La papessa
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Info su questo ebook
Giovanna nasce nell’anno del Signore 814, in un’epoca in cui le donne sono considerate empie, inferiori e indegne di essere istruite. Lei ha invece un forte desiderio di sapere, che cerca di soddisfare di nascosto con l’aiuto del maestro Esculapio. Divisa tra l’amore impossibile per un uomo e quello altrettanto impossibile per i libri, Giovanna sceglie questa seconda passione. Assume l’identità di suo fratello Giovanni, morto durante un’incursione vichinga, e si nasconde per dodici anni in un monastero benedettino, finalmente libera di leggere, studiare e carpire i segreti delle arti e delle scienze. Grazie a questo inganno e alla sua devozione Giovanna avanza a lunghi, incredibili passi nella gerarchia religiosa: giunge a Roma, dove nessuno sospetta della sua falsa identità, e viene eletta papa, rinunciando in quel momento e per sempre al suo amore ritrovato, Gerardo. Durante la solenne processione di Pasqua, però, la papessa viene pubblicamente e tragicamente smascherata... I suoi successori faranno di tutto per cancellarla dai registri pontifici e la Storia la dimenticherà. In bilico tra verità e leggenda, Giovanna è uno tra i personaggi più controversi e affascinanti di tutti i tempi.
«La papessa ha tutto ciò che ci si aspetta da un romanzo storico: amore, sesso, violenza, ambiguità e antichi segreti. Un libro imperdibile.»
Los Angeles Times
«Irresistibile.»
Glamour
Donna Woolfolk Cross è laureata in Letteratura inglese e insegna tecniche di scrittura in un college di New York. Ha vissuto con la famiglia tra gli Stati Uniti e l’Inghilterra. Prima di scrivere La papessa ha raccolto e studiato fonti storiche, documenti e materiale di ogni genere per ben sette anni. Al momento sta lavorando a un nuovo romanzo, ambientato nella Francia del XVII secolo.
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Recensioni su La papessa
1.094 valutazioni62 recensioni
- Valutazione: 5 su 5 stelle5/5This is an excellent book. The historical fiction as exciting as Pillars of the Earth BUT with a powerful woman in the lead. All women need to read this, tell their sisters, daughter, granddaughters, and nieces.
- Valutazione: 4 su 5 stelle4/5Interesting! I had never heard of the possibility there had been a Pope who was a woman. It's a well-written story and I enjoyed reading it.
- Valutazione: 2 su 5 stelle2/5I ended up aborting at about the 40% mark because I felt like I was reading a Harlequin Romance with a smattering of Latin that added nothing to the narrative.
- Valutazione: 5 su 5 stelle5/5Excellent book. Highly recommended
- Valutazione: 5 su 5 stelle5/5Great Read!
- Valutazione: 5 su 5 stelle5/5This is historic fiction at its best. The story of a intelligent young girl who hid her gender so that she could study in the monasteries. She rose in the Catholic hierarchy all the way to the top to become Pope - I guess she really leaned in to her career! People in Rome still talk about whether or not there was a female Pope and even today, one of the criteria before officially naming a Pope is for a Cardinal to check if he/she is male! I read this to prepare for a vacation to Rome. While we were there, Pope Benedict resigned the papacy which was the buzz the whole time we were there and made this book even more relevant.
The audio version is beautifully performed by Barbara Rosenblat. This is one of those occasions of a perfect match between book and narrator - Bravo! - Valutazione: 3 su 5 stelle3/5I enjoyed this very plausible, well-written historical novel. It’s vivid both in the settings and in the characters. It’s a brutal time, in which people are constantly fending off invaders and being conscripted for wars, while having to prove how pious they are.
Pope Joan is a pope with a secret, mainly that she’s passing as a man. And to me, this rings very true. With the low opinion of women that was common at the time, I’m sure a lot of women decided to go this route, even with the great danger of being discovered.
Of course, there is a romance in this book, and of course, Joan is constantly torn between love and the opportunities that have unfolded for her. My only real complaint with the book is that her lover, Gerold, is a bit one-dimensional: handsome, brave, understanding, accepting, pretty much perfect. He seems to have stepped out of a bodice-ripper and landed here in a more thoughtful novel. - Valutazione: 5 su 5 stelle5/5What a good book! I love historical fiction that teaches me something because I have to look up the facts while I'm reading it. The best book I've read in a while. The author did an excellent job following history and she wrote an interesting section at the end that includes more information about her research and other things she found out while writing Joan's story.
- Valutazione: 4 su 5 stelle4/5A clearly well-researched novel about Pope Joan, a supposed ninth-century pope supposed to have been a woman. The author has clearly done her research about the ninth-century and is able to incorporate many, well-documented events into the novel and into the characters' lives. Joan emerges as a very likable character, an unwanted daughter who nevertheless receives an education to match her intellect, and eventually disguises herself as a man, becoming a monk, healer, adviser to Popes, and eventually Pope herself. While even the author admits in the closing notes that Joan's existence is difficult to prove or disprove, this novel does provide a fascinating insight into a period that little is known about. Definitely recommended for historical fiction fans!
- Valutazione: 4 su 5 stelle4/5A purely fictional account of a controversial and long-debated person ... quite the fascinating tale.
***POTENTIAL SPOILER***
The ending left me feeling a bit vague and unsettled. It seemed far more a storybook ending than was likely, although the epilogue was priceless. - Valutazione: 2 su 5 stelle2/5During the recent lead up to the newest pope, I wondered why had the old pope Benedict resigned? it was all so irregular and unprecedented. I conjured up my own version of a dark, embarrassing hush up that would last until many years after Benedict's death, when burial preparation would have shown that he had been transgendered, a woman who had lived as a man. Pretty original, eh? No. Not at all the first female pope came on the scene, according to rumor and legend, almost a thousand years ago, and she was called Pope Joan.
The book "Pope Joan" is a recent novelization of an old legend, and it did not engage me. I am reassured that my perfect track record of having no original ideas is still perfect. - Valutazione: 4 su 5 stelle4/5Joan is a young girl yearning for more than women are typically allowed during her time, and circumstances throw her into a situation where she must pretend to be a man in order to gain the education and learning that she desires, eventually leading her to become Pope. The book is based on possibly a true story, or at least historical rumor, which made it all the more interesting to me. Reads like a biography and covers such an interesting time and subject.
- Valutazione: 2 su 5 stelle2/5Silly, mildly entertaining novel based on the legend of woman who disguises herself as a man and rises to the papacy. If something like this ever happened it wouldn't be in this over-the-top fashion.
- Valutazione: 3 su 5 stelle3/5More historical than fiction, but fascinating treatment of life in the 9th century.
- Valutazione: 3 su 5 stelle3/5Although I was underwhelmed by the first 100 pages, overall, I did have fun reading this book, an historical novel set in 9th Century Europe. The author managed to steer around some of the danger spots (as in "Danger! Cliche plot development ahead!") I thought we were going to bump directly through. The second half was a little better than the first, I thought, or maybe I was just used to the fact that there wasn't going to be much in the way of real character development by then. You start to enjoy a book for what it is rather than worry about what it isn't, I guess. So this one had a story line that moved along and was interesting in an adventure-novel sort of way, plus some very interesting historical information. The writing style was not particularly noteworthy, but was smooth enough not to get in the way. Except for the several occasions when we read, "Neither one of them guessed . . . " or "Little did she guess . . . " Really, isn't this what editors are for? That sort of thing will make me take an otherwise entertaining book less seriously, I'm afraid. I'm giving it three stars, but I'm feeling sort of generous in doing so.
- Valutazione: 4 su 5 stelle4/5This was a very interesting book and I enjoyed reading it. Can't decide if I believe there really was a Pope Joan, but I'm not convinced there wasn't either. As other reviewers have said, a major fault with the novel was the "saved by the bell" coincidences that occur several times.
- Valutazione: 3 su 5 stelle3/5A ninth century woman defies a brutal father to purse classical learning. After a Norman raid kills her brother, she assumes his identity and becomes a monk, and later becomes the papal physician in Rome. She ascends to the papal throne and is a model of virtue and justice, despite her love for a "too good to be true" guy named Gerrold. It's a page turner, and obviously well researched. Despite the many historical accurate details, though, the tone seemed too contemporary and it was quite trash-romance at times. I'd rate it a "guilty pleasure."
- Valutazione: 4 su 5 stelle4/5Expands on the story of the legend of Pope Joan, a woman who rose to become Pope disguised as a man. Whether the legend is true or not, this book tells a compelling story filled with details of life in 9th century Rome. The only disappointing part is that there seems to be very little true Christian belief.
