Veni, vidi in bici
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Anteprima del libro
Veni, vidi in bici - Valentina Blanco Gallego
Tavola dei Contenuti (TOC)
Copertina
Che pizza il latino!
Atterraggio di emergenza
La domus
Cenone
Il mistero di Pomponia
Il tempio di Minerva
Il mistero di Pomponia, parte seconda
Il foro
Le terme
Demetrio attacca di nuovo
Una sorpresa sgradevole
Chi è Demetrio?
Passeggiando con Lavinio
Le gare
A pranzo con gli Dei
Una scampagnata
Mamma mia!
Finalmente rimorchio
La casa di Tito
A passeggio con Tito
Quasi un bacio
Noooooooooooo!
Rifletto
Roma la nox, noctis
Postumi tremebundi
Dov’è Marco?
In carcere
Il carcere, seconda parte
A gambe levate
Liberi
Spiegato, spiegationis
Tremarella
La mia nuova prigione
Passatus... presente... che gran casino!
La festa di addio
Ed eccomi qui
Un Romanzo per ragazzi di
Valentina Blanco Gallego
Veni, vidi in bici
ISBN versione eBook
978-88-6660-163-0
VENI, VIDI IN BICI
Autore: Valentina Blanco Gallego
Copyright © 2015 CIESSE Edizioni
info@ciessedizioni.it - ciessedizioni@pec.it
www.ciessedizioni.it – www.shop-ciessedizioni.it
www.blog-ciessedizioni.info
I Edizione stampata nel mese di giugno 2015
Impostazione grafica e progetto copertina: © 2015 CIESSE Edizioni
Disegno di Copertina: © Salvatore Francesco Tuscano
Collana: Rainbow
Editing a cura di: Renato Costa
PROPRIETA’ LETTERARIA RISERVATA
Tutti i diritti sono riservati. È vietata ogni riproduzione dell’opera, anche parziale. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autore o sono usati in maniera fittizia. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale.
A mia madre,
perché ama la poesia
1.
Che pizza il latino!
Le assicuro - dottore - che io non ho niente contro i medici. Lei mi sta pure simpatico, ma a nessuno fa piacere essere preso per pazzo. Se sono qui, è solo colpa di mio padre: è convinto che io abbia bisogno di una terapia psicologica per risolvere i miei problemi adolescenziali. La verità è che sono stufa, per questo ho deciso di raccontare la mia storia a uno come lei, perché convinca tutti che non dico bugie.
Tutti i miei problemi sono iniziati da una bicicletta che non avevo nascosto bene. Chi avrebbe mai pensato che per colpa della mia due ruote sarei stata accusata del sequestro di un bambino?
Insomma, la mia potrebbe essere "L’incredibile e triste storia di Letizia Martínez". Per la verità, non la chiamerei nemmeno triste, perché, nonostante tutto, sono successe anche tante cose belle. Tutto ebbe iniziò al liceo, quando nella mia vita entrò il latino. Avevo quindici anni, due meno di adesso, e una pagella impeccabile, con un sacco di otto e nove. A eccezione del latino, del quale non riuscivo a imparare i casi e le declinazioni. E se le parlo della mia pagella - caro dottore - non lo faccio per vantarmi, ma per dimostrarle che non sono una testa di rapa!
Il mio sogno è sempre stato quello di studiare lettere per insegnare la letteratura, ma non pensavo di dover studiare anche il latino. Quando dovetti farci i conti, pensai che con un po’ di bigliettini tutto si sarebbe sistemato, invece, nonostante usassi i bigliettini a mio piacimento, fui rimandata. Mi prese il panico. Allora, disperata com’ero, chiesi aiuto al mio vicino di casa: Luismi. Siamo cresciuti insieme ed è sempre stato dalla mia parte. È una specie di cervellone, non si può dire che studi molto, si direbbe piuttosto che è nato già saputo. Invece di uscire a divertirsi, come tutti i ragazzi normali, lui sta sempre nel garage di casa sua a inventare cose strane. Dice che così si diverte di più... non le pare - dottore - un tipo strano?
Purtroppo è uno un po’ palloso e mi fa la corte da quando avevamo otto anni. Ho passato la mia infanzia a scacciarlo come una mosca, ma per un’emergenza come questa mi sembrava il tipo adatto. Mi aiutò tutta l’estate, ciò nonostante fui rimandata un’altra volta. Era come se le maledette declinazioni congiurassero contro di me: non sapevo più cosa fare. Allora ebbi un’idea. Barbara, la mia migliore amica, aveva trascorso l’estate a Londra, dove una zia le aveva trovato una sistemazione in famiglia come ragazza alla pari. Da lì era tornata superfiga
, cantando in inglese le canzoni alla moda (non come me, che le canto solo in playback). Confesso che ho provato tanta invidia, nonostante fosse la mia migliore amica. Così, mentre io studiavo latino a casa, lei rimorchiava in inglese a Londra. È normale che fossi invidiosa, non trova, dottore?
