Catalogo della mostra di Kandinsky a Palazzo Reale
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Catalogo Kandinsky Palazzo Reale
1. K A N
D I N
S K Y
Vassily
Kandinsky
La collezione
del Centre
Pompidou
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2. K A N
D I N
S K Y
La collezione
del Centre
Pompidou
Direttore
Domenico Piraina
Coordinamento Mostra
Luisella Angiari
Responsabili Organizzazione
e Amministrazione
Giovanni Bernardi
Simone Percacciolo
Organizzazione
Giuliana Allievi
Filomena Della Torre
Christina Schenk
Diego Sileo
Giulia Sonnante
Roberta Ziglioli
Amministrazione
Roberta Crucitti
Valeria Giannelli
Laura Piermattei
Sonia Santagostino
Luisa Vitiello
Coordinamento Eventi
Anna Appratti
Responsabile Coordinamento Tecnico
Paolo Arduini
Coordinamento Tecnico
Luciano Madeo
Lorenzo Monorchio
Andrea Passoni
Responsabile Comunicazione
e Promozione
Luciano Cantarutti
Comunicazione e Promozione
Francesca La Placa
Antonietta Bucci
Ufficio Stampa Comune di Milano
Elena Conenna
Comunicazione Visiva
Dalia Gallico
Art Lab
Assistenza Operativa
Palma Di Giacomo
Giuseppe Premoli
Luciana Sacchi
Servizio Custodia
Corpo di guardia Palazzo Reale
Palazzo Reale è stato restaurato grazie a
Sindaco
Giuliano Pisapia
Assessore alla Cultura
Filippo Del Corno
Direttore Centrale Cultura
Giulia Amato
Presidente
Alfonso Dell’Erario
Amministratore Delegato
Natalina Costa
Responsabile Ufficio Mostre
Francesca Biagioli
Ufficio Mostre
Francesca Calabretta
Alberta Crestani
Sara Lombardini
Roberta Proserpio
Elena Stella
con il contributo di
Silvia Cortina
Responsabile
Ufficio Fund Raising,
Eventi ed Iniziative speciali
Chiara Giudice
Ufficio Fund Raising,
Eventi ed Iniziative speciali
Francesca Belli
Nicoletta Grassi
con il contributo di
Paola Cappitelli
Matilde Pelucchi
Giulia Mordivoglia
Ufficio Stampa e Social Media
Elisa Lissoni
con il contributo di
Michela Beretta
Stefania Coltro
Barbara Notaro Dietrich
Responsabile Operations
Alessandro Volpi
Ufficio Operations
Elena Colombini
con il contributo di
Andrea Baraldi
17 Dicembre 2013
27 Aprile 2014
Milano, Palazzo Reale
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3. CATALOGO
Presidente
Iole Siena
Rapporti Internazionali
Katy Spurrell
Produzione e Comunicazione
Simona Serini
Ufficio Mostre
Allegra Getzel
Tiziana Parente
Registrar
Ghislaine Pardo
Rapporti Istituzionali
Massimo Pomponi
Ufficio Promozione
Giulia Moricca
Marzia Rainone
Ufficio Stampa
Adele Della Sala
Fund Raising
Gaia Franceschi
Sviluppo e Area Contemporary
Nicolas Ballario
Controllo di Gestione
Lorenzo Losi
Amministrazione
Mara Targhetta
Segreteria Generale
Federica Sancisi
Con il contributo di
Francesca Longo
Anastasia Marsella
Luca Zampolli
24 ORE Cultura
Realizzazione editoriale
24 ORE Cultura
Responsabile editoriale
Balthazar Pagani
Ufficio editoriale
Chiara Bellifemine
Caporedattore
Giuseppe Scandiani
Redazione
Stefania Vadrucci
Responsabile Ufficio tecnico e grafico
Maurizio Bartomioli
con il contributo di
Stefano Berté
Responsabile Ufficio iconografico
Gian Marco Sivieri
Segreteria di redazione
Elisabetta Colombo
Giorgia Montagna
con il contributo di
Traduzioni
Arianna Ghilardotti
MOSTRA
A cura di
Angela Lampe
In collaborazione per l’Italia
Ada Masoero
Progetto allestimento
Studio CastagnaRavelli
Progetto grafico
Emanuele Zamponi
Studio Pepenymi
Assicurazioni
Blackwall Green
Trasporti
Lp Art / Apice Scrl
Conservazione opere
Simona Fiori
Didattica
Ad Artem
Audioguide
Antenna International
Servizio di biglietteria e prevendita
MostraMi
Serviziodi guardiania
Domina
Traduzione pannelli
Arianna Ghilardotti
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4. Presidente
Alain Seban
Direttrice generale
Agnès Saal
Direttore del Musée national
d’art moderne - Centre de création industrielle
Alfred Pacquement
Direttore del Dipartimento
per lo sviluppo culturale
Bernard Blistène
Presidente dell’Associazione
per lo sviluppo del Centre Pompidou
Jack Lang
Presidente della Sociatà degli amici
del Musée national d’art moderne
Jacques Boissonnas
MOSTRA
A cura di
Angela Lampe
Responsabile della ricerca
Rachel Milliez
Addetta alla collezione
Claire Both
Registrar opere
Sennen Codjo
Registrar riserve
Xavier Isaia
Restauratrice dei dipinti
Sophie Spalek
Restauratrice delle opere grafiche
Anne-Catherine Prud’homme
Documentazione delle opere
Camille Morando, Pilar Oraagil
Documentazione iconografica
Nécha Mamod, Perrine Renaud
Cornici
Jean-Alain Closquinet, Daniel Legué,
Gilles Pezzana, Gérard Riga
Carpenteria
Philippe Delapierre, Pascal Dumont,
Raphaëlle Jeandrot
Lavori in ferro
Laurent Melloul
Gestione amministrativa
Alexia Szumigala
Musée national d’art moderne -
Centre de création industrielle
Direttore
Alfred Pacquement
Direttori aggiunti
Catherine Grenier
(ricerca e mondializzazione)
Brigitte Leal (collezioni)
Frédéric Migayrou (creazione industriale)
Didier Ottinger (programmazione culturale)
Amministratrice
Catherine Perdrial
Bibliothèque Kandinsky
Didier Schulmann,
conservatore e capo-servizio
Responsabile dell’Ufficio
depositi e prestiti
Olga Makhroff
Responsabile delle collezioni
Ariane Coulondre
Responsabile del restauro
delle opere
Véronique Sorano-Stedman
Produzione
Direttore
Stéphane Guerreiro
Direttrice aggiunta, responsabile
dei servizi amministrativi e finanziari
Anne Poperen
Responsabile delle manifestazioni
Yvon Figueras
Responsabile delle movimentazione
delle opere ad interim
Marjolaine Beuzard
Responsabile dei laboratori
e dei mezzi tecnici
Gilles Carle
Responsabile architettura
Katia Lafitte
Prevenzione
David Martin
Ufficio comunicazione
e partenariati
Direttore
Benoît Parayre
Direttori aggiunti
Marc-Antoine Chaumien
Stéphanie Hussonnois-Bouhayati
Delegato alle relazioni internazionali
Alexandre Colliex
Immagine
Christian Beneyton
CATALOGO
A cura di
Angela Lampe
Ricerche documentarie
Rachel Milliez
Pubblicazioni
Direttore
Nicolas Roche
Direttore aggiunto,
responsabile di redazione
Jean-Christophe Claude
Responsabile del polo editoriale
Françoise Marquet
Responsabile dell’ufficio commerciale
Marie-Sandrine Cadudal
Responsabile dell’ufficio
contabilità e contratti
Matthias Battestini
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5. SEZIONE DIDATTICA PALAZZO REALE
Un coro di colori...Un coro di colori...
L’azzurro è la strada del sognoL’azzurro è la strada del sogno
Assessore Educazione e Istruzione
Francesco Cappelli
Direttore Centrale
Luigi Draisci
Direttore Settore
Scuole Paritarie e Case Vacanza
Salvatore Mirante
Responsabile
Ufficio Unità Didattiche Territoriali
Lucetta Ostaldo
Ideazione, Progettazione
Materiali didattici e Conduzione
Sezione Didattica Palazzo Reale
Cosma Bolgiani
Mariarosa Cacopardo
Anna Caporusso
Anna Marino
Luigia Vasta
Organizzazione
Anna Laura Ceddia
Sponsor tecnici
Con il sostegno di
Hotel ufficiale
In collaborazione con
Con il supporto di
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7. Kandinsky è il benvenuto a Milano: la sua arte è vita, colore, sorpresa. Kandinsky è un compo-
sitore: la sua leggerezza nasce dallo studio, dall’indagine attenta delle potenzialità del colore, della
linea, della forma. In lui c’è continua evoluzione, continuo spostamento del traguardo un po’ più in
là. Kandinsky è un viaggio che va oltre lui stesso, e ci raggiunge oggi per portarci avanti. Sentiamo in
Kandinsky qualcosa di noi e qualcosa di Milano: lo possiamo cogliere in questa mostra, che dal Centre
Pompidou raggiunge Milano come città d’arte alleata di Parigi nel celebrare e riproporre la migliore
cultura europea.
L’arte di Kandinsky è una ricerca sull’uomo: il suo gesto artistico è sempre accompagnato dall’in-
terrogativo sul senso e da una proposta di significato. I suoi scritti testimoniano una curiosità inesau-
sta sul mondo.
La rassegna di Palazzo Reale segna una nuova tappa della collaborazione tra due capitali dell’ar-
te, e consente di percepire allo stesso tempo la leggerezza e la complessità del maestro moscovita.
Una complessità estetica che è anche complessità storica: in lui c’è tutta l’identità europea: geografia
e storia. Da Mosca a Parigi, da Monaco a Berlino, dall’Europa di fine Ottocento alla repressione nazi-
sta. Gli oltre ottanta lavori esposti in mostra restituiscono i capisaldi di questo percorso affascinante e
profondo. Palazzo Reale li riunisce e li offre alla città in un allestimento attraente e insieme rigoroso,
che porta il visitatore a tu per tu con il maestro.
Kandinsky a Milano è un regalo per tutti: lo accogliamo con la felicità di chi riceve un dono. A
lui riserviamo Palazzo Reale, il polo artistico più centrale della città, che cresce per qualità e slancio
della proposta espositiva. Kandinsky è a Milano: una notizia e un invito per tutti.
Giuliano Pisapia
Sindaco di Milano
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9. Dopo la mostra collettiva dedicata all’astrattismo nel 2007, Vassily Kandinsky è protagonista a Pa-
lazzo Reale con una monografia che ne racconta l’intero viaggio verso la sua compiuta maturità artistica.
Per tutti, Kandinsky è il creatore dell’astrattismo, e molto popolari sono le immagini dei suoi
quadri, ma non tutti conoscono la strada che questo artista ha percorso per creare una nuova poetica.
Il suo cammino parte dagli studi in giurisprudenza e da una pittura materica in modalità quasi
impressionista, com’era alla moda nell’Europa di quegli anni, per giungere attraverso il tempo, i viag-
gi, le guerre a un’arte capace di vibrare grazie ai colori, alla loro forza, alle loro variazioni e relazioni.
Un’articolazione armonica che richiama quella della musica, che Kandinsky conosceva bene e
che apprezzava molto, soprattutto quella degli autori a lui contemporanei: i quadri della sua maturi-
tà sono un rimando continuo di luce e di suoni muti ma vivi, interrotti da segni grafici che sembrano
pause e note sul pentagramma.
Filippo Del Corno
Assessore alla Cultura del Comune di Milano
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11. Palazzo Reale, crocevia espositivo che sta al centro di Milano non solo per la sua posizione to-
pografica, nella stagione invernale di questo 2013 diventa prezioso punto di incontro di grandissimi
maestri dell’arte moderna e contemporanea.
Alle mostre dedicate a Jackson Pollock e agli esponenti dell’espressionismo astratto statunitense,
al poliedrico Andy Warhol, ai candidi marmi di Auguste Rodin, ai maestri del ritratto del Novecento si
aggiunge ora, con la feconda, preziosa collaborazione del Centre Pompidou, questa mostra dedicata a
Vassily Kandinsky, artista europeo per eccellenza: russo per nascita e formazione, emigrato in Germa-
nia dove vive l’avventura del Bauhaus, sino agli anni dell’affermazione e del riconoscimento in Francia.
Kandinsky, di cui il Centre Pompidou conserva una delle più ricche e complete testimonianze, è
giustamente considerato un maestro, un padre dell’astrattismo. Ma questa mostra è così preziosa proprio
perché offre, oltre ai capolavori della maturità, uno sguardo completo sul suo percorso formativo, che
procede seguendo il suo cammino di viaggiatore, di esploratore di culture, di analista delle ragioni che
muovono linee e colori, in un periodo in cui, tutt’intorno, soffiavano venti di rivolta, guerra, instabilità,
innovazione. E se dal profondo dell’animo non scompare mai la matrice della tradizione popolare russa,
l’amicizia e la collaborazione con Walter Gropius lo portano al Bauhaus, dove approfondisce e porta a
compimento le sue teorie su forma e colore, dove lavora con Joseph Albers, Oskar Schlemmer, László
Moholy-Nagy, Paul Klee. Proprio a questo periodo risale la sala di accoglienza per la Juryfreie Kunstaus-
stellung nel Glaspalast di Berlino, progettata nel 1922, ricostruita per l’inaugurazione del Centre Pom-
pidou nel 1977, e che per la prima volta viene esposta fuori della Francia.
