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Il 'linguaggio' fotografico, come ogni linguaggio, possiamo dire seguendo Gilbert Durand, è sempre anche un metalinguaggio, che non rientra negli schemi della logica binaria, ma in quelli della logica trivalente. Non si tratta cioè di un... more
Il 'linguaggio' fotografico, come ogni linguaggio, possiamo dire seguendo Gilbert Durand, è sempre anche un metalinguaggio, che non rientra negli schemi della logica binaria, ma in quelli della logica trivalente. Non si tratta cioè di un sistema telegrafico di comunicazione univoca tra emittente e ricevente ma si incentra sul fenomeno della lettura e dell'interpretazione del messaggio e implica dunque una epistemologia aperta, dinamica, un flusso energetico trasformante e soprattutto il postulato della profondità. Il postulato della profondità implica una lettura non soltanto orizzontale, uno sguardo diretto al mondo, ma anche verticale che ci metta in contatto con un luogo e uno spazio altro di cui cogliamo l'essenza al di là di ogni coordinata spazio-temporale, e in cui vibrano il nostro desiderio la nostra attesa e la nostra speranza. Una struttura figurativa vuole esplicitare un senso che naturalmente sfugge. La'figura' ce ne fa presentire, ne rende presente l'essenza proprio nella mancanza, in uno spazio, una sorta di incavo che richiama un dinamismo di riempimento. "Questo spazio si incava, per così dire, perdendo la sua consistenza obiettiva di spettacolo per accogliere in sé la presenza dell'ego" (Noël Mouloud). Possiamo dire lo stesso per la 'struttura in profondità' della musica. Non soltanto il linguaggio della profondità, del dislivello abita l'epistemologia musicale (suoni gravi, soggetto e contro-soggetto, motivo, leitmotif, etc.) ma possiamo dire che la semanticità della musica risiede proprio nella sua capacità di incontro con la sensibilità dell'interprete e dell'ascoltatore. La musica è un incavo sonoro. Consiste nel proporre al corpo un'accoglienza ritmica, alla sensibilità acustica un'accoglienza melodica, all'intelligenza un'accoglienza armonica. L'incavo di cui parliamo non è dunque un vuoto ma una forma che richiama sempre un pieno che ad esso si conformi. E dunque possiamo concludere con Durand che la comprensione del senso di un linguaggio umano, che in quanto tale è sempre poetico, artistico e dunque un metalinguaggio, è collegata proprio con quel progetto al di là dell'umano di cui non possiamo mai conoscere i confini 'tanto profondo è il suo logos'. Un giorno mi trovai in un museo che frequento assiduamente da anni, per non dire da decenni, di fronte ad una statua che conoscevo bene, che avevo fotografato molte volte, senza mai essere soddisfatto del risultato ottenuto, nonostante la bellezza della statua, la luce che non mancava e variava a seconda dell'ora offrendo mille possibili interpretazioni. Improvvisamente, senza nemmeno accorgermene, senza esitazione presi l'apparecchio fotografico, inquadrai assicurandomi della messa a fuoco e scattai. Guardando la foto sul piccolo schermo, per la prima volta ebbi l'impressione che era quella l'immagine che cercavo, che mi corrispondeva…
Sfogliando un manuale di storia della fotografia, arrivati alla parte riguardante il reportage di guerra, il nome che si incontra è quello di Roger Fenton, che nella metà degli anni '50 eseguì quello che da molti è considerato il primo, o... more
Sfogliando un manuale di storia della fotografia, arrivati alla parte riguardante il reportage di guerra, il nome che si incontra è quello di Roger Fenton, che nella metà degli anni '50 eseguì quello che da molti è considerato il primo, o uno dei primi, reportage di guerra: quella di Crimea, che vide coinvolto anche il Regno di Sardegna. In realtà R. Fenton non fu il primo ad effettuare un reportage di guerra. Lo fu se lo individuiamo, come si usa dire oggi, "fotografo embedded", definizione cui avvenimenti recenti ci hanno abituato. Era stato inviato dal governo di "Sua Maestà Britannica" per documentare la guerra al seguito delle truppe. Questo traspare, tra l'altro, osservando le inquadrature, che raramente propongono immagini troppo drammatiche. Altri fotografi possono, invece, di loro iniziativa documentare gli avvenimenti per poi pubblicarli oppure essere inviati da giornali o riviste alla stregua di giornalisti che invece della scrittura utilizzano l'immagine come mezzo di espressione. Esempio, ne valga uno per tutti, i collaboratori della rivista "Life" durante la seconda Guerra mondiale. Stefano Lecchi appartiene proprio a questo genere di fotografi, quelli che vengono chiamati "free lance", proprio a sottolineare l'indipendenza nel documentare gli avvenimenti. Roger Fenton fu inviato in Crimea dal governo britannico, in seguito alle preoccupanti voci che circolavano fra l'opinione pubblica sulle condizioni delle truppe inglesi. Ma tutto quanto detto potrebbe portarci ad affrontare la questione della "oggettività" della fotografia. Argomento quanto mai spinoso proprio perché osservabile da molti punti di vista. Vorrei invece passare a descrivere la tecnica di cui si servì Stefano Lecchi per realizzare le sue foto. All'epoca della Repubblica Romana eravamo nel 1849, e la tecnica del collodio umido non era stata ancora introdotta: la tecnica dominante (se non l'unica per la foto documentaria) era la ripresa su negativo di carta e la sua stampa su carta salata. A Roma esisteva il gruppo della scuola romana che si riuniva al "Caffè Greco" e che vantava aderenti che sarebbero divenuti importanti nella storia della fotografia. Immediatamente dopo il dagherrotipo, presentato in Francia nell'estate del 1839, giunse, dall'Inghilterra, nel 1841, il procedimento che prevedeva la ripresa per realizzare un negativo, su carta, da stampare poi su un altro foglio, delle stesse dimensioni, reso
PHOTOTYPE'S STABILITY
Research Interests:
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L'immagine analogica e quella digitale, come due differenti sintassi dell'immagine. Evoluzione o Rivoluzione?
