London Girl
Di Antonella B.
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Un sogno che si avvera. Ecco cosa succede a Olivia quando il suo romanzo, pubblicato a sua insaputa dalla sua migliore amica su una piattaforma di self-publishing, conquista il successo e lei viene contattata da un’importante casa editrice. L’entusiasmo è così travolgente che leggere il contratto con attenzione passa in secondo piano e così, quasi da un giorno all’altro, Olivia si ritrova catapultata da un piccolo paese della Sardegna a Londra, con l’incarico di scrivere un nuovo romanzo ad alto contenuto di scene “bollenti”. Ma sarà in grado di farlo, visto che il genere è così particolare? Riuscirà a trasformarsi in una vera London girl? E, soprattutto, sarà capace di riconoscere l’amore quando se lo ritroverà davanti?
E se bastasse volare a Londra per trovare il vero amore?
«Un bel libro, scritto in maniera fluida e piacevole. La storia è coinvolgente, ti prende dalle prime pagine e si ha sempre voglia di iniziare subito il capitolo successivo, tant’è che l’ho letto in poche ore. Da leggere!»
«Libro scorrevole e piacevole… non potevo fare a meno di leggerlo tutto d’un fiato! Complimenti all’autrice per avermi trasmesso tanta emozione.»
«È un romanzo dalla trama avvincente, toccante e per niente banale! Ti fa pensare che non bisogna arrendersi mai, anche quando tutto sembra perduto e irrisolvibile.»
Antonella B.
All’anagrafe Basolu, è nata nel 1978 e vive a Dorgali, in provincia di Nuoro, dove lavora come insegnante. Mamma di quattro figli, ama leggere e viaggiare e adora le serie TV turche. London Girl è il primo romanzo pubblicato dalla Newton Compton.
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Anteprima del libro
London Girl - Antonella B.
Olivia
«…Ma come ho fatto a infilarmi in questa situazione? E soprattutto, come me ne tiro fuori?».
Avrei dovuto ponderare bene la proposta invece di farmi prendere dall’entusiasmo e firmare quel contratto. Quelli della casa editrice mi avevano chiesto se preferivo aspettare che il mio agente visionasse l’offerta, ma quando avevo letto la cifra e il tempo che mi era stato concesso per presentare i primi dieci capitoli, avevo firmato entusiasta, senza neanche controllare tutte le clausole. Che non erano neanche scritte troppo in piccolo, in realtà. Senza contare che io, un agente, non ce l’avevo proprio.
La mia amica Lori sollevò le sopracciglia in quel suo buffo sguardo scettico.
«Quindi, che hai intenzione di fare?»
«Non è che abbia molta scelta. Come puoi notare, alla fine delle ventisei pagine c’è la mia firma. Mi trasferirò a Londra per tre mesi almeno, e inizierò a scrivere».
Lori scoppiò a ridere.
«Non è il fatto che tu debba andare a Londra che mi preoccupa, cara amica mia! Dopotutto, non hai particolari impegni per i prossimi tre mesi, giusto? E in fondo chi non vorrebbe vivere in un appartamento nel centro della capitale inglese, senza spendere un centesimo, col solo impegno di girare per la città e scrivere un romanzo ambientato lì? No, quello che mi lascia perplessa, e anche tanto, è la clausola quattordici!», esclamò continuando a sbellicarsi dalle risate.
Forse è meglio che parta dal principio.
Mi chiamo Olivia, ho trentadue anni e abito in un paese della Sardegna. Nel cassetto conservo una laurea in scienze della comunicazione, che, ovviamente, non sono mai riuscita a sfruttare.
I miei genitori sono entrambi morti quando ero più giovane, a pochi anni di distanza l’uno dall’altra, lasciandomi sola, visto che sono figlia unica.
Ho comunque una casa da mantenere, unica eredità della mia famiglia, per cui d’estate lavoro come barista stagionale in Costa Smeralda, dove la fatica è molta ma lo stipendio, e soprattutto le mance, sono interessanti. In inverno riesco a sopravvivere col sussidio di disoccupazione e con quello che metto da parte durante l’estate.
Tutto sommato, non è una brutta vita. È vero che durante i mesi estivi perdo vari chili a causa dei turni massacranti, che non durano mai meno di dodici ore, ma l’inverno è lungo, e mi permette di riposare e riprendermi in vista della stagione successiva. Se sto bene attenta a non spendere troppo, riesco a mettere da parte qualcosa per le emergenze, e un paio di volte sono riuscita a concedermi una settimana di vacanza, anche se in campeggio.
