Totem e tabù e altri saggi di antropologia
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Traduzioni di Celso Balducci, Cecilia Galassi e Delia Agozzino
Edizioni integrali
Questo volume raccoglie i saggi con i quali la psicoanalisi uscì per la prima volta dal campo strettamente medico per tentare un’interpretazione radicalmente nuova della realtà umana. L’orrore per l’incesto, i sentimenti di odio e amore verso le figure genitoriali, legati al complesso edipico, trovano nel raffronto con la psicologia “primitiva” conferme e spunti per un ulteriore approfondimento.
«I divieti da tabù più antichi e più importanti sono due e costituiscono le due leggi basilari del totemismo: non uccidere l’animale-totem e star lontano dai rapporti sessuali con compagni dell’altro sesso che appartengano allo stesso totem.»
Sigmund Freud
padre della psicoanalisi, nacque a Freiberg, in Moravia, nel 1856. Autore di opere di capitale importanza (tra le quali citeremo soltanto L’interpretazione dei sogni, Tre saggi sulla sessualità, Totem e tabù, Psicopatologia della vita quotidiana, Al di là del principio del piacere), insegnò all’università di Vienna dal 1920 fino al 1938, quando fu costretto dai nazisti ad abbandonare l’Austria. Morì l’anno seguente a Londra, dove si era rifugiato insieme con la famiglia. Di Freud la Newton Compton ha pubblicato molti saggi in volumi singoli e la raccolta Opere 1886/1921.
Sigmund Freud
Sigmund Freud nació en Freiberg en 1856 y recibió una educación judía no tradicionalista, abierta a la filosofía del Iluminismo. Concluyo sus estudios de Medicina en 1882.. Junto a Joseph Breuer, Freud abandonó progresivamente el método de la hipnosis y pasó al de la catarsis –primero– y al de la asociación libre, fundamento del psicoanálisis, después. La obra de Freud se divide generalmente en dos períodos caracterizados por diferentes tópicas del aparato psíquico. La primera abarca el período que va de1900 a 1920 y distingue inconsciente, preconsciente y consciente. En la segunda –de 1920 hasta su muerte– hace intervenir las instancias del ello, el yo y el superyó. Después de una vida de trabajo materializada en veintitrés tomos (sus Obras completas), Sigmund Freud falleció en Inglaterra el 23 de septiembre de 1939, un año después de dejar Viena, ciudad en la que los nazis quemaron sus libros y los de otros intelectuales judíos, también perseguidos por el fascismo.
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Anteprima del libro
Totem e tabù e altri saggi di antropologia - Sigmund Freud
Indice
Psicoanalisi e antropologia nella genesi dello studio freudiano sulla cultura. Saggio introduttivo di Flavio Manieri
Nota biobibliografica
TOTEM E TABÙ
Prefazione
1. L'orrore dell'incesto
2. Il tabù e l'ambivalenza dei sentimenti
1.
2.
3.
4.
3. Animismo, magia e onnipotenza dei pensieri
1.
2.
3.
4.
4. Il ritorno del totemismo nell'infanzia
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
ALTRI SAGGI DI ANTROPOLOGIA
Comportamenti ossessivi e pratiche religiose (1907)
Lettera al dottor Friedrich S. Krauss su «Anthropophyteia»
Il significato della successione delle vocali
«Grande è la Diana degli Efesini»
Prefazione a L'elemento scatologico negli usi, costumi, credenze e abitudini dei popoli di J.G. Bourke
Parallelo mitologico di una rappresentazione ossessiva plastica
Il rituale. Prefazione a Problemi di psicologia religiosa di Theodor Reik
Note
Elenco delle opere di Sigmund Freud
39
Traduzione di Celso Balducci, Cecilia Galassi e Delia Agozzino
Prima edizione ebook: febbraio 2011
© 1990, 2006 Newton Compton editori s.rl.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-541-2464-6
www.newtoncompton.com
Edizione elettronica realizzata da Gag srl
Sigmund Freud
Totem e tabù
e altri saggi di antropologia
Edizioni integrali
Newton Compton editori
Psicoanalisi e antropologia nella genesi dello studio freudiano sulla cultura
1. A proposito di applicazioni non mediche della psicoanalisi
All'inizio dell'anno (1911) Freud annunziò che la sua originalità di pensiero si stava estinguendo senza ombra di dubbio, osservazione interessante perché precedette solo di pochi mesi uno dei suoi lavori più originali, quello sulla psicologia della religione. Verso agosto, pur trovandosi in vacanza, ammise d'essere «completamente Totem e tabù».