Con cenni alle tecniche all'emulsione ed a sviluppo ed al trattamento La "carta salata" è considerato il primo procedimento di stampa della storia della fotografia. In realtà è un materiale che, si può dire, ha addirittura permesso... more
Con cenni alle tecniche all'emulsione ed a sviluppo ed al trattamento La "carta salata" è considerato il primo procedimento di stampa della storia della fotografia. In realtà è un materiale che, si può dire, ha addirittura permesso la nascita della fotografia. In effetti la maggior parte degli esperimenti fatti per "catturare" l'immagine, fin dagli inizi dell'Ottocento, erano fatti molto spesso con carte trattate con sale da cucina e nitrato d'argento. La scelta del cloruro di sodio che con il nitrato d'argento dava origine al cloruro d'argento non era casuale, ma determinata dal fatto che quest'ultimo sale è tra i più sensibili alla luce. La struttura della carta salata è piuttosto facile da descriversi, meno facile è ottenere subito gli ottimi risultati che può dare. La carta può essere un foglio di carta da lettere abbastanza spesso, un cartoncino da disegno, da acquarello ecc. a propria scelta. È tuttavia indispensabile a) che sia abbastanza compatto per non subire danni una volta bagnato e, condizione indispensabile, b) sia di puro cotone, al 100%, senza addittivi come sostanze fungicide, sbiancanti ottici, tamponi alcalini o altre sostanze oggi molto comuni, ma che possono facilmente reagire con i composti d'argento, rovinando il risultato, con la formazione di macchie, ingiallimenti ecc. Consiglio sempre di acquistare campioni di diverse carte di uso artistico o tecnico, in negozi qualificati, per avere più informazioni possibili sulla provenienza del materiale che state acquistando. Se possibile osservate la confezione originale da cui vengono presi i fogli e prendete nota del nome specifico di quella carta e di altri eventuali simboli presenti sul pacco. Ugualmente contattate il fabbricante per sapere se per la fabbricazione di quella carta vengono impiegate sostanze per la conservazione, tamponi alcalini ecc., al
Il riconoscimento delle tecniche di stampa pone problemi notevolmente superiori a quelli posti da quelle di ripresa. Questo per svariate ragioni: il numero delle tecniche di stampa è considerevolmente superiore a quello di ripresa;... more
Il riconoscimento delle tecniche di stampa pone problemi notevolmente superiori a quelli posti da quelle di ripresa. Questo per svariate ragioni: il numero delle tecniche di stampa è considerevolmente superiore a quello di ripresa; inoltre, ogni fotografo avrà la tendenza a personalizzare il proprio modo di stampare, creando così ulteriori problemi all'identificazione della tecnica. Mentre l'essenziale per una tecnica di ripresa allora come oggi, come si è detto, era di riprodurre in maniera fedele le tonalità del soggetto ma non costituiva di per sé un prodotto finito da consegnare al cliente, la stampa, al contrario, doveva soddisfare delle esigenze estetiche ben precise, prima fra tutte quella di rispondere alle aspettative dell'eventuale cliente o dell'autore. Di qui una molteplicità di varianti, di modifiche atte a soddisfare queste esigenze. Occorre anche ricordare la tendenza a far sì che un certo procedimento desse risultati simili a quello che al momento aveva più successo commerciale: è il caso, famoso, di alcune carte al pigmento che imitavano, nei risultati, il procedimento all'albumina, allora imperante, o di tecniche di stampa argentiche che garantivano, nella loro pubblicità, risultati comparabili o indistinguibili dalle platinotipie. Sarà dato, insomma, di riscontrare questa tendenza apparentemente contraddittoria: da una parte la nascita di tecniche nuove continuamente modificate, dall'altra la modifica di queste tecniche in funzione di un riscontro artistico o commerciale. Modifica che potrà avere, talvolta, il risultato di farle somigliare tutte tra loro. Il criterio che sarà seguito per fornire una guida all'identificazione sarà sia storico che tecnico, con una netta preferenza per quest'ultimo. Si partirà comunque, da una importante constatazione: i materiali da stampa avranno la tendenza a diventare strutturalmente sempre più complessi: dalla semplice carta salata fino ad arrivare alle carte alla gelatina-argento si assiste ad una progressiva "complessificazione" degli strati che costituiscono l'immagine.