È quindi un’occasione rara, quella offerta dalla visita di questa mostra, un percorso che si insinua
nell’anima dell’artista, oltre a mostrare esempi altissimi del suo genio di studioso e di innovatore. Per
questo sentiamo di dover davvero ringraziare il Centre Pompidou e tutti coloro che hanno reso possi-
bile questo importante progetto culturale.
Domenico Piraina
Direttore di Palazzo Reale
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13. “Nella mia anima, la disintegrazione dell’atomo
equivaleva alla disintegrazione del mondo intero.”
Agli occhi di Kandinsky, ciò che viene a mancare, in quell’anno 1913 in cui Niels Bohr formula la
sua teoria della struttura atomica, sono anzitutto le apparenze della realtà: “Non mi sarei sorpreso”, os-
serva l’artista, “se avessi visto un sasso dissolversi nell’aria davanti a me e diventare invisibile”. È anche
il procedimento scientifico stesso che si ritrova a essere messo radicalmente in discussione.
L’artista può forse immaginare, in quell’istante, che appena quarant’anni dopo quella scienza, dege-
nerando, farà precipitare l’umanità nell’abominio razionalista della soluzione finale e nell’orrore nucleare
di Hiroshima e Nagasaki? Di queste due tragedie avvenute nel cuore del XX secolo Kandinsky, morto nel
1944, non ha potuto sapere; ma mi piace pensare che, nella sua folgorante lucidità d’artista, egli ne abbia
avuto il presentimento sin dagli albori del secolo, prima ancora della Prima guerra mondiale.
Di fronte al fallimento del materialismo e del razionalismo, egli ha allora voluto inventare degli
“strumenti superiori di percezione” per “parlare del mistero per mezzo del mistero”, delle armi magiche
grazie alle quali “l’uomo parla all’uomo del soprannaturale”: innalzare l’arte di fronte alla disfatta della
scienza e della materia che sfugge; ma innalzarla anche di fronte ai drammi della Storia, quei drammi tra
i quali non ha mai smesso di farsi strada Vassily Kandinsky, nato in Russia nel 1866 e, in quanto russo,
costretto dallo scoppio della Prima guerra mondiale a lasciare la Germania, cacciato dalla Russia dalla
deriva del regime bolscevico, tedesco cacciato dalla Germania dall’ascesa al potere del nazismo, per infi-
ne morire cittadino francese nella Parigi appena liberata. Di queste tragedie, nulla sembra trapelare nella
sua opera, giacché essa guarda al di là del mondo e del tempo, al di là delle apparenze dell’universo visi-
bile, per tradurre l’essenza stessa del reale e così salvarlo dalla distruzione che lo minaccia. E tuttavia in
questa eroica impresa appare un artista, si trova un uomo di cui occorre oggi restituire l’intima coerenza.
Per rendere conto delle complesse scoperte della pittura astratta e del percorso personale che vi
s’intreccia, la curatrice della mostra Angela Lampe, conservatrice del Musée national d’art moderne del
Centre Pompidou, ha selezionato più di ottanta lavori, tra dipinti e opere su carta, che illustrano i periodi
principali della carriera dell’artista, tutti provenienti dal fondo Kandinsky, uno dei più cospicui al mondo.
La mostra documenta, così, il continuo arricchimento delle collezioni del Musée national d’art moder-
ne, dalla donazione iniziale di Nina Kandinsky al lascito dei fondi dello studio di Neuilly nel 1980, dalla
donazione del gallerista Karl Flinker nel 1994 alla costante generosità della Société Kandinsky. Questa
intima retrospettiva mette anche in luce la ricchezza del fondo Kandinsky, in particolare le fotografie,
che permettono di ricostruire un’avventura artistica straordinaria, dagli esordi a Monaco, con le audacie
dell’astrattismo, alla persistente influenza del Bauhaus e agli ultimi capolavori parigini.
Il clou della mostra è la presentazione del “Salon de réception” ideato da Kandinsky nel 1922 per
la Juryfreie Kunstausstellung al Glaspalast di Berlino; questo insieme di pannelli decorativi, ricostruito
in occasione dell’inaugurazione del Centre Pompidou nel 1977, da allora non era mai stato esposto fuori
della Francia.
Dunque, è a un evento raro che il pubblico italiano è invitato nelle prestigiose sale di Palazzo Rea-
le, e tengo a ringraziare particolarmente il Comune di Milano - Cultura, Palazzo Reale, 24 ORE Cultura
e Arthemisia Group per questa esemplare collaborazione.
Alain Seban
Presidente del Centre Pompidou
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15. Sommario
17 Vassily Kandinsky: un’opera senza confini
Angela Lampe
31 Vassily Kandinsky: le opere e i giorni
Ada Masoero
CATALOGO
46 Kandinsky a Monaco
1896-1914
82 Kandinsky in Russia
1914-1921
120 Kandinsky e il Bauhaus
1921-1933
170 Kandinsky a Parigi
1933-1944
APPARATI
197 Biografia di Vassily Kandinsky
203 Cronologia
209 Le opere in mostra
217 Bibliografia
222 Indice dei nomi
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17. 17
1. Vassily Kandinsky, Rückblicke
(1913), in Kandinsky,
Autobiographische Schriften,
a cura di Hans K. Roethel und
Jelena Hahl-Koch, Benteli,
Bern 1980 (tr. it. Sguardo al
passato, in Tutti gli scritti, vol.
II, Feltrinelli, Milano 1989, p.
161).
2. Ivi, p. 157.
3. Nina Kandinsky, Kandinsky
und ich, Kindler Verlag,
München 1976 (tr. it. Kandinskij
e io, Abscondita, Milano 2006,
p. 194).
4. Si vedano i cataloghi delle
seguenti mostre: Vassily
Kandinsky et la Russie
(Bruxelles, Musées royaux
des Beaux-Arts de Belgique,
8 marzo - 30 giugno 2013), a
cura di Claudia Beltramo Ceppi,
Giunti Arte Mostre Musei,
Firenze 2013; Kandinsky et la
Russie (Martigny, Fondation
Pierre Gianadda, 28 gennaio
2000 - 12 giugno 2000), a cura
di Lidia Romachkova, Fondation
Pierre Gianadda, Martigny
2000; Wassily Kandinsky. Die
erste sowjetische Retrospektive,
(Mosca, Galleria Tretjakov,
24 aprile - 11 giugno 1989;
Francoforte, Schirn Kunsthalle,
20 giugno - 20 aprile 1989; San
Pietroburgo, Museo Nazionale
Russo, 24 agosto - 11 ottobre
1989), a cura di Sybille Ebert-
Schifferer, Galleria Tretjakov,
Mosca 1989.
Non sono molti gli artisti, e se è per questo nemmeno gli individui, che sono
diventati successivamente cittadini di tre diversi Stati. Vassily Kandinsky occupa
un posto particolare tra i numerosi artisti d’avanguardia che lasciarono i loro Paesi:
nato in Russia, è celebrato alla Bauhaus come tedesco ed è morto cittadino france-
se nel 1944.
Anche se l’emissione di un nuovo passaporto era dovuta anzitutto a motivi
amministrativi, questo itinerario mostra di quali influssi si sia nutrita l’arte di Kan-
dinsky, e questo non soltanto durante i periodi in cui visse nei suddetti Paesi, ma
sin dall’inizio. Nel suo celebre testo autobiografico Rückblicke, egli descrive tre
esperienze di decisiva scoperta e maturazione artistica, legate a ciascuna di queste
tre nazioni. Quando era ancora studente, un viaggio etnografico di istruzione nel
governatorato di Vologda gli aveva lasciato una profonda impressione. Kandinsky
rimase affascinato dalle decorazioni popolari delle isbe; entrando in uno di quegli
spazi dipinti a colori vivaci, gli sembrava di mettere piede dentro la pittura stessa.1
Alcuni anni dopo, visitando una mostra sull’arte francese, fu sconvolto dalla visio-
ne di uno dei Covoni di Claude Monet (fig. 1) in quanto, pur non avendolo imme-
diatamente riconosciuto, era rimasto profondamente colpito da quell’“immagine”
quasi priva di soggetto. Nello stesso periodo una rappresentazione del Lohengrin di
Richard Wagner gli fece scoprire la forza pittorica dei suoni e la capacità dell’arte di
generare immagini interiori.2
Queste tre esperienze seminali – l’arte popolare russa,
la pittura francese moderna e l’opera tedesca – si completarono e si fecondarono vi-
cendevolmente, formando, per così dire, l’accordo di base dell’opera di Kandinsky.
La questione di quale Paese abbia avuto maggiore influenza sull’artista, ovvero,
come scrisse Nina Kandinsky a proposito dell’assegnazione dell’eredità del marito,
quale Paese potesse rivendicare l’opera di Vassily,3
appare piuttosto secondaria. Negli
ultimi anni, una serie di mostre ha dimostrato in modo convincente quanto siano
profonde le radici russe dell’autore de Lo spirituale nell’arte e quali stretti legami
egli abbia mantenuto, per tutta la vita, con la sua patria.4
È Kandinsky stesso ad at-
tribuire all’“immagine complessiva, interiore ed esteriore, di Mosca” un’importanza
fondamentale: la città è il suo “diapason pittorico”, scrive nel 1913.5
Al tempo stesso,
egli si sente anche “non-russo” e si ritiene russo solo a metà, essendo stato alleva-
to da una nonna baltica con canzoni e libri infantili tedeschi.6
In totale Kandinsky
visse per trent’anni in Germania, ove pubblicò i suoi scritti teorici più importanti
nella lingua di Goethe; tuttavia, sul finire della sua vita, in occasione di una grande
Vassily Kandinsky:
un’opera senza confini
Angela Lampe
Fotografo sconosciuto, Ritratto
di Vassily Kandinsky, 1926 circa.
Parigi, Bibliothèque Kandinsky,
Centre de documentation
et de recherche du Musée national
d’art moderne - Centre de création
industrielle, Centre Pompidou.
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18. 18
Angela Lampe
1
Claude Monet, Covone
al tramonto a Giverny, 1891.
Boston, Museum of Fine Arts.
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19. 19
retrospettiva a Berna, venne presentato come “un maestro francese del presente”,
e la sua vedova alla fine decise di donare l’intero lascito al Centre Pompidou. Kan-
dinsky trovò nuovi stimoli per la sua produzione artistica in ciascuno dei tre Paesi
in cui visse. Nelle pagine seguenti si dirà quali furono questi stimoli, e quali incontri
ed esperienze plasmarono Kandinsky in tali successive fasi della sua vita.
Russia
Kandinsky ha trent’anni quando lascia la Russia natale per intraprendere stu-
di artistici a Monaco; in precedenza, ha studiato per dieci anni economia e diritto
romano e russo all’università di Mosca. L’artista stesso, retrospettivamente, ha in-
dicato come quegli anni abbiano inciso sulla sua formazione; e qui bisogna anzitut-
to citare la scoperta dell’arte popolare, che egli fece nel corso della già menzionata
spedizione nella Russia settentrionale, un viaggio di due mesi nella terra dei Sirie-
ni, una popolazione russo-finnica di allevatori di bestiame e pescatori. La storica
dell’arte americana Peg Weiss ha evidenziato, in un importante saggio apparso nel
1995, come l’intera fase creativa di Kandinsky sia stata influenzata da miti folklorici
e sciamanici; in particolare, sembra che egli si sia ripetutamente ispirato ai pitto-
grammi e alle storie per immagini stilizzate dipinte sui tamburi degli sciamani.7
Un
percorso diretto porta dalle variopinte case contadine, che permettono al visitato-
re di immergersi completamente nella pittura (fig. 2), ai lavori monumentali della
maturità di Kandinsky, il cui esempio principale è il salone ottagonale che l’artista
concepì nel 1922 per la Juryfreie Kunstausstellung di Berlino (fig. 3). Nel 1977 il
Centre Pompidou ha realizzato una ricostruzione di quei pannelli murali di grandi
dimensioni sulla base degli schizzi originali rimasti (cat. 59). L’impressione che se
ne ricava è la stessa che tanto aveva colpito Kandinsky nelle “case delle meravi-
glie” dei contadini della Russia settentrionale: sembra di entrare in uno spazio che
si dissolve nel colore e nelle forme.
