di riforma della Chiesa, e in questo contesto varrà la pena di capire se veramente la destinazione delle parete di fondo della Sistina a ospitare un Giudizio (descritto per altro come Resurrezione nella fase progettuale), possa essere fatta risalire a un’idea di Giulio II, rivale del Carvajal durante il concilio di Pisa-Milano91; un contesto locale di immagini entro le quali evidentemente si sminuisce la portata delle pene infernali in favore di una visione positiva del giudizio come momento di redenzione più che di punizione. Il Giudizio universale di San Girolamo rispondeva dunque a questo schema? Non è possibile dirlo con certezza, ma certo un’immagine eccessivamente irenica non sarebbe piaciuta alle gerarchie ecclesiastiche locali dopo la metà del XVI secolo e avrebbe motivato una precoce cancellazione dell’opera come indica il Morigia. Probabilmente il Giudizio di san Girolamo rientrava in un complesso passaggio concettuale della visione e percezione della fine dei tempi: sul crinale del XV secolo, al terrore del giudizio si stava sostituendo l’attesa del giudizio. A questo mutamento soggiaceva un’idea di salvezza che percorreva anche l’umanesimo milanese e non doveva dispiacere ai gesuati. In qualche modo emblema di questo sentire era un sonetto presente nel ms. Italiano 1543 della Bibliothèque nationale de France (BnF). Il codice in cui si conserva il componimento era un aggiornato zibaldone proveniente verosimilmente dalla casa dell’aristocratico poeta Gaspare Ambrogio Visconti92 . Il sonetto si presenta barrato, procedimento riservato nello stesso volume ad altri componimenti dal contenuto morale e religioso poco ortodosso; si tratta comunque di una censura poco convinta che lascia intravedere tutto il contenuto del testo. Spetta a Franco Bacchelli il merito di avere collegato questi versi alla 90 91 92 G. Lambert, Les premières Gravures Italiennes, quattrocento – début du cinquecento. Inventaire de la collection du départmente des Estampes et de la Photographie, Bibliothèque Nationale de France, Paris 1999, pp. 100-101, n. 211. Per l’identificazione del rapporto tra la stampa e il dipinto varesino, cfr. E. Rossetti, “Pure et sine curiositate”? La controversa fortuna delle immagini dell’osservanza, «Rivista Storica Italiana», CXXIX (3), 2017, pp. 929-961: 955-958. Gagliardi, I pauperes yesuati, cit., p. 451. Si cfr. in merito M. Firpo, F. Biferali, “Navicula Petri”. L’arte dei papi nel Cinquecento, Laterza, Roma-Bari 2009, pp. 128-129. R. Castagnola, Milano ai tempi di Ludovico il Moro. Cultura lombarda nel codice italiano 1543 della Nazionale di Parigi, «Schifanoia», 5, 1988, pp. 101-185; ora sul manoscritto si veda T. Zanato, L’occhio sul presente. Varia cultura di due codici riconducibili a Gaspare, in S. Albonico, S. Moro (a cura di), Gaspare Ambrogio Visconti poeta aristocratico. Politica, arti e lettere nella Milano di fine Quattrocento, Viella, Roma 2020, pp. 154-172. 217 EdoArdo roSSEttI produzione poetica creata a Milano attorno al processo del frate minore Giuliano da Muggia, che stando al solito e bene informato Benigno Salviati, aveva sostenuto nelle sue prediche lombarde la tesi «de ingenti numero salvandorum et paucissimo damnandorum»93. L’autore era Giacomo Alfieri, colto segretario ducale, padre e nonno di alcuni membri della confraternita di Santa Corona e di alcune benedettine del Monastero Maggiore, accorso in difesa dello stesso Giuliano da Muggia durante il summenzionato processo94. Il tema era quello della salvezza. L’Alfieri chiamava in causa puntualmente una serie di brani biblici a sostegno della tesi che il numero dei salvati sarebbe stato maggiore di quello dei dannati: