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Sergio Contessa

    Sergio Contessa

    Il Consiglio di Stato si sofferma nuovamente in materia di diritto di accesso agli atti del procedimento tributario come aveva gia fatto nel 2008 con la decisione n.5144. In quell’occasione aveva ritenuto che occorre accedere ad una... more
    Il Consiglio di Stato si sofferma nuovamente in materia di diritto di accesso agli atti del procedimento tributario come aveva gia fatto nel 2008 con la decisione n.5144. In quell’occasione aveva ritenuto che occorre accedere ad una lettura costituzionalmente orientata della disposizione di cui all’art.24 della legge n.241 del 1990, alla stregua della quale l’inaccessibilita agli atti del procedimento tributario e limitata, temporalmente, alla fase di pendenza del procedimento stesso, non rilevandosi esigenze di segretezza nella fase che segue la conclusione del procedimento di adozione del provvedimento definitivo di accertamento dell’imposta dovuta, sulla base degli elementi reddituali che conducono alla qualificazione del tributo. Per il consesso di Palazzo Spada, diversamente opinando quanto sopra asserito, si perverrebbe alla singolare conclusione che il cittadino possa subire ulteriori incisioni nella propria sfera giuridica in conseguenza di un procedimento tributario, pur co...
    Il Consiglio di Stato nella decisione n.2841 del 2009 affronta un classico caso di ne bis in idem in un giudizio di ottemperanza rigettando un ennesimo ricorso presentato da un Professore di una scuola superiore nei confronti... more
    Il Consiglio di Stato nella decisione n.2841 del 2009 affronta un classico caso di ne bis in idem in un giudizio di ottemperanza rigettando un ennesimo ricorso presentato da un Professore di una scuola superiore nei confronti dell’istituto scolastico nel quale svolgeva servizio per un ricongiungimento di anni di servizio prestati nell’amministrazione scolastica. La ricostruzione dei fatti e complessa soprattutto nelle fasi che hanno portato a questa pronuncia. Oggetto del ricorso iniziale del docente era la ricostruzione della carriera con la ricongiunzione di vari servizi effettuati in passato in diverse istituzioni scolastiche. Il ricorso al TAR nel 1990 veniva respinto ed il Professore nel 1991 proponeva appello al Consiglio di Stato che nel 1994, invece, accoglieva il ricorso e riformava la sentenza impugnata. Il Provveditorato a seguito della sentenza del Consiglio di Stato ricalcolava la ricongiunzione dei servizi ma, secondo il ricorrente, non nel modo esatto e veniva cosi riproposto ricorso per ottemperanza innanzi allo stesso Consiglio di Stato. Il Consesso di Palazzo Spada nel 1999 respingeva il ricorso perche l’amministrazione scolastica aveva legittimamente effettuato il calcolo ai fini della carriera. Il Professore, comunque, riproponeva nel 2007 ricorso chiedendo il “riesame” del giudizio conclusosi nel 1999 ed il Consiglio di Stato nel 2008 ne pronunciava la reiezione rilevando, tra l’altro, che non era ammissibile la sostanziale riproposizione dell’istanza di esatta esecuzione del giudicato gia proposta con ricorso nel 1991 e decisa nel 1994 in occasione della quale era gia stata stabilita la correttezza dell’operato dell’Amministrazione intimata in ottemperanza alla stessa decisione del Consiglio di Stato. Le doglianze del ricorrente si fondavano sostanzialmente sulla reiterazione dei motivi di censura gia articolati in sede di ottemperanza e ritenuti non fondati con la richiamata pronuncia del 1999, sicche la relativa istanza non poteva in alcun modo essere ammessa, ostandovi il generale principio del ne bis in idem . Infine nel 2008 il Professore reitera ancora la richiesta di riesame del giudizio di esatta ottemperanza della decisione del Consiglio di Stato del 1994 riproponendo fatti e doglianze gia note. Il ricorso viene respinto con la sentenza che si annota in quanto non e ammissibile, innanzitutto, la sostanziale riproposizione dell’istanza