JONES,Vita ed opere di Freud, II, p. 113
Anni quelli ferventissimi di studi storico-religiosi, confortati dallo sviluppo di nuove scienze e da quei recuperi antropologici che si avviano a divenire addirittura una moda ed a condizionare il costume della decadente Europa,[1]
L'esotico, certo!
Ma non è, forse, proprio il gusto dell'esotico un frutto di ambivalenze?
L'antropologia come la psicoanalisi forniscono all'uomo uno specchio inconsueto, sospeso tra il peccato attuale ed il peccato originale, dunque segreto, fatto di storia, d'una storia dalla quale l'uomo si raggrinza nel presente, nella quale si trova di fatto esteso e per contenuti lancinanti trattenuti di là dal sé, in un sé più vasto, profondo, primitivo, che esclusivamente quasi più non gli appartiene: non appartiene a lui-persona più di quanto non appartenga a nessun altro uomo.
L'uomo produttivistico riconosce se stesso nella descrizione applicata del proprio comportamento e nei suoi equivalenti di scambio.
La «Responsabilità» è a tutto tondo presente: azione e forma d'azione. («C'è qualche riposta intenzione nel fatto che mi chiediate chi io sia. Chi sono si vede. Non altro!»).
Unificarle significa trarre da due metri perfettamente rapportati la tecnica d'un unico linguaggio «anteriore» (Siamo forse riusciti a dimenticarlo? Ο quell'azione che io guardo di te non è altro che la forma della tua impotenza a dimenticarlo,... se accorgerti è mai stato, lungo te, soffrire?): il riferimento d'un unico contenuto drammatico, e tanto almeno quanto è per ognuno ancora il riconoscervisi. (Vuoi forse negarlo? L'uomo si preserva con la fuga e con il sospetto, infinite resistenze, dal terrore di sedersi presso sé. Il sé è dolore).
L'esotico...
E la psicoanalisi, frutto esotico di un'età che l'esotico gustò singolarmente, denuncia (non fa altro) - che la si accetti ο non - perfino nelle passioni che va suscitando, disperatamente, le molte valenze d'ogni riferimento che la riguardi.
Anche l'arte si fa allora arcana e da una pura reazione di sensi trova la propria storia dentro radici anteriori alla storia quale eravamo abituati a tramandarci - una storia anteriore, cioè anteriore al costituirsi del linguaggio, quale medium della coscienza, quale forma del dolore, della mancanza.
La dimensione data dalla estremità del corpo stesso umano, della nostra dimensione fisica, del teatro del nostro corpo: è l'espressione.
La psicoanalisi si propone appunto come un riesame semantico (semantico-sintomatico e semantico-simbolico; poi, semantico-mitico) e semantico nel senso mediale, tra la storia della esigenza biologica e la evoluzione dei segnali adatti ogni volta ad «esprìmerla». Riarticolazione strutturale della ricchezza e della funzione d'un segnale, nel senso delle globalità del fenomeno espressivo.
Ammesso un doppio fronte evolutivo delle situazioni biologiche, un fronte individuale ed uno che riguardi Finterà specie (ontogenesi e filogenesi), Freud si preoccuperà - in un senso, vedremo, non perfettamente crìtico - di chiarire come i due livelli possano vicendevolmente riassumersi sul piano teorico. La ontogenesi ricapitola, così, la filogenesi per una sequenza di rispondenze convincenti al punto da permetterci un riflusso metodologico dalle formule diagnostico-terapeutiche della psicoanalisi alla frammentaria e contraddittoria scienza etnologica del tempo. Non solo l'osservazione e la raccolta accurata dei dati, la loro catalogazione sistematica! L'aspirazione al renaniamo «supplemento d'anima», sul letto di morte del positivismo, agisce in Freud, e verso il senso delle cose, il loro senso dimenticato, però testardamente «scientifico» (una categoria di valore, sine qua non); il senso causale delle cose.
