Lunaria
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Steven Savile
Steven Savile has no life. It's official. That's probably the most important thing you can know about him. So, now we've got that out of the way, the good stuff, like what's he done, where and to whom. Steve's a man of many hats - like many people without hair. Hat number one, the bright colourful scotch tweed flat cap, is Steve's original fiction. Most recently he has written SILVER. You might have noticed it. It takes up a good 90% of this site. If you didn't notice it you're probably not reading this bit either, so I guess we'll forgive you, not that you'll notice. His other stuff include various novels and short story collections like The Hollow Earth, Temple: Incarnations, Laughing Boy's Shadow, Houdini's Last Illusion, Angel Road, and the graphic novel Fragrance of You (with artist Robert Sammelin). Steve was a runner up in the 2000 British Fantasy Awards, a winner of a 2002 Writers of the Future Award, and was nominated for the inaugural 2006 Scribe Award for best novel adaptation for his novel Slaine: The Exile. His novel Primeval: Shadow of the Jaguar is currently nominated for the 2008 Scribe Award for Best Young Adult Novel. Fingers and toes are naturally crossed. Hat number two is his tie-in writing. Steve is the author of the Von Carstein Vampire trilogy (Inheritance, Dominion, Retribution) set in Games Workshop's popular Warhammer world. The individual books were gathered together into the omnibus edition, Vampire Wars, and Steve being the awkward so and so he is went and rewrote the last chapter of the last book just for that omnibus. It isn't often we get a chance to put right what once went wrong, so to speak, so apologies to everyone who read the original ending. Go to the local bookshop and check out the new end. Tell them Steve sent you if they hassle you about reading in the corner without buying the book! His final book for Games Workshop, Curse of the Necrarch, features a 60 year old hero who has a heartattack right around the page 50, and is all about the futility of heroism and war as it's generally portrayed in fantasy novels. Let's just say it was a brave book for Games Workshop to publish and opinion seems to be split down the middle as to whether it is the best or worst thing he's ever written, so he must have done something right, eh? Steve's also written the best-selling original audio novel Torchwood: Hidden for BBC Audiobooks. It was read by Naoko Mori who plays Toshiko Sato in the BBC s...
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Anteprima del libro
Lunaria - Steven Savile
FINE
Lunaria
di Steven Savile
––––––––
Italian Digital Edition published by BableCube
Copyright © 2014 Steven Savile
Cover Design by: Lukas Thelin
Translation by: Valeria Poropat
LICENSE NOTES
This eBook is licensed for your personal enjoyment only. This eBook may not be re-sold or given away to other people. If you would like to share this book with another person, please purchase an additional copy for each person you share it with. If you're reading this book and did not purchase it, or it was not purchased for your use only, then you should return to the vendor of your choice and purchase your own copy. Thank you for respecting the hard work of this author.
Descrizione
La vita della quindicenne Ashley è complicata. Non c'è dubbio che i suoi super-impegnati genitori la amino, ma sono talmente presi dal loro mondo che spesso lei si sente sola.
Come molti adolescenti, Ashley sogna di altri mondi ma, a differenza di molti altri adolescenti, il suo mondo sta per crollare quando passaggi per un antico Regno delle Fate cominciano ad aprirsi tutto intorno a lei. Con l'arrivo di una squadra di assassini soprannaturali mandati per ucciderla e un'eredità inaspettata, la Londra di Ashley sta per trasformarsi in una magica e misteriosa zona di guerra in cui Ashley è il premio in palio.
Ashley deve scoprire i segreti della propria vita prima di essere uccisa. Destreggiandosi tra profezie, compiti e l'amore della sua vita niente di meno!Partite anche voi per il meraviglioso mondo di Lunaria.
La scrittura di Savile è bella da far male e trascina il lettore in un mondo fantastico da cui non si vorrebbe più tornare. La storia ti prende alla gola e non ti molla, lasciandoti con la voglia di saperne di più. L'autore mescola intrighi politici e epica fantasy in una storia che parla del diventare grandi che lascerà il lettore con la voglia disperata di sapere cosa ne sarà della giovane eroina e dell'assassino mandato a ucciderla. Un classico che prende forma.