PARTE II : IDENTIFICAZIONE DELLE TECNICHE L'indirizzo di questa seconda parte del testo vuole essere dichiaratamente pratica. Se nella prima parte si è cercato di dare, per quanto possibile, una veduta d'insieme dell'evoluzione tecnica... more
PARTE II : IDENTIFICAZIONE DELLE TECNICHE L'indirizzo di questa seconda parte del testo vuole essere dichiaratamente pratica. Se nella prima parte si è cercato di dare, per quanto possibile, una veduta d'insieme dell'evoluzione tecnica del linguaggio fotografico, in questa seconda si daranno indicazioni, nella maniera più piana e semplice possibile, atte a fornire i mezzi per il riconoscimento delle diverse tecniche. Inizieremo con dare qualche indicazione sia di carattere generale che riguardo l'eventuale strumentazione di cui dotarsi per l'osservazione. Innanzitutto una premessa: quando si esaminano originali, maneggiarli sempre con cura ed indossando sulle mani dei guanti di filo: molti danni, per quanto la cosa possa sembrare a qualcuno strana, sono stati causati, e lo sono tuttora, dalle impronte digitali. Le mani, infatti, sono normalmente ricoperte di un leggero strato di sostanze grasse. Le dita, da una parte lasciano tracce di queste sostanze sulle stampe, dall'altra raccolgono impurità, polvere, ecc. e la distribuiscono sulle altre stampe con cui vengono a contatto. Se proprio si è sprovvisti, in una determinata occasione, di guanti, si tocchino le stampe o le lastre prendendole lungo i bordi evitando di toccarne la superficie e in particolare lo strato dell'emulsione. Preparare, inoltre, un "ambiente" adatto al lavoro, ricoprendo possibilmente il piano con un cartone neutro. Un accorgimento molto utile è quello di munirsi di cartoncini neutri con cui sostenere gli originali: può accadere ad esempio, sollevando una stampa che, senza un adeguato sostegno, questa si pieghi e lo strato dell'emulsione possa spezzarsi. AVVERTENZA In questa seconda parte, dedicata più specificamente ai criteri per l'identificazione, spesso non facile, delle diverse tecniche, verranno spesso ripetute alcune notazioni già fatte nella prima parte. Questo poiché, nelle nostre intenzioni, la seconda parte vuole essere a disposizione, per così dire, come guida pratica, a prescindere, nei limiti del possibile, dalla lettura della prima parte (se si incontrassero delle difficoltà si raccomanda, naturalmente, la lettura degli argomenti trattati nella prima parte in maniera più approfondita).
A rigore la fotoincisione e la collotipia (che descriveremo dopo la fotoincisione) non rientrano nei procedimenti fotografici. Ne diamo tuttavia una descrizione sia poiché, nella pratica quotidiana, occupano un posto di rilevante... more
A rigore la fotoincisione e la collotipia (che descriveremo dopo la fotoincisione) non rientrano nei procedimenti fotografici. Ne diamo tuttavia una descrizione sia poiché, nella pratica quotidiana, occupano un posto di rilevante importanza, spesso, nelle collezioni fotografiche, sia per una nostra personale scelta riguardo alla sintassi caratteristica di questi procedimenti. Ricordiamo che si definisce tecnicamente "fotografia" un'immagine realizzata su un supporto che è stato sensibile alla luce e sul quale l'azione di quest'ultima ha provocato la formazione dell'immagine stessa. Da questo punto di vista, fotoincisione e collotipia non rientrano nei procedimenti fotografici. Tuttavia le matrici necessarie alla loro produzione sono realizzate con mezzi squisitamente fotografici e le immagini ne riflettono perfettamente la sintassi. Ci sembra giusto quindi (ma ribadiamo trattarsi di una nostra personale convinzione) considerare queste raffinate tecniche alla stregua dei migliori procedimenti fotografici, per lo meno per quel che concerne il loro linguaggio peculiare1. 1 Citiamo per esempio a proposito della collotipia un brano tratto da: R. Namias, "I moderni procedimenti fotomeccanici", Hoepli, Milano 1913, pp. 196-197 : "Di tutti i processi fotomeccanici di stampa agli inchiostri grassi la fotocollografia (detta anche meno propriamente fototipia od eliotipia) è il più semplice ed il più esatto. [ .......] Inoltre nulla è lasciato alla mercè dell'operatore come negli altri processi; non la scelta del reticolo perché non occorre alcuna suddivisione dell'immagine; non le modalità dell'incisione perché nessuna incisione è qui necessaria. È la luce stessa che ci dà direttamente quell'immagine che deve essere stampata. Questo scopo è raggiunto mettendo a profitto una meravigliosa e provvidenziale proprietà della gelatina. La gelatina impregnata d'acqua rifiuta l'inchiostro grasso, mentre la gelatina completamente secca è atta a trattenerlo. [........] La proporzionalità tra l'azione della luce ed il grado d'inchiostratura, quando si è operato a dovere, è così notevole che le mezze tinte che si ottengono col procedimento fotocollografico corrispondono perfettamente alle mezze tinte del negativo. I risultati che si possono quindi ottenere sono davvero straordinarii".