un’allusione alla visione dell’Apocalisse capitolo 7 messa in scena anche nella miniatura di Carvajal e al brano di Matteo 7, 13-14; la parabola evangelica della veste indegna alla festa nuziale (Matteo 22, 1-14); la parabola dei salariati dell’undicesima ora della quale si forza la conclusione «multi sunt vocati, pauci vero electi» (Matteo 20, 1-16)95. L’invito finale era quello di lasciare i peccati e di concentrarsi con entusiasmo sull’amore di Dio. Se li damnati son più che i salvati, perché non sian rari et pochi a gloria eletti: come sta donque figurati detti, ch‘el numero è infinito ultra i signati, se come arene fian, cum l’aplicati? Et como stelle? Et Dio ciò ne prometti! Come d’andare la su le vie son stretti? Como donque sarano più i damnati? Tu sai che nel convito un sol fra tanti, 93 94 95 F. Bacchelli, Giuliano da Muggia, in DBI, 56, Treccani, Roma 2001, pp. 762-764; C. Dionisotti, Umanisti dimenticati?, «Italia Medievale e Umanistica», 4, 1961, pp. 287-321: 309-310. Il tema era ovviamente scottante e velato di eresia e sul complicato recupero di Origene; per il quale cfr. almeno E. Wind, L’eloquenza dei simboli, a cura di J. Anderson, Adelphi, Milano 1992, pp. 67-87; L. Giusso, Origene e il Rinascimento, Gismondi, Roma 1957; Une controverse sur Origène à la Renaissance: Jean Pic de la Mirandole et Pierre Garcia, textes présentés, traduits et annotés par H. Crouzel, Librairie Philosophique J. Vrin, Paris 1977. Sul contesto culturale di questa congiuntura, cfr. ora anche E. Rossetti, «Tactus veneno viperae tuae». Istantanee, riflessi e distorsioni: la società milanese nelle opere di Gaspare Ambrogio Visconti, in Gaspare Ambrogio Visconti, cit., pp. 291-333. F. Leverotti, «Governare a modo e stillo de’ Signori...». Osservazioni in margine all’amministrazione della giustizia al tempo di Galeazzo Maria Sforza duca di Milano (1466-76), Olschki, Firenze 1994, pp. 51-53, nota 140; Ead., La cancelleria segreta da Ludovico il Moro a Luigi XII, in L. Arcangeli (a cura di), Milano e Luigi XII. Ricerche sul primo dominio francese in Lombardia (14991512), Franco Angeli, Milano 2002, pp. 221-253: 240-241, nota 107. BNF, Cod. It. 1543, c. 122v; in un giocoso sonetto antifratesco di Bernardo Bellincioni, esattamente contemporaneo, compare una diretta critica a chi sostiene che sarebbero stati pochi i salvati e numerosi i dannanti, cfr. P. Fanfani (a cura di), Le rime di Bernardo Bellincioni riscontrate sui manoscritti emendate e annotate, Gaetano Romagnoli, Bologna 1876, pp. 131-132, n. 90. 218 GIUdIZI UNIVErSALI per non haver la nuptial fu extracto, ma li altri furno boni, ellecti et santi. Et sai chi’n diverse hore, et no ad un tracto, condusse su la vigna li operanti, per darli equal mercede al primo pasto. Però non esser matto, che vene Dio a chiamare li peccatori et non li iusti. Hor lassa hormai li errori! Deh sian vostri fervori sol d’amor pieni, che seran più accetti. Nam multi sunt vocati et multi eletti. Forse un simile messaggio confortante era predicato a Milano anche dai gesuati, illustrato nella loro chiesa, e garantì il loro successo nella società milanese. Bibliografia Albalá Pelegrín M., Humanism and Spanish Literary Patronage at the Roman Curia: The Role of the Cardinal of Santa Croce, Bernardino López de Carvajal (1456-1523), «Royal Studies Journal», 4, 2017, pp. 11-37. Aldovini L., Gallori C.T., Dal Nord a Milano: stampe e stampatori tra Quattro e Cinquecento, in F. Elsig, C. Gaggetta (a cura di), Cultura oltremontana in Lombardia al tempo degli Sforza (1450-1535), Atti del convegno (Genève, 12-13 aprile 2013), Viella, Roma 2014, pp. 211-259. 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