di esatta esecuzione del giudicato gia proposta con il ricorso conclusosi con la sentenza del 1994, con la quale si e stabilito che l’operato dell’Amministrazione intimata successivo al passaggio in giudicato della sentenza del 1994 (ed in particolare, le determinazioni in ordine alla decorrenza della ricongiunzione dei periodi di servizio prestati dal ricorrente) non concreti in alcun modo profili di inottemperanza nei confronti del decisum di cui alla sentenza stessa. Inoltre, il giudice ribadisce che le doglianze del ricorrente si fondano sostanzialmente sulla reiterazione dei motivi di censura gia articolati in sede di ottemperanza e ritenuti non fondati con la richiamata pronuncia del 1999 e la relativa istanza non puo in alcun modo essere ammessa, ostandovi il generale principio del ne bis in idem . Infine il Consiglio di Stato osserva, per completezza, che nel caso in questione non risultano sussistere neanche i presupposti per una positiva valutazione dell’eventuale ricorso per revocazione straordinaria, giacche non risulta che l’Amministrazione scolastica abbia tenuto un comportamento talmente non corretto da risultare determinante per l’organo giudicante, impedendogli l’accertamento della verita, ne che la sentenza del 1999 costituisca - come gia, peraltro, evidenziato nella citata decisione del 2008 - l’effetto necessario di un dolo oggettivamente idoneo ad impedire al giudice l’accertamento della verita “risultando al contrario la decisione, della quale il ricorrente chiede il riesame, adottata sulla base di prospettazioni e valutazioni squisitamente giuridiche ed indubbiamente ricomprese entro i limiti oggettivi del corretto vaglio esercitabile a fronte di un ricorso per ottemperanza”.
    La sentenza del Consiglio di Stato n. 2827 del 2009 verte sull’appello ad una decisione del T.A.R. Liguria in materia di autorizzazione all’esercizio di attivita nel settore delle scommesse. Nello specifico il TAR doveva stabilire se un... more
    La sentenza del Consiglio di Stato n. 2827 del 2009 verte sull’appello ad una decisione del T.A.R. Liguria in materia di autorizzazione all’esercizio di attivita nel settore delle scommesse. Nello specifico il TAR doveva stabilire se un soggetto residente in Italia potesse decidere di intraprendere un’attivita di intermediazione nel settore delle scommesse (per conto di un allibratore straniero regolarmente abilitato nel suo Paese), senza l’autorizzazione di pubblica sicurezza prevista dal citato art. 88 T.U.L.P.S. ed il possibile contrasto della normativa italiana con il diritto comunitario. Il Consiglio di Stato si era occupato di un’analoga questione gia nel 2005, affrontando nell’occasione la conformita all’ordinamento comunitario della licenza (autorizzazione) concludendo, nel caso specifico, nel senso della piena legittimita dell’ordine del Questore ( Sez. VI, n. 5898/2005), in quanto fondato su una normativa nazionale ritenuta conforme al diritto comunitario con specifico riferimento al precedente testo dell’art. 88 del T.U.L.P.S. applicato nell’atto impugnato oggetto del giudizio la cui decisione si annota. Successivamente, la sentenza della Corte Giustizia del 2007, sopravvenuta alla sentenza qui impugnata, ha fatto assumere connotati in parte diversi ritenendo la disciplina nazionale relativa all’attivita di raccolta delle scommesse incompatibile, in relazione ad alcuni aspetti, con il diritto comunitario, coinvolgendo in via principale, pero, il regime legale concessorio di apertura ai privati dell’attivita in questione, subentrato all’introduzione del presente giudizio. Ma il Consiglio di Stato ha in ogni modo ritenuto che, pur dopo la sentenza del 2007 della Corte di Giustizia, come chiarito con le sue recenti decisioni del 2008 e del 2009, l’attivita di raccolta delle scommesse svolta senza il previo rilascio dell’autorizzazione prevista dall’art. 88 T.U.L.P.S. debba ritenersi illegittima, anche se la raccolta avviene da parte di centri trasmissioni dati (CTD) collegati con allibratori stranieri regolarmente abilitati nel loro Paese. Difatti, secondo il Consesso di Palazzo Spada, “la sentenza comunitaria, se, da un lato, ha inciso (sia pure solo in parte) sul sopravvenuto sistema concessorio, non ha, invece, travolto (se non marginalmente e di riflesso) il regime autorizzatorio previsto dall’art. 88 T.U.L.P.S., peraltro nel nuovo testo, con rilievi che, a loro volta, non investono in modo rilevante i termini della questione da risolvere nella presente sede in riferimento alla precedente formulazione dell’art.88 medesimo.” “Il riconoscimento della legittimita dell’ordine del Questore nel caso specifico che inibisce lo svolgimento dell’attivita di raccolta a chi ha preteso di svolgere tale attivita senza procurarsi prima l’autorizzazione ex art. 88 T.U.L.P.S., si fonda quindi sull’assunto che il regime di autorizzazione rimane fino ad oggi in piedi e che l’autorizzazione svolge (ed ha svolto) una funzione anche autonoma rispetto alla concessione (perche diretta a verificare requisiti di moralita e affidabilita da parte del soggetto che intende svolgere l’attivita di intermediazione), e che quindi non e certamente sostenibile che un soggetto possa pretendere di svolgere l’attivita di raccolta delle scommesse senza sottoporsi al vaglio preventivo dell’autorita di pubblica sicurezza (iniziando, come e avvenuto nella specie, a raccogliere scommesse senza nemmeno presentare la richiesta di autorizzazione).” Al sistema attuale di concessione fa seguito un diverso sistema di autorizzazione, disciplinato dall’art.88 del T.U.L.P.S., come modificato, successivamente al provvedimento impugnato, dalla L. 22 dicembre 2000, n. 388, art. 37, comma 4, e che trova, poi, nell'art. 11 del medesimo decreto una disciplina generale circa i requisiti soggettivi delle persone richiedenti, cosi che le autorizzazioni di polizia possono essere negate ad esempio a chi ha riportato condanna per alcuni reati, specificamente indicati, tra cui reati contro la moralita pubblica e il buon costume o violazioni della normativa relativa, appunto, ai giochi d'azzardo, disciplina gia vigente ed applicabile al tempo dei fatti per cui e causa. Punto fondamentale del ragionamento del Consiglio di Stato e lo stabilire se la normativa italiana in materia di scommesse, per quanto riguarda entrambe le formulazioni dell’art.88 T.U.L.P.S. succedutesi in corso di causa, possa ritenersi giustificata da esigenze imperative di interesse pubblico non adeguatamente tutelate dalla normativa dello Stato di origine. Questo e un tema sul quale, sia i giudici nazionali (sia il Consiglio di Stato che la Corte di Cassazione) e sia il giudice comunitario sono stati ripetutamente chiamati a pronunciarsi, fino ad arrivare alla sentenza del 2007, per molti aspetti risolutiva delle questioni sopra accennate. Secondo i giudici di Lussemburgo, cio che rende contraria ai principi comunitari l’attuale normativa italiana in tema di concessione e rappresentato,…
    Nella sentenza n. 08291/2010 il Consiglio di Stato si e soffermato sui principi alla base del potere di auto-annullamento in materia di edilizia e riconducibili al potere di auto-annullamento della Pubblica amministrazione in generale.... more
    Nella sentenza n. 08291/2010 il Consiglio di Stato si e soffermato sui principi alla base del potere di auto-annullamento in materia di edilizia e riconducibili al potere di auto-annullamento della Pubblica amministrazione in generale. Nella motivazione il Consesso di Palazzo Spada espone in una breve sintesi, i principi che governano l’esercizio del potere di auto annullamento dei titoli edilizi, enucleati dalla propria giurisprudenza e sostanzialmente confluiti nell’art. 21 nonies, l. n. 241 del 1990, inapplicabile ratione temporis (Cons. St., sez. IV, 21 dicembre 2009, n. 8529; sez. V, 6 dicembre 2007, n. 6252; sez. V, 12 novembre 2003, n. 7218; sez. V, 24 settembre 2003, n. 5445; sez. V, 5 dicembre 1995, n. 1782): 1) presupposti dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio con effetti ex tunc sono l’illegittimita originaria del provvedimento, l’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione diverso dal mero ripristino della legalita, l’assenza di posizioni consolidate in capo ai destinatari (sotto tale angolazione il Consiglio di Stato reputa illegittimo l’annullamento di un titolo edilizio fondato sopra un mutamento della interpretazione consolidata di prescrizioni di p.r.g. in assenza di qualsivoglia condotta colpevole dell’interessato); 2) l’esercizio del potere di autotutela e espressione di rilevante discrezionalita che non esime, tuttavia, l’amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei presupposti sopracitati; 3) l’ambito della motivazione esigibile e integrato dalla allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio dovendosi tenere conto, per il resto: a) del particolare atteggiarsi dell’interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono (ambiente, paesaggio, salute, sicurezza, beni storici e culturali) che quasi sempre sono prevalenti rispetto a quelli contrapposti dei privati; b) della eventuale negligenza o della malafede del privato che ha indotto in errore l’amministrazione o ha approfittato di un suo errore (ad es. rappresentando in modo erroneo la situazione di fatto in base alla quale e stato rilasciato il titolo o sono stati individuati i legittimati attivi); 4) rimane ferma l’esigenza di assicurare che la tutela del governo del territorio avvenga senza imporre sacrifici inutili al privato (secondo il giudice di appello tale profilo si coglie nell’art. 38 t.u. ed. – inapplicabile ratione temporis - che impone la sanzione pecuniaria solo in caso di non emendabilita del vizio della procedura o di impossibilita della rimessione in pristino); 5) pur non riscontrandosi un termine di decadenza del potere di auto annullamento del titolo edilizio, la caducazione che intervenga ad una notevole distanza di tempo e dopo che le opere sono state completate, esige una piu puntuale e convincente motivazione a tutela del legittimo affidamento.
    La Corte dei Giustizia dell’Unione Europea con sentenza della Sezione I n. C-61/11 del 28 aprile 2011 ha bocciato la norma italiana che prevede il reato di clandestinita introdotto nel nostro ordinamento dal cd. pacchetto sicurezza (legge... more
    La Corte dei Giustizia dell’Unione Europea con sentenza della Sezione I n. C-61/11 del 28 aprile 2011 ha bocciato la norma italiana che prevede il reato di clandestinita introdotto nel nostro ordinamento dal cd. pacchetto sicurezza (legge n.94/2009 che ha modificato, tra gli altri, anche gli articoli 13 e 14 del d.lgs. n.286/1998). Secondo la Corte di Lussemburgo, infatti, tale disposizione, che prevede la pena della reclusione per gli immigrati irregolari, e in contrasto con la direttiva europea direttiva 2008/115/CE del 16 dicembre 2008 sui rimpatri dei clandestini. Nella sentenza si legge che “gli Stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo conformemente all’art. 8, n. 4, di detta direttiva, una pena detentiva, come quella prevista all’art. 14, comma 5 ter, del decreto legislativo n. 286/1998, solo perche un cittadino di un paese terzo, dopo che gli e stato notificato un ordine di lasciare il territorio di uno Stato membro e che il termine impartito con tale ordine e scaduto, permane in maniera irregolare nel territorio nazionale. Essi devono, invece, continuare ad adoperarsi per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, che continua a produrre i suoi effetti.” Inoltre, prosegue la Corte di Lussemburgo “alla luce di quanto precede, al giudice del rinvio, incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le disposizioni del diritto dell’Unione e di assicurarne la piena efficacia, spettera disapplicare ogni disposizione del decreto legislativo n. 286/1998 contraria al risultato della direttiva 2008/115, segnatamente l’art. 14, comma 5 ter, di tale decreto legislativo.”
