Il primo tema che ci proponiamo da subito come scopo di questo studio è verificare la possibilità di realizzazione delle soluzioni proposte dai nostri autori usando, quale metodo, gli strumenti giuridici da essi stessi propugnati. Per...
moreIl primo tema che ci proponiamo da subito come scopo di questo studio è verificare la possibilità di realizzazione delle soluzioni proposte dai nostri autori usando, quale metodo, gli strumenti giuridici da essi stessi propugnati.
Per fare ciò occorre, secondo noi, verificare se si può proporre, al fine della detta rivoluzione paradigmatica del diritto e dell'ecologia, una nuova o vecchia idonea struttura istituzionale incardinata su
un certo e consolidato sistema normativo.
Essa dovrebbe essere dotata dei seguenti caratteri: 1. comunitaria e di prima prossimità locale, 2. deputata alla partecipazione e alla condivisione (commoning[xx]), 3. struttura di sistema e collocata all'interno di altri sistemi, 4. le cui funzioni siano improntate a politiche economiche eco-sostenibili, solidali ed inclusive, ambientali e di contrasto ai cambiamenti climatici etc. 5. dotata di soggettività giuridica (per la tutela ambientale del territorio con azioni, ad es., di denuncia e ricorsi per prevenzione e ripristino ambientale[xxi]), 6. struttura di chiara e celere fattibilità giuridica ed amministrativa.
Lo scopo è la realizzazione di un test pilota Italiano per la creazione di comunità generative e rette da un diritto ecologico e sistemico.
Ancora, preliminarmente, osserviamo che tra i tanti rimedi giuridici proposti[xxii], vi è quello già sperimentato del no-profit, in Italia oggetto di una recente riforma con il Codice del Terzo Settore (D.Lgs 117/17). Altro rimedio proposto è la società di tipo B-Corp (suggerita dagli autori [xxiv]). Tale società, pur perseguendo il profitto, svolge attività di beneficio comune operando in modo responsabile, sostenibile[xxv] e trasparente: anche su questo tema vi è stata una recente legiferazione in Italia con la L.208/2015 (società benefit)[xxvi].
Considerate le novità della succitata normativa e con riferimento al coinvolgimento delterzo settore su temi relativi alla valorizzazione del patrimonio culturale, ci siamo chiesti se le soluzioni degli autori fossero applicabili anche ai beni comuni di tipo culturale.
Scopo di questo saggio è, dunque, analizzare anche se e come detti rimedi possano essere usati al settore del patrimonio culturale e paesaggistico,
Tanto, in virtù delle recenti riforme legislative per la “socializzazione della cultura”[xxvii] ma, e sopratutto, della recente collocazione delle funzioni di tutela, valorizzazione e fruizione dei beni culturali tra i livelli essenziali delle prestazioni previsti dalla Costituzione (su questi temi si veda oltre).
Oltre che per il detto valore costituzionale, crediamo che tale analisi sia importante anche perché, in forza della vigente legge ambientale Italiana[xxviii], deve essere, contestualmente ed unitariamente, garantita la tutela sia dell'ambiente che del patrimonio culturale, a mezzo dei principi unionali per la tutela in materia ambientale.
Non avrebbe, peraltro, neanche senso escludere i beni culturali dal novero dei beni comuni giacché sin'ora, a differenza di altri beni comuni, essi sono stati poco attaccati dalle multinazionali (qualche avvisaglia però si vede con riferimento ai grandi attrattori culturali).
I beni culturali e paesaggistici, si stima preliminarmente, dovrebbero essere, invece al contrario, tra i primi beni oggetto della rivoluzione di applicazione ed interpretazione giuridica ecologica proposta da Capra e Mattei, proprio perché in gran parte oggi in mano pubblica e causa la detta scarsa invasività del capitale privato nel settore.
Dunque, tenteremo di capire se esistono anche qui le condizioni di fattibilità giuridica per avviare un primo test prototipale di gestione comunitaria del patrimonio culturale Italiano.