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Introduzione alla terza edizione Introduzione alla seconda edizione Istruzioni per l’uso Perché la chiamiamo popular music? Musiche nel Novecento Musiche nel XXI secolo Che genere di musica? I generi musicali e i loro... more
Introduzione alla terza edizione
Introduzione alla seconda edizione
Istruzioni per l’uso
Perché la chiamiamo popular music?
Musiche nel Novecento
Musiche nel XXI secolo
Che genere di musica?
I generi musicali e i loro metalinguaggi
Generi in trasformazione: l’elettrificazione di alcune musiche
nel Mediterraneo
Musiche, categorie, e cose pericolose
Tipi, categorie, generi musicali. Serve una teoria?
Il re è nudo: il campo musicologico unificato e la sua articolazione
Abbiamo un riff, o due
Forme e modelli delle canzoni dei Beatles
Questo pacchetto ti soddisferà: qualche cenno su From Me To You
(Verse)/Chorus/Bridge Revisited
Don’t Bore Us – Get To The Chorus. Serve la «noia» alle canzoni?
Complessità progressiva nella musica dei gruppi angloamericani, 1960-1967
Acquiring the Taste
De André il progressivo
La musica seria di Keith Jarrett
Vero o falso? Estetica della musica «riprodotta»
Il suono di chi? Popular music e tecnologia
Cucina elettronica e paesaggi immaginari
You’re pushing the needle to the red, ovvero della prospettiva, arte dell’illusione
Diavolo d’un Gabriel?
Come la vuole, la sfumatura?
Mai dire mai
Cuffia o altoparlanti?
Le «bolle musicali»: musica e automobile
Soluzioni criptiche
Traduzioni milionarie
Forza Milan!
Diritto, diritti e dritti: la Siae divide (e impera)
Muzak per le nostre orecchie
La bassa fedeltà è indigesta
Frank Zappa e gli altri ragazzacci
Organizzare il sound
Come il disco
Il Prometeo di Luigi Nono: l’occhio colpisce ancora
Il gesto e la musica automatica
Dalla musica automatica a quale cinema?
Bibliografia
Fonti
Indice dei nomi
Quattro anni da leggere, e da ascoltare L’ascolto tabù La scena: gente che balla La musica, l’elettroacustica, i pensieri musicali Per una critica del fallacismo musicologico Studiare la popular music, in Italia Paint It Black, Cat:... more
Quattro anni da leggere, e da ascoltare
L’ascolto tabù
La scena: gente che balla
La musica, l’elettroacustica, i pensieri musicali
Per una critica del fallacismo musicologico
Studiare la popular music, in Italia
Paint It Black, Cat: rock, pop e Mediterraneo
Musiche del mondo
Serve la musica, alle canzoni?
Il cielo in una stanza
Mettere in musica la poesia: una bella storia
Essere cantautore oggi
Il cantautore con due voci (e con molte mani)
Quello che le parole non dicono
Sanremo, il festival
L’industria della musica
Le canzoni, la politica, la guerra
Storie della radio
Bibliografia
Fonti
Indice dei nomi
Questa nuova edizione de L’ascolto tabù contiene circa il 40% di testo in più rispetto alla prima, introvabile da tempo. Il libro era uscito nel 2005 in una collana e in un formato che il Saggiatore ormai ha abbandonato, quindi aveva poco... more
Questa nuova edizione de L’ascolto tabù contiene circa il 40% di testo in più rispetto alla prima, introvabile da tempo. Il libro era uscito nel 2005 in una collana e in un formato che il Saggiatore ormai ha abbandonato, quindi aveva poco senso ristampare il volume tale e quale. Inoltre, sono passati più di dieci anni da quella prima pubblicazione, così ho accettato molto volentieri il consiglio dell’editore di prepararne una nuova stesura.
Mentre riflettevo su quali materiali aggiungere, mi sono anche domandato se ci fosse qualche testo che potesse essere eliminato. In particolare, ci sono alcune sezioni nell’ultima parte del libro che hanno un chiaro carattere giornalistico, e che sono molto legate all’attualità dei primi anni duemila: la guerra in Afghanistan, l’evoluzione dell’industria discografica, il Festival di Sanremo e il Mantova Musica Festival, le polemiche sulla direzione di Radio Tre negli anni successivi alla vittoria elettorale della Casa delle Libertà nel 2001. Alcuni di questi nomi, già da soli, mi procuravano qualche spiazzamento: Casa delle Libertà? Mantova Musica Festival? Industria discografica? Ma rileggendo (e spero che condividerete quest’impressione) mi sono reso conto che alcune di quelle «storie» non sono mai finite, o hanno lasciato tracce profonde nella situazione attuale, o meritano comunque di non passare nell’oblio, perché non si sa mai: potrebbero anche ripetersi. In ogni caso, mi è parso che valesse la pena di leggere con gli occhi di oggi commenti su vicende che distano da noi al massimo quindici anni: in alcuni casi sono stato un buon profeta (non è sempre facilissimo, mi darete atto), in altri ho sbagliato di grosso, in altri ancora è cambiato ben poco. In uno dei testi si parla del «videotelefonino», ma dovete aver pazienza se non l’ho chiamato smartphone: l’articolo era del 2003, e Steve Jobs ha presentato l’iPhone nel 2007.