    La sentenza del Consiglio di Stato, sezione VI del 9 giugno 2009 n. 5199 si fonda sul ricorso in appello proposto dal Ministero del Lavoro della Salute e delle Politiche sociali – Direzione Provinciale del Lavoro di Avellino – per la... more
    La sentenza del Consiglio di Stato, sezione VI del 9 giugno 2009 n. 5199 si fonda sul ricorso in appello proposto dal Ministero del Lavoro della Salute e delle Politiche sociali – Direzione Provinciale del Lavoro di Avellino – per la riforma o l’annullamento della sentenza del T.A.R. della Campania – Salerno – n. 1290/2008. Con la sopracitata sentenza il T.A.R della Campania accoglieva il ricorso proposto dalla societa La xxxx s.n.c. inteso ad ottenere l’accesso a documentazione formata dall’Ispettorato del Lavoro relativa a dichiarazioni rese da propri dipendenti. La societa impugnava la statuizione reiettiva sottolineando il legame tra la richiesta documentazione e la possibilita di esercitare il proprio diritto di difesa. Il Consiglio di Stato si trova ad affrontare una delicata materia nella quale, sia in giurisprudenza che in dottrina, si alternano tesi estreme. Con riferimento ad una sentenza del Consiglio di Stato, sezione VI del 13 dicembre 2006 n.7389, i giudici della VI sezione chiariscono che, in passato, si e affermato che “vanno disapplicate le norme regolamentari che sottraggono al diritto di accesso le dichiarazioni rese dai lavoratori in occasione di indagini ispettive a carico del loro datore di lavoro fino a quando non sia cessato il rapporto , rientrando tra i casi di segreto previsti dall’ordinamento quello istruttorio in sede penale, delineato dall’articolo 329 c.p.p., a tenore del quale gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari”. Nell’occasione e stato disapplicato l’articolo 2, comma 1, lett. c), D.M. 4 novembre 1994 n. 757, che sottrae al diritto di accesso le dichiarazioni rese dai lavoratori in occasione di indagini ispettive a carico del datore di lavoro fini a quando non sia cessato il rapporto, ritenendolo in contrasto con l’articolo 24 (esclusione dal diritto di accesso) legge 7 agosto 1990, n. 241. Piu di recente, precisano i Giudici della VI sezione, si e invece stabilito che deve essere sottratta al diritto di accesso la documentazione acquisita dagli ispettori del lavoro nell’ambito dell’attivita di controllo loro affidata. Infatti nella sentenza del Consiglio di Stato, sezione VI, 20 aprile 2008 n. 1842, viene ribadito che “le disposizioni in materia di diritto di accesso mirano a coniugare la ratio dell’istituto, quale fattore di trasparenza e garanzia di imparzialita dell’Amministrazione, come enunciato dall’articolo 22 della citata legge n.241/90, con il bilanciamento da effettuare rispetto ad interessi contrapposti, fra cui – specificamente – quelli dei soggetti “individuati o facilmente individuabili”…che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza (articolo 22 cit., comma 1, lettera c); il successivo articolo 24 della medesima legge, che disciplina i casi di esclusione dal diritto in questione, prevede al sesto comma casi di possibile sottrazione all’accesso in via regolamentare e fra questi – al punto d) – quelli relativi a “documenti che riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale di cui siano in concreto titolari, ancorche i relativi dati siano forniti all’Amministrazione dagli stessi soggetti a cui si riferiscono”. In via attuativa, il D.M. 4 novembre 1994, n. 757 (regolamento concernente le categorie di documenti, formati o stabilmente detenuti dal Ministero del Lavoro sottratti al diritto di accesso) inserisce fra tali categorie – all’articolo 2, lettere b) e c) – “i documenti contenenti le richieste di intervento dell’Ispettorato del Lavoro”, nonche “i documenti contenenti notizie acquisite nel corso delle attivita ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare azioni discriminatorie, o indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi”.” Nella