Ora non siamo più amiche, perché lei dice che mi sono inventata tutta questa storia solo per attirare l’attenzione. Io, ovviamente, mi sono arrabbiata. Che diamine, a un’amica non si voltano le spalle in questo modo!
La verità è che il viaggio di Barbara mi diede l’idea di fare un viaggio a Roma. Se Barbara va a Londra come ragazza alla pari e torna cantando le canzoni in inglese - pensai - io potrei tornare indietro con la macchina del tempo nella Roma imperiale, e da lì tornare a casa parlando il latino e cantando il Gaudeamus Igitur. Come tutte le persone assennate, pensai questa cosa solo per un attimo, ci risi sopra e non ci badai più. Ma dimenticavo un dettaglio: il mio amico Luismi non è una persona normale...
Così, un giorno come tanti altri, visto che era venuto a rompermi le scatole, gliene parlai. Stavo guardando la tivù e casualmente davano Ritorno al futuro, per questo mi venne in mente la mia assurda idea.
Lui, invece di ridere, mi guardò molto serio: «Letizia, questo è un segnale. Credo che siamo fatti l’uno per l’altro».
Gli diedi uno spintone, perché quando fa lo sdolcinato mi dà sui nervi, ma per fortuna non si arrabbia mai quando lo tratto male. Si alzò dal pavimento e cominciò a parlarmi della bicicletta. All’inizio mi spaventai, pensai che fosse diventato matto a furia di stare sui libri, e gli diedi corda cercando di escogitare un piano per mandarlo via. Ben presto diventò così noioso che, pur di liberarmene, lo seguii nel suo garage. Qui feci la scoperta del secolo. Per il suo compleanno gli avevano regalato una bicicletta megagalattica, che aveva smontato in piccoli pezzi. A quel punto non ebbi più alcun dubbio: era suonato.
Mi spiegò che stava lavorando a una macchina del tempo, ma ribadì che parlarne con me, cioè con la sua musa ispiratrice
, era inequivocabilmente un segno del destino! Non rida - dottore - questo è esattamente lo stile di Luismi.
Mi spiegò che la sua macchina avrebbe funzionato come quella di Ritorno al futuro, ma non avrebbe avuto bisogno di quella potenza - ricorda il raggio sulla torre del campanile? - perché pensava di adattare un dispositivo turbo-non-so-cosa, che avrebbe rigenerato la potenza all’interno di non-so-dove. Sì, lo so che non mi spiego molto bene, ma anche se ho problemi col latino, sono comunque un’esperta di lettere.
Da Luismi, però, c’è da aspettarsi qualsiasi cosa, e cominciai a osservare con più attenzione i pezzi di bicicletta sparsi ovunque, tanto più che sembrava una cosa interessante. Allora lo guardai dritto negli occhi e capii che parlava sul serio, anche se ero convinta che viaggiare nel tempo fosse una cosa da romanzi di fantascienza.
E mentre Luismi continuava a parlare dei suoi progressi con la bicicletta del tempo, io continuavo a prendere cinque in latino. Anche perché aveva smesso di aiutarmi con la grammatica, e aveva preso l’abitudine di riempirmi la casa di libri di storia. Sosteneva, infatti, che dovevo studiare le abitudini degli antichi romani. Per farlo stare buono, continuavo a dargli retta, ma i suoi libri si ammucchiavano sulla mia scrivania, anche perché a quel tempo ero troppo occupata ad andare in giro con Barbara. Il viaggio a Londra l’aveva resa molto popolare e quell’anno rimorchiavamo un sacco. Non so per quale motivo, ma cominciai a credere che Luismi ce la potesse fare. Un giorno, mentre io e Barbara lo prendevamo in giro perché non s’interessava affatto alla moda, aveva un aspetto antiquato e portava degli occhiali con una montatura vecchia di qualche lustro, notai qualcosa nel tono di Barbara che mi diede fastidio. Con mia grande sorpresa, mi trovai a difenderlo, sostenendo che faceva meglio a sviluppare il suo cervello piuttosto che il suo buon gusto. Io e lei non ci parlammo per due settimane e anche se ero furiosa per aver litigato con la mia migliore amica a causa sua, capii che mi fidavo di lui e cominciai a prendere sul serio l’eventualità di un viaggio nel tempo. Decisi di non raccontare niente a nessuno, nemmeno a Barbara, che conosceva tutti i miei segreti.
