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Una chat su "Turismo, The Time after" #dallapartedelturista
#dallapartedelturista
Una chat su “Turismo, The Time After”
© Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020
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#dallapartedelturista
Una chat su “Turismo, the time after”
Con
Martha Friel, docente, Università IULM Milano
Rodolfo Baggio, docente, Università Bocconi Milano
Martina Manescalchi, docente, Università di Bologna
Roberta Garibaldi, docente, Università di Bergamo
Giancarlo Piccirillo, consulente in destination management, Firenze
Nevio D’Arpa, imprenditore e founder BTM Puglia, Lecce
Edoardo Colombo, digital and innovation advisor, Roma
Marta Paraventi, storica dell’arte e ricercatrice, Ancona
Kamel Ben Youssef, docente, Universitè Paris Nanterre
Patrizia Battilani, docente, Università di Bologna
Milena Viassone, docente, Università di Torino,
Francesco Schianchi, docente, Politecnico di Milano
Beppe Giaccardi, consulente di strategia, curatore della chat
12 maggio 2020, 75°di eremitaggio
www.giaccardiassociati.it
#dallapartedelturista
Una chat su “Turismo, The Time After”
© Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020
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Indice
Lo scopo e i concetti chiave di questa chat Pag. 3
Le domande-traccia Pag. 4
Le chiacchierate-intervista Pag. 5
E dopo? Pag. 33
Chi siamo Pag. 34
#dallapartedelturista
Una chat su “Turismo, The Time After”
© Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020
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Lo scopo e i concetti chiave di questa chat
Questa chat nasce dal bisogno di uscire dall’eremitaggio imposto dalla pandemia, dal desiderio di relazioni
e scambi arricchenti, dalla volontà di esercitarsi per un dopo quasi ignoto e dalla possibilità di coinvolgere
persone profonde alle quali sono affezionato.
Doveva essere solo una chiacchierata per ampliare orizzonti e confini mentre di comune accordo tutto ciò
sì è trasformato in un elaborato strutturato con domande-traccia per confrontare opinioni e contributi
alla riflessione e alla visione, che in vario modo risultano unici e straordinari per punti di vista e ricchezza.
Martha Friel, Rodolfo Baggio, Martina Manescalchi, Roberta Garibaldi, Giancarlo Piccirillo, Nevio
D’Arpa, Edoardo Colombo, Marta Paraventi, Kamel Ben Youssef, Patrizia Battilani, Milena Viassone e
Francesco Schianchi, che ringrazio tutti1
sentitamente, hanno così accettato di rendere pubblico questo
documento per offrire insieme una nuova energia di pensiero, di confronto e di progetto.
Un’esplorazione culturale sul turismo, inedita, genuina e originale. In ordine di tempo, la seconda
operazione free del nostro Studio per contribuire a sostenere il turismo italiano duramente colpito
dall’impatto della pandemia, dopo la pubblicazione del rapporto di ricerca “#dallapartedelturista – 50
policy covid-19 a confronto”, aprile 20202
.
Il turismo italiano non potrà essere più uguale a prima ma può e deve continuare ad essere, cambiando,
una delle più importanti economie e comunità del Paese perché è un pezzo irrinunciabile della sua
identità e della sua anima (Piccirillo). Abbiamo pertanto bisogno di concentrarci sui fini e non sui mezzi,
abbiamo necessità cioè di rendere efficaci le visioni e di rendere operanti i valori (Schianchi). Per questo
persiste urgenza e opportunità di accelerare la trasformazione digitale delle competenze, dell’efficienza
organizzativa e non solo del marketing (Baggio), e di cambiare le abitudini orientandoci a un modello
sociale e di sviluppo fondato sulla cooperazione strategica a diversa scala per imprese piccole e medio-
grandi (Battilani). Dobbiamo cambiare spingendo sulla conoscenza e sulla formazione (Manescalchi) e
dobbiamo farlo operando sulla crisi di modello e sul ripensamento dei territori (Friel), dando continuità
alla filosofia della ricerca nell’arte e nella cultura (Paraventi) e puntando anche alla costruzione di un
nuovo polo industriale del turismo con più massa critica anche tecnologica e nuovi contenitori-prodotto
(Colombo), per riunire un paese disunito, indebolito dai ritardi del passato, e dare più forza al tessuto
delle imprese (D’Arpa). Abbiamo diverse leve che dobbiamo rapidamente utilizzare: la ricerca sul cambio
della domanda e dei modelli di business (Viassone), la solidità della reputazione internazionale del
turismo enogastronomico italiano (Garibaldi), l’innovazione della customer education per un’ecologia
dell’informazione (Youssef) e infine un’ampia, decisa e irrinunciabile avanzamento della cultura di
management dei dati (Piccirillo e Baggio).
Aggiungo che possiamo avere la duplice occasione di progettare un’impareggiabile e articolata offerta
green, ad elevata capacità di rigenerazione delle persone che può contribuire a ritemprare menti e corpi e
allo stesso tempo a cambiare il paese e la parte di mondo nella quale viviamo, e così di partecipare da
protagonisti al New Green Deal europeo. Dipende solo da noi, proviamoci.
Beppe Giaccardi3
1 Le persone coinvolte sono elencate in ordine cronologico di realizzazione della chiacchierata-intervista.
2 Download qui https://mailchi.mp/giaccardiassociati/dallapartedelturista.
3 Beppe Giaccardi, curatore di questa chat, è consulente di strategia e organizzazione, libero professionista dal 1985,
founder e CEO dello Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione e Data Analyst.
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Una chat su “Turismo, The Time After”
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Le domande-traccia
Turismo, cosa cambiare? Turismo, da dove ripartire? Italia paese “perso”? Cosa ne pensi, come ti
ricollochi, come cambierà il tuo lavoro.
Sono le tre domande-traccia della chiacchierata-intervista che abbiamo posto alle dodici persone, sei
donne e sei uomini, accademici, ricercatori e consulenti che hanno contribuito con la loro cultura ed
esperienza ai contenuti di questo lavoro.
Domande semplici, ma allo stesso tempo ampie e complesse, che hanno però consentito di mettere
in relazione competenze differenti e non sempre note tra loro, con quesiti che probabilmente molti si
pongono in queste settimane e nelle quali il contenuto dell’ansia si è modificato via via da un timore
prevalente sulla salute alla forte preoccupazione dell’impatto economico, sociale e umano con
giganteschi problemi culturali, tecnologici e di relazione messi a nudo e/o accelerati dalla pandemia.
Condividiamo anche noi la preoccupazione per il futuro, per quello del Paese, di 500 mila imprese e 4
milioni di lavoratori della filiera allargata del turismo, ma anche per l’avvenire di milioni di bambini e
ragazzi che hanno visto la propria vita aggredita anche dell’interruzione prolungata della loro
socialità e del loro apprendimento, unitamente al persistere di troppi nodi irrisolti tra i quali prima di
tutto il futuro del rapporto con gli eco-sistemi vitali del pianeta.
Stiamo perciò provando a capire e a ripensare vita, studio, lavoro e relazioni.
Non tutto però potrà essere razionale e programmato, molte reinterpretazioni o innovazioni saranno
figlie (per fortuna) della creatività e della serendipità che ci contraddistingue come nazione. Ma è
certo che la ricerca e il progetto delle risposte materiali e immateriali di futuro va posta a un livello
alto e profondo. Questa chat, con le sue domande e risposte, ci pare un buon inizio perché per fare
un buon progetto bisogna porsi le domande giuste specialmente quando è evidente che il percorso
sarà lungo.
I nostri canali online sono a disposizione per alimentare ricerca e confronto e per individuare assieme
il nuovo punto di svolta.
Legenda dei report della chat
[1] Turismo, cosa cambiare?
[2] Turismo, da dove ripartire?
[3] Italia paese “perso”? Cosa ne pensi, come ti ricollochi, come cambierà il tuo lavoro
à interlocuzione del curatore
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Le chiacchierate-intervista
15-04-2020
Martha Friel
Phd, docente di management della cultura e del turismo all'Università IULM di Milano presso la
Facoltà di Arti e Turismo e senior fellow di Fondazione Santagata per l'Economia della Cultura di
Torino. Vive a Milano.
[1]
Faccio fatica a parlare di questi argomenti, sono molto colpita, perché non si tratta solo degli effetti
devastanti a livello globale di un fattore esogeno ma di una crisi anche di modello.
Spesso i territori turistici in Italia sono circondati da altre economie turistiche che non si supportano
e non si integrano a vicenda. Le economie contigue hanno un grosso problema perché non
producono diversità economica. E sicuramente il modello delle mono-economie turistiche ha
mostrato tutti i suoi limiti, colpendo duramente anche il settore culturale.
È necessario ripartire dalle radici dei territori, dalla conformazione territoriale ed economica del
turismo, purtroppo più leggi della vicenda covid-19 e più ti senti sperso.
Ci sarà un enorme effetto di medio periodo sulla domanda, in relazione anche all’ampiezza
geografica dei mercati che potremmo recuperare e raggiungere. Forse è arrivato anche il momento
di riflettere su quali saranno i mercati verso cui puntare nel prossimo futuro.
Un altro tema fondamentale è poi anche quello del mercato del lavoro del turismo, servirà anche qui
un cambio di mentalità, sul senso del welfare nel turismo.
à Il fattore green potrà essere una componente di un nuovo modello?
Il fattore ambiente, il fattore green? Vedo un rischio regressione più che evoluzione perché
l’attenzione all’ambiente rischia di essere percepita come un lusso per quando l’economia va bene.
Rischiamo un ritorno all’auto privata, alla plastica monouso, a comportamenti meno sostenibili
“scusati” dalla necessità di una tutela individuale.
Poi certo, in questi giorni molti medici per le eventuali prossime vacanze stanno consigliando più la
montagna del mare per evitare il più possibile luoghi dove possono crearsi assembramenti. In questo
senso proposte slow in destinazioni rurali e montane, il turismo in bici etc. potranno avere uno
sviluppo. Ma i ragionamenti sul turismo sostenibile dovranno essere ben altri e dovremo affrontarli
presto.
[2]
Servirà molta innovazione di prodotto. La domanda ripartirà per “scale geografiche” e il ripartire
dipende da cosa faremo e da cosa diremo. Le imprese avranno molto da cambiare. E ragionare in
termini di sistema e di prodotto a tutto tondo è vitale. Mai più di oggi la singola struttura ma anche il
singolo attrattore turistico dipendono dal sistema destinazione.
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Una chat su “Turismo, The Time After”
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Il digitale sarà fondamentale per fare di più buona informazione verso i mercati e buona
comunicazione interna tra operatori e destinazione, dati e informazioni corrette saranno
indispensabili, così come il coordinamento delle informazioni e delle infrastrutture.
Il nodo per i territori, dal punto di vista del turista, sarà “apro l’home page e trovo subito quello che
mi serve sapere”, non è immaginabile che ognuno vada dove gli pare. Servirà una gestione
coordinata tipo Parigi nel post attentati. Servirà cioè una comunicazione da tempo di crisi ma non in
chiave emergenziale bensì strutturale. Con un innalzamento dell’alfabetizzazione digitale che è
diventata indispensabile e che richiederà anche continui aggiornamenti, non solo per informare i
turisti e vendere i prodotti ma anche per gestire i flussi nelle destinazioni.
à Quali policy darsi in questo scenario?
Penso sia arrivato il momento di scegliere chi vogliamo avere come turista in Italia, servirà un
marketing intelligente, paese per paese, e conoscere perfettamente il mercato.
Le destinazioni saranno chiamate a fare un gran lavoro, di confronto con le Amministrazioni locali sul
futuro dei luoghi perché queste crisi possono succedere.
Penso inoltre che serva un ragionamento sulla fiscalità degli enti locali finalizzato a generare un
sostegno reciproco tra imprese turistiche e Amministrazioni locali.
[3]
Sono molto preoccupata, sì, anche per il mio lavoro ma non solo. La mia attività di ricerca cambierà,
dovremo studiare ciò che di nuovo potrà davvero servire ai territori e al settore, e naturalmente
contenuti e modalità di formare nel turismo dovranno cambiare per rispondere il meglio possibile a
nuovi bisogni del settore.
Poi, al di là del mio lavoro, mi sento sconfortata come cittadina. Serve una riflessione più concreta
sulla fase 2, una visione del dopo. Percepisco una grande differenza con altri paesi.
à Quali priorità avverti?
Nessuno di noi ha la sfera di cristallo purtroppo e ci sono talmente tanti fattori in gioco che è davvero
complicato fare previsioni ma alcune priorità le conoscevamo già prima di tutto questo e restano
valide.
Lavorare sull’innovazione di prodotto, anche in termini di nuove stagionalità, sul mettere valore nel
prodotto, focalizzandosi sulla qualità anche perché i turisti che viaggeranno saranno, credo,
particolarmente disposti a pagare un premium price per avere servizi ed esperienze di un certo tipo.
Attualmente una delle preoccupazioni principali poi è che non sappiamo bene cosa succederà nei
trasporti: treni con portata ridotta di 2/3, voli costosi ecc. Trasporti e intermodalità sono un aspetto
fondamentale per il turismo e lo saranno sempre di più.
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15-04-2020
Rodolfo Baggio
Astrofisico, 20 anni nell’industria ICT, PhD alla School of Tourism della University of Queensland,
Australia, è professore e coordinatore dell’area Strategie digitali del Master in Economia del Turismo
all’Università Bocconi. Già Presidente IFITT Italia, svolge stabilmente attività di ricerca e docenza
all’estero sulla teoria della complessità e i metodi di analisi della rete applicati allo studio delle
destinazioni turistiche. Vive a Milano.
[1]
Non è detto che le cose cambino. Il ruolo centrale l’avrà il turista mentre le “sensazioni”
dell’albergatore sono meno importanti.
Non disponiamo ancora, purtroppo, di un’indagine internazionale approfondita sui comportamenti
post crisi, tra cui quella del travel, ma abbiamo solo alcune informazioni sparse.
Non credo però alle vacanze 2020, perché le risorse di molti saranno limitate, pochi soldi e poco
tempo disponibile (ferie, permessi, etc.).
Possiamo impiegare però utilmente il tempo rimettendo a posto alcuni fondamentali per chi opera
nel turismo, per esempio:
- ripensare a come è organizzato il lavoro, a come renderlo più efficiente, a come usare al meglio gli
strumenti tecnologici, quale comunicazione “fare dopo”, mettere a punto un piano strategico
individuale;
- invece di lamentarsi e pensare solo a chiedere sovvenzioni, dirsi “come lavoro, cosa ha funzionato e
cosa no, di cosa ho bisogno per fare meglio, cosa serve per lavorare assieme”. E sulla collaborazione
bisognerebbe puntare di più, che dopo si rischia di dipendere ancora di più dai grandi player;
- provare a costruire un minimo di massa critica, un gruppo consistente, in modo da avere un minimo
di potere contrattuale verso i grossi intermediari. Difficile, ovviamente farne a meno, ma ridiscutere i
rapporti è possibile;
- serve cioè un ragionamento prima soggettivo, e poi collettivo, sulle cose da fare adesso per
prepararsi al dopo.
à E con il modello carbon come la mettiamo?
Viviamo un “momento zero”, non ci era mai capitato prima, anche la mobilità è a zero. In Lombardia
per di più è stata distrutta la sanità sul territorio e la Regione non ha imposto alla sanità privata di
collaborare come è avvenuto in altre regioni.
In ogni caso chi guida il ballo sono i turisti, non gli operatori, a dispetto di quelli che chiamo “liberisti
della domenica”, il mercato lo fa la domanda non lo fanno gli operatori.
Sostenibilità è una bella parola, ma spesso vuota di significato vero e comunque, messo che possano
esistere, ci vorranno molte generazioni prima di vedere “turisti sostenibili”.
Tutto il resto, con grande impatto anche sul turismo, passa al di fuori del turismo, sulle politiche
energetiche e sui trasporti il turismo non ha praticamente peso.
à Perché il turismo non conta?
Perché è un argomento solo “orale”, molto “parlato” ma poi alla verifica dei fatti poco considerato.
Non abbiamo pensiero strategico vero. Il Piano strategico nazionale è una grande “to do list” e così
sono la maggioranza dei piani turistici.
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In ogni caso il 2020 e il 2021 vedranno vacanze solo in Italia, perché anche quando riapriranno gli altri
paesi noi italiani non ci muoveremo, abbiamo paura, del resto chi oggi può pensare di farsi, che ne
so, 10 ore di volo per andare in vacanza? E avremo ancora molte barriere per l’ingresso di stranieri.
[2]
La priorità è darsi a livello individuale un’organizzazione e uno stile di lavoro efficienti, ripensare i
modelli di accoglienza, capire adesso cosa fare per ridurre gli sprechi il più possibile.
E poi avanti tutta con la trasformazione digitale:
- a livello interno, non più solo marketing e promozione ma smettere di tenere i borderau a mano e i
dati su excel;
- dobbiamo imparare a controllare tutto sfruttando di più il digitale a tutto campo. Per esempio, negli
hotel sensori e sistemi per la gestione fisica (invece della tesserina per attivare l’elettricità molto
meglio un sensore che gestisce le prese e poter lasciare in carica lo smartphone anche quando sì è
fuori dalla camera);
- è molto importante “ripensarsi a fondo”, conta molto, noi paghiamo un prezzo alto per la nostra
mancanza di cultura su questi aspetti;
- capitolo big data: servono risorse e conoscenze che non sono più nella disponibilità del singolo
operatore o destinazione, serve un team che si occupi dei dati tutti (small e big). Questo aspetto è
fondamentale per i territori perché prima scelgo se andare in Trentino o in Gallura e poi magari dove
dormire, non è l’hotel che fa la differenza, ma magari 50 hotel che collaborano potebbero dotarsi di
un team e delle risorse necessarie e riuscirci;
- poi serve tempo e competenza, chi investe risorse in un team produce informazioni che ritornano
sul territorio, non si lavora sui dati per fare bella figura ma per avere supporti efficaci per prendere
decisioni;
- dobbiamo coinvolgere di più università e ricerca perché dobbiamo strutturare nuovi standard e
modalità sensate di raccolta, analisi e gestione dei dati;
- serve, più in generale, anche un miglior collegamento fra ricerca e industria, per esempio con più
“traduzione” e comunicazione di studi importanti. In Italia praticamente solo la SISSA di Trieste si
occupa di comunicazione scientifica;
- servono nuovi centri di ricerca e di aggregazione di ricercatori per realizzare nuove survey e
selezione di cose interessanti.
[3]
Non ho grandi problemi, tutto sommato sono un privilegiato, continuo a insegnare, ma soprattutto
faccio ricerca, pubblico articoli, collaboro con altri ricercatori in giro per il mondo e rendo pubblico
quel che faccio per mia scelta, pensando di avere una funzione socialmente utile.
Cosa cambiare in questo paese:
- decidere quali priorità, l’Italia non l’ha fatto in nessun campo da più di vent’anni e si vede, neanche
nel turismo;
- si fanno tanti ragionamenti, cultura, bellezza e poi?
- decidere le priorità è fare strategia, non la lista delle cose da fare;
- se il digitale è importante ne devono trarre le conseguenze e fare cose importanti.
Tuttavia il vero nodo è “decidere come decidere”, io penso che per alcune cose serva un “sistema
democratico ibrido” che alcuni chiamano benevolent dictatorship.
à Cioè, cosa intendi?
Per esempio è quello che abbiamo fatto per arrivare al Manifesto “Parole O_Stili” oppure quello che
avvenne nel TD Lab in preparazione del Piano Strategico del Turismo: si parte da una proposta
definita, stilata da uno solo o da un gruppo ristretto, poi si ascoltano tutti gli interessati si documenta
tutta l’attività ma poi chi deve decidere, decida e se ne assuma la responsabilità. E non
dimentichiamoci mai che viaggiare non è il tutto.
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Finisco aggiungendo che potrebbe essere interessante dare continuità a questa “chiacchiera
collettiva” per esempio con delle conference online anche periodiche.
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15-04-2020
Martina Manescalchi
Docente in Web Communication, International Tourism and Leisure Industries all’Università di
Bologna. E’ consulente e formatrice presso Teamwork Hospitality. Vive a Rimini.
[1]
E’ un momento molto difficile ed è molto difficile capire cosa ci riserverà il futuro. Penso che la
formazione in questo momento sia più importante che mai, dal momento che molte priorità
cambieranno e si renderà necessario rivedere tutti i processi di accoglienza e attivare tutta la
tecnologia disponibile per ridurre ogni contatto possibile.
Dobbiamo investire risorse sempre più grandi sulla domanda green, dal momento che una fetta
sempre più importante del mercato turistico, soprattutto giovane, si dimostra molto sensibile verso
questa tendenza
à Cosa cambierà negli hotel?
Il buffet cambierà, le scelte green andranno per la maggiore, l’ospite sarà sempre più attento ai temi
della sicurezza e della pulizia.