Solo che l’inverno è davvero lungo, e spesso mi annoiavo. Il mio ragazzo, Salvatore, oramai diventato ex, faceva il carrozziere nell’officina di suo padre, e spesso la sera era troppo stanco per uscire, anche se si trattava solo di venire a casa mia a guardare la tv.
Sospettavo che la sua cara mammina avesse avuto un notevole peso sulla diffidenza di Salvatore a passare le serate a casa mia: la gente chiacchierava
e non stava bene
che due persone non sposate trascorressero del tempo da sole, in una casa dove, ommioddio, c’era anche un peccaminoso letto e nessuno chaperon a vigilare sulla mia virtù.
Da brava cristiana timorata di Dio aveva cercato di farmelo presente più di una volta, e aveva lavorato anche sul figlio. Col risultato che ci siamo lasciati. Con grande sollievo della morigerata genitrice, scommetto.
La maggior parte delle mie serate le trascorrevo sul divano. Amavo leggere e non c’era libro della piccola biblioteca comunale che non avessi divorato.
Per quello avevo iniziato a scrivere. In realtà, sarebbe più esatto dire ripreso
, perché era un’attività che mi piaceva fin dagli anni dell’università. Avevo anche frequentato un corso di scrittura creativa, nel quale ero risultata la migliore del gruppo.
Comunque, una sera mi è venuto in mente di appuntare la trama di una storia che mi sarebbe piaciuto leggere. Si trattava, ovviamente, di una storia d’amore, ma condita con un contorno di suspence e un finale strappalacrime. No, gli happy end non fanno per me.
Scritta la trama pensai di provare, senza troppa convinzione, a buttare giù anche i capitoli. All’inizio, non riuscivo a trovare un ritmo, la storia era sconclusionata, i periodi troppo lunghi… insomma, mancava di stile. Rileggevo, cancellavo e riscrivevo.
A volte mi sembrava una mera cronaca di eventi: lei disse, lui rispose, lei fece, lui andò. Allora dopo aver scritto, tornavo indietro e cambiavo completamente ciò che avevo buttato giù di getto.
Quando mi capitava di uscire la sera con i miei amici per un giro di birre al bar del corso, mi ritrovavo a essere presente fisicamente, ma con la mente ero con Dan e Amalia, che combattevano per poter stare insieme senza essersi ancora scambiati il primo bacio.
Dan fissò negli occhi Amalia. Le lacrime restarono imprigionate tra le ciglia della ragazza, solo una, solitaria, le rotolò lentamente sulla guancia vellutata, fino a perdersi lungo l’ovale del viso. Sentiva, con tutto il suo essere, di appartenere a lui anima e corpo, ma a causa delle menzogne del suo patrigno, il loro amore era destinato a rimanere un sogno irraggiungibile.
Lui avvicinò la mano al suo viso, e con un dito catturò quella lacrima solitaria.
«Non posso rinunciare a te. Non ti permetterò di sposare un altro uomo solo per salvare la tenuta di tua madre. All’idea che un uomo che non sono io possa sfiorarti…».
«Lo so amore mio, io sono terrorizzata, ma cosa posso fare? La terra era di mio padre, ci sono molte persone che contano sul lavoro alla tenuta per vivere, con che coraggio posso mettere tutto nelle mani di un allevatore senza scrupoli come Gerald? No, devo sacrificarmi, lo faccio per mia madre, per le mie sorelle, che altrimenti sarebbero obbligate a contrarre anche loro un matrimonio strategico con un uomo che non amano…».
«Tu sei mia, appartieni a me corpo e anima, troverò un modo per salvare la tenuta e toglierti dalle grinfie di questo manichino da strapazzo…».
Lentamente, con una mano sul viso della ragazza, si curvò verso di lei finché le sue labbra non sfiorarono la bocca schiusa di Amalia. Fu un bacio lieve, ma carico di promesse che – era sicuro – in un modo o nell’altro sarebbe riuscito a mantenere.
Mmm, quel bacio… Il romanzo era una storia d’amore delicata, e rileggendo il brano trovai che tutto sommato ci stava bene. Chissà perché avevo sempre dei problemi a scrivere delle scene intime tra due personaggi. Non riuscivo ad andare oltre un bacio a stampo. Lori mi avrebbe detto che sono troppo inibita, e sono sicura che leggendo questa scena mi avrebbe consigliato di infilarci almeno una bella limonata tra i due protagonisti, se non qualcosa di ancora più piccante. Ma io sono fatta così, sognatrice e puritana. Forse anche un po’ bigotta, chissà.
Dopo qualche mese, il romanzo era praticamente finito.