- Valutazione: 4 su 5 stelle4/5Came at this twice before I could get into it, but once it got going it was pretty interesting reading. The story moves along at a fairly good pace, lots of interesting questions arise about the history of Christianity and the Catholic Church.
- Valutazione: 5 su 5 stelle5/5About a woman during the Christian-Roman empire who becomes Pope by disguising herself as a man. Starts off with her childhood and ends with her death. Rumors have existed that this woman really existed, and at the end of the story, the author gives evidence to suggest that Pope Joan may have been real. Amazing book about conspiracies in the Catholic church, femenism, history, ect. I always recommend this book to people instead of The Da Vinci Code, because some of the ideas are similiar.
- Valutazione: 4 su 5 stelle4/5Great read with terrific insight to the times and customs surrounding who might have been the only female pope. The author graciously called in to our book club and spoke with us at length as to the research involved in bringing this book to fruition. It is extremely well researched and enjoyable to read.
- Valutazione: 5 su 5 stelle5/5This was such a great book! I have re-read it numerous times and still can't get enough. I get chills every time I read parts from Joan's childhood, and realize how women were treated back then. It's amazing how she grows up and betters herself in this type of society.
- Valutazione: 3 su 5 stelle3/5I generally don't like historical fiction but this book was very well written and kept my attention. It did get a little long towards the end.
- Valutazione: 4 su 5 stelle4/5Really enjoyed this book - read it in three days. Cross does an excellent job of weaving historical detail into an engaging story of a remarkable woman. She adds an author's note giving her evidence for the existence of Pope Joan. She makes a compelling argument. Fascinating!
- Valutazione: 3 su 5 stelle3/5Since it is a novel, I will not critique for historical accuracy because it is fiction, and to do so, I wouldn't be able to tolerate the work past page one. Needless to say, to understand labeled fiction as fact would be a terrible mistake as well. So to begin, I'd first like to point out that this is not a novel of a woman named Joan being Pope. This is a story of Joan's journey and struggle in becoming Pope, and even then, it was not her goal in life. With that said, I'd like to review Joan's character. Joan can be described as being dominantly independent, brave, and excels at everything she puts her mind to. Problem is, Joan is book-smart, but does not have street-smarts. Joan seems to fall into traps easily for one who is aware of her constant state of danger. At the expense of Joan's common sense are most of the men around her portrayed as villains. That is the consequence of losing character balance. The author wants to portray Joan as having exceptional intelligence, and that is fine, but by making her exceed in everything she participates, the author forgets to develop her judgment and it appears only when the situation is at its worst. There are times to be brave, certainly, but sometimes she doesn't know when to stop and draws attention to herself (and her precarious position). She is naive, yes I would argue naive, and is noted especially when she encounters a curious young girl (trying to keep this as non-spoilery as possible) and encouraged this girl to study, and continue learning mathematics and language. As admirable as this may be to some, I saw this situation as extremely foolish. Joan was fortunate to get as far as she did, alive, and after all the horror and tragedy Joan had been through, you'd think the last thing she would do would be to encourage a young girl to follow in her footsteps. Joan got lucky, and as the author demonstrates, in the Middle Ages a girl (especially one who could have most likely remain in a paranoid, ignorant village the rest of her life) could be burned as a witch for knowing how to read. Joan is a well-written character, I like her, but it's one thing to have personality flaws (that's expected with character depth) and another to have those flaws completely contrast with what makes her appealing. It is even more interesting to note how easily Joan falls in love with the first young man to pay her a compliment. Sure this man turns out to be on the side of good, but again, the suddenness of it contrasts strongly with her set up. But it's not that Joan is hypocritical, it's that the author is contradicting her own feminist intentions for Joan.Moving on from Joan, Cross writes very dramatically, like the reader is watching an old black and white movie, but sadly Cross does not write romantic scenes very well. Good writing becomes almost laughable, but I have to give Cross credit, I think she realized this rather quickly. The romantic scenes are short, sweet and to the point. She doesn't spend endless paragraphs detailing each action of the characters involved, to my relief. Not that it can't be done, I've read works where the author portrays such scenes beautifully, but Cross just doesn't seem to have the talent for it. In order to establish "The Count's" unwavering devotion to Joan, Cross even wrote him as more concerned over the loss of her than his family, which including his two girls. By trying too hard to portray "The Count" as a knight in shining armor to Joan, he comes off as selfish and uncaring (several times) towards his own flesh and blood, which contradicts his dialogue. Again, Cross is seen contradicting her intentions. When "the Count" read to have slept with another woman, I was actually glad, because it showed he had a weakness other than Joan and thus somewhat believable. I'll even admit I ended up liking his character the most.Finally when encountering the character of Anastatius, we meet him first in Chapter 4 with the author jumping away from Joan's story completely and introducing the read to an entirely new setting. This is fine, and I thought "perhaps Cross will jump back and forth between stories" so that the reader could see each character progress, hopefully blending the stories into one. This happened eventually, problem was, once Chapter 4 was at an end, we don't encounter Anastatius again until 15 chapters later! At that point, their stories have blended together and it would seem his introductory chapter is completely useless to the plot as he appears only relevant when centered around Joan. In fact, removing the chapter would actually improve the flow of the story.Overall, despite my "complaints" it is an enjoyable work. Not the greatest historical fiction I've ever read, not by a long shot and I don't think I would ever recommend it, but if someone were to buy it I would still encourage them to read it through to the end. Three stars for this novel, because it is still dramatically addictive.
- Valutazione: 3 su 5 stelle3/5Although not the best written book in the world, the premise is very interesting. A good read especially if you are looking for a new Catholic church conspiracy theory.
- Valutazione: 4 su 5 stelle4/5definitely a page turner, I love this kind of historical fiction. I gave it 4 stars for entertainment value although I found the character of Joan to be a bit unbelievable for that time period.
- Valutazione: 3 su 5 stelle3/5"Let her copy the behavior of a dog who always has his heart and his eye upon his master: even if his master whip him and throw stones at him." That is an excerpt from the book. It was in a wedding ceremony, spoken to the bride of course. What a lovely time that must have been to be a woman! I liked this book very much due mostly to the fact it is about an amazingly strong, courageous, and gutsy woman. She struggled like no other heroine I have yet read about. The first half of the book has more personality and really focuses on her, her thoughts, her feelings, and her trials. The last half of the book bored me to tears in some places, as it tends to go on and on about the papacy and a lot of war. That was the times and what was occuring during that part of her life, but I wish it had a more personal feel like the first half of the book. NOTE: be aware this is very controversial and when you are overheard discussing it with your close buddy, some very opinated, know it all male is going to butt in and give his two cents and deny her existence. To each their own I say. I BELIEVE.
- Valutazione: 3 su 5 stelle3/5This is another book I would like to give 3.5 stars. I thought the story was interesting and the descriptions of life in the 9th century. I enjoyed the bits of history (although we didn't need to make it almost to the end to find out that Karolus and Constantine are the same person!). But I thought the way the story was written, with all the last-minute saves and the fact that all characters were either good or evil, did not do justice to the story. It was an easy read and I am glad I read it but it's not a book I will come back to.
- Valutazione: 4 su 5 stelle4/5Ms. Cross writes a plausible story of the legend of Pope Joan and how she found herself pope of the Catholic Church in the 9th century. My ability to lose myself in the story was hampered by the too modern feel of the characters and some of the episodes that occur.
Anteprima del libro
La papessa - Donna Woolfolk Cross
4
Titolo originale: Pope Joan
Copyright © 1996 by Donna Woolfolk Cross
Traduzione dall’inglese di Susanna Bini
Su licenza di Edizioni Piemme Spa, Milano
Prima edizione ebook: settembre 2010
© 2010 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-541-2308-3
www.newtoncompton.com
Edizione elettronica realizzata da Gag srl
Donna Woolfolk Cross
La papessa
Per mio padre, William Woolfolk,
e non ci sono parole
da aggiungere
PROLOGO
Era il ventottesimo giorno di Wintarmanoth nell’anno di Nostro Signore 814, l’inverno più rigido a memoria d’uomo.
Hrotrud, la levatrice del villaggio di Ingelheim, arrancava nella neve verso la grubenhaus del canonico. Una folata di vento percorse gli alberi e le conficcò nel corpo le dita gelide, frugando i buchi e le toppe dei leggeri indumenti di lana. Sul sentiero della foresta la neve era alta: a ogni passo, la donna affondava fino quasi alle ginocchia. La neve le si induriva su ciglia e sopracciglia, e per vedere doveva continuamente asciugarsi il viso. Nonostante li avesse avvolti in strati di cenci, mani e piedi le dolevano per il freddo.