Meno noto, per quanto riguarda il periodo di formazione di Kandinsky, è il suo
riferimento all’importanza del diritto contadino russo per la sua arte. Analogamente
al Nuovo Testamento, tale diritto, a differenza di quello pagano-cristiano, applica,
secondo Kandinsky, un metro “interiore” nel giudicare i reati. Invece che sul dato
di fatto del delitto, il giudizio si basa sulla sua “fonte interiore: l’anima di chi lo ha
commesso”.8
Il famoso “principio dell’intima necessità” con cui Kandinsky, nel suo
fondamentale scritto Lo spirituale nell’arte, legittima l’astrazione pittorica, potrebbe
fondarsi su questo. Nella successiva Caratteristica di se stesso, redatta nel 1919 per
una enciclopedia russa,9
l’artista scrive che non esistono soluzioni formali assolute
e che ogni questione compositiva ha un valore puramente relativo, basato sull’ef-
fetto psichico che determinate forme colorate esercitano sullo spettatore, come per
esempio il “caldo colore rosso che, considerato isolatamente, ha sempre un’azione
eccitante”.10
Ogni opera, secondo Kandinsky, sceglie la propria forma e obbedisce
unicamente alla propria logica interiore. Tale concetto non va però inteso, in senso
espressionistico, come una coercizione intimamente subita dall’artista, bensì come
un oggettivo criterio di scelta per le forme e i colori necessari alla formulazione vi-
suale e alla trasmissione efficace di determinati stati d’animo.
Paradossalmente, il trasferimento a Monaco avvicina Kandinsky al mondo
artistico russo. Si iscrive alla scuola di pittura di Anton Ažbé, particolarmente ap-
prezzata dai suoi compatrioti, dove, accanto ad Alexej von Jawlensky e Marianne
von Werefkin, entra in contatto anche con alcuni artisti della cerchia della rivista
“Mir iskusstva”, appena co-fondata da Sergej Diaghilev, il futuro creatore dei Bal-
lets russes; alcuni di loro infatti, come Ivan Bilibin o Mstislav Dobužinskij, vivono a
Monaco per un periodo più o meno lungo. Dal 1902 Kandinsky scrive articoli sulla
vita culturale monacense per questa nuova rivista; nel 1904 vi viene riprodotto il
5. Kandinsky, Sguardo al
passato, cit., p. 171.
6. In una lettera a Gabriele
Münter del 16 novembre
1904, Kandinsky scrive:
“Non sono un patriota,
del resto sono solo mezzo
russo. I russi mi considerano
troppo straniero e non
hanno bisogno di me. [...]
Sono cresciuto mezzo
tedesco, la mia prima
lingua, i miei primi libri
erano tedeschi”; in
Jean-Claude Marcadé,
Kandinsky - un artiste russe
en Allemagne et en France,
in Vassily Kandinsky et la
Russie, cit., p. 12.
7. Peg Weiss, Kandinsky
and Old Russia. The Artist as
Ethnographer and Shaman,
Yale University Press, New
Haven - London 1995.
8. Cfr. Hans K. Roethel,
Einleitung, in Kandinsky,
Autobiographische Schriften,
cit., pp. 18-19. Anche Jean-
Claude Marcadé, Kandinskys
universitäre Tätigkeit (1885-
1895), in Helmut Friedel (a
cura di), Wassily Kandinsky,
Gesammelte Schriften 1889-
1916, Prestel, München 2007,
pp. 668-669.
9. Kandinsky,
Selbstcharakteristik,
in Kandinsky, Autobiographische
Schriften (tr. it. Tutti gli scritti,
vol. I, cit., p. 127). Invece che
nella prevista enciclopedia, che
non fu mai pubblicata, il testo
comparve per la prima volta
nella rivista “Das Kunstblatt”, n.
6, 1919, p. 172.
10. Kandinsky, Über das
Geistige in der Kunst,
insbesondere in der Malerei
(1952), a cura di Max Bill,
Benteli, Bern 2006
(tr. it. Dello spirituale
nell’arte, in Tutti gli scritti,
vol. II, cit., p. 123).
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20. 20
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2
Anonimo, Interno di casa contadina
russa, metà Ottocento.
Ubicazione ignota.
3
Dühre & Henschl, Juryfreie Kunstausstellung,
Berlino 1922. Parigi, Bibliothèque Kandinsky,
Centre de documentation et de recherche
du Musée national d’art moderne - Centre
de création industrielle, Centre Pompidou.
Alle pareti, pannelli di Vassily Kandinsky
(si veda cat. 59).
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21. 21
11. Cfr. Dmitrij Sarabianov,
Wassily Kandinsky dans le
contexte de la culture russe,
in Kandinsky et la Russie,
cit., pp. 19-32.
suo quadro Città vecchia II (cat. 4). Questo movimento russo, come lo Jugendstil
europeo o le correnti simboliste, mirava all’emancipazione della linea e dell’orna-
mentazione, nonché ad analogie musicali e alla sintesi di tutte le arti. La sua par-
ticolarità consisteva nel rifarsi a stili artistici precedenti (Biedermeier) e a temi
iconografici folklorici, il che si riflette nelle opere grafiche di Kandinsky del primo
Novecento. In quegli anni, l’amore per il mondo delle fiabe medievali e il folklore
russo, nonché il suo intenso lavoro con la xilografia e con la tempera lo avvicinano
ai suoi connazionali. La somiglianza tra le tempere di Kandinsky del 1903-04 (cat.
6-7) e le anteriori illustrazioni di racconti russi a opera di Bilibin (fig. 4) è notevole.
Successivamente, il direttore del Blaue Reiter Almanach condividerà l’entusiasmo
dell’avanguardia neo-primitivista per l’espressività della pittura di icone e dei lubki
(fig. 5), le tradizionali stampe popolari che influenzarono soprattutto Michail Lario-
nov e Natal’ja Goncˇarova.11
Nel corso dei quasi vent’anni che trascorre a Monaco,
Kandinsky non interrompe mai i contatti con la propria patria; pubblica numerosi
articoli in riviste russe e partecipa regolarmente a mostre.
Lo scoppio della Prima guerra mondiale costringe Kandinsky a ritornare in Rus-
sia. Il cambio di residenza, la definitiva separazione da Gabriele Münter, sua com-
pagna negli anni monacensi, il protrarsi del conflitto e l’incertezza delle prospettive
per il futuro inibiscono la sua energia creativa; tralasciando gli oli, si concentra su
acquerelli di piccole dimensioni e disegni. Benché partecipi a esposizioni colletti-
ve a Mosca e Pietroburgo, nel periodo prerivoluzionario quasi non ha contatti con
i nuovi leader dell’avanguardia russa, come Kazimir Malevicˇ o Vladimir Tatlin; solo
dopo la rivoluzione di ottobre, allorché viene coinvolto, al pari di tutti gli artisti più
importanti, nella nuova organizzazione statale del panorama artistico e museale rus-
so, Kandinsky ha modo di conoscere meglio i rappresentanti del suprematismo e del
costruttivismo. Nel 1918 lavora insieme a Tatlin, L’jubov Popova e Olga Rozanova
per il Commissariato del popolo per l’istruzione (Narkompros), nel dipartimento arti
figurative; inoltre fa la conoscenza di Varvara Stepanova e Aleksandr Rodcˇenko, i
quali abitano per un certo periodo nel suo studio. Nel 1919 Kandinsky e Rodcˇenko
si dedicano insieme all’organizzazione dei musei provinciali.
Quello stesso anno Kandinsky, dopo una lunga pausa, ricomincia a dipingere
a olio. Il capolavoro Nel grigio (cat. 39), benché ancora legato all’espressionismo
d’anteguerra, con le sue forme fluttuanti e l’accentuazione di colori primari quali
il rosso, il nero, il bianco indica in quale direzione si stava evolvendo la sua arte,
sotto l’impressione del suprematismo. Il dipinto Su bianco II (cat. 64), realizzato
nel 1923, quindi dopo il ritorno in Germania, denota chiaramente l’influenza delle
composizioni planetarie di Malevicˇ. In generale, le opere di Kandinsky dei primi anni
del Bauhaus mostrano un più ampio uso di colori freddi, forme geometriche elemen-
tari e strutture elaborate, sovrapposizioni di superfici piane, spostamenti degli assi
direzionali o un’accentuazione della diagonalità – tutti elementi tipici della pittura
costruttivista. Kandinsky stesso ha definito la fase creativa dal 1921 al 1923 come
il proprio “periodo freddo”. Forse doveva prima riprendersi dalla profonda rottura
con i sostenitori dell’arte d’avanguardia, per potersi appropriare di questo nuovo
linguaggio pittorico più razionale. Nel 1920, il suo ambizioso programma pedagogi-
co interdisciplinare per il Narkompros viene bocciato dai costruttivisti progressisti
guidati da Rodcˇenko perché troppo “soggettivo” e “intuitivo”.12
Kandinsky passa per
un anacronistico espressionista. Di conseguenza, quando Walter Gropius lo invita
a insegnare al Bauhaus accetta senza troppe esitazioni e nel dicembre 1921 lascia
per la seconda volta il suo Paese natale.
12. Cfr. Clark V. Poling,
Kandinsky in Russland und
am Bauhaus 1915-1933,
in Kandinsky. Russische
Zeit und Bauhausjahre
1915-1933, catalogo della
mostra (Berlino, Bauhaus-
Archiv, 8-23 settembre
1984), a cura di Peter Hahn,
Bauhaus-Archiv, Berlin
1984, pp. 16-26.
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4
Ivan Jakovlevicˇ Bilibin, La bella
Vasilisa, illustrazione per il volume
La bella Vasilisa, 1900. Mosca,
Museo della Zecca Goznak.
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5
Il’ja Muromec e l’Usignolo Ladro,
lubok, secolo XVIII. San Pietroburgo,
Museo Statale Russo.
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24. 24
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Germania
Nel 1896, Kandinsky arriva a Monaco proprio nel momento in cui si sta affer-
mando lo Jugendstil. Con la nascita della rivista “Jugend”, da cui il movimento inter-
nazionale “Arts and Crafts” trae il proprio nome tedesco, la capitale bavarese diven-
ta il centro di questa nuova tendenza artistica, caratterizzata da linee elegantemente
curve, da decorazioni geometriche o floreali e dalla ricerca della simmetria. Nel 1897,
in occasione dell’Esposizione internazionale al Glaspalast di Monaco, allo Jugendstil
sono dedicate due sale, in cui soprattutto i lavori di arte applicata di Hermann Obrist
ottengono grande successo. Nello stesso anno fa sensazione anche il celebre studio fo-
tografico Elvira di August Endell, la cui facciata è ornata da un drago in stile floreale
(fig. 7). Lo Jugendstil vuole essere il progetto di una società moderna, che aspira a una
sintesi globale di arte e vita. La decisione di Kandinsky di passare al corso di Franz von
Stuck, “il primo disegnatore della Germania”, dopo gli inizi alla scuola di Anton Ažbé,
ha sicuramente a che vedere anche con il significato della linearità nello Jugendstil
(fig. 6). Il manifesto creato da Kandinsky per la prima mostra della nuova associazione
di artisti Phalanx (cat. 3) è definito dal suo biografo Will Grohmann come un omaggio
al nuovo stile decorativo, per l’impressione ritmica complessiva e il simbolismo.13
La
scuola d’arte affiliata al gruppo Phalanx era situata nelle immediate vicinanze della
nuova scuola di arti applicate di Obrist, il che potrebbe aver contribuito al fatto che la
seconda mostra del gruppo sia interamente dedicata all’ideale dell’opera d’arte totale
(Gesamtkunstwerk) nelle arti applicate. Anche Kandinsky si interessa molto ai gioielli,
alla ceramica e all’arredamento, come testimoniano numerosi schizzi di quel periodo.
Il suo interesse per l’ornamentale potrebbe essere stato ulteriormente stimola-
to dalla visita alla grande esposizione “Capolavori dell’arte islamica”, tenutasi a Mo-
naco nel 1910.14
Kandinsky scrive per la rivista d’arte pietroburghese “Apollon” una
recensione su quella mostra fondamentale, che impressiona fortemente anche i suoi
futuri colleghi del Blaue Reiter Franz Marc e August Macke, nonché Henri Matisse.
Nello stesso anno, egli porta a termine il suo importante scritto teorico Lo spiritua-
le nell’arte, per il quale raccoglie appunti da anni; il suo principale obiettivo è, nelle
parole dell’autore stesso, “risvegliare la capacità, in futuro assolutamente necessaria,
di vivere interiormente lo spirituale nelle cose materiali e astratte”.15
In sostanza,
Kandinsky aspira a una rivalutazione della funzione dell’arte, che non dovrebbe più
basarsi su valori referenziali, come per esempio il principio classico dell’imitazione,
ma su criteri spirituali, ovvero immateriali.