Debbie Viguie, NYT #1 Bestselling Author, autore della serie Wicked.
Il lavoro di Steven Savile simboleggia lo spirito delle letture d'avventura per ragazzi! Audace e inaspettato. Lunaria è una lettura elettrizzante per tutti quello che hanno bisogno di uscire dalla quotidianità. Savile dimostra di saper scrivere tutto quello che vuole.
- Ashley Knight, autore di Fins & Fathom
BIOGRAFIA:
Steven Savile ha scritto per Doctor Who, Torchwood, Primeval, Stargate, Warhammer, Slaine, Fireborn, Pathfinder, Arkham Horror, Rogue Angel, WarMachine e altri famosi giochi e universi del fumetto. I suoi romanzi sono stati tradotti in otto lingue al momento, compreso il bestseller italiano L'eridita. Ha vinto l'International Media Association of Tie-In Writers award per il romanzo di Primeval SHADOW OF THE JAGUAR, pubblicato da Titan nel 2010 e il primo Lifeboat to the Stars award per TAU CETI (scritto insieme all'autore di bestseller internazionali Kevin J. Anderson). SILVER, il suo thriller di esordio è arrivato al secondo posto nella e-chart di Amazon UK nell'estate del 2011, vendendo oltre 75.000 copie. Tra gli ultimi titoli, HNIC (con la famosa star dell'hip hop Prodigy, di Mobb Deep) che è stato Library Journal's Pick of the Month, il romanzo ispirato al videogioco RISEN 2: DARK WATERS, e 2084 un romanzo di fantascienza per ragazzi per Cambridge University Press che fa parte dell'iniziativa Coding Club/Raspberry Pi e sarà il primo romanzo originale pubblicato da questa casa editrice dopo 500 anni, da quando ha ricevuto il Royal Charter da re Enrico VIII.
UNO
Il Giocoliere
––––––––
Il branco di lupi si aggirava per le strade di Londra ululando. Erano in cinque, con un Alfa a guidarli. Erano passati per la porta di Gloders Green, veloci, seguendo l'odore della ragazza. Non c'erano stelle nel cielo cittadino, illuminato dai riflessi delle luci della strada. Correvano veloci e con passo potente, tenendo il corpo quanto più possibile vicino a terra. Le narici luccicavano mentre annusavano in cerca della ragazza.
Era vicina.
Molto.
Ma il tempo era contro di loro.
La luna era ridotta a una piccola falce crescente nel cielo striato e violaceo.
Dovevano trovarla, ucciderla e rientrare prima che la Porta di Luna si richiudesse. La missione era facile.
Era un errore credere che i Wolfen potessero correre solo con la luna piena. Non era vero. I Wolfen potevano trasformarsi a piacimento, ma era più facile se la luna – una qualunque – era alta nel cielo. Ce n'erano sette nel loro cielo, quindi ogni notte era una notte giusta per i Wolfen.
Nessuno era al sicuro.
La porta che i lupi avevano utilizzato era nel seminterrato del vecchio crematorio, vicino alle lapidi di molti morti celebri di Londra. Era una porta come non se ne erano mai viste. Non era fatta né di ferro, né di acciaio, né di legno. Non c'erano cardini e non c'erano chiavistelli. In realtà era una porta solo di nome e veramente si sarebbe dovuta chiamare punto debole, perché era esattamente questo, un punto debole tra i mondi. Una sovrapposizione: un luogo in cui i Regni della Luna e la Faccia del Sole si sfioravano.
Accadeva di rado ma quando le lune si allineavano quel punto debole diventava una porta che poteva essere attraversata.
Quella notte, per la prima volta in oltre cento anni, i Wolfen erano a caccia per le strade di Londra. Non erano soli là fuori. Nonostante fosse buio, era ancora presto. La notte calava presto all'approssimarsi del solstizio di inverno. Ma Londra era il tipo di città in cui strane cose accadono di giorno e di notte e perfino mentre i Wolfen correvano lungo Finchley Road la gente che si riversava fuori dalla stazione della metropolitana si fermava e gettava un'occhiata per un attimo prima di riprendere a camminare, pensando che fosse una qualche scena di un film che si stava girando in zona. Questa era l'essenza della città. C'era sempre qualcosa di magico che succedeva ma le persone non si prendevano mai il tempo per vedere davvero.