Una chiazza nera apparve poco più avanti sul sentiero. Era un corvo morto. Quell’inverno persino gli incalliti mangiatori di carogne morivano di fame, incapaci di lacerare col becco la carne gelata. Hrotrud rabbrividì e affrettò il passo.
Gudrun, la donna del canonico, aveva avuto le doglie un mese prima del previsto. Il bambino arriva in un bel momento
, pensò Hrotrud con amarezza. Ho messo al mondo cinque bambini solo nell’ultimo mese, e nemmeno uno è vissuto più di una settimana
.
Una raffica di neve sospinta dal vento la accecò, e per un momento Hrotrud perse di vista il sentiero malamente segnato.
Provò un’ondata di panico. Più di un abitante del villaggio era morto in quel modo, vagando in circolo a brevissima distanza da casa propria. Si costrinse a rimanere immobile mentre la neve le vorticava attorno, racchiudendola in un amorfo paesaggio bianco.
Quando il vento cessò, Hrotrud riusciva appena a distinguere il sentiero. Di nuovo si mosse in avanti. Non sentiva più dolore alle mani e ai piedi; erano diventati completamente insensibili. Sapeva cosa significava, ma non poteva permettersi di pensarci; era importante mantenere la calma.
Devo pensare a qualcosa che non sia il freddo
.
Pensò al luogo in cui era nata, una casa con una fiorente proprietà di circa sei ettari. Era calda e accogliente, con muri di solide travi, molto più bella delle case dei vicini, fatte di semplici assicelle di legno rivestite di fango. Un grande fuoco ardeva nel focolare centrale, il fumo si levava a spirale verso un’apertura nel tetto. Il padre di Hrotrud portava una costosa veste di pelli di lontra sopra la raffinata bliaud di lino, e sua madre aveva nastri di seta per legare i lunghi capelli neri. Anche Hrotrud aveva due tuniche a manica larga, e un caldo mantello della lana più pregiata.
Ricordava ancora sulla pelle la sensazione di dolcezza e morbidezza della preziosa stoffa.
Era finito tutto così in fretta. Due estati di siccità e un gelo micidiale avevano rovinato il raccolto. Ovunque la gente moriva; in Turingia si parlava di cannibalismo. Grazie all’oculata vendita dei beni di famiglia, per un poco il padre di Hrotrud li aveva protetti dalla fame. Hrotrud aveva pianto quando le avevano portato via il mantello di lana; le era sembrato che nulla di peggio potesse accadere. Ma aveva otto anni; ancora non comprendeva l’orrore e la crudeltà del mondo.
Si spinse attraverso un altro grande cumulo di neve, lottando contro le vertigini crescenti. Erano giorni ormai che non mangiava.
Ebbene, se tutto va bene, stasera banchetterò. Forse, se il canonico sarà soddisfatto, porterò a casa della pancetta affumicata, addirittura
. L’idea le diede una rinnovata energia.
Hrotrud uscì nella radura. Di fronte vedeva l’incerto profilo della grubenhaus. Lì, oltre il riparo degli alberi, la neve era più profonda, ma Hrotrud avanzò, scavando solchi con la forza delle braccia e delle cosce, rianimata dalla prossimità della salvezza.
Arrivata alla porta, bussò una volta, e subito entrò; faceva troppo freddo per preoccuparsi delle convenienze. All’interno si fermò, battendo gli occhi nell’oscurità. L’unica finestra della grubenhaus era stata chiusa con le assi per l’inverno; la luce proveniva solo dal focolare e da poche fumose candele di sego sparse per la stanza. Dopo un momento gli occhi si abituarono, e Hrotrud vide due bambini seduti uno accanto all’altro vicino al fuoco.
«Il bambino è arrivato?», chiese Hrotrud.
«Non ancora», rispose il più grande.
Hrotrud mormorò una breve preghiera di ringraziamento a san Cosma, patrono delle levatrici. Più di una volta era stata defraudata del suo compenso, cacciata senza un denaro per il disturbo che si era presa a venire.
Al calore del focolare Hrotrud si tolse i cenci ghiacciati dalle mani e dai piedi e, alla vista del malsano colorito bianco e bluastro, le sfuggì un grido d’allarme: «Santa Madre, fai che non li prenda il gelo». Una levatrice storpia sarebbe servita a poco nel villaggio. Elia il calzolaio aveva perso in quel modo il proprio sostentamento.
Dopo che era rimasto bloccato da una tormenta sulla strada di ritorno da Mainz, la punta delle dita gli si era annerita e staccata in una settimana. Adesso, emaciato e cencioso, se ne stava acquattato fuori dalle porte della chiesa, implorando la sopravvivenza dalla carità altrui.
Scuotendo cupamente la testa, Hrotrud si pizzicò e massaggiò le dita delle mani e dei piedi sotto gli sguardi silenziosi dei due bambini. La loro vista la rassicurò. Sarà un parto facile
, disse fra sé, sforzandosi di togliersi dalla mente il povero Elia. Dopo tutto, ho aiutato Gudrun a partorire questi due abbastanza facilmente
.
Il maggiore doveva avere quasi sei inverni ormai, un bambino robusto con un’aria di vivace intelligenza. Il più piccolo, il paffuto fratellino di tre anni, si dondolava imbronciato avanti e indietro succhiandosi il pollice. Erano entrambi scuri di capelli, come il padre; nessuno dei due aveva ereditato dalla madre sassone gli straordinari capelli colore dell’oro bianco.
Hrotrud rammentava come gli uomini del villaggio avevano fissato i capelli di Gudrun quando il canonico se l’era portata a casa da uno dei suoi viaggi missionari in Sassonia. Dapprima aveva suscitato una certa agitazione, che il canonico si prendesse una donna. Qualcuno diceva che era contro la legge, che l’imperatore aveva emesso un editto proibendo agli uomini della Chiesa di prendere moglie. Ma altri dicevano che non poteva essere, perché era chiaro che senza una moglie l’uomo era soggetto a ogni genere di tentazione e depravazione. «Guardate i monaci di Stablo », dicevano, «che disonorano la Chiesa con le loro fornicazioni e i loro bagordi da ubriachi». Ed era certamente vero che il canonico era un uomo sobrio e laborioso.
La stanza era calda. Nell’ampio focolare erano accatastati grossi ciocchi di betulla e di quercia; il fumo si alzava in grandi nubi fino al buco nel tetto di paglia. Era una dimora accogliente. Le travi di legno che formavano i muri erano grosse e pesanti, e le fessure riempite ben bene di paglia e argilla per tenere fuori il freddo. L’unica finestra era stata barricata con robuste tavole di quercia, una ulteriore misura di protezione contro i nordostroni, i glaciali venti invernali da nord-est. La costruzione era abbastanza vasta da essere divisa in tre zone separate: in una alloggiavano per la notte il canonico e la moglie, in un’altra gli animali si riparavano dal clima rigido – Hrotrud udiva il sommesso strascicare e raschiare degli zoccoli alla sua sinistra – e quella, la stanza centrale, dove la famiglia lavorava e mangiava e dove dormivano i bambini. Tranne il vescovo, la cui casa era fatta di pietra, nessuno a Ingelheim aveva una dimora più bella.
Le membra di Hrotrud iniziavano a formicolare e pulsare per la ritrovata sensibilità. La donna si esaminò le dita: erano ruvide e secche, ma la sfumatura azzurrognola si era affievolita, soppiantata dal ritorno di un salutare colorito rosso acceso. Sospirò di sollievo, e decise di fare un’offerta a san Cosma in rendimento di grazie. Per pochi minuti ancora Hrotrud indugiò vicino al fuoco, godendone il tepore; poi, con un cenno e un buffetto di incoraggiamento ai bambini, si affrettò oltre il divisorio dove la donna in travaglio aspettava.
Gudrun giaceva su un letto di torba coperto di paglia fresca. Il canonico, un uomo dai capelli scuri con sopracciglia folte e irsute che gli davano un’espressione perpetuamente severa, era seduto in disparte. Salutò Hrotrud con un cenno del capo, e riportò l’attenzione al grosso libro rilegato in legno che aveva sulle ginocchia.
Nel corso delle precedenti visite Hrotrud aveva già visto il libro, ma la sua vista la riempiva tuttora di soggezione. Era una copia della Sacra Bibbia, ed era l’unico libro che avesse mai visto.