Non è questa la sede per analizzare le numerose fonti di tale rivoluzionario pro-
gramma; ci limiteremo a citarne alcune che esercitarono un’influenza diretta su Kan-
dinsky negli anni di Monaco. Molto importante, per lui, fu il saggio dello storico dell’ar-
te Wilhelm Worringer Abstraktion und Einfühlung. Ein Beitrag zur Stilpsychologie,
pubblicato nel 1908 dall’editore Piper, in cui è sviluppata una teoria dell’astrazione
che non si concentra più sulla singola opera d’arte, sul suo stile o sulla sua tecnica,
bensì sulle condizioni psichiche in cui l’arte nasce.16
Worringer delinea così una sto-
ria dell’evoluzione dello spirituale nell’arte, che, partendo dai primitivi, raggiunge un
primo vertice nel gotico e viene poi portata avanti da Franz Marc e Kandinsky nell’al-
manacco Der Blaue Reiter. Nel corso di un lungo soggiorno a Berlino, dal settembre
1907 all’aprile 1908, Kandinsky potrebbe aver assimilato altri stimoli; i concerti cui
assiste rafforzano la sua propensione a collegare musica e arte figurativa, che in se-
guito approfondirà grazie ai suoi rapporti con il compositore russo Thomas de Hart-
mann e con Arnold Schönberg, il fondatore della musica atonale. Gli allestimenti di
Max Reinhardt con il décor di Edward Gordon Craig al Deutsches Theater destano in
Kandinsky un vivo interesse per la scenografia. Insieme a Maria Strakosch-Giesler, già
sua allieva alla scuola di Phalanx, che lo ha introdotto alle dottrine teosofiche, assiste
a Berlino a una conferenza dell’antroposofo Rudolf Steiner. L’interesse di Kandinsky
per le correnti occulte ed esoteriche è dimostrato anche dal fatto che possedeva una
13. Will Grohmann, Wassily
Kandinsky. Leben und Werk
(1958), M. DuMont Schauberg,
Köln 1961, p. 35.
14. A questo proposito si
veda Peg Weiss, Kandinsky
in Munich: Encounters and
Transformations, in Kandinsky
in Munich, 1896-1914,
catalogo della mostra (New
York, Solomon R. Guggenheim
Museum, 22 gennaio - 21
marzo 1982; San Francisco,
Museum of Modern Art, 22
aprile - 20 giugno 1982;
Monaco, Städtische Galerie im
Lenbachhaus, 17 agosto - 17
ottobre 1982), a cura di Peter
Jelavich, Carl E. Schorske, Peg
Weiss, Solomon R. Guggenheim
Foundation, New York 1982,
p. 76.
15. Kandinsky, Sguardo al
passato, cit., p. 170.
16. Cfr. Claudia Öhlschläger,
Einleitung, in Wilhelm
Worringer, Abstraktion und
Einfühlung, Wilhelm Fink,
München 2007, p.19.
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25. 25
7
August Endell, Facciata dell’Atelier Elvira,
Monaco, 1896-97 (distrutto nel 1944).
A fronte
6
Franz von Stuck, Manifesto per la prima
mostra internazionale d’arte
della Secessione di Monaco, 1893.
Collezione privata.
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17. Will Grohmann, Wassily
Kandinsky. Leben und Werk,
cit., p. 35.
copia della prima edizione tedesca (1908) di Thought Forms di Annie Besant e Charles
Webster Leadbeater.17
Questo trattato teosofico sulle manifestazioni auratiche (“for-
me-pensiero”) che si verificano quando un essere umano si crea un’immagine plastica
ed emotiva sembra trovare eco, anni dopo, in Quadro con macchia rossa (cat. 22).
Il saggio Lo spirituale nell’arte esce infine per l’editore Piper nel dicembre 1911
(datato 1912), ottenendo un successo straordinario. Nel corso del primo anno viene
ristampato due volte e nel 1914 viene già tradotto in inglese. I tempi erano maturi per
un mutamento epocale. Non soltanto l’arte di Kandinsky si era nel frattempo avvici-
nata al nuovo ideale di un’arte di contenuto spirituale: l’almanacco Der Blaue Reiter,
apparso alcuni mesi dopo, evidenzia come la dimensione spirituale vada ricercata in
ogni espressione artistica, a prescindere dalla forma, dalla provenienza, dall’età o dal-
lo status dell’opera. Il dialogo tra pittura dietro vetro bavarese, marionette egiziane,
maschere cinesi, disegni infantili e dipinti di Robert Delaunay, Henri Rousseau, Ma-
tisse o Picasso rivela la molteplicità degli influssi assorbiti dall’artista russo durante
gli anni trascorsi a Monaco.
Per Kandinsky il ritorno in Germania nel 1921 rappresenta un cambiamento di
residenza, ma non necessariamente un confronto con nuovi mezzi di espressione ar-
tistica. Il suo arrivo al Bauhaus coincide con l’abbandono dell’espressionismo a favore
di tendenze universali, oggettive e costruttiviste, che Kandinsky conosceva già dalla
Russia. Egli porta avanti lo stile sintetico del periodo russo (un dialogo tra forme geo-
metriche e forme libere), come mostrano in particolare i due capolavori del 1922: la
raccolta di stampe Piccoli mondi (cat. 47-58) e i già citati pannelli per l’esposizione
della Juryfreie Kunstausstellung. Anche se le origini di tale opera risalgono alle sue
prime esperienze in Russia, la realizzazione di questa architettura accessibile è di-
rettamente collegata all’incarico di Kandinsky al Bauhaus. In qualità di direttore del
laboratorio di pittura parietale, egli non soltanto aveva la capacità tecnica e organizza-
tiva di far eseguire dipinti monumentali, ma era anzi tenuto a mettere personalmente
in pratica l’ideale dichiarato di Gropius di unire arte libera e arte applicata. Nel 1923
viene chiamato al Bauhaus l’ungherese László Moholy-Nagy, il quale, grazie al proprio
interesse per la tipografia e la fotografia, favorì un orientamento tecnico e utilitaristico.
La razionalità del procedimento artistico e la serietà scientifica dello studio diventano
sempre più importanti al Bauhaus, soprattutto dopo il trasferimento da Weimar alla
città industriale di Dessau, avvenuto nel 1925. Kandinsky reagisce a questa tendenza
sistematizzando la propria dottrina e pubblicando un secondo scritto teorico, Punto
e linea nel piano, apparso nel 1926 nella collana di libri del Bauhaus: si tratta di un
tentativo di analisi scientifica degli elementi pittorici, unita a una valutazione oggettiva
dell’arte per mezzo di esempi tratti dalle scienze naturali e dalla tecnica. Kandinsky
trasferisce questo approccio razionale anche nella sua pittura, dove lo splendido olio
Giallo-Rosso-Blu (cat. 69) fa riferimento a una sequenza cromatica che egli spiega
dettagliatamente sia in Punto e linea nel piano sia in numerosi esercizi per i suoi al-
lievi.18
Nella schematizzazione lineare di questo capolavoro si vede anche quale effetto
abbia avuto l’insegnamento del disegno analitico sulla pittura di Kandinsky.
Con l’ascesa al potere di Hitler, nel 1933, e la chiusura del Bauhaus, l’artista,
che pure dal 1928 è cittadino tedesco, lascia il Paese in cui è diventato il massimo
esponente internazionale dell’arte astratta.
Francia
La scelta di Kandinsky, alla fine del 1933, di trasferirsi a Parigi invece che negli
Stati Uniti, dove era stato più volte invitato, è un passo coerente. Per tutta la vita egli
mantiene uno scambio costante con lo scenario artistico francese, e Parigi era allora
il centro dell’arte mondiale. Dopo il primo impatto con l’impressionismo di Monet,
da lui sperimentato quando era ancora in Russia, Kandinsky soggiorna spesso nella
18. Cfr. Clark V. Poling,
Kandinsky in Russland und am
Bauhaus 1915-1933, cit., p. 39.
Da un sondaggio al Bauhaus
risultò che il giallo corrisponde
al triangolo, il blu al cerchio
e il rosso al quadrato.
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19. Will Grohmann, Wassily
Kandinsky. Leben und Werk,
cit., p. 48; anche Christian
Derouet, Kandinsky in Paris,
1934-1944, in Kandinsky in
Paris, 1934-1944, catalogo
della mostra (New York,
Solomon R. Guggenheim
Museum, 15 febbraio - 4
aprile 1985), a cura di
Vivian Endicott Barnett,
Christian Derouet, Solomon
R. Guggenheim Foundation,
New York 1985, p. 24.
20. Cfr. Vivian Endicott
Barnett, Changements, crises,
tournants, in Kandinsky,
catalogo della mostra (Parigi,
Centre Georges Pompidou,
8 aprile - 10 agosto 2009),
Éditions du Centre Pompidou,
Paris 2009, p. 249.
21. Ibidem.
patria di Cézanne, Gauguin e Matisse, sia pure per un paio di settimane di vacanza. A
partire dal 1904 espone regolarmente nella capitale francese, al Salon d’Automne e dal
1905 anche al Salon des Indépendants. Dal maggio 1906 al giugno 1907 vive per un
anno a Sèvres, nelle vicinanze di Parigi, in compagnia di Gabriele Münter. In questo
stimolante periodo ha modo di conoscere più da vicino l’arte post-impressionistica di
Vincent Van Gogh, Paul Signac e Georges Seurat. Si può ben supporre che il nuovo
stile puntinista abbia indotto Kandinsky a sottoporre a un alleggerimento i suoi piccoli
studi a olio di macchie di colore spatolate, eseguiti dal vero nel corso dei suoi viaggi o
a memoria sin dal 1901; Le Parc de Saint-Cloud, allée ombragée (cat. 15) rivela una
crescente emancipazione dalle macchie di colore. Un’esperienza emozionante dev’es-
sere stata per lui la scoperta dei “fauves” al Salon d’Automne del 1905, in cui la sala
con le esplosioni di colore di Henri Matisse, André Derain e Albert Marquet, definita
da un critico “una gabbia di belve feroci”, suscitò uno scandalo. Anche la grande re-
trospettiva di Paul Gauguin del 1906 lasciò una profonda impressione su Kandinsky.19
Sappiamo anche, grazie al diario di Gabriele Münter, che fece visita a Gertrude e Leo
Stein in rue de Fleurus, per vedere la loro ampia collezione di Matisse e Picasso.20
Peraltro, tutte queste nuove esperienze, al pari dei precetti dell’avanguardia russa
qualche anno dopo, si rifletteranno sulla sua opera solo dopo un determinato periodo
di incubazione. Quando Gertrude Stein va a sua volta a trovare Kandinsky nel suo
atelier parigino e vede le tempere su fondo nero con motivi folklorici che egli esegue
in quel periodo, anche per seguire la moda dell’arte russa allora dilagante nella capi-
tale, la collezionista americana si limita a sorridere.21
Solo dopo il ritorno a Monaco
e soprattutto dopo la scoperta, da parte dell’artista, dell’idilliaco villaggio di Murnau,
in Alta Baviera, nell’estate del 1908, i ricordi parigini contribuiscono a indurre un
cambiamento di stile. Nel cuore di quell’ambiente alpino, lontano dalla frenesia cit-
tadina, e grazie allo scambio con Jawlensky e Werefkin, suoi ospiti abituali a Murnau,
Kandinsky produce paesaggi dai colori intensi in una semplificazione bidimensionale.
Come si può vedere in Improvvisazione III (cat. 19), molti dipinti sono costruiti su
espressivi contrasti di colori complementari. Questa composizione, inoltre, dimostra
come a Murnau gli oggetti vadano perdendo a poco a poco la loro urgenza. La strada
che porta alla pittura puramente astratta, raggiunta da Kandinsky nel 1911, passa an-
che per le scoperte della pittura francese.
Con il ritorno di Kandinsky in Russia, i suoi rapporti con i colleghi parigini che
avevano collaborato all’almanacco e alle mostre del gruppo Der Blaue Reiter, come Ro-
bert Delaunay o Henri Matisse, per il momento si interrompono; solo verso la fine degli
anni Venti si produrranno nuovi contatti. Se ne farà promotore l’editore greco-france-
se della rivista d’arte parigina “Cahiers d’Art”, Christian Zervos, il quale va a trovare
Kandinsky a Dessau nel dicembre 1927, in compagnia del gallerista Alfred Flechtheim,
per scegliere quadri per una mostra. Nel gennaio 1929 alla Galerie Zak si inaugura una
piccola esposizione di suoi acquerelli: è la prima personale parigina di Kandinsky, in
cui André Breton acquista due dipinti. Articoli di Zervos e di Will Grohmann, appar-
si nei “Cahiers d’Art” nel corso dello stesso anno, contribuiscono a farlo conoscere a
un pubblico più ampio. Michel Seuphor lo invita a entrare nell’effimera associazione
Cercle et Carré, nel cui ambito conosce Piet Mondrian, Hans Arp, Sophie Täuber-Arp,
Fernand Léger, Le Corbusier e Willi Baumeister. Successivamente accoglie l’invito di
Albert Gleizes a partecipare anche alle mostre del nuovo gruppo Abstraction-Création.