stessa sentenza, sottolineano i giudici, “la prevalenza dell’interesse pubblico all’acquisizione di ogni possibile informazione, a tutela della sicurezza e della regolarita dei rapporti di lavoro, rispetto al diritto di difesa delle societa o imprese sottoposte a ispezione: il primo, infatti, non potrebbe non essere compromesso dalla comprensibile reticenza di lavoratori, cui non si accordasse la tutela di cui si discute, mentre il secondo risulta comunque garantito dall’obbligo di motivazione per eventuali contestazioni e dalla documentazione che ogni datore di lavoro e tenuto a possedere”. Nel caso in esame il Collegio rileva, tuttavia, che, a monte, vi e un piu rilevante profilo che rende meritevole di essere accolta la posizione dell’appellante. Difatti, secondo i giudici del Consiglio di Stato, i primi giudici, nell’accogliere il ricorso di primo grado, non hanno tenuto conto del fatto che la…
    Il decreto-legge n. 200 del 22 dicembre 2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 9 del 18 febbraio 2009, nasce dalla necessita, costituzionalmente prevista, di far fronte a due urgenze. La prima e quella di emanare disposizioni... more
    Il decreto-legge n. 200 del 22 dicembre 2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 9 del 18 febbraio 2009, nasce dalla necessita, costituzionalmente prevista, di far fronte a due urgenze. La prima e quella di emanare disposizioni dirette a consentire il completamento delle procedure per la creazione di una banca dati normativa unica, pubblica e gratuita della legislazione statale vigente, anche mediante un piu efficace utilizzo delle risorse esistenti. La seconda necessita ed urgenza e quella di sottrarre all’affetto abrogativo, previsto dall’articolo 24 del decreto-legge n. 112 del 25 giugno 2008, convertito dalla legge n. 133 del 6 agosto 2008,alcune disposizioni di cui risultava indispensabile il mantenimento in vigore.
    La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n.13992 del 28 maggio 2008, ha affrontato la materia del pagamento delle visite fiscali sui pubblici dipendenti. E’ stato sottoposto all’attenzione della Corte un procedimento civile... more
    La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n.13992 del 28 maggio 2008, ha affrontato la materia del pagamento delle visite fiscali sui pubblici dipendenti. E’ stato sottoposto all’attenzione della Corte un procedimento civile iniziato nel 1998 innanzi al Giudice di Pace di Bologna tra un Istituto scolastico ed una ASL, in merito alla attribuzione del corrispettivo di una serie di visite fiscali effettuate su dipendenti dell’Istituto medesimo. Sosteneva l'Istituto che, trattandosi di accertamenti medico-legali compiuti su dipendenti di un'Amministrazione pubblica e rivestendo quindi un interesse pubblico, dette visite rientravano nei compiti istituzionali delle ASL ai sensi dell'art. 14 della Legge 833/78 ed avevano, quindi, carattere gratuito. La ASL deduceva la mancanza di leggi che prevedano la gratuita delle visite fiscali effettuate su richiesta del datore di lavoro pubblico per verificare lo stato di salute del dipendente. Il Tribunale di Bologna rilevava che “dalla competenza istituzionale della USL desumibile dall'art. 14 comma 2 lett. q) e dall'art. 19 della Legge 833/78 in ordine al controllo medico-legale sulle condizioni di salute dei lavoratori assenti per malattia non derivava automaticamente anche la gratuita della prestazione in quanto non potevano escludersi prestazioni obbligatorie a pagamento, come prevede tra l'altro l'art. 69 lett. e) di detta legge che menziona fra le entrate del fondo sanitario nazionale i proventi derivanti da attivita a pagamento. Osservava, ancora, che la gratuita delle prestazioni di cui all'art. 19 della Legge 833/78 doveva essere affermata solo per quelle configuranti i livelli di assistenza minimi da garantire a tutti i cittadini. Richiamava poi la sentenza del Consiglio di Stato n. 