Come gli altri abitanti del villaggio, Hrotrud non sapeva né leggere né scrivere. Sapeva, però, che il libro era un tesoro, e valeva più solidi d’oro di quanti l’intero villaggio ne guadagnasse in un anno. Il canonico se l’era portato appresso dalla nativa Inghilterra, dove i libri non erano rari come nella terra dei franchi.
Hrotrud vide immediatamente che Gudrun era in cattive condizioni: il respiro debole, il polso pericolosamente rapido, tutto il corpo gonfio e tumefatto. La levatrice riconobbe i segni. Non c’era tempo da perdere. Dal sacco prese lo sterco di colomba che aveva accuratamente raccolto in autunno; ritornò al focolare e gettò lo sterco nel fuoco, osservando compiaciuta il fumo nero levarsi a purificare l’aria dagli spiriti maligni.
Avrebbe dovuto alleviarle il dolore, affinché Gudrun potesse rilassarsi e dare alla luce il bambino. A tale scopo avrebbe usato il giusquiamo. Prese un involto di piccoli fiori gialli venati di viola, li mise in un mortaio d’argilla, e destramente li ridusse in polvere, storcendo il naso all’odore acre che liberavano. Poi infuse la polvere in una tazza di vino rosso forte e lo porse a Gudrun perché lo bevesse.
«Che cosa hai intenzione di darle?», chiese bruscamente il canonico.
Hrotrud sussultò; aveva quasi scordato la sua presenza. «È indebolita dal travaglio. Questo allevierà il dolore e aiuterà il bambino a venire fuori».
Il canonico si accigliò. Prese il giusquiamo dalle mani di Hrotrud, girò a lunghi passi attorno al divisorio, e lo gettò nel fuoco, dove sibilò brevemente e poi svanì. «Tu, donna blasfema».
Hrotrud era sbalordita. Le ci erano volute settimane di scrupolosa ricerca per raccogliere quella piccola quantità di medicina inestimabile. Si voltò verso il canonico, pronta a manifestare la propria rabbia, ma si fermò vedendo nei suoi occhi uno sguardo inflessibile.
«È scritto», batté enfaticamente la mano sul libro, «Partorirai con dolore
. Quella medicina è sacrilega!».
Hrotrud era indignata. Non c’era niente di non cristiano nella sua medicina. Non recitava forse nove paternoster ogni volta che strappava da terra una pianta? Di certo il canonico non si era mai lamentato quando gli dava il giusquiamo per alleviare il dolore dei suoi frequenti mal di denti. Ma non avrebbe discusso con lui.
Era un uomo influente. Una sua parola su pratiche sacrileghe
, e Hrotrud sarebbe stata rovinata.
Gudrun gemette tra gli spasimi di un’altra doglia. Molto bene
, pensò Hrotrud. Se il canonico non permetteva il giusquiamo, avrebbe dovuto tentare un altro approccio. Tirò fuori dal sacco un lungo pezzo di tessuto, tagliato secondo la Vera Lunghezza di Cristo. Agendo con svelta efficienza lo arrotolò strettamente attorno all’addome di Gudrun, che gemette. Il movimento le causava dolore, ma a quello non c’era rimedio. Hrotrud prese dal sacco un pacchetto, avvolto con cura in un brandello di seta. Dentro, ben protetto, c’era uno dei suoi tesori: l’astragalo di un coniglio ucciso il giorno di Natale. L’aveva ottenuto in elemosina da una compagnia di caccia imperiale l’inverno precedente.
Con estrema attenzione, Hrotrud raschiò tre fettine sottili e le mise in bocca a Gudrun.
«Masticale piano», ordinò a Gudrun, che assentì debolmente.
Hrotrud si mise comoda ad aspettare. Con la coda dell’occhio osservò il canonico, chino in concentrazione sul suo libro con la fronte tanto aggrottata che le sopracciglia quasi si univano sul dorso del naso.
Gudrun gemette ancora e si contorse per il dolore, ma il canonico non alzò lo sguardo. È un tipo freddo
, rifletté Hrotrud.
Eppure, deve avere del fuoco nei lombi, o non l’avrebbe presa in moglie
.
Quanto tempo era passato da quando il canonico aveva portato a casa la donna sassone? Dieci – o forse undici? – inverni. Gudrun non era già più giovane, rispetto alla consuetudine franca, aveva forse ventisei o ventisette anni, ma era molto bella, con i lunghi capelli colore dell’oro bianco e gli occhi azzurri degli alienigenae.
Aveva perso l’intera famiglia nel massacro di Verden.
Migliaia di sassoni erano morti quel giorno piuttosto che accettare la verità di Nostro Signore Gesù Cristo. Pazzi barbari
, pensò Hrotrud. A me non sarebbe capitato
. Lei avrebbe giurato qualsiasi cosa le avessero chiesto, l’avrebbe fatto persino ora, in quanto a quello, se mai i barbari avessero nuovamente invaso la terra dei franchi, avrebbe giurato su qualsiasi sconosciuta e terribile divinità desiderassero. Non cambiava nulla. Chi poteva sapere cosa succedeva nel cuore di una persona? Una donna saggia teneva per sé la propria opinione.
Il fuoco scintillava e tremolava; la fiamma bruciava bassa. Hrotrud andò alla catasta di legna nell’angolo, scelse due bei ciocchi di betulla e li mise sul focolare. Li guardò assestarsi nel fuoco, sibilando, attorniati e lambiti dalle fiamme. Poi si girò a controllare Gudrun.
Era già trascorsa mezz’ora da quando Gudrun aveva preso le scagliette di osso di coniglio, ma le sue condizioni erano immutate.
Nemmeno quel forte medicamento aveva sortito un effetto. Le doglie continuavano irregolari e vane, e Gudrun si stava indebolendo.
Hrotrud sospirò stancamente. Era chiaro che avrebbe dovuto ricorrere a misure più energiche.
Il canonico si rivelò un problema quando Hrotrud gli disse che avrebbe avuto bisogno di aiuto per il parto.
«Manda a chiamare le donne del villaggio», le rispose in tono perentorio.
«Ah, signore, è impossibile. Chi possiamo mandare?». Hrotrud sollevò i palmi delle mani in modo significativo. «Io non posso andare, perché tua moglie ha bisogno di me qui. Tuo figlio maggiore non può andare, perché sebbene sembri un giovanotto promettente, potrebbe perdersi con un tempo come questo. Mi sono quasi persa anch’io».
Il canonico la fulminò con lo sguardo da sotto le sopracciglia scure. «Molto bene», disse, «andrò io». Mentre si alzava dalla sedia, Hrotrud scosse la testa con impazienza.
«Non servirebbe a niente. Quando tornerai sarà troppo tardi. È del tuo aiuto che ho bisogno, e in fretta, se desideri che tua moglie e tuo figlio sopravvivano».
«Il mio aiuto? Sei pazza, levatrice? Quello», fece un gesto disgustato verso il letto, «è affare da donne, è impuro. Non voglio averci niente a che fare».
«Allora tua moglie morirà».
«È nelle mani di Dio, non nelle mie».
Hrotrud si strinse nelle spalle. «Per me fa lo stesso. Ma non ti sarà facile, crescere due figli senza una madre».
Il canonico fissò Hrotrud. «Perché dovrei crederti? Ha partorito altre volte senza problemi. Io l’ho fortificata con le mie preghiere.
Non puoi sapere che morirà».
Era troppo. Canonico o no, Hrotrud non tollerava che si mettesse in dubbio la sua abilità di levatrice. «Sei tu che non sai niente », gli disse aspramente. «Non l’hai neppure guardata. Vai a darle un’occhiata; poi dimmi che non sta morendo».
Il canonico si avvicinò al letto e abbassò lo sguardo sulla moglie.
I capelli umidi erano appiccicati alla pelle giallognola, gli occhi cerchiati di nero erano vacui e infossati nel cranio; se non fosse stato per le lunghe, incerte esalazioni del respiro, avrebbe potuto essere già morta.
«Ebbene?», lo incalzò Hrotrud.
Il canonico si voltò di scatto verso di lei. «Per il sangue di Dio, donna! Perché non hai portato con te le donne?» «Come hai detto tu stesso, signore, in passato tua moglie ha partorito senza l’ombra di un problema. Non c’era motivo di aspettarselo questa volta. Inoltre, chi sarebbe venuto con questo tempo?».
Il canonico andò impettito al focolare, poi camminò avanti e indietro con fare agitato. Finalmente si fermò. «Che cosa vuoi che faccia?».