INTRODUZIONE Che il neo-nato procedimento fotografico non fosse un modello di stabilità nel tempo dell'immagine prodotta fu ben presto sotto gli occhi di tutti. Sia per ragioni intrinseche (l'argento fotolitico ottenuto con la tecnica... more
INTRODUZIONE Che il neo-nato procedimento fotografico non fosse un modello di stabilità nel tempo dell'immagine prodotta fu ben presto sotto gli occhi di tutti. Sia per ragioni intrinseche (l'argento fotolitico ottenuto con la tecnica dell'annerimento diretto è chimicamente molto "fragile"; si veda quanto detto nella scheda tecnica sull'argento che costituisce l'immagine), sia per ragioni indotte (fissaggio non correttamente eseguito, scarsità di lavaggi, ecc.) le immagini più o meno rapidamente sbiadivano o si alteravano. Già nei primi anni '50 il problema fu esaminato e si giunse alla conclusione che causa delle alterazioni erano essenzialmente proprio un cattivo fissaggio o lavaggio delle prove. Nel 1856 il Duca di Luynes mise a disposizione un premio di 10.000 Franchi a favore dell'inventore di un procedimento fotografico e di uno fotomeccanico in grado di produrre stampe inalterabili. Il premio fu vinto da A. Poitevin: il procedimento era quello "al carbone", una delle tecniche di stampa più raffinate della storia della fotografia.1 Naturalmente tra i procedimenti non-argentici non c'è solo quello al carbone (la storia di quest'ultimo, che abbiamo accennato per sommi capi è, del resto, molto particolare), ve ne sono molti altri: dedicheremo questo paragrafo a quelli principali che hanno avuto un posto particolare nella storia delle tecniche fotografiche. Questi procedimenti non hanno mai intaccato la superiorità in termini quantitativi e commerciali, dei procedimenti argentici (carta salata, stampe all'albumina, aristotipie, ecc.). Essi furono introdotti durante tutto l'800, toccando l'apice alla fine del secolo. La loro identificazione può, talora, costituire una complicazione non da poco anche per gli 1 Si é specificato "fotografia" perché i bicromati, su cui si basavano i procedimenti di Poitevin avranno, in quei medesimi anni, importanti applicazioni nella nascente industria fotomeccanica. Si può senz'altro affermare che tutta la nascita e lo sviluppo di quest'ultima siano stati possibili grazie alle caratteristiche peculiari dei bicromati (che sono stati utilizzati, del resto, fino a pochi anni fa). Benché meno noti al grande pubblico (e poco citati nelle "storie della fotografia") essi occupano nella storia dell'immagine un'importanza pari a quella dei ben più famosi sali d'argento.
IL NUOVO PROCEDIMENTO DOMINANTE L'evoluzione maggiore, comunque, della seconda metà del XX secolo ci sembra essere senz'altro l'ascesa della fotografia a colori a procedimento dominante. L'autocromia si diffuse fino alla metà degli anni... more
IL NUOVO PROCEDIMENTO DOMINANTE L'evoluzione maggiore, comunque, della seconda metà del XX secolo ci sembra essere senz'altro l'ascesa della fotografia a colori a procedimento dominante. L'autocromia si diffuse fino alla metà degli anni '30. Vennero introdotte, nel 1931, lastre autocrome su pellicola ("Filmcolor") ed ancora in seguito (nel '33) su pellicola in rullo con il nome di "Lumicolor": su ogni rullo potevano essere realizzate 8 autocromie nel formato 6x9 cm. Il colore prodotto con la tecnica dello sviluppo cromogeno su materiali a copulanti incorporati venne introdotto dopo la metà degli anni '30: il procedimento Kodachrome da parte Kodak e quello Agfacolor da parte Agfa. Gli studi sulla tecnica dello sviluppo cromogeno datano dai primi decenni del secolo ma necessitarono di molto tempo per iniziare a fornire risultati utilizzabili. Il problema principale da risolvere era la diffusione dei copulanti (le sostanze necessarie alla formazione del colore) tra i vari strati dell'emulsione. Il copulante giallo, ad esempio deve restare, durante il trattamento, nel suo strato: se migra in un altro strato destinato ad un altro colore la riproduzione risulterà, naturalmente, alterata. Negli anni '30 tale problema fu risolto, con metodologie diverse sia dalla Kodak sia dalla Agfa, che introdussero in commercio, quindi i nuovi materiali, che andarono a sostituire l'autocromia. Dopo l'inevitabile battuta d'arresto dovuta alla II guerra, il colore iniziò ad avere una progressiva diffusione. I primi procedimenti furono, come si è detto, ad inversione, e producevano diapositive a colori, ma ben presto furono disponibili le prime pellicole negative per stampe a colori. Naturalmente la diffusione del colore non fu istantanea, data la complessità chimica del trattamento ed il relativo costo, sensibilmente più elevato dei collaudati procedimenti in
SECOLO Si è visto, dunque, come l'introduzione della nuova tecnologia dell'emulsione alla gelatina seguita rapidamente dal nuovo supporto infrangibile, dalla sensibilizzazione ai colori, dai nuovi materiali da stampa già pronti per l'uso,... more