La domanda che ci poniamo è: quali strutture non ce la faranno? Difficile dirlo. Una certa
propensione al cambiamento e all’attenzione nei confronti del cliente è indispensabile, ma molto
dipenderà dalle prossime scelte del Governo, comunque non prima del 2021 difficilmente
assisteremo a un ritorno alla cosiddetta normalità. L’economia turistica conta poco tra i decisori di
questo Paese.
à Perché il turismo conta poco o non conta?
E’piuttosto paradossale che, in un Paese in cui il turismo sia di così grande importanza per
l’economia, l’aggettivo “turistico” – riferito a un luogo, a un ristorante, a un’attrazione – abbia
un’accezione negativa. Questo già la dice lunga. Pensiamo ai ministri che abbiamo (e non abbiamo)
avuto. Non è che non conti, è che conta soltanto quando dal settore c’è da attingere, in qualche
modo. Pensiamo alla gestione della promozione del brand “Italia” all’estero, ai fallimenti di tante
azioni di destination marketing, alla gestione dell’extra alberghiero. Da una parte tutti si riempiono la
bocca di turismo, promozione, attività turistiche, dall’altra prevale l’immobilismo del “tutto cambi
perché niente cambi”. Il settore è tra i più dinamici e i tempi italiani – da tutti i punti di vista – sono
troppo lunghi per stare dietro a tutte le innovazioni di cui esso necessita. Ho paura che si tratti di una
problematica che riguarda tutti i settori e non soltanto quello turistico. Senza togliere il fatto che chi
è chiamato a “gestire la res” a vari livelli, molto spesso non ne è all’altezza. E questo significa: scelte
sciagurate, sprechi, occasioni perdute, obsolescenza.
[2]
Cambia tutto, quali saranno i turisti fino all’anno prossimo? Senza stranieri ci impoveriremo, inutile
negarlo. E’ impensabile sostituire gli stranieri con gli italiani. Gli italiani non hanno soldi e le attuali
misure di sostegno sono superficiali. Servono misure economiche più concrete.
Detto ciò, le strutture che intendono riaprire, devono focalizzarsi per forza di cose su nuove fette di
mercato, comprendere i trend a breve e medio termine, sapere chi si interessa al brand adesso e
perché. Ridimensionare l’advertising in questo periodo di crisi è altrettanto importante; per esempio,
meglio profilare molto bene il target e dire addio alle keywords generiche e ai pubblici troppo ampi.
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Ovviamente mai come adesso sarebbe importante disporre di più dati, renderli più trasparenti,
segmentarli e renderli fruibili per le attività di analisi e promozione degli operatori
[3]
Non essere preoccupati in questo momento è cosa da incoscienti. Cosa mi auspico? Diciamo che
domattina vorrei svegliarmi in un paese disposto a imparare dai propri errori individuali e sociali.
Vorrei che fossimo meno superficiali nelle valutazioni, che imparassimo a ragionare su più canali e
livelli, che fossimo davvero pronti a un grande cambiamento.
Perché di grandi cambiamenti stiamo parlando.
Cambiamenti che l’emergenza pandemica ha soltanto accelerato, ma che erano già in essere. Saremo
pronti a metterli in atto? Ci vogliono visione e lungimiranza. Ma parliamoci chiaro: senza un piano
serio di ripresa e aiuti economici concreti sarà impossibile.
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12
16-04-2020
Roberta Garibaldi
Professore aggregato all’Università di Bergamo per Tourism Management in Economia e gestione
delle imprese. E’ nel Board of Directors della World Food Travel Association, membro dell'Advisory
Board del World Gastronomy Institute e del Consiglio di Presidenza della Società Italiana di Scienze
del Turismo (SISTUR). Vive a Bergamo.
[1]
Cosa cambiare nel turismo enogastronomico? Niente modifica di più il mondo che le guerre e le
pandemie. La pandemia di COVID-19 sta cambiando profondamente le nostre abitudini quotidiane,
dal lavoro al privato. E, con esse, anche il modo di pensare, vivere e consumare.
Per le imprese questo momento di chiusura può essere un momento prezioso di riorganizzazione.
E’ sicuramente necessario rivedere i costi di quest’anno, ma fermarsi vuole dire anche poter avere
tempo per fare quei lavori di analisi e di riprogettazione strategica che sono fondamentali e che si
rimandano sempre presi dall’operatività quotidiana.
Ecco che diventa occasione per ottimizzare la raccolta dati, i sistemi di CRM che magari non avevamo
mai attivato, riformulare l’offerta delle esperienze, ottimizzare le attività di comunicazione,
sfruttando la mole di informazioni che il web 2.0 è in grado di fornire. I siti web, i social media, i blog,
… sono sì strumenti di comunicazione efficaci e con grande visibilità, ma rappresentano anche dei
‘contenitori’ di interessi e abitudini degli utenti. Emerge quindi la necessità di investire sul digitale,
affinché divenga uno strumento efficace di conoscenza del cliente e di marketing, oltre che di
vendita.
E’ necessario per attrarre il turista nazionale, che magari è già stato da noi, differenziare l’offerta,
pensare ad esperienze diverse, e magari la leva possono essere quelle enogastronomiche, che hanno
avuto un boom solo negli ultimi anni e per le quali la domanda è oggi ancora maggiore dell’offerta.
E molte di queste possono essere organizzate all’aperto e in sicurezza. Ecco l’idea di rinnovarsi e
adattarsi ai vari target, proponendo percorsi innovativi e narrando la storia dei prodotti. Creare
narrazioni per permettere al turista di sentirsi più coinvolto e di capire l’unicità del prodotto
enogastronomico e la cultura del luogo, suscitandone la curiosità. Ciò si può declinare in vari modi,
dall’incontro con i produttori ai menù ed etichette parlanti, passando per il video-storytelling.
Il turismo enogastronomico dovrà inoltre connotarsi in termini di sostenibilità.
Non dovrà rimanere una pratica turistica fine a sé stessa, ma contribuire ad avvicinare le destinazioni
con le aree rurali limitrofe, a creare nuove legami e collaborazioni tra produttori, ristoratori,
operatori del turismo e consumatori. Così facendo, potrà generare benefici diffusi e duraturi sui
territori. Ritengo fondamentale a tal fine stimolare su più livelli la diffusione di pratiche
enogastronomiche sostenibili, legate all’ambito della produzione e alla valorizzazione della
conoscenza culinaria del luogo. Ricordiamoci che l’enogastronomia non è solo cibo, ma tradizioni,
culture, identità, … elementi che hanno una valenza sociale e che rappresentano attrattori per il
turista.
[2]
L’Italia è tra i Paesi al mondo più apprezzati per il cibo, è il primo Paese in Europa per numero di
agricoltori biologici (con 64.210 produttori biologici, il 17,2% del totale europeo), è il più sostenibile
#dallapartedelturista
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13
in agricoltura (con emissioni di gas serra inferiori del 46% alla media UE-28), e si pone al vertice della
sicurezza agroalimentare mondiale (dati Fondazione Symbola, 2018).
Questa è un’ottima base di partenza. L’Italia soffrirà per questa situazione, più di altri Paesi che, con
un debito pubblico più contenuto, possono aiutare in modo più corposo le aziende. Ma abbiamo
visto che il settore turistico, e la nostra economia in generale, hanno saputo negli anni superare
molte crisi, e credo che l’imprenditorialità italiana, creativa ed attiva, possa trovare nuove vie per il
rilancio. Visti questi primati, e considerate le eccellenze di cui dispone il Belpaese, mi piacerebbe
poter lavorare ad un Piano strategico del turismo enograstronomico in Italia, dare una nuova
centralità all’enogastronomia.
Capire ora quale impatto avrà la pandemia di covid-19 sui comportamenti dei turisti relativamente
all’enogastronomia è piuttosto difficile. Io svolgo ogni anno indagini su questo tema e, come al solito,
mi baso su ricerche di mercato. Serve partire da dati solidi, oggi i turisti sono ancora troppo coinvolti
emotivamente per esprimersi su un futuro di medio termine, dobbiamo aspettare ancora quale
mese. Ma sicuramente dei trend andranno a rafforzarsi.
Partendo dalla sostenibilità e dall’autenticità, passando attraverso le opportunità offerte dalle nuove
tecnologie. Senza dimenticarci di qualcosa che caratterizza il nostro Paese: vigneti, uliveti, agrumeti,
…. luoghi di grande fascino e bellezza. Questi potranno essere valorizzati anche nella prossima estate
e divenire luoghi per degustazioni, per attività sportive quali trekking, nordic walking, mountain
biking, … per nuove proposte come yoga o attività artistiche. Un punto di partenza per ripensare e
rinnovare in modo creativo l’offerta, tendendo conto delle limitazioni attuali.
L’innovazione attraverso la tecnologia potrà certamente portare benefici e renderci più competitivi.
Faccio un esempio: dalle vendite online alle home dining con formule innovative, pensiamo a come
da questa occasione potranno nascere modi più coinvolgenti per fare un’esperienza
enogastronomica nella propria abitazione. Stimolando ancor di più il turista a visitare i luoghi dove
questi cibi, vini, .. vengono prodotti. Pensiamo ai digital tasting, QR code che rimandano a contenuti
audio e video con la storia del prodotto e dell’azienda per intrattenere il consumatore, alle app di
edutainment per divertire educando chi rimane a casa.
[3]
Purtroppo, anche il mio lavoro sta cambiando. E in modo importante. Dall’essere ogni due giorni in
una città diversa per convegni ed eventi sono passata a dedicare il mio tempo a partecipare a
webinar ed eventi online. Certamente all’inizio della pandemia il mio timore principale è stato legato
alla salute, mia e dei miei cari; ma ho pensato che fosse necessario non farsi prendere dall’emotività
e organizzare momenti e opportunità di confronto con gli operatori del turismo enogastronomico,
per formare e formarsi. Sono nati così i “Dialoghi sul turismo enograstronomico”, webinar dedicati a
questo tema che offrono riflessioni e spunti per meglio capire ciò che sta succedendo e come sta
cambiando (e cambierà) il settore. C’è una crescente richiesta di formazione online in questo
periodo, una cosa positiva.
Devo ammettere che non sono frustrata, anzi sono molto stimolata da questo cambiamento, credo
anche che una quota di smart working rimarrà anche in futuro e ci aiuterà a ridefinire tempi e modi
della nostra vita e a rendere le città più vivibili.
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20-04-2020
Giancarlo Piccirillo
Consulente per destination marketing e management, politiche culturali, Fondi Europei. Ha costituito
Pugliapromozione, la prima Agenzia Regionale del Turismo della Puglia, di cui è stato da settembre
2011 a settembre 2015 Direttore Generale. E’ stato tra gli estensori dell’ultimo Piano Strategico
Nazionale del Turismo, oggi collabora con Toscana Promozione. Vive a Firenze.
[1]
Faccio una considerazione di base: io non sono tra coloro che vogliono che tutto torni come prima,
ma tuttavia sono scettico sulla convinzione generale di rivoluzione portata da questa crisi.
Mi spiego meglio: ci saranno cambiamenti importanti nelle abitudini e nei trend di viaggio, ma non so
se l’Italia sarà in grado di cogliere questa occasione per smetterla di rincorrere i cambiamenti ed
iniziare almeno ad accompagnarli.
L’Italia è una delle potenze del turismo del mondo, eppure in questo settore negli ultimi 30 anni non
è riuscita a inventare nulla. Temo che anche questa volta sarà così.
La cosa più urgente da cambiare è il posto del turismo nella visione del Paese.
Parliamo di un comparto economico di grande rilevanza ma anche di un grande fenomeno sociale
che fa parte del nostro modo di vivere: l’Italia senza turismo non è lo stesso Paese, sarebbe come
senza anima e identità. Cultura e turismo, guarda caso i due comparti peggio colpiti dal covid-19,
sono il DNA dell’Italia, sono pezzi della sua identità.
Invece il turismo viene vissuto come una specie di passatempo di cui si occupano un po’ tutti ma
nessuno seriamente, per il quale in fondo non servono competenze.
Neppure oggi, dopo ben due mesi, mentre il settore sta lottando per evitare la più grande ondata di
fallimenti aziendali della storia, non c’è alcun decreto o alcuna misura ad hoc per il turismo. E’ la
prova per la visione che l’Italia ha del proprio futuro, il turismo ha una importanza residuale.
Ed è anche la dimostrazione di una economia fragile che, nonostante la crescita impetuosa degli
ultimi anni, non è riuscita a creare un’industria robusta e resiliente.
Non siamo stati in grado di aiutare le imprese ricettive ad abbattere costi troppo elevati, non
abbiamo dato le adeguate protezioni al lavoro regolare, abbiamo osservato senza fare nulla i nostri
centri storici svuotarsi e trasformarsi in dormitori senza servizi, abbiamo consentito a chiunque di
ottenere facili guadagni senza regole e senza pagare le tasse.
Nessuno, nel nostro paese, ha tentato per esempio di programmare il numero di posti letto
conveniente e sostenibile per le nostre destinazioni: in ogni filiera è fondamentale stabilire i livelli
produttivi nel quadro di una strategia economica. Da noi non è neppure un tema, seppure si tratta di
scelte che incidono non solo sulla tenuta economica delle imprese, ma anche sullo stile di vita dei
territori.
Per governare il turismo serve organizzazione e politiche trasversali: anche questa è una delle ragioni
della sua fragilità. In un Paese dalle competenze frammentate i comparti che necessitano di
collaborazione tra amministrazioni diversi sono quelli più indietro nello sviluppo. Intervenire
seriamente nel turismo (e non solo sulla promozione e sul marketing) comporta il coinvolgimento di
una pluralità di soggetti e di organizzazioni. Purtroppo in Italia questo è uno svantaggio perché la
collaborazione è difficile.
Se potessi mettere in fila le priorità, lato pubblico, direi:
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- competenze tecniche ad hoc,
- programmazione nuova guidata da una nuova visione di futuro,
- un’architettura amministrativa che tenga assieme il sistema turistico regionale attuale con
competenze manageriali del turismo, che le unisca a quelle europee, su questo o si cambia o si
perisce.
àRispetto a tutto ciò, cosa c’è di diverso o di simile nell’attuale esperienza toscana rispetto a quella
pugliese?
In Puglia abbiamo lanciato una start up turistica, una sfida affascinante in termini di marketing, ma
anche di sviluppo territoriale.
In Toscana, regina turistica dell’Italia, parte determinante del brand-paese, mi misuro con
un’industria più evoluta. Tuttavia, le difficoltà di politiche pubbliche “collaborative” tra gli enti è
pressoché identica. La Toscana, per esempio, conta 28 “ambiti turistici” definiti in modo
indipendente dalle competenze amministrative o dai brand di destinazione già presenti nella mappa
mentale dei consumatori.
Intendo dire che in Puglia come in Toscana, come in tutta Italia è difficile ragionare in un’ottica di
mercato e combinare questa logica con scelte che implicano la visione di futuro che un territorio ha
per sé stesso.
Significa pretendere dalla Pubblica Amministrazione (e dalle migliaia di assessori al turismo del
nostro paese) di abbandonare il proprio punto di vista, assumendo quello della domanda. Ma anche
guidare e organizzare il sistema perché scelga in modo consapevole quella domanda (quale turismo
serve al mio territorio, quale è conveniente e sostenibile), con una programmazione fatta di numeri e
di coinvolgimento di tutti gli attori.
Tu con il caso del Piano turistico triennale della Liguria (2011) sei stato un precursore in Italia di
questo modello: programmazione dal basso con il coinvolgimento anche delle comunità dei residenti,
ma dentro il quadro di un metodo scientifico.
In Italia invece siamo pieni di Piani del turismo, privi di numeri e soprattutto di efficacia reale.
Penso che occorra cambiare le regole del gioco e che permettere alla programmazione turistica di
avere applicazione normativa sia per esempio una buona iniziativa.
In Puglia ci abbiamo messo oltre un anno a scrivere, coinvolgendo tutto il territorio, il Piano
paesaggistico: oggi è uno strumento che regola la vita della Regione perché dotato di strumenti
attuativi. Tutti lo conoscono e lo applicano, e non si sposta una virgola sul territorio senza una
coerenza con quel Piano.
Penso a una forza del genere per la programmazione del turismo, con meccanismi di indirizzo e
controllo su mobilità, accomodations e servizi pubblici.
[2]
Serve la dichiarazione dello stato di crisi industriale del settore: bisogna a tutti i costi evitare i
fallimenti e salvare l’industria del turismo e i posti di lavoro.
Abbiamo bisogno di un grande piano di investimento pubblico sul tessuto imprenditoriale turistico
italiano affinché entri nel terzo millennio. Utilizzerei questo “piano Marshall” e il tempo di stop per
innovare il sistema produttivo connettendolo al mercato che sarà.
à Le leve strutturali potrebbe essere tre: reti strutturate, crescita di scala e re-branding Italia. Che ne
pensi?
Concordo ma il passaggio fondamentale è il pieno “riconoscimento industriale”.
Sul re-branding Italia, visto che sul marketing turistico siamo allo start, proviamo a lavorare su
turismo e made in Italy insieme. Magari facendolo in modo finalmente professionale, non sarebbe
male.
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[3]
Confesso che resistere alla tentazione di cambiare mestiere è difficile. Per il momento sto provando
ad assecondare una spinta interessante per un nuovo approccio pubblico al turismo, con competenze
all’altezza di questo importante settore economico e politiche pubbliche evolute.
In particolare sto “giocando con i dati”: il mio chiodo fisso è da un po’ di tempo il management data
driven dei territori. Non abbiamo infatti nessun sistema di big data e nessuna capacità di lettura di
big data integrati, soffriamo cioè dell’incapacità di analizzare in tempo reale che è figlio del disordine
organizzativo. Un paese come l’Italia deve poter avere la capacità di analizzare grandi dati e definire
scenari in modo scientifico e in tempo reale.
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20-04-2020
Nevio D’Arpa
Imprenditore, founder e CEO di BTM Puglia, il più importante evento culturale e commerciale del
turismo in sud Italia. Amministratore unico della società e omonimo progetto 365 giorni in Puglia,
ideatore del progetto “Occhio alle spiagge”, editore della rivista e del blog “Salento Review”.
Vive a Lecce.
[1]
La Puglia si è sempre distinta rispetto ad altri territori per il suo enorme potenziale che, va detto, non
è stato mai completamente espresso, nonostante i miglioramenti dell’ultimo decennio.
In generale, si potrebbe cambiare l’approccio con le OTA, che gestiscono il 80% delle prenotazioni
delle piccole strutture.
Per la Puglia si potrebbe studiare e strutturare una nuova strategia di destinazione e, più nello
specifico, organizzare il Salento come una vera destinazione.
Se non si fa squadra, se non si fa rete, vuol dire che non c’è un progetto comune.
Per esempio mancano i servizi essenziali come i trasporti. Non c’è un servizio di transfer pubblico
adeguato dall’aeroporto di Brindisi a Lecce e per gli altri comuni a vocazione turistica, come per
esempio Otranto, Gallipoli, tanto per citare le località più note, ma soprattutto c’è ancora tanto da
fare per rinforzare la collaborazione tra pubblico e privato, creando una vera ed efficace sinergia.
Siamo lontani anni luce da tutto ciò: paradossalmente costa meno un Brindisi-Londra che un Brindisi-
Leuca.
Il problema è anche negli attori del turismo:
- le Amministrazioni pubbliche sono in deficit, non hanno i soldi neanche per un servizio di webcam
in spiaggia che l’anno scorso, per esempio, avrebbe potuto dare un contributo importante nella
gestione dell’overtourism e quest’anno avrebbe potuto offrire un’opportunità senza precedenti per il
controllo del distanziamento in spiaggia nel post-quarantena. Ed è inutile ricordare che la Puglia è
una regione lunga 400 km con oltre 850 km di costa;
- i Comuni non collaborano tra loro, ci sono pochi IAT o Info-point comunali;
- stessa divisione tra i privati
- a Lecce arriva ora la fibra, negli altri comuni ancora niente, e wi-fi pubblico quasi inesistente.
[2]
Ripartire dalla formazione, soffriamo di troppa improvvisazione, abbiamo vissuto l’”età dell’oro”
degli ultimi 10-15 anni senza portare a casa nessuna modifica sostanziale, siamo ancora al modello
“casa vacanze + Airbnb”.
Questo momento di emergenza potrebbe essere l’occasione per riprogrammare e riorganizzare il
modello.
Serve una rete forte che promuova innovazione e organizzazione dell’offerta, con standard omogenei
a livello di servizi e di prezzi.
[3]
Siamo un paese spaccato in due che produce un messaggio disomogeneo.
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In questa emergenza, le imprese non sono aiutate nel modo giusto, rischiamo di finire come in Grecia
con la svendita del paese. Nel turismo non abbiamo un approccio e una strategia uniforme.
Lo Stato dovrebbe garantire delle regole certe, che consentano di programmare una ripartenza del
settore e nel frattempo dichiarare lo stato di crisi per il turismo e gli eventi ad esso collegati.