Hrotrud allargò la bocca in un sorriso. «Oh, ben poco, signore, ben poco». Lo ricondusse al letto. «Per cominciare, aiutala ad alzarsi ».
In piedi ai due lati di Gudrun, la afferrarono sotto le ascelle e la sollevarono. Il suo corpo era pesante, ma insieme riuscirono ad alzarla in piedi; Gudrun vacillò contro il marito. Il canonico era più forte di quanto Hrotrud avesse pensato, ed era un bene, perché ci sarebbe stato bisogno di tutta la sua forza per il passo successivo.
«Dobbiamo costringere il bambino a scendere nella posizione giusta. Quando te lo dico, sollevala più in alto che puoi. E scuoti forte».
Il canonico annuì, la bocca stretta in un’espressione risoluta.
Gudrun penzolava tra loro come un peso morto, la testa abbandonata sul petto.
«Solleva!», gridò Hrotrud. Issarono Gudrun per le braccia e iniziarono a scuoterla su e giù. Gudrun urlò e lottò per liberarsi.
Dolore e paura le davano una forza sorprendente; in due facevano fatica a tenerla. Se solo mi avesse lasciato darle il giusquiamo
, pensò Hrotrud. Adesso sarebbe per metà insensibile
.
Rapidamente la abbassarono, ma Gudrun continuava a dibattersi e a strillare. Hrotrud diede un secondo ordine, e di nuovo la sollevarono e la scossero; poi la adagiarono sul letto, dove giacque quasi svenuta, borbottando parole nella sua barbara lingua nativa. Bene
, pensò Hrotrud. Se agisco in fretta, sarà tutto finito prima che riprenda i sensi
.
Hrotrud infilò una mano nel condotto del parto sondando il passaggio per l’utero. Era rigido e tumefatto dalle lunghe ore di vano travaglio. Servendosi dell’unghia dell’indice destro, che teneva lunga proprio a quello scopo, Hrotrud lacerò il tessuto che opponeva resistenza. Gudrun gemette, poi si abbandonò com- pletamente. Il sangue caldo si riversò sulla mano di Hrotrud, sulle sue braccia, e sul letto. Infine l’apertura cedette. Con un grido esultante, Hrotrud entrò con la mano e si impadronì della testa del bambino, esercitando una lieve pressione verso il basso.
«Prendila per le spalle e tira opposto a me», ordinò al canonico, che era decisamente impallidito. Ciò nondimeno il canonico ubbidì, e quando fece forza, Hrotrud sentì aumentare la pressione.
Dopo pochi minuti, il bambino iniziò a muoversi scendendo lungo il condotto vaginale. Hrotrud continuò a tirare uniformemente, attenta a non danneggiare le ossa molli della testa e del collo del bambino. Finalmente apparve la sommità della testa, coperta da una massa di capelli fini e bagnati. Hrotrud tirò delicatamente verso l’esterno la testa del bambino, poi girò il corpo per fare emergere prima la spalla destra, poi la sinistra. Un ultimo, risoluto strattone e il corpicino bagnato scivolò tra le braccia accoglienti di Hrotrud.
«Una femmina», annunciò Hrotrud. «E forte anche, dall’aspetto », aggiunse, notando con approvazione l’urlo vigoroso e il colorito roseo e sano della neonata.
Si voltò e incontrò lo sguardo fisso di disapprovazione del canonico.
«Una femmina», disse. «Così è stato tutto per niente».
«Non dire così, signore». Hrotrud temette improvvisamente che il disappunto del canonico significasse per lei meno cibo.
«La bambina è forte e piena di salute. Che Dio le conceda di vivere per fare onore al tuo nome».
Il canonico scosse la testa. «È una punizione di Dio. Una punizione per i miei peccati... e i suoi». Indicò con un gesto Gudrun, che giaceva immobile. «Vivrà?» «Sì». Hrotrud sperava di sembrare convincente. Non poteva permettere che il canonico pensasse di restare doppiamente deluso.
Sperava ancora di assaggiare un po’ di carne quella sera. E c’era, dopotutto, una ragionevole possibilità che Gudrun sopravvivesse.
Vero, il parto era stato violento. Dopo una simile prova, a molte donne venivano la febbre e la consunzione. Ma Gudrun era forte; Hrotrud avrebbe curato la sua ferita con un linimento di artemisia mischiata a grasso di volpe. «Sì, Dio volendo, vivrà», ripeté con fermezza. Non ritenne necessario aggiungere che probabilmente non avrebbe più avuto figli.
«È già qualcosa, allora», disse il canonico. Andò vicino al letto e rimase a guardare Gudrun. Con delicatezza le toccò i capelli colore dell’oro bianco, scuriti dal sudore. Per un momento, Hrotrud pensò che l’avrebbe baciata. Poi l’espressione del canonico cambiò, divenne severa, rabbiosa addirittura.
«"Per mulierem culpa successit», disse. «
Il peccato è venuto da una donna"». Lasciò cadere i capelli e si ritrasse.
Hrotrud scrollò il capo. Qualcosa dal Libro Sacro, non c’è dubbio
. Il canonico era un tipo strano, d’accordo, ma ciò non la riguardava, grazie a Dio. Si affrettò a ripulire Gudrun dal sangue e dagli umori del parto, per poter tornare a casa finché era ancora giorno.
Gudrun aprì gli occhi e vide il canonico che la sorvegliava. Il principio di un sorriso le si congelò sulle labbra quando vide l’espressione nei suoi occhi.
«Marito mio?», disse dubitosa.
«Una femmina», disse freddamente il canonico, senza preoccuparsi di nascondere il proprio scontento.
Gudrun comprese e fece un cenno di assenso, poi si girò verso il muro. Il canonico si voltò per andarsene, fermandosi brevemente a dare un’occhiata all’infante già sistemata al sicuro sul suo pagliericcio.
«Giovanna. Si chiamerà Giovanna», annunciò, e repentinamente lasciò la stanza.
CAPITOLO 1
Il tuono risuonò vicinissimo, e la bambina si svegliò. Si mosse nel letto alla ricerca del calore e del conforto delle forme dormienti dei fratelli maggiori. Poi ricordò. I suoi fratelli erano andati via.
Pioveva, un violento acquazzone primaverile che colmava l’aria notturna dell’odore agrodolce della terra appena arata. La pioggia batteva sul tetto della grubenhaus del canonico, ma la paglia fittamente intrecciata manteneva la stanza asciutta, a parte uno o due punti negli angoli dove l’acqua formava prima delle pozze e poi cadeva in grosse gocce sul pavimento di terra battuta.
Il vento si alzò, e una quercia vicina si mise a picchiettare un ritmo ineguale sui muri della casupola. L’ombra dei suoi rami si spandeva nella stanza. La bambina osservava, paralizzata, le mostruose dita oscure che si contorcevano ai bordi del letto. Si allungavano verso di lei, la chiamavano a cenni, e la bambina si faceva sempre più piccola.
Mamma
, pensò. Aprì la bocca per gridare, poi si fermò. Se avesse emesso un suono, la mano minacciosa le sarebbe piombata addosso. Restò sdraiata immobile, incapace di ordinare a se stessa di muoversi. Poi sporse risolutamente il piccolo mento. Bisognava farlo, e l’avrebbe fatto. Muovendosi con eccezionale lentezza, senza mai distogliere lo sguardo dal nemico, scivolò fuori dal letto. I piedi toccarono la terra fresca del pavimento; la familiare sensazione era rassicurante. Non osando quasi respirare, indietreggiò verso il divisorio oltre il quale sua madre dormiva.
Il fulmine lampeggiò; le dita si allungarono e avanzarono, seguendola.
La gola le si strinse nello sforzo di trattenere un grido.
Si costrinse a muoversi lentamente, a non mettersi a correre.
Era quasi arrivata. Improvvisamente, una salva di tuono si schiantò sopra la sua testa. Nello stesso momento qualcosa la toccò da dietro. Strillò, si girò di scatto e fuggì oltre il divisorio, inciampando nella sedia che aveva urtato con la schiena.
Quella parte della casa era buia e silenziosa, a eccezione del ritmico respiro di sua madre. Dal suono, la bambina capiva che era profondamente addormentata; il rumore non l’aveva svegliata. Si diresse svelta al letto, sollevò la coperta di lana, e si infilò sotto.
Sua madre giaceva sul fianco, le labbra leggermente socchiuse; l’alito caldo le carezzava la guancia. La bambina le si accoccolò vicino, sentendo la morbidezza del suo corpo attraverso la sottile camicia da notte.