SECOLO Si è visto, dunque, come l'introduzione della nuova tecnologia dell'emulsione alla gelatina seguita rapidamente dal nuovo supporto infrangibile, dalla sensibilizzazione ai colori, dai nuovi materiali da stampa già pronti per l'uso, ecc. abbia determinato un vero sconvolgimento, negli ultimi decenni del XIX secolo, nell'universo fotografico dell'epoca, gettando tutte le premesse per un nuovo modo di intendere la fotografia a partire dalle proprie basi tecniche, cioè dallo specifico del proprio linguaggio. Tutto ciò può, in qualche modo essere riassunto da un fatto: il passaggio degli elementi di base del linguaggio fotografico dalle mani del "protofotografo" all'industria fotografica: non è un caso che quasi tutte le maggiori industrie fotografiche nascano in questi anni. Ma la nascita delle nuove industrie che per prosperare avevano bisogno di investire in pochi procedimenti altamente redditizi determinarono anche la fine di molte "potenzialità espressive" insite nel linguaggio fotografico (si veda il capitolo sui procedimenti non-argentici). Non si vuole, con questo discorso, certamente gettare il discredito sui prodotti dell'industria fotografica, ma si vuole semplicemente osservare che il passaggio della fotografia nelle mani di quest'ultima avrà l'indubbio merito di perfezionare al massimo il procedimento alla gelatina-argento, che grazie a studi e tecniche sofisticatissime, diverrà altamente affidabile ed alla portata di tutti, ma taglierà anche, in maniera inesorabile tutti gli altri procedimenti (argentici e, soprattutto, non-argentici) non perché non in grado di dare buoni risultati, ma semplicemente in quanto antieconomici. Questo tolse, in qualche modo, molto alla progettualità nell'arte fotografica, sino a giungere a convincere intere generazioni che la fotografia si identificasse unicamente con il prodotto industriale.
Per tutto l'800 e nei primi decenni del '900 la stampa come è noto fu ad annerimento diretto. Ciò la differenzia nettamente dalla tecnica di stampa introdotta successivamente ed ancora attuale, cioè quella a sviluppo. Ci sembra giusto... more
Per tutto l'800 e nei primi decenni del '900 la stampa come è noto fu ad annerimento diretto. Ciò la differenzia nettamente dalla tecnica di stampa introdotta successivamente ed ancora attuale, cioè quella a sviluppo. Ci sembra giusto dedicare una scheda specifica unicamente al trattamento chimico di questi materiali che sono stati utilizzati per oltre 80 anni e che hanno subìto un'evoluzione che ne ha influenzato oltre che l'aspetto anche la stabilità nel tempo. Questa trattazione riguarderà volutamente solo i procedimenti argentici, sia in quanto di gran lunga più diffusi, quanto meno a livello quantitativo, sia perché quelli non-argentici saranno trattati oltre in una sezione apposita. Descrivere tutti i trattamenti insieme, del resto, sarebbe molto difficile a livello didattico e ingenererebbe solo molta confusione. Carta Salata Il primo procedimento di stampa fu una diretta derivazione dei primi esperimenti effettuati con carta, alogenuri alcalini (cloruro di sodio) e nitrato d'argento. Il trattamento delle carte salate era piuttosto semplice: un lavaggio iniziale per eliminare i sali d'argento solubili in acqua, seguito da un fissaggio in soluzione neutra o alcalina di iposolfito di sodio1. Con il fissaggio la stampa assumeva un colore tendente all'arancione, ma una volta asciutta la carta salata forniva immagini di colore bruno-rosso mattone. Numerosissime furono le varianti per ottenere variazioni o sfumature cromatiche diverse, 1 Ad eccezione delle prime che non erano fissate con iposolfito ma trattate con soluzione concentrata di alogenuri alcalini
L'esposizione. I trattamenti correttivi delle immagini La sensibilità ai colori nella foto in B/N. La riproduzione. Il primo procedimento a colori L'applicazione maggiore dei viraggi per mordenzatura fu nella colorazione delle... more
L'esposizione. I trattamenti correttivi delle immagini

La sensibilità ai colori nella foto in B/N. La riproduzione.

Il primo procedimento a colori



L'applicazione maggiore dei viraggi per mordenzatura fu nella colorazione delle diapositive (il vetro o la pellicola naturalmente non avevano il difetto di assorbire il colore) e delle pellicole cinematografiche1. Una notevole quantità di diapositive colorate con questo metodo fu realizzato, soprattutto a scopi didattici o anche pubblicitari, anche in epoche relativamente recenti (anni '50-60). Il periodo di massima diffusione fu, comunque, durante gli anni '20-30 prima dell'in-troduzione dei moderni procedimenti a colori. SCHEDA TECNICA VI: L'ESPOSIZIONE E I TRATTAMENTI CORRETTIVI2 Le rapide evoluzioni spesso spingono a dimenticare pratiche quotidiane presenti da decenni, un poco come se non fossero mai esistite. É questo il caso dei trattamenti chimici correttivi dei fototipi in bianco e nero, molto usati dalle origini della fotografia fino a pochissimi decenni orsono. Al giorno d'oggi qualunque apparecchio da ripresa dispone di un esposimetro incorporato; un esposimetro separato, nel caso ce ne sia bisogno, eventualmente non presenta grandi problemi di reperibilità. 1 Il colore nella cinematografia fu introdotto verso la fine degli anni '30, anteriormente per ottenere effetti cromatici durante le proiezioni furono adottate varie tecniche, tra queste il viraggio per mordenzatura offriva il vantaggio di ottenere qualunque colore impiegando semplici soluzioni colorate: si potevano così intonare in verde scene di paesaggio, in blu scene marine o notturni, ottenendo effetti all'epoca molto suggestivi in proiezione e in maniera relativamente semplice. 2 Per coloro che fossero interessati ai numerosi trattamenti cui potevano essere sottoposti i negativi per rimediare ad errori di esposizione o di trattamento si veda uno dei più interessanti ed autorevoli testi dell'epoca: R. Namias, "Manuale teorico pratico.