Alla fine, ho deciso di lasciare quelle parti pressoché intatte, aggiungendo qualche nota, correggendo errori che mi erano sfuggiti, modificando espressioni giornalistiche che non sopporto più. Gli altri testi, quelli di carattere saggistico, mostrano molto meno i segni del tempo. Un po’ per il loro carattere più meditato, un po’ perché assomigliano alle cose che ho scritto in seguito: più o meno dall’epoca della prima edizione de L’ascolto tabù, infatti, ho smesso di fare il giornalista, mentre ho intensificato il lavoro di saggista, dedicandomi sempre più alla ricerca e all’insegnamento. Questo mi ha guidato anche nella scelta del materiale da aggiungere nella nuova edizione: ho voluto inserire testi che ampliassero gli argomenti già elaborati nella prima edizione, tralasciando invece studi più specialistici, che probabilmente meritano di essere raccolti in un volume di carattere diverso.
Ecco, dunque, cosa ho aggiunto: «Comprendere e fare popular music», testo di una relazione presentata nel 2012 a un convegno della Società italiana per l’educazione musicale, nella quale si sviluppano temi – il titolo è esplicativo – in parte trattati nella prima sezione del libro; «non toccare le manopole», altra relazione (mai presentata, in realtà, perché gli altri partecipanti al convegno avevano sforato i tempi…) che affronta il tema a me caro dell’ascolto di musica registrata nell’università, nei conservatori, nelle occasioni accademiche; «Sui nomi delle musiche», un breve saggio preparato su richiesta dell’Accademia della Crusca nel 2015, che idealmente completa la prima parte de L’ascolto tabù, dedicata ad aspetti teorici e politici dello studio della popular music (ringrazio l’Accademia della Crusca e l’editore GoWare per avermi concesso di riprodurlo qui).
Segue un’ampia sezione che potrei definire di «casi di studio», che ho deciso di far iniziare con un testo pubblicato nel 2007 in un libro curato da Riccardo Bertoncelli e Franco Zanetti (che ringrazio, assieme all’editore Giunti): «A chi piaceva “Lovely Rita”?», una riflessione su Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles e sulla sua ricezione in Italia. Più avanti, alla fine di una serie di testi sulle musiche di tradizione orale e sulla world music che si concludeva con un racconto del funerale di Roberto Leydi, ho aggiunto un articolo breve, preparato per L’Indice dei libri del mese, scritto nel 2016 poco dopo la scomparsa di Umberto Eco (che del funerale di Leydi fu uno dei protagonisti). Il nome di Eco ritorna spesso nel libro, anche e soprattutto in relazione al suo saggio sulla «canzone di consumo» del 1964, che di recente ho tradotto in inglese per la rivista Popular Music (era uno dei pochissimi saggi di Eco non ancora tradotti). Più avanti, sempre nei «casi di studio», ho inserito «Il suonatore Faber», il più ampio dei saggi che ho dedicato a suo tempo (nel 2003) a Fabrizio De André, che avrebbe potuto far parte della prima edizione di questo libro se non fosse stato pubblicato poco tempo prima in un volume collettivo, curato da Riccardo Bertoncelli (che ringrazio di nuovo).
In coda a un gruppo di testi dedicati a «Le canzoni, la politica, la guerra» ho aggiunto un’intervista che Jacopo Costa, dottorando all’università di Strasburgo, mi ha fatto nel 2014, nella quale parlo diffusamente di Rock in Opposition e di alcuni aspetti del lavoro degli Stormy Six. Di questi argomenti mi sono occupato nel mio Album bianco, e in modo accademicamente più rigoroso in alcuni saggi pubblicati all’estero: mi è parso che l’intervista di Costa (che ringrazio) potesse completare efficacemente alcuni spunti già presenti nella prima edizione di questo libro, senza sbilanciarne l’equilibrio.
Infine, prima della sezione sulla radio (e soprattutto su Radio Tre negli anni dopo il 2001), ho aggiunto «Il Trentennio: “musica leggera” alla radio italiana, 1928-1958», testo preparato per un convegno del 2009 e successivamente pubblicato in un volume di Bulzoni curato da Angela Ida De Benedictis (che ringrazio), che crea un collegamento secondo me efficace fra la prima parte de L’ascolto tabù (quella sulle questioni politico-accademiche intorno alla nomenclatura dei generi musicali e sul «comprendere e fare» popular music) e l’ultima parte. C’è un filo, purtroppo mai davvero interrotto, che lega il tabù dell’«intrattenimento», le origini del concetto di «musica leggera», la sua stabilizzazione durante il Ventennio fascista, la ripresa di quel concetto negli anni della Rai democristiana, e le trasformazioni introdotte dalla «rivoluzione» tecnologica degli anni novanta e duemila. All’ombra sottile di quel filo si vede anche altro: provate a leggere le polemiche (apparentemente antidiluviane) intorno al Mantova Musica Festival del 2004 e vedrete consolidarsi – in piena era berlusconiana – le prime tracce del renzismo. Anche a questo serve capire la musica.