Gudrun sbadigliò e cambiò posizione, destata dal movimento.
Aprì gli occhi e sogguardò assonnata la bambina. Poi, svegliatasi completamente, tese le braccia e le strinse intorno alla figlia.
«Giovanna», la rimproverò dolcemente, le labbra contro i soffici capelli. «Piccola, dovresti essere addormentata».
Parlando in fretta, con voce acuta e distorta dalla paura, Giovanna raccontò alla madre della mano del mostro.
Gudrun ascoltò, coccolandola e accarezzandola e mormorando parole rassicuranti. Sfiorò con dita lievi il volto della bambina, appena visibile nell’oscurità. Non era bella, rifletté Gudrun con mestizia. Assomigliava troppo a lui, con quel suo collo tozzo e la mascella larga. Il piccolo corpo era già tarchiato e massiccio, non snello e aggraziato come quello della gente di Gudrun. Ma i suoi occhi erano buoni, grandi, espressivi e ricchi di sfumature, verdi con al centro anelli di fumo grigio scuro. Gudrun sollevò una ciocca dei capelli della bimba e la carezzò, godendo del modo in cui brillava, oro bianco persino al buio. I miei capelli
. Non i ruvidi capelli neri del marito e del suo popolo scuro e crudele.
La mia bambina
. Si avvolse la ciocca intorno al dito indice e sorrise. Questa, almeno, è mia
.
Tranquillizzata dalle attenzioni della madre, Giovanna si rilassò.
In giocosa imitazione si mise a tirare la lunga treccia di Gudrun, finché i capelli caddero sciolti attorno al capo. Giovanna li guardò meravigliata, sparsi sullo scuro copriletto di lana come una crema spumosa. Non aveva mai visto i capelli della madre sciolti. Su insistenza del canonico, Gudrun li portava sempre accuratamente intrecciati, nascosti sotto una cuffia di lino grezzo.
«I capelli di una donna», diceva suo marito, «sono la rete nella quale Satana cattura l’anima dell’uomo». E i capelli di Gudrun erano straordinariamente belli, lunghi e soffici, puro oro bianco, senza la minima traccia di grigio sebbene fosse ormai una donna vecchia di trentasei inverni.
«Perché Matteo e Giovanni sono andati via?», chiese improvvisamente Giovanna. Sua madre gliel’aveva spiegato tante volte, ma Giovanna voleva sentirlo ancora.
«Lo sai perché. Tuo padre li ha portati con sé nel suo viaggio di missionario».
«Perché non sono potuta andare anch’io?».
Gudrun sospirò paziente. La bambina era sempre così piena di domande. «Matteo e Giovanni sono ragazzi; un giorno saranno preti come tuo padre. Tu sei una ragazza, e perciò queste faccende non ti riguardano». Vedendo che Giovanna non era soddisfatta, aggiunse: «Inoltre, sei troppo giovane».
Giovanna era indignata. «Ho fatto quattro anni a Wintarmanoth! ».
Gli occhi di Gudrun si illuminarono divertiti guardando il viso grassoccio della bambina. «Ah, sì, dimenticavo, sei una ragazza grande, adesso, vero? Quattro anni! Vuol dire che sei molto cresciuta ».
Giovanna rimase sdraiata quietamente mentre la madre le carezzava i capelli. Poi chiese: «Cosa sono i pagani?». Suo padre e i suoi fratelli avevano parlato molto dei pagani prima di partire.
Giovanna non capiva che cosa fossero esattamente i pagani, ma arguiva che si trattasse di una cosa molto brutta.
Gudrun si irrigidì. Quella parola aveva poteri evocatori. L’aveva sentita dalle labbra dei soldati invasori mentre saccheggiavano la sua casa e ammazzavano la sua famiglia e i suoi amici. Gli scuri, crudeli soldati dell’imperatore franco Karolus. Magnus
lo chiamava la gente adesso che era morto. Karolus Magnus
, Carlo Magno. L’avrebbero chiamato così, si chiedeva Gudrun, se avessero visto il suo esercito strappare i bambini sassoni dalle braccia delle madri, e farli roteare prima di fracassare loro la testa sulle pietre arrossate? Gudrun ritrasse la mano dai capelli di Giovanna e si girò sulla schiena.
«È una domanda che devi fare a tuo padre», disse.
Giovanna non capiva dove aveva sbagliato, ma sentiva l’insolita durezza nella voce della madre e sapeva che sarebbe stata rimandata nel suo letto se non avesse pensato al modo di riparare il danno. Rapidamente disse: «Raccontami ancora degli Antichi ».
«Non posso. Tuo padre non approva che racconti quelle storie ». Le parole erano per metà affermative e per metà dubbiose.
Giovanna sapeva cosa fare. Con solennità si pose entrambe le mani sul cuore e recitò il Giuramento esattamente come le aveva insegnato sua madre, promettendo eterna segretezza sul sacro nome di Thor il dio del Tuono.
Gudrun rise e strinse Giovanna di nuovo vicino a sé. «Molto bene, quagliettina. Ti racconterò la storia, visto che sai chiedere così bene».
La sua voce era tornata a essere calda, assorta e melodiosa, raccontando di Woden e Thor e Freya e delle altre divinità che avevano popolato la sua infanzia in Sassonia, prima che le armate di Carlo portassero la Parola di Cristo con il sangue e il fuoco. Con voce cadenzata parlava di Asgard, la radiosa dimora degli dèi, luogo di palazzi d’oro e d’argento, che si poteva raggiungere solo attraversando Bifrost, il misterioso ponte dell’arcobaleno. A sorvegliare il ponte c’era Heimdall il Guardiano, che non dormiva mai, tanto fine d’orecchio che sentiva l’erba crescere. Nel Valhalla, il palazzo più bello di tutti, viveva Woden, il dio padre, sulle cui spalle sedevano i due corvi Hugin, il Pensiero, e Munin, la Memoria. Sul suo trono, mentre gli altri dèi banchettavano, Woden meditava ciò che gli dicevano il Pensiero e la Memoria.
Giovanna faceva di sì con la testa, felice. Quella era la parte della storia che preferiva. «Racconta del Pozzo della Saggezza», implorò.
«Pur essendo già molto saggio», narrò sua madre, «Woden cercava una saggezza sempre più grande. Un giorno andò al Pozzo della Saggezza, custodito da Mimir il Saggio, e chiese di bere un sorso. Che prezzo sei disposto a pagare?
, chiese Mimir. Woden replicò che Mimir poteva chiedere quello che desiderava. La saggezza deve sempre essere acquistata con dolore
, rispose Mimir.
Se desideri un sorso di quest’acqua, devi pagarlo con uno dei tuoi occhi
». Con gli occhi luccicanti per l’eccitazione, Giovanna esclamò: «E Woden l’ha fatto, mamma, non è vero? L’ha fatto!».
Sua madre annuì. «Sebbene fosse un’ardua scelta, Woden consentì a perdere un occhio. Bevve l’acqua. In seguito, trasmise al genere umano la saggezza che aveva acquistato».
Giovanna guardò la madre con occhi spalancati e seri. «Tu l’avresti fatto, mamma, per essere saggia, per conoscere tutte le cose? » «Solo gli dèi compiono simili scelte», le rispose. Poi, vedendo lo sguardo della bambina fermo in un’ostinata domanda, Gudrun confessò: «No. Avrei avuto troppa paura».
«Anch’io», disse Giovanna pensosa. «Però vorrei farlo. Io vorrei sapere cosa potrebbe dirmi il pozzo».
Gudrun sorrise al faccino intento. «Forse non ti piacerebbe quello che apprenderesti. Tra il nostro popolo c’è un detto. Il cuore di un uomo saggio raramente è contento
».
Giovanna assentì, anche se in realtà non capiva. «Adesso racconta dell’Albero», disse rannicchiandosi ancora più vicino alla madre.
Gudrun iniziò a descrivere Irminsul, il portentoso Albero dell’universo.
Si ergeva nel boschetto più sacro di Sassonia alle sorgenti del fiume Lippe. Ai piedi dell’Albero, prima che fosse abbattuto dalle armate di Carlo, il suo popolo compiva atti di devozione.
«Era bellissimo», disse sua madre, «e così alto che nessuno riusciva a vederne la cima. Era...».
Si interruppe. Improvvisamente conscia di un’altra presenza, Giovanna alzò gli occhi. Sulla soglia c’era suo padre.
Sua madre si drizzò a sedere sul letto. «Marito mio», disse.
«Non aspettavo il tuo ritorno prima di altre due settimane».