Caratteristiche della gelatina per uso fotografico. I trattamenti di viraggio caratteristici del XIX eXX secolo Vale la pena, a questo punto, descrivere in maniera un poco più approfondita uno dei colloidi più impiegati nei... more
Caratteristiche della gelatina per uso fotografico.

I trattamenti di viraggio caratteristici del XIX eXX secolo




Vale la pena, a questo punto, descrivere in maniera un poco più approfondita uno dei colloidi più impiegati nei procedimenti fotografici. La gelatina è, come già detto, una sostanza di estrazione animale. Le sue caratteristiche possono variare anche notevolmente a seconda della provenienza. Essa assorbe acqua rigonfiandosi, ma non sciogliendosi, se la temperatura resta al di sotto di un certo valore; questo valore "limite" al di sotto del quale la gelatina assorbe acqua senza fondere (o, come si usa dire tecnicamente, resta allo stato di "gel") mentre, se viene superato, fonde (passa cioè allo stato di "sol"), è misurato in gradi detti "bloom". Più alto è il grado bloom di una certa gelatina più alto è il suo punto di fusione. In funzione del grado bloom le gelatine vengono definite: tenere, semi-dure e dure. Come è intuibile le gelatine tenere hanno un grado bloom più basso di quelle dure e fondono a temperature più basse di queste ultime. Caratteristica molto rilevante legata ai gradi bloom è la rapidità con cui una certa gelatina assorbe acqua e la quantità di acqua assorbita: una gelatina tenera, cioè con grado bloom basso, assorbe acqua più rapidamente di una gelatina dura. Tuttavia una gelatina tenera, anche se assorbe acqua più rapidamente di una gelatina dura, ne assorbe notevolmente meno. In altre parole anche se in un tempo relativamente breve una gelatina morbida assorbe rapidamente una certa quantità d'acqua, una gelatina più dura, lentamente, ne assorbirà molta di più. Si può già facilmente intuire quanto sia importante la conoscenza delle caratteristiche cui abbiamo accennato per la riuscita di qualunque applicazione che preveda l'impiego di gela-tina. Altra proprietà particolare di questo colloide è il fenomeno della "reticolazione".
Una storia in più parti con particolare attenzione alle diverse tecniche di stampa oltre che di ripresa.
Dalle discusse origini ad oggi.
L'opera è intercalata da ampie schede che si addentrano nell'aspetto tecnico.
La parte seconda descrive i procedimenti chimici che sono alla base della storia della Fotografia. Le tecniche riprenderanno a partire dalla prossima terza parte PARTE SECONDA SCHEDA TECNICA I: TRATTAMENTO FOTOGRAFICO: sviluppo,... more
La parte seconda descrive i procedimenti chimici che sono alla base della storia della Fotografia.
Le tecniche riprenderanno a partire dalla prossima terza parte



PARTE SECONDA SCHEDA TECNICA I: TRATTAMENTO FOTOGRAFICO: sviluppo, fissaggio e lavaggio. Prima di proseguire con l'introduzione dell'altro procedimento fotografico presentato nel 1839, cioè la calotipia (o talbotipia) è necessario approfondire alcuni concetti tecnici caratteristici e fondamentali della fotografia, senza i quali sarebbe impossibile comprenderne l'evoluzione. La fotografia si basa sulla fotochimica dei sali d'argento; quelli impiegati più comunemente al giorno d'oggi sono: il bromuro, il cloruro, lo ioduro d'argento. Sul materiale sensibile è presente uno strato di queste sostanze, sotto forma di microscopici cristalli. L'esposizione alla luce provoca un'alterazione nella loro struttura molecolare, non rilevabile visualmente; questa alterazione prende il nome di "immagine latente", cioè immagine nascosta.Per provocare la formazione dell'immagine è necessario mutare questa alterazione da latente in visibile: questa trasformazione prende il nome di "sviluppo".
In questa terza parte sono descritti i più antichi procedimenti di ripresa e stampa fotografica: la Calotipia e la Carta Salata. Dal 1840 al 1860 circa Come si è visto il dagherrotipo ebbe una evoluzione ed una storia a se: dopo i primi... more
In questa terza parte sono descritti i più antichi procedimenti di ripresa e stampa fotografica: la Calotipia e la Carta Salata.