Già dall'aprile del 1911 Freud avrebbe voluto con Rank e Sachs dedicare a questi problemi una rivista. La testata proposta da Stekel era stata Eros-Psyche, ma aveva poi prevalso Imago, secondo l'idea di Sachs.
Ne seguì una reazione confusa. Nessun editore volle assumersi la responsabilità; si muovevano da ogni parte timori che la sua uscita potesse offendere la censura. Finalmente Heller; un amico di Freud, si accollò di persona le spese, ed il primo numero, con i suoi centonovantaquattro abbonati, potè uscire per il gennaio del 1912. Prima ancora, tuttavia, di questo avvenimento ufficiale, gli stuti storico-religiosi di Freud avevano già avuto modo di inserirsi nel più impegnato discorso sulle nevrosi. Era successo durante i lavori del congresso di Weimar (21-22 Settembre), dove, nella postilla al caso Schreber, egli ebbe occasione di parlare delle tendenze miti- cizzanti dell'uomo, del totemismo e della fonte non solo infantile ma anche primitiva - realmente preistorica - del materiale inconscio.
Nel 1912 la psicoanalisi affronta il primo urto per la propria «sistemazione» culturale. E questo non si riferisce soltanto alla polemica sulla scientificità, ma anche alla radicalizzazione - nei confronti dell'esterno - delle posizioni di alcuni fra i suoi aderenti. Di fronte all'urto, sembrò che molti volessero difendere le proprie personali responsabilità - ma anche chiarirle nel senso della dissociazione.
E l'anno della definitiva separazione di Adler, dei grossi problemi alla Gemeinschaft psicoanalitica viennese, della defezione di Stekel, del sempre crescente allontanamento di Jung.
Proprio in vista dell'area culturale d'impatto della teorìa, e in previsione - appunto - della evoluzione di quell'area, l'attenzione del fondatore e presidente della Società Internazionale si era concentrata sulle inferenze non mediche della psicoanalisi. Freud aveva assunto il punto di vista del singolo nei confronti di fenomeni ontogenetici, attivi nella psiche di ogni individuo, di tutti gli individui, al punto da costituirsi come istanze e dinamiche collettive. Jung aveva invece assunto il punto di vista più puramente collettivo (non nel senso sociologico di Durkheim, evidentemente: «demo-psicologico» - diceva Freud).
Secondo questo punto di vista, è attraverso il recupero di simboli archetipici che la psiche individuale tende a risolvere e a ritrovare il senso della propria individuazione. Ed appunto, dentro matrici cosmiche, che la pongano emotivamente a contatto con i processi primari dell'intera specie.
Freud e Jung reagiscono in realtà a due mondi differenti, nel senso della denuncia l'uno, l'altro nel senso della interpretazione, e dunque non nello stesso verso, ma reagiscono comunque ad una comune prova di adattamento culturale.
Il 1912 è l'anno dell'impatto della psicoanalisi con la sua realtà culturale.
Freud avrebbe voluto unificare le nuove problematiche nel suo verbo e che i suoi continuassero, intanto, a lavorare, per il rafforzamento della base, sulla teorìa delle nevrosi; ma il problema di punta riguardava tutti e la sopravvivenza di ciascuno. Questa operazione non gli riuscì. Nello stesso tempo, la violenta campagna giornalistica condotta in Svizzera (la Svizzera calvinista) contro il lessico provocatorio della psicoanalisi e contro i suoi postulati aveva non solo grandemente chiarito la differente situazione di lavoro degli psicoanalisti svizzeri rispetto a quella dei viennesi, ma metteva i primi (cfr. il contemporaneo epistolario con Riklin) di fronte a dilemmi pratici notevoli.
Non è solo in questo senso, tuttavia, come vorrebbero alcuni, che la rottura di Jung deve essere interpretata. Né era comunque questa l'opinione di Freud allora, quando la comune tensione spingeva più d'uno psicoanalista verso studi mitologici. Perfino il fedelissimo Jones, a dissuadere il quale era dovuto intervenire il maestro, con una lettera apposita del gennaio 1911.