Il canonico non rispose. Prese una candela sottile dal tavolo accanto alla porta e andò al focolare, dove la accese accostandola alle braci ardenti.
Imbarazzata, Gudrun disse: «La bambina era spaventata dal tuono. Ho pensato di consolarla raccontandole una storia innocua ».
«Innocua!». La voce del canonico tremava per lo sforzo di controllare la collera.
«Chiami innocua una simile blasfemia?».
In due lunghi passi coprì la distanza che lo separava dal letto, mise giù la candela e tirò via la coperta, esponendole alla vista.
Giovanna era stretta con le braccia attorno alla madre, quasi nascosta sotto una coltre di capelli colore dell’oro bianco.
Per un attimo il canonico restò stupefatto e incredulo davanti ai capelli sciolti di Gudrun. Poi la furia lo sopraffece. «Come osi! Quando te l’ho espressamente proibito!». Afferrò Gudrun e fece per trascinarla giù dal letto. «Strega pagana!».
Giovanna rimaneva aggrappata alla madre. Il volto del canonico si rabbuiò. «Vattene, bambina!», urlò. Giovanna esitò, combattuta tra la paura e il desiderio di proteggere in qualche modo la madre.
Gudrun la sospinse, incalzante. «Sì, vai. Svelta».
Abbandonando la presa, Giovanna si lasciò cadere a terra e corse via. Sulla porta si voltò e vide suo padre afferrare rudemente la madre per i capelli, torcendole la testa all’indietro per costringerla in ginocchio. Giovanna rientrò nella stanza, ma si bloccò paralizzata dal terrore vedendo il padre estrarre dalla cintura di corda il lungo coltello da caccia con il manico d’osso.
«Forsachistu diabolae?», chiese a Gudrun in sassone con voce appena più alta di un sussurro. Quando la donna non rispose, le appoggiò alla gola la punta del coltello. «Di’ le parole», ringhiò minacciosamente. «Dille!».
«Ec forsacho allum diaboles», rispose Gudrun, gli occhi pieni di lacrime fiammeggianti di sfida, «wuercum and wuordum, thunaer ende woden ende saxnotes ende allum...».
Inchiodata dalla paura, Giovanna vide suo padre sollevare una grossa ciocca dei capelli della madre e calare il coltello su di essa.
Si udì un suono lacerante quando i fili di seta si spezzarono; una lunga striscia di oro bianco fluttuò sul pavimento.
Premendo una mano sulla bocca per soffocare un singhiozzo, Giovanna si girò e corse via.
Nell’oscurità urtò una sagoma protesa verso di lei. Sentendosi afferrare, emise un grido stridulo. La mano del mostro! L’aveva dimenticata! Lottò, colpendo con i minuscoli pugni, resistendo con tutta la propria forza, ma la mano era enorme, e la teneva stretta.
«Giovanna! Giovanna, va tutto bene. Sono io!».
Le parole fecero breccia nella paura. Era suo fratello Matteo di dieci anni, che era ritornato con suo padre.
«Siamo tornati, Giovanna, smetti di dimenarti! Va tutto bene.
Sono io». Giovanna tese le mani, sentì la superficie levigata della croce pettorale che Matteo portava sempre, e gli si abbandonò contro sollevata.
Insieme sedettero al buio, ascoltando il rumore sommesso e straziante del coltello che fendeva i capelli della loro madre. Una volta sola la sentirono gridare di dolore. Matteo imprecò ad alta voce. Dal letto, dove il fratello Giovanni di sette anni si nascondeva sotto le coperte, rispose un singhiozzo.
Finalmente quei suoni angoscianti cessarono. Dopo una breve pausa la voce del canonico rimbombò nella preghiera. Giovanna sentì Matteo rilassarsi; era finita. Gli buttò le braccia al collo e pianse. Matteo la strinse cullandola dolcemente.
Più tardi, Giovanna alzò lo sguardo su di lui. «Nostro padre ha chiamato la mamma pagana
».
«Sì».
«Non lo è», disse Giovanna esitante, «vero?» «Lo era». Vedendo il suo sguardo di inorridita incredulità, aggiunse: «Molto tempo fa. Non più adesso. Ma quelle che ti stava raccontando erano storie pagane».
Giovanna smise di piangere; si trattava di informazioni importanti.
«Conosci il primo dei Comandamenti?».
Giovanna annuì e recitò rispettosamente: «Non avrai altro Dio all’infuori di me
».
«Sì. Significa che gli dèi di cui mamma ti stava parlando sono falsi; è peccato parlare di loro».
«È per questo che nostro padre...».
«Sì», la interruppe Matteo. «Mamma ha dovuto essere punita per il bene della sua anima. Ha disubbidito al proprio marito, e anche questo è contro la legge di Dio».
«Perché?» «Perché la Sacra Bibbia dice così». Declamò: «Perché il marito è capo della moglie; perciò le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto
».
«Perché?» «Perché?». Matteo era sorpreso. Nessuno gliel’aveva mai chiesto prima. «Ebbene, suppongo perché... perché le donne sono per natura inferiori agli uomini. Gli uomini sono più grandi, più forti, e più intelligenti».
«Ma... », fece per replicare Giovanna, ma Matteo a questo punto la interruppe.
«Basta domande, sorellina. Dovresti essere a letto. Andiamo».
La portò a letto e la depose accanto a Giovanni, che stava già dormendo.
Matteo era stato gentile con lei; per ricambiare il favore, Giovanna chiuse gli occhi e si rintanò sotto le coperte fingendo di dormire.
Ma era troppo turbata per dormire. Giacque al buio, fissando Giovanni che dormiva con la bocca indolentemente aperta.
Non sa recitare dal Salterio e ha sette anni
. Giovanna ne aveva solo quattro, ma sapeva già a memoria i primi dieci salmi.
Giovanni non era intelligente. Ma era un ragazzo. Tuttavia com’era possibile che Matteo avesse torto? Lui sapeva tutto; sarebbe diventato prete, come loro padre.
Era sveglia nell’oscurità, e rimuginava il problema fra sé e sé.
Mancava poco all’alba quando si addormentò, inquieta, turbata da sogni di guerre poderose tra dèi gelosi e collerici. Lo stesso angelo Gabriele scese dal cielo con una spada fiammeggiante per dare battaglia a Thor e Freya. La battaglia era terribile e feroce, ma alla fine i falsi dèi furono scacciati, e Gabriele si erse trionfante davanti alle porte del Paradiso. La sua spada era scomparsa; nella sua mano scintillava un coltello dal manico d’osso.
CAPITOLO 2
Lo stilo di legno si muoveva rapido, formando lettere e parole nella morbida cera gialla della tavoletta. Giovanna, attenta, era in piedi a fianco di Matteo, e lo guardava trascrivere le lezioni del giorno. Di tanto in tanto si fermava per passare la fiamma di una candela sulla tavoletta, per evitare che la cera si indurisse troppo in fretta. Giovanna adorava vedere lavorare Matteo. La punta d’osso dello stilo spingeva la cera informe in linee che possedevano per lei una misteriosa bellezza. Anelava a comprendere cosa significasse ogni segno e seguiva intensamente tutti i movimenti dello stilo, quasi volesse scoprire la chiave del significato nella forma delle linee.
Matteo depose lo stilo e si appoggiò allo schienale della sedia, fregandosi gli occhi. Presentendo un’opportunità, Giovanna si sporse sulla tavoletta e indicò una parola.
«Che cosa dice?» «Gerolamo. È il nome di uno dei grandi Padri della Chiesa».
«Gerolamo», ripeté Giovanna lentamente. «Il suono è come il mio nome».
«Alcune delle lettere sono le stesse», confermò Matteo sorridendo.
«Fammi vedere».
«Meglio di no. A nostro padre non piacerebbe se lo scoprisse».
«Non lo scoprirà», supplicò Giovanna. «Ti prego, Matteo. Voglio sapere. Ti prego fammi vedere».
Matteo esitò. «Suppongo che non ci sia nulla di male a insegnarti a scrivere il tuo nome. Potrà essere utile un giorno quando sarai sposata e avrai una casa tua da amministrare».
Pose la mano su quella piccola di lei e la aiutò a tracciare le lettere del suo nome: J-O-H-A-N-N-A, con un ampio svolazzo in coda alla ultima A.
«Bene. Adesso prova da sola».
Giovanna strinse forte lo stilo, obbligando le dita nella strana posizione contratta, e desiderò che formassero le stesse lettere che aveva ben chiare in mente. Quando non riuscì a far andare lo stilo dove voleva, le sfuggì un grido di frustrazione.