Siamo disuniti, mentre altre nazioni hanno fatto quadrato e sono pronte a ripartire, come ad
esempio la Grecia che aprirà comunque puntando sul turismo nautico e si prepara, già da luglio, ad
accogliere i turisti stranieri provenienti da determinati paesi, per poi ipotizzare una riapertura
graduale per tutti gli altri.
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21-04-2020
Edoardo Colombo
Libero professionista esperto di innovazione, specializzato nella trasformazione digitale del turismo
per la Pubblica Amministrazione e per le imprese. Vive a Roma.
[1]
Sono un ottimista inguaribile, questa crisi è un’opportunità, p.e. ha sdoganato la tecnologia di
collaborazione e ha consentito di applicarla a una platea molto vasta.
Altro esempio, l’incidente delle OTA che hanno privilegiato l’utente finale anziché gli hotel ha messo
in luce che la dipendenza da questo tipo di distribuzione debba essere rimodulata.
Nessuna piattaforma nazionale avrebbe qualche speranza di competere nel mercato internazionale
ma si potrebbero sperimentare nuovi approcci e paradigmi a livello nazionale, come dicemmo nel TD
Lab ai tempi del Piano Strategico nazionale del turismo.
Per esempio nel gruppo Turismo di Cultura Italiae si sta pensando a un nuovo ruolo della CDP (Cassa
Depositi e Prestiti) nel turismo che, come soggetto pubblico-privato, potrebbe intervenire ad
esempio destinando all’innovazione nel turismo 100 milioni tratti dal miliardo del Fondo Innovazione.
Insieme con altre società partecipate o pubbliche come Poste, TIM, Eni, Trenitalia, che secondo le
loro anagrafiche gestiscono il 95% della domanda nazionale, si potrebbe avviare un progetto di un
Polo industriale del turismo sul tipo del modello della Cdp francese che produce utili e fatturato da
piattaforma digitale e infrastrutture di trasporto. Alla luce delle attuali criticità le nostre imprese
diventano possibili prede, vanno invece sostenute e tutelate anche come marchi storici, facendo
politiche di senso come la promozione di una catena italiana di alto livello.
Dentro a quel Polo industriale del turismo potrebbero entrare anche attività italiane del marketing
digitale turistico, p.e. Valica o ce ne sono tante altre, creando un’aggregazione di competenze
fondato su spalle forti, competitivo prima Italia su Italia e poi anche all’estero.
È un’opportunità per creare un nuovo marketplace che possa invertire il flusso del channel
management: come è oggi l’offerta degli hotel viene proposta su “n” panieri, un domani si potrebbe
creare un backend su un server nazionale di CDP che dia accesso diretto al mercato e consenta
l’aggregazione dell’offerta anche a favore delle AdV. Uno strumento di questo tipo potrebbe
aumentare la competitività e consentirebbe anche di recuperare punti di PIL.
Del resto, se non ora quando? Io penso serva un soggetto industriale nuovo che metta insieme gli
enti e che acquisisca le aziende in un processo di valore nuovo.
Adesso arriveranno probabilmente i voucher per le vacanze, si potrebbe mettere su un vero e
proprio catalogo di luoghi di vacanza, un po’ come è stato fatto con il circuito dei bonus per i
diciottenni.
Un altro caso simile è quello del turismo sociale, ad esempio la Spagna fa esattamente questo: non
dà dei soldi a chi se ne sta sul divano ma a chi li spende per vacanze sociali che così facendo creano
lavoro e consentono agli alberghi di rimanere aperti fuori stagione.
Penso che un soggetto privato-pubblico possa essere nelle migliori condizioni per fare scelte di
marketing, mentre un’amministrazione è soggetta a utilizzare criteri che tutelino la “tranquillità del
funzionario” come ad esempio pubblicare l’elenco degli hotel su un sito in ordine alfabetico.
à E nel progetto del Polo industriale del turismo, con le Regioni che si fa?
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Nella costituzione l’art.117 comma R attribuisce allo Stato Centrale la delega al coordinamento dei
dati, un’iniziativa di un Polo industriale di questa natura potrebbe essere un servizio utile per
standardizzare e rendere interoperabili le informazioni, e anche le Regioni ne trarrebbero
giovamento.
[2]
Potremmo ripartire dalla “leva” degli italiani nel mondo, che sono motivati da affetto e attenzione
proporzionale alle ricorrenze.
Se passa l’idea di fare del 2021 “l’anno del ritorno”, come hanno già fatto altre nazioni con una forte
presenza diffusa nel mondo, si potrebbe disporre di un prodotto-contenitore che diventi
un’occasione per favorire investimenti pubblici e digitalizzare, come accade con i grandi eventi, i
Mondiali o le Olimpiadi. Penso serva un “approccio giubilare”, sfruttando anche il 75° della
Repubblica Italiana, e va promosso come “una rimpatriata che non si può perdere”.
Penso pertanto a un calendario nazionale e regionale degli eventi, una promozione anche Italia su
Italia e non solo Italia nel mondo, per esempio sfruttano gli orgogli identitari, la giornata
dell’orgoglio veneto, dell’orgoglio calabrese, etc., pensandola come occasione per creare nuovi
prodotti turistici.
Lo stesso ragionamento lo si può fare con i geni italici, con una giornata mondiale della lingua italiana
per Dante 2021, come tutti i Paesi ONU fanno e noi ancora no, ho in mente il motto che esprime la
voglia di tornare a visitare il nostro Paese “… e uscimmo a riveder l’Italia”.
Un altro prodotto-contenitore potrebbe essere come sai il “turismo motoristico”, si tornerà molto a
viaggiare in auto ed è un’occasione per valorizzare le vie storiche e quelle dei tematismi con un
ritorno elevato di industrializzazione turistica.
[3]
Siamo un Paese che nelle difficoltà riesce a trovare coesione e determinazione. Dopo 75 anni stiamo
per rivivere un dopoguerra ed è il momento di pensare in grande, con progetti a lungo termine anche
di infrastrutture fisiche e digitali che favoriscano lo sviluppo del turismo.
È un momento in cui è necessario formare e valorizzare le competenze, per lo più digitali, per
affrontare i mega trend tecnologici nei quali esprimere la nostra creatività e capacità di essere
innovativi.
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22-04-2020
Marta Paraventi
Storica dell’arte, ricercatrice e divulgatrice. E’ Posizione Organizzativa Qualificata al Servizio Cultura
della Regione Marche, in precedenza al Servizio Turismo-Area Marketing. E’ inoltre membro del
Consiglio di Amministrazione del Consorzio Frasassi per la gestione dell’ipogeo.Vive ad Ancona.
[1]
Turismo: argomento difficilissimo, connotato da dati negativi relativi alla perdita di occupazione e
fatturato, anche -60%. Il turismo culturale è uno dei temi e dei turismi portanti del nostro Paese:
l’indotto dei musei italiani ad esempio vale 20 milioni di euro/mese e ad oggi sono tutti chiusi.
La prospettiva per il turismo culturale a breve è lavorare sul turismo di prossimità, nel frattempo
sono avvenuti alcuni cambiamenti:
- presenza dei musei sul web; è bello, ma noto grande confusione, la corsa al digitale è stata spesso
concepita come valorizzazione esasperata del museo senza generare una reale trasmissione del
sapere in chiave digitale che ha dinamiche e metodi propri;
- nel futuro riusciranno a ripartire solo gli istituti culturali già strutturati che non improvvisano,
perché già organizzati a livello digitale, settore che necessita di approccio diverso e di competenze
specifiche.
Nei beni culturali non si può tornare indietro, e non solo per quanto riguarda i musei statali e quelli
più grandi. Lo stesso discorso deve comprendere anche la risorsa culturale nei territori e per questo
bisogna affrontare di nuovo il progetto dei piccoli borghi. Se prima il turismo culturale si concentrava
verso l’opera-simbolo, la città-simbolo, adesso la scelta dovrà essere più precisa, andrà selezionata in
chiave di offerta, per contrastare una sorta di “abusivismo” dell’offerta senza servizi adeguati per
l’utenza, spesso diffusa in Italia.
Paradossalmente penso che per i beni culturali, la pandemia possa essere un’opportunità sia nel
generare nuova offerta che per la richiesta di specifiche competenze culturali orientate alla nuova
domanda.
[2]
Il turismo stagionale concentrato nel balneare non è riproponibile, dovremo cambiare e offrire nuove
esperienze. Spariranno alcune attività, bar e ristoranti, la differenza sarà l’adesione a protocolli di
sicurezza e l’esperienza che verrà proposta dalle strutture sulla base di standard nazionali e
internazionali.
Penso tuttavia che questo sia un’opportunità per mettere a valore le caratteristiche culturali di città
d’arte medio -piccole e borghi storici (come nelle Marche). Qui il nodo da affrontare è l’”accessibilità
di sistema” non solo la reperibilità dell’hotel: intendo come viene coinvolta la comunità, chiamata a
ridisegnare il progetto di vita del borgo, il sistema dell’accoglienza, la capacità di sostenersi con le
nuove economie generate.
Inoltre si dovrà sostenere il capitale umano del turismo culturale e della cultura che ha investito su
competenze, relazioni e progettualità. Questa è la parte più fragile, è una “catena del valore”
drammatica perché colpita nel cuore della sua attività unica e irripetibile: lo spettacolo dal vivo.
Dobbiamo quindi investire su nuovi temi, p.e. spettacoli per palcoscenici non tradizionali, perché il
lavoro filosofico di ricerca su nuovi argomenti, idee, non si può fermare.
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Chi lavora e ama l’arte vive come una relazione sentimentale: o la consumi o non ce l’hai. Non esiste
arte senza la messa in scena o il consumo intellettuale dell’arte.
La ricerca ha un valore in sé, un museo non è tale se non fa ricerca; un teatro non è solo spettacolo
ma è ricerca e rilettura dei testi musicali del passato per scoprire e mettere in scena nuove partiture,
è analisi filologica del testo per lasciare spazio ai registi di creare nuove rappresentazioni.
Ma soprattutto oggi la cultura non deve essere più un privilegio, e serve infatti un ponte tra la
comunità e chi studia l’arte. Solo se continui a studiare un’opera scopri la complessità che contiene e
da qui si possono trarre nuove chiavi di lettura e riproposizione di temi anche passati al
contemporaneo.
Io faccio ricerca nell’arte per passione e per mestiere e se non avessi il web impazzirei a cercare libri
e documenti nelle biblioteche. Penso pertanto che sia fondamentale il “mediatore digitale”, un
umanista esperto di comunicazione digitale che diventa supporto di ricerca, che facilita così la
creazione di nuovo valore per la domanda culturale e per il turismo culturale.
[3]
Sono costretta dagli eventi a lavorare a casa in smart working; mi occupo della programmazione
cultura della Regione Marche 2020 e lavoro su 3 piani: sul contingente, sul medio e lungo termine.
C’è poco tempo per riflettere, serve capire e decidere, è molto difficile razionalizzare e pensare al
dopo. Il posto fisso mi dà tranquillità ma in prospettiva, mi domando, avremo meno fondi e meno
liquidità? Cosa ne sarà della ricerca nell’arte?
In ogni caso dobbiamo lavorare con più consapevolezza, migliorare ciò che esiste e facciamo, è
indispensabile.
Il lockdown e un maggior tempo libero facilitano letture e approfondimenti e sto completando una
ricerca per una monografia su Lorenzo Lotto e le sue opere perdute (pittore rinascimentale, *Venezia
1480, +Loreto 1557) curata dal prof. Enrico Maria Pozzolo dell’Università di Verona. E’ un lavoro
affascinante, devo quasi “immaginare” la vita dell’artista nei vari contesti: prendi una verità storica,
gli dai una dimensione immaginifica a partire da un inventario, una memoria, uno scritto. Il mio
sogno è terminare la carriera alla direzione di un museo d’arte.
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23
23-04-2020
Kamel Ben Youssef
Professore di marketing e strategia alla IUT Ville d’Avray della Universitè Paris Nanterre, visiting
professor all’Università di Torino, studioso appassionato dell’Italia, del design e del turismo culturale.
Vive a Parigi.
[1]
Ci troviamo in una strana relazione che parte dalla Cina, passa dall’Italia e arriva in Francia.
Cosa vediamo? E’ come essere nel film The Day After. Mi domando quale mondo lasciamo ai nostri
figli. Professionalmente siamo cresciuti nel modello delle 4P (Prodotto, prezzo, comunicazione e
distribuzione) del Kotler ma il covid-19 cambia le 4P in un nuovo spazio. Come comunicare?
E’ cambiato tutto, anche la distribuzione in un supermercato.
Ogni sera succede un fatto interessante: le persone vanno al balcone o alla finestra ad applaudire
medici e personale sanitario, chi non ha mai suonato si è messo a suonare, e la tecnologia aiuta tutto
questo.
Non c’è più la possibilità di vedersi e parlare al bar, oggi internet è il bar, è il luogo di incontro, è la
pausa in un ospedale o in una fabbrica.
In tutto ciò gli influencer hanno un grande ruolo perché sono più ascoltati dei politici e possono
essere molto utili per il turismo.
[2]
L’Europa non è un modello unico ma la priorità è capire e affrontare le esigenze finanziarie e
strutturali delle imprese. E domani Macron riceverà tutti gli attori del turismo della Francia.
à In Italia non è successo ancora …
Applichiamo il metodo PEST (L'analisi PEST, acronimo di Politica, Economia, Società e Tecnolgoia, è
una metodologia che si basa su alcune variabili del contesto che riescono a tratteggiare lo scenario
esistente nell'ambiente in cui opera un'azienda, al fine di individuare quali variabili possono essere
rilevanti nel processo decisionale aziendale, nelle scelte strategiche e operative, cfr.
https://it.wikipedia.org/wiki/Analisi_PEST) e la scelta sarà metter soldi nelle tasche delle persone.
In Italia Conte fa quello che può ma mancano le informazioni giuste e in una crisi sanitaria,
economica e sociale non va bene.
Il nodo di tutto è l’inquinamento, dobbiamo investire sull’ambiente ma serve una decisione europea.
Dobbiamo cambiare paradigma ma un paese da solo non ce la può fare. Dobbiamo cambiare il
capitalismo con una forte dose di ecologia, il nuovo modello è l’opportunità ecologica.
Quindi non più turismo ad alto tasso di consumo, ad alta dispersione ambientale e inquinamento.
Manca uno spazio, lo “spazio ambiente”.
Le persone stanno già andando in questa direzione, dai taxi che trasportano gratuitamente medici e
infermieri agli chef che preparano loro il cibo. E’ una grande occasione di economia circolare.
La sfida in gioco è la “customer education”, cioè dare informazione giusta al consumatore perché sia
un consumatore consapevole.
Questo è stato possibile e funzionale in situazioni estreme come in Libano e in Tunisia ( la rivoluzione
del Jasmino! La primaverra araba), può esserlo anche con il covid-19. Se vai sul sito del Ministero
#dallapartedelturista
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degli Affari Esteri francese ad esempio c’è una mappa del mondo in aggiornamento costante, con
zone verdi gialle e nere, che ti dice dove puoi andare in modo sicuro.
Ecco questo bisogna fare questo nel turismo e per tutto. Non sono le mascherine che risolvono il
problema ma le informazioni giuste, bisogna essere credibili con le persone/cittadini.
[3]
Gli italiani sono delusi dall’Europa ma dobbiamo lavorare insieme, non c’è alternativa. Ci vuole
volontà politica ma è un fatto più psicologico che altro, basta ripartire.
Il nodo è sempre questo: dare l’informazione giusta, questa è la base per la ripartenza, cosa si può
fare e cosa no, dove posso andare e dove no, come posso avere relazioni.
Abbiamo tutti bisogno di relazioni.
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25
25-04-2020
Patrizia Battilani
PhD in politica economica all’Università di Ancona, professore di storia economica al Dipartimento di
Scienze Economiche dell’Università di Bologna, è Direttrice del CAST, Centro di Studi Avanzati sul
Turismo del Campus di Rimini. Svolge attività di ricerca in innovazione nel turismo culturale, fa parte
del comitato editoriale del Journal of Tourism History edito nel Regno unito, e nel 2014 ha
contribuito alla stesura della “Baku Declaration on Cultural Routes” per quanto riguarda le finalità di
promozione economica e sociale. Vive a Bologna.
[1]
Serve un atteggiamento razionale per accettare l’innovazione e capire se è buona o cattiva.
Dobbiamo combattere la pigrizia delle abitudini, che è un problema che riguarda il modo di produrre,
di fare impresa e di organizzare il lavoro dentro le imprese. Chi lavora nella cultura può contribuire a
generare un atteggiamento diverso verso la tecnologia.
Dal 1992, il paese ha cercato di portare dentro al suo modello economico il concetto di fair
competition sul mercato, facendo propria la normativa europea antitrust, ma sino ad ora non sono
stati ottenuti i risultati che ci si aspettava in termini di crescita dimensionale delle imprese, né di
sviluppo di settori innovativi.
Dentro l’Unione europea non siamo riusciti a influenzare l’agenda e portare temi per noi importanti
come il divieto di competere attraverso le tasse sui capitali o sul reddito, perché questa è la strada
verso la distruzione dello stato sociale. Quel modello sbagliato di competizione ha aperto così la
strada (fiscale) alla trasformazione di alcuni piccoli paesi come Olanda, Belgio, Irlanda in aree con
basse tasse per i capitali internazionali. Anche per questo il nostro paese ha visto andare via tutti i
centri direzionali delle grandi imprese, che hanno preferito insediarsi dove avrebbero pagato meno
tasse. Questo però si è spesso portato dietro anche le fasi di pre e di post fabbricazione dei prodotti,
che sono quelli a più alto valore aggiunto.
In contemporanea il processo di de-industrializzazione in atto in tutti i paesi occidentali, spostava
pare dei processi produttivi verso i paesi di nuova industrializzazione, dove il costo del lavoro era più
basso. Nell’ambito di tali trasformazioni, le imprese italiane hanno mantenuto in Italia una parte
della produzione, ma trovandosi a competere con i paesi di nuova industrializzazione, con
conseguente riconcorsa verso il basso dei salari.
Non ci ha aiutato il radicarsi di una generazione di rappresentanti politici che spesso hanno portato in
Europa la conflittualità che maturava in Italia, contribuendo ad un indebolimento delle posizioni
italiane nelle discussioni con gli altri paesi. A volte sembriamo essere tornati al ‘500-‘600, quando la
competizione fra i diversi territori italiani impedì la creazione di uno stato nazionale e mise l’Italia in
balia delle superpotenze dell’epoca.
Penso occorra andare oltre la strategia di difesa e di conservazione che ci ha caratterizzato in questi
ultimi decenni, per abbracciare con convinzione un cambiamento nei settori di specializzazione e nei
modelli organizzativi delle diverse attività. E in Europa occorre provare a portare nuovi temi, che
siano rilevanti per noi e attorno a questi cercare il consenso dei paesi vicini, a partire da quelli del
Mediterraneo.
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[2]
La risposta alla crisi è di accettare la “dimensione virtuale” e di riorganizzare i processi produttivi
sfruttando tutte le opportunità che il mondo digitale ci mette a disposizione. Questo però richiede
anche infrastrutture adeguate, nonché appropriate politiche industriali.
Abbiamo sfruttato molto poco le potenzialità che il mondo di Internet offriva sia per riorganizzare i
processi produttivi e la logistica dei prodotti, ma anche per migliorare la qualità della vita delle
persone, ad esempio ricorrendo con maggiore frequenza al telelavoro e riducendo gli spostamenti
per motivi di lavoro. Questo potrebbe consentire anche un miglioramento dell’efficacia e
dell’efficienza del sistema produttivo. Avremmo potuto farlo prima, non lo abbiamo fatto.
Penso anche alle università, molte delle quali sono riuscite a garantire tutti i servizi a distanza e ad
offrire agli studenti la possibilità di non perdere tempo e continuare a studiare durante il lockdown.
Solo le attività di laboratorio sono rimaste bloccate e verranno recuperate al più presto. Tuttavia,
non tutte le università erano pronte ad una simile trasformazione o disponevano già di infrastrutture
adeguate. Forse i corsi molto numerosi potrebbero continuare ad avere una parte delle lezioni online
(quando si fa lezione a 200 persone non c’è molta differenza fra online e offline), e combinarle con
laboratori e gruppi di discussione che coinvolgano un numero di studenti non troppo elevato. Poi
occorre accompagnare i ragazzi verso le nuove tecnologie, rendendoli capaci di governarle e di
misurarsi con esse in modo critico. Lo stesso vale per le imprese e anche i piccoli negozi che hanno
scoperto in queste settimane un’anima digitale che non sapevano di avere.
Tutto questo però avrebbe bisogno anche di politiche industriali.
Come impatta tutto ciò nel turismo?
Quale domanda-cliente maturerà dopo il Covid?