1909/98 la quale aveva precisato che nella definizione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria effettuata con il D.P.R. 24.12.1992 non erano state menzionate le visite fiscali per il controllo delle assenze per malattia. Da quanto sopra deduceva inoltre che le visite fiscali dovevano essere ricomprese nell'ambito di quei servizi diversi dalle prestazioni sanitarie che la USL deve garantire con onere a suo carico e la cui organizzazione appartiene, ai sensi dell'art. 2 D.Lgs. 502/92, alla competenza delle Regioni le quali ben possono sancirne l'onerosita, come e avvenuto per la Regione Emilia Romagna in cui il Consiglio con delibera n.2079 del 31.7.1994 ha fissato le tariffe. Riteneva infine irrilevante la osservazione, fatta propria dalla citata sentenza del Consiglio di Stato, il quale ha sostenuto che il mancato inserimento di dette visite nella definizione dei livelli minimi di assistenza dipende solo dalla loro connessione con un rapporto di lavoro ma non esclude che esse rientrino fra le prestazioni che le USL sono tenute ad erogare in quanto finalizzate alla tutela della salute. Al riguardo precisava che dette visite, piu che perseguire un interesse pubblico alla tutela del lavoratore, sono previste a tutela dell'interesse del datore di lavoro per il controllo dell'effettiva esistenza di una giusta causa di assenza dal lavoro.” La Cassazione pronunciandosi sulla sentenza impugnata ha ritenuto che “l'attivita di controllo medico-legale sulle condizioni di salute dei lavoratori dipendenti al fine di accertare, su richiesta del datore di lavoro, la legittimita dell'assenza dal lavoro rientra certamente nella competenza funzionale delle USL in ragione della previsione di cui all'art. 14 comma 2 lett. q) della Legge 23.12.1978 n.833 sull'istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, in base al quale l'Unita Sanitaria Locale deve provvedere, fra l'altro, «agli accertamenti, alle certificazioni»”. Inoltre, come aveva correttamente affermato il Tribunale, per la Corte “da una tale competenza non puo discendere automaticamente il principio della gratuita della prestazione in esame, desumendosi anzi dall'art. 69 lett. e) della stessa legge la esistenza in via generale di prestazioni a pagamento da parte del Servizio Sanitario Nazionale e riguardando la gratuita quelle prestazioni che devono essere garantite a tutti i cittadini, come si desume dal combinato disposto di cui agli artt. 3 comma 2 e 19 della richiamata Legge 833/78 nonche dal D.P.R. 24.12.1992, che definisce i livelli uniformi di assistenza sanitaria, e dall'art. 1 del D.L.gs. 502/92. Del resto, che l'onerosita della prestazione non sia estranea al sistema nell'ambito del generale principio della gratuita si desume anche dall'art. 3 di detto D.L.gs. 502/92 il quale, dopo aver previsto (comma 2) che l'unita sanitaria locale provvede ad assicurare i livelli di assistenza di cui all'art. 1, aggiunge (comma 3) che essa «puo assumere la gestione di attivita o servizi socio-assistenziali per conto degli enti locali con oneri a totale carico degli stessi». E' di tutta evidenza pertanto la differenza fra le prestazioni sanitarie di cura e prevenzione assicurate a tutti i cittadini nel precipuo interesse della sanita…
    La sentenza in commento ha ad oggetto l’appello presentato dalla signora E. F. contro la sentenza del Tar del Veneto che aveva respinto il ricorso proposto dalla suddetta signora contro il decreto del 23 giugno 1889, n. 1235 con il quale... more
    La sentenza in commento ha ad oggetto l’appello presentato dalla signora E. F. contro la sentenza del Tar del Veneto che aveva respinto il ricorso proposto dalla suddetta signora contro il decreto del 23 giugno 1889, n. 1235 con il quale il Presidente della Giunta regionale annullava il provvedimento di accoglimento di richiesta di riesame (ex art. 7 d.p.r. 20 dicembre 1979, n. 761) e rettificava l’inquadramento originario della stessa signora F. 