Alla fine del 1930, la casa editrice dei “Cahiers d’Art” pubblica la prima monografia su
di lui, scritta da Will Grohmann, già autore di un’ampia biografia di Paul Klee. Prima
ancora di trasferirsi a Neuilly-sur-Seine nel dicembre 1933, Kandinsky conosce in ot-
tobre Marcel Duchamp, Tristan Tzara e Paul Éluard, che lo invitano a prendere parte,
quale ospite d’onore dei surrealisti, al sesto Salon des Surindépendants.
Dunque, allorché il maestro del Bauhaus arriva a Parigi nel dicembre 1933, non
è più uno sconosciuto: soprattutto grazie a Zervos, si ambienta rapidamente nella sua
nuova patria d’elezione. Kandinsky stima Fernand Leger, frequenta spesso e volentieri il
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Joan Miró, Carnevale di Arlecchino, 1924-25.
Buffalo, Albright-Knox Art Gallery.
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22. Lettera del 2 dicembre
1935 a Will Grohmann,
citata in Will Grohmann,
Wassily Kandinsky. Leben
und Werk, cit., p. 222.
suo vecchio amico Hans Arp e la moglie Sophie Täuber-Arp, o anche Alberto Magnelli.
Tra i più giovani – Kandinsky ha quasi settant’anni –, ha una particolare simpatia per
Joan Miró: “Questo omino che dipinge sempre tele così grandi è in realtà un vero e
proprio piccolo vulcano, che produce quadri con una facilità incredibile. Ha una for-
za e un’energia fantastica”.22
Se si esamina la produzione degli anni parigini, durante
i quali Kandinsky realizzò 144 quadri e 208 tra tempere e guazzi, si direbbe che tutti
questi artisti lo abbiano ampiamente ispirato. Le insolite forme amorfe, zoologiche e
botaniche, che da questo momento in poi caratterizzeranno le composizioni di Kan-
dinsky, si riallacciano sia alle sculture in gesso di Arp – e in particolare a Concrezio-
ne, riprodotta nel 1933 nei “Cahiers d’Art” – sia alle prime creazioni a tutto campo
(all-over) di Miró, come il Carnevale di Arlecchino del 1920-21 (fig. 8), che venne
anch’esso pubblicato nella rivista di Zervos, un anno dopo i lavori di Arp.23
Kandin-
sky trova nell’opera dei colleghi esempi di come sia possibile trasformare l’interesse
per le forme organiche (foglie, coralli, meduse, protozoi, amebe, embrioni, struttute
cellulari ecc.), vivo in lui sin dagli ultimi anni del Bauhaus, in un linguaggio pittorico
contemporaneo. Le sue composizioni degli anni parigini si fanno più sciolte, diven-
tano più animate, persino gaie, come se egli volesse rendere omaggio al suo collega
del Bauhaus Paul Klee. Il cosiddetto biomorfismo aveva molti adepti nella Parigi negli
anni Trenta. Accanto ai surrealisti Miró, Salvador Dalí e Pablo Picasso vanno citati
anche Alexander Calder, Jean Hélion, Henry Moore, Fernand Léger, Alberto Magnelli
o Le Corbusier.24
Il gioco con le forme naturali a effetto astratto offriva a Kandinsky
un modo a lui molto congeniale di addolcire la rigida separazione tra linguaggio pit-
torico figurativo e non.
Epilogo
Nel 1927 Kandinsky pubblica nella rivista olandese “i10 Internationale Revue”
un testo dal curioso titolo Und. Einiges über synthetische Kunst. Si tratta di una
dichiarazione a favore dell’arte sintetica del XX secolo contro l’“aut aut”, contro la
frammentazione e la specializzazione del XIX secolo. Il maestro del Bauhaus scrive:
“L’inizio consiste nel riconoscimento dei nessi. Ci si renderà conto sempre più chia-
ramente che non esistono problemi ‘speciali’ che possano essere riconosciuti o risol-
ti isolatamente, poiché in definitiva tutte le cose sono connesse e dipendono l’una
dall’altra”.25
In questo senso va interpretata anche l’arte di Kandinsky: come un in-
sieme unico al di là delle frontiere, come un’opera senza confini.
25. Kandinsky, Und. Einiges
über synthetische Kunst,
in Essays über Kunst und
Künstler (a cura di Max
Bill), Benteli, Bern 1955, p.
107 (tr. it. E. Alcune nozioni
sull’arte sintetica, in Tutti gli
scritti, cit., vol. II, p. 280).
23. Cfr. Vivian Endicott
Barnett, The Introduction
of Biological Images in the
Paris Period, in Kandinsky in
Paris, 1934-1944, cit., p. 71.
24. Si veda questo proposito
Guitemie Maldonado, Le cercle
et l’amibe. Le biomorphisme
dans l’art des années 1930,
Institut National d’Histoire de
l’Art, Paris 2006.
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30. Fotografo sconosciuto,
Ritratto di Vassily e Nina Kandinsky, 1930 circa.
Parigi, Bibliothèque Kandinsky, Centre de documentation
et de recherche du Musée national d’art moderne -
Centre de création industrielle, Centre Pompidou.
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31. 31
2. Vassily Kandinsky, Sguardo
al passato (1901-1913), in
Tutti gli scritti, Feltrinelli,
Milano 1989, vol. II, pp.
157-158.
Quando nel 1896 Vassily Kandinsky decise di trasferirsi a Monaco di Baviera
per dedicarsi all’arte, aveva ormai trent’anni: in un’epoca come quella, in cui la vita
media era sensibilmente più breve di oggi, un’età in cui si mettevano a frutto gli studi
e si raggiungevano i primi traguardi professionali.
Lui invece, dopo gli studi universitari in giurisprudenza e il conseguimento della
libera docenza, rifiutò la cattedra di diritto che gli venne offerta proprio in quell’anno
dall’antica e prestigiosa università di Tartu in Estonia abbandonò il benessere a cui
per nascita era destinato e scelse di fare lo studente (quasi) bohémien a Monaco di
Baviera, allora considerata “la nuova Atene”.1
Poteva contare su una buona conoscen-
za della lingua, appresa dalla nonna e dalla zia materne, di origine baltica, e sull’a-
iuto economico del padre, un mercante di tè originario di una regione lontana tra la
Siberia e la Manciuria, facoltoso e dotato di una buona cultura artistica e musicale,
e dunque in grado, per censo e per formazione culturale, di assecondare la sua voca-
zione. Quanto alla madre, era una bella e raffinata nobildonna moscovita, anche lei
appassionata di arte e di musica, e anche di più lo era la zia materna Elizaveta, che,
specie dopo la separazione dei genitori, ebbe una forte influenza sulla formazione del
giovane Vassily, educato infatti al disegno e alla musica (prese lezioni di pianoforte e
di violoncello) secondo le usanze delle classi elevate del tempo.
Se il padre assecondò il suo desiderio, chi invece si oppose strenuamente – ma
senza successo – al trasferimento a Monaco fu la moglie Anja, una cugina maggiore di
lui di età, sposata quattro anni prima e presto lasciata, con cui resterà però in buoni
rapporti sino alla morte.
Detonatori di quella decisione temeraria furono due esperienze vissute da Kan-
dinsky nei mesi precedenti, destinate a lasciare su di lui una traccia indelebile: la
mostra moscovita di pittura impressionista francese, dove fu folgorato dai Covoni di
Monet, e la rappresentazione al Bol’šoj del Lohengrin di Wagner. Della prima, Kan-
dinsky avrebbe scritto:
“Fino ad allora avevo conosciuto solo l’arte realistica, e propriamente solo i russi.
[…] D’improvviso, per la prima volta, vidi un quadro. Il catalogo mi diceva che si
trattava di un pagliaio, ma non riuscivo a riconoscerlo. […] Sentii oscuramente
che in questo quadro mancava l’oggetto […]. Ciò che però mi riuscì perfettamente
chiaro fu la forza incredibile, a me prima ignota, della tavolozza, che andava ol-
tre i limiti dei miei sogni. La pittura divenne per me di una forza e magnificenza
fiabesche. Senza che me ne rendessi ben conto era screditato ai miei occhi l’‘og-
getto’ come elemento indispensabile del quadro”.2
Vassily Kandinsky:
le opere e i giorni
Ada Masoero
1. Monaco era allora, con
Parigi, una delle due capitali
culturali e artistiche d’Europa,
potente polo d’attrazione
per gli artisti russi e della
Mitteleuropa.
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32. 32
Non meno suggestiva e profetica fu per lui la rappresentazione del Lohengrin, in
cui provò la sensazione di vivere l’ora del crepuscolo a Mosca, la sua ora prediletta:3
“I violini, i bassi gravi e particolarmente gli strumenti a fiato incarnarono allora
per me tutta la forza di quell’ora di prima sera. Vidi nella mente tutti i miei colo-
ri, erano davanti ai miei occhi. Linee tumultuose, quasi folli, si disegnavano di-
nanzi a me. […] Mi riuscì del tutto chiaro che l’arte in generale ha poteri molto
maggiori di quanto avessi creduto fino ad allora, e d’altra parte ero convinto che
la pittura fosse in grado di sviluppare forze non inferiori a quelle della musica”.4
Suoni, linee, colori si fusero dunque in lui in un’unica, potente esperienza mul-
tisensoriale, mentre il reale – anche per effetto della notizia sconvolgente della “sco-
perta della divisione dell’atomo”, che quasi si identificò ai suoi occhi con “la disinte-
grazione del mondo”5
– perdeva valore ai suoi occhi fino quasi a scomparire.
Kandinsky era, in questo, un figlio del suo tempo: la sinestesia6
era infatti una delle
colonne del simbolismo, la corrente culturale che nell’ultimo quindicennio dell’Otto-
cento si diffuse nell’intera Europa e in Russia, prendendo forma sul piano delle arti nel
simbolismo appunto e sul piano del pensiero in un ritrovato spiritualismo: un’inversio-
ne di rotta radicale rispetto al positivismo sino ad allora dominante, al quale andava
sì ascritto il merito della formidabile crescita produttiva, economica e finanziaria del
secondo Ottocento, ma cui al contempo si addebitava ora la colpa di avere lungamente
rimosso le esigenze spirituali dell’uomo. Alla fiducia cieca e totalizzante nella ragione
e nella scienza, da cui in pittura era scaturito l’impressionismo, con la sua volontà di
fissare sulla tela la sensazione retinica del reale, il simbolismo sostituiva un nuovo bi-
sogno di introspezione e, proponendosi di esplorare le regioni dello spirito, da un lato si
ripiegava sull’interiorità più segreta di ognuno, dall’altro si immergeva nei grandi temi
universali della vita, della morte, del destino ultimo dell’uomo. Strumenti espressivi di
questa nuova forma di conoscenza diventarono allora il simbolo, la metafora, l’allegoria
e, appunto, la sinestesia, colonna portante della poesia di Baudelaire.
Quanto a Kandinsky, non solo era dotato di una cultura solida e più che aggior-
nata, ma era portato per indole e natura a condividere questo nuovo clima intriso di
spiritualismo che, nelle sue diverse declinazioni, rappresentò l’humus di cui di fatto
si nutrì tutta l’arte astratta alle sue origini:7
come affrancarsi infatti dalla rappresenta-
zione del reale, come penetrare in un mondo fatto di pure forme e di colori visionari,
privi di ogni referente, se non immergendosi nel dominio dello spirito?
E non a caso fu a Monaco – uno dei fortini più agguerriti del simbolismo sia sul
piano del pensiero sia su quello dell’arte8
– che, una volta che si fu impadronito del “me-
stiere”,9
sul finire del primo decennio del Novecento Kandinsky avviò la sua avventura
nel mondo dell’astrazione. Non senza passare attraverso alcune tappe intermedie, di
cui fanno parte tanto i piccoli paesaggi su cartone di segno ancora tardo-impressionista
(cat. 1-2, 9-14), nei quali documenta i moltissimi viaggi per l’Europa e in Tunisia che
compie con la nuova compagna, Gabriele Münter (conosciuta quando era sua allieva
alla scuola di pittura di Phalanx, l’associazione artistica da lui fondata a Monaco nel
1901 (cat. 3), quanto le più impegnative tempere dai modi simbolisti (cat. 6-8, 16), in
cui dà sfogo alla sua passione per i colori vividi, che dispone a piccole tacche, come
fossero le tessere di uno dei mosaici ammirati da adolescente con il padre nelle loro
visite alle antiche chiese di Mosca.10
I temi di queste opere (“disegni colorati”, come
sono definiti nel suo inventario, mentre i piccoli paesaggi naturalistici vi figurano come
“piccoli studi a olio”11
) sono ispirati alle antiche leggende germaniche, conosciute da
bambino grazie alla zia materna, oppure alla vecchia Russia delle zone rurali, prima
fonte del suo amore per la pittura e per il colore: era stato infatti nella lontana regio-
ne della Vologda, circa 400 chilometri a nord di Mosca, che Kandinsky aveva vissuto
le prime, intense emozioni estetiche. Lo racconta lui stesso in una pagina famosa, in
cui rammenta la spedizione etnografica compiuta nel 1889 per conto dell’università:
Ada Masoero
4. Ivi, vol. II, p. 158
3. “Dipingere quest’ora
era per me la felicità più
irraggiungibile e più alta di
un artista”; ivi, vol. II, p. 156.