Lampo Acquanera annusò l'aria.
Gli arrivò l'odore della ragazza.
La respirò.
Ululò alla luna.
Quattro membri del branco correvano su due gambe anziché su quattro zampe, i corpi allungati, i muscoli tesi e potenti mentre attraversavano la strada. Il capo era una bella bestia nera con una striscia bianca sull'occhio sinistro. Correva davanti a tutti sulle quattro zampe. Lampo Acquanera governava il suo branco con artigli di ferro e zanne sinistramente acuminate. Loro lo seguivano senza domande mentre si insinuavano nelle strade sconosciute.
Come fanno a vivere così? Tagliati fuori da tutto. Lampo era dispiaciuto. L'asfalto sotto le zampe impediva a tutto tranne all'essenza più potente del potere della terra di raggiungerlo mentre correva veloce. Non mi meraviglio si siano perduti.
I Wolfen videro una donna con un lungo cappotto di pelle correre davanti a loro per le strade cittadine. Si guardò indietro. Solo un rapido sguardo mentre continuava a correre. C'era qualcosa di familiare in lei. Lampo Acquanera annusò l'aria. Era colma di fetori e puzze e odori nauseanti, tutti così diversi dagli odori cui era abituato: grasso di hamburger, sudore, olio di patatine, benzina, fumi di scarico, cibo marcio e altri aromi legati in un certo senso al decadimento. Lei era diversa. No, aspetta. Lei non era di là.
La donna smise di correre.
Lampo Acquanera si irrigidì, ergendosi in tutta la sua statura, e la affrontò.
Lei sorrise. Non c'era calore in quel sorriso. Affondò una mano nella profonda tasca e ne tirò fuori quelle che sembravano palle da giocoleria. Ne lanciò una in aria.
Io ti conosco, Targyn Fae,
sputò il Wolfen. Pensavo di averti già ucciso una volta! Non commetterò di nuovo lo stesso errore, credimi.
Le parole sembravano prodursi da pietre che sbattevano e si graffiavano nel suo stomaco. Affrontami e muori una seconda volta.
Il branco di Wolfen si strinse intorno a lui.
Erano disarmati, secondo il Trattato Grimm. Le armi fatate, benedette, incantate o marchiate in qualunque altro modo nei Regni della Luna non potevano superare le porte. Non era possibile. Per questo Redhart Jax aveva mandato i Wolfen, ovviamente. Non avevano bisogno di armi per affrontare la ragazza. Loro erano le armi. Avevano denti e artigli. E quegli artigli graffiavano lo strato superiore della strada lasciando profondi solchi. Non era difficile immaginare cosa avrebbero potuto fare alla pelle e alle ossa.
I Wolfen respiravano pesantemente, le lingue penzolavano dalla bocca per saggiare l'aria, la vita e le inevitabili sottocorrenti di morte e decadimento che viaggiavano con la brezza.
Attendevano che Lampo Acquanera desse il comando.
Lei è qui, non è vero, Giocoliere?
ruggì Lampo. Riesco a sentirla.
Lei.
La ragazza. La figlia della Regina delle Fate. La sua missione.
Potevano chiamarla come volevano, ma non cambiava il fatto che fosse sangue del sangue di Tanaquill e solo per questo motivo meritasse la morte. Lui era un soldato. I soldati vivono per servire. I soldati seguono gli ordini. Non li mettono in discussione per quanto scomodi gli ordini possano essere.
E quegli ordini erano per Lampo davvero scomodi.
Ma non avrebbe tradito il suo re.
Era inimmaginabile.
Lei era vicina. Come la donna davanti a lui, era diversa. Non era di là. Era semplice. La rea e l'aria puzzavano di errore.
Non puoi salvarla da me, Giocoliere! È il suo volere. Deve morire!
Lampo Acquanera cacciò la testa all'indietro e ululò, la voce crebbe e crebbe finché non coprì le sirene della polizia e la musica che usciva dai pub e tutti gli altri suoni per quel tanto che bastava perché il suo grido di guerra raggiungesse le orecchie della preda. Era a caccia. Voleva che lei sapesse che stava venendo per lei. Voleva conoscesse la paura. Aveva il suo odore. Non l'avrebbe persa ora.