Nello specifico, la signora F., che era stata inquadrata in un primo momento nei ruoli nominativi regionali come operatore professionale collaboratore, aveva contestato (ai sensi dell’art. 7 del d.p.r. 761/79) l’attribuzione di tale qualifica e aveva ottenuto a seguito del riesame l’inquadramento nella qualifica di operatore professionale coordinatore. 
Successivamente il Presidente della Giunta Regionale ritenuto tale provvedimento frutto di un errore lo modifica in sede di autotutela, rinserendo in questo modo l’interessata di nuovo nei ruoli nominativi von la qualifica di operatore professionale collaboratore. Tale provvedimento e stato impugnato dalla signora F. di fronte al Tar che ha respinto il gravame, contro tale decisione la signora F. ha presentato appello al Consiglio di Stato articolandolo in tre punti. 
Nel primo punto viene contestato il potere dell’amministrazione di agire in sede di autotutela dopo la decisione di ricorso ex art. 7 d.p.r. 761/79; con il secondo si contesta l’eccesso di potere per non essere stati adeguatamente rispettati i principi che sovraintedono l’annullamento d’ufficio e la motivazione del provvedimento; infine, con il terzo punto si deduce l’erroneita nel merito della decisione presa dal Tar. 
Tutte e tre le questioni sono state dichiarate infondate. 
In particolare, il Consiglio di Stato spiega che con il primo motivo si deduceva che la decisione assunta dalla Regione, ex art. 7 d.p.r. 761/79 fosse statuizione su ricorso amministrativo e per questo non suscettibile di revoca o di annullamento d’ufficio. In realta il giudice amministrativo precisa che il ricorso ex art. 7 e un rimedio di rettifica di errori e omissioni nell’ottica di una prevalente finalita collaborativa per una migliore ponderazione degli interessi coinvolti, da questo discenderebbe che la decisione non sarebbe un atto di natura giustiziale e proprio per questo l’Amministrazione sarebbe legittimata ad intervenire in sede di autotutela. 
Il secondo motivo viene scisso dal Consiglio di Stato in due questioni, la prima attinente all’esercizio del potere di annullamento, la seconda attinente alla carenza di motivazione. 
Rispetto alla prima questione il giudice afferma che il potere di annullamento d’ufficio e stato esercitato correttamente in quanto, il periodo trascorso dalla prima deliberazione favorevole alla signora F. alla seconda deliberazione non era cosi lungo da poter consolidare la posizione dell’interessata nella qualifica di operatore professionale coordinatore. 
Rispetto invece, alla carenza motivazionale, il giudice spiega che, pur esistendo tali carenze, nel caso di specie si tratta di un’attivita vincolata e per questo puo essere applicato l’art. 21 octies della legge 241/90, che permette al giudice adito di valutare ex post se il provvedimento impugnato non poteva essere diverso. Di conseguenza alla stregua di tale principio bisognava capire se la signora F. avrebbero potuto conseguire un inquadramento a lei piu favorevole rispetto a quello assegnatole dalla Regione. Per il Consiglio di Stato non c’e dubbio che questo non poteva accadere, in quanto il primo inquadramento dei ruoli nominativi regionali imponeva la piena corrispondenza tra la qualifica posseduta dall’impiegata al momento del passaggio al servizio sanitario nazionale e quella indicata negli allegati del d.p.r. 761/79. Nel caso di specie, alla data del 20 dicembre 1979 la signora F. rivestiva la qualifica di infermiera professionale corrispondente nel nuovo ordinamento a quello di operatore professionale collaboratore. 
Date queste considerazioni il Consiglio di Stato conclude affermando che le carenze motivazionali possono essere superate e respinge anche le doglianze contenute nell’ultimo motivo di appello.