Premetto che non considero le crisi benefiche, tuttavia misurano l’efficacia e l’efficienza dei territori
e accelerano cambiamenti che probabilmente sarebbero avvenuti comunque. Però nei territori meno
organizzati la crisi rischia di fermare tutto, di generare un disastro. Quali esperienze turistiche
cercheremo dopo l’epidemia, ovviamente non lo so, però qui posso offrire degli stimoli alla
riflessione:
-il mondo digitale. Come ci sta cambiando la full immersion digitale? Negli ultimi anni si è molto
ragionato sul turismo dell’esperienza, che incrociava e rispondeva a desideri e passioni che i visitatori
maturavano nella vita quotidiana. La domanda da porsi potrebbe essere questa: se la vita quotidiana
è così piena di esperienze digitali, quante esperienze digitali vorremo avere in vacanze, in hotel, in
spiaggia, in montagna o in un museo?
- il ritorno al classico. Per ragionare su questo voglio raccogliere una suggestione che viene dagli studi
umanistici. Il concetto di classico c’è solo nella cultura occidentale (non lo troviamo ad esempio in
quella orientale) ed è un concetto che periodicamente riaffiora accompagnato dal desiderio di
rimettere in ordine, ritornare ai fondamentali, dopo le crisi o cambiamenti profondi. In questo
periodo così difficile e confuso potrebbe proprio maturare il desiderio di rimettere ordine, di
ritornare ai fondamentali. Possiamo formulare un concetto di classico per il turismo leisure? Forse sì,
ed è l’idea di vacanza come esperienza finalizzata alla riconquista del benessere fisico e psicologico.
Un ritorno non al viaggio, ma proprio al soggiorno nei centri termali e poi balneari del settecento e
ottocento. Se quel modo di concepire il leisure può essere considerata la dimensione classica del
turismo, allora l’epidemia potrebbe portarci verso il neoclassicismo e riproporci quella tipologia di
esperienza;
- una nuova mobilità. L’epidemia ci sta allontanando dai mezzi pubblici. Potrebbe non essere
temporaneo l’allontanamento. Potremo trovare alternative all’automobile? Esiste una mobilità
privata sostenibile? Pensiamo ad esempio ad una regione come la Sardegna con un territorio
sinuoso e grandi distanze da percorrere anche nella quotidianità del turismo. Come si potrà
affrontare lì il problema della nuova mobilità? Vorrei qui dare una risposta e farei anche un parallelo
diciamo “industriale”. Si potrebbe, almeno qui, lanciare una collaborazione fra industria, turismo e
comunità locali per lavorare su un progetto di e-bike, almeno per il breve-medio raggio? Però
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bisognerebbe coinvolgere i privati, collaborare con l’intera filiera della bicicletta, far diventare l’e-
biking una moda, e realizzare anche interventi infrastrutturali e tecnologici. Anche su questo la
progettazione europea potrebbe essere di aiuto;
-cooperare. Grazie alla collaborazione con il Piano Strategico di Rimini – che mi pare una buona
pratica di coordinamento pubblico e privato e un interessante tentativo di disegnare il turismo del
futuro – mi sono resa conto che oggi, gli operatori più dinamici e con forme di impresa più
strutturate, sono proprio quelli che esprimono in modo più forte un’esigenza di “cooperazione
strategica”. A questo riguardo ci sono varie cose su cui lavorare:
- il rapporto con le OTA; le catene alberghiere possono negoziare da posizioni non troppo deboli le
condizioni, ma non i singoli hotel che, infatti, pagano commissioni molto alte; qui occorrerebbe
organizzare ampi “sindacati d’impresa” che consentano ad un territorio o a un insieme di piccole
imprese di contrattare da posizioni più forti, come suggeriscono gli economisti delle reti;
- la formazione alla cooperazione; per potere rafforzare la cooperazione serve un lavoro culturale
che dia consapevolezza dei vantaggi di una soluzione cooperativa. Il piccolo operatore ha bisogno di
strumenti diversi da uno medio-grande e quindi dovrà cambiare anche il modo di fare formazione
alle imprese. Serve anche qui un duplice livello, uno per le piccole e uno per le medio-grandi, perché
le piccole se non imparano a cooperare non possono sopravvivere,
Quindi in sintesi le parole-chiave sono nuova sostenibilità ambientale e sociale, cooperazione
strategica degli operatori, incentivando i piccoli a cooperare e sostenendo l’innovazione dei grandi, e
infine creatività. Da tempo sostengo che il turismo è una grande industria creativa, dobbiamo
investire nella cultura dei luoghi e nella mente delle persone.
[3]
Mi sento di contraddire la cosiddetta narrativa del declino, ho vissuto più volte all’estero, anche di
recente, e non è vero che la qualità di vita o i servizi pubblici siano sempre migliori che in Italia,
neanche la qualità della politica mi è parsa migliore e si è visto dalle prime dichiarazioni di molti
leader europei di fronte alla crisi del covid-19.
Dobbiamo però affrontare temi nuovi perché il paese è in difficoltà da diversi decenni. Siamo di
fronte ad una trasformazione tecnologica incompiuta che non ha ancora cambiato né le consuetudini
delle persone né l’organizzazione del lavoro. Quindi non stiamo sfruttando, anche in termini di
riduzione dei costi e invenzione di nuovi servizi, le potenzialità offerte dal mondo digitale. La
transizione incompiuta è proprio quella verso la società digitale. Il mondo intellettuale forse non ha
svolto il ruolo che gli competeva, vale a dire aiutare a costruire i nuovi percorsi. Si è un po’ adagiato
sulla narrazione del declino.
Le crisi sono benefiche? Non concordo per niente, come storico penso che le crisi generano dolore e
serve molto tempo per riprendersi, per superare il desiderio di rivalsa sociale che generano. Però è
chiaro che pongono una esigenza di cambiamento molto forte. E’ un contesto in cui chi ha nuove
proposte deve fare la fatica di elaborarle e realizzarle. I rallentamenti sono concepibili nella normalità
ma la crisi impone risposte rapide, richiede un’accelerazione.
Diventa importante che le resistenze al cambiamento nel lavoro e nella società cadano. Se portiamo
l’attenzione all’economia, il processo potrebbe essere accompagnato da politiche industriali che
supportino la trasformazione tecnologica. Mi aspetto anche un’evoluzione della didattica e della
ricerca: si perde troppo tempo per gli spostamenti casa-lavoro o verso i luoghi delle riunioni e questo
influisce negativamente sull’ambiente e sulla produttività. Ci serve recuperare tempo per la nostra
vita. La tecnologia è una leva, può essere utile per la questione ambientale, può rappresentare
un’opportunità per gli anziani. Ma su tutto questo dobbiamo cambiare approccio, essere forse meno
pigri e dedicare tempo ad apprendere nuove abitudini.
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28-04-2020
Milena Viassone
PhD in Direzione aziendale all’Università degli Studi di Cassino e PhD ESCP Europe Parigi, è Professore
Associato di Economia e gestione delle imprese presso il Dipartimento di Management
dell’Università di Torino, Coordinatore del Campus di Management ed Economia – Università di
Torino, Sede di Cuneo, Presidente del Corso di Laurea Magistrale in Direzione d’impresa, Marketing e
Strategia – Dipartimento di Management, Università di Torino, con esperienza in Economia e
gestione delle imprese turistiche e Modelli di business.
[1]
Il turismo è il settore economico e sociale più colpito dall’impatto covid-19, e i costi saranno più alti
quando l’emergenza sarà finita. Per gli eventi sarà molto difficile reinventarsi.
Il manifatturiero, con ogni probabilità, si riprenderà prima.
Per dire cosa cambiare nel turismo occorre interrogarsi su come sta cambiando la domanda turistica,
le cui principali caratteristiche sono:
- desiderio di fare una vacanza
- minore spesa e disponibilità a spendere
- richiesta di prezzi bassi
- riduzione della permanenza media e della durata delle vacanze,
- vacanze più brevi lungo l’arco dell’anno,
- turismo di prossimità,
- etc.
Cambieranno quindi i modelli di business: il settore andrà completamente ripensato, occorrerà
promuovere più servizi di delivery, ripensare la comunicazione nel turismo poichè i tempi, i toni e i
contenuti saranno decisivi. Il mercato penalizza i brand che comunicano in modo sfrontato.
Al momento la migliore strategia è la brand protection per mantenere la quota di mercato e una
relazione naturale con la clientela.
Servirà una comunicazione più autentica e più umana, cioè più calore e personalizzazione delle
destinazioni e delle proposte dell’operatore, e dobbiamo ricordarci che c’è stata una scoperta diffusa
della tecnologia, con smart working e conference online. La rivoluzione digitale con il cliente-turista è
avvenuta.
[2]
Non occorre reinventare tutto, ma riorganizzarlo. Il turismo sarà più di prossimità per un periodo
relativamente lungo e l’outdoor la farà da padrone.
Il turismo è un’industria importante per l’Italia perché è una leva chiave per la ripresa dell’intero
paese.
Bisogna ripartire dalla voglia di viaggiare del turista e quindi servono policy che inneschino il
moltiplicatore economico del turismo: 100 euro di transazioni nel turismo ne generano ulteriori 86 in
altri settori.
Servono quindi politiche che agiscano sia sull’offerta sia sulla domanda.
Ma come già ipotizzato siamo anche di fronte a un cambio di modelli, p.e.:
- anche il turismo di prossimità privilegerà la sostenibilità (borghi storici),
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- le bellezze diventeranno più consapevoli,
- dal punto di vista dell’offerta (operatori) il fattore sostenibilità è già ampiamente recepito mentre
dal punto di vista della domanda c’è attrazione però non c’è ancora disponibilità a pagare di più, ma
forse qualcosa cambierà per l’impatto covid-19.
[3]
Tre temi: competenze per il nuovo turista, nuove tecnologie per generare più valore, nuovi modelli di
turismo.
Probabilmente più che cambiare si integreranno di più tra loro, ma con questo punto ritorniamo al
cambio dei modelli di business che accennavo prima. Ecco perché serve una nuova policy industriale
a tutti i livelli, è un nuovo compito delle DMO:
- specializzare l’offerta di soggiorno con più tecnologia,
- fare rete per nuove esperienze ad hoc,
- governance orizzontale in un ambito di economia circolare,
- sistema produttivo sano per viaggiatori sensibili al turismo verde e sostenibile.
Inoltre vanno ripensate anche le strategie pubbliche di intervento, perché abbiamo ancora un grande
potenziale di valorizzazione inutilizzato e occorre aumentare la capability dell’offerta (lingue
straniere, mobilità elettrica, etc.).
Tra i prodotti, il turismo culturale è quello che risulta più colpito, anche in questo caso la tecnologia ci
può aiutare a rimodulare esperienze per nuovi turisti più consapevoli.
#dallapartedelturista
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04-05-2020
Francesco Schianchi
Formatore e consulente di lungo corso in strategia e cambiamento manageriale, è docente di design,
analisi e creatività alla Scuola di Design del Politecnico di Milano. La sua attività di studio e ricerca è
da tempo indirizzata all’interpretazione delle trasformazioni antropologiche, portandolo a formulare
il concetto originale di “antropodesign” per migliorare la qualità della vita dell’uomo, degli altri
viventi e dell’ambiente. Vive a Milano.
[1]
Prima un discorso di fondo: la necessità di tornare a mettere al centro i fini e non i mezzi. Il
paradigma performativo degli ultimi trent’anni ha fatto sì che ci occupassimo soprattutto del “come”
e mai del “perché”. Non è un caso che anche la Mazzucato (task force di Colao per la fase 2) ci abbia
tenuto a ribadire che bisogna passare dal “vivere di rendita del valore” (ossia “estrarre valore”) a
“vivere generando nuovo valore”. E’ un approccio diverso che sottolinea lo stesso concetto: per
affrontare i problemi è necessario produrre efficacia dei fini e delle visioni.
In Italia, per quella ragione, non c’è (più) “cultura del progetto” bensì una sottocultura della
tecnologia performativa, ma con i soli mezzi non si risolvono problemi, e senza progetto non si va da
nessuna parte.
Allo stesso modo dobbiamo riconoscere che , ad esempio, i dibattiti sullo smart working sono una
discussione sui mezzi, sulle modalità che non prende atto che invece è cambiato il lavoro, il senso
stesso del lavoro. Quindi dobbiamo orientarci al progetto e alla ri-focalizzazione sui valori: l’unica
bussola in grado di orientarci e capace di dare un senso alle nostre scelte.
Dobbiamo dire basta ad esempio alla sottovalutazione/marginalizzazione delle “persone fragili”,
anziani, immigrati, disabili, bambini, etc., che invece dovrebbero essere il riferimento centrale per
ogni progetto. Dobbiamo cioè agire su ciò che genera “fragilità mentale”, oltre a quella economica e
ambientale, che è la mentalità che non riconosce/non rispetta questi “portatori di valori” (non
stakeholder che sono “portatori di interesse”). Ad esempio: basta con la superficialità delle smart
cities, è necessario progettare e realizzare wise cities, le “città della saggezza”: non l’urbs, la città
delle pietre bensì la civitas, la città delle persone e il senso di cittadinanza, devono tornare al centro
del progetto, per vivere bene e per riappropriarci del futuro.
E’ pertanto sbagliato pensare a un “ritorno al prima”, alla presunta normalità, anche perché
assistiamo a un fenomeno mai visto da quando esiste il sistema capitalista: il produttore (di petrolio)
che paga il cliente perché si porti via il prodotto. E’ un processo di azzeramento della realtà!
Dobbiamo perciò riflettere su un concetto nuovo: sul “respiro”, non solo fisico, di cui nella memoria
conserviamo tutta la tragicità di queste settimane, ma sul “dare respiro” all’immaginazione, al
progetto, alla ricerca, al far sì che le persone siano chiamate a un “progetto prometeico” (ribelle,
eroico, umano, ndr) perché il futuro è uno spazio e non è un tempo, e per questo non serve a nulla
una concezione pseudo-religiosa di passato-presente-futuro, dando ad esso una messianica
dimensione di salvezza.
Sul turismo quindi possiamo fare una riflessione importante che provo a rappresentare con un
parallelo apparentemente paradossale, ma spero illuminante, sulle banche: le banche non hanno
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venduto denaro, le banche vendevano speranza, attesa di futuro, il loro operare storicamente non
era uno scambio di merce, bensì una “vendita” di fiducia.
Un altro snodo di riflessione: nel periodo della Serenissima, i cittadini non andavano a Venezia per
comprare o vendere spezie o tessuti, andavano a Venezia per conoscere storie dal mondo, per
vedere i colori e sentire gli aromi del mondo. Il mercato aveva una dimensione non solo economica,
ma relazionale, conoscitiva, culturale.
Allo stesso modo il turismo dell’impatto covid-19 va cambiato e reinterpretato sotto due aspetti:
- un primo aspetto di tipo strutturale, cioè i luoghi, i trasporti, le tecnologie, le strutture, gli attrattori,
il cibo, gli eventi etc., cioè la complessità di un settore industriale che lavora per il benessere delle
persone e la sostenibilità ambientale, arricchito di una nuova dominante di sicurezza, protezione e
certezza con una risposta oggi più che mai orientata alla cultura della salute;
- un secondo aspetto di tipo antropologico, perché il turismo è l’unico settore industriale che se ne
occupa nella sua complessità costituiva ed espressiva, che deve tenerne conto - culture, abitudini,
sostenibilità ambientale, paesaggi, spazi, stili di vita, valore del rispetto delle persone – e quindi, nella
trasformazione che stiamo vivendo, il turismo deve produrre anche un’altra trasformazione: passare
dalle emozioni (fatto superficiale, al limite del furbo), con tutta la deriva del marketing turistico del
“vendere e esperienze”, ai sentimenti, alla profondità dell’uomo, al “design dei sentimenti”.
Un esempio basico per comprendere quel concetto: prendiamo ”l’angoscia del buio”. Quando si
progetta una lampada per un bimbo si tengono in considerazione tutti i fattori materiali, di gusto e di
sicurezza, ma soprattutto che quella lampada al bimbo deve assicurare la risposta a un sentimento
profondo qual è per l’appunto l’angoscia del buio; l’angoscia è più della paura, la paura puoi evitarla
e al limite riconoscerla, l’angoscia no, la devi affrontare, l’angoscia ha bisogno di appigli e la risposta
è la luce al posto del buio; nel turismo la luce è interpretare il “territorio delle vacanze”, delle
relazioni, delle emozioni, ma soprattutto oggi, e per il futuro, dei sentimenti “mobilitati” dall’impatto
covid-19.
Preciso che da sempre il design ha avuto la missione di interpretare e generare emozioni, un
ambiente piacevole e un’emozione positiva: oggi il lavoro del design transita dall’oggetto all’uomo, o
meglio alle persone e al loro contesto “esterno ed interno”, e per questo nel turismo è giusto
ragionare di “design dei sentimenti” per affrontare l’angoscia, l’amore, etc. , l’“investimento” della
domanda quanto dell’offerta, per tornare a proporre risposte, ad alimentare vite, frammenti di vita
positive, nutrienti per il profondo delle persone.
[2]
In un quadro generale il turismo ha bisogno anche della pace per esprimersi, il turismo è una cultura
di pace, per il turismo la pace è una condizione strutturale, purtroppo non per tutti i settori
industriali è così. Pertanto nella complessità del sistema turistico gli elementi valoriali non sono
aggiuntivi, ma sostanziali e strutturali: è la condizione perché il turismo possa esprimersi, la sua cifra
espressiva.
“Viaggiare è partire da un posto e quando ci si ritorna , scoprire che è del tutto diverso”, voglio dire
che nel turismo avviene un “attraversamento del sé”, del proprio profondo: ecco perché contano i
sentimenti. Ogni attività turistica è un coinvolgimento profondo delle persone, non è solo un fatto
esterno, è fare i conti con sé stessi, con la propria esperienza esistenziale, non con eventi finti o
superficiali. Per questo dobbiamo ri-focalizzarci sulla prossemica, sugli spazi e i segni dell’uomo.
L’impatto covid-19 è una messa in discussione della prossemica tradizionale, è un evento interiore a
tre livelli: tra sé e sé, tra sé e il viaggio, tra sé e le persone che incontri nel viaggio. Mantenere le
distanze non è solo un problema di salute, mantenere le distanze è un imperativo dei comportamenti
collettivi (era un “fatto di classe” nel turismo luxury).
La trasformazione della prossemica tradizionale deve diventare un nuovo contenuto culturale, una
nuova “materia progettuale”, non interessa tanto il mezzo-distanza, la sua strumentazione, ma la
#dallapartedelturista
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dimensione dell’invisibile, il cambiamento che comunque avviene dentro sé stessi: un processo di
sedimentazione, un passaggio dalla emozioni ai sentimenti, come dall’innamoramento all’amore.
La domanda di progetto da porsi è dunque “cosa rimane dentro di te da un viaggio?”, bisogna
lavorare sulla profondità, sui sentimenti, rispetto alla superficialità, il selfie. Dobbiamo dialogare con
l’anima delle persone, perché la stessa cosa avviene nel design: anche gli oggetti hanno un’anima, gli
oggetti che hanno un’anima provocano una produzione/sedimentazione di emozioni e di ricordi,
provocano un sentimento non solo una funzione d’uso.
[3]
La mia ricerca, oltre al corso al Politecnico, mi porta a trasformare le riflessioni in momenti divulgativi
e formativi a vari livelli: cosa vuol dire essere profondi nella contemporaneità?
Vuol dire per esempio, studiare come si comportano i giovani nel post covid-19, come avviene la
trasformazione della realtà. Rispetto alla realtà del Paese mi preoccupa molto la mancanza di
progetto, lo schiacciamento sui mezzi, sulla tecnologia, sulla delega salvifica alla scienza producendo
l’annichilimento dei valori.
L’Italia è un paese “perso” perché si è perso/focalizzato solo sui mezzi, ha dimenticato la parola
cardine del rinascimento: la prospettiva. E’ un paese che soffre di “mercatizzazione” e di
“vetrinizzazione”, è diventato un grande ipermercato, si vende di tutto dalla droga alle portaerei,
tutto è consumo delle apparenze.
I beni culturali sono messi in vetrina non raccontati, sono spettacolarizzati, abbiamo venduto
immagini non cultura. Non abbiamo un progetto su niente.
Per concludere un doveroso ricordo di Sepulveda: ci ha invitato a realizzare una rivoluzione
dell’immaginario collettivo e di lavorare per creare una società di cittadini e non di miserabili
consumatori. Questa mi sembra la sfida reale che abbiamo davanti come persone, gruppi, istituzioni,
imprese, partiti, associazioni.
#dallapartedelturista
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E dopo?
E dopo pensiamo di provare a rendere continuativa questa esperienza di ricerca e confronto: con un
ampliamento dei contributi e degli argomenti, con alcuni incontri collettivi online, con il reporting
sistematico e l’informazione sui contenuti, e magari con qualche verticalizzazione di ricerca.
Nel frattempo, dopo la pubblicazione a inizio aprile 2020 del rapporto di ricerca #dallapartedelturista
– 50 policy covid-19 a confronto, e dopo questo documento Una chat su “Turismo, The Time After” di
esplorazione culturale sul futuro, inedita, genuina e originale, il nostro Studio si appresta a lanciare
una terza operazione per contribuire a sostenere il turismo italiano: un sistema di survey
indipendente accessibile online per scoprire come rilanciare la stagione 2020 e programmare quella
del 2021 mettendosi, appunto, dalla parte del turista.