C'erano una decina di luoghi intorno alla città in cui si sarebbero potute trovare le Porte di Luna: Aldgate, Bishopsgate, Cripplegate, Newgate, Moorgate e Ludgate. Erano le vecchie porte delle mura cittadine romane ma erano più antiche dei tempi dell'invasione, più antiche di quanto potesse spingersi la memoria dell'uomo. Ciascuna si apriva su un punto diverso dei Regni della Luna, nei boschi dove vivevano i Wolfen, le alte fortezze di pietra dei Kith e della loro progenie dalla pelle color della cenere che bevevano sangue e si tenevano alla larga da tutto ciò che era legato alla Faccia del Sole, o le profonde caverne dei Daemondim dove la lava ribolliva e si spargeva dando vita a creature che nessun uomo sano di mente vorrebbe mai vedere, o le catene montuose dei Coribrae, gli uomini corvo che volavano alti, gracchiando e guardando, guardando e gracchiando, o le paludi in cui gli uomini del fango si crogiolavano nel brodo primordiale. Le porte riunivano tutti i luoghi.
E quella notte, le porte erano aperte.
Lampo Acquanera avanzò lentamente verso il giocoliere. Le luci al neon dei cinema e quelle accecanti dei kebab e delle rosticcerie unte aperti per la folla notturna illuminavano la strada. Il giocoliere lo fissava. Guardava e basta. Non fece nessun accenno a voler combattere. Lanciò in aria la seconda palla e le tenne in movimento. Se ne aggiunse una terza.
Lampo annusò di nuovo l'aria, l'odore sfuggente della ragazza si perdeva nelle correnti notturne. La città vera, il centro in cui si ammassavano i turisti, era vivo, traboccante di corpi e così zeppo di odori che la perse.
Non aveva mai perso nessuno.
La rabbia crebbe in Lampo Acquanera.
Affondò gli artigli nell'asfalto, strappandone pezzi come fosse stato terriccio.
Poi gli fu chiaro. Era stato questo il piano del giocoliere fin dall'inizio: attirarlo nella bolgia umana e nasconderla sotto così tanti odori pungenti. E per farlo il giocoliere aveva solo tirato fuori una falsa esca da fargli seguire. Lei non era mai stata lì. Lampo Acquanera era stato preso nel sacco.
La striscia di pelo lungo la spina dorsale di Lampo si rizzò.
Era un guerriero scelto, un cacciatore impareggiabile.
Se Lampo Acquanera seguiva il tuo odore era una condanna a morte.
Ed era stato indotto a seguire una donna morta per le strade e lontano dalla sua preda.
Io ti ucciderò per questo!
sputò Lampo.
Meglio che lo faccia tu che non Ashkellion,
Targyn Fae gli disse. Questo è un sacrificio che sono pronta a fare.
Lui le si avvicinò, ognuno dei suoi potenti muscoli lo spingeva avanti. Divorò a grandi passi la distanza che li divideva, Targyn Fae si faceva a ogni battito di cuore più vicina. Il giocoliere indossava i chiassosi colori di un saltimbanco sotto il lungo soprabito di pelle. Lanciò una quarta palla in aria, rendendo l'esercizio più complesso. Aveva il pieno controllo di ogni palla.
Dietro di lei un cartello in una vetrina recitava ULTIMI GIORNI!
Il poster bianco e rosso avrebbe potuto significare la fine dell'inverno ma il suo messaggio era molto più generale. Trapassava il cuore di ogni cosa.
Il giocoliere lanciò in aria, una dopo l'altra, le palle nere e lucide finché ce ne furono cinque appese, sospese nel cielo notturno come scure stelle. Il suo viso era dipinto di bianco, come una statua, e dal collo pendevano i più strani occhiali mai visti, come se fossero fatti di pietra con le lenti d'olio. Il viso era affilato e finemente cesellato. Era bella ma di una bellezza aspra e spigolosa. Non c'era nulla di morbido in lei. La testa si muoveva talmente piano che chi non avesse fissato lo sguardo sul giocoliere avrebbe pensato si trattasse di una di quelle statue dipinte che avevano messo radice intorno a Covent Garden e nelle strade limitrofe. Nei suoi occhi però non c'era nulla di immobile. Si muovevano rapidissimi, adocchiando in ogni direzione per tenere tutto sotto controllo.