Decisi che era necessario il parere di una persona esperta, e chi meglio di Lori poteva giudicare la mia creatura?
«È… come posso dire, commovente ma sensuale, senza essere volgare, mi è piaciuto tanto Olli, anche se forse qualche scena più esplicita non ci sarebbe stata per niente male… Ma comunque, adesso che hai intenzione di farne?»
«In che senso scusa?»
«Ma come in che senso? L’hai scritto, va pubblicato!».
L’entusiasmo della mia amica era contagioso e, complici le tiepide sere primaverili, iniziammo a selezionare case editrici che ritenevamo adatte al genere del mio romanzo, e a inviare il manoscritto. I primi tempi aspettavo fiduciosa qualche risposta. Ma, a parte un paio di richieste di pubblicazione con contributo (e che contributo, animaccia loro!) allegate a email nelle quali si sperticavano in lodi, facendomi apparire come un ibrido tra Danielle Steel e Nicholas Sparks, ci fu il silenzio più totale. Nada. Zero. Nero più del nero.
L’estate ricominciò, e il mio lavoro sulla costa dei v.i.p. mi assorbì talmente che non ci pensai più.
Quando le giornate iniziarono ad accorciarsi, e potei finalmente rientrare al mio beneamato paesello, presi atto che non avevo ricevuto nessuna proposta. Ormai il sogno si era infranto, scontrandosi con la realtà letteraria attuale: a meno che il tuo libro non parli di sordidi scandali, o sia opera dell’ultima fiamma del capocannoniere della stagione calcistica appena trascorsa, potresti anche aver scritto un altro volume della saga di Harry Potter, non ti si filerà nessuno. Il tuo file sarà cestinato senza neanche essere aperto, oppure verrà dirottato direttamente nella spam, dentro un grande cestino dell’immondizia, soprannominato «Spazzatura degli aspiranti esordienti che non esordiranno mai».
Ma mentre io, bene o male, me ne ero fatta una ragione, la malefica Lori non era dello stesso parere.
Un pomeriggio, dopo essere rientrata a casa distrutta per aver litigato per un’ora intera con l’impiegata dell’Inps, che non mi sapeva dire perché il mio sussidio di disoccupazione fosse stato sospeso, la mia amica piombò in casa come un tornado.
«Indovina?! Ho la soluzione!».
«La soluzione di cosa? Hai sbloccato il mio sussidio? Maledetti ladri…».
«Ma che sussidio, chi se ne importa del sussidio, ho cose ben più importanti da raccontarti!».
«Più importanti del mio sostentamento invernale? Non credo proprio, ciccia…».
«Non chiamarmi ciccia, lo sai che non lo sopporto! E sì, più importanti! So come pubblicherai il tuo libro!».
La mia espressione stanca e perplessa raffreddò un po’ il suo entusiasmo.
«Brava, è stato il mio primo pensiero stamattina…».
«Su, stammi a sentire: pubblicheremo con il self publishing!».
«Il self cosa? Pubblicheremo poi… casomai pubblicherò io, non mi pare sia una cosa scritta a quattro mani».
«Dai, non essere pignola, dicevo così per dire. Allora, che ne pensi?»
«Che ne penso? A parte il fatto che, senza offesa, non sei in grado neanche di scrivere una lista della spesa di senso compiuto, non ho ancora afferrato che diavolo sia questo self comesichiama. Dai, spiega, tanto non vedi l’ora».
Mi lasciai cadere sul divano, in attesa dello svelamento dell’arcano.
«Funziona così: tu impagini il tuo libro, poi lo carichi su un sito, che lo mette in vendita per te sia in versione ebook che in versione cartacea per chi lo ordinerà. Il prezzo viene fissato dall’autore, che così si rende conto anche dei propri guadagni. Ovviamente, ci sono vari siti che offrono questo servizio, e i costi sono davvero modici, addirittura qualcuno lo offre in maniera del tutto gratuita. È o non è un colpo di genio?».
Lori mi guardava soddisfatta, in attesa di ricevere i miei complimenti per la sua trovata.
A me invece la cosa non garbava per nulla.
«Amica, non vorrei offenderti, ma oramai ho deciso di lasciar perdere. È una bella soluzione, ma non fa per me».
«Perché?».
Il dispiacere e la delusione trapelavano dalla sua voce e dall’espressione dei suoi occhi.