In due mesi, saranno coinvolte oltre 3 mila persone in posizioni apicali del turismo italiano nelle
amministrazioni pubbliche (20% circa) e nelle imprese private (80% circa), distribuite in 10 regioni-
destinazione equivalenti al 60% dell’economia turistica italiana, che potranno analizzare e misurare
in modo autonomo e semplificato lo stato d’animo e le aspettative di vacanza dei propri clienti di
riferimento, ottenendo risposte a caldo per rimettersi in gioco e valutare/affrontare i cambiamenti
della domanda e le nuove opportunità. Quei soggetti ne saranno i diretti protagonisti e noi solo
strumento di servizio.
#staytuned.
Grazie dell’attenzione e della collaborazione.
Il team dello Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione e Data Analyst
Emanuela Bussu
Digital advisor e
Consulente di
comunicazione
Marco Antonioli
Sociologo e
Analista di ricerca in small
& big data
Beatrice Pinciaroli
Digital advisor e
Analista di ricerca
Daniele Esposito
Economista dello
sviluppo sostenibile e
Analista di ricerca
#dallapartedelturista
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  • 2. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 1 #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, the time after” Con Martha Friel, docente, Università IULM Milano Rodolfo Baggio, docente, Università Bocconi Milano Martina Manescalchi, docente, Università di Bologna Roberta Garibaldi, docente, Università di Bergamo Giancarlo Piccirillo, consulente in destination management, Firenze Nevio D’Arpa, imprenditore e founder BTM Puglia, Lecce Edoardo Colombo, digital and innovation advisor, Roma Marta Paraventi, storica dell’arte e ricercatrice, Ancona Kamel Ben Youssef, docente, Universitè Paris Nanterre Patrizia Battilani, docente, Università di Bologna Milena Viassone, docente, Università di Torino, Francesco Schianchi, docente, Politecnico di Milano Beppe Giaccardi, consulente di strategia, curatore della chat 12 maggio 2020, 75°di eremitaggio www.giaccardiassociati.it
  • 3. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 2 Indice Lo scopo e i concetti chiave di questa chat Pag. 3 Le domande-traccia Pag. 4 Le chiacchierate-intervista Pag. 5 E dopo? Pag. 33 Chi siamo Pag. 34
  • 4. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 3 Lo scopo e i concetti chiave di questa chat Questa chat nasce dal bisogno di uscire dall’eremitaggio imposto dalla pandemia, dal desiderio di relazioni e scambi arricchenti, dalla volontà di esercitarsi per un dopo quasi ignoto e dalla possibilità di coinvolgere persone profonde alle quali sono affezionato. Doveva essere solo una chiacchierata per ampliare orizzonti e confini mentre di comune accordo tutto ciò sì è trasformato in un elaborato strutturato con domande-traccia per confrontare opinioni e contributi alla riflessione e alla visione, che in vario modo risultano unici e straordinari per punti di vista e ricchezza. Martha Friel, Rodolfo Baggio, Martina Manescalchi, Roberta Garibaldi, Giancarlo Piccirillo, Nevio D’Arpa, Edoardo Colombo, Marta Paraventi, Kamel Ben Youssef, Patrizia Battilani, Milena Viassone e Francesco Schianchi, che ringrazio tutti1 sentitamente, hanno così accettato di rendere pubblico questo documento per offrire insieme una nuova energia di pensiero, di confronto e di progetto. Un’esplorazione culturale sul turismo, inedita, genuina e originale. In ordine di tempo, la seconda operazione free del nostro Studio per contribuire a sostenere il turismo italiano duramente colpito dall’impatto della pandemia, dopo la pubblicazione del rapporto di ricerca “#dallapartedelturista – 50 policy covid-19 a confronto”, aprile 20202 . Il turismo italiano non potrà essere più uguale a prima ma può e deve continuare ad essere, cambiando, una delle più importanti economie e comunità del Paese perché è un pezzo irrinunciabile della sua identità e della sua anima (Piccirillo). Abbiamo pertanto bisogno di concentrarci sui fini e non sui mezzi, abbiamo necessità cioè di rendere efficaci le visioni e di rendere operanti i valori (Schianchi). Per questo persiste urgenza e opportunità di accelerare la trasformazione digitale delle competenze, dell’efficienza organizzativa e non solo del marketing (Baggio), e di cambiare le abitudini orientandoci a un modello sociale e di sviluppo fondato sulla cooperazione strategica a diversa scala per imprese piccole e medio- grandi (Battilani). Dobbiamo cambiare spingendo sulla conoscenza e sulla formazione (Manescalchi) e dobbiamo farlo operando sulla crisi di modello e sul ripensamento dei territori (Friel), dando continuità alla filosofia della ricerca nell’arte e nella cultura (Paraventi) e puntando anche alla costruzione di un nuovo polo industriale del turismo con più massa critica anche tecnologica e nuovi contenitori-prodotto (Colombo), per riunire un paese disunito, indebolito dai ritardi del passato, e dare più forza al tessuto delle imprese (D’Arpa). Abbiamo diverse leve che dobbiamo rapidamente utilizzare: la ricerca sul cambio della domanda e dei modelli di business (Viassone), la solidità della reputazione internazionale del turismo enogastronomico italiano (Garibaldi), l’innovazione della customer education per un’ecologia dell’informazione (Youssef) e infine un’ampia, decisa e irrinunciabile avanzamento della cultura di management dei dati (Piccirillo e Baggio). Aggiungo che possiamo avere la duplice occasione di progettare un’impareggiabile e articolata offerta green, ad elevata capacità di rigenerazione delle persone che può contribuire a ritemprare menti e corpi e allo stesso tempo a cambiare il paese e la parte di mondo nella quale viviamo, e così di partecipare da protagonisti al New Green Deal europeo. Dipende solo da noi, proviamoci. Beppe Giaccardi3 1 Le persone coinvolte sono elencate in ordine cronologico di realizzazione della chiacchierata-intervista. 2 Download qui https://mailchi.mp/giaccardiassociati/dallapartedelturista. 3 Beppe Giaccardi, curatore di questa chat, è consulente di strategia e organizzazione, libero professionista dal 1985, founder e CEO dello Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione e Data Analyst.
  • 5. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 4 Le domande-traccia Turismo, cosa cambiare? Turismo, da dove ripartire? Italia paese “perso”? Cosa ne pensi, come ti ricollochi, come cambierà il tuo lavoro. Sono le tre domande-traccia della chiacchierata-intervista che abbiamo posto alle dodici persone, sei donne e sei uomini, accademici, ricercatori e consulenti che hanno contribuito con la loro cultura ed esperienza ai contenuti di questo lavoro. Domande semplici, ma allo stesso tempo ampie e complesse, che hanno però consentito di mettere in relazione competenze differenti e non sempre note tra loro, con quesiti che probabilmente molti si pongono in queste settimane e nelle quali il contenuto dell’ansia si è modificato via via da un timore prevalente sulla salute alla forte preoccupazione dell’impatto economico, sociale e umano con giganteschi problemi culturali, tecnologici e di relazione messi a nudo e/o accelerati dalla pandemia. Condividiamo anche noi la preoccupazione per il futuro, per quello del Paese, di 500 mila imprese e 4 milioni di lavoratori della filiera allargata del turismo, ma anche per l’avvenire di milioni di bambini e ragazzi che hanno visto la propria vita aggredita anche dell’interruzione prolungata della loro socialità e del loro apprendimento, unitamente al persistere di troppi nodi irrisolti tra i quali prima di tutto il futuro del rapporto con gli eco-sistemi vitali del pianeta. Stiamo perciò provando a capire e a ripensare vita, studio, lavoro e relazioni. Non tutto però potrà essere razionale e programmato, molte reinterpretazioni o innovazioni saranno figlie (per fortuna) della creatività e della serendipità che ci contraddistingue come nazione. Ma è certo che la ricerca e il progetto delle risposte materiali e immateriali di futuro va posta a un livello alto e profondo. Questa chat, con le sue domande e risposte, ci pare un buon inizio perché per fare un buon progetto bisogna porsi le domande giuste specialmente quando è evidente che il percorso sarà lungo. I nostri canali online sono a disposizione per alimentare ricerca e confronto e per individuare assieme il nuovo punto di svolta. Legenda dei report della chat [1] Turismo, cosa cambiare? [2] Turismo, da dove ripartire? [3] Italia paese “perso”? Cosa ne pensi, come ti ricollochi, come cambierà il tuo lavoro à interlocuzione del curatore
  • 6. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 5 Le chiacchierate-intervista 15-04-2020 Martha Friel Phd, docente di management della cultura e del turismo all'Università IULM di Milano presso la Facoltà di Arti e Turismo e senior fellow di Fondazione Santagata per l'Economia della Cultura di Torino. Vive a Milano. [1] Faccio fatica a parlare di questi argomenti, sono molto colpita, perché non si tratta solo degli effetti devastanti a livello globale di un fattore esogeno ma di una crisi anche di modello. Spesso i territori turistici in Italia sono circondati da altre economie turistiche che non si supportano e non si integrano a vicenda. Le economie contigue hanno un grosso problema perché non producono diversità economica. E sicuramente il modello delle mono-economie turistiche ha mostrato tutti i suoi limiti, colpendo duramente anche il settore culturale. È necessario ripartire dalle radici dei territori, dalla conformazione territoriale ed economica del turismo, purtroppo più leggi della vicenda covid-19 e più ti senti sperso. Ci sarà un enorme effetto di medio periodo sulla domanda, in relazione anche all’ampiezza geografica dei mercati che potremmo recuperare e raggiungere. Forse è arrivato anche il momento di riflettere su quali saranno i mercati verso cui puntare nel prossimo futuro. Un altro tema fondamentale è poi anche quello del mercato del lavoro del turismo, servirà anche qui un cambio di mentalità, sul senso del welfare nel turismo. à Il fattore green potrà essere una componente di un nuovo modello? Il fattore ambiente, il fattore green? Vedo un rischio regressione più che evoluzione perché l’attenzione all’ambiente rischia di essere percepita come un lusso per quando l’economia va bene. Rischiamo un ritorno all’auto privata, alla plastica monouso, a comportamenti meno sostenibili “scusati” dalla necessità di una tutela individuale. Poi certo, in questi giorni molti medici per le eventuali prossime vacanze stanno consigliando più la montagna del mare per evitare il più possibile luoghi dove possono crearsi assembramenti. In questo senso proposte slow in destinazioni rurali e montane, il turismo in bici etc. potranno avere uno sviluppo. Ma i ragionamenti sul turismo sostenibile dovranno essere ben altri e dovremo affrontarli presto. [2] Servirà molta innovazione di prodotto. La domanda ripartirà per “scale geografiche” e il ripartire dipende da cosa faremo e da cosa diremo. Le imprese avranno molto da cambiare. E ragionare in termini di sistema e di prodotto a tutto tondo è vitale. Mai più di oggi la singola struttura ma anche il singolo attrattore turistico dipendono dal sistema destinazione.
  • 7. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 6 Il digitale sarà fondamentale per fare di più buona informazione verso i mercati e buona comunicazione interna tra operatori e destinazione, dati e informazioni corrette saranno indispensabili, così come il coordinamento delle informazioni e delle infrastrutture. Il nodo per i territori, dal punto di vista del turista, sarà “apro l’home page e trovo subito quello che mi serve sapere”, non è immaginabile che ognuno vada dove gli pare. Servirà una gestione coordinata tipo Parigi nel post attentati. Servirà cioè una comunicazione da tempo di crisi ma non in chiave emergenziale bensì strutturale. Con un innalzamento dell’alfabetizzazione digitale che è diventata indispensabile e che richiederà anche continui aggiornamenti, non solo per informare i turisti e vendere i prodotti ma anche per gestire i flussi nelle destinazioni. à Quali policy darsi in questo scenario? Penso sia arrivato il momento di scegliere chi vogliamo avere come turista in Italia, servirà un marketing intelligente, paese per paese, e conoscere perfettamente il mercato. Le destinazioni saranno chiamate a fare un gran lavoro, di confronto con le Amministrazioni locali sul futuro dei luoghi perché queste crisi possono succedere. Penso inoltre che serva un ragionamento sulla fiscalità degli enti locali finalizzato a generare un sostegno reciproco tra imprese turistiche e Amministrazioni locali. [3] Sono molto preoccupata, sì, anche per il mio lavoro ma non solo. La mia attività di ricerca cambierà, dovremo studiare ciò che di nuovo potrà davvero servire ai territori e al settore, e naturalmente contenuti e modalità di formare nel turismo dovranno cambiare per rispondere il meglio possibile a nuovi bisogni del settore. Poi, al di là del mio lavoro, mi sento sconfortata come cittadina. Serve una riflessione più concreta sulla fase 2, una visione del dopo. Percepisco una grande differenza con altri paesi. à Quali priorità avverti? Nessuno di noi ha la sfera di cristallo purtroppo e ci sono talmente tanti fattori in gioco che è davvero complicato fare previsioni ma alcune priorità le conoscevamo già prima di tutto questo e restano valide. Lavorare sull’innovazione di prodotto, anche in termini di nuove stagionalità, sul mettere valore nel prodotto, focalizzandosi sulla qualità anche perché i turisti che viaggeranno saranno, credo, particolarmente disposti a pagare un premium price per avere servizi ed esperienze di un certo tipo. Attualmente una delle preoccupazioni principali poi è che non sappiamo bene cosa succederà nei trasporti: treni con portata ridotta di 2/3, voli costosi ecc. Trasporti e intermodalità sono un aspetto fondamentale per il turismo e lo saranno sempre di più.
  • 8. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 7 15-04-2020 Rodolfo Baggio Astrofisico, 20 anni nell’industria ICT, PhD alla School of Tourism della University of Queensland, Australia, è professore e coordinatore dell’area Strategie digitali del Master in Economia del Turismo all’Università Bocconi. Già Presidente IFITT Italia, svolge stabilmente attività di ricerca e docenza all’estero sulla teoria della complessità e i metodi di analisi della rete applicati allo studio delle destinazioni turistiche. Vive a Milano. [1] Non è detto che le cose cambino. Il ruolo centrale l’avrà il turista mentre le “sensazioni” dell’albergatore sono meno importanti. Non disponiamo ancora, purtroppo, di un’indagine internazionale approfondita sui comportamenti post crisi, tra cui quella del travel, ma abbiamo solo alcune informazioni sparse. Non credo però alle vacanze 2020, perché le risorse di molti saranno limitate, pochi soldi e poco tempo disponibile (ferie, permessi, etc.). Possiamo impiegare però utilmente il tempo rimettendo a posto alcuni fondamentali per chi opera nel turismo, per esempio: - ripensare a come è organizzato il lavoro, a come renderlo più efficiente, a come usare al meglio gli strumenti tecnologici, quale comunicazione “fare dopo”, mettere a punto un piano strategico individuale; - invece di lamentarsi e pensare solo a chiedere sovvenzioni, dirsi “come lavoro, cosa ha funzionato e cosa no, di cosa ho bisogno per fare meglio, cosa serve per lavorare assieme”. E sulla collaborazione bisognerebbe puntare di più, che dopo si rischia di dipendere ancora di più dai grandi player; - provare a costruire un minimo di massa critica, un gruppo consistente, in modo da avere un minimo di potere contrattuale verso i grossi intermediari. Difficile, ovviamente farne a meno, ma ridiscutere i rapporti è possibile; - serve cioè un ragionamento prima soggettivo, e poi collettivo, sulle cose da fare adesso per prepararsi al dopo. à E con il modello carbon come la mettiamo? Viviamo un “momento zero”, non ci era mai capitato prima, anche la mobilità è a zero. In Lombardia per di più è stata distrutta la sanità sul territorio e la Regione non ha imposto alla sanità privata di collaborare come è avvenuto in altre regioni. In ogni caso chi guida il ballo sono i turisti, non gli operatori, a dispetto di quelli che chiamo “liberisti della domenica”, il mercato lo fa la domanda non lo fanno gli operatori. Sostenibilità è una bella parola, ma spesso vuota di significato vero e comunque, messo che possano esistere, ci vorranno molte generazioni prima di vedere “turisti sostenibili”. Tutto il resto, con grande impatto anche sul turismo, passa al di fuori del turismo, sulle politiche energetiche e sui trasporti il turismo non ha praticamente peso. à Perché il turismo non conta? Perché è un argomento solo “orale”, molto “parlato” ma poi alla verifica dei fatti poco considerato. Non abbiamo pensiero strategico vero. Il Piano strategico nazionale è una grande “to do list” e così sono la maggioranza dei piani turistici.
  • 9. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 8 In ogni caso il 2020 e il 2021 vedranno vacanze solo in Italia, perché anche quando riapriranno gli altri paesi noi italiani non ci muoveremo, abbiamo paura, del resto chi oggi può pensare di farsi, che ne so, 10 ore di volo per andare in vacanza? E avremo ancora molte barriere per l’ingresso di stranieri. [2] La priorità è darsi a livello individuale un’organizzazione e uno stile di lavoro efficienti, ripensare i modelli di accoglienza, capire adesso cosa fare per ridurre gli sprechi il più possibile. E poi avanti tutta con la trasformazione digitale: - a livello interno, non più solo marketing e promozione ma smettere di tenere i borderau a mano e i dati su excel; - dobbiamo imparare a controllare tutto sfruttando di più il digitale a tutto campo. Per esempio, negli hotel sensori e sistemi per la gestione fisica (invece della tesserina per attivare l’elettricità molto meglio un sensore che gestisce le prese e poter lasciare in carica lo smartphone anche quando sì è fuori dalla camera); - è molto importante “ripensarsi a fondo”, conta molto, noi paghiamo un prezzo alto per la nostra mancanza di cultura su questi aspetti; - capitolo big data: servono risorse e conoscenze che non sono più nella disponibilità del singolo operatore o destinazione, serve un team che si occupi dei dati tutti (small e big). Questo aspetto è fondamentale per i territori perché prima scelgo se andare in Trentino o in Gallura e poi magari dove dormire, non è l’hotel che fa la differenza, ma magari 50 hotel che collaborano potebbero dotarsi di un team e delle risorse necessarie e riuscirci; - poi serve tempo e competenza, chi investe risorse in un team produce informazioni che ritornano sul territorio, non si lavora sui dati per fare bella figura ma per avere supporti efficaci per prendere decisioni; - dobbiamo coinvolgere di più università e ricerca perché dobbiamo strutturare nuovi standard e modalità sensate di raccolta, analisi e gestione dei dati; - serve, più in generale, anche un miglior collegamento fra ricerca e industria, per esempio con più “traduzione” e comunicazione di studi importanti. In Italia praticamente solo la SISSA di Trieste si occupa di comunicazione scientifica; - servono nuovi centri di ricerca e di aggregazione di ricercatori per realizzare nuove survey e selezione di cose interessanti. [3] Non ho grandi problemi, tutto sommato sono un privilegiato, continuo a insegnare, ma soprattutto faccio ricerca, pubblico articoli, collaboro con altri ricercatori in giro per il mondo e rendo pubblico quel che faccio per mia scelta, pensando di avere una funzione socialmente utile. Cosa cambiare in questo paese: - decidere quali priorità, l’Italia non l’ha fatto in nessun campo da più di vent’anni e si vede, neanche nel turismo; - si fanno tanti ragionamenti, cultura, bellezza e poi? - decidere le priorità è fare strategia, non la lista delle cose da fare; - se il digitale è importante ne devono trarre le conseguenze e fare cose importanti. Tuttavia il vero nodo è “decidere come decidere”, io penso che per alcune cose serva un “sistema democratico ibrido” che alcuni chiamano benevolent dictatorship. à Cioè, cosa intendi? Per esempio è quello che abbiamo fatto per arrivare al Manifesto “Parole O_Stili” oppure quello che avvenne nel TD Lab in preparazione del Piano Strategico del Turismo: si parte da una proposta definita, stilata da uno solo o da un gruppo ristretto, poi si ascoltano tutti gli interessati si documenta tutta l’attività ma poi chi deve decidere, decida e se ne assuma la responsabilità. E non dimentichiamoci mai che viaggiare non è il tutto.
  • 10. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 9 Finisco aggiungendo che potrebbe essere interessante dare continuità a questa “chiacchiera collettiva” per esempio con delle conference online anche periodiche.