Matteo la calmò. «Piano, sorellina, piano. Hai solo sei anni.
Scrivere non è facile alla tua età. Ho cominciato anch’io come te, e mi ricordo. Prenditela comoda; alla fine ci riuscirai».
Il giorno seguente, Giovanna si alzò presto e uscì. Nella terra smossa intorno al recinto del bestiame tracciò e ritracciò le lettere fino a essere sicura che fossero esatte.
Poi chiamò orgogliosamente Matteo perché fosse testimone del suo operato.
«Guarda guarda, ben fatto, sorellina. Ben fatto davvero». Si arrestò sussultando e con fare colpevole mormorò: «Ma non è bene che nostro padre venga a scoprirlo». Strisciò i piedi sul terriccio e cancellò i segni fatti da Giovanna.
«No, Matteo, no!». Giovanna tentò di allontanarlo. Disturbati dal rumore, i maiali diedero inizio a un coro di grugniti.
Matteo si chinò ad abbracciarla. «Va tutto bene, Giovanna.
Non essere infelice».
«M... ma tu avevi detto che le mie lettere erano ben fatte!».
«Sono ben fatte». Matteo era sorpreso da quanto erano fatte bene, meglio di come le facesse Giovanni, che aveva tre anni di più. In effetti, se Giovanna non fosse stata una femmina, Matteo avrebbe detto che un giorno sarebbe diventata un ottimo scriba.
Ma era meglio non metterle strane idee in testa. «Non potevo lasciare le lettere, perché nostro padre le avrebbe viste; ecco perché le ho cancellate».
«Mi insegnerai altre lettere, Matteo? Lo farai?» «Ti ho già mostrato più di quanto dovevo».
Giovanna parlò con gravità. «Nostro padre non lo scoprirà.
Non glielo dirò mai, lo prometto. E cancellerò le lettere con molta cura quando avrò finito». I profondi occhi grigioverdi sostennero intensamente lo sguardo di Matteo, desiderando che acconsentisse.
Matteo scrollò il capo con divertita mestizia. Era davvero insi- stente, la sua sorellina. Le diede un buffetto affettuoso sotto il mento. «D’accordo», disse. «Ma rammenta, è il nostro segreto, e dobbiamo mantenerlo».
E poi diventò una specie di gioco tra loro. Ogni volta che se ne presentava l’occasione, mai però tanto spesso quanto Giovanna avrebbe voluto, Matteo le mostrava come tracciare le lettere nella terra. Giovanna era avida d’imparare; pur paventando le conseguenze, Matteo trovava impossibile resistere al suo entusiasmo.
Anche lui amava lo studio; la bramosia di sapere di Giovanna parlava direttamente al suo cuore.
Ciò nonostante, anche per lui fu un trauma quando un giorno Giovanna gli si presentò davanti portando l’enorme Bibbia rilegata in legno che apparteneva al loro padre.
«Cosa stai facendo?», esclamò. «Rimettila a posto; non avresti mai dovuto toccarla!».
«Insegnami a leggere».
«Cosa?». La sua audacia era stupefacente. «Veramente, sorellina, questo è chiedere troppo».
«Perché?» «Ebbene... per prima cosa, leggere è molto più difficile che imparare semplicemente l’abbecedario. Dubito che tu possa imparare ».
«Perché no? Tu hai imparato».
Matteo sorrise con indulgenza. «Sì. Ma io sono un uomo». Non era proprio vero, considerato che non aveva ancora raggiunto i tredici inverni. In poco più di un anno, quando avesse compiuto i quattordici, sarebbe stato davvero un uomo. Ma si compiaceva di reclamarne già il privilegio, e inoltre la sua sorellina non conosceva la differenza.
«Io posso imparare. So che posso».
Matteo sospirò. Non sarebbe stato facile. «Non è solo questo, Giovanna. Leggere e scrivere è pericoloso, e innaturale, per una ragazza».
«Santa Caterina lo sapeva fare. Il vescovo ha detto così nel suo sermone, ti ricordi? Ha detto che era amata per la sua saggezza e la sua erudizione».
«È differente. Lei era una santa. Tu sei solo una... ragazza».
Giovanna allora tacque. Matteo era contento di aver vinto la di- sputa così abilmente; sapeva quanto poteva essere determinata la sua sorellina.
Tese la mano verso la Bibbia.
Giovanna fece per dargliela, poi la ritrasse. «Perché Caterina è una santa?», chiese.
Matteo si fermò con la mano ancora tesa. «Era una santa martire che è morta per la fede. Il vescovo ha detto così nel suo sermone, ti ricordi?». Non resistette alla tentazione di farle il verso.
«Perché è stata martirizzata?».
Matteo sospirò. «Ha sfidato l’imperatore Massenzio e cinquanta dei suoi uomini più saggi dimostrando, in virtù della logica, la falsità del paganesimo. Per questo è stata punita. Adesso andiamo, sorellina, dammi il libro».
«Quanti anni aveva?».
Che strane domande faceva quella bambina! «Non voglio discutere oltre», disse Matteo, esasperato. «Dammi il libro e basta!».
Giovanna indietreggiò, tenendolo ben stretto. «Era già vecchia quando è andata ad Alessandria a discutere con gli uomini saggi dell’imperatore, vero?».
Matteo si chiedeva se doveva prenderle il libro con la forza. No, meglio di no. La fragile legatura poteva allentarsi. Allora sarebbero stati entrambi in un guaio così grande che non voleva nemmeno pensarci. Meglio continuare a parlare, a rispondere alle sue domande, per quanto sciocche e infantili, finché non si fosse stancata del gioco.
«Trentatré, ha detto il vescovo, la stessa età di Gesù Cristo quando è stato crocifisso».
«E quando santa Caterina ha sfidato l’imperatore, veniva già ammirata per la sua erudizione, come ha detto il vescovo?» «Ovviamente». Matteo era condiscendente. «Altrimenti come avrebbe potuto spuntarla in una tale disputa con gli uomini più saggi del paese?» «Allora», il faccino di Giovanna era illuminato dal trionfo, «deve avere imparato a leggere prima di diventare santa. Quando era solo una ragazza. Come me!».
Per un momento Matteo rimase senza parole, incerto tra l’irritazione e la sorpresa. Poi rise forte. «Sei una monella!», disse.
«Ecco dove volevi arrivare! Ebbene, tu per la disputa hai un talento naturale, questo è sicuro!».
Giovanna allora gli porse il libro, sorridendo con speranza.
Matteo lo prese, scuotendo la testa. Che strana creatura era, così curiosa, così determinata, così sicura di sé. Non era per niente come Giovanni o come gli altri bambini che aveva conosciuto. In quel viso di bambina splendevano gli occhi di una vecchia donna saggia. Non c’era da stupirsi se le altre ragazze del villaggio non volevano avere nulla a che fare con lei.
«Molto bene, sorellina», disse infine. «Da oggi, inizi a imparare a leggere». Vide nei suoi occhi una gioiosa anticipazione e si affrettò ad ammonirla. «Non devi aspettarti granché. È molto più difficile di quanto pensi».
Giovanna gettò le braccia al collo del fratello. «Ti voglio bene, Matteo».
Matteo si divincolò dalla sua stretta, aprì il libro, e disse burbero: «Cominceremo qui».
Giovanna si chinò sul libro, cogliendo l’odore pungente della pergamena e del legno mentre Matteo additava il passaggio: «Il Vangelo di Giovanni, capitolo primo, primo versetto. "In principio erat verbum et verbum erat apud Deum et verbum erat Deus"».
«In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio».
L’estate e l’autunno che seguirono furono miti e fruttuosi; il raccolto fu il migliore che il villaggio avesse avuto da anni. Ma in Heilagmanoth cadde la neve, e il vento sopraggiunse dal nord in gelide raffiche. La finestra della grubenhaus venne sbarrata contro il freddo, la neve si accumulò alta contro i muri, e la famiglia restava all’interno per gran parte del giorno. Per Giovanna e Matteo era più difficile trovare tempo per le lezioni. Se era una bella giornata il canonico andava ancora a esercitare il suo ministero, e portava Giovanni con sé, lasciando Matteo ai suoi importantissimi studi.
Quando Gudrun si recava nella foresta a raccogliere legna, Giovanna correva allo scrittoio dove Matteo era chino sul suo lavoro, e apriva la Bibbia al punto dove avevano smesso la lezione precedente. In quel modo Giovanna faceva rapidi progressi, e prima della