Ma già nel 1910, a Ferenczi, Freud scrìveva: «... sono più convinto che mai che egli (Jung) sia l'uomo del futuro. Le sue ricerche l'han portato assai addentro nel regno della mitologia, che egli vuol dischiudere con la chiave della teorìa della libido. Per quanto tutto ciò sia bello gli ho consigliato però di tornare alle nevrosi, perché quello è il terreno sul quale dobbiamo prima rafforzarci, contro tutto e contro tutti». E pensare che ancora nel Ί3 sempre Jones entrava in rapporti contrattuali con Havelock Ellis per ottenere da lui un volume di 500/600 pagine sulle applicazioni non mediche della psicoanalisi! (Jones dice di non ricordare perché questo progetto non giungesse mai in porto).
Se la divaricazione delle soluzioni proposte diviene sempre più certa, Freud desidera che la salvezza sia intorno ad una comune e rafforzata teoria della nevrosi, piuttosto che intorno ad una diaspora di tesi di orìgine psicoanalitica fra loro in contraddizione. Freud vuol procedere, malgrado tutto, ad una ratifica di alcuni concetti basilari.
Jung lo rassicura con lettere formali, ma continua per la sua strada.
Durante una visita, presso Jung, Freud aveva avuto modo di leggere la prima parte di Libido: simboli e trasformazioni, e la moglie di Jung, in una lettera, non aveva saputo descrìvere il suo atteggiamento se non come «riservato». Jones (più tardi) descrìve a Freud, per lettera, il contenuto della seconda parte, che era riuscito a leggere sulle bozze, e questi gli rispose di non essere affatto d'accordo. Più le posizioni si chiarificavano, è evidente, e più gli incidenti andavano aumentando.
Le critiche di Jung divengono sempre più aperte e le occasioni si moltiplicano: a Berna, per esempio, a proposito della sua disquisizione sui cimiteri preistorici dei dintorni della città e al suo preteso «desiderio di morte» oppostogli da Freud, ο infine a Monaco, in riferimento alla tesi di Abraham, secondo la quale il contenuto primo della rivoluzione monoteista del faraone Amenotep consisteva nel suo odio contro il padre.
... E l'acuta sensibilità di Freud è pronta a rispondere. Quando Jones gli comunica il lapsus di Jung che aveva spedito l'invito per una importante riunione di colleghi a casa di suo padre nel Galles (pur sapendo ch'egli si trovava a Firenze, dove poteva essere facilmente reperibile), Freud gli rispose senza mezzi termini: «Un gentiluomo non dovrebbe fare cose del genere nemmeno inconsciamente».
L'episodio culminante sembra essere proprio lo svenimento auto- punitivo di Freud per il piccolo successo ottenuto su Jung a proposito della spiegazione del «gesto di Kreuzlingen».[2]
Comunque Freud, di fronte alle critiche di artificiosità che già nelle conferenze americane di quello stesso anno Jung aveva mosso al suo «complesso dell'Incesto» ο «complesso Edipico», definendolo ormai sorpassato (con la scusa - motivata nella relazione, al ritorno - di rendere la psicoanalisi meglio accetta), sentì bene di dover rispondere, com'era suo uso, piuttosto che con la polemica, con un'opera. Quest'opera, tra Religion und Mythus di Wundt e Wandlungen und Symbole der Libido di Jung, è Totem und Tabu, in cui addirittura sul «complesso Edipico» si predica fondato tutto il sistema sociale.
Quell'anno non era stato, tutto sommato, un buon anno per la sua salute eppure, proprio per la pubblicazione dì Totem e tabù, Freud considerò il 1912, e la cosa ci appare tanto più significativa, come uno dei suoi più produttivi. Egli aveva deciso di dedicarlo all'esposizione della propria tecnica, perché pensava che dalla sua cattiva conoscenza Adler e gli altri erano stati indotti alle loro defezioni, ed ai tentativi di una psicologia della religione, secondo le ricerche mistico-mitologiche di Jung.
Sui tempi di lavorazione di quest'opera siamo ben documentati.