«Il perché te lo spiego brevemente. Credo che se quarantotto case editrici – sì, non fare quella faccia, ne abbiamo contattate esattamente quarantotto – non mi hanno risposto, o mi hanno detto che il manoscritto non li aveva emozionati, o non era nelle loro corde, o, fammi ricordare cos’altro… ah ecco, non si inseriva nelle loro linee editoriali, beh, un minimo di dubbio sarà venuto anche a te, dico bene?»
«Ma dubbio di cosa?»
«Che faccia schifo! Secondo te dovrei darlo in pasto al mondo, senza correzioni, senza un editing professionale, firmato col mio nome? Non ci penso proprio!».
Gli occhi della mia amica si erano fatti grandi e lucidi mentre mi guardava. Sembrava un’emoticon.
«Olli, il libro è meraviglioso, scorre che è una bellezza, cattura il lettore senza annoiarlo, anzi, gli provoca dipendenza, ed è costretto andare avanti per scoprire cosa succederà ai protagonisti! Lo stile, poi! Leggero, brillante, poetico a tratti…».
«Ma smettila! Da quando sei diventata una critica letteraria?»
«Non sono una critica, è vero che non so scrivere bene come te, anzi diciamo pure che non so scrivere affatto, ma so riconoscere un buon pezzo di narrativa quando me lo trovo davanti! Fidati di me, è un ottimo lavoro!».
«Senti», le posai le mani sulle spalle, «ho capito che ti è piaciuto, ma tu sei mia amica, non sei obiettiva! E… no, prima che cerchi nuovamente di convincermi, sappi che ho deciso e non cambio idea».
«Ma… io…».
«Tu cosa? Non borbottare, non ti capisco».
Lori si alzò in piedi in tutto il suo metro e sessanta scarso.
«L’ho già fatto».
«Cos’hai fatto? Ma sei impazzita? Ma come hai potuto, senza dirmi nulla!». Ero furiosa.
«Scusami Olli, ti prego, ma non pensavo che avresti reagito così! L’ho inviato tre giorni fa, magari non è ancora online…».
Ero talmente arrabbiata che faticavo a parlare.
«Allora vedi di ritirarlo immediatamente, lì c’è il mio pc, la password la conosci, annulla tutto. Io vado a farmi una doccia, magari l’acqua calda laverà via un po’ della mia irritazione!».
E con un’ultima occhiata furibonda uscii dalla cucina, mentre lei mestamente apriva il portatile.
In effetti l’acqua bollente, con una buona dose di bagnoschiuma all’uva rossa, mi aveva disteso un po’ i nervi. Avevo capito le buone intenzioni della mia amica, e poi alla fine non era nulla di irreparabile. Bastava semplicemente rimuovere tutto.
Tornai di là carica di buone intenzioni, pronta a offrire a Lori un bel bicchiere di vino e poi chissà, avremmo organizzato qualcosa per cena, io e lei da sole come ai vecchi tempi.
«Allora, tolto tutto?».
Nessuna risposta. Mi schiarii la voce per attirare la sua attenzione, ma lei era completamente presa da ciò che stava leggendo sullo schermo del portatile. Nei capelli aveva infilato una matita per scostarli dal viso, e aveva un’espressione… be’, incredula.
«Mi dici che succede? Sei riuscita ad annullare la pubblicazione online?».
Finalmente si accorse di me.
«Sì, scusa, vieni a vedere… Non posso crederci…».
«Mi spieghi, per favore?». Stavo per perdere la pazienza, tutta quella suspense iniziava a stancarmi.
«Allora», finalmente sollevò lo sguardo, «il libro è online da ieri sera. Adesso, incredibile, è al numero dieci degli ebook più scaricati da Amazon! In sole dodici ore! Poi, vieni, devi leggere i commenti… storia commovente, stile unico, capacità narrativa di massimo livello… Amica, hai fatto centro!».
Ero un po’ perplessa, non mi pareva avesse un senso ciò che stavo ascoltando.
«Ma com’è possibile che queste persone abbiano già letto tutto in poche ore e siano anche riuscite a postare una recensione?»
«Infatti, non tutti quelli che l’hanno comprato lo hanno recensito, alcuni lo staranno ancora leggendo, ma l’importante è che l’abbiano acquistato! Aspetta, fammi controllare una cosa…», digitò qualche parola sulla tastiera. «Ti comunico che anche nelle altre librerie sta andando molto bene, e ci sono pure qua un sacco di commenti positivi! Lo sapevo che era un bellissimo romanzo, e per fortuna anche gli altri se ne stanno rendendo conto!».
Lori
Ero stata obbligata a inserire il libro di Olivia sulla piattaforma di self-publishing. Non era ammissibile che uno scritto tanto emozionante e coinvolgente dovesse restare dentro un cassetto virtuale.