Uccidermi però non sarà facile, Lampo. E finché io vivo lei sarà protetta,
disse Targyn, la voce poco più di un sussurro. Lampo la percepì distintamente.
I Wolfen rizzarono tutti il pelo, la pelliccia di tutto il branco era sollevata. Le labbra si ritrassero mostrando denti scheggiati e macchiati di giallo. Gli occhi erano lividi per le luci dei lampioni. Quello più vicino, secondo a Lampo solo per stazza e ferocia, scattò verso il giocoliere. Dalla bocca schizzò della saliva mentre ringhiava e si lanciava con gli artigli acuminati.
Gli artigli non colpirono mai.
Un lamento acuto sorse dal centro dei cinque globi sospesi sopra la strada, la luce all'interno cominciò a farsi più forte, facendo ritrarre le ombre fino agli angoli e alle porte più bui. Ciascuno dei globi vibrava impazzito, ancora perfettamente immobile come se fosse stato attaccato a un cavo invisibile e prese a ruotare sempre più velocemente finché sembrò sparire nell'aria divenendo un oscuro centro di luce oscura nel riflesso degli altri orbi.
Poi uno dei globi schizzò.
La palla da giocoliere colpì uno dei Wolfen in pieno muso mentre lui si alzava per dilaniare lo stomaco del giocoliere con i suoi artigli.
L'impatto spinse la testa del Wolfen all'indietro, zanne e artigli mancarono il bersaglio di un soffio.
La luce oscura esplose dal cuore del globo, un'onda d'urto di ultra-oscurità si sparse verso l'esterno finché avvolse il povero Wolfen, facendosi strada nel terreno sotto le sue zampe e nell'aria su di lui, per poi contrarsi violentemente e strappando così la creatura all'esistenza. Ciò che rimase era una buca irregolare in mezzo all'asfalto in cui si vedevano la terra e le pietre, come se da una ferita si vedessero le ossa di Londra nel punto in cui c'era stata la strada.
Il colpo dell'onda sonica raggiunse le case alte, portando via fiocchi di cemento instabile, di mattoncini rossi e di granito bianco mentre faceva risuonare la strada come un gigantesco strumento fatto di pietra e acciaio.
L'ultimo mugolio doloroso del Wolfen echeggiò nell'aria a lungo dopo che era sparito.
E ne rimasero quattro.
Il secondo globo e il terzo e il quarto volarono verso il loro obiettivo esplodendo ai piedi dei soldati Wolfen. Insieme, divennero una sinfonia a quattro note, le esplosioni amplificate dai torreggianti uffici finché non sembrò che qualcuno stesse suonando la fine del mondo in quella strada solitaria. E poi, in rapida successione, le tre sonosfere di luce oscura si ritirarono, contraendosi intorno alle creature prese in trappola mentre le strappavano da quella realtà.
Il fuoco di sbarramento sonoro si disperse lentamente, lasciando Lampo Acquanera e il giocoliere soli ad affrontarsi in perfetto silenzio. La strada intorno al Wolfen era rotta e segnata da quattro profonde buche nei punti in cui il suo branco si era disposto intorno a lui.
Targyn fissò il Wolfen Alfa.
Nessuno dei due si mosse.
Nessuno dei due parlò.
Intorno a loro Londra tremava al limite di una violenza esplosiva.
Non sei il benvenuto qui, Lampo Acquanera.
Disse Targyn e poi abbassò la mano dipinta di bianco in un gesto affilato. Torna dai tuoi padroni e digli che la ragazza è protetta.
Un fischio acuto ruppe il silenzio.
Il fischio divenne un grido mentre l'ultima sonosfera calava apparendo dal buio della notte.