Spolverai i libri di Luismi e cominciai a sfogliarli. A me, però, la storia senza azione non piace, così decisi di passare ai fumetti e rilessi tutta la mia collezione di Asterix. Luismi suggerì di guardare almeno dei film e nello stesso giorno noleggiai Ben Hur, Spartaco e Quo vadis: una vera abbuffata. Quest’ultimo, in particolare, mi piacque a tal punto che lo chiesi in regalo per il mio compleanno: l’avrò visto almeno dieci volte. Il piccolo genio del mio amico si arrabbiava, perché diceva che non era rigoroso dal punto di vista storico e mi sarei fatto un’idea distorta della società romana. Ma a me piaceva un sacco, soprattutto la storia d’amore tra Petronio ed Eunice, la sua schiava. Lui, così intelligente ed elegante, lei, così bella e innamorata. E poi Nerone, così cattivo, e i cristiani, così buoni, seppure un po’ ingenui; diciamola tutta!
A carnevale chiesi a mia madre di confezionarmi un vestito da romana. Ne creammo uno bellissimo, con la tunica bianca e il mantello rosso che partiva dai piedi e arrivava fino alla testa, dove feci uno chignon molto grande per infilarvi un sacco di forcine. Adesso porto i capelli corti, perché per scappare dal carcere dovetti farmi passare per un ragazzo, ma prima avevo una bellissima chioma bionda. Riesce a indovinare - dottore - dove ho preso l’ispirazione? Da Quo vadis, che anche mia madre si sciroppò numerose volte per ispirarsi.
Il mantello era collegato alla tunica da una spilla presa in prestito da zia Eleonora, un gioiello che poi mi ha dato un sacco di dispiaceri. Mia madre si era messa in testa che dovevo portare proprio quella spilla, perché aveva anche un valore affettivo, ma siccome io non do molta importanza alle cose materiali, appena si presentò l’occasione la impiegai per qualcosa di più utile. Quando poi confessai di averla persa, la zia diventò una iena e mi tenne il muso per tre giorni.
Per completare il vestito, avevo un paio di sandali che andavano di moda due anni prima. Erano impeccabili perché li avevo usati pochissimo, mi ero infatti convinta di avere degli alluci bruttissimi. Non ci faccia caso - dottore - sono cose tipiche della mia età. Decisi, inoltre, che avrei portato anche un sari, usato a una festa in maschera l’anno prima. Per cambiarmi, in caso di bisogno, non si sa mai.
Dopo Pasqua tutto precipitò. Tra una verifica e l’altra, continuavo a fare l’elenco delle cose di cui non avrei potuto fare a meno, e avevo già raggiunto quota settantuno, quando Luismi mi fermò. Mi fece buttare la zavorra, come se stessi partecipando a una missione spaziale o cose del genere. Riconosco che alcune erano assurde, come il phon o l’Epilady, ma fu molto doloroso separarmi dai miei scarponi da montagna, con cui già immaginavo di salire e scendere i sette colli. Lasciai a casa anche il mio kappa way, la sveglia, i libri di storia, la racchetta, le lenzuola e il mio album fotografico.
A fine anno avevo cominciato anche a prenderci gusto col latino ma per qualche misterioso motivo continuavo a prendere cinque. Allora io e Luismi, imperterriti, procedemmo con il nostro piano segreto. Lui, in particolare, era contento come una Pasqua, perché io passavo tutto il giorno a casa sua. Avevamo deciso anche la data della partenza: il quindici luglio. Quel giorno i miei genitori avevano programmato una gita e non sarebbero tornati fino a sera. Comunque, il mio viaggio sarebbe durato solo qualche ora. Luismi programmò la bicicletta in modo che, al ritorno dalla gita, i miei genitori mi avrebbero trovato a casa. Mancavano pochi giorni al grande lancio, quando Luismi confessò il suo piano B. Aveva pensato che, approfittando del viaggio, avrei potuto raccogliere alcuni reperti di arte greco-romana, con i quali avremmo racimolato qualche soldo. Non era una brutta idea.
Quando mi chiese a quale periodo dell’impero romano volevo risalire, non ebbi alcun dubbio: volevo tornare all’epoca di Nerone. Nutrivo la speranza di incontrare Petronio ed Eunice, ma non ne feci parola con Luismi perché sapevo che avrebbe rovinato i miei sogni con le sue fisse sul rigore storico. La bicicletta era di nuovo montata, ma assomigliava ben poco all’originale. Era piena di cavi colorati che partivano da tutte le parti e finivano per collegarsi ai pedali. Dal manubrio uscivano delle antenne e sopra la ruota posteriore c’era una scatola nera, un catafalco che, a occhio e croce, doveva contenere il turbo dispositivo
. L’orologio non era molto sofisticato: una radiosveglia con calendario, dove venivano letti i dati relativi al momento storico preferito. La cosa più bella era il cambio. Mettendo il pignone più piccolo e la corona più grande, si annullava l’effetto della scatola nera e la bici assumeva un aspetto inoffensivo, in modo che nessuno potesse perdersi in qualche angolo sperduto della storia.
Quella notte non chiusi