Nel 1712, quando all’interno dell’Accademia si è da poco consumata la celebre ‘crisi’ che ha determinato la fuoriuscita di Gravina e dei suoi seguaci, Giovan Mario Crescimbeni pubblica una nuova edizione del trattato La bellezza della... more
Nel 1712, quando all’interno dell’Accademia si è da poco consumata la celebre ‘crisi’ che ha determinato la fuoriuscita di Gravina e dei suoi seguaci, Giovan Mario Crescimbeni pubblica una nuova edizione del trattato La bellezza della volgar poesia – vero e proprio manifesto della poetica di Alfesibeo –, la cui princeps era uscita nel 1700. La seconda edizione comprende un dialogo in più rispetto alla prima, il nono, nel quale si discute, come ammette l’autore, «del gusto del secolo presente decimottavo nella lirica poesia volgare» e si elencano i migliori poeti contemporanei; questa appendice risulta particolarmente interessante, da un lato, perché assume l’aspetto di un canone assai precoce e originale, dall’altro, perché la selezione fatta da Crescimbeni sembra procedere dalla volontà di riaffermare una precisa visione poetica a scapito della proposta graviniana. Il presente contributo, che nasce in margine all’allestimento di un’edizione commentata della Bellezza della volgar poesia, mira a indagare la natura militante dell’operazione crescimbeniana e a sondare la fortuna del canone qui stabilito nella storiografia letteraria pieno settecentesca.
Elena Balletti Riccoboni (Ferrara 1686-Parigi 1771) fu attrice col nome di scena di Flaminia («Isabella Andreini del secol suo» come la definì il Pindemonte) e trovò patente riconoscimento all’attività di poetessa con l’entrata in Arcadia... more
Elena Balletti Riccoboni (Ferrara 1686-Parigi 1771) fu attrice col nome di scena di Flaminia («Isabella Andreini del secol suo» come la definì il Pindemonte) e trovò patente riconoscimento all’attività di poetessa con l’entrata in Arcadia del 1715, alla vigilia della partenza per Parigi come primadonna del rinato Théâtre-Italien. Il decennio 1706-1716 ha segnato il percorso più fruttuoso della carriera di interprete della Balletti, che accanto al marito Luigi Riccoboni detto Lelio e attraverso le opere di Scipione Maffei e di Pier Jacopo Martello, portò avanti un importante progetto drammaturgico di rinnovamento della scena italiana.
Nel corso del Settecento la Merope del veronese Scipione Maffei non è stata soltanto investita del ruolo di tragedia di riferimento per la creazione di un canone drammaturgico italiano, ma ha costituito anche il motore fondamentale di una... more
Nel corso del Settecento la Merope del veronese Scipione Maffei non è stata soltanto investita del ruolo di tragedia di riferimento per la creazione di un canone drammaturgico italiano, ma ha costituito anche il motore fondamentale di una discussione, di rilievo europeo, sulla funzione del teatro in età moderna.
Allo straordinario successo dell’opera, tuttavia, fece seguito sin dal XIX secolo un rapido oblio, da parte sia del pubblico che della critica. In questo senso, i due versi pronunciati da Merope e scelti come titolo del convegno «Mai non mi diero i Dei / Senza un ugual disastro una ventura» sintetizzano al meglio la contrastata fortuna della tragedia maffeiana, di cui il presente volume offre una rilettura critica in occasione del terzo centenario dalla sua prima messa in scena (Modena, 1713).
Attraverso l’analisi di alcuni testi teatrali settecenteschi, scelti come particolarmente rappresentativi, il libro propone un’interpretazione del mito edipico, nel suo adeguarsi alle differenti concezioni del tragico. Osservando il... more
Attraverso l’analisi di alcuni testi teatrali settecenteschi, scelti come particolarmente rappresentativi, il libro propone un’interpretazione del mito edipico, nel suo adeguarsi alle differenti concezioni del tragico. Osservando il paradigma nelle sue variazioni, lo studio si concentra sull’evoluzione della prospettiva di colpevolezza del protagonista, dalla sostanziale assoluzione sofoclea fino alla condanna sempre più decisa della modernità. All’imporsi della vicenda incestuosa sul parricidio corrisponde anche il passaggio dalla tragedia politica ad una di stampo più intimista, nella quale conquista spessore drammaturgico una dimensione sentimentale e onirica. Ad un capitolo introduttivo, volto a misurare la portata del mito nella letteratura cinque-seicentesca italiana in relazione alle teorie del tragico, seguono quattro letture di testi teatrali che propongono soluzioni innovative nella tradizione.