Lampo non esitò. Ci sono momenti in cui anche i più grandi guerrieri sanno che l'unica opzione è la ritirata. Il Wolfen Alfa scattò, gli artigli strappavano l'asfalto mentre correva lungo un vicolo buio stretto tra due negozi. La sonosfera esplose sulla strada dietro di lui, strappando via un grosso pezzo di nero asfalto, colpì talmente in profondità da arrivare alle barre di ferro del tunnel della metropolitana, giù giù sotto la superficie.
Il giocoliere seguì i suoni della città che, uno alla volta, tornavano a riempire il vuoto lasciato dalla sonosfera.
Non era l'unica a osservare la scena.
In alto, come a decorare i cornicioni della strada, uno stormo di Coribrae guardava giù. Gli uomini corvo strinsero i mantelli piumati sulle spalle strette, le dita dotate di artigli si stringevano alle grondaie mentre si sporgevano per vedere, interessati. Mentre il silenzio veniva annientato saltarono giù dai tetti, aprendo i mantelli, e volarono via. Sotto una falce di luna argentea i Coribrae sembravano grossi albatro neri mentre entravano in formazione e viravano nel cielo. Avrebbero riportato il messaggio nei Regni della Luna, a Sabras, il Re dei Wolfen, e a Redhart Jax, il suo braccio destro, e poi la voce si sarebbe sparsa nella città del Re Sotto La Luna in persona: Il Trattato Grimm era stato infranto e non solo i Wolfen che erano passati oltre erano morti ma erano periti per mano di una donna morta.
DUE
La ragazza cuculo
––––––––
Ashley Hawthorne era coperta di vernice dalla testa ai piedi.
Era ricoperta sino ai gomiti di colori vivaci. I jeans e la maglietta erano coperti di rosso e blu e macchie di giallo e verde, sulla guancia uno sbafo bianco quando si era toccata senza riflettere. Sembrava un pagliaccio con la sua bella e ribelle chioma rosso fiamma.
La luce del sole entrava dalla finestra al quarto piano della vecchia e grande casa su Curzon Street.
Ashley stava cercando di rendere sua la stanza, ma si sentiva come un cuculo lasciato nel nido sbagliato. Era la sua stanza, ma non era sua. La stanza da letto nella vecchia casa a Godalming sarebbe sempre stata la sua stanza: era lì che era cresciuta. Era il luogo in cui le tacche sulla cornice della porta mostravano la sua crescita, centimetro dopo centimetro e anno dopo anno, mentre prendeva più spazio nel mondo. Un po' come gli amici alla Prior's Field School sarebbero stati sempre i suoi migliori amici, anche se non li avrebbe più visti, perché erano stati i suoi amici per lungo tempo. C'erano le mail, Facebook, Twitter, MSN, non sarebbe mai stata sola, gli mandavano messaggi e stupide foto e la tenevano aggiornata anche se lei si sentiva lontanissima da tutto quello ormai. Non doveva fare altro che accendere il computer e avrebbe visto quello che stavano combinando Bel e Polly, di solito guai, avrebbe riso di Rachel e delle sue cotte senza speranza che cambiavano di ora in ora, come al solito, avrebbe ricevuto l'ultimo consiglio su come accalappiare un tesorino
di Kiera e ammirato le prove inconfutabili degli ultimi disastrosi esperimenti di Bethany con rossetto e mascara mentre lei faceva facce da modella per la macchinetta.
Ma era quella casa sua ora, anche se era come vivere nel Regno dei Cuculi.
Curzon Street era un altro mondo. Era uno dei quartieri più costosi della città. Era il cuore di Mayfair, la casella più costosa del Monopoli. Conti e baroni, politici e perfino il Primo Ministro avevano abitato quelle case una volta. Musicisti illustri erano morti li. Veniva menzionato ne il ritratto di Dorian Grey, La fiera delle vanità e nei libri di PG Wodehouse della serie di Jeeves e Wooster. In breve, era parte integrante della storia londinese. E il posto traboccava soldi.
All'angolo c'era una meravigliosa libreria, antica e muffita, che vendeva prime edizioni a prezzi superiori ai probabili guadagni raccolti dagli autori in tutta la loro vita. Era sempre buio dentro. Ashley non riusciva a ricordare di aver mai visto un cliente. Forse il proprietario non voleva vendere i suoi libri? Forse voleva solo star lì seduto al buio, circondato da tutte quelle vecchie e meravigliose storie e respirare l'odore della carta e sognare quei mondi immaginari? Era quello che avrebbe fatto lei in quel posto.