  • 11. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 10 15-04-2020 Martina Manescalchi Docente in Web Communication, International Tourism and Leisure Industries all’Università di Bologna. E’ consulente e formatrice presso Teamwork Hospitality. Vive a Rimini. [1] E’ un momento molto difficile ed è molto difficile capire cosa ci riserverà il futuro. Penso che la formazione in questo momento sia più importante che mai, dal momento che molte priorità cambieranno e si renderà necessario rivedere tutti i processi di accoglienza e attivare tutta la tecnologia disponibile per ridurre ogni contatto possibile. Dobbiamo investire risorse sempre più grandi sulla domanda green, dal momento che una fetta sempre più importante del mercato turistico, soprattutto giovane, si dimostra molto sensibile verso questa tendenza à Cosa cambierà negli hotel? Il buffet cambierà, le scelte green andranno per la maggiore, l’ospite sarà sempre più attento ai temi della sicurezza e della pulizia. La domanda che ci poniamo è: quali strutture non ce la faranno? Difficile dirlo. Una certa propensione al cambiamento e all’attenzione nei confronti del cliente è indispensabile, ma molto dipenderà dalle prossime scelte del Governo, comunque non prima del 2021 difficilmente assisteremo a un ritorno alla cosiddetta normalità. L’economia turistica conta poco tra i decisori di questo Paese. à Perché il turismo conta poco o non conta? E’piuttosto paradossale che, in un Paese in cui il turismo sia di così grande importanza per l’economia, l’aggettivo “turistico” – riferito a un luogo, a un ristorante, a un’attrazione – abbia un’accezione negativa. Questo già la dice lunga. Pensiamo ai ministri che abbiamo (e non abbiamo) avuto. Non è che non conti, è che conta soltanto quando dal settore c’è da attingere, in qualche modo. Pensiamo alla gestione della promozione del brand “Italia” all’estero, ai fallimenti di tante azioni di destination marketing, alla gestione dell’extra alberghiero. Da una parte tutti si riempiono la bocca di turismo, promozione, attività turistiche, dall’altra prevale l’immobilismo del “tutto cambi perché niente cambi”. Il settore è tra i più dinamici e i tempi italiani – da tutti i punti di vista – sono troppo lunghi per stare dietro a tutte le innovazioni di cui esso necessita. Ho paura che si tratti di una problematica che riguarda tutti i settori e non soltanto quello turistico. Senza togliere il fatto che chi è chiamato a “gestire la res” a vari livelli, molto spesso non ne è all’altezza. E questo significa: scelte sciagurate, sprechi, occasioni perdute, obsolescenza. [2] Cambia tutto, quali saranno i turisti fino all’anno prossimo? Senza stranieri ci impoveriremo, inutile negarlo. E’ impensabile sostituire gli stranieri con gli italiani. Gli italiani non hanno soldi e le attuali misure di sostegno sono superficiali. Servono misure economiche più concrete. Detto ciò, le strutture che intendono riaprire, devono focalizzarsi per forza di cose su nuove fette di mercato, comprendere i trend a breve e medio termine, sapere chi si interessa al brand adesso e perché. Ridimensionare l’advertising in questo periodo di crisi è altrettanto importante; per esempio, meglio profilare molto bene il target e dire addio alle keywords generiche e ai pubblici troppo ampi.
  • 12. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 11 Ovviamente mai come adesso sarebbe importante disporre di più dati, renderli più trasparenti, segmentarli e renderli fruibili per le attività di analisi e promozione degli operatori [3] Non essere preoccupati in questo momento è cosa da incoscienti. Cosa mi auspico? Diciamo che domattina vorrei svegliarmi in un paese disposto a imparare dai propri errori individuali e sociali. Vorrei che fossimo meno superficiali nelle valutazioni, che imparassimo a ragionare su più canali e livelli, che fossimo davvero pronti a un grande cambiamento. Perché di grandi cambiamenti stiamo parlando. Cambiamenti che l’emergenza pandemica ha soltanto accelerato, ma che erano già in essere. Saremo pronti a metterli in atto? Ci vogliono visione e lungimiranza. Ma parliamoci chiaro: senza un piano serio di ripresa e aiuti economici concreti sarà impossibile.
  • 13. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 12 16-04-2020 Roberta Garibaldi Professore aggregato all’Università di Bergamo per Tourism Management in Economia e gestione delle imprese. E’ nel Board of Directors della World Food Travel Association, membro dell'Advisory Board del World Gastronomy Institute e del Consiglio di Presidenza della Società Italiana di Scienze del Turismo (SISTUR). Vive a Bergamo. [1] Cosa cambiare nel turismo enogastronomico? Niente modifica di più il mondo che le guerre e le pandemie. La pandemia di COVID-19 sta cambiando profondamente le nostre abitudini quotidiane, dal lavoro al privato. E, con esse, anche il modo di pensare, vivere e consumare. Per le imprese questo momento di chiusura può essere un momento prezioso di riorganizzazione. E’ sicuramente necessario rivedere i costi di quest’anno, ma fermarsi vuole dire anche poter avere tempo per fare quei lavori di analisi e di riprogettazione strategica che sono fondamentali e che si rimandano sempre presi dall’operatività quotidiana. Ecco che diventa occasione per ottimizzare la raccolta dati, i sistemi di CRM che magari non avevamo mai attivato, riformulare l’offerta delle esperienze, ottimizzare le attività di comunicazione, sfruttando la mole di informazioni che il web 2.0 è in grado di fornire. I siti web, i social media, i blog, … sono sì strumenti di comunicazione efficaci e con grande visibilità, ma rappresentano anche dei ‘contenitori’ di interessi e abitudini degli utenti. Emerge quindi la necessità di investire sul digitale, affinché divenga uno strumento efficace di conoscenza del cliente e di marketing, oltre che di vendita. E’ necessario per attrarre il turista nazionale, che magari è già stato da noi, differenziare l’offerta, pensare ad esperienze diverse, e magari la leva possono essere quelle enogastronomiche, che hanno avuto un boom solo negli ultimi anni e per le quali la domanda è oggi ancora maggiore dell’offerta. E molte di queste possono essere organizzate all’aperto e in sicurezza. Ecco l’idea di rinnovarsi e adattarsi ai vari target, proponendo percorsi innovativi e narrando la storia dei prodotti. Creare narrazioni per permettere al turista di sentirsi più coinvolto e di capire l’unicità del prodotto enogastronomico e la cultura del luogo, suscitandone la curiosità. Ciò si può declinare in vari modi, dall’incontro con i produttori ai menù ed etichette parlanti, passando per il video-storytelling. Il turismo enogastronomico dovrà inoltre connotarsi in termini di sostenibilità. Non dovrà rimanere una pratica turistica fine a sé stessa, ma contribuire ad avvicinare le destinazioni con le aree rurali limitrofe, a creare nuove legami e collaborazioni tra produttori, ristoratori, operatori del turismo e consumatori. Così facendo, potrà generare benefici diffusi e duraturi sui territori. Ritengo fondamentale a tal fine stimolare su più livelli la diffusione di pratiche enogastronomiche sostenibili, legate all’ambito della produzione e alla valorizzazione della conoscenza culinaria del luogo. Ricordiamoci che l’enogastronomia non è solo cibo, ma tradizioni, culture, identità, … elementi che hanno una valenza sociale e che rappresentano attrattori per il turista. [2] L’Italia è tra i Paesi al mondo più apprezzati per il cibo, è il primo Paese in Europa per numero di agricoltori biologici (con 64.210 produttori biologici, il 17,2% del totale europeo), è il più sostenibile
  • 14. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 13 in agricoltura (con emissioni di gas serra inferiori del 46% alla media UE-28), e si pone al vertice della sicurezza agroalimentare mondiale (dati Fondazione Symbola, 2018). Questa è un’ottima base di partenza. L’Italia soffrirà per questa situazione, più di altri Paesi che, con un debito pubblico più contenuto, possono aiutare in modo più corposo le aziende. Ma abbiamo visto che il settore turistico, e la nostra economia in generale, hanno saputo negli anni superare molte crisi, e credo che l’imprenditorialità italiana, creativa ed attiva, possa trovare nuove vie per il rilancio. Visti questi primati, e considerate le eccellenze di cui dispone il Belpaese, mi piacerebbe poter lavorare ad un Piano strategico del turismo enograstronomico in Italia, dare una nuova centralità all’enogastronomia. Capire ora quale impatto avrà la pandemia di covid-19 sui comportamenti dei turisti relativamente all’enogastronomia è piuttosto difficile. Io svolgo ogni anno indagini su questo tema e, come al solito, mi baso su ricerche di mercato. Serve partire da dati solidi, oggi i turisti sono ancora troppo coinvolti emotivamente per esprimersi su un futuro di medio termine, dobbiamo aspettare ancora quale mese. Ma sicuramente dei trend andranno a rafforzarsi. Partendo dalla sostenibilità e dall’autenticità, passando attraverso le opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Senza dimenticarci di qualcosa che caratterizza il nostro Paese: vigneti, uliveti, agrumeti, …. luoghi di grande fascino e bellezza. Questi potranno essere valorizzati anche nella prossima estate e divenire luoghi per degustazioni, per attività sportive quali trekking, nordic walking, mountain biking, … per nuove proposte come yoga o attività artistiche. Un punto di partenza per ripensare e rinnovare in modo creativo l’offerta, tendendo conto delle limitazioni attuali. L’innovazione attraverso la tecnologia potrà certamente portare benefici e renderci più competitivi. Faccio un esempio: dalle vendite online alle home dining con formule innovative, pensiamo a come da questa occasione potranno nascere modi più coinvolgenti per fare un’esperienza enogastronomica nella propria abitazione. Stimolando ancor di più il turista a visitare i luoghi dove questi cibi, vini, .. vengono prodotti. Pensiamo ai digital tasting, QR code che rimandano a contenuti audio e video con la storia del prodotto e dell’azienda per intrattenere il consumatore, alle app di edutainment per divertire educando chi rimane a casa. [3] Purtroppo, anche il mio lavoro sta cambiando. E in modo importante. Dall’essere ogni due giorni in una città diversa per convegni ed eventi sono passata a dedicare il mio tempo a partecipare a webinar ed eventi online. Certamente all’inizio della pandemia il mio timore principale è stato legato alla salute, mia e dei miei cari; ma ho pensato che fosse necessario non farsi prendere dall’emotività e organizzare momenti e opportunità di confronto con gli operatori del turismo enogastronomico, per formare e formarsi. Sono nati così i “Dialoghi sul turismo enograstronomico”, webinar dedicati a questo tema che offrono riflessioni e spunti per meglio capire ciò che sta succedendo e come sta cambiando (e cambierà) il settore. C’è una crescente richiesta di formazione online in questo periodo, una cosa positiva. Devo ammettere che non sono frustrata, anzi sono molto stimolata da questo cambiamento, credo anche che una quota di smart working rimarrà anche in futuro e ci aiuterà a ridefinire tempi e modi della nostra vita e a rendere le città più vivibili.
  • 15. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 14 20-04-2020 Giancarlo Piccirillo Consulente per destination marketing e management, politiche culturali, Fondi Europei. Ha costituito Pugliapromozione, la prima Agenzia Regionale del Turismo della Puglia, di cui è stato da settembre 2011 a settembre 2015 Direttore Generale. E’ stato tra gli estensori dell’ultimo Piano Strategico Nazionale del Turismo, oggi collabora con Toscana Promozione. Vive a Firenze. [1] Faccio una considerazione di base: io non sono tra coloro che vogliono che tutto torni come prima, ma tuttavia sono scettico sulla convinzione generale di rivoluzione portata da questa crisi. Mi spiego meglio: ci saranno cambiamenti importanti nelle abitudini e nei trend di viaggio, ma non so se l’Italia sarà in grado di cogliere questa occasione per smetterla di rincorrere i cambiamenti ed iniziare almeno ad accompagnarli. L’Italia è una delle potenze del turismo del mondo, eppure in questo settore negli ultimi 30 anni non è riuscita a inventare nulla. Temo che anche questa volta sarà così. La cosa più urgente da cambiare è il posto del turismo nella visione del Paese. Parliamo di un comparto economico di grande rilevanza ma anche di un grande fenomeno sociale che fa parte del nostro modo di vivere: l’Italia senza turismo non è lo stesso Paese, sarebbe come senza anima e identità. Cultura e turismo, guarda caso i due comparti peggio colpiti dal covid-19, sono il DNA dell’Italia, sono pezzi della sua identità. Invece il turismo viene vissuto come una specie di passatempo di cui si occupano un po’ tutti ma nessuno seriamente, per il quale in fondo non servono competenze. Neppure oggi, dopo ben due mesi, mentre il settore sta lottando per evitare la più grande ondata di fallimenti aziendali della storia, non c’è alcun decreto o alcuna misura ad hoc per il turismo. E’ la prova per la visione che l’Italia ha del proprio futuro, il turismo ha una importanza residuale. Ed è anche la dimostrazione di una economia fragile che, nonostante la crescita impetuosa degli ultimi anni, non è riuscita a creare un’industria robusta e resiliente. Non siamo stati in grado di aiutare le imprese ricettive ad abbattere costi troppo elevati, non abbiamo dato le adeguate protezioni al lavoro regolare, abbiamo osservato senza fare nulla i nostri centri storici svuotarsi e trasformarsi in dormitori senza servizi, abbiamo consentito a chiunque di ottenere facili guadagni senza regole e senza pagare le tasse. Nessuno, nel nostro paese, ha tentato per esempio di programmare il numero di posti letto conveniente e sostenibile per le nostre destinazioni: in ogni filiera è fondamentale stabilire i livelli produttivi nel quadro di una strategia economica. Da noi non è neppure un tema, seppure si tratta di scelte che incidono non solo sulla tenuta economica delle imprese, ma anche sullo stile di vita dei territori. Per governare il turismo serve organizzazione e politiche trasversali: anche questa è una delle ragioni della sua fragilità. In un Paese dalle competenze frammentate i comparti che necessitano di collaborazione tra amministrazioni diversi sono quelli più indietro nello sviluppo. Intervenire seriamente nel turismo (e non solo sulla promozione e sul marketing) comporta il coinvolgimento di una pluralità di soggetti e di organizzazioni. Purtroppo in Italia questo è uno svantaggio perché la collaborazione è difficile. Se potessi mettere in fila le priorità, lato pubblico, direi:
  • 16. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 15 - competenze tecniche ad hoc, - programmazione nuova guidata da una nuova visione di futuro, - un’architettura amministrativa che tenga assieme il sistema turistico regionale attuale con competenze manageriali del turismo, che le unisca a quelle europee, su questo o si cambia o si perisce. àRispetto a tutto ciò, cosa c’è di diverso o di simile nell’attuale esperienza toscana rispetto a quella pugliese? In Puglia abbiamo lanciato una start up turistica, una sfida affascinante in termini di marketing, ma anche di sviluppo territoriale. In Toscana, regina turistica dell’Italia, parte determinante del brand-paese, mi misuro con un’industria più evoluta. Tuttavia, le difficoltà di politiche pubbliche “collaborative” tra gli enti è pressoché identica. La Toscana, per esempio, conta 28 “ambiti turistici” definiti in modo indipendente dalle competenze amministrative o dai brand di destinazione già presenti nella mappa mentale dei consumatori. Intendo dire che in Puglia come in Toscana, come in tutta Italia è difficile ragionare in un’ottica di mercato e combinare questa logica con scelte che implicano la visione di futuro che un territorio ha per sé stesso. Significa pretendere dalla Pubblica Amministrazione (e dalle migliaia di assessori al turismo del nostro paese) di abbandonare il proprio punto di vista, assumendo quello della domanda. Ma anche guidare e organizzare il sistema perché scelga in modo consapevole quella domanda (quale turismo serve al mio territorio, quale è conveniente e sostenibile), con una programmazione fatta di numeri e di coinvolgimento di tutti gli attori. Tu con il caso del Piano turistico triennale della Liguria (2011) sei stato un precursore in Italia di questo modello: programmazione dal basso con il coinvolgimento anche delle comunità dei residenti, ma dentro il quadro di un metodo scientifico. In Italia invece siamo pieni di Piani del turismo, privi di numeri e soprattutto di efficacia reale. Penso che occorra cambiare le regole del gioco e che permettere alla programmazione turistica di avere applicazione normativa sia per esempio una buona iniziativa. In Puglia ci abbiamo messo oltre un anno a scrivere, coinvolgendo tutto il territorio, il Piano paesaggistico: oggi è uno strumento che regola la vita della Regione perché dotato di strumenti attuativi. Tutti lo conoscono e lo applicano, e non si sposta una virgola sul territorio senza una coerenza con quel Piano. Penso a una forza del genere per la programmazione del turismo, con meccanismi di indirizzo e controllo su mobilità, accomodations e servizi pubblici. [2] Serve la dichiarazione dello stato di crisi industriale del settore: bisogna a tutti i costi evitare i fallimenti e salvare l’industria del turismo e i posti di lavoro. Abbiamo bisogno di un grande piano di investimento pubblico sul tessuto imprenditoriale turistico italiano affinché entri nel terzo millennio. Utilizzerei questo “piano Marshall” e il tempo di stop per innovare il sistema produttivo connettendolo al mercato che sarà. à Le leve strutturali potrebbe essere tre: reti strutturate, crescita di scala e re-branding Italia. Che ne pensi? Concordo ma il passaggio fondamentale è il pieno “riconoscimento industriale”. Sul re-branding Italia, visto che sul marketing turistico siamo allo start, proviamo a lavorare su turismo e made in Italy insieme. Magari facendolo in modo finalmente professionale, non sarebbe male.
  • 17. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 16 [3] Confesso che resistere alla tentazione di cambiare mestiere è difficile. Per il momento sto provando ad assecondare una spinta interessante per un nuovo approccio pubblico al turismo, con competenze all’altezza di questo importante settore economico e politiche pubbliche evolute. In particolare sto “giocando con i dati”: il mio chiodo fisso è da un po’ di tempo il management data driven dei territori. Non abbiamo infatti nessun sistema di big data e nessuna capacità di lettura di big data integrati, soffriamo cioè dell’incapacità di analizzare in tempo reale che è figlio del disordine organizzativo. Un paese come l’Italia deve poter avere la capacità di analizzare grandi dati e definire scenari in modo scientifico e in tempo reale.
  • 18. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 17 20-04-2020 Nevio D’Arpa Imprenditore, founder e CEO di BTM Puglia, il più importante evento culturale e commerciale del turismo in sud Italia. Amministratore unico della società e omonimo progetto 365 giorni in Puglia, ideatore del progetto “Occhio alle spiagge”, editore della rivista e del blog “Salento Review”. Vive a Lecce. [1] La Puglia si è sempre distinta rispetto ad altri territori per il suo enorme potenziale che, va detto, non è stato mai completamente espresso, nonostante i miglioramenti dell’ultimo decennio. In generale, si potrebbe cambiare l’approccio con le OTA, che gestiscono il 80% delle prenotazioni delle piccole strutture. Per la Puglia si potrebbe studiare e strutturare una nuova strategia di destinazione e, più nello specifico, organizzare il Salento come una vera destinazione. Se non si fa squadra, se non si fa rete, vuol dire che non c’è un progetto comune. Per esempio mancano i servizi essenziali come i trasporti. Non c’è un servizio di transfer pubblico adeguato dall’aeroporto di Brindisi a Lecce e per gli altri comuni a vocazione turistica, come per esempio Otranto, Gallipoli, tanto per citare le località più note, ma soprattutto c’è ancora tanto da fare per rinforzare la collaborazione tra pubblico e privato, creando una vera ed efficace sinergia. Siamo lontani anni luce da tutto ciò: paradossalmente costa meno un Brindisi-Londra che un Brindisi- Leuca. Il problema è anche negli attori del turismo: - le Amministrazioni pubbliche sono in deficit, non hanno i soldi neanche per un servizio di webcam in spiaggia che l’anno scorso, per esempio, avrebbe potuto dare un contributo importante nella gestione dell’overtourism e quest’anno avrebbe potuto offrire un’opportunità senza precedenti per il controllo del distanziamento in spiaggia nel post-quarantena. Ed è inutile ricordare che la Puglia è una regione lunga 400 km con oltre 850 km di costa; - i Comuni non collaborano tra loro, ci sono pochi IAT o Info-point comunali; - stessa divisione tra i privati - a Lecce arriva ora la fibra, negli altri comuni ancora niente, e wi-fi pubblico quasi inesistente. [2] Ripartire dalla formazione, soffriamo di troppa improvvisazione, abbiamo vissuto l’”età dell’oro” degli ultimi 10-15 anni senza portare a casa nessuna modifica sostanziale, siamo ancora al modello “casa vacanze + Airbnb”. Questo momento di emergenza potrebbe essere l’occasione per riprogrammare e riorganizzare il modello. Serve una rete forte che promuova innovazione e organizzazione dell’offerta, con standard omogenei a livello di servizi e di prezzi. [3] Siamo un paese spaccato in due che produce un messaggio disomogeneo.
  • 19. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 18 In questa emergenza, le imprese non sono aiutate nel modo giusto, rischiamo di finire come in Grecia con la svendita del paese. Nel turismo non abbiamo un approccio e una strategia uniforme. Lo Stato dovrebbe garantire delle regole certe, che consentano di programmare una ripartenza del settore e nel frattempo dichiarare lo stato di crisi per il turismo e gli eventi ad esso collegati. Siamo disuniti, mentre altre nazioni hanno fatto quadrato e sono pronte a ripartire, come ad esempio la Grecia che aprirà comunque puntando sul turismo nautico e si prepara, già da luglio, ad accogliere i turisti stranieri provenienti da determinati paesi, per poi ipotizzare una riapertura graduale per tutti gli altri.