Il 13 Maggio 1912, Freud presenta la seconda parte di Totem e tabù alla Società Viennese di Psicoanalisi. Il 15 Maggio, annota ad Abraham che sta scrivento quell'opera per quattro ο cinque persone. Dal 10 al 27 Dicembre, dopo il congresso di Monaco, Freud passa alcuni «deliziosi» giorni a Roma, in compagnia della cognata Minna, alla ricerca di posti nuovi che gli erano sfuggiti le volte precedenti. Qui conclude Totem e tabù, segnandone la prefazione.
2. Il problema dell'incesto presso i primitivi
L'Oedipuskomplex ... teile une locomotive a promené tout autour du monde la char triomphal de Freud.
C. CLEMEN, Die Anwendung der Psychoanalyse auf Mythologie u. Religionsgesch., 1928, tr. franc., ρ. 124
Il primo saggio si apre in un repertorio di esempi riportati dall'etnologia - isolatamente, come puri «documenti» incontrovertibili, «fatti osservati», senza alcuna discussione contestuale del fenomeno e senza collocazione «critica» dell'osservatore e del suo «tipo» di partecipazione osservante (il che fa perdere loro gran parte del senso - almeno oggi).
Un'antologia di «episodio», avulsi dal «corpus» dell'autorità (cfr. Frazer, Howit etc.) e dunque assunti (da popoli fra loro lontanissimi, dentro organizzazioni il cui rapporto di valore e dunque di si-gnificanza con «quell'episodio» è il più diverso - null'affatto controllato), secondo Freud, a sottolineare l'orrore dei popoli primitivi per l'incesto e senza troppo insistere sulla chiarificazione anche ideologica del termine, magari parallela a quella di nevrotico.
Questi popoli, aderendo al totemismo, si preserverebbero attraverso una serie di pratiche e di sistemi, esclusioni ed osservanze, fratrie e scansi, tabù particolari, altrimenti inspiegabili, da attrazioni negative verso parenti di sesso diverso. Almeno come verrebbero rischiate nei frequenti casi di «matrimonio a gruppo», scarsamente controllabili.
Se l'orrore per l'incesto appare a Freud entro limiti significativi - in relazione ad un certo condizionamento del fenomeno umano individuale, prima infantile, poi sociale, - determinante si rivela la serie di «scansi» che solitamente caratterizzano i rapporti tra suocera e genero. Essi hanno riferimento con situazioni che ancora oggi il senso comune figura: il difficile rapporto fra suocere e generi. Questo fa al tempo stesso scattare in Freud, con scarso rapporto rispetto alla serie, tuttavia non rigorosa, di riferimenti etnologici, la spiegazione psicoanalitica e un insieme di argomenti e di motivazioni tipicamente vittoriani, di un'antropologia sincronica alle spiegazioni che si dà, al punto da chiudersi in un auto-argomenta- re, chiaramente intrasferibile. La seconda parte dell'impostazione analitica resta, così, chiusa in se stessa e se mai per sé valida.
Suocera e genero
Schematicamente Freud suppone trattarsi d'un rapporto «ambivalente», costituito insieme da impulsi di ostilità e di tenerezza.
Esaminiamo i volti delle motivawioni reciproche:
Suocera
a. diffidenza verso lo straniero;
b. non vuol rinunciare al possesso della figlia;
c. tendenza a mantenere una posizione predominante su di lei;
d. identificazione affettiva con la figlia come forma sostitutiva dell'impoverimento della propria vita affettiva, in seguito alla fine «prematura» dei rapporti sessuali;
e. s'innamora dell'essere di cui la propria figlia è innamorata;
f. successiva interdizione;
g. esplicazione della componente sadica dell'impulso amoroso.
Genero
a. non si sottometterà ad alcun'altra volontà esterna;
b. gelosia verso chi possedeva prima dì lui l'affetto della propria moglie;
c. avversione all'idea che la figura e la considerazione della suocera possano modificare negativamente la supervalutazione dell'oggetto sessuale;
d. la suocera può essere sentita come sostitutivo della madre-sorella: dunque, rifiuto d'ogni rapporto, come rapporto affettivo con lei, in quanto rimanda immediatamente ad una motivazione infantile, segretamente incestuosa, da cui egli è fuggito riconoscendo alla propria donna finalmente una polarità sessuale.