Ah, se solo fossi stata capace anch’io di scrivere così! Invece, nonostante amassi tutti i generi narrativi, dovevo accontentarmi di leggere. Ed ero veramente un’esperta, ecco perché avevo deciso che avrei tentato il concorso per insegnare letteratura alle scuole superiori. Cosa c’è di più eccitante di plasmare delle giovani menti ai piaceri della parola scritta?
Olivia mi dice che sono una sognatrice, che i piedi era meglio tenerli ben incollati a terra. Ecco perché andiamo d’accordo, lei è pratica e posata, niente grilli per la testa, mai il passo più lungo della gamba. Io invece sono… io. Confusionaria, poco organizzata, amante della vita e del divertimento.
Ma stavolta, forse per la prima volta, avevo deciso di essere prudente, e insieme alla domanda per il concorso di insegnamento alle scuole superiori, avevo presentato anche quella per insegnare alla scuola primaria. Era stato un azzardo, contando che di bambini non ne sapevo proprio nulla. Avevo frequentato, secoli fa, il liceo psico-pedagogico che mi dava la possibilità, dopo il concorso, di diventare una maestra. Ogni volta che ci pensavo sentivo spuntarmi un capello bianco. Ma ero stanca di lavoretti estivi, volevo una cattedra, e questa era la mia occasione. Al massimo, se fossi passata alla primaria, dopo qualche anno avrei chiesto il passaggio di ruolo e tutto si sarebbe risolto. Avrei ripagato i sacrifici dei miei genitori che mi avevano permesso di studiare, e finalmente mi sarei resa indipendente.
Forse avevo forzato un po’ la mano con Olivia, ma non potevo immaginare quale sarebbe stata la sua reazione. Contavo sulla forza della nostra amicizia, e sul fatto che dopo la probabile sfuriata si sarebbe calmata grazie alle mie sagge parole. O almeno, era quello che speravo.
Olivia
Ovviamente, a quel punto non insistetti più per ritirarlo.
Non tanto perché mi ero convinta di essere una grande artista, quanto per mera curiosità.
E, con mio grande stupore, le vendite continuarono a salire, fino a farmi arrivare, nel giro di due settimane, al secondo posto in classifica.
A quel punto, successe una cosa che aveva veramente dell’incredibile.
Stavo finendo di pranzare, mentre guardavo l’ennesima puntata de Il segreto in tv. Non che lo seguissi, ma ecco, diciamo che per inerzia, dopo il tg, mi sciroppavo anche quello.
Il ronzio del cellulare mi scosse dal torpore post pranzo. Gettai uno sguardo insonnolito al display che mostrò un numero con il prefisso di Roma. Pensai ai soliti call center e lo lasciai squillare. Dopo pochi minuti vibrò nuovamente, e io nuovamente lo ignorai. Alla terza volta, dopo circa una mezz’ora, quando ormai dalla tavola mi ero trascinata sul divano avvolta in una morbida copertina di pile, lo afferrai stizzita pronta a rimettere a posto il povero malcapitato che quasi certamente voleva propormi un abbonamento a qualcosa che non mi interessava.
«Sì, buongiorno, cerco la signora Ferrari».
Nessun povero malcapitato, ma una voce femminile dalla dizione pressoché perfetta.
«Sono io».
Stavo per dirle che qualsiasi cosa vendesse no, non mi interessava e no, grazie, non avrei cambiato compagnia telefonica, né mi interessava Sky, né lo sconto del venti percento su Bonprix, neanche se mi concedevano in più le spese di spedizione gratis.
«Buongiorno, mi chiamo Francesca Terzi e la chiamo dalla New Romance, la casa editrice».
«Sì, conosco le vostre pubblicazioni, ma in questo momento non mi serve nulla, mi dispiace…».
Cavolo, anche le grandi case editrici vendevano prodotti telefonicamente? Che tristezza però, avevo un sacco di loro libri a casa, mi crollava un mito.
«Signora, la sto chiamando per chiederle, qualora sia d’accordo, di poter avere in visione il suo manoscritto, Amalia sull’uscio».
Un attimo, non voleva vendermi nulla? E perché voleva il mio manoscritto?
«Mi scusi, a cosa vi serve?».
Sentii una specie di gorgoglio dall’altra parte del filo. Era forse una risatina di condiscendenza?
«Vorremmo visionarlo, con la sua autorizzazione, perché, anche se naturalmente lo conosciamo già, dato che si trova in rete come ebook, le vorremmo proporre un contratto di pubblicazione con noi. Se ha da scrivere le detto l’indirizzo email a