5. Ibidem.
6. La sinestesia è l’associazione
di parole o concetti
appartenenti a sfere sensoriali
diverse.
7. Negli scritti dei primi
maestri dell’astrazione si
scoprono “non senza sorpresa
certi elementi intellettuali
dell’epoca che nessuno avrebbe
messo in relazione alle loro
concezioni estetiche se non
fossero stati essi stessi a farne
allusione. Effettivamente, chi
avrebbe associato la pittura
di Kandinsky all’esangue
spiritualismo fine secolo?
O quella di Mondrian alla
teosofia? O quella di Malevicˇ
al nichilismo russo?”; Dora
Vallier, L’arte astratta. Il
cosmo dell’immagine pura.
Origini e sviluppi di una nuova
percezione da Kandinsky alla
minimal art, Garzanti, Milano
1984, p. 44.
8. Nell’anno in cui Kandinsky
arriva a Monaco, vi escono i
primi numeri di “Jugend” e di
“Simplicissimus”, gli organi
della Secessione monacense, di
segno fortemente simbolista,
fondata nel 1892, insieme
ad altri, da Franz von Stuck,
futuro insegnante di Kandinsky
(e di Paul Klee) all’Accademia
di Belle Arti. In seguito
sarebbero state fondate la
Secessione di Vienna (1897) e
quella di Berlino (1898).
9. Dopo aver frequentato nel
1897 e nel 1898 la scuola
privata di Anton Ažbé (dove
conobbe Alexej Jawlensky
e Marianne von Werefkin),
Kandinsky venne ammesso
ai corsi di Franz von Stuck
all’Accademia solo al secondo
tentativo, nel 1900, dopo
un anno di studi privati. Qui
incontrò Paul Klee, con cui,
specie a partire dal 1911,
avrebbe instaurato uno stretto
e durevole rapporto di amicizia.
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33. 33
“Ricordo ancora quando entrai per la prima volta nell’izba e rimasi immobile dinan-
zi all’immagine inattesa. Il tavolo, le panche, la stufa [...] gli armadi e ogni oggetto
erano decorati con grandiose immagini multicolori dipinte. [...] Quando infine en-
trai in camera mi sentii circondato dalla pittura, nella quale ero dunque entrato”.12
Ma ad attrarlo era tutta l’arte popolare, anche la pittura dietro vetro bavarese,
così diffusa a Murnau dove passò le estati del 1908 e del 1909 con Gabriele Münter e
con gli amici Alexej Jawlensky e Marianne von Werefkin. Come loro, che erano redu-
ci dalla Francia, Kandinsky adottò le accensioni cromatiche “fauves”, che aveva del
resto ben conosciuto a Parigi, dapprima al Salon d’Automne del 190513
e poi nell’anno
in cui vi soggiornò con Gabriele, tra il 1906 e il 1907.
Così, abbandonata la pittura pastosa dei primi paesaggini, prese a ritrarre scorci
della piccola città bavarese non più servendosi del chiaroscuro, ma adottando cam-
piture piatte di colori vivaci e del tutto antinaturalistici, circondate (come nei dipinti
dietro vetro bavaresi) da contorni neri da cui però il colore tendeva progressivamente
a rendersi indipendente. Il paesaggio di Murnau diventava così un pretesto per eser-
cizi sulla forma e per indagini sulla forza del colore, con cui Kandinsky avviava nel
suo lavoro il primo processo di progressiva astrazione dal reale. Che presto avrebbe
portato a compimento, sia sul piano pittorico sia su quello teorico, non meno deter-
minante nel suo percorso verso l’astrazione.
Senza la sua acuta intelligenza e la sua capacità di costante riflessione, unite in
lui a una sensibilità fuori del comune, difficilmente Kandinsky avrebbe infatti potuto
infrangere i vincoli del naturalismo e della mimesi, e dare vita a un’arte sino ad allora
impensabile, perché non-oggettiva e svincolata dal reale.
Nel 1910 egli portò a termine la revisione del suo testo Lo spirituale nell’arte,
cui si dedicava da tempo e nel quale enunciava tra l’altro le tre categorie (Impressioni,
Improvvisazioni, Composizioni)14
in cui articolava ora i suoi dipinti, in base al grado
di indipendenza dal reale e di complessità dell’elaborazione intellettuale..
Superfluo
sottolineare come queste definizioni siano mutuate dalla musica, amata e praticata
sin dall’adolescenza. Senza contare che già nel 1908 aveva avviato una collaborazio-
ne con il compositore Thomas von Hartmann, che nel 1909 avrebbe musicato la sua
composizione scenica in un atto Il suono giallo.
Nello stesso testo Kandinsky si inoltra in un’indagine teorica sulla pittura e ap-
profondisce non solo il tema del rapporto forma-colore:
“[i] colori acuti vengono sempre esaltati, acquistano un suono più acuto, quan-
do sono associati a una forma acuta (ad esempio il giallo associato al triangolo).
I colori che tendono all’approfondimento vedono questa tendenza accentuata da
forme tondeggianti (ad esempio il blu associato al cerchio)”15
ma, più ancora, il rapporto per lui fondamentale tra suono e colore. E dopo aver rias-
sunto in un grafico le “qualità” dei colori in generale, li affronta singolarmente, evi-
denziando il loro “valore interiore” e associandolo a un suono:
“Andando molto in profondità il blu sviluppa l’elemento della quiete. Affondando
verso il nero acquista una nota di tristezza disumana […]. […] L’azzurro, rappre-
sentato musicalmente, è simile a un flauto; il blu scuro somiglia al violoncello e,
diventando sempre più cupo, ai suoni meravigliosi del contrabbasso; nella sua for-
ma profonda, solenne, il suono del blu è paragonabile ai toni gravi dell’organo”.16
Quanto al verde, che paragona al suono del violino, in ogni tonalità “conserva il
carattere originario dell’indifferenza e della quiete”, al contrario del rosso, che è per
sua natura “vivace, acceso, inquieto”.17
E il viola – “un rosso raffreddato in senso fisi-
co e psichico. [...] Esso ha qualche cosa di malaticcio, di spento (scorie di carbone!),
10. “Il padre di Vasilij cercò
in ogni modo di arricchire la
cultura del figlio. […] Pur essendo
originario della Siberia orientale,
dove i suoi antenati erano
stati esiliati per motivi politici,
conosceva profondamente
l’anima di Mosca – il famoso
spirito moscovita – e le sue
bellezze. […] Kandinskij poté
così scoprire i mosaici e le
icone, imparò ad ammirarli
e a considerarli, come egli
stesso comprese in seguito, le
radici della propria concezione
artistica, profondamente radicata
nella cultura russa”, in Nina
Kandinskij, Kandinskij e io (1976),
Abscondita, Milano 2006, p. 26.
11. A questi si aggiungono i
“dipinti”, più grandi e compiuti
dei “piccoli studi a olio”, e le
“incisioni”.
12. Kandinsky, Sguardo al passato,
cit., p. 161. Quando Gabriele
Münter acquistò una casa a
Murnau, Kandinsky ne decorò gli
interni proprio con quei motivi.
16. Ivi, vol. II, p. 110.
17. Ivi, vol. II, p. 113
13. Kandinsky espose al Salon
d’Automne a partire dal 1904.
14. Kandinsky, Dello spirituale
nell’arte (Piper, München 1912, in
realtà dicembre 1911), in Tutti gli
scritti, cit., vol. II, pp. 136-137.
15. Ivi, vol. II, p. 99.
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34. 34
ha in sé qualche cosa di mesto”18
– è identificato con il “suono del corno inglese, della
zampogna e, quand’è più profondo, ai toni gravi dei legni (ad esempio il fagotto)”. E il
nero? “Come un eterno silenzio senza futuro e senza speranza risuona interiormente
il nero. Esso può essere rappresentato musicalmente come una pausa conclusiva.”19
È infatti la “risonanza interiore”, l’innerer Klang, ciò che più lo stimola in questo
momento della sua ricerca.
Vero è che musica e pittura, sulla scorta della teoria del Gesamtkunstwerk, del-
l’“opera d’arte totale”, cara a Richard Wagner, erano strettamente intrecciate nella Rus-
sia di quei decenni tra Otto e Novecento, tanto da dar vita a un fenomeno di risonanza
internazionale come i Ballets Russes di Sergej Diaghilev, in cui i musicisti più innova-
tivi collaboravano con gli artisti più radicali del tempo, creando eventi che mandava-
no in delirio l’intera Europa. Ma l’amicizia che Kandinsky strinse dal 1911 con Arnold
Schönberg, aperta dalla lettera entusiasta da lui scritta al musicista – che allora non co-
nosceva di persona – dopo aver ascoltato a Monaco due dei suoi pezzi più contestati,20
dovette confermarlo in questi già radicati convincimenti. Come avrebbe scritto di lì a
poco, “la musica di Schönberg ci introduce in un nuovo regno, dove le esperienze musi-
cali non sono acustiche bensì puramente psichiche. Qui ha inizio la musica del futuro”.21
In seguito gli scambi epistolari si sarebbero moltiplicati fra i due, che si sareb-
bero presto incontrati, mentre entrambi pubblicavano scritti teorici fondamentali
(Dello spirituale nell’arte l’uno, e l’altro il Trattato di armonia), tesi com’erano a si-
stematizzare le radicali innovazioni che avevano portato nelle rispettive discipline.
Senza contare che, se Kandinsky era un pittore che conosceva a fondo la musica,
Schönberg era un musicista che praticava anche la pittura, tanto che il primo avreb-
be esposto a Monaco alcuni degli inquietanti dipinti del musicista nella prima mostra
del Cavaliere Azzurro.
E fu proprio con il Cavaliere azzurro (Der Blaue Reiter) che Kandinsky aprì una
delle stagioni più alte e feconde della sua vita d’artista. Lui che nel 1909 era stato,
con Münter, Jawlensky, Werefkin, Kubin e altri ancora, uno dei fondatori (e il primo
presidente) della NKVM (Neue Künstlervereinigung München, Nuova Associazione di
Artisti di Monaco), e che ancora nel 1911 aveva convinto Franz Marc a entrarvi, era
poi entrato in conflitto con i suoi esponenti più moderati. Il dissidio sarebbe esplo-
so con il rifiuto di quelli di esporre la sua Composizione V. Così, nel dicembre 1911,
Kandinsky, Münter, Marc e Kubin uscirono dal gruppo e ne fondarono uno nuovo, as-
sai meno strutturato ma ben più radicale, che Kandinsky e Marc (i due leader) bat-
tezzarono appunto Il Cavaliere Azzurro.
Come sia stato ideato il nome lo avrebbe spiegato anni dopo, con tono scherzo-
so, Kandinsky stesso: “Trovammo il nome ‘Cavaliere Azzurro’ prendendo insieme il
caffè sotto il pergolato di Sindelsdorf:22
entrambi amavamo l’azzurro, Marc i cavalli,
io i cavalieri. Così il nome venne da sé”.23
Ma, ripeteva, “in realtà non ci fu mai nes-
suna associazione e neppure un gruppo Il Cavaliere Azzurro, come viene spesso er-
roneamente scritto. Marc e io sceglievamo liberamente quello che ci sembrava giusto,
senza minimamente preoccuparci di opinioni o pensieri altrui. Insomma, decidemmo
di dirigere il nostro Cavaliere Azzurro con metodi ‘dittatoriali’. I ‘dittatori’ eravamo
ovviamente Marc e io”.24
Fra i primi ad aderire furono August Macke, Paul Klee, Hein-
rich Campendonk, Robert Delaunay.
La “Prima mostra della redazione del Cavaliere Azzurro” si inaugurò già a me-
tà dicembre 1911 proprio alla Galerie Thannhauser (dove si erano tenute le mostre
della NKVM), per poi spostarsi in altre città tedesche.
Per l’inaugurazione sarebbe dovuto uscire l’Almanacco del Cavaliere Azzurro,
su cui Kandinsky rifletteva sin dal giugno precedente, pensando sin d’allora di esser-
ne il redattore insieme a Franz Marc. A loro si sarebbe poi aggiunto August Macke.
Varie difficoltà ne rinviarono l’uscita fino al maggio 1912:25
dunque dopo la chiusura
(in aprile) della seconda e ultima “Mostra del Cavaliere Azzurro”, inaugurata il 12
febbraio nella libreria-galleria d’arte Hans Goltz e definita “mostra dell’arte del bianco
Ada Masoero
20. Tre pezzi per pianoforte op.
11; Quartetto d’archi op. 10.
21. Kandinsky, Dello spirituale
nell’arte, cit., p. 85.