Dal 1840 al 1860 circa


Come si è visto il dagherrotipo ebbe una evoluzione ed una storia a se: dopo i primi miglioramenti e l'enorme successo e diffusione, dovuti sia alla novità sia al fascino intrinseco del procedimento, esso cadde lentamente in disuso, sostituito dalle nuove tecniche, nel frattempo subentrate; una delle ragioni principali fu, si ricorda, il fatto che ogni dagherrotipo era un originale in copia unica. Non fu così per il calotipo, il progenitore del moderno negativo fotografico, da cui sono ottenibili, per definizione, un numero teoricamente illimitato di fototipi positivi. La differenza fra un calotipo e un negativo moderno è, a conti fatti, sostanzialmente nel supporto: in pellicola flessibile e trasparente per il negativo moderno, in carta per il calotipo. L'immagine negativa del calotipo (come, del resto, quella dei negativi bianco-nero contemporanei) è costituita come è noto, da argento metallico. A questo punto conviene fare un po' di storia per vedere come si arriva al procedimento, che fu presentato in gran fretta lo stesso anno del dagherrotipo1, naturalmente con rivendicazioni di priorità da parte di Talbot; ma andiamo per ordine. La sensibilità alla luce dei composti dell'argento era nota da tempo: troviamo osservazioni su di essa nel '700 ed anche nel '600; non vi è ragione, per lo meno secondo l'opinione di chi scrive, di dubitare che fosse nota molto tempo prima. I sali d'argento erano ampiamente utilizzati dagli alchimisti e ci sembra strano che nessuno abbia notato la loro caratteristica di mutare aspetto con l'esposizione alla luce. 1 Per la precisione Talbot non presentò esattamente, nel 1839, il procedimento calotipico come sarà conosciuto successivamente. In quella data infatti egli non era ancora giunto alla scoperta dello sviluppo cui perverrà tra la fine del 1840 e l'inizio del 1841. Solo a partire dalla scoperta dello sviluppo si potrà parlare di "procedimento calotipico".
La quarta parte introduce all'apparecchio fotografico ed alle sue parti. Problemi legati alla scarsa trasparenza e sensibilità del negativo su carta L'apparecchio fotografico deriva dalla antica "camera oscura", di cui si può... more
La quarta parte introduce all'apparecchio fotografico ed alle sue parti.
Problemi legati alla scarsa trasparenza e sensibilità del negativo su carta



L'apparecchio fotografico deriva dalla antica "camera oscura", di cui si può considerare un perfezionamento, teso ad ottenere una migliore qualità dell'immagine unitamente ad una maggiore luminosità. Il principio della camera oscura era noto da vari secoli: se in un ambiente oscuro (cioè una "camera") si pratica un foro in una parete comunicante con l'esterno, esso proietta ciò che si trova di fronte all'interno della "camera" stessa. Le dimensioni del foro determinano la luminosità dell'immagine e la sua nitidezza: se il foro è relativamente grande l'immagine sarà piuttosto luminosa ma la sua nitidezza scarsa, viceversa con un foro più piccolo i dettagli saranno migliori ma l'immagine alquanto scura. Ben presto (nella seconda metà del '500) ci si rese conto che le cose potevano essere migliorate di molto se si sostituiva il foro con una lente: una lente positiva forma un'immagine reale qualunque sia il diametro del foro stenopeico, permettendo di guadagnare molto in luminosità. Naturalmente le prime lenti introducevano anche dei difetti: l'immagine era nitida al centro e di meno ai bordi, le linee rette erano incurvate ecc., ma il vantaggio di avere più luce era determinante. Inoltre alcuni difetti non hanno un effetto sempre negativo: nel ritratto, ad esempio, il soggetto si trova quasi sempre nella zona centrale ed il fatto che i bordi siano poco nitidi può spesso risolversi in qualcosa di gradevole. Con i primi esperimenti fotografici si iniziò anche a migliorare la qualità degli obiettivi, sostituendo alla lente singola un insieme di lenti che permettesse prestazioni migliori in termini di nitidezza ed ancora di luminosità: occorre sottolineare un fatto spesso piuttosto trascurato: i progressi della nascente fotografia furono strettamente legati ai progressi nella ricerca ottica. Un apparecchio fotografico si compone di tre parti essenziali, tra loro interconnesse: l'obiettivo, la camera oscura propriamente detta, che negli apparecchi più grandi ha generalmente la forma di un soffietto allungabile, il dorso in cui trova posto la pellicola o, anticamente, la lastra sensibile.
La scoperta del Collodio e l'evoluzione nella ripresa. Le tecniche positive al collodio oltre la sua applicazione elettiva con il negativo al collodio umido. La nuovo carta da stampa per antonomasia: La carta albuminata Negli... more
La scoperta del Collodio e l'evoluzione nella ripresa.
Le tecniche positive al collodio oltre la sua applicazione elettiva con il negativo al collodio umido.