Anche il bar all'angolo era esclusivo
e serviva cibo prodotto nel Farmer’s Market nella vecchia piazza che gli stava dietro. Niente pastarelle confezionate né panini. Tutto era fresco, ma non era questo quello che ad Ashley piaceva del posto. Alle pareti c'erano foto della strada come appariva duecento anni prima. Le piaceva sempre guardarle e immaginare come sarebbe stato vivere a quel tempo. La vecchia libreria era in una foto, con la stessa insegna a lettere dorate e con quelli che sarebbero potuti facilmente essere gli stessi libri sugli scaffali dentro. Ogni tanto aveva anche immaginato lo stesso vecchio con la pelle dura che si muoveva tra gli scaffali polverosi e sistemava i libri perché fossero a posto. C'era un posto per ogni cosa e ogni cosa era al suo posto.
Ashley poggiò il pennello nel piatto sulla mensola della finestra.
Si voltò per ammirare la sua creazione.
Il murale copriva tutta la parete.
Aveva scelto un effetto nuvola morbido per i bordi così che sarebbe sembrato come se stesse volando e guardando giù verso il mondo in basso, con un gigantesco castello in mezzo a dominare il dipinto. Beh, non era proprio un castello, era come una gigantesca spina o scheggia che trapassava il cielo. Tutto era così lontano che le persone in basso sarebbero state più piccole anche del segno più piccolo che il pennello avrebbe potuto lasciare. Sette lune galleggiavano sopra il mondo. Nel mezzo ne aveva dipinta una grande e argentea. A sinistra due più piccole, verdi, una crescente, e nell'angolo più lontano del muro una gialla. A destra della luna d'argento, Ashley aveva dipinto due grosse lune blu, una calante e l'altra piena e una singola luna rossa che si sarebbe potuta scambiare per un sole.
Sotto le lune c'era un arcipelago di tredici isole, con lagune e picchi montuosi sporchi di neve e segni scuri di città e grossi ponti simili a ragni che si allungavano da isola a isola, unendole tutte, e proprio al centro delle isole, una città per metà in ombra e per metà illuminata dalla luce.
Era sempre stato tutto chiaro nella sua immaginazione ma ora era come se la scena avesse preso vita con tutti i suoi colori sulla parete.
Ashley sorrise, divertita dall'improbabilità di avere sette lune.
Poteva sentire la mamma, indaffarata, al piano di sotto.
Meghan Hawthorne era un tornado. Non stava mai ferma. C'era sempre qualcosa da fare. Qualcosa da pulire o da lucidare o da mettere via e se non erano le faccende di casa era qualcos'altro. Ashley non riusciva a ricordare di averla mai vista seduta a vegetare davanti alla tv. Il segnalibro che usava per tenere il segno nel libro sul tavolino basso non si muoveva da tre settimane. Difficilmente si sarebbe mosso per le successive tre, in effetti. Meghan Hawthorne era connessa. Stava sempre mandando mail o messaggi dal cellulare, sembrava che le persone che lavoravano con lei fossero colpite a ripetizione da qualche calamità. Se rispondeva al telefono era sempre un tesoro qui e un dolcezza là mentre convinceva la persona dall'altra parte del telefono a fare esattamente quello che voleva lei.
Meghan Hawthorne era davvero brava in quello che faceva.
Ashley lo sapeva perché aveva le foto autografate come prova.
Possedeva una agenzia di talenti, che si chiamava semplicemente Talent, e si occupava di un ristretto e selezionato gruppo di musicisti, qualche attore di alto profilo dal volto molto noto e una o due celebrità del football che volevano passare allo schermo o alla carta stampata prima che la carriera sul campo si chiudesse. Ognuno dei suoi clienti aveva un nome, era qualcuno, e fino a un paio di giorni prima Ashley aveva avuto una parete coperta di loro foto sorridenti e autografate ma si era stufata di tutta quella gente che gli sorrideva. Ora aveva il murale... o meglio un abbozzo. C'era ancora così tanto da dipingere. Così tante piccole cose nella sua immaginazione che voleva portare alla vita per rendere tutto perfetto.