18. Ivi, vol. II, p. 115.
19. Ivi, vol. II, p. 111.
24. Vassily Kandinsky, Franz
Marc, Il Cavaliere azzurro, SE,
Milano 1988, p. 204.
25. Il finanziamento della
pubblicazione, uscita presso
l’editore Piper di Monaco, fu
garantito da Bernhard Koehler,
amico di Macke e sostenitore
del gruppo. Altri numeri erano
in progetto ma non poterono
vedere la luce.
22. La località dell’Alta Baviera in
cui viveva Franz Marc. Kandinsky
allude qui al pergolato di casa
Marc.
23. In una lettera a Paul
Westheim, redattore del
periodico “Das Kunstblatt”, che la
pubblicò nel 1930 (n. 14, p. 59).
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35. 35
e nero” per la preponderanza dei lavori grafici su acquarelli (Kandinsky ne esponeva
quindici) e guazzi, che pure erano presenti. Molto più ricca della prima e assai più in-
ternazionale, grazie anche ai molti avanguardisti russi (Goncˇarova, Larionov, Malevicˇ
e altri) invitati da Kandinsky,26
che si aggiungevano ai francesi Braque, Picasso, De-
rain, Vlaminck, ai tedeschi della Brücke (Kirchner, Heckel, Nolde, Pechstein...) e ad
altri, la mostra, che riuniva quasi tutti coloro che oggi consideriamo i maestri della
prima metà del Novecento, non ebbe (come la prima) alcuna fortuna.
Quanto all’Almanacco, non era meno dirompente e ancora una volta intrecciava
strettamente la musica (e il teatro) alle arti visive: tra i firmatari dei quattordici testi
presenti, figuravano infatti Schönberg, von Hartmann, Leonid Sabaneev e Nikolaj Kul-
bin (un medico di Pietroburgo, pittore dilettante e fautore della musica d’avanguardia),
ed erano pubblicate anche tre partiture musicali (di Schönberg, Alban Berg e Anton
Webern). A questi, sul limitare tra musica e teatro, si aggiungevano il contributo di
Kandinsky Sulle composizioni teatrali e la riproduzione della sua opera Il suono gial-
lo. Sempre di Kandinsky era poi un testo teorico fondamentale sull’arte visiva (Sul-
la questione della forma), affiancato da scritti di Franz Marc, August Macke, David
Burljuk, Roger Allard.
Ciò che però oggi più colpisce, specie per la genialità degli accostamenti, sono le
141 immagini con cui era illustrato: un dipinto di Gauguin era avvicinato a una scul-
tura greca arcaica, Van Gogh si confrontava con una xilografia giapponese (e allora
non era così ovvio), Delaunay con El Greco, ma, soprattutto, oltre alle riproduzioni
di opere degli artisti contemporanei prediletti, da Picasso a Matisse, da Kokoschka ad
Arp, da Cézanne a Van Gogh a coloro che avevano esposto alla prima mostra del Ca-
valiere Azzurro, c’erano pitture bavaresi dietro vetro, xilografie tedesche, lubki (le
stampe popolari russe), disegni infantili, figure di teatro d’ombre dall’Egitto, manufatti
delle isole dei mari del Sud: insomma, tutte quelle espressioni delle arti “primitive”
che potessero affrancare la nostra arte dalle convenzioni accademiche.
Una necessità, questa, diffusa fra gli artisti più innovativi d’Europa, tutti de-
siderosi di immergersi in un “altrove” geografico e culturale, in cerca di una nuova
purezza dello sguardo. Da Gauguin agli espressionisti tedeschi, innamorati dell’arte
oceanica, dai cubisti, sedotti dall’“art nègre”, a Modigliani, lui stregato dalla scultura
khmer, tutti loro erano andati in cerca di una nuova “verginità” espressiva, chi – co-
me Gauguin – spingendosi in mondi sempre più remoti, chi invece – come gli altri –
studiando nei musei etnografici dei loro Paesi le opere di culture che portavano in sé
il segno del primordio. Quanto ai russi, questo “altrove” lo avevano per così dire “in
casa”, nel loro impero sconfinato: oltre che sull’arte popolare dei lubki e sulla pittu-
ra sgrammaticata delle insegne dei negozi, potevano infatti contare sulle suggestio-
ni che giungevano loro dalle culture sciamaniche della Siberia (così importanti per
Kandinsky) e da quelle islamiche dell’Asia Centrale, attraversata da sempre dalla Via
della Seta: un patrimonio iconografico cui tutti gli esponenti delle avanguardie russo-
sovietiche attinsero largamente.27
Negli anni vissuti tra Monaco e Murnau, fino allo scoppio della Prima guerra mon-
diale, Kandinsky diede vita a una messe di capolavori, culminanti nelle monumentali
Composizione VI, ispirata al diluvio biblico, e Composizione VII, sul Giudizio univer-
sale. Dell’esecuzione di quest’ultima resta la documentazione fotografica di Gabriele
Münter (fig. 1), scattata tra il 25 e il 29 novembre 1913, che dà conto del metodo (e
della velocità) di lavoro dell’artista. Questa sorta di “età dell’oro” sarebbe però stata
interrotta, nell’agosto del 1914, dallo scoppiare della guerra: Kandinsky si rifugiò in
Svizzera con Gabriele Münter (era un cittadino russo e Germania e Russia militavano
su fronti opposti), ma a fine anno dovette rientrare in patria. Avrebbe rivisto la Münter
in un lungo soggiorno a Stoccolma, tra il dicembre 1915 e il marzo 1916 e poi mai più.
Poco dopo essere rientrato a Mosca conobbe infatti la giovanissima Nina Nikola-
evna Andreevskaja (lei preferiva qualificarsi come von Andreevskij,28
con la particella
nobiliare) e se ne innamorò perdutamente. Ricambiato.
26. Kandinsky non aveva
mai smesso di intrattenere
rapporti con la sua patria,
dove tornava spesso, in
visita alla famiglia.
28. Nina Kandinskij,
Kandinskij e io, cit., p. 19.
27. Il più recente contributo
sul tema, in Italia, è
L’avanguardia russa, la
Siberia, l’Oriente, catalogo
della mostra (Firenze, Palazzo
Strozzi, 27 settembre 2013 -
19 gennaio 2014), a cura di
J. Bowlt, N. Misler, E. Petrova,
Skira, Milano 2013.
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36. 36
Ada Masoero
1
Quattro fasi dell’esecuzione
di Composizione VII di Vassily
Kandinsky, 25-29 novembre 1913.
2
Fotografo sconosciuto, Una sala della XIX mostra statale organizzata
dalla sezione arti figurative del Narkompros (Commissariato per
l’Istruzione pubblica), Mosca, ottobre 1920. Parigi, Bibliothèque
Kandinsky, Centre de documentation et de recherche du Musée national
d’art moderne - Centre de création industrielle, Centre Pompidou.
Da sinistra: Composizione VII (1913), Schizzo (1920),
Paesaggio (Dünaberg presso Murnau) (1913); Sospensione appuntita
(1920), Bordo verde (1920), Nel grigio (1919), Punte (1920).
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Lui aveva ormai cinquant’anni ma, a dispetto delle riserve della madre di lei,
nel febbraio 1917 Vassily e Nina si sposarono. Non si sarebbero più lasciati un solo
giorno, nonostante le terribili difficoltà che subito dovettero affrontare: di lì a poco
scoppiò infatti la Rivoluzione, tutti i loro beni furono confiscati e la coppia dovette
vivere, come tutti i russi, in terribili ristrettezze.29
Ma, scrive Nina,
“le privazioni del periodo rivoluzionario furono d’altra parte largamente compen-
sate dalle mille opportunità che si offrirono agli artisti e agli intellettuali negli anni
successivi. L’arte e la cultura conobbero allora una vera e propria fioritura rivolu-
zionaria, che mise in ombra tutto quanto si era fatto in Russia sino ad allora”.30
Benché appartenesse per nascita alla migliore borghesia e avesse perso tutto con
la rivoluzione, Kandinsky partecipò con entusiasmo a questo rinnovamento culturale,
entrò a far parte di numerose istituzioni artistiche volute dai rivoluzionari e dal 1918
vi ebbe incarichi di peso: membro del Dipartimento di arti figurative (IZO) del Com-
missariato del popolo per l’istruzione presieduto da Anatolij Lunacˇarskij (Narkompros)
(fig. 2); docente ai Liberi atelier di Stato (Svomas); direttore del Museo di cultura pit-
torica di Mosca; presidente della Commissione panrussa per le acquisizioni dei mu-
sei; professore onorario dell’università di Mosca e impegnato, dall’inizio del 1920, alla
creazione dell’Istituto di cultura artistica (Inkhuk), dalla fine di quell’anno subì però
l’ostracismo dell’ala più oltranzista degli artisti d’avanguardia, capeggiati dal costrut-
tivista Rodcˇenko, che gli imputavano un eccessivo “psicologismo”. Dovette lasciare
l’incarico. Fondò allora (era il 1921) l’Accademia russa di scienze artistiche (Rakhn).
E fu proprio grazie al suo ruolo di vicepresidente dell’Accademia, e grazie ai buoni uf-
fici di un alto funzionario del partito, che gli procurò il passaporto in pochi giorni, se a
fine anno poté lasciare Mosca con Nina, sua segretaria al Rakhn, e partire per Berlino.
La libertà che gli era stata concessa negli anni precedenti – anche perché, scrive
Nina, “sebbene non avesse mai fatto mistero di non poter simpatizzare per il comu-
nismo, il suo comportamento era [stato] del tutto neutrale dal punto di vista politi-
co”31
– nel 1921 non poteva più sussistere: il partito proclamò infatti la Nuova politica
economica (NEP), secondo la quale ogni forma d’arte doveva essere funzionale alla
propaganda degli ideali rivoluzionari. Nasceva allora il realismo socialista sovietico.
I Kandinsky poterono portare con sé, arrotolate, dodici tele dipinte in Russia
(ma dovettero lasciare la Composizione VI e la Composizione VII, troppo ingombranti
per poter essere trasportate).32
Più dura dei sovietici si rivelò invece Gabriele Münter, alla quale Kandinsky sin
dal 1916 aveva chiesto, anche per vie legali, la restituzione di almeno una parte dei
suoi dipinti rimasti a Monaco, ancora in mano sua: furono necessari dieci anni perché
fosse (parzialmente) accontentato.33
Intanto, nel 1920 era morto a tre anni l’unico figlio, Vsevolod (Volodja, di cui Ni-
na nel suo libro di memorie, significativamente, non parla mai), e la partenza dovette
certo offrire alla coppia una via per rendere meno aspro quel dolore.
Negli anni moscoviti Kandinsky aveva realizzato pochi dipinti, assorbito com’e-
ra dagli impegni istituzionali e dall’insegnamento (più numerosi invece i meno im-
pegnativi acquerelli; cat. 37-38): tutte opere magnifiche (cat. 30, 39), vicine a quelle
monacensi ma cromaticamente anche più accese di quelle, perché in esse l’artista
travasava i colori vividi delle facciate e gli ori delle cupole della sua amatissima cit-
tà, che ai suoi occhi al tramonto “suonava […] come il ‘fortissimo’ di un’orchestra
gigantesca”:34
ancora una volta colori e suoni si fondevano per lui in un’esperienza
stordente e visionaria (fig. 3).
A 55 anni, nel 1921, Kandinsky doveva dunque iniziare un’altra vita. L’offer-
ta di Walter Gropius di una cattedra al Bauhaus di Weimar si rivelò provvidenziale
e l’accoglienza di docenti e allievi, quando arrivò alla scuola, nel giugno del 1922, fu
entusiasta. Qui ritrovò Paul Klee e conobbe Lyonel Feininger, Johannes Itten, Oskar
31. Ivi, p. 78.
30. Ibidem.
29. Ivi, p. 75.
34. Kandinsky, Sguardo al
passato, cit., pp. 155-156.
33. Si veda al riguardo Nina
Kandinskij, Kandinskij e io,
cit., p. 181.
32. La prima è oggi
all’Ermitage di San
Pietroburgo, la seconda alla
Galleria Tretjakov di Mosca.
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Ada Masoero
3
Vassily Kandinsky, Mosca I (Piazza Rossa),
1916. Olio su tela, cm 51,5 x 49,5.
Mosca, Galleria Tret’jakov.
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39. 39
Schlemmer e gli altri “maestri”, come si chiamavano i docenti del Bauhaus. Fu però
una serenità di breve durata: lui che si era allontanato dalla Russia perché non più
gradito ai vertici sovietici, nel 1924 fu accusato da una gazzetta locale di essere “un
pericoloso comunista russo”.
Erano solo i primi segnali del progressivo imbarbarimento della politica tedesca,
che, con la vittoria dei conservatori alle elezioni del Land della Turingia, nel 1924 im-
pose la chiusura del Bauhaus, mai accettato del resto dalla maggioranza dei cittadini
di Weimar che consideravano “questa bizzarra colonia di artisti come un corpo estra-
neo, pericoloso”.35
Sei mesi dopo, il Bauhaus riapriva però a Dessau, nella Sassonia-
Anhalt: invitato dal Consiglio municipale, Gropius poté costruire un complesso con
gli edifici della scuola e le abitazioni di docenti e studenti. Vassily e Nina Kandinsky
e Paul e Lily Klee condividevano una casa bifamigliare (fig. 4-5), e la loro amicizia si
consolidò ancora.