  • 20. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 19 21-04-2020 Edoardo Colombo Libero professionista esperto di innovazione, specializzato nella trasformazione digitale del turismo per la Pubblica Amministrazione e per le imprese. Vive a Roma. [1] Sono un ottimista inguaribile, questa crisi è un’opportunità, p.e. ha sdoganato la tecnologia di collaborazione e ha consentito di applicarla a una platea molto vasta. Altro esempio, l’incidente delle OTA che hanno privilegiato l’utente finale anziché gli hotel ha messo in luce che la dipendenza da questo tipo di distribuzione debba essere rimodulata. Nessuna piattaforma nazionale avrebbe qualche speranza di competere nel mercato internazionale ma si potrebbero sperimentare nuovi approcci e paradigmi a livello nazionale, come dicemmo nel TD Lab ai tempi del Piano Strategico nazionale del turismo. Per esempio nel gruppo Turismo di Cultura Italiae si sta pensando a un nuovo ruolo della CDP (Cassa Depositi e Prestiti) nel turismo che, come soggetto pubblico-privato, potrebbe intervenire ad esempio destinando all’innovazione nel turismo 100 milioni tratti dal miliardo del Fondo Innovazione. Insieme con altre società partecipate o pubbliche come Poste, TIM, Eni, Trenitalia, che secondo le loro anagrafiche gestiscono il 95% della domanda nazionale, si potrebbe avviare un progetto di un Polo industriale del turismo sul tipo del modello della Cdp francese che produce utili e fatturato da piattaforma digitale e infrastrutture di trasporto. Alla luce delle attuali criticità le nostre imprese diventano possibili prede, vanno invece sostenute e tutelate anche come marchi storici, facendo politiche di senso come la promozione di una catena italiana di alto livello. Dentro a quel Polo industriale del turismo potrebbero entrare anche attività italiane del marketing digitale turistico, p.e. Valica o ce ne sono tante altre, creando un’aggregazione di competenze fondato su spalle forti, competitivo prima Italia su Italia e poi anche all’estero. È un’opportunità per creare un nuovo marketplace che possa invertire il flusso del channel management: come è oggi l’offerta degli hotel viene proposta su “n” panieri, un domani si potrebbe creare un backend su un server nazionale di CDP che dia accesso diretto al mercato e consenta l’aggregazione dell’offerta anche a favore delle AdV. Uno strumento di questo tipo potrebbe aumentare la competitività e consentirebbe anche di recuperare punti di PIL. Del resto, se non ora quando? Io penso serva un soggetto industriale nuovo che metta insieme gli enti e che acquisisca le aziende in un processo di valore nuovo. Adesso arriveranno probabilmente i voucher per le vacanze, si potrebbe mettere su un vero e proprio catalogo di luoghi di vacanza, un po’ come è stato fatto con il circuito dei bonus per i diciottenni. Un altro caso simile è quello del turismo sociale, ad esempio la Spagna fa esattamente questo: non dà dei soldi a chi se ne sta sul divano ma a chi li spende per vacanze sociali che così facendo creano lavoro e consentono agli alberghi di rimanere aperti fuori stagione. Penso che un soggetto privato-pubblico possa essere nelle migliori condizioni per fare scelte di marketing, mentre un’amministrazione è soggetta a utilizzare criteri che tutelino la “tranquillità del funzionario” come ad esempio pubblicare l’elenco degli hotel su un sito in ordine alfabetico. à E nel progetto del Polo industriale del turismo, con le Regioni che si fa?
  • 21. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 20 Nella costituzione l’art.117 comma R attribuisce allo Stato Centrale la delega al coordinamento dei dati, un’iniziativa di un Polo industriale di questa natura potrebbe essere un servizio utile per standardizzare e rendere interoperabili le informazioni, e anche le Regioni ne trarrebbero giovamento. [2] Potremmo ripartire dalla “leva” degli italiani nel mondo, che sono motivati da affetto e attenzione proporzionale alle ricorrenze. Se passa l’idea di fare del 2021 “l’anno del ritorno”, come hanno già fatto altre nazioni con una forte presenza diffusa nel mondo, si potrebbe disporre di un prodotto-contenitore che diventi un’occasione per favorire investimenti pubblici e digitalizzare, come accade con i grandi eventi, i Mondiali o le Olimpiadi. Penso serva un “approccio giubilare”, sfruttando anche il 75° della Repubblica Italiana, e va promosso come “una rimpatriata che non si può perdere”. Penso pertanto a un calendario nazionale e regionale degli eventi, una promozione anche Italia su Italia e non solo Italia nel mondo, per esempio sfruttano gli orgogli identitari, la giornata dell’orgoglio veneto, dell’orgoglio calabrese, etc., pensandola come occasione per creare nuovi prodotti turistici. Lo stesso ragionamento lo si può fare con i geni italici, con una giornata mondiale della lingua italiana per Dante 2021, come tutti i Paesi ONU fanno e noi ancora no, ho in mente il motto che esprime la voglia di tornare a visitare il nostro Paese “… e uscimmo a riveder l’Italia”. Un altro prodotto-contenitore potrebbe essere come sai il “turismo motoristico”, si tornerà molto a viaggiare in auto ed è un’occasione per valorizzare le vie storiche e quelle dei tematismi con un ritorno elevato di industrializzazione turistica. [3] Siamo un Paese che nelle difficoltà riesce a trovare coesione e determinazione. Dopo 75 anni stiamo per rivivere un dopoguerra ed è il momento di pensare in grande, con progetti a lungo termine anche di infrastrutture fisiche e digitali che favoriscano lo sviluppo del turismo. È un momento in cui è necessario formare e valorizzare le competenze, per lo più digitali, per affrontare i mega trend tecnologici nei quali esprimere la nostra creatività e capacità di essere innovativi.
  • 22. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 21 22-04-2020 Marta Paraventi Storica dell’arte, ricercatrice e divulgatrice. E’ Posizione Organizzativa Qualificata al Servizio Cultura della Regione Marche, in precedenza al Servizio Turismo-Area Marketing. E’ inoltre membro del Consiglio di Amministrazione del Consorzio Frasassi per la gestione dell’ipogeo.Vive ad Ancona. [1] Turismo: argomento difficilissimo, connotato da dati negativi relativi alla perdita di occupazione e fatturato, anche -60%. Il turismo culturale è uno dei temi e dei turismi portanti del nostro Paese: l’indotto dei musei italiani ad esempio vale 20 milioni di euro/mese e ad oggi sono tutti chiusi. La prospettiva per il turismo culturale a breve è lavorare sul turismo di prossimità, nel frattempo sono avvenuti alcuni cambiamenti: - presenza dei musei sul web; è bello, ma noto grande confusione, la corsa al digitale è stata spesso concepita come valorizzazione esasperata del museo senza generare una reale trasmissione del sapere in chiave digitale che ha dinamiche e metodi propri; - nel futuro riusciranno a ripartire solo gli istituti culturali già strutturati che non improvvisano, perché già organizzati a livello digitale, settore che necessita di approccio diverso e di competenze specifiche. Nei beni culturali non si può tornare indietro, e non solo per quanto riguarda i musei statali e quelli più grandi. Lo stesso discorso deve comprendere anche la risorsa culturale nei territori e per questo bisogna affrontare di nuovo il progetto dei piccoli borghi. Se prima il turismo culturale si concentrava verso l’opera-simbolo, la città-simbolo, adesso la scelta dovrà essere più precisa, andrà selezionata in chiave di offerta, per contrastare una sorta di “abusivismo” dell’offerta senza servizi adeguati per l’utenza, spesso diffusa in Italia. Paradossalmente penso che per i beni culturali, la pandemia possa essere un’opportunità sia nel generare nuova offerta che per la richiesta di specifiche competenze culturali orientate alla nuova domanda. [2] Il turismo stagionale concentrato nel balneare non è riproponibile, dovremo cambiare e offrire nuove esperienze. Spariranno alcune attività, bar e ristoranti, la differenza sarà l’adesione a protocolli di sicurezza e l’esperienza che verrà proposta dalle strutture sulla base di standard nazionali e internazionali. Penso tuttavia che questo sia un’opportunità per mettere a valore le caratteristiche culturali di città d’arte medio -piccole e borghi storici (come nelle Marche). Qui il nodo da affrontare è l’”accessibilità di sistema” non solo la reperibilità dell’hotel: intendo come viene coinvolta la comunità, chiamata a ridisegnare il progetto di vita del borgo, il sistema dell’accoglienza, la capacità di sostenersi con le nuove economie generate. Inoltre si dovrà sostenere il capitale umano del turismo culturale e della cultura che ha investito su competenze, relazioni e progettualità. Questa è la parte più fragile, è una “catena del valore” drammatica perché colpita nel cuore della sua attività unica e irripetibile: lo spettacolo dal vivo. Dobbiamo quindi investire su nuovi temi, p.e. spettacoli per palcoscenici non tradizionali, perché il lavoro filosofico di ricerca su nuovi argomenti, idee, non si può fermare.
  • 23. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 22 Chi lavora e ama l’arte vive come una relazione sentimentale: o la consumi o non ce l’hai. Non esiste arte senza la messa in scena o il consumo intellettuale dell’arte. La ricerca ha un valore in sé, un museo non è tale se non fa ricerca; un teatro non è solo spettacolo ma è ricerca e rilettura dei testi musicali del passato per scoprire e mettere in scena nuove partiture, è analisi filologica del testo per lasciare spazio ai registi di creare nuove rappresentazioni. Ma soprattutto oggi la cultura non deve essere più un privilegio, e serve infatti un ponte tra la comunità e chi studia l’arte. Solo se continui a studiare un’opera scopri la complessità che contiene e da qui si possono trarre nuove chiavi di lettura e riproposizione di temi anche passati al contemporaneo. Io faccio ricerca nell’arte per passione e per mestiere e se non avessi il web impazzirei a cercare libri e documenti nelle biblioteche. Penso pertanto che sia fondamentale il “mediatore digitale”, un umanista esperto di comunicazione digitale che diventa supporto di ricerca, che facilita così la creazione di nuovo valore per la domanda culturale e per il turismo culturale. [3] Sono costretta dagli eventi a lavorare a casa in smart working; mi occupo della programmazione cultura della Regione Marche 2020 e lavoro su 3 piani: sul contingente, sul medio e lungo termine. C’è poco tempo per riflettere, serve capire e decidere, è molto difficile razionalizzare e pensare al dopo. Il posto fisso mi dà tranquillità ma in prospettiva, mi domando, avremo meno fondi e meno liquidità? Cosa ne sarà della ricerca nell’arte? In ogni caso dobbiamo lavorare con più consapevolezza, migliorare ciò che esiste e facciamo, è indispensabile. Il lockdown e un maggior tempo libero facilitano letture e approfondimenti e sto completando una ricerca per una monografia su Lorenzo Lotto e le sue opere perdute (pittore rinascimentale, *Venezia 1480, +Loreto 1557) curata dal prof. Enrico Maria Pozzolo dell’Università di Verona. E’ un lavoro affascinante, devo quasi “immaginare” la vita dell’artista nei vari contesti: prendi una verità storica, gli dai una dimensione immaginifica a partire da un inventario, una memoria, uno scritto. Il mio sogno è terminare la carriera alla direzione di un museo d’arte.
  • 24. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 23 23-04-2020 Kamel Ben Youssef Professore di marketing e strategia alla IUT Ville d’Avray della Universitè Paris Nanterre, visiting professor all’Università di Torino, studioso appassionato dell’Italia, del design e del turismo culturale. Vive a Parigi. [1] Ci troviamo in una strana relazione che parte dalla Cina, passa dall’Italia e arriva in Francia. Cosa vediamo? E’ come essere nel film The Day After. Mi domando quale mondo lasciamo ai nostri figli. Professionalmente siamo cresciuti nel modello delle 4P (Prodotto, prezzo, comunicazione e distribuzione) del Kotler ma il covid-19 cambia le 4P in un nuovo spazio. Come comunicare? E’ cambiato tutto, anche la distribuzione in un supermercato. Ogni sera succede un fatto interessante: le persone vanno al balcone o alla finestra ad applaudire medici e personale sanitario, chi non ha mai suonato si è messo a suonare, e la tecnologia aiuta tutto questo. Non c’è più la possibilità di vedersi e parlare al bar, oggi internet è il bar, è il luogo di incontro, è la pausa in un ospedale o in una fabbrica. In tutto ciò gli influencer hanno un grande ruolo perché sono più ascoltati dei politici e possono essere molto utili per il turismo. [2] L’Europa non è un modello unico ma la priorità è capire e affrontare le esigenze finanziarie e strutturali delle imprese. E domani Macron riceverà tutti gli attori del turismo della Francia. à In Italia non è successo ancora … Applichiamo il metodo PEST (L'analisi PEST, acronimo di Politica, Economia, Società e Tecnolgoia, è una metodologia che si basa su alcune variabili del contesto che riescono a tratteggiare lo scenario esistente nell'ambiente in cui opera un'azienda, al fine di individuare quali variabili possono essere rilevanti nel processo decisionale aziendale, nelle scelte strategiche e operative, cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Analisi_PEST) e la scelta sarà metter soldi nelle tasche delle persone. In Italia Conte fa quello che può ma mancano le informazioni giuste e in una crisi sanitaria, economica e sociale non va bene. Il nodo di tutto è l’inquinamento, dobbiamo investire sull’ambiente ma serve una decisione europea. Dobbiamo cambiare paradigma ma un paese da solo non ce la può fare. Dobbiamo cambiare il capitalismo con una forte dose di ecologia, il nuovo modello è l’opportunità ecologica. Quindi non più turismo ad alto tasso di consumo, ad alta dispersione ambientale e inquinamento. Manca uno spazio, lo “spazio ambiente”. Le persone stanno già andando in questa direzione, dai taxi che trasportano gratuitamente medici e infermieri agli chef che preparano loro il cibo. E’ una grande occasione di economia circolare. La sfida in gioco è la “customer education”, cioè dare informazione giusta al consumatore perché sia un consumatore consapevole. Questo è stato possibile e funzionale in situazioni estreme come in Libano e in Tunisia ( la rivoluzione del Jasmino! La primaverra araba), può esserlo anche con il covid-19. Se vai sul sito del Ministero
  • 25. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 24 degli Affari Esteri francese ad esempio c’è una mappa del mondo in aggiornamento costante, con zone verdi gialle e nere, che ti dice dove puoi andare in modo sicuro. Ecco questo bisogna fare questo nel turismo e per tutto. Non sono le mascherine che risolvono il problema ma le informazioni giuste, bisogna essere credibili con le persone/cittadini. [3] Gli italiani sono delusi dall’Europa ma dobbiamo lavorare insieme, non c’è alternativa. Ci vuole volontà politica ma è un fatto più psicologico che altro, basta ripartire. Il nodo è sempre questo: dare l’informazione giusta, questa è la base per la ripartenza, cosa si può fare e cosa no, dove posso andare e dove no, come posso avere relazioni. Abbiamo tutti bisogno di relazioni.
  • 26. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 25 25-04-2020 Patrizia Battilani PhD in politica economica all’Università di Ancona, professore di storia economica al Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università di Bologna, è Direttrice del CAST, Centro di Studi Avanzati sul Turismo del Campus di Rimini. Svolge attività di ricerca in innovazione nel turismo culturale, fa parte del comitato editoriale del Journal of Tourism History edito nel Regno unito, e nel 2014 ha contribuito alla stesura della “Baku Declaration on Cultural Routes” per quanto riguarda le finalità di promozione economica e sociale. Vive a Bologna. [1] Serve un atteggiamento razionale per accettare l’innovazione e capire se è buona o cattiva. Dobbiamo combattere la pigrizia delle abitudini, che è un problema che riguarda il modo di produrre, di fare impresa e di organizzare il lavoro dentro le imprese. Chi lavora nella cultura può contribuire a generare un atteggiamento diverso verso la tecnologia. Dal 1992, il paese ha cercato di portare dentro al suo modello economico il concetto di fair competition sul mercato, facendo propria la normativa europea antitrust, ma sino ad ora non sono stati ottenuti i risultati che ci si aspettava in termini di crescita dimensionale delle imprese, né di sviluppo di settori innovativi. Dentro l’Unione europea non siamo riusciti a influenzare l’agenda e portare temi per noi importanti come il divieto di competere attraverso le tasse sui capitali o sul reddito, perché questa è la strada verso la distruzione dello stato sociale. Quel modello sbagliato di competizione ha aperto così la strada (fiscale) alla trasformazione di alcuni piccoli paesi come Olanda, Belgio, Irlanda in aree con basse tasse per i capitali internazionali. Anche per questo il nostro paese ha visto andare via tutti i centri direzionali delle grandi imprese, che hanno preferito insediarsi dove avrebbero pagato meno tasse. Questo però si è spesso portato dietro anche le fasi di pre e di post fabbricazione dei prodotti, che sono quelli a più alto valore aggiunto. In contemporanea il processo di de-industrializzazione in atto in tutti i paesi occidentali, spostava pare dei processi produttivi verso i paesi di nuova industrializzazione, dove il costo del lavoro era più basso. Nell’ambito di tali trasformazioni, le imprese italiane hanno mantenuto in Italia una parte della produzione, ma trovandosi a competere con i paesi di nuova industrializzazione, con conseguente riconcorsa verso il basso dei salari. Non ci ha aiutato il radicarsi di una generazione di rappresentanti politici che spesso hanno portato in Europa la conflittualità che maturava in Italia, contribuendo ad un indebolimento delle posizioni italiane nelle discussioni con gli altri paesi. A volte sembriamo essere tornati al ‘500-‘600, quando la competizione fra i diversi territori italiani impedì la creazione di uno stato nazionale e mise l’Italia in balia delle superpotenze dell’epoca. Penso occorra andare oltre la strategia di difesa e di conservazione che ci ha caratterizzato in questi ultimi decenni, per abbracciare con convinzione un cambiamento nei settori di specializzazione e nei modelli organizzativi delle diverse attività. E in Europa occorre provare a portare nuovi temi, che siano rilevanti per noi e attorno a questi cercare il consenso dei paesi vicini, a partire da quelli del Mediterraneo.