Intinse il pennello nella piccola ciotola di trementina affianco al piatto e poi lo ripulì con un panno finché non tolse il grosso del colore dalle setole.
Ashley sedette sulla pila di cuscini che aveva ammonticchiato nella profonda nicchia del lucernario e guardò giù in strada.
Vide un paio di corridori già alle prese con la corsa mattutina che attraversavano la strada diretti a Hyde Park. Indossavano tute rosso acceso e sparirono dietro un serpente dello stesso rosso, un autobus che si faceva strada nel traffico caotico verso Marble Arch.
Uno degli autobus in basso, notò, era diverso.
Sembrava molto più vecchio e, beh, molto più vecchio stile rispetto agli altri. Era come se fosse uscito dalla Londra dell'età della Guerra. Non c'erano locandine di film o di libri o di prodotti per capelli o di qualunque altra cosa che sembrasse venire pubblicizzato sugli autobus. Erano anni che non vedeva uno di quegli autobus. Li ricordava da quando era piccola però e c'erano loro foto ovunque, sulle cartoline, nei negozi di souvenir, nelle vecchie foto nei caffè e nei banchi del mercato di Spitalfields.
Un rapido movimento attirò la sua attenzione.
Guardò giù e vide un uomo che attraversava rapidamente la strada, sparendo nella grande torre Hilton che gettava la sua ombra su metà della strada.
Il postino scese i gradini della casa di fronte. Un'altra porta si aprì. Lì viveva un anziano. Secondo sua mamma una volta era stato uno degli uomini più famosi del mondo, ora poteva scendere gli scalini in vestaglia e raccogliere le bottiglie di latte e il giornale del mattino e nessuno avrebbe avuto la più pallida idea di chi fosse. Era un attore. Ashley si chiedeva se guardasse ancora i suoi vecchi film quando passavano in tv, o non sopportava di essere ricordato per quello che era stato prima che il mondo gli voltasse le spalle? Lo osservò mentre allungava una mano verso il corrimano di ferro e scendeva con passo malfermo un gradino alla volta. La sua grande barba grigia e cespugliosa lo faceva somigliare a un vecchio mago pazzo ma Ashley non ne aveva paura. In realtà le dispiaceva per lui perché non aveva mai visto qualcuno con lui.
Non riusciva a immaginare di essere tanto vecchi.
Tre porte più giù c'era un musicista che non suonava più. Aveva scritto un musical che era stato rappresentato nel West End per sette anni e andava ancora forte, il che, stando a sua mamma, significava che aveva trovato la gallina dalle uova d'oro e non aveva più dovuto lavorare, il che era un bene vista la pressione che avrebbe sopportato quando avesse scritto la sua seconda opera. Era difficile capire se sua mamma fosse gelosa quando diceva così o se fosse dispiaciuta per lui. Ashley non riusciva a immaginare sua mamma non al lavoro per tutte le ore che Dio mandava, quindi forse era dispiaciuta?
Tutti nelle case in quella strada erano qualcuno... qualcuno o ricco o famoso, o entrambe le cose.
Ma non Ashley.
Lei era... cos'era? Giovane? Beh, sì, era ancora giovane, ma non era quello il punto. Era semplicemente diversa. Si era sempre sentita così, come se non appartenesse a quel luogo. Ma del resto, forse, era così perché aveva tutto, volente o nolente? Non è facile essere me,
disse, scadendo nell'autocommiserazione e ridendo di se stessa allo stesso tempo.
Strappò la vernice via dalle setole, sbrogliando quelle da cui la vernice non veniva via.
Lei era diversa.
Non era bella. Non aveva grazia. Non era intelligente. Non era sportiva. Non che fosse brutta o che fosse particolarmente goffa o stupida. Non era nulla di tutto ciò. Era semplicemente nella media. Normale, in mancanza di una definizione migliore. Non era molto portata per nulla. Non aveva talenti evidenti che fosse stata in grado di esplorare fino a quel momento; nulla che la distinguesse dagli