Negli anni del Bauhaus, mentre si dedicava all’insegnamento e dava vita a una pit-
tura nuova, razionale, sorvegliata e geometrica (cat. 46, 64, 69, 73-74), Kandinsky sentì
nuovamente l’esigenza di sistemare in un impianto teorico la sua più recente visione
pittorica. Scrisse Punto e linea nel piano, pubblicato nel 1926, in cui prendeva in esame
gli elementi fondanti della nuova pittura: il punto, la linea e altre forme elementari, come
gli angoli (che “suonerebbero” diversamente a seconda dei diversi gradi di apertura),
ponendoli in relazione con il piano di fondo. Intanto, alla figura del cavaliere, simbolo
dei suoi anni monacensi e russi, sostituiva quella del cerchio (cat. 70): “delle tre forme
primarie quella che indica più chiaramente la quarta dimensione”.36
E quando chiese a Marcel Breuer, docente anch’egli al Bauhaus, di disegnare i
mobili per la sala da pranzo dell’appartamento di Dessau (coloratissimo, a dispetto
del volere di Gropius, che per le sue architetture esigeva un candore assoluto), volle
– secondo la testimonianza di Nina – “dei mobili che contenessero il massimo di ele-
menti circolari e che come colori avessero solo il bianco e il nero. Breuer, seguendo le
indicazioni di Kandinsky, realizzò dei mobili dallo stile per così dire senza tempo, che
ancor oggi suscitano l’ammirazione dei visitatori del mio appartamento parigino”.37
L’esperienza del Bauhaus si avviava però alla fine. E quando anche il Land della
Sassonia-Anhalt passò ai nazionalsocialisti, e il nuovo governo decise di chiudere il
Bauhaus, nel luglio 1932 Kandinsky scrisse all’amico italiano Filippo Tommaso Mari-
netti, col quale era in rapporti cordiali sin dal 1926, chiedendogli di intervenire con il
suo peso politico di Accademico d’Italia (di un’Italia fascista) per scongiurare la chiu-
sura della scuola.38
Marinetti scriverà un telegramma al nuovo direttore, Mies van der
Rohe, ma senza risultato. Il 22 agosto 1932 il Consiglio comunale di Dessau votò la
chiusura del Bauhaus, che riaprì in forma di scuola privata a Berlino: appena giunti
al potere, i nazionalsocialisti chiuderanno però anche la sede berlinese (era il luglio
1933; quanto a Kandinsky, nel 1937 includeranno molte sue opere nella famigerata
mostra dell’“Entartete Kunst”, l’“Arte degenerata”). Dopo i sovietici, erano ora i na-
zisti a imporre una nuova fuga a Kandinsky, che pure era ormai cittadino tedesco.39
Parigi fu l’ultima meta della coppia, che vi giunse nel dicembre 1933 grazie anche
all’aiuto di Marcel Duchamp. Il 2 gennaio 1934 entrarono nel loro appartamento affac-
ciato sulla Senna e sul Bois-de-Boulogne, nel quartiere residenziale di Neuilly-sur-Seine.
Scelsero la capitale francese perché era il cuore del mercato dell’arte (ma ne
saranno delusi: come dirà Kandinsky al suo ex-allievo del Bauhaus Hannes Neuner,
“nessuno mi conosce a Parigi. Lei dice che è impossibile, perché non conosce l’orgo-
glio nazionale dei francesi: per loro esistono solo i loro pittori. Pensi che a Parigi ce
ne sono quasi cinquemila”),40
ma anche per i rapporti che l’artista aveva intrecciato
già dalla Germania con Christian Zervos, editore dei “Cahiers d’Art”, e per la relativa
fortuna incontrata da due sue mostre parigine nel 1929 e nel 1930. Non solo: sempre
nel 1930 Kandinsky era stato invitato a far parte del gruppo Cercle et Carré e attra-
verso Hans Arp, di cui era amico da tempo, era entrato in contatto con i Surrealisti e
con il gruppo Abstraction-Création.
36. Will Grohmann, Wassily
Kandinsky. Vita e opere
(1958), Il Saggiatore,
Milano 1958, p. 188.
35. Nina Kandinskij,
Kandinskij e io, cit., p. 89
40. Ivi, p. 137.
38. Riguardo ai rapporti di
Kandinsky con numerosi
intellettuali italiani si veda
Ada Masoero, Kandinsky:
lettere con l’Italia, in
Kandinsky e l’Astrattismo in
Italia 1930-1950, catalogo
della mostra (Milano,
Palazzo Reale, 9 marzo 2007
- 24 giugno 2007), a cura di
Luciano Caramel, Mazzotta,
Milano 2007, pp. 43-67.
37. Nina Kandinskij,
Kandinskij e io, cit., p. 106.
39. Nina Kandinskij, Kandinskij
e io, cit., pp. 111-112.
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Ada Masoero
4
Fotografo sconosciuto, Sala da pranzo di casa Kandinsky
a Dessau, 1926. Parigi, Bibliothèque Kandinsky, Centre
de documentation et de recherche du Musée national
d’art moderne - Centre de création industrielle,
Centre Pompidou. Alla parete, Su bianco II (cat. 64).
5
Fotografo sconosciuto, Vassily Kandinsky e Paul Klee
a Dessau, 1926 circa. Parigi, Bibliothèque Kandinsky,
Centre de documentation et de recherche du Musée
national d’art moderne - Centre de création industrielle,
Centre Pompidou.
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Lì avrebbero conosciuto Miró, Mondrian, Léger, Magnelli, Pevsner, Brancusi,
Breton, Ernst. Ma fu grazie a un italiano, Gualtieri di San Lazzaro, promotore della
rivista “XXème Siècle”, se il nome di Kandinsky dopo qualche tempo si impose an-
che a Parigi. Non meno importante fu il ruolo della gallerista Jeanne Bucher, perché
fu lei a suggerire ad André Dezarrois, il conservatore del Jeu de Paume, di acquista-
re la Composizione IX (cat. 76), del 1936, presentata in una sua mostra del 1939.41
A Parigi, Kandinsky introdusse nuove forme biomorfe nelle sue opere (cat. 77-
78, 81, 83), simili a quelle dei surrealisti amici – Arp in primo luogo –, accostandole a
quelle geometriche, mentre schiariva la tavolozza, optando ora per le tonalità pastello
(cat. 79-80) in luogo dei colori primari. Amebe, creature degli abissi, forme embrio-
nali, insetti presero a popolare i suoi dipinti, al pari degli acquerelli e dei guazzi, che
dalla fine degli anni Trenta spesso prediligevano nuovamente (come nei primi anni
monacensi) il fondo nero, con effetti cromatici di forte intensità e suggestione.
Salvo un breve soggiorno fuori città, anche durante la guerra i Kandinsky re-
starono a Neuilly, vivendo nell’isolamento e rifiutando di espatriare negli Stati Uniti,
benché venisse loro offerta dal consolato americano la possibilità di trasferirvisi con
tutte le loro opere e i loro beni. Kandinsky appunto rifiutò, non sentendosi di lasciare
Parigi (dal 1938 aveva la cittadinanza francese): aveva ormai superato i settant’anni e
aveva troppe “patrie” alle spalle per poter pensare di cambiare Paese ancora una volta.
Rimase quindi a Neuilly-sur-Seine e continuò a lavorare fino all’estate del 1944,
sebbene da qualche mese la sua salute fosse improvvisamente peggiorata. Il 4 dicem-
bre 1944 poté festeggiare il settantottesimo compleanno, ancora convinto di poter
guarire. Morì invece il 13 dicembre, senza vedere la fine della guerra.
41. Ivi, p. 155.
6
Fotografo sconosciuto, Ritratto di gruppo a Dessau, 5 dicembre 1926.
Parigi, Bibliothèque Kandinsky, Centre de documentation
et de recherche du Musée national d’art moderne - Centre de création
industrielle, Centre Pompidou. Da sinistra: Josef Albers, Herbert Bayer,
Marcel Breuer, Lyonel Feininger, Walter Gropius, Vassily Kandinsky,
Paul Klee, László Moholy-Nagy, Georg Muche, Hinnerk Scheper,
Joost Schmidt, Gunta Stölzl, Oskar Schlemmer.
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Kandinski arriva a Monaco nel 1896 per intra-
prendere la carriera di pittore. Lascia la Russia
all’età di trent’anni; interrompe dieci anni di
studi alla facoltà di diritto di Mosca, rifiuta un
posto di assistente all’università di Tartu ed entra
in un mondo nuovo, una città vibrante di ener-
gia artistica e intellettuale. Negli anni Novanta
dell’Ottocento Monaco era un paradiso per le
forme d’arte rivoluzionarie; presa dall’ebbrezza
del cambiamento, traboccava di teatri, sale da
concerto, caffè, gallerie e studi di artisti. Il primo
movimento secessionista in Germania era nato
già nel 1892 e denunciava la mediocrità dell’arte
borghese, propugnando invece la modernità. Da
tutto questo emerge, verso la fine del secolo, il
grandioso movimento di riforma delle arti e dei
mestieri chiamato Jugendstil, ossia “stile giova-
ne”, che avrebbe preannunciato il concetto di
un’arte senza oggetti, resa dinamica dalla fluida
energia della linea ondulata e del colore a scapito
di riferimenti storici o naturalistici.
Queste riforme innovatrici, che davano grande
risalto alle arti decorative e investivano l’archi-
tettura, la grafica, la xilografia e la ceramica,
erano destinate ad avere un impatto immediato
su Kandinsky, il quale fu colpito dall’espressiva
forza astratta dello Jugendstil e sedotto dal sogno
supremo del Gesamtkunstwerk, l’opera d’arte
totale. Il concetto di “un’arte totalmente nuova”
in grado di “commuovere l’anima così intensa-
mente e così profondamente come finora solo la
musica è stata capace di fare” (August Endell)
fu ugualmente determinante per la concezione,
da parte di Kandinsky, dell’astrattismo come
trascendenza spirituale della realtà; in questo
modo l’artista trasforma l’energia innovatrice
dello Jugendstil in un’arte più contemplativa,
interiore, che costituisce il fondamento del suo
stile d’anteguerra.
Peraltro, trovare la propria strada tra le ten-
denze convergenti che animavano la vita artisti-
ca monacense dell’epoca non era cosa facile. In
cerca di orientamento, Kandinsky si iscrive ben
presto, nel 1897, alla scuola del più bohémien
degli artisti residenti a Monaco, Anton Ažbé, ove
apprende l’uso del colore puro, applicato diret-
tamente sulla tela in ampie pennellate con un
pennello piatto. Ažbé favoriva la ricerca di una
forma sperimentale, senza curarsi delle regole
della composizione accademica; di conseguenza,
lasciava che i suoi studenti scegliessero libera-
mente i propri soggetti, insistendo su una per-
cezione impressionistica della realtà e su quello
che egli definiva “la cristallizzazione dei colori”
sulla superficie della tela. Kandinsky frequenta
la scuola di Ažbé per due anni, prima di cedere
al cogente richiamo dello Jugendstil e di rivol-
gersi agli insegnamenti dell’artista e disegnato-
re di maggior rilievo del movimento, Franz von
Stuck. Un anno dopo, alla fine del 1900, Kandin-
sky termina i propri studi artistici e inizia una
carriera indipendente.
Convinto della responsabilità sociale dell’arte
e della grande potenzialità delle arti popolari,
Kandinsky fonda un’associazione chiamata
Phalanx, allo scopo di fornire a giovani artisti
l’opportunità di esporre i loro lavori. Dal 1901
al 1904, Phalanx organizza una dozzina di mo-
stre di autori diversi su temi cari a Kandinsky,
quali le arti teatrali, il cabaret artistico, il design
Kandinsky a Monaco
1896 – 1914
“Là ho vissuto molti anni. Là ho dipinto il primo quadro astratto. Là
ho sviluppato le mie idee sulla pittura ‘pura’, sull’arte pura. Cercavo
di procedere analiticamente, di scoprire nessi sintetici, sognavo l’av-
vento della ‘grande sintesi’, mi sentivo obbligato a comunicare le mie
idee non soltanto all’isola che mi circondava, ma anche alla gente che
viveva al di là di essa.”1
Vassily Kandinsky a Paul Westheim, 1930
Alle pagine precedenti
Fotografo sconosciuto, Vassily Kandinsky
a Monaco, 1905 circa. Parigi, Bibliothèque
Kandinsky, Centre de documentation
et de recherche du Musée national d’art
moderne - Centre de création industrielle,
Centre Pompidou.
1. In Kandinsky in Munich 1982,
p. 27.
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