La nuovo carta da stampa per antonomasia: La carta albuminata



Negli anni '40 era stata scoperta una sostanza derivata dalla reazione tra cellulosa ed acido nitrico chiamata genericamente: nitrato di cellulosa. La reazione doveva avvenire in presenza di acido solforico1, ad una temperatura e per un tempo attentamente controllati. In realtà sottoponendo la cellulosa (in pratica cotone puro) all'azione dell'acido nitrico si ottengono una serie di composti dal comportamento chimico-fisico diverso, queste diversità dipendono in larga misura dal modo in cui viene condotta la reazione. Il composto utilizzato per la preparazione del collodio era la "pirossilina" detta anche "cotone azotico" o anche "fulmicotone", che corrisponde alla di-nitrocellulosa. Se la reazione tra cotone ed acido nitrico veniva condotta in maniera differente si otteneva la mono-nitrocellulosa, che non aveva impieghi in fotografia. Variando ancora tempi e temperatura il composto ottenuto era la tri-nitrocellulosa che aveva impieghi come esplosivo. Il nitrato di cellulosa successivamente sarà alla base della fabbricazione delle prime pellicole fotografiche. Le prime applicazioni in questo senso datano dagli anni '70 circa, ma la loro reale diffusione inizierà, come si è già accennato, dagli anni '80 in poi, con i nuovi procedimenti ad emulsione. Il collodio propriamente detto veniva preparato sciogliendo una certa quantità di pirossilina in una miscela di alcol ed etere: si otteneva una soluzione collosa, vischiosa, che spalmata su qualunque superficie, formava una pellicola sottile, e trasparente una volta evaporati i solventi (il termine "collodio" deriva dal greco e significa "colla"). IL COLLODIO UMIDO Le prime applicazioni del collodio furono, e rimasero a lungo, sanitarie: veniva utilizzato per proteggere ferite e, addizionato di adatte sostanze, anche a scopo curativo.
PHOTOGRAPHIC DOCUMENTS STABILITY
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Qualche appunto sulla stampa fotografica tradizionale su carta a sviluppo II
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Description of the traditional photo printing process
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The first photographic negative
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Sarà opportuno riepilogare per sommi capi la storia della nascita della dagherrotipia per comprendere meglio una singolare " ironia della sorte ". Parlando di questo procedimento, è necessario nominare un personaggio che si trova in tutti... more
Sarà opportuno riepilogare per sommi capi la storia della nascita della dagherrotipia per comprendere meglio una singolare " ironia della sorte ". Parlando di questo procedimento, è necessario nominare un personaggio che si trova in tutti i manuali di storia della fotografia: N. Nièpce. Prima della messa a punto, nella seconda metà del XIX secolo, delle tecniche foto-meccaniche, che permisero la riproduzione massiva di immagini destinate ad illustrare libri, manuali, ecc. l'unico mezzo per produrre un (relativamente) grande numero di copie di una stessa immagine era l'incisione. Questa tecnica consiste nel realizzare una " matrice " in rame (calcografia) oppure in legno (xilografia) su cui veniva incisa l'immagine. Varie Le tecniche di incisione. Per le matrici in legno, ovviamente, la tecnica era quella dell'intaglio. Per quelle in rame si poteva ricorrere ad un'incisione " diretta " mediante delle punte in metallo, ad esempio il bulino, oppure mediante tecnica di incisione indiretta chiamata " acquaforte " (una soluzione chimica corrodeva la lastra di rame, preparata in maniera particolare, creando i solchi dell'immagine). Le due tecniche potevano essere combinate se l'artista lo riteneva opportuno e esistevano anche molte altre tecniche, per ottenere gli effetti più vari, su cui non ci soffermeremo. La matrice, una volta incisa, veniva inchiostrata e pulita dall'eccesso di inchiostro che restava solo nei solchi che costituivano l'immagine. Quindi veniva stampata su carta mediante un torchio; le fibre della carta spinte dalla pressione penetravano negli incavi inchiostrati che venivano riprodotti fedelmente sulla stampa. Dobbiamo notare che per ottenere una lastra pronta per la stampa era necessario molto tempo: da qualche ora, se il disegno da riprodurre era piccolo e semplice e l'artista era abile, a diversi giorni se il disegno era grande e complesso. L'incisione presentava altri inconvenienti tecnici non trascurabili. l'inchiostratura doveva essere ripetuta per ogni copia e era un'operazione piuttosto lunga. Occorreva ricoprire tutta la lastra di inchiostro, quindi procedere ad una scrupolosa pulitura della superficie perché qualunque traccia, anche minima, di inchiostro restato accidentalmente sulla superficie si sarebbe tradotta in una macchia sulla stampa finita. Il torchio, inoltre, esercitando una pressione sulla lastra per far penetrare le fibre della carta negli intagli, causava un progressivo appiattimento degli intagli stessi, con relativa perdita di qualità. La tecnica dell'incisione manuale, insomma, dalla seconda metà del '700 cominciava a non rispondere più alle esigenze della nuova società borghese, in grande ascesa. Le immagini riprodotte con questa tecnica erano troppo costose, la lastra di rame non poteva essere utilizzata all'infinito perché dopo un certo numero di passaggi sotto il torchio i solchi, progressivamente " appiattiti " dalla pressione, rendevano la lastra inservibile. L'abilità di un bravo stampatore era, allora come adesso, riuscire a " tirare " il maggior numero possibile di copie, riducendo la pressione del torchio al minimo possibile, inchiostrando opportunamente, ecc. Da più parti si cercavano per la produzione di immagini mezzi più pratici ed economici, rispondenti al bisogno di comunicazione dei nuovi tempi. Già all'inizio del XIX secolo una nuova tecnica era stata introdotta: la litografia.
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storia ed evoluzione dei supporti fotografici: carta, vetro, pellicole di diverso tipo nella fotografia
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