Esiste una contraddizione tra l'ambito separato, che questo complesso di argomentazioni esigono e si costruiscono lungo il contesto freudiano, nei confronti della casuale antologia antropologica precedente, ed il mescolamento di carte che viene imposto alla fine del saggio. Freud ritiene d'aver dimostrato ciò che non ha dimostrato affatto.
«Abbiamo dunque tutte le ragioni per ammettere che le proibizioni nelle relazioni fra suocera e genero dipendano fra i selvaggi appunto da questo fattore incestuoso». Come se davvero (ad es.), presso un selvaggio, la visione d'una suocera non più giovane e «fresca d'animo» possa agire negativamente - in maniera depressiva - sulla supervalutazione dell'oggetto sessuale.
A determinare questo fatto interviene senza dubbio la scarsa (- ο inesistente -) discussione degli argomenti non psicoanalitici riportati dall'autore, come anche la mancanza d'una discussione esauriente, non solo filologica, del concetto di selvaggio/primitivo, nel senso preso in considerawione, ed in parallelo, del tipo di riferibi- lità delle figure e dei modelli analitici.
Non che l'operazione fosse impossibile, ma forse appare prematura in un uomo della formazione di Freud, privo di esperienza etnologica, che non fosse sedentaria, sprovvisto di discriminanti metodologiche specifiche.[3]
Lo stemperarsi «non critico» della «transvalutazione» nei «dati», e la forma assuluta - puramente antologica ed occasionale - dell'assunzione dei documenti, fanno sì che questo saggio (in una società che abbia storicamente assorbito lo choc della prima lezione freudiana) risulti ormai un'esercitazione particolarmente datata.
3. La posizione del concetto di tabù in Freud
In realtà noi non riusciamo a descrivere un fenomeno - cioè a rìdurcelo in termini che ci rappresentano - se non attraverso la serie di strutture evidenti che ci soccorrono per marcare la reciproca responsabilità tra noi e la cosa. La «cosa» come ormai fatto sociale.
Così, le strutture liberaleggianti che stanno al fondo dell'idea di «progresso» nella buona società illuminata dell'Ottocento borghese - in particolare ebraica e mittel-europea - unito alla pruderie in faccende di sesso, contrappunto alla doppia repressione - autoritaria e censoria -, modellano un tipico contesto associativo dell'idea di Tabù che è quello freudiano.
Un desiderio eccessivo per una cosa: (si proietta oggettualmente).
Un desiderio per una cosa eccessiva.
Un desiderio per una cosa impossibile: (si riflette soggettualmente).
Un desiderio impossibile / doloroso / che comporta dolore.
Un desiderio pericoloso / sovvertitore.
Un desiderio a cui è meglio non pensare / rimosso.
E inversamente:
ricordo → tentazione → osare → peccato → pena.
Certi condizionamenti strutturali della particolare società in cui Freud vive ed agisce - che ha tutta una propria storia densimetrica lungo la carta d'Europa - intervengono linguisticamente a determinare la descrizione del fenomeno individuale come già un «perché» implicito - una innessa spiegazione. La lingua in cui un fatto è espresso contiene già un giudizio e dunque un contesto di riferimento interno [4] di quel fatto, anteriore alla struttura del fatto. Quel che si dice, una «transvalutazione» di quell'«evento» reso «fatto», provocato linguisticamente «come fatto».
Quando Freud si accinge ad interpretare in chiave psicoanalitica i problemi fondamentali della demo-psicologia - cioè si ripromette di immetterli in una dimensione causale, partendo dall'esperienza della patologia individuale e nel senso indicato dai risultati operativi della sua sottotecnica terapeutica - egli riesce immediatamente ad avere un mosaico «linguistico» indicativo. Proprio perché il linguaggio con il quale cercava d'interpretare il fenomeno individuale era già costituito di risposte e di «valori» sociali. Ed è appunto attraverso esso che egli si trova a dover riconoscere un nome ai valori astratti della propria come di altre società.
Ora, in riferimento alla società in cui vive, l'unica operazione da compiere consiste proprio nel recuperare, attraverso i «valori» che la costituiscono, il linguaggio che contiene quei «valori». Usato questa volta, più scopertamente, per descriverli.