  • 27. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 26 [2] La risposta alla crisi è di accettare la “dimensione virtuale” e di riorganizzare i processi produttivi sfruttando tutte le opportunità che il mondo digitale ci mette a disposizione. Questo però richiede anche infrastrutture adeguate, nonché appropriate politiche industriali. Abbiamo sfruttato molto poco le potenzialità che il mondo di Internet offriva sia per riorganizzare i processi produttivi e la logistica dei prodotti, ma anche per migliorare la qualità della vita delle persone, ad esempio ricorrendo con maggiore frequenza al telelavoro e riducendo gli spostamenti per motivi di lavoro. Questo potrebbe consentire anche un miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza del sistema produttivo. Avremmo potuto farlo prima, non lo abbiamo fatto. Penso anche alle università, molte delle quali sono riuscite a garantire tutti i servizi a distanza e ad offrire agli studenti la possibilità di non perdere tempo e continuare a studiare durante il lockdown. Solo le attività di laboratorio sono rimaste bloccate e verranno recuperate al più presto. Tuttavia, non tutte le università erano pronte ad una simile trasformazione o disponevano già di infrastrutture adeguate. Forse i corsi molto numerosi potrebbero continuare ad avere una parte delle lezioni online (quando si fa lezione a 200 persone non c’è molta differenza fra online e offline), e combinarle con laboratori e gruppi di discussione che coinvolgano un numero di studenti non troppo elevato. Poi occorre accompagnare i ragazzi verso le nuove tecnologie, rendendoli capaci di governarle e di misurarsi con esse in modo critico. Lo stesso vale per le imprese e anche i piccoli negozi che hanno scoperto in queste settimane un’anima digitale che non sapevano di avere. Tutto questo però avrebbe bisogno anche di politiche industriali. Come impatta tutto ciò nel turismo? Quale domanda-cliente maturerà dopo il Covid? Premetto che non considero le crisi benefiche, tuttavia misurano l’efficacia e l’efficienza dei territori e accelerano cambiamenti che probabilmente sarebbero avvenuti comunque. Però nei territori meno organizzati la crisi rischia di fermare tutto, di generare un disastro. Quali esperienze turistiche cercheremo dopo l’epidemia, ovviamente non lo so, però qui posso offrire degli stimoli alla riflessione: -il mondo digitale. Come ci sta cambiando la full immersion digitale? Negli ultimi anni si è molto ragionato sul turismo dell’esperienza, che incrociava e rispondeva a desideri e passioni che i visitatori maturavano nella vita quotidiana. La domanda da porsi potrebbe essere questa: se la vita quotidiana è così piena di esperienze digitali, quante esperienze digitali vorremo avere in vacanze, in hotel, in spiaggia, in montagna o in un museo? - il ritorno al classico. Per ragionare su questo voglio raccogliere una suggestione che viene dagli studi umanistici. Il concetto di classico c’è solo nella cultura occidentale (non lo troviamo ad esempio in quella orientale) ed è un concetto che periodicamente riaffiora accompagnato dal desiderio di rimettere in ordine, ritornare ai fondamentali, dopo le crisi o cambiamenti profondi. In questo periodo così difficile e confuso potrebbe proprio maturare il desiderio di rimettere ordine, di ritornare ai fondamentali. Possiamo formulare un concetto di classico per il turismo leisure? Forse sì, ed è l’idea di vacanza come esperienza finalizzata alla riconquista del benessere fisico e psicologico. Un ritorno non al viaggio, ma proprio al soggiorno nei centri termali e poi balneari del settecento e ottocento. Se quel modo di concepire il leisure può essere considerata la dimensione classica del turismo, allora l’epidemia potrebbe portarci verso il neoclassicismo e riproporci quella tipologia di esperienza; - una nuova mobilità. L’epidemia ci sta allontanando dai mezzi pubblici. Potrebbe non essere temporaneo l’allontanamento. Potremo trovare alternative all’automobile? Esiste una mobilità privata sostenibile? Pensiamo ad esempio ad una regione come la Sardegna con un territorio sinuoso e grandi distanze da percorrere anche nella quotidianità del turismo. Come si potrà affrontare lì il problema della nuova mobilità? Vorrei qui dare una risposta e farei anche un parallelo diciamo “industriale”. Si potrebbe, almeno qui, lanciare una collaborazione fra industria, turismo e comunità locali per lavorare su un progetto di e-bike, almeno per il breve-medio raggio? Però
  • 28. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 27 bisognerebbe coinvolgere i privati, collaborare con l’intera filiera della bicicletta, far diventare l’e- biking una moda, e realizzare anche interventi infrastrutturali e tecnologici. Anche su questo la progettazione europea potrebbe essere di aiuto; -cooperare. Grazie alla collaborazione con il Piano Strategico di Rimini – che mi pare una buona pratica di coordinamento pubblico e privato e un interessante tentativo di disegnare il turismo del futuro – mi sono resa conto che oggi, gli operatori più dinamici e con forme di impresa più strutturate, sono proprio quelli che esprimono in modo più forte un’esigenza di “cooperazione strategica”. A questo riguardo ci sono varie cose su cui lavorare: - il rapporto con le OTA; le catene alberghiere possono negoziare da posizioni non troppo deboli le condizioni, ma non i singoli hotel che, infatti, pagano commissioni molto alte; qui occorrerebbe organizzare ampi “sindacati d’impresa” che consentano ad un territorio o a un insieme di piccole imprese di contrattare da posizioni più forti, come suggeriscono gli economisti delle reti; - la formazione alla cooperazione; per potere rafforzare la cooperazione serve un lavoro culturale che dia consapevolezza dei vantaggi di una soluzione cooperativa. Il piccolo operatore ha bisogno di strumenti diversi da uno medio-grande e quindi dovrà cambiare anche il modo di fare formazione alle imprese. Serve anche qui un duplice livello, uno per le piccole e uno per le medio-grandi, perché le piccole se non imparano a cooperare non possono sopravvivere, Quindi in sintesi le parole-chiave sono nuova sostenibilità ambientale e sociale, cooperazione strategica degli operatori, incentivando i piccoli a cooperare e sostenendo l’innovazione dei grandi, e infine creatività. Da tempo sostengo che il turismo è una grande industria creativa, dobbiamo investire nella cultura dei luoghi e nella mente delle persone. [3] Mi sento di contraddire la cosiddetta narrativa del declino, ho vissuto più volte all’estero, anche di recente, e non è vero che la qualità di vita o i servizi pubblici siano sempre migliori che in Italia, neanche la qualità della politica mi è parsa migliore e si è visto dalle prime dichiarazioni di molti leader europei di fronte alla crisi del covid-19. Dobbiamo però affrontare temi nuovi perché il paese è in difficoltà da diversi decenni. Siamo di fronte ad una trasformazione tecnologica incompiuta che non ha ancora cambiato né le consuetudini delle persone né l’organizzazione del lavoro. Quindi non stiamo sfruttando, anche in termini di riduzione dei costi e invenzione di nuovi servizi, le potenzialità offerte dal mondo digitale. La transizione incompiuta è proprio quella verso la società digitale. Il mondo intellettuale forse non ha svolto il ruolo che gli competeva, vale a dire aiutare a costruire i nuovi percorsi. Si è un po’ adagiato sulla narrazione del declino. Le crisi sono benefiche? Non concordo per niente, come storico penso che le crisi generano dolore e serve molto tempo per riprendersi, per superare il desiderio di rivalsa sociale che generano. Però è chiaro che pongono una esigenza di cambiamento molto forte. E’ un contesto in cui chi ha nuove proposte deve fare la fatica di elaborarle e realizzarle. I rallentamenti sono concepibili nella normalità ma la crisi impone risposte rapide, richiede un’accelerazione. Diventa importante che le resistenze al cambiamento nel lavoro e nella società cadano. Se portiamo l’attenzione all’economia, il processo potrebbe essere accompagnato da politiche industriali che supportino la trasformazione tecnologica. Mi aspetto anche un’evoluzione della didattica e della ricerca: si perde troppo tempo per gli spostamenti casa-lavoro o verso i luoghi delle riunioni e questo influisce negativamente sull’ambiente e sulla produttività. Ci serve recuperare tempo per la nostra vita. La tecnologia è una leva, può essere utile per la questione ambientale, può rappresentare un’opportunità per gli anziani. Ma su tutto questo dobbiamo cambiare approccio, essere forse meno pigri e dedicare tempo ad apprendere nuove abitudini.
  • 29. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 28 28-04-2020 Milena Viassone PhD in Direzione aziendale all’Università degli Studi di Cassino e PhD ESCP Europe Parigi, è Professore Associato di Economia e gestione delle imprese presso il Dipartimento di Management dell’Università di Torino, Coordinatore del Campus di Management ed Economia – Università di Torino, Sede di Cuneo, Presidente del Corso di Laurea Magistrale in Direzione d’impresa, Marketing e Strategia – Dipartimento di Management, Università di Torino, con esperienza in Economia e gestione delle imprese turistiche e Modelli di business. [1] Il turismo è il settore economico e sociale più colpito dall’impatto covid-19, e i costi saranno più alti quando l’emergenza sarà finita. Per gli eventi sarà molto difficile reinventarsi. Il manifatturiero, con ogni probabilità, si riprenderà prima. Per dire cosa cambiare nel turismo occorre interrogarsi su come sta cambiando la domanda turistica, le cui principali caratteristiche sono: - desiderio di fare una vacanza - minore spesa e disponibilità a spendere - richiesta di prezzi bassi - riduzione della permanenza media e della durata delle vacanze, - vacanze più brevi lungo l’arco dell’anno, - turismo di prossimità, - etc. Cambieranno quindi i modelli di business: il settore andrà completamente ripensato, occorrerà promuovere più servizi di delivery, ripensare la comunicazione nel turismo poichè i tempi, i toni e i contenuti saranno decisivi. Il mercato penalizza i brand che comunicano in modo sfrontato. Al momento la migliore strategia è la brand protection per mantenere la quota di mercato e una relazione naturale con la clientela. Servirà una comunicazione più autentica e più umana, cioè più calore e personalizzazione delle destinazioni e delle proposte dell’operatore, e dobbiamo ricordarci che c’è stata una scoperta diffusa della tecnologia, con smart working e conference online. La rivoluzione digitale con il cliente-turista è avvenuta. [2] Non occorre reinventare tutto, ma riorganizzarlo. Il turismo sarà più di prossimità per un periodo relativamente lungo e l’outdoor la farà da padrone. Il turismo è un’industria importante per l’Italia perché è una leva chiave per la ripresa dell’intero paese. Bisogna ripartire dalla voglia di viaggiare del turista e quindi servono policy che inneschino il moltiplicatore economico del turismo: 100 euro di transazioni nel turismo ne generano ulteriori 86 in altri settori. Servono quindi politiche che agiscano sia sull’offerta sia sulla domanda. Ma come già ipotizzato siamo anche di fronte a un cambio di modelli, p.e.: - anche il turismo di prossimità privilegerà la sostenibilità (borghi storici),
  • 30. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 29 - le bellezze diventeranno più consapevoli, - dal punto di vista dell’offerta (operatori) il fattore sostenibilità è già ampiamente recepito mentre dal punto di vista della domanda c’è attrazione però non c’è ancora disponibilità a pagare di più, ma forse qualcosa cambierà per l’impatto covid-19. [3] Tre temi: competenze per il nuovo turista, nuove tecnologie per generare più valore, nuovi modelli di turismo. Probabilmente più che cambiare si integreranno di più tra loro, ma con questo punto ritorniamo al cambio dei modelli di business che accennavo prima. Ecco perché serve una nuova policy industriale a tutti i livelli, è un nuovo compito delle DMO: - specializzare l’offerta di soggiorno con più tecnologia, - fare rete per nuove esperienze ad hoc, - governance orizzontale in un ambito di economia circolare, - sistema produttivo sano per viaggiatori sensibili al turismo verde e sostenibile. Inoltre vanno ripensate anche le strategie pubbliche di intervento, perché abbiamo ancora un grande potenziale di valorizzazione inutilizzato e occorre aumentare la capability dell’offerta (lingue straniere, mobilità elettrica, etc.). Tra i prodotti, il turismo culturale è quello che risulta più colpito, anche in questo caso la tecnologia ci può aiutare a rimodulare esperienze per nuovi turisti più consapevoli.
  • 31. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 30 04-05-2020 Francesco Schianchi Formatore e consulente di lungo corso in strategia e cambiamento manageriale, è docente di design, analisi e creatività alla Scuola di Design del Politecnico di Milano. La sua attività di studio e ricerca è da tempo indirizzata all’interpretazione delle trasformazioni antropologiche, portandolo a formulare il concetto originale di “antropodesign” per migliorare la qualità della vita dell’uomo, degli altri viventi e dell’ambiente. Vive a Milano. [1] Prima un discorso di fondo: la necessità di tornare a mettere al centro i fini e non i mezzi. Il paradigma performativo degli ultimi trent’anni ha fatto sì che ci occupassimo soprattutto del “come” e mai del “perché”. Non è un caso che anche la Mazzucato (task force di Colao per la fase 2) ci abbia tenuto a ribadire che bisogna passare dal “vivere di rendita del valore” (ossia “estrarre valore”) a “vivere generando nuovo valore”. E’ un approccio diverso che sottolinea lo stesso concetto: per affrontare i problemi è necessario produrre efficacia dei fini e delle visioni. In Italia, per quella ragione, non c’è (più) “cultura del progetto” bensì una sottocultura della tecnologia performativa, ma con i soli mezzi non si risolvono problemi, e senza progetto non si va da nessuna parte. Allo stesso modo dobbiamo riconoscere che , ad esempio, i dibattiti sullo smart working sono una discussione sui mezzi, sulle modalità che non prende atto che invece è cambiato il lavoro, il senso stesso del lavoro. Quindi dobbiamo orientarci al progetto e alla ri-focalizzazione sui valori: l’unica bussola in grado di orientarci e capace di dare un senso alle nostre scelte. Dobbiamo dire basta ad esempio alla sottovalutazione/marginalizzazione delle “persone fragili”, anziani, immigrati, disabili, bambini, etc., che invece dovrebbero essere il riferimento centrale per ogni progetto. Dobbiamo cioè agire su ciò che genera “fragilità mentale”, oltre a quella economica e ambientale, che è la mentalità che non riconosce/non rispetta questi “portatori di valori” (non stakeholder che sono “portatori di interesse”). Ad esempio: basta con la superficialità delle smart cities, è necessario progettare e realizzare wise cities, le “città della saggezza”: non l’urbs, la città delle pietre bensì la civitas, la città delle persone e il senso di cittadinanza, devono tornare al centro del progetto, per vivere bene e per riappropriarci del futuro. E’ pertanto sbagliato pensare a un “ritorno al prima”, alla presunta normalità, anche perché assistiamo a un fenomeno mai visto da quando esiste il sistema capitalista: il produttore (di petrolio) che paga il cliente perché si porti via il prodotto. E’ un processo di azzeramento della realtà! Dobbiamo perciò riflettere su un concetto nuovo: sul “respiro”, non solo fisico, di cui nella memoria conserviamo tutta la tragicità di queste settimane, ma sul “dare respiro” all’immaginazione, al progetto, alla ricerca, al far sì che le persone siano chiamate a un “progetto prometeico” (ribelle, eroico, umano, ndr) perché il futuro è uno spazio e non è un tempo, e per questo non serve a nulla una concezione pseudo-religiosa di passato-presente-futuro, dando ad esso una messianica dimensione di salvezza. Sul turismo quindi possiamo fare una riflessione importante che provo a rappresentare con un parallelo apparentemente paradossale, ma spero illuminante, sulle banche: le banche non hanno
  • 32. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 31 venduto denaro, le banche vendevano speranza, attesa di futuro, il loro operare storicamente non era uno scambio di merce, bensì una “vendita” di fiducia. Un altro snodo di riflessione: nel periodo della Serenissima, i cittadini non andavano a Venezia per comprare o vendere spezie o tessuti, andavano a Venezia per conoscere storie dal mondo, per vedere i colori e sentire gli aromi del mondo. Il mercato aveva una dimensione non solo economica, ma relazionale, conoscitiva, culturale. Allo stesso modo il turismo dell’impatto covid-19 va cambiato e reinterpretato sotto due aspetti: - un primo aspetto di tipo strutturale, cioè i luoghi, i trasporti, le tecnologie, le strutture, gli attrattori, il cibo, gli eventi etc., cioè la complessità di un settore industriale che lavora per il benessere delle persone e la sostenibilità ambientale, arricchito di una nuova dominante di sicurezza, protezione e certezza con una risposta oggi più che mai orientata alla cultura della salute; - un secondo aspetto di tipo antropologico, perché il turismo è l’unico settore industriale che se ne occupa nella sua complessità costituiva ed espressiva, che deve tenerne conto - culture, abitudini, sostenibilità ambientale, paesaggi, spazi, stili di vita, valore del rispetto delle persone – e quindi, nella trasformazione che stiamo vivendo, il turismo deve produrre anche un’altra trasformazione: passare dalle emozioni (fatto superficiale, al limite del furbo), con tutta la deriva del marketing turistico del “vendere e esperienze”, ai sentimenti, alla profondità dell’uomo, al “design dei sentimenti”. Un esempio basico per comprendere quel concetto: prendiamo ”l’angoscia del buio”. Quando si progetta una lampada per un bimbo si tengono in considerazione tutti i fattori materiali, di gusto e di sicurezza, ma soprattutto che quella lampada al bimbo deve assicurare la risposta a un sentimento profondo qual è per l’appunto l’angoscia del buio; l’angoscia è più della paura, la paura puoi evitarla e al limite riconoscerla, l’angoscia no, la devi affrontare, l’angoscia ha bisogno di appigli e la risposta è la luce al posto del buio; nel turismo la luce è interpretare il “territorio delle vacanze”, delle relazioni, delle emozioni, ma soprattutto oggi, e per il futuro, dei sentimenti “mobilitati” dall’impatto covid-19. Preciso che da sempre il design ha avuto la missione di interpretare e generare emozioni, un ambiente piacevole e un’emozione positiva: oggi il lavoro del design transita dall’oggetto all’uomo, o meglio alle persone e al loro contesto “esterno ed interno”, e per questo nel turismo è giusto ragionare di “design dei sentimenti” per affrontare l’angoscia, l’amore, etc. , l’“investimento” della domanda quanto dell’offerta, per tornare a proporre risposte, ad alimentare vite, frammenti di vita positive, nutrienti per il profondo delle persone. [2] In un quadro generale il turismo ha bisogno anche della pace per esprimersi, il turismo è una cultura di pace, per il turismo la pace è una condizione strutturale, purtroppo non per tutti i settori industriali è così. Pertanto nella complessità del sistema turistico gli elementi valoriali non sono aggiuntivi, ma sostanziali e strutturali: è la condizione perché il turismo possa esprimersi, la sua cifra espressiva. “Viaggiare è partire da un posto e quando ci si ritorna , scoprire che è del tutto diverso”, voglio dire che nel turismo avviene un “attraversamento del sé”, del proprio profondo: ecco perché contano i sentimenti. Ogni attività turistica è un coinvolgimento profondo delle persone, non è solo un fatto esterno, è fare i conti con sé stessi, con la propria esperienza esistenziale, non con eventi finti o superficiali. Per questo dobbiamo ri-focalizzarci sulla prossemica, sugli spazi e i segni dell’uomo. L’impatto covid-19 è una messa in discussione della prossemica tradizionale, è un evento interiore a tre livelli: tra sé e sé, tra sé e il viaggio, tra sé e le persone che incontri nel viaggio. Mantenere le distanze non è solo un problema di salute, mantenere le distanze è un imperativo dei comportamenti collettivi (era un “fatto di classe” nel turismo luxury). La trasformazione della prossemica tradizionale deve diventare un nuovo contenuto culturale, una nuova “materia progettuale”, non interessa tanto il mezzo-distanza, la sua strumentazione, ma la
  • 33. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 32 dimensione dell’invisibile, il cambiamento che comunque avviene dentro sé stessi: un processo di sedimentazione, un passaggio dalla emozioni ai sentimenti, come dall’innamoramento all’amore. La domanda di progetto da porsi è dunque “cosa rimane dentro di te da un viaggio?”, bisogna lavorare sulla profondità, sui sentimenti, rispetto alla superficialità, il selfie. Dobbiamo dialogare con l’anima delle persone, perché la stessa cosa avviene nel design: anche gli oggetti hanno un’anima, gli oggetti che hanno un’anima provocano una produzione/sedimentazione di emozioni e di ricordi, provocano un sentimento non solo una funzione d’uso. [3] La mia ricerca, oltre al corso al Politecnico, mi porta a trasformare le riflessioni in momenti divulgativi e formativi a vari livelli: cosa vuol dire essere profondi nella contemporaneità? Vuol dire per esempio, studiare come si comportano i giovani nel post covid-19, come avviene la trasformazione della realtà. Rispetto alla realtà del Paese mi preoccupa molto la mancanza di progetto, lo schiacciamento sui mezzi, sulla tecnologia, sulla delega salvifica alla scienza producendo l’annichilimento dei valori. L’Italia è un paese “perso” perché si è perso/focalizzato solo sui mezzi, ha dimenticato la parola cardine del rinascimento: la prospettiva. E’ un paese che soffre di “mercatizzazione” e di “vetrinizzazione”, è diventato un grande ipermercato, si vende di tutto dalla droga alle portaerei, tutto è consumo delle apparenze. I beni culturali sono messi in vetrina non raccontati, sono spettacolarizzati, abbiamo venduto immagini non cultura. Non abbiamo un progetto su niente. Per concludere un doveroso ricordo di Sepulveda: ci ha invitato a realizzare una rivoluzione dell’immaginario collettivo e di lavorare per creare una società di cittadini e non di miserabili consumatori. Questa mi sembra la sfida reale che abbiamo davanti come persone, gruppi, istituzioni, imprese, partiti, associazioni.
  • 34. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 33 E dopo? E dopo pensiamo di provare a rendere continuativa questa esperienza di ricerca e confronto: con un ampliamento dei contributi e degli argomenti, con alcuni incontri collettivi online, con il reporting sistematico e l’informazione sui contenuti, e magari con qualche verticalizzazione di ricerca. Nel frattempo, dopo la pubblicazione a inizio aprile 2020 del rapporto di ricerca #dallapartedelturista – 50 policy covid-19 a confronto, e dopo questo documento Una chat su “Turismo, The Time After” di esplorazione culturale sul futuro, inedita, genuina e originale, il nostro Studio si appresta a lanciare una terza operazione per contribuire a sostenere il turismo italiano: un sistema di survey indipendente accessibile online per scoprire come rilanciare la stagione 2020 e programmare quella del 2021 mettendosi, appunto, dalla parte del turista. In due mesi, saranno coinvolte oltre 3 mila persone in posizioni apicali del turismo italiano nelle amministrazioni pubbliche (20% circa) e nelle imprese private (80% circa), distribuite in 10 regioni- destinazione equivalenti al 60% dell’economia turistica italiana, che potranno analizzare e misurare in modo autonomo e semplificato lo stato d’animo e le aspettative di vacanza dei propri clienti di riferimento, ottenendo risposte a caldo per rimettersi in gioco e valutare/affrontare i cambiamenti della domanda e le nuove opportunità. Quei soggetti ne saranno i diretti protagonisti e noi solo strumento di servizio. #staytuned. Grazie dell’attenzione e della collaborazione. Il team dello Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione e Data Analyst Emanuela Bussu Digital advisor e Consulente di comunicazione Marco Antonioli Sociologo e Analista di ricerca in small & big data Beatrice Pinciaroli Digital advisor e Analista di ricerca Daniele Esposito Economista dello sviluppo sostenibile e Analista di ricerca
  • 35. #dallapartedelturista Una chat su “Turismo, The Time After” © Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione | www.giaccardiassociati.it | ed. 12-05-2020 34 Chi siamo