Non potrebbe esserci nulla di più calzante, di più (auto) soddisfacente, di più tautologico (di più scientifico/
Ma, per le altre società, i «valori» potranno essere interpretati solo attraverso gli stessi mezzi descrìttivi linguistici - i quali già portano con sé loro «valori». Questo significa che qualunque «valore» non potrà essere descrìtto se non attraverso una lente predisposta a gèrarchizzarlo «linguisticamente», secondo il senso che può derivargli dalla società che attraverso Freud interpreta.
In ultima analisi, il metodo freudiano che parte dall'individuo e dalle sue dinamiche inconsce per spiegare i fenomeni sociali e collettivi non fa altro che recuperare il modo in cui la propria società gli permette (attraverso il linguaggio) di guardare al singolo, come portatore di dinamiche inconsce (nel sistema di tensioni e di connessi significati che appunto quella società è disposta a concedergli). Esso arriva così tautologicamente a riscoprire, con l'occasione di quella fenomenologia sociale nella quale è immerso, i nomi stessi che la società gli aveva fornito attravero il linguaggio.
Il problema si amplia quando il metodo, evidentemente il più autocorrente, perché non si tratta che di dare i nomi propri alle proprietà che avevano quei nomi, viene applicato senza distinzione ad ogni tipo di società. Ma era nelle cose. La descrizione dei fenomeni dovrebbe avvenire in una lingua critica, ed invece non fa altro che esercitarsi a delucidare troppo facilmente gli elementi che ce li rendono riconoscibili proprio ai sensi dei nostri miti e dei nostri impasse sociali.
Un calco transvalutativo come forma dell'ambiguità metodologica. «Ο l'uomo è sempre eguale a se stesso, nei tempi e nei luoghi, oppure un suo studio sarebbe impossibile» (dove il senso di quell'eguale resta aperto alle avventure).
Dunque, la struttura del «soggettivo» di cui si costituisce Γ «individuo attuale» - scoperta finalmente, una volta per sempre, acquisto per l'eternità - rappresenta qui la matrice dell'uomo di sempre. Ed il tabù dei primitivi, come le forme cerimoniali degli attuali «nevrotici», devono nascondere corrispondenze che non sarà difficile porre allo scoperto.
Qual è il meccanismo del tabù? Dare una risposta a questo interrogativo significa interrogarci a nostra volta sulla linguistica-data che dà forma culturale al fenomeno.
Acquistare coscienza del tabù, in altri termini, significa aiutare a svolgere il contenuto di autogiudizio di cui siamo capaci attraverso la nostra lingua. E non c'è nulla che noi siamo meglio disposti ad accettare d'un autogiudizio recuperato senza scarti - esattamente e comodamente - con le nostre stesse parole che chiamano se stesse.
Il termine «denuncia» che sì usa per il freudismo è anch'esso all'interno di quella linguistica tautologica, come i due versi di un'unica medaglia; testimone ancor più diretto dell'autogiudizio implicito nella sua linguistica: desiderio/rimozione; peccato/pena; descrizione/denunzia. Essa dà diritto di cittadinanza ad ognuno dei termini solo nel tacito senso del secondo, del quale il primo rimane un'estensione sottaciuta, illecita.
Appunto la linguistica vittoriana prepara le strutture per la interpretazione e per la miopia trans-culturale di Freud, distinguendo troppo accuratamente tra l'individuale, il privato ed il sociale: dove nel primo può ancora sottendersi l'audace ed il libertino, solo nel primo (il che può implicare il patologico, «l'eccezione». Cfr. perfino le accuse mosse al recupero del patologico in Freud, quale punto di partenza per l'interpretazione di fenomenologie «normali»).
Quando, dunque, si presentino fenomeni sociali particolarmente «preoccupanti», l'interpretazione non può avvenire se non nel senso delle nòstre corrispondenze più individuali, sepolte.
Che questo individuale abbia presso di noi già un violento marchio sociale è nascosto tra le righe, ma vi rimane fino alla fine, cioè (di fronte alle nuove strutture) fino alla economia marginale della soddisfazione borghese di ritrovarsi senza essersi mai mossi.
I dominatori
Freud sottolinea: ogni volta che ci sia una soppravalutazione della potenza di un individuo nei confronti di situazioni specifiche, si riflette un'impostazione infantile del rapporto tra padre e figlio. Il figlio guarda alla onnipotenza del padre con stima e diffidenza. Il figlio carica la successione dei suoi atti di relazione con lui di opposte valenze: amore ed ostilità.
Nel caso dei cosiddetti dominatori, questi depositari dell'equilibrio positivo del particolare universo del loro popolo, sono serrati dentro gabbie di cerimoniali protettivi, perché quell'equilibrio non abbia a rompersi. Il legame fra una calamità che colpisce il popolo e l'impotenza sacrale del re-sacerdote diviene evidente, e tutta la tensione connessa all'ansia superstiziosa del popolo circa il proprio destino si scarica su di luì. Il destino è, così, indefinitivamente rinnovabile nella figura d'una nuova unzione, d'un recuperato equilibrio, d'un «universo» ribattezzato.
Fissate le formalità che regolano il rapporto tra ciò che l'uomo fa e ciò che crede di fare, tra la vita dell'uomo e l'idea dell'uomo intorno alla vita, la contingenza della possibilità umana rispetto al destino nel quale l'uomo ha amato proiettarsi viene simboleggiata nella «tragicità» (in senso letterale, τραγωδία) della vita e dei poteri del capo. (Cfr. per esempio il rapporto tra magia e scienza in Malinowski piuttosto che in Frazer).
Cardine d'un universo - testimone della realtà «progressiva» d'un popolo - unico nel quale la potenza della parola si identifichi violentemente creativamente con la cosa, proprio in virtù del suo destino sacrale - chiave d'una serie di componenti che risultano a partire da lui ed in lui si riconoscono - è il luogo più protetto e più sensibile della percorribilità di quel modello arcano sul quale si formano, e lo possono allora felicemente, le infinite fattispecie delle azioni del suo popolo.
Il sacrificio del capo non è «stabilito», ma scatta dalla necessità delle circostanze - la legge è automatica: esso è il luogo dei corti circuiti. La rottura dell'equilibrio: una tensione maggiore nella rete, in un punto qualunque della rete, brucia il capo.
L'economia dell'uomo primitivo si struttura staticamente, rigidamente. Nei suoi margini di soppravvivenza egli getta la rete come i suoi padri aderendo a ritmi cosmici (un'economia di attesa e di ricorrenze): una dimensione quasi indeformabile a livello individuale; il caso è un periodo non più controllabile. La «nuova» struttura ribattezzata non parteciperà d'una nuova angolazione, ma deformerà il primo quadro in un altro rigido, che sembra lo stesso quadro. Il perìodo parte da troppo lontano.
E la straordinaria considerazione della quale - attraverso il formulario cerimoniale - il popolo sembra circondare il capo sembra a Freud collegata all'ostilità rimossa che insieme esso prova per il suo singolare destino.
Ma la figura del capo, appare, ancora, in quanto intermediario col divino, punto di congiunzione col divino, il luogo di tensione «formulare» nel quale un intero popolo può controllare la propria costellazione trascendente - il modello divino dal quale dipende attimo per attimo.
Una formula mal pronunziata, una sillaba nel contorto labirinto di sillabe non esatta, e l'operazione magica di rapporto con i modelli numinali che influenzano le fattispecie terrene cade immediatamente. Questi condizionamenti ossessivi sono presenti perfino nel diritto formulare Romano, dove esiste come condizione di validità del giudizio la perfetta recitazione delle formule di parte.
È chiaro che questo luogo di tensione è fonte di ansie e di frustrazioni, dunque è oggetto di sentimento e di risentimento. Luogo di individuazione d'un popolo intero, il capo tende a risentire della insicurezza collettiva, a fronte della simbolicità del proprio destino, nella forma d'una diffusa reattività ambivalente.
Ma nelle strutture di relazione che rapportano un capo alla sua collettività tendono comunque ad esprìmersi tipiche·, specifiche tonalità funzionali.
Lo scopo d'un capo è, d'altra parte, esattamente